APPUNTI di BIFI Papi.pdf

September 27, 2017 | Author: Andmala | Category: Balance Of Payments, Bonds (Finance), Investing, Money, Economics
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Appunti del prof. Luca Papi

Banche e Integrazione Finanziaria Internazionale I modulo A.A. 2011-2012

Valeria Becci Matricola 1054811

ii

iii

Indice

1.

Introduzione _____________________________________________________________________ 1

2.

I Conti con l’Estero ________________________________________________________________ 4 2.1. 2.2. 2.3. 2.4.

3.

Le Riserve Ufficiali ________________________________________________________________ 21 3.1. 3.2. 3.3. 3.4. 3.5. 3.6. 3.7.

4.

La politica del cambio in sede europea _____________________________________________________ 48 Definizioni del tasso di cambio ____________________________________________________________ 50 Regimi di cambio _______________________________________________________________________ 52

Il Ruolo Internazionale del Dollaro___________________________________________________ 68 5.1. 5.2.

6.

Le definizioni di Riserve Ufficiali (RU) _______________________________________________________ 22 I Diritti Speciali di Prelievo (DSP) o Special Drawing Rigths (SDRs) ________________________________ 23 I fatti stilizzati _________________________________________________________________________ 25 Il paradosso dei flussi di capitali ___________________________________________________________ 30 I motivi tradizionali per detenere RU _______________________________________________________ 31 Misure di reserve adequacy ______________________________________________________________ 32 Il dibattito sulle cause dell’accumulo di riserve _______________________________________________ 37

Il Tasso di Cambio ________________________________________________________________ 46 4.1. 4.2. 4.3.

5.

Brevi riferimenti storici ___________________________________________________________________ 4 Bilancia dei pagamenti ___________________________________________________________________ 5 Posizione patrimoniale netta sull’estero (PPE) _______________________________________________ 14 Perché è importante occuparsi dei conti con l’estero? _________________________________________ 15

Evidenza empirica ______________________________________________________________________ 68 I vantaggi della valuta chiave _____________________________________________________________ 71

Integrazione Finanziaria Internazionale _______________________________________________ 82 6.1. 6.2. 6.3. 6.4. 6.5. 6.6.

Definizioni di integrazione finanziaria ______________________________________________________ 83 Modalità di integrazione finanziaria ________________________________________________________ 84 Evoluzione e dimensione dell’IF ___________________________________________________________ 86 Le determinanti dell’apertura e dell’integrazione finanziaria ____________________________________ 93 Perché occuparci di integrazione finanziaria? _______________________________________________ 102 I canali attraverso i quali l’IF può contribuire alla crescita di un paese ___________________________ 103

iv

7.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale __________________________________ 125 7.1. 7.2. 7.3. 7.4.

8.

I benefici derivanti dall’internazionalizzazione dei servizi finanziari______________________________ 126 Potenziali rischi e costi dell’internazionalizzazione dei servizi finanziari __________________________ 132 Effetti della internazionalizzazione dei servizi finanziari al paese ospitante _______________________ 134 I benefici derivanti dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali ______________________________ 139

I Rischi dell’Integrazione Finanziaria ________________________________________________ 147 8.1. 8.2. 8.3.

9.

La visione pessimistica _________________________________________________________________ 147 L’IF riduce la libertà di azione delle autorità nazionali ________________________________________ 147 L’IF rende le dinamiche dei mercati finanziari più rischiose e meno stabili ________________________ 148

Le Misure dell’Integrazione Finanziaria ______________________________________________ 165 9.1.

10.

Indicatori di apertura __________________________________________________________________ 165

Organismi Finanziari Internazionali _______________________________________________ 169

10.1. 10.2. 10.3. 10.4. 10.5. 10.6.

Coordinamento e organizzazioni internazionali ___________________________________________ 169 Principali istituzioni finanziarie internazionali _____________________________________________ 171 Le istituzioni nate a Bretton Woods _____________________________________________________ 179 Le principali funzioni delle IFI __________________________________________________________ 190 Le attività delle IFI nel settore finanziario ________________________________________________ 205 Le attività della Banca Mondiale nel settore finanziario _____________________________________ 207

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1. INTRODUZIONE 28/09 Libri di testo: Manzocchi, Papi – Economia dell’integrazione finanziaria (Carocci 2002) → per la prima parte del corso. Filosa, Marotta – Stabilità finanziaria e crisi (Mulino 2011) → consigliato soprattutto per chi non frequenta.

Programma per i non frequentanti: 1° libro → tutto tranne il cap.4 2° libro → cap. 4, 6 e 7. Più lettura di introduzione e del cap 1. 1° libro: integrazione finanziaria, quindi definizioni, modalità, evoluzione, determinanti, misure, costi e benefici dell’IFI. 2° libro: tratta della crisi finanziaria del 2007 e le risposte alla crisi, quindi: la regolamentazione microprudenziale bancaria (che si riferisce alla stabilità del singolo intermediario, alla singola banca), e le riforme della finanza di carattere macroprudenziale. La crisi finanziaria del 2007 è tutt’ora in corso, adesso abbiamo a che fare con le conseguenze di quella crisi: debiti sovrani.

Programma per i frequentanti: Alcune parti di quei libri e del materiale aggiuntivo che verrà indicato. Il carico didattico è più o meno lo stesso. L’esame riguarda gli argomenti trattati a lezione: parzialmente sono riportati dai libri e parzialmente da materiale didattico che poi ci darà. Ci saranno due testi diversi: per i frequentanti e per i non frequentanti. Il corso prevede una formula mista: lezioni frontali, seminari e paper presentato da noi in aula. Gruppi massimo di 4 persone. A ciascuno si assegna un tema – circoscritto. Nelle ultime due settimane del corso dovremo produrre: - un elaborato di massimo 5000 parole - un riassunto di 1000 parole - un powerpoint da presentare in aula Il giorno definito il gruppo dovrà fare una breve presentazione di 20-30 min. Quel giorno il prof deciderà chi dei quattro componenti del gruppo lo presenterà. Questo esercizio vale il 30% della valutazione finale. L’esame è il 70% → per il 50% relativo al suo modulo. L’altro 50% è il voto del 2° modulo. L’esame è unico per 1° e 2° modulo. Scritto con domande aperte per la prima sessione. Nelle sessioni successive può essere orale. Non ci sono trattative sul voto. Non si può chiedere una domanda in più all’esame, per equità. E vede di malocchio chi rifiuta i voti. Il paper rimane valido per la sessione invernale ed estiva. I due moduli sono in parte separati, ma in parte c’è una sovrapposizione di argomenti. Sono due diversi tipi di approccio.

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Capitolo 1

Modulo di Papi: approccio di carattere economico-istituzionale e anche di politica economica. Modulo di Zazzaro: approccio di carattere più teorico, incentrato sul ruolo delle banche in un’economia del mercato. Si occuperà più di aspetti teorici che riguardano il mondo delle banche e della regolamentazione bancaria, di come gli economisti hanno affrontato e giustificato certi assetti istituzionali ed economici che trovano riscontro in norme, istituzioni e accordi internazionali. Tratterà dal punto di vista teorico alcuni problemi della regolamentazione,

1.1.1.

Contenuti del corso

Obiettivo → trattare le tematiche dell’integrazione finanziaria internazionale. Trattare di IFI vuol dire affrontare diversi argomenti: noi ne vedremo alcuni. Questo è un tema molto ampio.

Prime due lezioni. Inizieremo con una prima parte di richiami, concetti utili alla comprensione del corso. Quindi richiameremo gli aspetti internazionali della macroeconomia e della finanza internazionale, con un taglio diverso. Richiami e integrazioni di concetti già conosciuti: bilancia dei pagamenti e regimi di tassi di cambio.

Prima parte del corso. Nelle prime tre settimane del corso parleremo di integrazione finanziaria internazionale. Vedremo: ‐ cosa intendiamo per integrazione; ‐ come si è evoluta nel tempo l’IFI; ‐ che relazione ha la sfera finanziaria con la sfera reale, come l’integrazione finanziaria impatta sulla sfera reale, sulla crescita economica; ‐ quali sono le misure e le determinanti dell’integrazione finanziaria; ‐ gli indicatori che possiamo usare per misurare questo fenomeno, che è crescente e sempre più importante; ‐ le modalità dell’IFI; ‐ e l’analisi dei benefici e delle complicazioni derivanti dall’IFI arriveremo a parlare di crisi. E le crisi di questi giorni testimoniano quanto sia rilevante l’integrazione finanziaria per definire questioni che un tempo venivano affrontare diversamente. I problemi e i rimedi che abbiamo a livello nazionale hanno a che fare con il fatto che i paesi sono sempre finanziariamente più integrati. Crisi → parte più negativa dell’integrazione finanziaria internazionale. Vedremo quali sono i benefici dell’IFI: perché è importante integrarsi, quali opportunità offre l’integrazione. E invece quali rischi può comportare l’integrazione.

Seconda parte del corso. Trattiamo il ruolo delle istituzioni finanziarie internazionali. Vedremo come sono nate e ci soffermeremo soprattutto sulle due più importanti: il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Vedremo cosa fanno queste realtà, che ruolo svolgono. Sono loro stesse parte di questo processo di integrazione e lo favoriscono. Poi vedremo le funzioni tipiche di queste istituzioni, che sono funzioni diverse da quelle per le quali sono state istituite. Vedremo come queste istituzioni sono nate, come si sono evolute, come operano. E vedremo alcune iniziative specifiche di queste istituzioni che riguardano in modo particolare il settore bancario, ad esempio il ruolo del Comitato di Basilea, molto importante in ambito di regolamentazione bancaria internazionale.

Introduzione

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L’integrazione finanziaria sarà analizza soprattutto per la parte che riguarda più da vicino il settore bancario, anche perché i settori bancari sono la gran parte dei settori finanziari. Le iniziative che approfondiremo saranno ad esempio: l’assicurazione dei depositi, la regolamentazione bancaria, il credito di ultima istanza, le configurazioni che devono avere le autorità nel settore finanziario. Quelle che tratteremo sono tutte realtà, tutti fenomeni, che hanno un riscontro a livello internazionale. Cioè, il modo in cui questi istituti sono organizzati nei paesi riflette sempre di più le indicazioni dei consensi degli organismi internazionali. Quindi le normative nazionali riflettono quello che succede ad un livello più alto, a livello internazionale. E questo è un fenomeno tipico degli ultimi decenni, che si sta sviluppando e si sviluppa continuamente. Ma c’è continuamente un passaggio di sovranità a livello internazionale per quanto riguarda la regolamentazione degli istituti che interessano il sistema finanziario.

Terza parte del corso. Le ultime due settimane del corso saranno dedicate all’esposizione dei nostri paper su temi attinenti ai contenuti del corso.

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2. I CONTI CON L’ESTERO 05/10 Con conti con l’estero intendiamo essenzialmente due documenti:

⇾ bilancia dei pagamenti, che registra i flussi. ⇾ situazione patrimoniale del paese, che presenta le attività nette del paese nei confronti del resto del mondo. Che sono sostanzialmente l’equivalente della contabilità. L’esempio più centrato è quello della contabilità aziendale, dove abbiamo un documento che registra i flussi e un documento che registra gli stock.

2.1.

Brevi riferimenti storici

Brevi riferimenti storici per ripercorrere il modo in cui si sono sviluppati questi documenti e le metodologie che sottendono questi documenti. L’analisi dei rapporti economici tra paesi va indietro ai contributi degli economisti classici del 600-700 → anche se in quel periodo l’analisi di questi rapporti era confinata al settore commerciale. Quindi le prime riflessioni riguardano quindi i flussi reali, commerciali → quelli finanziari erano poco sviluppati, mentre oggi rappresentano di gran lunga la parte più importante. I primi sforzi metodologici per cercare di uniformare gli standard per misurare, registrare, i rapporti economici tra i paesi risalgono alla seconda metà dell’800. Mentre i primi risultati anche a livello istituzionale che appaiono nel 1900 quando per la prima volta si forma il primo istituto internazionale di statistica, che aveva come compito anche quello di produrre delle metodologie per poter effettuare confronti internazionali tra paesi nell’ambito degli scambi economici. Alla fine della prima guerra mondiale gli sforzi di standardizzazione aumentano, soprattutto all’interno della neonata società delle nazioni. Che nasce dopo il trattato di Versailles della 1°GM ed è l’equivalente di quello che oggi sono le Nazioni Unite. All’interno della società delle nazioni vengono prodotti i primi sforzi, riflessioni, per costruire i conti con l’estero in maniera uniforme tra i paesi e l’opera della società delle nazioni viene ereditata dopo la 2°GM dalle Nazioni Unite, e in particolare da una loro agenzia che è il Fondo Monetario Internazionale, che venne costituito a seguito degli accordo di Bretton Woods. Lo statuto del FMI prevede l’obbligo per i paesi membri di trasmettere una serie di informazioni statistiche dai paesi al fondo monetario per permettere e favorire l’espletamento delle funzioni del FMI → una delle quali è la cosiddetta “sorveglianza sui paesi”. Per fare sorveglianza macroeconomica il FMI richiede ai paesi un flusso di informazioni che riguardavano, tra l’altro, i conti con l’estero la bilancia dei pagamenti in sostanza. E questo è un obbligo previsto dallo statuto del fondo, che è sottoscritto da tutti i paesi membri, e quindi da quasi tutti i paesi del mondo. All’interno di questo contesto istituzionale il fondo ha sviluppato una serie di metodologie per come compilare i conti con l’estero che rappresentano il riferimento principale per tutti i paesi. Quindi è il fondo monetario che detta gli standard contabili ed economici, che sottendono la compilazione e la produzione dei conti con l’estero dei vari paesi.

I Conti con l’Estero

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In Italia le prime rilevazioni statistiche risalgono ai primi del 1900. Qui ricalchiamo quello che hanno fatto gli altri paesi. Prima ci sono sforzi che riguardano soprattutto la parte commerciale, soprattutto per le necessità conoscitive che aveva l’Erario che doveva preoccuparsi dell’esazione dei dazi sulle importazioni, e quindi doveva monitorare la bilancia commerciale. Poi i primi lavori più organici sono ad opera di alcuni studiosi: Stringher (governatore della Banca d’Italia), Mortara e Einaudi (governatore della Banca d’Italia, nonché presidente della Repubblica). Questi sono i tre studiosi che a metà del 1900 produssero i lavori più sistematici in ambito italiano per quanto riguarda i conti con l’estero. Poi ci fu un rallentamento a seguito anche della guerra. E dopo la 2°GM ripresero gli sforzi, soprattutto in connessione con il Piano Marshall → il programma di aiuti americani per la ricostruzioni dei paesi distrutti dalla guerra, nel quale c’era una previsione degli aiuti che commisurava gli aiuti stessi a certi indicatori della bilancia dei pagamenti. Quindi ci fu, in aggiunta a tutte le altre esigente, agli altri obiettivi → quella di soddisfare le richieste del Piano Marshall. E in questo ambito si creò il primo comitato nazionale per la bilancia dei pagamenti. Questo comitato fu istituito nel 1952, e prevedeva la partecipazione dell’allora Ufficio Italiano Cambi, della Banca d’Italia e del Ministero. Questo comitato è il primo nucleo che ha avuto come compito istituzionale quello di creare la bilancia dei pagamenti. L’Ufficio Italiano Cambi è stato soppresso qualche anno fa, e oggi la bilancia dei pagamenti per il nostro paese viene prodotta dalla Banca d’Italia seguendo le indicazioni del FMI. E con la creazione dell’Europa c’è stata anche la creazione di un ufficio statistico a livello europeo (Eurostat e BCE) che hanno la responsabilità dei conti con l’estero dell’area dell’euro, che si avvalgono delle rilevazioni e dei contributi delle autorità nazionali. Gli standard internazionali per quanto riguarda la compilazione, la produzione, ma anche la diffusione di questi dati, e la tempistica di questi dati → è sempre a livello di iniziative portate avanti all’interno del FMI. Questo è il quadro dell’evoluzione storica ed istituzionale dei conti con l’estero. Vediamo ora più da vicino come sono organizzati e qual è il contenuto di questi documenti.

2.2.

Bilancia dei pagamenti

La bilancia dei pagamenti (BP) è il documento in cui si registrano tutte le transazioni economiche internazionali effettuate in un dato periodo nell’economia in esame tra gli operatori residenti e quelli non residenti. L’intero edificio concettuale della BP si basa su due nozioni fondamentali: 1) Il concetto di residente. 2) Il concetto di transazione economica internazionale.

C’è sempre un periodo di riferimento, che tipicamente è l’anno. Transazioni economiche tra gli operatori residenti e il resto del mondo. Nella definizione di BP vediamo evidenziati i due pilastri su cui si basa l’intero impianto statistico della bilancia dei pagamenti. Quindi vediamo di definire cosa intendiamo con questi due concetti.

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Capitolo 2

1) Il concetto di residenza nella BP Secondo l’ordinamento valutario italiano è considerata residente in Italia ogni persona fisica (giuridica) che, indipendentemente dalla cittadinanza (sede legale), abbiano una dimora abituale (sede anche secondaria) in Italia, o vi svolga attività in modo non occasionale (con stabile organizzazione). Questa definizione è in linea con quella del FMI secondo quale per residente si intende ogni individuo o società il cui centro di interessi economici risieda, su base non temporanea, in una certa economia.

2) Il concetto di transazione economica internazionale nella BP Le transazioni economiche internazionali (TEI) implicano o il passaggio da un soggetto residente ad uno non residente (o viceversa) di un bene, un servizio o un reddito, oppure implicano una variazione delle attività o passività finanziarie che un residente detiene nei confronti di un non residente. [TEI anche a titolo gratuito (Trasferimenti unilaterali)]

Ci sono due tipologie di transazioni: – passaggio di un bene/servizio/reddito → siamo nell’ambito di transazioni che interessano la parte corrente della BP (current account) → PARTITE CORRENTI. – Variazione delle AF o PF → siamo nell’ambito dei movimenti di capitali → ora chiamati CONTO FINANZIARIO.

2.2.1.

Principi contabili della BP

La BP è fondata sul principio della partita doppia e sul principio della uniformità della valutazione.

Questi sono i due principi fondamentali.

a) Uniformità della valutazione Scelta dell’unità di conto (valuta nazionale/dollari/DSP; cambi correnti) Prezzi di mercato (per le AF valori di fine periodo) Principio della competenza Valore fob (free on board) = cif (trasporto + assicurazione) – spese di trasporto oltre la dogana fino a destinazione

Vuol dire accordarsi su una serie di criteri riguardo: – alla scelta di stessa unità di conto per tutte le transazioni quindi che cambio usare, che valuta usare. – se parliamo di AF potremo definire quali sono i prezzi da considerare. – se parliamo di merci dovremo definire cosa intendiamo per valore delle merci.

I Conti con l’Estero

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Sono tutta una serie di criteri che devono essere definiti per dare attuazione a questo principio della uniformità della valutazione. Questi sono esempi di che tipo di considerazioni devono essere fatte parlando di uniformità della valutazione.

b) Partita doppia Le registrazioni obbediscono alle seguenti convenzioni di segno: ⇾ Si ha una registrazione con segno positivo (crediti) quando: Un residente esporta beni o servizi o percepisce redditi dall’estero, La transazione determina un aumento delle sue passività finanziarie o una riduzione delle sue attività finanziarie verso l’estero. ⇾ Queste convezioni assecondano l’intuizione secondo cui un segno positivo (crediti) è sempre associato ad un’entrata di fondi nel paese. ⇾ Somma TEI=0 ⇾ Aumento RU: segno negativo

La partita doppia si basa sul fatto che ogni transazione dà luogo a due registrazioni di uguale importo e di segno opposto. La prima convenzione è che quando vendiamo un prodotto all’estero → l’esportazione andrà in qualche voce registrata col segno positivo. In particolare nella parte della bilancia commerciale. Oppure quando percepiamo redditi dall’estero → si ha una registrazione col segno positivo. La seconda convenzione similmente è che quando mi indebito nei confronti dell’estero → dà luogo ad una registrazione di segno positivo, perché aumentano le PFE. Quella che è l’intuizione che sottostà a queste condizioni, è che un segno positivo è sempre associato all’entrata di fondi nel paese. Implicito nelle doppie transazioni è il fatto che la sommatoria di tutte le registrazioni DOVREBBE dare un saldo nullo → ma nella pratica le registrazioni non riescono ad essere complete e corrette. E quindi nelle BP troviamo spesso una voce residuale che si chiama “errori ed omissioni” che va a correggere questa incompletezza delle informazioni e delle registrazioni che nella pratica si riscontrano. Quindi il pareggio è portato grazie all’inserimento residuale di questa voce.

c) Esempio di registrazioni Supponiamo che la nostra operazione sia una esportazione. Vediamo che una esportazione dà sempre luogo a due registrazioni di uguale importo e di segno opposto. L’esportazione di una merce, in base alla prima convenzione, deve produrre una registrazione di segno positivo e la produrrà negli scambi di merci, servizi e redditi. Poi questa esportazione dovrà essere regolata (deve essere pagata) e in base alla seconda convenzione di segno mi comporterà una registrazione di uguale ammontare e di segno opposto.

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Capitolo 2

PARTITE CORRENTI

ESPORTAZIONI DI MERCI

scambi di merci, servizi e redditi

trasferimenti unilaterali

CONTO FINANZIARIO movimenti di capitali implicanti variazioni delle attività sull’estero dei residenti

movimenti di capitali implicanti variazioni delle passività sull’estero dei residenti

1. concessione di dilazioni di pagamento 2. pagamento contestuale nella valuta dell’esportatore (€) 3. pagamento contestuale in valuta estera, trattenuta in portafoglio ($) 4. pagamento contestuale in valuta estera, cambiata in valuta estera, cambiata in valuta nazionale presso un non residente …

Per ogni modo di regolamento della transazione: 1. 2.

Ho esportato → concedo una dilazione di pagamento ottengo un credito. Il credito è un aumento delle mie AFE va con il segno negativo e compensa i 100 nella parte corrente. Pagamento contestuale nella valuta dell’esportatore, cioè l’esportatore riceve un pagamento → gli euro che sono fuori dal paese e che rientrano sono delle passività che il nostro paese (la nostra banca centrale) ha nei confronti dei non residenti. Se entrano degli euro → diminuiscono le PFE dei residenti il segno deve essere negativo in forza di quella convenzione.

C’è sempre questa doppia registrazione.

2.2.2.

Organizzazione della BP

I tre (vecchi) blocchi: 1) partite correnti 2) movimenti di capitali 3) movimenti monetari (al cui interno c’erano i flussi di riserve ufficiali) (errori ed omissioni)

Fino a qualche anno fa si usava questa tripartizione. Più la voce residuale. Mentre da qualche anno la BP prevede una diversa ripartizione.

I Conti con l’Estero

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La bilancia dei pagamenti secondo la nuova metodologia del FMI (e dell’Italia e dell’area dell’euro). 1.

PARTITE CORRENTI

2.

CONTO CAPITALE

3.

CONTO FINANZIARIO

4.

ERRORI ED OMISSIONI

Le partite correnti della BP registrano le transazioni internazionali non finanziarie → si articolano nelle sezioni: ⇾ Partite visibili (merci) ⇾ Partite invisibili (servizi, redditi e trasferimenti)

Le variazioni delle attività e delle passività finanziarie sono comprese in: ⇾ CONTO CAPITALE (capital account) ⇾ CONTO FINANZIARIO (financial account)

Nel nuovo conto capitale si registrano i trasferimenti di capitale (trasferimenti in natura, cancellazione del debito…) e l’acquisizione o vendita di attività intangibili e non finanziarie (brevetti). Nel conto finanziario si registrano le transazioni che danno luogo a una variazione delle AFE e delle PFE dei residenti.

Il conto finanziario è di gran lunga più importante del conto capitale, nel quale sono comprese poche voci. In realtà il conto capitale è solo una piccola parziale parte di quelli che erano i vecchi movimenti di capitali → di cui la maggiore più importante parte è invece contenuta nel conto finanziario.

Guardiamo più a fondo cosa è compreso nel conto finanziario perché queste informazioni saranno molto utili nel proseguo del corso. Perché la base statistica per tutto quello che riguarda l’IFI è contenuta in questo conto in sostanza.

Il conto finanziario è suddiviso in due blocchi: Investimenti e disinvestimenti di capitali Flussi di riserve ufficiali (movimenti monetari)

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Capitolo 2

Sulle riserve ufficiali faremo un approfondimento a parte, perché è una delle voci più importanti della BP e anche perché negli ultimi anni, soprattutto nei paesi emergenti, c’è stata una esplosione del livello delle riserve ufficiali. Vedremo perché questo è successo, che implicazioni ha, per i paesi interessati e più in generale per la stabilità del sistema finanziario internazionale. Il processo di crescita delle riserve ufficiali dei paesi emergenti è un grande problema e una grande novità degli ultimi 7-8 anni.

Le riserve ufficiali sono un aggregato molto importante. Riserve ufficiali → sostanzialmente sono i movimenti di capitali che sono effettuati dalle autorità monetarie, gli interventi che vengono fatti sul mercato dei cambi.

2.2.3.

Le differenze della BP italiana riguardo al conto finanziario

⇾ Maggiori informazioni rispetto a quanto richiesto dal FMI ⇾ L’Italia usa diversi criteri di classificazione dei flussi di capitale

Criteri di classificazione:    

funzionale (questo è richiesto dal FMI) settore di appartenenza dell’operatore residente residenza del creditore flussi netti e/o lordi.

I criteri seguiti dall’Italia per il conto finanziario: settore di appartenenza dell’operatore residente residenza del creditore

capitali bancari e capitali non bancari

capitali italiani e capitali esteri

regola di registrazione dei flussi netti e lordi

debiti (segno negativo) e crediti (segno positivo) + saldi

Per quanto riguarda il conto finanziario ci sono diverse tipologie di classificazione del suo contenuto. A noi interessa in particolare il criterio di classificazione di tipo funzionale. quindi spacchiamo il contenuto del conto finanziario secondo un principio di carattere funzionale: andiamo a vedere quali sono le finalità, le motivazioni che hanno determinato le variazioni delle attività o delle passività finanziarie di un paese nei confronti dell’estero.

La classificazione secondo il criterio funzionale identifica tre grandi categorie di transazioni: 1.

gli investimenti, caratterizzati: a. dall’acquisizione di quote di capitale di un’impresa (investimenti diretti); b. dall’acquisto o sottoscrizione di strumenti negoziabili sui mercati finanziari (investimenti di portafoglio);

I Conti con l’Estero

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2.

i crediti commerciali consistenti nell’anticipo o nel ritardo di un pagamento di una merce rispetto al passaggio di proprietà di quest’ultima;

3.

i prestiti, comprendono tutte le attività e passività finanziarie a cui non sottostà uno strumento finanziario e che non si risolvono nella mera variazione dei tempi di pagamento.

In questa classificazione funzionale che possiamo dare del conto finanziario la prima voce è quella che più ci interessa e che ha più rilevanza economica → quella degli investimenti, in cui rientrano gli investimenti diretti all’estero e gli investimenti di portafoglio. Ed è importante distinguere queste due forme di investimento. I prestiti sono tutti i prestiti che non sono prestiti commerciali e che non sono rappresentabili in titoli negoziabili. Quindi i prestiti bancari stanno in questa categoria.

La distinzione fondamentale all’interno della prima categoria tra investimenti diretti all’estero e investimenti di portafoglio sta nella finalità che persegue l’investitore: – Investimenti diretti all’estero → funzione di intervenire nella gestione di un’impresa all’estero, di influenzare e partecipare alla gestione di un’impresa. E qui ci possono essere diverse tipologie di IDE: costituire un’azienda all’estero, se compriamo un’altra azienda all’estero, se vogliamo intervenire nella gestione di un’azienda nell’ambito di una strategia industriale. – Investimenti di portafoglio → obiettivo di gestire al meglio la nostra ricchezza finanziaria. Possiamo anche compare un’azione di una società anche estera, ma la compriamo non per intervenire nella gestione di quell’impresa, ma perché stiamo facendo un investimento di portafoglio: compriamo uno strumento finanziario sulla base di considerazione che guidano l’asset allocation del nostro portafoglio per rendimento, liquidità, durata. E non ci interessiamo al fatto di poter intervenire nell’assemblea o nella gestione di quell’azienda. Ci sono delle rilevazioni statistiche che utilizzano delle convenzioni per decidere se si tratta di un IDE o di un investimento di portafoglio. Il caso azionario è un po’ più complicato, mentre una obbligazione o un titolo di stato è sempre un investimento di portafoglio. Ci sono diverse implicazioni economiche che interessano queste due tipologie di investimento. Un investimento diretto all’estero è una relazione più stabile con il paese, mentre quelli di portafoglio sono molto più volatili: posso comprare un titolo di un’industria estera oggi e rivenderlo un’ora dopo. E questo può essere un problema per i paesi che li ricevono, se hanno degli afflussi di capitali che entrano e possono riuscire in tempi rapidissimi. Questo è solo un esempio di come le due tipologie di investimento possono avere implicazioni economiche diverse. Pensiamo agli effetti sulla crescita: tutti i paesi cercano di attirare gli IDE perché sono fondamentali per la crescita di un paese. Oppure nel caso di crisi finanziaria se abbiamo fatto un IDE (tipicamente un investimento azionario) → il rendimento di quella azione impatterà su di noi e i risultati di quel paese vengono condivisi in qualche modo anche con chi ha investito in quel paese. Invece il rendimento di una obbligazione è indipendente dai risultati di quell’impresa o di quel paese. C’è una cedola fissa. Quindi il tipo di rendimento, il flusso di risorse che otteniamo, è indipendente da quello che succede nel paese. Questo è per capire che dietro queste classificazioni non c’è solo un ragionamento statistico, ma ci sono valenze economiche molto diverse che ci portano a fare dei ragionamenti di un tipo o dell’altro a seconda di quello è che il nostro obiettivo.

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Capitolo 2

Perché distinguere tra le diverse forme di finanziamento? ⇾ Il caso dei PVS e delle diverse obbligazioni che originano dalle diverse forme di finanziamento Due tipi di finanziamento: finanziamento con debito (obbligazioni, prestiti bancari e commerciali, prestiti pubblici (IFI e governi) finanziamento con capitale di rischio.

Nel primo caso le obbligazioni verso i creditori sono indipendenti dalle condizioni economiche dei paesi debitori Nel secondo caso i creditori condividono il rischio economico dell’investimento e quindi le obbligazioni sono direttamente legate ai risultati economici conseguiti nel paese ospitante.

Grafico: Europa: capacità di attrarre gli investimenti stranieri – flussi di capitali esteri in entrata nei singoli paesi. Fonte: Unictad, FDI Stat.

Questa è una statistica a proposito della rilevanza degli IDE e della capacità dei paesi di attirare investimenti dall’estero. Questo è il valore medio dei tre anni degli IDE attratti dai paesi europei. Ci sono paesi come l’Estonia e la Rep. Ceca per cui gli Ide hanno rappresentato il 12% e il 6% del PIL, quindi valori molto alti. I paesi che hanno attratto meno sono Italia e Greca. Il fatto che hanno avuto afflussi di capitali esteri molto bassi ha impatto sulla crescita di questi paesi. I paesi cercano di attrarre dall’estero capitali e iniziative imprenditoriali che possono creare lavoro e reddito nel paese ospitante.

I Conti con l’Estero

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Possibili cause di questa criticità italiana di attrarre capitali dall’estero. I fattori di criticità: Perché le imprese straniere non investono in Italia?

Burocrazia Costo del lavoro Sistema legislativo o giuridico molto complesso Carenza di infrastrutture Instabilità politica Costo dell’energia Tempi della Giustizia …

88 68 50 37 32 23 12 …

(percentuale di risposte)

Indagine fatta un po’ di tempo fa che ha chiesto agli imprenditori che cosa può creare ostacolo all’ingresso di imprese straniere nel nostro paese. Se fosse fatta oggi la voce del costo del lavoro potrebbe essere molto più bassa. Però le altre voci sono molto indicative di cosa va e non va nel nostro paese e di come siamo visti dall’estero. Esempio dei problemi sottostanti alla bassa capacità di adozione di IDE nel nostro paese.

Torniamo alla composizione della BP → alle informazioni che possiamo trovare nella BP.

2.2.4. ⇾ ⇾ ⇾ ⇾

Principali saldi della BP Il saldo della bilancia commerciale Il saldo delle partite correnti Il saldo globale Il saldo totale

Il saldo delle partite correnti misura la variazione della posizione netta verso l’estero di un sistema economico. Un avanzo (disavanzo) delle partite correnti implica un’accumulazione nette di attività finanziarie sull’estero (passività finanziarie sull’estero) o una riduzione (aumento) delle passività finanziarie sull’estero Un’economia con un disavanzo corrente sta utilizzando più risorse reali di quanto sia in grado di produrne, e per poter soddisfare questo eccesso di domanda deve indebitarsi con l’estero o decumulare attività finanziarie sull’estero Un circolo vizioso: disavanzo corrente, maggiore debito sull’estero, maggiore servizio del debito, maggiore disavanzo corrente

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Capitolo 2

2.3.

Posizione patrimoniale netta sull’estero (PPE)

È il documento che fa da complemento alla BP e indica la consistenza delle attività e delle passività finanziarie (in valuta e in euro) di un’economia verso il resto del mondo. Lo schema di presentazione della PPE utilizza gli stessi criteri classificatori del conto finanziario:  funzionale;  settore residente che detiene l’attività o ha emesso la passività;  strumento (limitatamente agli investimenti di portafoglio).

La bilancia dei pagamenti e la PPE sono raccordabili. Nel senso che la variazione della consistenza delle attività e passività finanziarie sull’estero, intervenuta in un intervallo di tempo, è attribuibile ai flussi finanziari (transazioni di conto finanziario della bilancia dei pagamenti) e agli aggiustamenti di valutazione (relativi alle variazioni tra inizio e fine periodo dei tassi di cambio e dei prezzi delle attività sottostanti.

e

sono gli aggiustamenti di cambio e di valutazione e

è il saldo degli errori ed omissioni.

Il saldo delle attività e passività con non residenti si definisce “posizione netta verso l’estero” (PNE); [Il saldo delle attività e delle passività in valuta si definisce “posizione netta in valuta” (PNV)].

Nella BP abbiamo le variazioni i flussi. Nella PPE abbiamo le registrazioni che riguardano

gli stock.

È un documento che è molto più recente. Non tutti i paesi hanno sviluppato questo conto con l’estero. La BP è nato prima ed è quindi disponibile per quasi tutti i paesi, mentre la posizione patrimoniale netta sull’estero ha una storia molto più recente, anche perché è molto più difficile registrare gli stock delle variazioni. Il processo di ricostruzione delle informazioni è molto più complicato. Transazioni della bilancia dei pagamenti nazionali.

variazioni che si sono create a seguito delle transazioni economiche inter-

Quindi la variazione della posizione patrimoniale netta sull’estero è uguale alla variazione delle attività finanziarie sull’estero meno la variazione delle passività finanziarie sull’estero, meno questi due aggiustamenti che si riferiscono al cambio e ai valori dei corsi. Anche a saldo nullo della BP noi potremo avere una PPE che varia perché sono variati i tassi di cambio che usiamo per riportare tutte le voci alla stessa valuta di conto che utilizziamo nella compilazione dei nostri conti con l’estero, oppure possiamo avere dei titoli che hanno cambiato di valore nel periodo, più il problema residuale degli errori e delle omissioni.

I Conti con l’Estero

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Se c’è una transazione che non dà luogo a nessuna registrazione → non impatta sul livello degli errori e delle omissioni. Se dimentichiamo il segno più o il segno meno, il saldo è sempre lo stesso. Se dimentichiamo un segno solo, il saldo varia. Quindi la rappresentazione degli errori e delle omissioni è una rappresentazione solo parziale della incompletezza delle informazioni statistiche dei conti con l’estero.

07/10

2.4.

Perché è importante occuparsi dei conti con l’estero?

La risposta è piuttosto semplice in prima battuta. I conto con l’estero hanno sempre avuto una importanza notevole, ma questa importanza è cresciuta negli ultimi decenni di pari passo con la maggiore interdipendenza che i paesi hanno registrato. GLOBALIZZAZIONE = interdipendenza sia dal punto di vista reale sia dal punto di vista finanziario. integrazione che ha raggiunto livelli elevati. I paesi sono diventanti più interdipendenti con il progredire dell’integrazione. E non solo interdipendenti, ma sono anche più soggetti agli sviluppi che riguardano altri paesi. Quindi le economie mondiali più interdipendenti diventano anche più sensibili agli sviluppi economici che riguardano gli altri paesi. E in questi mesi abbiamo tutte le evidenze di questa maggiore turbolenza, di questa maggiore possibilità di contagio, trasmissione dell’effetto. Per dare un’idea di come si è evoluta questa integrazione, mostriamo dei dati.

Grafico: importazioni ed esportazioni degli Stati Uniti. Esportazioni + importazioni sul PIL = indicatore classico di integrazione reale, di apertura. Vediamo che negli anni ‘60 al 2000 c’è una tendenza alla crescita molto forte. Questo è un paese molto grande, quindi questo dato è un po’ anomalo. Perché il grado di apertura di un’economia è strettamente correlato con la dimensione, ma negativamente. Cioè un’economia tanto più è grande e tanto meno è aperta, perché riesce a produrre e scambiare beni e servizi al suo interno. Mentre un’economia piccola solitamente ha un grado di apertura maggiore in termini relativi. Questa è una crescita relativa, in rapporto al PIL, non sono valori assoluti. Da un lato vediamo una crescita tendenziale netta delle importazioni e delle esportazioni, quindi dell’integrazione reale; e dall’altro vediamo che dagli anni ‘90 in poi c’è un apertura del disavanzo commerciale degli Stati Uniti. La differenza tra le due linee è un indicatore del disavanzo commerciale. E vediamo che per un numero di anni lunghissimo (eccezionale) gli Stati Uniti hanno un squilibrio di parte corrente molto forte. Il deficit di parte corrente comporta e richiede di essere finanziato. Vuol dire che la produzione è inferiore all’assorbimento. Quello segnala che il livello di indebitamento degli Stati Uniti è cresciuto nel tempo.

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Capitolo 2

L’altra faccia della medaglia dello squilibrio è uno squilibrio di carattere finanziario: un accumulo di debito nei confronti del resto del mondo. Questo è un primo indicatore riferito al paese più importante del mondo che ci mostra come questo processo di integrazione in atto è sempre maggiore.

Grafico: gradi di apertura nel 1970 e nel 2004. È l’indicatore più semplice che possiamo utilizzare per misurare il livello di integrazione reale di un’economia. Lo vediamo per paesi grandi e piccoli e lo vediamo in questi due anni. Guardo questo grafico si capiscono due cose: 1) Il grado di apertura è una funzione inversa della dimensione del paese: il grado di apertura è tanto più alto quanto più piccolo è il paese. Un paese molto piccolo deve scambiare con l’estero molto di più rispetto ad un’economia più grande. 2) A distanza di 35 anni il grado di apertura è cresciuto enormemente. E questo testimonia la crescente interdipendenza ed i crescenti legami tra le economie spiega la globalizzazione. Poi vedremo gli indicatori dell’integrazione finanziaria, ma le due cose vanno abbastanza assieme (lo abbiamo notato anche dal grafico precedente).

Questo è per dire che i conto con l’estero sono cresciuto sicuramente di importanza. Ma da questi dati che si riferiscono a variabili di carattere reale e commerciale che tipo di informazioni possiamo ricavare? Perché dobbiamo conoscere queste variabili? Cosa possiamo ricavare dai dati dalla BP e della PPE? Studiare i conti con l’estero ci consente di conoscere il grado di integrazione reale e finanziaria di un paese rispetto al resto del mondo. L’indicatore più semplice per la sfera reale è il grado di apertura:

Il corrispondente indicatore per la sfera finanziaria può essere:

La variazione degli stock commisurata alla ricchezza complessiva del paese ci dice qual è il grado di integrazione finanziaria di un paese nei confronti del resto del mondo. Informazioni sulla posizione patrimoniale netta di un paese rapportata al PIL. Una prima spiegazione del perche studiamo i conti con l’estero è perché ci danno indicazioni sul livello di integrazione. Inoltre i conti con l’estero ci danno indicazioni sulla tipologia dell’integrazione reale, commerciale, di un paese, quindi indicazioni sul modello di specializzazione di un paese. Quindi vedere in quali settori un paese di è specializzato, in quali settori si concentrano le sue esportazioni.

I Conti con l’Estero

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Per esempio il modello di specializzazione italiano è sbilanciato verso settori abbastanza tradizionali: manifatturiero. E questo ha delle implicazioni economiche. Non è a caso siamo stati uno dei paesi che più hanno sofferto della concorrenza internazionale dei paesi emergenti. Ad esempio nei settori del tessile e del calzaturiero, dove la concorrenza si fa molto sul prezzo. E la concorrenza dei paesi emergenti sul fronte del prezzo è abbastanza agguerrita, perché hanno dei costi più bassi. Quindi un paese come il nostro con un modello di specializzazione produttiva incentrato su settori industriali tradizionali ha sofferto più la concorrenza dei paesi emergenti rispetto a paesi come la Germania più specializzati in settori ad altissimo valore aggiunto e dove quindi la concorrenza di prezzo rileva di meno. Il modello di specializzazione si riferisce tipicamente alla struttura reale, industriale di un paese. In maniera analoga dai conti con l’estero possiamo vedere la tipologia dell’integrazione finanziaria. Se vogliamo sapere che tipo di integrazione finanziaria un paese ha, dobbiamo andare a vedere che tipo di strumenti finanziari sono stati utilizzati da quel paese. E qui la distinzione tra IDE e investimenti di portafoglio è molto importante. Abbiamo visto che gli IDE sono una componente molto importante ai fini della crescita economica di un paese, gli IDE sono delle forme di investimento molto più stabili e meno portate ad essere oggetto di spostamento e quindi di crisi finanziarie dovute a spostamento improvviso di capitali da un paese. Quindi la vulnerabilità a shock esterni è una funzione anche della composizione della struttura finanziaria rispetto all’estero di un paese. E queste informazioni le troviamo di nuovo sulla bilancia dei pagamenti, sui conti con l’estero.

Poi alcuni saldi dei conti con l’estero ci danno informazioni sullo stato di salute macroeconomica del paese. Facciamo dei richiami alle identità più semplici della macroeconomia. Primo conto della contabilità regionale → conto delle risorse e degli impieghi:

Risorse

Impieghi

Risorse: reddito ed esportazioni Impieghi: domanda interna + domanda estera.

Reddito meno assorbimento

saldo delle partite correnti

Current account

Questo vuol dire che se la spesa interna (assorbimento) supera la produzione → questo si tradurrà in un deficit di parte corrente. Un deficit di parte corrente vuol dire che il paese sta importando consumo corrente ed esportando consumo futuro.

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Capitolo 2

È un paese che consuma più di quanto produce, e siccome nel tempo ci deve essere un equilibrio nei conti con l’estero → nei periodi futuri io dovrò recuperare questo eccesso di consumo attuale con una operazione di più che segno opposto, perché dovrò restituire non solo quello che ho avuto, ma anche restituire l’onere del debito. Quindi un paese può sostenere un deficit di parte corrente solo se riceve risorse dall’estero che nel tempo andranno restituite. Che il paese riceve risorse dall’estero vuol dire che:

saldo delle partite correnti

variazione della ricchezza finanziaria sull’estero

Questa è una condizione che deve essere rispettata e che trova riscontro nei conti con l’estero. Questa condizione deve rispettare il vincolo di solvibilità intertemporale.

→ Cioè nel tempo il saldo delle partite correnti nell’anno 1 + il saldo dell’anno 2 + … deve essere uguale a zero. Io ho uno squilibrio e lo devo compensare con uno squilibrio di segno opposto in futuro, in cui devo ulteriormente ripagare l’onere del debito.

Obiezione: il grafico degli Staiti Uniti non sembra rispettare questo vincolo temporale di solvibilità. Gli Stati Uniti sono vent’anni che accumulano deficit di partite correnti. E questo è possibile e sostenibile solo perché sono un paese particolare, perché sono il paese più potente del mondo e quindi riesce a finanziare uno squilibrio molto importante anche per lungo tempo → finché c’è questa fiducia nel dollaro. Quindi gli Stati Uniti con l’emissione di dollari riescono a finanziare un deficit di partite correnti che per un paese normale sarebbe insostenibile. I mercati avrebbero bocciato quel paese già da molti anni. Il vincolo temporale di solvibilità vale per tutti i paesi tranne gli Stati Uniti → questo è uno dei vantaggi di essere un paese leader e avere la valuta più importante del mondo. E questo ha un nesso stretto con quello che diremo riguardo le riserve ufficiali. C’è una domanda internazionale di dollari che permette al paese leader di mantenere il suo livello di consumo superiore alle sue possibilità → perché c’è il resto del mondo disposto a finanziarglielo. Finché gli Stati Uniti e il dollaro hanno questo ruolo centrale possono permettersi una situazione che per un paese normale sarebbe del tutto insostenibile.

Dai conti con l’estero possiamo anche avere indicazione sulla sostenibilità del tasso di cambio. Se noto che c’è uno squilibrio di parte corrente → il paese come potrà riaggiustare quello squilibrio? Lo potrà fare riallocando la spesa: aumentando le esportazioni e riducendo le importazioni nel tempo. Questa politica di riallocazione della spesa presuppone, tra le altre cose, una modifica del tasso di cambio → per rendere più competitive le mie esportazioni.

I Conti con l’Estero

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Ecco allora che la situazione macroeconomica che è riflessa nei saldi della BP, attraverso il saldo delle partite correnti, mi può dare indicazioni sulla sostenibilità dell’attuale livello di cambio. Perché se vedo che c’è un grande squilibrio di parte corrente → questo dovrà essere aggiustato nel tempo → e un modo per farlo è aggiustare il tasso di cambio, deprezzare la moneta locale. → se siamo in cambi flessibili: questo influenzerà le aspettative sul tasso di cambio e le sue modifiche. → se siamo in cambi fissi: mi segnalerà la distanza tra il tasso di cambio attuale e il tasso di cambio ombra. Tasso di cambio ombra (Shadow Exchange Rate) = quel tasso di cambio che il mercato pensa debba essere di equilibrio, che potrebbe essere diverso da quello annunciato e rispettato dalla banca centrale. Se io vedo che un paese ha dei cambi fissi e un disavanzo di parte corrente molto pronunciato → mi aspetterò che il tasso di cambio fisso del paese prima o poi dovrà essere abbandonato e varierà in favore di questo tasso di cambio ombra → quello che il mercato reputa essere il tasso di cambio di equilibrio data la situazione macroeconomica del paese. Ma le aspettative sul cambio atteso modificano il cambio attuale. E quindi un’altra indicazione che può venire dai conti con l’estero è quella di valutare la sostenibilità del livello del cambio e la conclusione è quella di fornire indicazioni su come potrebbe muoversi il tasso di cambio. Il tasso di cambio è qualcosa di molto complesso, dipende dalla parte reale, ma soprattutto dalla domanda di valuta che ha come obiettivo investimenti di portafoglio. Ma quello dello squilibrio della partite correnti è una parte importante per formarsi una aspettativa sul tasso di cambio futuro. E questo vuol dire influenzare il cambio corrente. È chiaro che tutti questi ragionamenti valgono se il giudizio sulla sostenibilità riguarda uno squilibrio che è ritenuto di carattere permanente. Cioè noi dobbiamo valutare qual è la causa, la natura, dello shock che ha determinato lo shock di partite correnti. → Ci può essere uno shock che i mercati considerano essere temporaneo e quindi il paese potrà riprendersi in tempi rapidi → e in quel caso quel tipo di situazione può essere affrontata non tanto con la modifica del tasso di cambio, ma piuttosto con un IDE. Il caso di un’economia emergente ci possono essere interventi delle istituzioni internazionali. → Se invece lo shock è considerato di carattere permanente → questo richiede una riallocazione della spesa in maniera duratura → che può essere fatto solo con una variazione del tassi di cambio. Quindi il giudizio sulla sostenibilità del tasso di cambio deve essere accompagnato da un giudizio sulla natura dello shock. Se è uno squilibrio permanente → dovrà essere aggiustato con una variazione del cambio. Se è uno squilibrio temporaneo → può essere risolto con un finanziamento al paese. E poi si ritorna ad una situazione di sostenibilità

I conti con l’estero infine ci forniscono dati che alimentano le contabilità nazionali e internazionali. È l’aspetto più contabile ma importante, perché per esempio la BP dell’Europa si basa sulle rilevazione che provengono dalle contabilità dei singoli paesi.

Questi sono i motivi principali per cui potrebbe essere interessante studiare i conti con l’estero.

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Capitolo 2

2.4.1.

Fonti statistiche

Dati italiani (Banca d’Italia) Dati per l’area dell’Euro (Eurostat, BCE) Fonti statistiche internazionali (FMI) → pubblicazioni rilevanti: o o o o o

International Financial Statistics (IFS) (mensile, principali variabili macroeconomiche e finanziarie, e principali voci della BOP); Balance of Payments Statistics Yearbook (annuale, BOP per 160 paesi, metodologie e fonti impiegate); Direction of Trade Statistics (trimestrale, dettagli sulle importazioni e esportazioni per 152 paesi); Manuali:  IMF, Balance of Payments Manual, GDDS  BI-UIC, Manuale della bilancia dei pagamenti e della posizione patrimoniale sull’estero dell’Italia (2004)

Per quanto riguarda le fonti → nel nostro paese abbiamo la Banca d’Italia, che produce la BP. Poi abbiamo Eurostat e BCE a livello europeo. E il FMI a livello internazionale.

Dati: debiti pubblici in Europa in rapporto al PIL (Fonte: Eurostat). Prima, durante e dopo la crisi. Le variazioni sono molto significative → e sono state collegate in gran parte agli interventi delle banche. Un’altra cosa importante da sapere è chi detiene questo debito di questi paesi. L’Italia per circa il 45% ha un debito che oggi è in mano estera. E questo fa una grossa differenza, perché il valore del debito va a favore di non residenti, e in più la volatilità del debito in mano ad investitori istituzionali è molto maggiore rispetto a debito in mano alle famiglie.

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3. LE RISERVE UFFICIALI

Approfondimento sulle riserve ufficiali, che sono una posta dei conti con l’estero. Le riserve ufficiali sono una posta della bilancia dei pagamenti.

Perché occuparsi delle Riserve Ufficiali (RU)? Una crescita nell’ultimo decennio senza precedenti che: Impone costi ai singoli paesi; Ha implicazioni per il sistema monetario internazionale e la sua stabilità. Capire il fenomeno per analizzare rimedi per attenuare la domanda di riserve e per diversificarne l’offerta.

Nell’ultimo decennio c’è stata una crescita delle riserve ufficiali che non ha precedenti nella storia. E in particolare questa crescita ha riguardato quello che sembrerebbe un altro paradosso economico. → Questo accumulo di riserve ufficiali ha riguardato principalmente i paesi emergenti. I paesi emergenti hanno lo stock di riserve ufficiali più grande del mondo, e quello che ne ha più tutti è la Cina: e ne ha quasi 2.000 miliardi. E nelle riserve ufficiali non ci sono gli attivi dei fondi sovrani → sono solo gli attivi delle autorità monetarie. Questa crescita è importante perché impone dei costi opportunità importanti ai singoli paesi → e quindi cercheremo di spiegare perché accumulano riserve. E poi l’altro lato, che ha una valenza più sistemica e più globale, aldilà degli effetti e delle implicazioni sul singolo paese, fa un ragionamento globale sul mondo nel suo insieme → e vedremo che questo fenomeno può avere qualche implicazioni sulla stabilità, soprattutto perché sembra che siano riserve concentrate in maniera molto forte. Questo non lo sappiamo certamente, perché non ci sono dati precisi su questo. La composizione delle riserve è un dato che alcuni paesi trattano in modo confidenziale → dicono quante ce ne hanno, ma non in che valuta le tengono. Ci sono solo delle stime. C’è una stima di una concentrazione sul dollaro di circa il 70-80% delle riserve mondiali detenute in dollari → e questo potrebbe porre un problema di rischio sistemico → e vedremo in che modo. Dobbiamo capire questo fenomeno e le sue determinanti per capire anche quali potrebbero essere gli eventuali rimedi che dovrebbero avere come obiettivo quello di attenuare la domanda di riserve da parte di questi paesi e anche per capire come eventualmente si potrebbero diversificare gli asset che compongono le riserve ufficiali di questi paesi, che oggi sono molto concentrate sul dollaro.

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Capitolo 3

3.1.

Le definizioni di Riserve Ufficiali (RU)

⇾ Le riserve ufficiali nella definizione del FMI: attività prontamente liquidabili che le autorità dispongono per intervenire sui mercati dei cambi. (non ci sono le attività che compongono i fondi sovrani)

Ci sono due cose importanti: – per intervenire sul mercato dei cambi vuol dire che devono essere in valuta estera. Delle riserve che ho nella mia valuta non ne faccio nulla, perché non le posso spendere sul mercato dei cambi. Quindi ogni paese deve avere le RU denominate in valuta estera. – e poi devono essere liquidabili, devono essere utilizzabili. Quindi non ci dovrebbero essere almeno le attività a lungo termine, quelle che non sono prontamente liquidabili.

⇾ Le riserve ufficiali nella definizione della BCE: attività in valuta esterna diversa dall’euro dotate di liquidità, commerciabilità, qualità elevate detenute in contropartita di non residenti nell’area della moneta unica.

La definizione è un po’ più complessa rispetto a quella del FMI, ma il concetto è lo stesso: liquidabili e in valuta estera. Con l’Unione Monetaria Europea le riserve dei vari paesi sono state accorpate, sono state messe assieme un pezzo se ne è perso. Le riserve italiane, quando c’era la lira, avevano anche delle attività denominate in marchi per esempio. Queste attività denominate in marchi, quindi in valuta estera, quando le abbiamo messe insieme → sono diventate attività in valuta domestica. Quindi non erano più parte delle riserve ufficiali.

Caratteri principali: In valuta estera; Prontamente liquidabili.

La disaggregazione delle RU italiane: attività a breve termine (valute convertibili, DSP, altre attività a breve); passività a breve termine; attività a medio e lungo termine; passività a medio e lungo termine; posizione di riserva sul FMI (pari alla quota di partecipazione (tranche di riserva)); oro monetario (a fronte dell’oro non vi è una passività nei conti di alcun soggetto non residente (come nei DSP).

Qui possiamo vedere quali sono le RU italiane e come sono classificate.

Le Riserve Ufficiali

23

Tra le AF a breve termine ci stanno i diritti speciali di prelievo, che non sono importanti quantitativamente, ma sono importanti perché sono un qualcosa su cui si potrebbe lavorare per risolvere in parte quel problema a cui accennavamo.

3.2.

I Diritti Speciali di Prelievo (DSP) o Special Drawing Rigths (SDRs)

Creati nel 1969 per supportare il sistema di cambi fissi nato a Bretton Woods e per affiancare dollaro e oro quali attività di riserva. Il successivo crollo dei cambi fissi ha indebolito il ruolo dei DSP e solo recentemente il dibattito si è riacceso sul loro contributo alla stabilità del sistema monetario internazionale. I DSP non sono né una vera valuta, né un’attività sul FMI, ma solo un’attività potenziale utilizzabile sulle altre valute dei paesi membri del FMI; essi possono essere infatti trasformati in valute dei paesi membri o tramite uno scambio volontario tra due paesi o attraverso il FMI che può designare un paese con una posizione esterna positiva ad accettare e scambiare DSP con un paese con una posizione deficitaria nei conti con l’estero. In aggiunta a questo ruolo di attività di riserva supplementare, i DSP fungono da unità di misura all’interno del FMI.

I DSP sono una invenzione che è stata fatta all’interno del FMI. Sono attività create dal nulla, non sono una vera valuta. Queste attività sono create inizialmente nel 1969 quando ancora non era crollato il sistema di cambi fissi, ma c’era ancora il sistema di Bretton Woods. Il sistema dei cambi fissi cade qualche anno dopo. Il problema era quello di diversificare e aumentare la liquidità internazionale e quindi con l’accordo di tutti i paesi il FMI decide di creare una “moneta internazionale” (termine non corretto, ma è quello il concetto), una attività scritturale, che venne distribuita a tutti i paesi. Quindi il bilancio di tutti i paesi iscrive tra le attività anche questi diritti speciali di prelievo Questo è un diritto a trasformare questa attività in altre valute che hanno i paesi membri del fondo monetario. Queste attività possono essere trasformate: – o con uno scambio volontario tra due paesi: io Italia do a te Arabia Saudita la mia quota di DSP che mi hanno assegnato nel 1969 → e te mi dai in cambio dei dollari. Se siamo d’accordo facciamo questo scambio e io aumento la mia quantità di valute estere che ho. Quindi aumenta la liquidità del sistema. – oppure l’altro modo è che il fondo monetario può designare un paese con una posizione esterna positiva ad accettare e scambiare DSP con un paese con una posizione deficitaria nei conti con l’estero. Chiaramente chi ha bisogno di riserve sono i paesi deficitarii, che hanno bisogno di cartucce da sparare sul mercato dei cambi → quindi possono chiederle ad un altro paese e fare questo scambio, che è tutto scritturale, tutto contabile, perché i DSP sono attività inventate. I paesi del fondo si sono messi d’accordo e hanno creato delle attività fidandosi l’un l’altro che fossero moneta, così aumentando la liquidità, gli asset, e li hanno regolati in quel modo. Gli hanno dato un valore, che è quello di un paniere di 4 valute

una media ponderata con dei pesi variabili.

24

Capitolo 3

Il valore di un DSP è determinato attraverso un paniere di 4 valute (dollaro, euro, yen, sterlina) con pesi variabili, ridefiniti ogni 5 anni. Ogni giorno il suo valore in termini di dollari è pubblicato sul sito del FMI. In modo analogo viene calcolato il tasso di interesse sui DSP come media settimanale dei tassi sulle rispettive valute che compongono il paniere. L’allocazione delle quote di DSP è proporzionale alle quote del capitale del FMI dei rispettivi paesi membri. Se la quota di un paese eccede l’allocazione originaria riceverà gli interessi e viceversa. Finora ci sono state solo 3 allocazioni di DSP (circa 200 mld con l’ultima allocazione decisa durante la crisi finanziaria nel 2009).

Questi DSP hanno un valore e li hanno allocati sulla base delle quote del capitale del FMI dei rispettivi paesi membri. Il FMI funziona come una società di capitali. I paesi sottoscrivono le quote: i paesi grandi hanno sottoscritto una quota più importante e i paesi più piccola un’altra. Gli Stati Uniti hanno circa il 17-18& del capitale del fondo, l’Italia ha circa il 2%. I diritti di voto all’interno di questa istituzione vanno in funzione del valore della quota. Quindi non è come nelle Nazioni Unite, dove c’è un altro meccanismo in cui i voti valgono allo stesso modo per ogni paese, e poi ci sono paesi che hanno diritto di veto. Lì ogni paese ha un voto. Invece nel FMI chi ha messo più soldi nel fondo ha maggiore diritto di voto. E nella Banca Mondiale la stessa cosa. Quindi le quote sono diverse e i diritti speciali di prelievo sono stati assegnati sulla base del valore delle quote. Queste quote vengono periodicamente riviste → nell’ultima revisione qualche tempo fa è stato dato più peso ai paesi emergenti, che rivendicano un maggiore ruolo in questa istituzione. Da ricordare è che i DSP sono allocati in funzione delle quote del capitale del FMI che ogni paese membro ha sottoscritto. I paesi si possono scambiare i DSP ad un certo punto è possibile che un paese abbia più DSP rispetto alla quota originaria. Allora questo viene regolato → viene riconosciuto un interesse, che è pari a quello che chi ha una quota deficitaria deve pagare. Il fondo pensa alla remunerazione del paese che ha più DSP rispetto alla quota originaria. E quindi contabilmente nel bilancio del fondo le due cose si elidono: perché tanti interessi sono pagati a chi ha quote eccedentarie e tanti interessi sono ricevuti da chi ha quote deficitarie. Sui DSP torneremo → perché uno dei rimedi possibili è quello di tornare a riproporre questa specie di valuta internazionale. Da quando sono stati creati nel 1969 sono state fatte solo tre sole allocazioni → sono stati emessi tre volte. E l’ultima è stata in seguito alla recente crisi: era un modo per creare liquidità, inventarsi della liquidità nell’ambito del sistema finanziario internazionale. Tre sole allocazioni ancora dal punto di vista quantitativo pesano poco. Però dal punto di vista dell’idea economica sottostante potrebbe essere portatrice di sviluppi importanti.

“In aggiunta a questo ruolo di attività di riserva supplementare, i DSP fungono da unità di misura all’interno del FMI.” Cioè, se andiamo a vedere i documenti del fondo, quando il fondo effettua un prestito ad un altro paese, l’unità di conto utilizzata sono in DSP → il prestito del fondo è denominato in DSP. Se andiamo a vedere ogni giorno quanto sono valutati i DSP → vediamo di quanti euro è quel prestito.

Le Riserve Ufficiali

3.3. 3.3.1.

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I fatti stilizzati Aumento delle RU globali

Il primo grafico è in valore assoluto, quindi ci dice poco, anche se ci dice qualcosa di interessante. La linea scura sono i paesi emergenti. Quella tratteggiata sono i paesi industrializzati. Si vede che il valore delle riserve dei paesi emergenti hanno superato dal 2003-2004 il valore delle riserve dei paesi avanzati. Le riserve sono tenute in dollari, euro, yen vuol dire che i paesi emergenti, che dovrebbero ricevere il risparmio, se mettiamo nel risparmio anche i flussi delle riserve ufficiali, stanno prestando ai paesi ricchi. Questo vi sembra normale? Se poi andiamo a vedere il secondo grafico che le pone in rapporto alla dimensione delle economie → i paesi industrializzati continuano ad avere sempre lo stesso livello, mentre i paesi emergenti prima sono stabili e poi hanno un’impennata. E l’impennata continua anche per gli anni successivi al 2005.

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Capitolo 3

12/10 Riprendiamo dall’inizio il fenomeno delle riserve ufficiali. Sono un fenomeno relativamente recente e del tutto nuovo dell’accumulo di riserve ufficiali soprattutto ad opera dei paesi emergenti. I motivi per cui può essere di qualche interesse analizzare questo fenomeno sono due: 1) L’accumulo di RU comporta anche dei costi per i singoli paesi, non solo benefici. 2) Le modalità con le quali questo fenomeno si sta manifestando, in termini di dimensione e alta concentrazione su un’unica valuta, possono avere delle implicazioni per il FMI per la stabilità. Avevamo definito cosa si intende per RU. Devono avere due caratteristiche principali: 1) devono essere denominate in valuta estera → altrimenti non posso essere utilizzate per intervenire sul mercato dei cambi 2) devono essere attività facilmente liquidabili. Tra le varie attività che compongono le RU c’è un particolare asset: i cosiddetti diritti speciali di prelievo. Questo approfondimento sui DSP è importante perché vedremo che una delle possibilità che sono affrontante nel dibattito attuale su questo argomento → è quella di potenziare l’emissione dei DSP come un modo per contribuire ad alleviare i problemi che l’accumulo di riserve può avere sul mercato internazionale. E avevamo detto cosa sono i diritti, come sono nati, come funzionano, e dove trovare le informazioni. Poi ci eravamo lasciati con un grafico che sintetizzava il fatto stilizzato principale di questo fenomeno: ovvero la dinamica di crescita dell’accumulo di RU che si osserva a partire dagli anni ‘90, ma soprattutto a partire dal 2005-2006 ad opera dei paesi emergenti. E in questo grafico vediamo il fatto abbastanza eclatante che ormai i paesi emergenti detengono un ammontare di RU superiore a quello delle economie industriali → cosa che non era mai successa in passato. E questo lo vediamo dal primo grafico che riporta i valori assoluti: gli stock. E poi dal secondo grafico vediamo la crescita in relazione al PIL che caratterizza i mercati emergenti. E con un grafico che va oltre il 2005 potremo notare che questa crescita è continuata negli ultimi anni con un trend ancora più forte. E lo vedremo tra poco.

3.3.2.

Aumento delle RU dei paesi emergenti

Le Riserve Ufficiali

27

Qui distinguiamo tra tre gruppi di paesi: 1) i paesi avanzati (le economie industriali) 2) i paesi emergenti asiatici 3) gli altri paesi emergenti e in via di sviluppo Il primo grafico riporta i valori assoluti: dati in miliardi di dollari. C’è una leggera crescita per le economie industriali. Ma la crescita più alta la abbiamo per il gruppo centrale, che sono i paesi emergenti asiatici, dove sta anche la Cina. Vediamo che qui c’è una crescita continua sempre più forte che spiega gran parte dell’andamento complessivo dello stock di riserve ufficiali del mondo. Anche per il terzo gruppo (gli altri paesi emergenti e in via di sviluppo) si osserva una crescita delle riserve ufficiali, anche se non come per i paesi asiatici. Il secondo grafico ci fa vedere i valori percentuali. Fatta pari a 100 la torta complessiva delle riserve ufficiali, vediamo come si distribuiva nel 1990, 2000 e 2005. Abbiamo le quote percentuali per questi tre gruppi che abbiamo considerato. Vediamo la forte caduta dei paesi industriali, che quasi dimezzano la loro quota: nel 1990 avevano quasi l’80% delle riserve ufficiali del mondo, e nel 2005 sono attorno al 40%. Se lo calcolassimo oggi questo valore sarebbe ancora più basso. Questa discesa delle economie avanzata è stata compensata dagli altri due gruppi, e in particolare dai paesi asiatici emergenti. Questi hanno un andamento quasi speculare con una crescita continua, e ad oggi questo dato, se calcolato al 2010, sarebbe ancora più alto. In crescita ma non con la stessa dinamica sostenuta che si osserva in Asia, anche gli altri paesi emergenti.

Il prossimo grafico completa il quadro, perché ci fa vedere che cosa è successo nell’ultimo quinquennio. Questo è il totale delle riserve dei paesi emergenti.

Vediamo che dal 2005 in poi la crescita sembra procedere con un ritmo ancora maggiore. Pubblicazione recentissima del fondo monetario, che fa vedere come la crescita delle RU dei paesi emergenti è continuata e continua ancora ad aumentare.

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Capitolo 3

3.3.3.

Aumento delle RU cinesi

Grande incremento in Asia dopo la crisi di fine anni 90.

Questo istogramma riporta i singoli paesi → e la lunghezza di ogni barra ci dice in miliardi di $ quante sono le RU dei vari paesi. La Cina è di gran lunga il paese che ha le RU più grandi del mondo: quasi 2.000 miliardi di dollari. Accanto al nome del paese abbiamo tra parentesi la quota delle RU sul PIL del paese, dove il PIL del paese è calcolato a prezzi PPA.

Le Riserve Ufficiali

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E vediamo quali sono i paesi con le riserve più grandi: Cina, Giappone, Russia, India, Corea del Sud, Brasile, Singapore e Hong Kong. Singapore e Hong Kong sono paesi molti piccoli con grandi riserve. Ovviamente per questi piccoli paesi vale un rapporto rispetto al PIL più elevato. I rapporti rispetto al PIL più alti infatti li troviamo per Singapore e Hong Kong. In valore assoluto la Cina è di gran lunga il paese con un più alto livello di riserve ufficiali. Il primo Cina nell’istogramma è Taiwan, che non è riconosciuto dalla Cina è chiamato Cina anch’esso.

3.3.4.

L’accumulo delle RU può derivare da surplus delle PC o da afflussi di capitale

Il caso dei paesi emergenti e la distinzione tra Asia e America Latina (IMF Macrofinancial linkages tab 16.1 pag 476)

L’accumulo di riserve asiatiche è spiegato principalmente dagli avanzi commerciali

Come può avvenire un accumulo di RU? In risposta a che cosa? Può avvenire per due motivi: 1) o perché il paese ha un surplus nella bilancia commerciale; 2) o perché il paese riceve afflussi di capitali dall’estero. Quello che questa tabella vuole farci vedere è che le storie sottostanti a questo accumulo di RU sono parzialmente diverse per quanto riguarda i paesi asiatici, che hanno accumulato molte riserve a seguito soprattutto di surplus delle partite correnti, quindi della bilancia commerciale.

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Capitolo 3

L’Asia ha accumulato riserve ufficiali principalmente a causa di un surplus della parte commerciale della bilancia dei pagamenti; quindi scambi con l’estero e presenza di saldi molto positivi per quanto riguarda il commercio internazionale. Mentre per i paesi emergenti dell’America Latina i dati segnalano soprattutto un afflusso di capitali. I dati della prima riga tabella sono gli afflussi netti di capitale come percentuale delle variazioni che si sono osservate nel periodo 2000-2005 nelle riserve ufficiali. Quindi mentre gli afflussi di capitali spiegano soltanto il 36% nel caso dell’Asia il restante 74% è attribuibile al surplus del commercio internazionale → nel caso dell’America Latina vale un discorso opposto, e addirittura gli afflussi di capitali sono maggiori rispetto alle variazioni delle riserve ufficiali → il che vuol dire che la parte corrente della bilancia dei pagamenti di questi paesi nell’aggregato è in deficit ha perso riserve ufficiali. Qui ci sono due storie molto diverse: America Latina che soprattutto attira capitali, e la parte asiatica dei paesi emergenti, che attira sì capitali, ma anche sta gestendo dei saldi molti positivi della parte commerciale → e questo spiega la gran parte degli accumuli di RU per quei paesi.

Veniamo ora al paradosso molto interessante dal punto di vista economico che si osserva nella storia dell’ultimo decennio.

3.4.

Il paradosso dei flussi di capitali

Capital is flowing upstream from developing and emerging market countries toward the industrialized world and principally the United States. (In contrasto con la teoria tradizionale degli stadi della bilancia dei pagamenti)

Paradosso: se nei flussi di capitale noi inseriamo anche le variazioni delle riserve ufficiali → i flussi di capitali si muovono dai paesi emergenti verso i paesi ricchi, e in particolare verso gli Stati Uniti. Le RU sono detenute principalmente in dollari, quindi sono investimenti che i paesi fanno in attività denominate in dollari. Se teniamo conto delle RU all’interno dei flussi di capitali → viene fuori che il risultato netto è un afflusso di capitali che si muove dai paesi più poveri verso i paesi più ricchi. E questo è in contrasto con quello che si era sempre osservato in precedenza. È in contrasto con la cosiddetta teoria tradizionale degli stadi della bilancia dei pagamenti, per cui un paese dovrebbe osservare determinati saldi della BP a seconda delle fasi di sviluppo in cui si trova. Grafico stadi della BdP. Ordinate: saldi dei movimenti dei capitali e delle partite correnti. Ascisse: tempo, che ci rappresenta le diverse fasi di sviluppo che interessano un paese.

Le Riserve Ufficiali

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All’inizio un paese è povero, quindi ha un deficit delle partite correnti, nel senso che importa prodotti, soprattutto manufatti e beni intermedi nelle prime fasi dello sviluppo → e questi disavanzi sono finanziati da degli afflussi di capitali (conto finanziario). Inizialmente il paese è debitore nei confronti del resto del mondo, perché riceve capitali dal resto del mondo, e con questi capitali finanzia lo squilibrio di parte correnti (paese in via di sviluppo). Poi man mano che si sviluppa le partite correnti vanno in attivo diventa un paese in cui le esportazioni superano le importazioni: l’industrializzazione che si diffonde in questi paesi permette loro di avere degli avanzi commerciali. Man mano che avanza nello sviluppo dell’industria, svilupperà dei saldi positivi delle partite correnti → e viceversa diventerà creditore nei confronti del resto del mondo (paese sviluppato). Quindi si osserva che un paese avanzato dovrebbe essere creditore del resto del mondo e quindi investire il proprio risparmio nei paesi in via di sviluppo. Mentre i paesi in via di sviluppo dovrebbero invece ricevere capitali nelle fasi iniziali e quindi essere debitori. Stadi: Giovane debitore → adulto debitore → maturo debitore → giovane creditore → adulto creditore → maturo creditore. Surplus delle partite correnti – posizione debitoria → deficit delle partite correnti – posizione creditoria.

Quindi questa teoria è in contrapposizione con quello che osserviamo adesso: i paesi avanzati non sono più creditori nei confronti del resto del mondo, ma sono debitori → se includiamo le RU e gli investimenti sottostanti le RU, dei vari paesi. Questo è il paradosso, o comunque la novità. È il dato che osserviamo da 10 anni a questa parte e che dovremmo cercare di spiegare e di capirne le implicazioni, per quella che può essere anche la stabilità del sistema monetario internazionale.

Questo accumulo rappresenta un problema? Per capirlo cerchiamo innanzitutto di vedere quali sono i motivi che sottendono a questo accumulo. Perché un paese dovrebbe detenere RU? E soprattutto perché un paese in via di sviluppo dovrebbe detenere RU?

3.5.

I motivi tradizionali per detenere RU

⇾ Ridurre la volatilità dei cambi; ⇾ Agire da buffer per bisogni imprevisti di liquidità derivanti da shock esterni.

Ci possono essere varie ragioni, ma queste sono le due più importanti. Innanzitutto l’obiettivo di ridurre la volatilità del tasso di cambio → e questo è un obiettivo tradizionale. Mentre il secondo motivo è diventato più importante con le recenti crisi finanziarie, quella di fine anni ‘90, nel 1996, che ha colpito soprattutto i paesi emergenti: la crisi asiatica delle tigri asiatiche, che è partita dalla Thailandia nel 1996 e ha interessato tutta l’area asiatica (Malaysia, Indonesia, Filippine, Corea). Buffer = cuscinetto. Shock esterni = deflusso improvviso di capitali → che spesso è classificabile come una crisi finanziaria.

32

Capitolo 3

3.5.1.

I risultati di un recente questionario del FMI

Il FMI ha chiesto alle autorità dei paesi che accumulano riserve di segnalare quali sono le motivazioni che spiegano questo accumulo di riserve. E qui ci sono le riposte delle autorità intervistate dei paesi che accumulano riserve:

L’80% degli intervistati dice che le RU servono come cuscinetto per i bisogni di liquidità. E poi le altre risposte che hanno percentuali più elevate hanno a che fare con la gestione del tasso di cambio e con lo smooting, cioè l’alleviare/ridurre la volatilità dei tassi di cambio. Poi ci sono altri fattori che sono di gran lunga meno importanti: tutelarsi/proteggersi contro shock che riguardano i prezzi delle materie prime, quindi shock di varia natura che possono interessare il paese. In pochissimi guardano al risparmio che può essere utilizzato dalle generazioni future. Alcuni citano il problema della ricapitalizzazione delle banche e l’utilizzo di queste riserve per finanziarla. E poi altri motivi, c’è un coacervo di risposte diverse. Quindi questo questionario corrobora le nostre ipotesi di motivazioni tradizionali; dove il tasso di cambio è sì importante, ma dove ancora più importante è la copertura nei confronti delle crisi di liquidità.

3.6. ⇾ ⇾ ⇾ ⇾

Misure di reserve adequacy Ratio of reserves to GDP Ratio of reserves to imports Ratio of reserves to short-term debt Ratio of reserves to M2

Le Riserve Ufficiali

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Gli indicatori dell’adeguatezza del livello di riserve ufficiali in un paese sono in relazione agli obiettivi. Indicatore rapportato al PIL → indicatore classico ma che non ci dà molte informazioni. Ha un grande campo di variazione. Mentre gli ultimi tre hanno a che fare con i fabbisogni di riserve ufficiali → e questi fabbisogni possono dipendere da varie cose. Rapporto tra le riserve e il livello delle importazioni → i fabbisogni di RU dipendono dai pagamenti che il paese deve sopportare per le importazioni, che vanno pagate in valuta estera l’importatore deve avere una quantità di valuta estera sufficiente a garantirne il pagamento per un certo periodo, quindi un motivo precauzionale. Rapporto tra le riserve e il debito a breve termine → è il debito che potrebbe generare una domanda di valuta estera nel momento in cui gli investitori dovessero decidere di abbandonare il paese → cala la fiducia in una economica, gli investitori esteri escono dal paese e chiedendo valuta estera sul mercato dei cambi → disinvestono e trasformano la loro domanda in domanda di valuta estera. Il bacino potenziale di questa richiesta può essere dato dal livello del debito a breve termine, che è quello più facilmente liquidabile. Rapporto tra le riserve e l’aggregato M2 → il bacino che potrebbe alimentare la domanda di RU lo possiamo considerare l’intersa definizione di M2 , che è un ampio aggregato monetario nell’ipotesi catastrofica in cui il paese dovesse registrare un’uscita di capitale massiccia che interessa tutte le attività e quindi anche tutti i depositi. Caso più estremo ancora, indicatore in relazione a quella che potrebbe essere la domanda potenziale in questo caso.

Questi sono i 3+1 indicatori classici che si usano per valutare l’adeguatezza del livello di riserve ufficiali in un paese.

Poi vediamo anche quali sono le regole di condotta per questi indicatori (rules of thumb). Thumb = pollice.

3.6.1.

Regole di condotta

⇾ Coprire 3 mesi di importazioni ⇾ Coprire il debito estero a breve termine (Greenspan-Guidotti rule) ⇾ Coprire tra il 5% e il 20% di M2

Regole di condotta ,molto pratiche → che possiamo usare per dare una quantificazione a questi indicatori. Di solito si dice che: Il primo rapporto riserve/importazioni → dovrebbe essere pari almeno a tre mesi di importazioni. Qual è il livello del flusso di importazioni che riguardano un periodo di tre mesi → e questo può essere un indicatore. Avere almeno tre mesi di importazioni coperti dal nostro livello di RU. Per il rapporto riserve/debito a breve → le riserve dovrebbero coprire tutto il debito estero a breve termine. In letteratura viene indicata come “regola di Greenspan-Guidotti”, i due economisti che l’hanno proposta per primi. Per l’ultimo indicatore, il rapporto riserve/M2 → le riserve dovrebbero essere in una fascia compresa tra il 5% e il 20% di M2 del paese.

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Capitolo 3

Questo per avere un livello quantitativo dell’adeguatezza. In letteratura normalmente questi sono i riferimenti.

Il grafico applica le tre regole e vede se nei paesi emergenti il livello delle riserve rispetta queste regole pratiche di riferimento. Sono tre grafici che riportano le tre regole di condotta e vedono se il livello delle riserve è in linea con queste regole o meno.

La linea continua in basso è il rispetto delle regola dei tre mesi di importazioni. Quindi in questo primo grafico si vede subito che tutti i paesi si sono allontanati da questa regola → hanno riserve molto più capienti. E questo vale per tutti i paesi, con una accelerazione che registriamo negli ultimi anni. Negli ultimi anni le riserve detenute sono di gran lunga superiori rispetto a quello che vorrebbe la regola del pollice delle importazioni. Quindi non è questo il problema, bisogna trovare altre spiegazioni per spiegare questo andamento.

Per il secondo vale lo stesso: si confronta il livello effettivo delle riserve con la regola di Greenspan e Guidotti, ovvero che le riserve dovrebbero coprire il livello del debito del paese a breve termine. Ed è la linea continua. E anche in questo caso il livello effettivo delle riserve, soprattutto in Asia, è molto maggiore.

Le Riserve Ufficiali

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Il terzo grafico ci fa vedere la fascia (range) secondo la quale le RU devono essere tra il 10 e il 20% di M 2. E anche qui tutti i paesi, soprattutto nell’ultimo periodo, stanno ben sopra di M2. Nonostante che M2 sia cresciuto anche molto in questi paesi. Qual è il meccanismo che fa crescere M2? L’afflusso di capitali nel paese. Quando c’è la BP in attivo e ci sono cambi fissi o quasi-fissi → il saldo della BP si scarica sulla quantità di moneta. Quindi gli aggregati monetari crescono, invece nel bilancio della banca centrale crescono le valute estere negli attivi → e di pari passo cresce nel passivo la moneta, a meno che non si sterilizzi. Però vedremo che la sterilizzazione ha dei limiti. Quindi M2 in questi paesi sicuramente è cresciuto → la moneta è cresciuta → e nonostante questo le riserve ufficiali sono cresciute ancora di più, anche se gli squilibri sono meno netti.

3.6.2.

IMF Macrofinancial linkages (fig 15.7 pag 447)

36

Capitolo 3

Questa figura dice sostanzialmente la stessa cosa. Da questa prima elencazione di questi indicatori cosa concludiamo?

3.6.3.

Conclusioni

Gli indicatori e i cambiamenti nell’integrazione economica e finanziaria internazionale (la finanza cresce più dell’economia reale) … ma tutti gli indicatori di reserve adequacy non spiegano la dinamica recente delle RU. Stessa cosa per le analisi di regressione che spiegano le RU in funzione di variabili quali dimensione del paese, indicatori di current and capital account vulnerabilità, regime di cambio. C’è stato un cambio di regime dopo la crisi finanziaria asiatica?

Concludiamo che questi indicatori tradizionali per l’adeguatezza delle riserve ufficiali non riescono a spiegare la dinamica recente delle riserve ufficiali nei paesi emergenti. Abbiamo visto con delle evidenze che siamo nettamente sopra a quelle che dovrebbero essere le regole pratiche che abbiamo riportato. La stessa difficoltà a spiegare questo andamento è stata ritrovata da quelle analisi econometrie che hanno cercato di spiegare l’andamento delle riserve ufficiali in funzione di alcune variabili tradizionali. Tutto questo vuol dire che c’è stato sicuramente un cambio di regime che a partire dagli anni 2000 ha spiegato, in aggiunta alle motivazioni tradizionali, l’andamento delle RU. E sicuramente questa novità ha a che fare con gli effetti della crisi asiatica e il tentativo dei paesi di avere qualche arma per difendersi contro le crisi finanziarie, che sono diventate molto più potenti, man mano che l’integrazione finanziaria tra i paesi è aumentata. Perché in un paese chiuso questi problemi non ci sono. In una economia aperta aumentano i benefici dell’integrazione, ma aumentano anche i rischi. Le crisi finanziarie sono una funzione anche dell’integrazione finanziaria dei paesi. Tanto più è alta l’integrazione finanziaria → tanto più alti sono rischi e i legami tra le economie. Cioè un’economia può registrare eventi esterni che influenzano la situazione interna. E infatti possiamo individuare dei motivi nuovi o parzialmente nuovi che possono spiegare perché i paesi devono detenere riserve ufficiali.

Le Riserve Ufficiali

3.7. 3.7.1.

37

Il dibattito sulle cause dell’accumulo di riserve I motivi per detenere riserve

a) Prevenzione delle crisi Per assicurarsi contro crisi future, attacchi speculativi e possibilità di contagio i paesi tendono ad accumulare riserve. Il paese ha le risorse per rispondere ad un elevata domanda di valuta estera. L’elevato livello di RU segnala lo stato dell’economia e fornisce credibilità alla politica economica e al regime di cambio (scoraggia la speculazione). In effetti esiste un’evidenza empirica che per i paesi con limitato accesso ai mercati internazionali il rapporto RU/ debito estero a breve è un early indicator di crisi valutarie.

Perché un accumulo di riserve ufficiali dovrebbe rappresentare una sorta di politica di prevenzione rispetto alle crisi finanziarie? In che modo le riserve possono prevenire le crisi? Innanzitutto perché se ci sono molte RU si può meglio fronteggiare una improvvisa domanda di valuta estera proveniente dallo scoppio di una crisi. Perché una crisi finanziaria è spesso un deflusso improvviso dal paese, perché il mercato perde fiducia e normalmente queste perdite di fiducia avvengono in maniera abbastanza repentina. Cioè si accumulano gli squilibri, nulla succede, e improvvisamente l’intero mercato cambia direzione e porta con sé un’enorme richiesta di restituzioni di investimenti, di deflussi, di uscite di capitali, che possono essere fronteggiate con RU adeguate. Altrimenti si generano dei problemi che possono essere molto negativi, ad esempio al tasso di cambio. Le riserve ufficiali non solo servono a fronteggiare questa domanda di valuta estera, ma un loro elevato livello può prevenire questa domanda di valuta estera, o meglio può scoraggiare l’insorgere di questa domanda, fornendo credibilità alla politica economica di quel paese e anche al mantenimento di quel regime di cambio quindi la presenza di molte RU potrebbe contribuire a scoraggiare gli speculatori ad attaccare quel paese. Infatti ad esempio il deflusso valutario, la domanda di valuta estera, potrebbe arrivare perché quel regime di cambio non è più ritenuto sostenibile. Gli speculatori cominciano a ritenere che quel cambio non è più il cambio di equilibrio e quindi quel regime dovrà essere abbandonato, e cominciano a prendere posizioni corte nei confronti della valuta di quel paese. Questa cosa è meno probabile che accada se il paese ha un livello di cartucce per difendersi elevato. Le cartucce nel mercato dei cambi sono le RU. Quindi si scoraggia in qualche modo la speculazione che scommette contro quel paese.

Early indicator = segnala in anticipo. Laddove ci sono paesi che hanno livelli di RU non adeguati → là è più probabile che si verifichi una crisi valutaria. Questa è una evidenza empirica, econometria.

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Capitolo 3

Quindi una prima motivazione del perché si detengono tutte queste riserve è : siamo passati attraverso una crisi valutaria ed è stata molto faticosa → la vogliamo prevenire, vogliamo scoraggiare la speculazione ci armiamo contro una crisi valutaria accumulando riserve.

b) Mitigazione delle crisi

L’uso delle riserve riduce il deprezzamento del cambio e consente di fornire liquidità al sistema (IMF p.491) Prevenire l’apprezzamento del cambio in presenza di surplus della bilancia dei pagamenti. Obiettivo di far rimanere competitiva l’industria nazionale (e assorbire masse che provengono dall’agricoltura: il caso della Cina) Le implicazioni macroeconomiche L’accumulo di riserve in risposta a surplus della bilancia dei pagamenti provoca un aumento della moneta (se non sterilizzato) e quindi pressioni inflazionistiche (la sterilizzazione può incontrare dei limiti nelle caratteristiche dei mercati finanziari nazionali)

Altro motivo che ha sempre a che fare con quelle implicazioni potrebbe esser prevenire che ci sia un apprezzamento del cambio troppo alto che in qualche modo fa perdere competitività al paese. E questo è il caso della storia della Cina. La Cina oggi è estremamente competitiva sul mercato delle merci. Se la Cina dovesse lasciare che il cambio si apprezzi a seguito di questi suoi saldi commerciali molti attivi → questo eliderebbe l’accumulo di riserve, che sono un’alternativa all’apprezzamento del cambio. Sono due alternative: tenere cambi fissi e avere un saldo positivo delle BP che si scarica sulle riserve oppure fare scaricare questo squilibrio nel valore della valuta interna che sale e si apprezza. Questa è una cosa che la Cina non vuole fare, perché ancora ha una popolazione in agricoltura che è una quota rilevante, e vuole accompagnare questo processo di trasformazione e quindi vuole ancora di più sviluppare il settore industriale. Quindi vuole che la sua economia rimanga assolutamente competitiva per assorbire questi serbatoi grandissimi di milioni di individui che sono ancora occupati in agricoltura. Vuole lasciare il cambio sottovalutato per permettere all’industria di svilupparsi. Questa è un’interpretazione. Quindi la Cina accumula riserve perché ha una politica del cambio che vuole continuare a dare competitività alla sua economia. Quindi vuole evitare che lo yuan si apprezzi e sceglie di accumulare riserve piuttosto che far apprezzare il cambio. Questo è un argomento molto attuale. Gli Stati Uniti premono perché la Cina rivaluti e hanno preso provvedimenti contro questa politica, in una sorta di guerra valutaria.

Questo ha anche delle implicazioni macroeconomiche molto importanti, aldilà di quelle in ambito valutario. Questo andamento dei conti con l’estero che alimenta gli afflussi di RU crea moneta → e questa moneta se non viene sterilizzata contribuisce ad alimentare pressioni inflazionistiche. Infatti la Cina ha anche questo problema. E questo è un altro problema che deve essere gestito.

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Un paese può perdere competitività in due modi: 1) Perché si muove il cambio nominale; 2) Perché si muovono i prezzi relativi.

La misura della competitività di un paese è il tasso di cambio reale effettivo.

Prezzi relativi = prezzi esteri rispetto ai prezzi interni. Quindi le mie merci possono diventare più competitive o perché si muove il tasso nominale o perché si muovono i prezzi relativi. Quindi se la Cina tiene fisso il cambio nominale, evita che si apprezzi e quindi assicura competitività per questa via. Ma al tempo stesso registra un’inflazione interna più alta dei concorrenti → perde competitività. Sono due cose che devono essere tenute in considerazione congiuntamente.

Il tasso di cambio è un concetto bilaterale: è il rapporto del valore tra due valute. La competitività di un paese è un concetto globale → rispetto al resto del mondo. Quindi dovremo avere un tasso di cambio che misura la nostra competitività non solo nei confronti di un paese, ma nei confronti di tutti i paesi. Tasso di cambio reale effettivo = media ponderata di tutti i tassi di cambio bilaterali dei paesi con i quali io competo. I pesi dipenderanno da quanto è importante quell’area, quel mercato, sul totale del commercio internazionale di quel paese. Quindi se io scambio molto con l’area del dollaro → il cambio euro/dollaro avrà un peso più importante, dato dalla quota di quell’area sul totale del commercio internazionale del paese.

Il tasso di cambio reale effettivo è la misura più precisa della competitività di un paese: tiene conto del tasso di cambio reale e di tutti i tassi di cambio bilaterali e li pesa con le quote che quel paese ha nel suo commercio internazionale complessivo.

Questo accumulo può essere spiegato da una politica del cambio, che vuole assicurare un cambio che non si apprezza più di tanto e quindi che mi permette di accumulare riserve → ma accumulando riserve faccio aumentare la quantità di moneta presente nel mio sistema → se non la sterilizzo → mi fa perdere competitività. Situazione che va gestita con la sterilizzazione, anche se ha dei limiti. Perché io devo avere un mercato su cui intervenire con la sterilizzazione, un mercato dei titoli pubblici che deve essere sufficientemente grande da assorbire la sterilizzazione. Come si sterilizza?

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Capitolo 3

Facciamo l’esempio della Cina: saldo della bilancia commerciale positivo → cambio che non si muove → tutto si scarica sulle RU che aumentano → la banca centrale interviene comprando valuta estera → aumenta le sue RU → dà moneta al sistema la moneta aumenta. Ora vuole riassorbire/compensare questo aumento di moneta perché crea inflazione → sterilizzazione → la banca centrale fa un’operazione opposto a quella che ha fatto sul mercato dei cambi dove ha comprato valuta estera e ha ceduta valuta interna → quindi deve riassorbire valuta interna → e lo fa vendendo titoli sul mercato interno ritira moneta. Ma deve avere un mercato che assorbe tutti questi titoli che vuole offrire. E qui potremo avere un vincolo.

Queste sono spiegazioni aggiuntive al perché si detiene riserve. Si fa per prevenire/mitigare le crisi e gestire la questione macroeconomica.

Vediamo ora quali sono i costi.

3.7.2.

I costi dell’accumulo di riserve

2 tipi di costi: costi per il singolo paese; costi per il sistema monetario internazionale

a) I costi dell’accumulo di RU per il singolo paese

Ricorda che RU sono tenute in very safe short-term foreign currency assets (US Tbills…). C’è quindi un costo opportunità nel detenere riserve dato dal rendimento delle riserve rispetto al rendimento alternativo. Come definire il rendimento di un investimento alternativo?  rendimento di attività finanziarie – rendimento RU  costo dell’indebitamento – rendimento RU  rendimento dell’investimento nell’economia – rendimento RU Costi difficili da misurare ma probabilmente più elevati per i paesi in via di sviluppo e emergenti che tipicamente presentano alti rendimenti del capitale e ancora grandi bisogni sociali insoddisfatti

Perché ci sono dei costi per il singolo paese? Ricordiamo come sono costituite le riserve ufficiali: sono principalmente attività molto liquide denominate in valuta estera.

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Quindi sono molto spesso treasury bills americani, cioè titoli di stato americani. Il rendimento di questi titoli è molto basso: perché sono i titoli del paese più potente del mondo, ritenuto il paese meno rischioso del mondo, a breve termine → rendimenti bassi. Quindi io ho un costo opportunità perché quelle risorse del paese le investo nell’attività che mi dà il rendimento più basso. Quindi ho un costo opportunità nel detenere riserve → che definisco rispetto ad un rendimento alternativo potenziale. Perché queste riserve potrei investirle in qualcos’altro e avere un rendimento maggiore. Quindi la differenza tra questi due rendimenti è il costo opportunità che il paese sopporta per comprarsi questa assicurazione contro le crisi, in sostanza → se la motivazione principale è la prevenzione delle crisi. Mi produce un costo opportunità perché io rinuncio ad un investimento che potrebbe darmi un rendimento maggiore. Se la motivazione principale è la copertura delle crisi → sopporto un costo opportunità per assicurarmi contro le crisi: compro un titolo a basso rischio ma a basso rendimento. Come definiamo il rendimento alternativo? Ci sono diversi modi per calcolare questo costo opportunità: – potremo considerare il rendimento medio di AF diverse dal Tbills, rispetto al rendimento delle riserve ufficiali. – oppure potrei essere un paese che ha ancora dell’indebitamento, che ha delle RU e al tempo stesso delle posizioni debitorie ancora aperte → in questo caso il costo opportunità è il costo dell’indebitamento rispetto a quello che io ottengo con le RU. Perché se io ho un debito estero in cui pago un interesse potrei ridurre le RU e restituire in anticipo il debito → se non lo faccio ho un costo opportunità, perché pur avendo le risorse per restituire un finanziamento non lo faccio. – oppure io potrei pensare di investire queste risorse in progetti del mio paese → e quindi mi potrei calcolare un rendimento di degli investimenti dell’economia e vedere il differenziale rispetto al rendimento delle RU.

Quello che si può dire in generale è che sono costi difficili da ignorare, ma sono costi più elevati per i paesi in via di sviluppo e per i paesi emergenti, che tipicamente presentano alti rendimenti del capitale e ancora bisogni sociali inespressi. Un costo potrebbe essere quello di non finanziarie certi progetti di sviluppo che potrebbero dare dei rendimenti al sistema economico più alti, in particolare laddove ci sono ancora esigenze insoddisfatte in termini di infrastrutture, di protezione sociale, istruzione, ecc. E tipicamente questi costi potrebbero essere più alti per un paese emergete in cui ci sono situazioni di grandi bisogni sociali.

Questi sono i costi per il singolo paese → vediamo ora quali sono i costi per il sistema complessivo, se ci sono.

b) Le implicazioni e i costi internazionali

2 aspetti: livello eccessivo delle riserve; composizione e eccessiva concentrazione delle RU in termini di asset che le compongono.

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Capitolo 3

Il livello eccessivo può avere effetti deflazionistici se i paesi per accumulare RU perseguono l’obiettivo di aumentare i surplus commerciali; ne deriva un impatto aggregato deflazionistico con spinte al protezionismo e a svalutazioni competitive che mirano a raggiungere saldi attivi nel commercio internazionale (ma c’è il vincolo della ∑CA=0)

L’eccessivo livello di riserve potrebbe essere un problema a livello globale, perché se tutti i paesi cercano di raggiungere livelli molto elevati di RU, perché magari vogliono avere un livello più alto del paese concorrente → ricercheranno surplus, avanzi nelle bilance commerciali potrebbero mettere in atto politiche deflazionistiche a livello globale per raggiungere questi obiettivi. Per esempio questi paesi potrebbero diventare più protezionisti per difendere i propri mercati. Queste politiche, che potrebbero essere ottimali per un singolo paese, potrebbero essere deflazionistiche e quindi negative a livello globale. Anche perché non tutti i paesi possono avere un avanzo commerciale, anzi noi sappiamo che la somma delle partite correnti per tutto il mondo deve essere uguale a zero. Quindi ci può essere un problema con il livello eccessivo. E soprattutto ci potrebbero essere problemi con la forte concentrazione delle RU in un’unica valuta: il dollaro. Lo vedremo anche più avanti quando studieremo il ruolo internazionale del dollaro.

Le RU sono detenute in gran parte in dollari (crescente ruolo dell’euro?) 60-75% è la stima della quota del dollaro (i dati non sono noti completamente) Alta concentrazione su un’unica valuta motivata dalle caratteristiche del dollaro in termini di liquidità, sicurezza e rendimento. La quota del dollaro nelle RU di gran lunga superiore alla quota degli USA nell’economia mondiale

La stima delle RU detenute in dollari è una quota molto elevata attorno al 70%. I dati sulla composizione delle RU non sono sempre noti → paesi come la Cina non trasmettono queste informazioni, dicono quante riserve hanno ma non dicono come le detengono, in quali asset, in quali valute, ma solo la loro quantità totale. Quindi ci sono delle stime. C’è questa elevata concentrazione sul dollaro perché il dollaro continua, nonostante tutto, ad avere pochi rivali in termini di valute affidabili e vantaggiose: cioè che garantiscono liquidità, sicurezza/affidabilità e rendimento nel lungo periodo. E ancora il dollaro fa da padrone in questi termini. E infatti, a tutt’oggi, la quota del dollaro nelle RU è di gran lunga superiore alla quota degli Stati Uniti dell’economia mondiale, comunque la misuriamo, → c’è una dominanza del dollaro. E l’arrivo dell’euro non ha scalfito questo dominio. Uno dei motivi per cui è stato introdotto l’euro era per avere una valuta che potesse avere un ruolo internazionale e riscuotere i vantaggi dell’essere una valuta a livello internazionale. Questo è successo solo in piccola parte. Il dollaro rimane dominante.

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Tre aspetti che potrebbero avere implicazioni sistemiche globali: L’accumulo delle RU alimenta la domanda di dollari e ne sostiene il cambio (nonostante il persistente deficit di parte corrente degli USA) e ne tiene basso il rendimento. Un basso tasso di interesse crea incentivi per disavanzi e debiti pubblici che oltre un certo limite possono metterne in discussione la sostenibilità e quindi la stessa funzione di riserva di valore tipica di una valuta di riserva. Bassi tassi di interesse creano anche le condizioni per un’eccessiva creazione di credito che può essere foriera di bolle creditizie e di prezzi con probabili effetti di crisi finanziarie La concentrazione delle RU sui titoli di stato di un solo paese è soggetta al rischio idiosincratico derivante dalle specifiche condizioni politiche ed economiche di quel paese (errori di politica economica, o condotte del settore privato…)

Perché questa concentrazione elevata sul dollaro potrebbe essere un problema? Sostanzialmente per tre aspetti. 1) I tassi di interesse negli Stati Uniti si mantengono bassi, anche a fronte della domanda che arriva da questi paesi che detengono i loro portafogli prevalentemente in dollari. E il cambio del dollaro è anche sostenuto dalla domanda che arriva da questi paesi. Un basso tasso di interesse crea incentivi per i disavanzi e debiti pubblici americani per gli Stati Uniti è meno costoso finanziare un loro disavanzo o un loro debito. Abbiamo visto infatti che sono anni che il paese è in disavanzo di partite correnti e ora ha anche un grande debito pubblico, dopo la crisi finanziaria. Tassi di interesse bassi rappresentano un minor costo nel gestire questi squilibri. E questo è un problema perché se questi squilibri diventano troppo grandi possono mettere a rischio quella sicurezza che deve essere una delle caratteristiche di una valuta di riserva. 2) Bolle speculative: la domanda di credito può essere molto grande se i tassi sono bassi → e questo può alimentare le bolle. E questo è quello che abbiamo visto nella recente crisi finanziaria: grande crescita del credito negli Stati Uniti sicuramente agevolata anche dai tassi di interesse bassi. 3) Rischio idiosincratico = rischio tipico di quel progetto/prenditore/iniziativa/paese. Mettendo tutto in un’unica valuta siamo soggetti al rischio che quel paese impazzisca per qualche suo problema interno con ripercussioni su tutto il sistema monetario internazionale. Questa estate si è parlato di fallimento dell’America. C’era un rischio idiosincratico molto forte perché per motivi politici il parlamento americano non si metteva d’accorso su come approvare una legge che permetteva l’aumento del debito pubblico. È chiaro che l’avrebbero dovuto fare e ad un certo punto paradossalmente il mondo ha cominciato a parlare di fallimento dell’America, perché se quella legge non veniva approvata il debito non poteva essere autorizzato e lo stato americano non aveva risorse per far fronte alle sue obbligazioni. Braccio di ferro all’interno della politica americana.

Altro problema. Abbiamo detto degli squilibri americani che sono il riflesso di quelli cinesi. E questa slide riporta la cosiddetta “trappola delle riserve ufficiali in dollari”.

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Capitolo 3

Gli squilibri degli USA sono sostenuti dagli impieghi delle RU dei paesi emergenti (Cina in primis) La trappola delle RU in dollari. Raggiunta la dimensione attuale (circa 2 trillioni di $) diventa difficile diversificare e uscire dal dollaro senza impattare sul tasso di cambio e quindi sul valore delle RU. La sola aspettativa che si possa in futuro diversificare può impattare sul valore corrente del tasso di cambio

Come ci si difende da questi rischi di una eccessiva concentrazione? Basterebbe diversificare. Però quando un paese 2.000 miliardi di riserve di cui una buona parte detenute in dollari → diversificare vorrebbe dire fare svalutare il dollaro e deprezzare il dollaro significherebbe far perdere valore a quei portafogli denominati in dollari. Qui la questione è molto sottile, molto delicata. Perché da un lato bisognerebbe diversificare, ma dall’altro lato la diversificazione comporta un ridimensionamento del dollaro e quindi delle perdite dei portafogli denominati in dollari. Se la Cina dovesse annunciare pubblicamente di cominciare ad uscire dal dollaro → solo la notizia sarebbe catastrofica per i mercati valutari. Solo l’annuncio dell’uscita della Cina dagli investimenti in dollari creerebbe problemi a livello internazionale. Quindi bisogna fare questa riallocazione molto lentamente, e da qui anche la riservatezza nel comunicare i dati della composizione. C’è questo problema di come gestire la riallocazione avendo degli stock.

3.7.3.

Possibili rimedi per una situazione potenzialmente rischiosa

Accordarsi su quel che può essere un adeguato livello di RU (ridurre il possibile ratchet effect). Affrontare le cause che alimentano la domanda precauzionale di RU: volatilità nei flussi di capitale, regolamentazione internazionale per prevenire le crisi, … Ripensare e sviluppare ulteriormente il ruolo di finanziatore del FMI. Aumentare e diversificare l’offerta di valute di riserva (sviluppare un sistema multipolare di valute di riserva, un maggiore ruolo dei DSP, o sviluppo di una valuta globale emessa da una banca centrale globale (il bancor in Keynes).

Quattro punti: 1)

Cercare di fare ridurre ai paesi il livello delle riserve, evitare che ci sia questa corsa a chi detiene livelli di RU elevati. Quindi definire quello che è un livello adeguato e cercare di abbassare per tutti questo stock di riserve.

Le Riserve Ufficiali

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2)

Ridurre in sostanza la probabilità delle crisi finanziarie → ridurre quello che crea domanda di RU (che sono i rischi delle crisi).

3)

Un paese, invece di crearsi le cartucce in casa, potrebbe pensare che potrebbe accesso ad un finanziamento esterno da parte del FMI.

4)

Dare spazio anche ad altre valute e non solo al dollaro. E questo si potrebbe fare sviluppando un sistema multipolare, con più valute. Oppure si potrebbe fare aumentando il peso del DSP, a questa attività scritturale che il fondo può creare. Oppure la soluzione più estrema, la cui realizzazione sarebbe complicatissima → è quella di avere una valuta globale. Keynes lo aveva già pensato: il bancor. Questo è l’estremo più lontano, la introduciamo come provocazione.

Documento sulle RU → da leggere.

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Capitolo 4

4. IL TASSO DI CAMBIO 13/10 Perché occuparsi del tasso di cambio? Il cambio è il prezzo più importante. Da quando? Da quando le valute non hanno più un riferimento ai metalli preziosi. Le tendenze e le variazioni del cambio hanno conseguenze su tutte le variabili economiche tramite: – Gli effetti diretti sui prezzi delle materie prime e dei tradables – Gli effetti indiretti su tutti gli altri prezzi di beni e servizi, via materie prime, beni intermedi e concorrenza – Gli effetti sulle scelte di portafoglio e sulla ricchezza finanziaria – L’impatto sulle aspettative del tasso di cambio e dei prezzi futuri – Gli effetti sui prezzi relativi tra paesi (il contagio)

Il tasso di cambio è il prezzo della valuta estera → ed è il prezzo più importante che c’è in un sistema economico, perché le ripercussioni che una sua variazione ha sono molteplici. È importante perché è la misura della competitività di un paese. E il tasso di cambio è il prezzo più importante da quando le valute non hanno più un valore intrinseco. – Le variazioni hanno rilevanza perché gli effetti di una variazione del cambio su risentono innanzitutto nei prezzi delle materie prime, che sono normalmente prezzate in dollari. Poi il commercio internazionale per gran parte è prezzato in dollari i beni che sono oggetto del commercio internazionale ( i tradables) sono influenzati da una variazione del cambio. Quindi ci sono degli effetti diretti su tutti i prezzi. – Se poi consideriamo che le materie prime e gran parte dei tradables entrano nei processi produttivi di altri beni → abbiamo degli effetti indiretti su tutti i prezzi dei beni. – Poi c’è la sfera finanziaria → perché gli scambi con l’estero in parte riguardano beni commerciali (tradables) e in parte riguardano il conto finanziario. Anche qui ci sono ripercussioni se varia il tasso di cambio. Ci sono effetti sulle scelte di portafoglio che gli operatori possono fare. E ci sono effetti sugli stock: se abbiamo una ricchezza finanziaria denominata in valuta esterna, una variazione del tasso di cambio ci modifica il valore delle nostre consistenze. – Secondo circuito che opera attraverso la variazione delle aspettative del tasso di cambio quelli che possono essere i prezzi futuri. Il cambio atteso è una delle principali determinanti del cambio correnti. Perché se il mercato si aspetta un deprezzamento: quel deprezzamento atteso si ripercuote nel valore del cambio di oggi. – Ultimo effetto delle variazioni dei cambi è che possono essere causa di fenomeni di contagio tra i diversi paesi. Per esempio nella crisi asiatica degli anni ‘90 si è visto molto bene questo effetto contagio: quando un primo paese ha svalutato, la Thailandia, a seguire tutti i paesi che erano concorrenti negli stessi mercati l’hanno seguita. Quindi la variazione del tasso di cambio può diventare un canale di contagio per influenzare economie di altri paesi, in particolare dei paesi concorrenti che operano sugli stessi mercati.

Il Tasso di Cambio

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Cosa è cambiato con l’arrivo dell’euro? Ora un’area molto meno aperta Ricomposizione della ricchezza per valuta Nuovi meccanismi decisionali per la politica del cambio La rappresentanza nei consessi internazionali

Possiamo sottolineare quattro aspetti di come la rilevanza del cambio è stata influenzata dall’arrivo della valuta unica in Europa. Innanzitutto l’area europea p diventata un’area meno aperta in termini relativi. L’altro giorno abbiamo visto la correlazione tra dimensione di un paese e grado di apertura: e abbiamo detto che tanto più un paese è grande e tanto più è chiuso e viceversa. Mettendo insieme le economie di oggi 17 paesi → questa area è diventata molto più grande e quindi in termini relativi è diventata un’area molto più chiusa. Sfera commerciale: area dell’euro. Una parte importante degli scambi internazionali che si facevano prima, nel senso che coinvolgevano valute estere, è stata internalizzata. Il nostro principale partner commerciale è la Germania: prima dell’arrivo dell’euro le variazioni del cambio impattavano sulle convenienze relative tra lira e marco. Oggi gli scambi tra Italia e Germania sono interni all’area dell’euro, non sono più influenzate da variazioni del cambio. Quindi sembrerebbe che il tasso di cambio, almeno dal punto di vista commerciale, abbia perso di rilevanza rispetto alla situazione precedente. Oggi solo una parte del nostro commercio estero è influenzato dalle variazioni del tasso di cambio. Le transazioni all’interno dell’Europa sono variazioni che non sono più toccate dal cambio. Quando usciamo dall’area dell’euro paghiamo in dollari molto spesso → e in quel caso le variazioni del cambio sono ancora rilevanti. Può succedere che avendo ora una valuta più forte, più liquida, più importante, si riesca ad imporre la nostra valuta negli scambi internazionali. E questo era uno dei motivi per cui è stato proposto l’euro nel terreno economico. Questo vedremo che in realtà è successo molto poco. Però se dovessimo riuscire in questo intento → noi andremo a scaricare sulle nostre controparti il problema e il rischio del tasso di cambio. Ma questo è un effetto che non c’è stato. Lo vedremo quando valuteremo come la posizione del dollaro è cambiata in questo periodo, ma con poca concorrenza da parte dell’euro. Quindi le considerazioni che possiamo fare sono prevalentemente derivate da quella che prima erano transazioni all’interno dell’Europa → e oggi ricadono all’interno dell’area dell’euro e quindi sono state in qualche modo internalizzate scorporate delle problematiche del tasso di cambio.

Questo ovviamente vale non solo per il discorso non solo delle merci, delle transazioni commerciali, ma anche per le questioni riguardanti la sfera finanziaria.

Sfera finanziaria: c’è stata una ricomposizione della ricchezza. Prima potevamo essere indebitati in marchi o avere attività finanziarie denominate in marchi con l’arrivo dell’euro tutto è stato trasformato in attività e passività denominate in valuta interna (euro). Questo a tutti i livelli: sia tra i privati che anche di autorità. Per esempio le riserve ufficiali, come abbiamo già detto, in parte si sono trasformate da attività sull’estero ad attività sull’interno sono uscite dalla definizione di riserve ufficiali.

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Capitolo 4

Poi con l’arrivo dell’euro sono cambiati anche i meccanismi decisionali per la politica del cambio.

Politica dei cambi: demandata ad un livello superiore (europeo). Nel senso che le decisioni sul tasso di cambio, ad esempio la decisione di quale regime adottare per la nostra nuova valuta, non sono più decise dai singoli paesi come prima, ma a decisa a livello centrale.

Rappresentanza dell’area dell’euro nei consessi internazionali: problema parzialmente irrisolto, incompleto. Sulla rappresentanza dell’euro a livello politico le cose parzialmente stanno cambiando, dovrebbero cambiare. Consesso = riunione tra persone importanti → sono il FMI, i vari GX (G7, G10). Noi abbiamo in queste riunioni un’unica valuta e diversi paesi che condividono la stessa valuta. Non c’è nessuno che rappresenta ufficialmente l’area dell’euro, perché ancora la realizzazione politica europea è abbastanza incompiuta. Quindi abbiamo tanti paesi che utilizzano l’euro che sono rappresentati singolarmente, ad esempio nel board del FMI, ma non c’è una corrispondenza con la valuta. In questo senso gli europei sono rappresentati in maniera distribuita: ci sono i singoli paesi ma non c’è una rappresentanza comune, almeno ufficialmente. Poi nei meeting importanti spesso la BCE incalza.

Il grado di apertura dell’area europea è del tutto simile a quello che si osserva nei grandi paesi, quindi negli Stati Uniti o in Giappone. E questo è successo non solo perché si sono messi assieme, ma anche perché questi paesi erano giù molto integrati. Quindi una buona parte il mercato europeo unico è molto più vecchio della moneta unica. In questi ultimi 30 anni gli scambi all’interno dell’Europa tra i paesi europei sono cresciuti di importanza nel commercio internazionale dei paesi europei. Quindi i sono due tendenze: commercio tra paesi europei – arrivo della moneta unica.

4.1.

La politica del cambio in sede europea

⇾ La politica del cambio prevede una stretta collaborazione tra Ecofin e BCE. Perché? Il cambio come variabile rilevante sia per l’attività economica sia per l’inflazione.

⇾ L’Ecofin definisce l’orientamento generale della politica del cambio, senza però pregiudicare l’obiettivo di inflazione … … ma nel caso di accordi formali la BCE deve essere consultata (maggioranza qualificata nell’Ecofin).

⇾ La responsabilità di decidere gli interventi sul mercato dei cambi spetta alla BCE .

Ecofin = comitato dei ministri finanziari dell’area.

Il Tasso di Cambio

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Ed è abbastanza intuitivo perché collaborino in ambito valutario → perché ovviamente il cambio è una variabile importante non solo per il livello dell’attività economica, ma è anche molto importante per l’inflazione. E siccome il controllo dell’inflazione in Europa è demandato alla BCE → la BCE vuole avere un suo potere nel decidere le questioni più importanti in ambito valutario. Perché l’obiettivo di inflazione potrebbe essere messo a repentaglio non solo dall’andamento della moneta, ma anche dall’andamento del cambio. Il livello dei prezzi dipende dal tasso di cambio, per cui se la BCE deve monitorare i prezzi, ha la responsabilità dei prezzi → vuole avere il controllo di tutte le leve che possono essere associate alla determinazione dell’inflazione di un paese. E la politica del cambio è uno di questi canali. Quindi la divisione del lavoro e delle responsabilità in realtà funziona che all’Ecofin (autorità politica) è demandata la decisione sull’orientamento generale della politica del cambio la scelta di un regime di cambio a livello europeo la dovrebbe fare l’Ecofin, sentita la BCE. Tutto questo non deve pregiudicare l’obiettivo di inflazione → quindi nel caso ci dovessero essere accordi formali (al momento praticamente non ci sono) tra cambi delle grandi valute → questa è una decisione che dovrebbe essere presa a livello di Ecofin, sentita la BCE. Peraltro è prevista la maggioranza qualificata per le decisioni molto importanti. Oggi non abbiamo accordi formali → il regime di cambio dell’euro è un regime di tassi flessibili rispetto alle principali valute. L’unica differenza ce l’abbiamo rispetto a quei paesi che sono in Europa ma non fanno parte dell’area dell’euro → allora per quei paesi ci sono accordi formali, c’è una sorta di SME, Sistema Monetario Europeo.

Questo per quanto riguarda le grandi decisioni che impattano sui tassi di cambio: decisione politica ma al tempo stesso anche economica, e quindi anche la BCE è chiamata ad intervenire, in quanto deve essere consultata.

Mentre per quanto riguarda le decisioni sugli interventi sul mercato dei cambi: interventi possono esserci nel caso di regimi di cambio cosiddetti intermedi, dove la flessibilità potrebbe essere accompagnata anche da qualche intervento. Perché in teoria in un regime puramente flessibile l’autorità monetaria non dovrebbe entrare mai. Un regime completamente flessibile vuol dire che il cambio è determinato esclusivamente da domanda e offerta di valuta estera espresse dal mercato. In realtà la BCE qualche intervento, molto raramente, lo ha fatto. Quindi pur noi essendo in cambi flessibili, in certi situazioni eccezionali può essere previsto che la BCE faccia degli interventi, che l’Europa intervenga a difesa di un certo tasso di cambio. E questi interventi li decide la BCE.

4.1.1.

Rapporti con gli altri paesi europei: SME II

Gli accordi prevedono: una parità centrale una banda di oscillazione decisioni congiunte interventi congiunti Gli accordi come requisito per l’adesione successiva all’euro. … e nel frattempo la politica della BCE come ancora e riferimento per i paesi dello SME II (ma anche dell’area economica europea).

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Capitolo 4

Invece rapporti di carattere formale esistono con gli altri paesi europei che non fanno parte dell’area dell’euro. E qui c’è una sorta di SME. Il Sistema Monetario Europeo prima dell’euro era un accordo di cambio che legava i paesi europei, ed era una specie di target zone. Fatto sta che oggi una cosa simile esiste con gli altri paesi europei che non fanno parte dell’area dell’euro. E questi accordi prevedono che ci sia: una parità centrale una banda di oscillazione entro la quale il tasso di cambio su può muovere gestione congiunta di questo regime le decisioni sono congiunte tra l’area dell’euro da un lato e gli altri paesi dall’altro e anche gli interventi devono essere coordinati: se c’è bisogno di intervenire la BCE si coordina con la banca centrale polacca o danese.

Tra l’altro la partecipazione a questi accordi è uno dei prese requisiti per l’adesione eventuale successiva all’euro. Prima bisogna far parte degli accordi di cambio, insieme ad altri requisiti, e poi in seguito si può riuscire a fare parte dell’area dell’euro. Questo per quanto riguarda il cambio a livello europeo.

4.1.2.

Il sistema di rappresentanza dell’UME nel sistema monetario internazionale

Ancora imperfetto: il caso delle IFIs e dei G? Su questo fronte ci torneremo quando parleremo del Fondo Monetario Internazionale. Ma intanto sappiamo che la rappresenta politica di questa valuta molto importante è ancora imperfetta.

4.2.

Definizioni del tasso di cambio

Il tasso di cambio è definito come il numero di unità di una valuta necessarie per ottenere una unità di un’altra valuta. Due definizioni:

1) Valuta estera – valuta nazionale (incerto per certo): numero di unità di valuta nazionale per 1 unità di valuta estera (prezzo della valuta estera in termini della valuta nazionale). La maggior parte dei paesi quotano incerto per certo. Se svalutazione/deprezzamento della valuta interna.

Il Tasso di Cambio

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2) Valuta nazionale – valuta estera (certo per incerto): numero di unità di valuta estera per 1 unità di valuta nazionale (prezzo della valuta interna in termini della valuta estera). Quotano così pochi paesi tra cui Svizzera, UK, Austria e il tasso di cambio Euro-USD=1,38. Se rivalutazione/apprezzamento della valuta interna.

Il tasso di cambio può essere definito in due modi opposti. Il tasso di cambio è definito come il numero di unità di una valuta necessarie per ottenere una unità di un’altra valuta. E questa definizione così generale contiene due possibili definizioni. 1: incerto per certo → quante unità di valuta nazionale servono per acquistare una unità di valuta estera. Questa era la definizione di tasso di cambio che esisteva con la lira. Noi dicevamo che il tasso di cambio lira/dollaro era 1.200 lire. Cioè servivano 1.200 unità di valuta interna per comprare 1 unità di valuta estera. E in questo caso quando il tasso di cambio aumento la valuta nazionale si deprezza, o si svaluta (dipende dal regime di cambio che usciamo). 2: certo per incerto → quante unità della valuta estera servono per comprare una unità della valuta nazionale. E questo è il tasso di cambio dell’euro. Noi diciamo che il tasso di cambio euro/dollaro è 1,38. Questo vuol dire che servono 1.38 dollari per comprare 1 euro. È l’opposto di quello che usavamo prima. Quando lo definiamo in questo modo, un aumento del tasso di cambio da 1,38 a 1,40 segnala un apprezzamento della valuta interna. Sono uno il reciproco dell’altro, ma è importante sapere quale usiamo, perché anche graficamente quando andiamo a rappresentare o a leggere in un grafico hanno rappresentazioni opposte.

Tasso di cambio effettivo = media ponderata dei tassi di cambio bilaterali tra i vari paesi

Dove il peso

= quota del paese -mo sul totale del commercio internazionale.

Tassi di cambio → cross rates → sul sole24ore. La tabella a seconda di come la leggiamo abbiamo i tassi di cambio definiti in un modo: Per riga → certo per incerto. Per colonna → incerto per certo.

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Capitolo 4

4.3.

Regimi di cambio

⇾ regime di tasso di cambio flessibile ⇾ regime di tasso di cambio fisso ⇾ regimi intermedi

4.3.1.

Regime di tasso di cambio flessibile (fluttuazione libera)

Regime in cui il tasso di cambio si muove liberamente rispecchiando gli andamenti della domanda e offerta di valuta da parte del mercato. In cambi flessibili le banche centrali non intervengono sul mercato delle valute estere per influenzare il tasso di cambio.

In un regime di cambi flessibili il saldo globale della bilancia dei pagamenti tende ad essere nullo. → l’offerta di moneta non è influenzata dal canale estero di creazione monetaria.

Il tasso di cambio è un prezzo, e come tutti i prezzi il suo valore è determinato dalla domanda e dall’offerta di valuta estera. In cambi flessibili la domanda e l’offerta dipendono solo dal mercato: non ci devono essere interventi (quindi domanda e offerta di valuta estera) provenienti dalle autorità. → La quantità di moneta presente nel sistema non ha una componente estera, nel senso che gli squilibri della domanda e offerta di valuta estera si ripercuotono tutti sul cambio.

4.3.2.

Regime di tasso di cambio fisso

Regime in cui la banca centrale si impegna a soddisfare qualsiasi eccesso di domanda e di offerta di valuta al cambio prestabilito modificando il livello di riserve ufficiali. In un regime di cambi fissi il saldo globale della bilancia dei pagamenti può essere diverso da zero. → in tal caso la banca centrale è costretta a intervenire sui mercati valutari influenzando l’offerta di moneta

C’è un’autorità (normalmente la banca centrale) che si impegna a fissare un prezzo e soddisfare tutti gli eccessi di domanda e di offerta a quel prezzo. E qui l’implicazione per la bilancia dei pagamenti e per la quantità di moneta è che innanzitutto il saldo della BP può essere diversa da zero, e in più che la banca centrale è obbligata a intervenire e tutte le volte che interviene, modifica la quantità di moneta presente nel sistema → a meno che non sterilizzi. E la sterilizzazione vuol dire interrompere il legame tra il canale estero e il livello di moneta presente nel sistema.

Questi sono i due estremi, ma nella realtà ci sono tanti diversi, a seconda che ci avviciniamo più al caso flessibile o fisso. Cominciamo dai regimi più vicini al caso flessibile e arriviamo a casi ancora più estremi.

Il Tasso di Cambio

4.3.3.

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Tassonomia dei regimi di cambio intermedi

⇾ Fluttuazione manovrata con interventi indiretti flessibilità del cambio orientata dalle autorità monetarie mediante i suoi strumenti (tassi di interesse); assenza di interventi sul mercato valutario.

C’è una flessibilità nel cambio però le autorità cercano di influenzare il livello di questo cambio attraverso non un intervento diretto sul mercato delle valute, ma muovendo quelle variabili che hanno influenza sulle decisioni degli operatori. La variabile per eccellenza manovrata dalla banca centrale che può avere impatto sui cambi sono i tassi di interesse. Ma non è la sola variabile: potrebbe muovere anche la moneta o altre variabile.

⇾ Fluttuazione manovrata flessibilità del cambio orientata dalle autorità con interventi sul mercato valutario, e conseguente limitata variabilità delle RU.

Siamo sempre in cambi flessibili, ma in cui sono possibili interventi valutari, quindi interventi diretti. E quindi in questo caso c’è una variabilità anche della moneta e delle riserve ufficiali.

⇾ Crawling Peg (movimento molto lento, appiglio) flessibilità all’interno di una banda di oscillazione fissata dalle autorità attorno ad una parità centrale soggetta ad aggiustamento; interventi significativi sul mercato valutario.

Sistema che ha un tasso di riferimento ma si muove gradualmente, questo riferimento viene cambiato lentamente, questa presa viene modificata. Quindi c’è una flessibilità intorno ad un valore centrale → che si muove gradualmente e lentamente. La Cina ha un regime di questo tipo in cui c’è un riferimento con il dollaro e piano piano si rivaluta.

⇾ Target zones (zone obiettivo) Flessibilità ma all’interno di una banda di oscillazione prefissata dalle autorità attorno ad una parità centrale dichiarata; interventi significativi sul mercato valutario (vari SME).

Sempre più vicini ai cambi fissi. C’è una parità centrale che è fissa, e al tasso di cambio è solo consentito di oscillare all’interno di una banda. E a seconda di quanto è ampia questa banca, noi ci avviciniamo o ci allontaniamo dai cambi fissi. La differenza rispetto al crawling peg è che nel crawling peg il riferimento centrale si muove intorno a una fascia.

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Capitolo 4

Mentre nelle target zones il riferimento è fisso e c’è una fascia in cui il tasso può variare. La grandezza della fascia dipende dalle zone obiettivo. Gli stessi cambi fissi hanno una fascia. Nel sistema di Bretton Woods c’erano cambi fissi, ma in realtà c’era una fascia molto piccola (1%) entro cui i cambi dovevano stare. Lo SME poteva avere anche il 10-15%, a seconda delle fasi storiche.

⇾ Tassi di cambio fissi ma aggiustabili parità del cambio soggetta a variazioni discrete da parte delle autorità; interventi continui per assicurare la parità.

Oltre ai tassi di cambio fissi ci sono dei regimi ancora più estremi, perché i tassi di cambio fissi sono fissi finché non si cambia la parità. Quindi non sono delle decisioni irreversibili: sono annunciate. Si annuncia che il cambio è questo, ma nulla mi vieta di fare un annuncio diverso domani e modificare questa parità parliamo di svalutazioni o rivalutazioni del cambio. E vedremo che oltre ai cambi fissi ci sono regimi ancora più vincolanti, ancora più irreversibili. E l’estremo ultimo è non avere una propria moneta → avere un’unione monetaria.

…ma attenzione ai regimi di cambio de jure e de facto. De jure: gli annunci e le comunicazioni al FMI (Annual Report on Exchange Rate Arrangements and Exchange Restrictions). I risultati della classificazione di Reinhart e Rogoff (QJE, 2004)

Nelle definizioni dei regimi di cambio dovremo poi distinguere tra quello che è il regime ufficiale, quello dichiarato – e quello che è il regime di fatto, che le autorità seguono ma magari non hanno annunciato. Quindi c’è una distinzione tra regimi di cambio: De jure → formali, annunciati. De facto → sostanziali.

Quelli annunciati (de jure) si trovano nel rapporto annuale del FMI dei vari paesi, con le varie restrizioni. E questa è una classificazione. Poi nei fatti ci sono dei comportanti di alcune autorità che si discostano da quello che hanno annunciato → e qui c’è un riferimento ad un lavoro di Reinhart e Rogoff che hanno classificato, sulla base di quello che effettivamente si è osservato nel comportamento delle autorità, i regimi di cambio dei vari paesi. Una cosa è dichiarare un regola, e una cosa è poi la regola che poi si segue in pratica.

Il Tasso di Cambio

4.3.4.

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Regimi monetari più estremi del regime a cambi fissi

Currency board Dollarizzazione / Euroizzazione Unione Monetaria

Oltre ai tassi di cambio fissi ci sono altri regimi che dobbiamo considerare. Che sono tre regimi ancora più estremi.

a) Currency board La banca centrale si impegna per statuto a: 1.

mantenere il tasso di cambio irrevocabilmente fisso rispetto ad una valuta estera;

2.

emettere moneta a fronte di una copertura del 100% di valuta estera (full backing rule) (

)

Vantaggi: La valuta interna continua a circolare e lo stato conserva il signoraggio; Elevata credibilità anti-inflazionistica

Svantaggi: Sterilizzazione impedita; Credito di ultima istanza limitato (soluzioni possibili: accordi internazionali con altre autorità o con il settore privato…)

anche in questo caso emerge il tradeoff tra commitment e flexibility

Nel currency board una autorità si impegna a mantenere il tasso di cambio fisso rispetto ad una valuta esterna, e n questo caso l’emissione della moneta interna deve essere completamente coperta da una percentuale che può variare, ma che è in relazione alle riserve ufficiali del paese. Quindi se ci fosse una regola pari al 100%, e quindi una copertura totale → la quantità di moneta in circolazione corrisponderebbe alle valute estere che il board ha in bilancio. E quindi qui l’unico modo per far variare la quantità di moneta è avere un surplus della bilancia dei pagamenti, attraverso il quale il paese importa risorse anche di carattere finanziario.

Perché un paese dovrebbe adottare un currency board? Perché in sostanza il paese si lega le mani sulla creazione di moneta: annuncia pubblicamente e con solennità (spesso sono leggi che istituiscono questi regimi) che la quantità di moneta si lega con i conti con l’estero. Quindi si lega le mani rispetto alla possibilità di finanziare monetariamente la spesa pubblica.

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Capitolo 4

Quindi importa una grande credibilità in termini di politiche anti-inflazionistiche. Si rivolgono a questi regimi i paesi che avevano molta inflazione in passato e vogliono sconfiggerla con cambiamenti radicali delle istituzioni che governano la moneta. E così hanno fatto paesi come la Bulgaria qualche anno fa. Oppure ci sono currency board storicamente in piccoli paesi: Hong Kong, le colonie inglesi.

Quindi il grande vantaggio è la credibilità anti-inflazionistica di questo regime E l’altro piccolo vantaggio è che la valuta interna continua a circolare e quindi, a differenza ad esempio del regime della dollarizzazione, il paese gode ancora del signoraggio. Signoraggio = vantaggi dell’emissione di moneta. È la differenza tra quello che rende la moneta e i costi di produzione e di manutenzione della moneta stessa. Quindi se il paese ha ancora la sua valuta può appropriarsi del signoraggio. Invece nel caso della dollarizzazione c’è una valuta estera che entra, siamo protetti dalle problematiche inflazionistiche ma perdiamo il signoraggio.

Gli svantaggi del currency board sono sostanzialmente due. Il primo svantaggio è che si perde, come in tutti i cambi fissi, la politica monetaria si perde la possibilità della politica valutaria, perché ci impegniamo a legarci ad un tasso fisso. Quindi non c’è la possibilità di sterilizzare. Il secondo svantaggio è che soprattutto diventa difficile il rifinanziamento della banca centrale. Perché la banca centrale normalmente può produrre tutta la moneta che vuole, ha la libertà di produrre liquidità. Creerà molti problemi facendolo, ma ha la libertà di farlo. Quindi in caso di crisi bancaria o una crisi sistemica → la banca centrale può produrre liquidità. Mentre se siamo in un currency board o in una dollarizzaione → questa capacità potenziale di produrre liquidità non c’è più, solo il fatto di renderla possibile può influenzare la domanda di liquidità bisogna cercare qualche altra modalità per finanziare in caso di necessità il paese e le banche.

Soluzioni possibili: accordi internazionali con altre autorità o con il settore privato. Un paese che ha un currency board con un’altra moneta si deve porre il problema di come fare a creare liquidità in caso di bisogno. Dove la prende la liquidità? Se è un piccolo paese → potrebbe chiederla ad un organismo internazionale, oppure si potrebbe rivolgere a un sindacato di grandi banche commerciale che si impegnano a dare liquidità (accordi complessi però possibili), oppure ad un’altra autorità di un grande paese. L’Argentina aveva un currency board.

Il Tasso di Cambio

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Signoraggio Il signoraggio è l’insieme dei redditi netti derivanti dall’emissione di moneta. … dai signori medievali alle banche centrali. La Banca centrale ottiene redditi dalla differenza tra i ricavi da investimenti in attività finanziarie e reali (a fronte delle sue passività espresse dalla moneta emessa) e i costi di produzione e mantenimento della moneta. Il limite al signoraggio tramite il vincolo della stabilità dei prezzi. Il signoraggio nell’UME (banconote e monete).

b) Dollarizzazione o euroizzazione (de jure o de facto)

La valuta nazionale viene sostituita dalla valuta estera.

Benefici: 1. 2. 3. 4. 5.

maggiore stabilità macroeconomica per la maggiore credibilità (si importano le condizioni monetarie del paese emittente) ridotto premio al rischio (sulla valuta non sul paese) deprezzamenti/svalutazioni non più possibili maggiore disciplina fiscale per l’impossibilità di finanziamenti monetari della spesa pubblica minori costi di transazione maggiore integrazione economica e finanziaria specialmente col paese emittente

Costi: a) rinuncia ad avere una politica monetaria e ad avere un meccanismo di aggiustamento via tasso di cambio b) difficoltà per la funzione di rifinanziamento di ultima istanza c) si perde il signoraggio

La dollarizzazione o euroizzazione è qualcosa di molto simile al currency board. Innanzitutto qui potremo distinguere tra una dollarizzazione de jure o de facto: De jure → un paese può decidere di usare l’euro con un accordo formale con la BCE che stabilisce il modo in cui usare questa moneta e i problemi connessi. Ci possono essere accordi bilaterali tra le autorità: ad esempio il Vaticano e Monaco hanno un accordo con la BCE per usare l’euro → e questo vuol dire normare una serie di aspetti che riguardano la produzione e la produzione delle monete e delle banconote, fino anche a regolare eventuali situazioni di difficoltà. De facto → nel senso che il mercato e gli operatori di un paese di fatto usano una moneta estera per regolare le proprie transazioni. Questo succede quando si perde fiducia nella valuta interna. Ad esempio il Montenegro usa l’euro per una sua iniziativa. Oppure certi paesi hanno il doppio mercato: le piccole transazioni vengono regolate con la valuta locale, mentre le grandi transazioni vengono regolate con i dollari, perché non c’è fiducia nel mantenimento del potere d’acquisto della valuta locale.

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Capitolo 4

Benefici: 1→ Si importano le condizioni monetarie del paese emittente: cioè il livello dei tassi di interesse (per una parte almeno). È un discorso quasi come il currency board, anzi qua ancora di più. 3→ Come nel currency board. 4→ Abbiamo già una valuta che è accettata nel commercio internaizonle quindi Non dobbiamo preoccuparci del cambio. 5→ E spesso vuol dire una maggiore facilità nel favore l’integrazione con il paese emittente.

Costi: che sono i costi dei cambi fissi a→ Può essere un costo non avere più la leva monetaria per gestire i problemi di stabilizzazione di un paese. b→ Come nel currency board c’è difficoltà ad affrontare un’eventuale crisi bancaria, perché non c’è la possibilità di creare liquidità, la base monetaria è la valuta esterna e quindi non c’è una autorità che può creare dollari al di fuori della Federal Reserve. c→ A differenza del currency board qui si perde anche il signoraggio, che va a favore del paese emittente.

14/10

c) Unione monetaria  Rinuncia e condivisione della sovranità monetaria tramite un nuovo assetto istituzionale;  Le monete nazionali cessano di esistere a favore di una valuta dell’unione;  I proventi del signoraggio vengono ripartiti. Scelta meno reversibile rispetto a tutti gli altri regimi per i maggiori vincoli istituzionali e normativi e per i maggiori rischi e costi di riconversione.

Rinuncia e condivisione → pensiamo al processo che è stato messo in atto a livello europeo. Le varie valute nazionali dei paesi che fanno parte dell’area dell’euro sono state sostituite da una valuta comune sovranità monetaria, che prima spettava ai singoli paesi, è stata spostata a livello europeo.

la

Aspetti istituzionali → già noti. Non entriamo nella discussione di come è stata realizzata a livello europeo l’unione monetaria → facciamo un discorso più generale, più economico, di regime estremo e quindi capire perché paesi possono decidere di unirsi in un’unione monetaria, e quali sono i benefici e quali sono i problemi. E poi cercheremo di rispondere alla domanda se da un’unione monetaria è fattibile un’uscita e i problemi che potrebbero insorgere in casi di questo tipo. Sovranità attribuita a livello centrale → con l’istituzione di una nuova banca centrale che si muove con l’obiettivo del controllo dell’inflazione di un’intera area (in particolare per l’unione europea). Parlando degli altri due regimi ieri avevamo visto che una delle differenze principali tra questi due regimi era l’attribuzione o l’esistenza del signoraggio. Nell’Unione Europea il problema del signoraggio si redistribuisce tra tutti i paesi.

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Nel senso che i vantaggi del signoraggio sono in carico alla BCE, che è un’istituzione comune, i cui profitti e il cui capitale sono suddivisi tra tutti i partecipanti i guadagni derivanti dall’uso dell’euro sono divisi tra tutti i paesi. La principale differenza rispetto agli altri due regimi è che questa scelta è sicuramente molto più irreversibile delle altre. Mentre da un currency board si può uscire (e l’Argentina ne è un esempio), anche se l’uscita è molto problematica. Da un’unione monetaria è ancora più difficile. E poi dipende anche dalla direzione che si prende. Nel senso che anche nelle storie economiche dei vari paesi ci sono esempi di abbandono di una valuta nazionale per una valuta più forte (ad esempio abbiamo lasciato la lira per prendere l’euro). Però il caso opposto: abbandono di una valuta più forte per prendersi una valuta più debole → non si è mai verificato. Forse l’esempio più vicino è l’abbandono del currency board dell’Argentina , dove però la valuta del paese non è stata sostituita, ma è stato abolito un regime di cambio→ però sempre pesos circolavano, con un valore diverso, però fisicamente sono rimaste le stesse banconote. Se la Grecia o l’Italia dovessero lasciare l’euro dovrebbero ripristinare la valuta precedente e lo farebbero per avere una valuta più debole. Non ci sono altre motivazioni. E questo esempio di cambio di valuta in questa direzione non è mai successo, e questo per giustificare che l’unione monetaria è una scelta più irreversibile degli altri regimi, perché non solo ci sono impegni giuridici presi a livello internazionale, ma proprio perché dal punto di vista di fattibilità economica è complicatissimo.

L’idea (e la fattibilità) di uscire dall’euro La crisi delle finanze pubbliche di alcuni paesi europei hanno riproposto il problema. Due domande: perché valutare l’uscita? Come uscire? L’uscita per riacquistare l’indipendenza monetaria, sia per i paesi forti (che vedono rischi inflazionistici nel lungo periodo per gli interventi a sostegno delle banche) e per i paesi deboli (che hanno perso competitività) E’ fattibile l’uscita? Una nuova legge per ridenominare tutti i contratti… un changeover veloce e completo per limitare il caos finanziario… la distribuzione della nuova valuta …come per l’introduzione dell’euro con alcune differenze che rendono il processo inverso molto più complesso:  I tempi e la collaborazione tra paesi  gli effetti delle prospettive e la fuga dei capitali dal paese  le perdite dovute alla caduta dei prezzi degli assets finanziari  le dispute legali… grandissimi rischi difficili da gestire.

(How to resign from the club, The Economist, Dec.2nd 2010)

Infatti quando consideriamo l’idea della reversibilità dell’unione monetaria dobbiamo rispondere a due domande cruciali. Innanzitutto perché un paese dovrebbe valutare l’uscita da una unione monetaria. E poi come, da un punto di vista procedurale, si può realizzare l’uscita da una unione monetaria. Che è uno dei problemi di cui si discute anche oggi. Per quanto riguarda le motivazioni della decisione di lasciare l’unione monetaria → dovremo qualificare se la domanda se la sta ponendo un paese forte o un paese debole.

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Capitolo 4

PAESE FORTE → la Germania potrebbe pensare che stare insieme a paesi più deboli potrebbe comportare un rischio inflazionistico. L’idea è che se c’è una istituzione comune che ha la responsabilità della politica monetaria → e questa responsabilità è gestita avendo come obiettivo in prevalenza i problemi dei paesi più deboli → questo può creare più inflazione. La Germania non vuole l’inflazione e potrebbe considerare l’uscita dall’euro per non correre questi rischi. Questi giorni la BCE, tra le azioni di sostegno che ha messo in piedi per fronteggiare la crisi in atto, ha istituito questo security market program, che è il programma attraverso il quale compra titoli di stato dei PIIGS. La BCE per statuto non può comprare sul mercato primario sta comperando sul mercato secondario. Il sostegno finanziario di una banca centrale a un paese in difficoltà → comporta un rischio inflazionistico. Perché intervenendo, comprando questi titoli, si potrebbero promuovere pressioni inflazionistiche. Dal punto di vista della Germania l’opportunità di uscire dall’euro potrebbe essere valutata per ridurre le probabili pressioni inflazionistiche → dovute al fatto che la BCE in questo gruppo di paesi disomogenei potrebbe essere portata a salvare qualche paese e questo è dovuto al fatto che tutte le economie sono tra loro legate. In questa situazione la BCE potrebbe sostenere certi paesi per evitare delle crisi, dei contagi a tutta l’area → questo vorrebbe dire creare moneta in sostanza e quindi aumentare le probabilità di inflazione. La Germania per indicare un paese forte, che ha una posizione di maggiore stabilità, maggiore competitività, ecc. Un paese forte potrebbe voler lasciare perché corre rischi nel raggiungere l’obiettivo di bassa inflazione che si è prefissato. Il discorso è complicato, ci sarebbero tante altre considerazioni da fare.

PAESE DEBOLE → potrebbe considerare un’uscita dall’unione monetaria perché sta registrando una perdita di competitività della propria industria e quindi un impoverimento e per recuperare competitività un modo è quello di avere una valuta deprezzata e quindi l’uscita dall’euro potrebbe ridare fiato all’economia. Questo è vero? Anche questa affermazione è da discutere, se il recupero di competitività via cambio è un recupero duraturo, o meno. Perché se io ho una moneta più debole importerò inflazione, e se l’inflazione è più alta che in altri paesi, mi rimangia il vantaggio di competitività che ho ottenuto dalla svalutazione del cambio nominale. Quello che conta è il cambio reale, che dipende dal cambio nominale e dal livello dei prezzi . Quindi anche questa affermazione “usciamo dall’unione monetaria per riavere competitività” si può capire, ma la sua accettazione è più complessa e più discutibile.

Queste sono le ragioni che un paese potrebbe considerare per uscire. Ammesso che si sia deciso di uscire → è fattibile l’uscita? è realizzabile l’uscita? Proviamo ad elencare quali problemi ci sarebbero se l’Italia dovesse decidere di ripristinare la lira. I costi di reintroduzione della vecchia valuta sono un grande problema. Basti pensare a quante cose sono organizzate intorno al valore e alla definizione della moneta: bisognerebbe modificare tutti i sistemi informativi e i programmi di contabilità di tutte le aziende e di tutte le banche, che sono impostati in euro. Tutto quello che era stato preparato per l’euro deve essere rismontato e riportato alla lira: programmi in euro, macchinette che vendono qualcosa, le macchinette che distribuiscono banconote. Tutti questi aspetti tecnici, procedurali, sono un qualcosa di molto impegnativo e costoso. E questo riguarda il cambio della valuta. L’Argentina non ha avuto questo problema tecnico, perché ha continuato ad utilizzare le stesse banconote.

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È un costo una tantum, ma è un costo massiccio, con grandi rischi. E questo è l’aspetto più tecnico e tecnologico. Ma prima di questo ci sono altri problemi più impellenti e difficili da gestire. Se noi lasciamo la valuta dell’euro per ritornare alla lira è perché vogliamo riacquistare competitività. Quindi la banca centrale o il governo ci sta portando verso una valuta che sarà svalutata enormemente → non sarà un cambio alla pari, non ci daranno la lira a 1936,27. Il pesos argentino dopo l’uscita dal currency board in poco si è svalutato del 400%. Quello che valeva 100 → dopo qualche settimana valeva 25. Questo è quello che succederà ad un paese debole che esca dall’euro: ci sarà una grande svalutazione. E questo comporterà che chi ha attività in euro e sa che il giorno dopo verranno convertite in lire, una valuta svalutata che vale molto meno → ci sarà una riduzione del valore degli stock e tutti gli operatori sposteranno la loro ricchezza all’estero. Nessuno terrebbe più i depositi in una banca italiana, sapendo che tornerà la lira. Fuga di capitali verso paesi più sicuri. Questo un paese non lo può affrontare. Sarebbe la fine di tutte le banche. Se noi lasciassimo operare il mercato a fronte di questa eventualità → il mercato da solo farebbe implodere tutto. Perché se anche una piccola parte della clientela va in banca a chiedere indietro i soldi → la banca è fallita. Perché la banca ha un attivo illiquido e un passivo liquido, quindi non è capace di rispondere ad una crisi di liquidità che avrebbe un carattere sistemico, quindi coinvolgerebbe tutti. Quindi dobbiamo preoccuparci di questo. Se cambiamo la valuta dobbiamo impedire che il mercato e gli operatori possano disporre delle proprie disponibilità dobbiamo mettere un blocco ai movimenti dei capitali ci dobbiamo chiudere come economia. E questo bisognerebbe farlo in una notte. Questo change-over è un problema gigantesco. Poi ci sono anche altri problemi. Tutti i contratti sono denominati in euro bisogna cambiarli tutti. Bisogna trovare un modo. Bisogna fare una legge per cambiare tutti i contratti. E questo creerà delle vertenze legali infinite. Perché ci sarà qualcuno che ci guadagna e qualcuno che ci perde. Chi ha dei debiti è contento a doverli restituire in lire → ma chi ha dei crediti no. Problemi di gestione di contenzioni legali giganteschi. Alcuni di questi problemi li abbiamo già affrontati con l’introduzione dell’euro, però con alcune differenze → che rendono il processo inverso molto più complesso. Innanzitutto i tempi: mentre per la preparazione dell’euro abbiamo avuto molto tempo per pensare, mettere tutto a punti, predisporre il change-over → abbiamo avuto dei costi ma senza problemi. Abbiamo avuto tempo per cambiare i listini, riscrivere i sistemi informativi, modificati i programmi, ecc. Andavamo verso una valuta più forte, sapevamo in anticipo quanto valeva, non avevamo timore di muovere i nostri risparmi, e in più era un processo comune, avevamo la collaborazione di tutti i paesi interessati. Invece l’uscita è un problema di quel paese e basta, sarebbe da solo nel gestire questa cosa. I tempi e la collaborazione sono una grande differenza. Poi ci sono le prospettive: la fuga di capitali dal paese, che forse è la cosa più complicata. Se non riusciamo a controllare e stabilizzare la fuga dei capitali → sarà devastante. Poi c’è da gestire un altro problema: ci sarebbero tutti i bilanci da ripensare e ci sarebbero da registrare perdite notevoli.

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Capitolo 4

Tutti gli asset denominati in euro → li riportiamo in lira, che vale molto meno perdite. I titoli per debito pubblico, le obbligazioni delle imprese, come li consideriamo? Pensiamo alle perdite delle banche. Dispute legali. Ci sarebbero dei rischi così grandi e così difficili da gestire che nessuno si metterebbe in questa avventura, anche se dal punto di vista politico questa idea potrebbe avere un certo appeal. Ma si può tornare indietro? Questi costi tecnici, procedurali, economici sono così alti che questa opzione dal punto di vista tecnico sia ingestibile. Al servizio studi della Banca d’Italia, dove il prof lavorava, quando negli anni 90 si parlava dell’euro, si diceva che “l’euro è come averci messi tutti dentro un treno in corsa con gli sportelli chiusi senza la possibilità di scendere”. È una scelta irreversibile, perché l’uscita sarebbe complicatissima.

Diversi sarebbero i problemi se ad uscire fosse un paese forte. Problemi opposti ci sarebbero se fosse la Germania ad uscire dall’euro: da una valuta forte andrebbe verso una ancora più forte. Se la Germania decidesse di tornare al marco → dovrebbe gestire un problema di afflusso di capitali, non di fuga. Perché se c’è la possibilità di tornare al marco, che sarebbe più forte dell’euro → tutti sposterebbero i loro asset in euro in marchi. Invece andare da una valuta forte ad una più debole è molto complicato. Quindi aldilà dei calcoli economici e delle motivazioni politiche → bisogna fare i conti con la realtà. E la realtà è molto complessa.

Luca: «La Germania, qualora decidesse di uscire dall’unione monetaria, riuscirebbe ad essere realmente competitiva, a parte nel breve periodo? Nel mondo attuale è già difficile associando vari stati con un’unione monetaria, come nel sistema degli Stati Uniti, ma la Germania come riuscirebbe a contrastare la potenza della Cina e dell’India, di questi paesi emergenti da sola? Non sarebbe meglio più che ridurre l’unione monetaria, aumentare il potere dell’unione monetaria, invece che a solo politica monetaria, anche una politica fiscale e gestionale?» Il prof la pensa in questo modo. Perché anche per i paesi forti, aldilà dei rischi di inflazione, ci sono molti vantaggi a stare in un’unione monetaria. E i vantaggi hanno a che fare con i vantaggi in generale di un’unione monetaria, di un grande mercato. Ci sono tante motivazioni economiche che spiegano l’unione monetaria e l’integrazione dei mercati. Ovviamente questo comporta anche dei rischi e ne stiamo toccando con mano alcuni questi mesi. Ma sicuramente sono più i vantaggi. E la soluzione dei problemi sarebbe forse quella di andare verso una integrazione politica ancora maggiore → questo creerebbe un grande mercato e risolverebbe i problemi dei paesi più poveri. Avere una integrazione maggiore vorrebbe dire importare regole e modalità di condotta e rispetto delle regole diverse. Se fossimo governati dall’Europa avremmo una maggiore competitività. Avremo dei vincoli, ma forse quei vincoli verrebbero rispettati. Il problema dell’Europa è anche questo: dare delle regole più efficiente e avere una convivenza più efficienza.

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Da questo treno da cui non possiamo scendere possiamo solo cercare di arrivare alla stazione più in fretta possibile, superare questo periodo di transizione in cui non abbiamo né la sovranità di un paese libero completamente né abbiamo i vantaggi di un’integrazione politica europea e monetaria. E la Germania fa le stesse considerazioni. Anche i paesi forti hanno un interesse a stare nell’unione → del resto sono stati i principali promotori del processo, gli ispiratori. L’idea dell’unione monetaria non è solo italiana, ma è un’idea dei francesi e dei tedeschi. Il vero motivo dell’unione monetaria sia stato il raggiungimento di un’unione politica in termini più rapidi. L’idea del mettersi assieme risale agli anni 50-60, in seguito all’ispirazione di alcuni grandi politici europei per cui si doveva smettere di farsi la guerra internamente, ma ci si doveva mettere assieme prima economicamente e monetariamente, e a quel punto l’unione politica sarebbe dovuta venire da sè. L’unione politica era più difficile da attuare → ma adesso l’unione politica è una strada quasi obbligata. Per questi motivi.

Questa discussione ci ha fatto capire di come ci sono tanti risvolti politici e forse le ragioni ultime di questi processi vanno cercate nella politica. Parliamo ora dei vantaggi economici di un’unione monetaria.

Vantaggi di un’unione monetaria Riduzione dei costi di transazione Riduzione dei rischi di cambio (interni ed esterni all’area) Ridotti i problemi di credibilità del regime adottato e ridotti i rischi di attacchi speculativi Minori necessità di RU Maggiore ruolo della nuova valuta nel contesto internazionale

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Nel momento in cui abbiamo una stessa valuta gli scambi vengono agevolati e si riducono i costi di transazione. Internamente abbiamo del tutto eliminato il rischio di cambio – e se riusciamo ad imporre la nostra valuta più grande, più forte, più liquida, al partner con cui commerciamo → riusciamo a scaricare il problema della gestione del rischio di cambio alle nostre controparti. Importazione della credibilità → questo vale soprattutto per i paesi tradizionalmente più deboli, meno credibili. Un vantaggio di appropriazione della credibilità della nuova struttura istituzionale che abbiamo creato. La BCE è stata creata replicando il modello della Bundesbank a livello europeo → e questo ha dato una credibilità all’intero progetto, che è andata soprattutto a beneficio di quei paesi che avevano invece dei deficit di credibilità (pensiamo ai paesi del Mediterraneo, Italia in primis). Serve una quantità di RU più bassa: problema meno importante, abbastanza marginale. Avere una valuta più forte potrebbe dare dei vantaggi se quella valuta riesce ad essere accettata a livello internazionale → ma in questi 10 anni il dollaro è rimasto ben saldo al suo posto, anzi l’euro ha perso qualche posizione a vantaggio di altre valute dei paesi emergenti.

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Capitolo 4

I vantaggi specifici dell’UME Completare la realizzazione del mercato unico (economico e finanziario) Assicurare la stabilità monetaria Dotare l’Europa di una valuta adeguata che possa fare da contrappeso al dollaro

1→ Per completare questo progetto dell’integrazione del mercato europeo serviva una moneta unica. Quindi l’unione monetaria può essere vista anche come completamento al progetto più generale della creazione di un mercato unico europeo. 2→ Alla luce di quello che è stato il disegno istituzionale per la BCE, il modello Bundesbank, dell’attenzione massima all’inflazione → abbiamo in qualche modo anche assicurato la stabilità monetaria. Quella finanziaria è un po’ più complicata, anche se in parte vanno assieme. Però almeno sul fronte monetario abbiamo costituito un assetto istituzionale che ci dovrebbe dare grandi garanzie di contenimento e controllo dell’inflazione. Questo alla luce delle caratteristiche istituzionali che abbiamo accettato: l’obiettivo dell’inflazione, divieto di finanziare i disavanzi degli stati, divieto di acquisizione dei titoli sul mercato primario, l’autonomia della banca centrale → sono tutti presidi che servono per garantire il raggiungimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi. 3→ Creare una moneta forte che possa competere con il dollaro e quindi avvantaggiarsi di quei benefici che oggi riscuote l’economia americana. Avere una moneta forte e centrale nel sistema monetario internazionale dà dei vantaggi.

Svantaggi di un’unione monetaria Gli squilibri interni all’area perdono possibili meccanismi di aggiustamento. In particolare: Perdita della possibilità di usare il cambio come meccanismo di aggiustamento (ammesso che sia efficace) Parziale perdita del controllo della politica monetaria (Regimi di cambio e autonomia della politica monetaria / tradeoff tra commitment e flexibility) Questi svantaggi si ridimensionano se, in caso di squilibri tra regioni interne all’area, è possibile il ricorso ad altri meccanismi di aggiustamento diversi dal cambio e dalla politica monetaria teoria delle aree valutarie ottimali:  mobilità del lavoro (o flessibilità dei prezzi)  bilancio pubblico  politiche fiscali (verso l’unione politica)

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Il primo svantaggio è per i singoli paesi il fatto che gli squilibri interni che un paese può avere non possono essere aggiustati con alcuni metodi di risoluzione che in passato venivano usati: – In primis la possibilità di usare il cambio per aggiustarsi se un paese perdeva competitività svalutava. E l’Italia era maestra in questo. Prima dell’euro noi negli anni 70-80 abbiamo sempre avuta una inflazione più alta della Germania e ogni tanto facevamo una svalutazione per riacquistare competitività. Poi quella svalutazione ci faceva importare inflazione, riperdevamo competitività e dopo un po’ dovevamo risvalutare. Lira: meccanismo svalutazione-inflazione. Era un meccanismo abbastanza indolore per aggiustare l’economia e riacquistare competitività quindi ridare fiato all’economia. Questa leva, questo canale, questo strumento → non ce l’abbiamo più. E quindi è uno svantaggio. – Se riconosciamo un valore alla politica monetaria, il fatto di non gestire più direttamente la nostra politica monetaria, potrebbe essere ritenuto da qualcuno un ulteriore svantaggio. E cioè che non abbiamo più la libertà di gestire la quantità di moneta che è presente nel sistema, perché questa responsabilità l’abbiamo passa a livello più alto, dove noi contribuiamo a definire la politica monetaria, ma che è gestita con l’obiettivo della stabilità in Europa e non nel singolo paese. E quindi in questo senso ci potrebbe essere un altro svantaggio. Questi svantaggi si ridimensionano se è possibile fare ricorso ad altri meccanismi di aggiustamento, diversi dalla politica monetaria e diversi dal cambio. Questi meccanismi di aggiustamento sono i cosiddetti pilastri delle teorie delle aree valutarie ottimali. Gli aggiustamenti tra i paesi potrebbero essere gestiti attraverso altri meccanismi, attraverso altri canali, che potrebbero essere: Mobilità del lavoro: se un’area cresce meno il lavoro dovrebbe spostarsi verso le aree che crescono di più → e questo presuppone una mobilità della forza lavoro. E questo è un meccanismo per aggiustare gli squilibri tra aree, tra regioni. In questo l’Europa ha fatto grandi sforzi, e l’Erasmus è anche questo: cercare di favorire la mobilità. Perché in un’area che ha un’unica moneta avere una maggiore mobilità della forza lavoro permette di aggiustare gli squilibri che tra diverse regioni ci sono e ci saranno sempre se abbiamo una forza lavoro che si sa muovere nell’area, tra paesi che parlano lingue diverse e che hanno regole diverse, è un qualcosa in più. Flessibilità del prezzi → almeno sulla carta dovrebbe aiutare a correggere gli squilibri. Se abbiamo uno squilibrio di competitività, e non lo possiamo più colmare con il cambio → lo colmiamo con dei prezzi relativi che si muovono. Ma questo non è fattibile perché i prezzi sono molto rigidi verso il basso. Bilancio pubblico → avere una unitarietà nella gestione della finanza pubblica nell’intera area in modo tale che ci possano essere trasferimenti di ricchezza dal bilancio centrale. Questo è fattibile solo in parte, perché noi abbiamo realizzato un’unione che solo in parte è già costruita in termini di bilancio pubblico, ma non abbiamo ancora una unitarietà della politica fiscale. Le imposte in grande parte vanno ai bilanci nazionali → non vanno a livello europeo. Ci sono dei progetti di redistribuzione, ma sono piccola cosa rispetto ai grandi squilibri tra le aree che ci sono.. Politiche fiscali redistributive → avere politiche fiscali comuni che redistribuiscono. Una delle grandi funzioni dello stato è redistribuire. Quindi dobbiamo creare uno stato europeo che possa affrontare le problematiche economiche che l’area sviluppa però questo vuol dire creare un’unità politica, un’integrazione politica e non solo economica.

Questi meccanismi sono all’opera in Europa? L’Europa è un’area valutaria ottimale? L’Europa ha queste caratteristiche? Si può avere un’unica moneta perché ha la mobilità del lavoro, ha la flessibilità dei prezzi, ha un bilancio pubblico unitario e politiche fiscali comuni? Non del tutto. Alcuni progressi sono stati fatti, ma su altri fronti no. In particolare dov’è che siamo più carenti? Innanzitutto tutti questi problemi si risolvono con l’unione politica, se ci fosse l’unione politica avremmo già risolto gran parte dei problemi.

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Capitolo 4

Il caso dei diversi paesi europei Gli squilibri tra varie regioni (paesi) possono riassorbirsi muovendo i prezzi o la produttività (competitività). Possibile in Europa? Tre questioni:  la deflazione difficilmente si verifica;  il modello di specializzazione dei paesi in maggiori difficoltà è più interessato dalla concorrenza dei paesi emergenti;  il problema del debito. I paesi con minore competitività hanno i debiti più elevati. La deflazione promuove la competitività ma innalza l’onere del debito. (All pain, no gain? The Economist, dec.11 2010)

Guardiamo a quello che è successo finora: sono successe delle cose che vanno anche nella direzione opposta. Per esempio pensiamo agli squilibri tra i vari paesi, e pensiamo se questi squilibri possono essere riassorbiti con movimenti dei prezzi. Lo squilibrio principale è che i paesi del sud-Europa sono meno competitivi dei paesi del nord-Europa. Negli anni 50 eravamo più competitivi della Germania, la produttività italiana era il doppio di quella tedesca, adesso è il contrario. Quelli erano gli anni della nostra grande crescita, del nostro miracolo economico. Questi sono gli anni del declino. Ma questo vale per tutti i paesi europei del sud: la produttività, la competitività, è inferiore → e dovrebbe essere assorbita da un’inflazione più bassa di questi paesi per riassorbire questo squilibri, che darebbe respiro a queste economie. Se guardiamo le inflazioni che ci sono state in Europa in questi ultimi anni, viene fuori stranamente che l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia hanno avuto un’inflazione più alta della Germania, dell’Olanda, del Belgio, ecc. E questo ci ha fatto perdere ulteriore competitività. Avevamo già una produttività del lavoro più bassa, se anche i nostri prezzi aumentano più di quelli della Germania, è un problema. Noi abbiamo un’inflazione più alta perché siamo più inefficienti nelle politiche delle concorrenza, nelle politiche delle infrastrutture, nel costo dell’energia, nei costi amministrativi, il mondo dei servizi in generale e delle professioni (notaio ecc) è molto protetto. Questo ci insegna che il recupero di competitività tramite la flessibilità dei prezzi non è reale. È una teoria che troviamo sui libri ma non è la realtà. I prezzi sono rigidi verso il basso, è difficile fare recuperare competitività a un paese chiedendogli di ridurre il livello dei prezzi, perché è politicamente e socialmente difficile, perché non funziona. Addirittura si osserva il fenomeno opposto: i paesi meno produttivi sono quelli che hanno un livello di inflazione più alto. Quindi la deflazione non si verifica. Non solo: il modello di specializzazione dell’economia del sud-Europa è molto più sbilanciato rispetto a quello della Germania nei confronti di quei settori dove si fanno politiche di concorrenza sul prezzo. Quindi noi soffriamo più degli altri la concorrenza della Cina, del Vietnam, dell’India → più di quanto la soffre la Germania. E questo è un latro elemento di debolezza. Modello di specializzazione = struttura delle nostre esportazioni.

E non è l’unico problema: i paesi del sud Europa hanno un problema di debito.

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E qui il debito funziona da freno anche al discorso della deflazione. Perché, ammesso e non concesso che si riesca a deflazionare, a ridurre il livello dei prezzi → questo si scontra con l’onere del debito. Se noi abbiamo un debito elevato e i prezzi si riducono → l’onere del debito diventerebbe in termini reali ancora più alto. Quindi qui c’è un tradeoff: L’inflazione riduce il valore reale del debito, quindi farebbe bene → ma ci fa perdere competitività. La deflazione ci fa riacquistare competitività → ma ci aumenta l’onere del debito. Se abbiamo un grande debito → l’onere del debito diventa un vincolo molto stringente. E guarda caso i paesi che hanno il debito sono i paesi del sud-Europa. Quindi ci sono problemi seri. Come si risolvono?

Simone: «Dal punto di vista dell’integrazione della politica fiscale tra i paesi, l’Italia ha una pressione fiscale del 46%, mentre in Europa è del 34%. Un’integrazione fiscale ci permettere più di riuscire a coprire i nostri debiti? È possibile per un paese come l’Italia con un’elevata tassazione, poter arrivare alla media europea? »

È molto difficile, perché l’Italia ha già un livello della pressione fiscale (che è il rapporto tra le entrate fiscali totali e il PIL), che a seconda dei calcoli varia tra il 43% e il 48%. Quindi questo vuol dire che se si produce 100 in Italia → metà viene dato allo stato. Il che vorrebbe dire, se fossimo in uno stato efficiente, che noi dovremmo avere in cambio di questo metà PIL che diamo allo stato → delle strutture coi fiocchi! Perché siamo tra le pressioni fiscali più alte del mondo. Quindi qui c’è un grande problema perché i nostri servizi pubblici non sono tra i primi al mondo. Noi abbiamo una situazione del paese che non riflette le entrate fiscali che lo stato riceve dall’economia c’è un problema di gestione della cosa pubblica. Ma c’è anche un problema di evasione fiscale, che è un problema di redistribuzione su chi deve pagare. Però l’economia nel suo complesso già dà un 43-48% del PIL allo stato tutti gli anni. Quindi il problema è questo, il problema è di come spende lo stato. Abbiamo fatto un grande debito: i debiti normalmente si fanno perché si fanno investimenti dovremmo avere progetti faraonici. In realtà noi abbiamo il debito perché abbiamo pagato le pensioni, la sanità, le spese correnti, gli stipendi, le pensioni di invalidità a chi non le doveva avere. Questo è il nostro problema: abbiamo fatto il debito per fare queste cose, non per fare le autostrade, non per fare l’alta velocità, non per fare investimenti. Quindi il problema fiscale è un grande problema, che richiede la riformulazione di tante cose.

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Capitolo 5

5. IL RUOLO INTERNAZIONALE DEL DOLLARO

Ruolo del dollaro come valuta internazione, per capire se l’arrivo dell’euro ha o meno scalfito questa dominanza del dollaro nei mercati internazionali. Paper: International role of dollar.

5.1.

Evidenza empirica

In questo paper si guarda a tutte le dimensioni dell’uso internazionale di una valuta.

Utilizzo del dollaro come circolante. → utilizzo della valuta come circolante nelle transazioni estere. E questo ha a che fare con il signoraggio: quante banconote di dollari circolano nel mondo fuori dagli Stati Uniti utilizzate da mercati di altri paesi. Il fatto è che c’è una quantità di banconote di dollari fuori dagli Stati Uniti utilizzate come cash nelle transazioni di altri paesi. Grafico: quantità di dollari acquistati dalla FED che sono detenuti fuori dagli Stati Uniti.

Qui c’è la stampatura delle banconote che non ci interessa → guardiamo il dato di tutte le banconote. Dal 1990 al 2005 sono rimaste abbastanza costanti e sono tanti soldi. Tutte le banconote = 600 miliardi di dollari che circolano al di fuori degli Stati Uniti. Come utilizzo di cash il dollaro non ha risentito l’entrata dell’euro, continua ad essere stabile da molti anni. E qui gli Stati Uniti ci riscuotono un bel signoraggio, e si potrebbe calcolare su 600 mld come differenza tra tassi di interesse e costi della produzione e manutenzione dei dollari.

Il Ruolo Internazionale del Dollaro

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Dollaro nelle definizioni dei regimi di cambio nei vari paesi. C’è una tabella che riporta le classificazioni dei vari regimi di cambio.

Ci sono dei regimi di cambio che sono peg sul dollaro → cioè che una valuta è riferita al dollaro. Quanti paesi hanno il dollaro come riferimento? Secondo questi studi nel 1995 c’erano 82 paesi che erano peg sul dollaro → e nel 2007 sono 89, sono ancora di più. Quindi come valuta di riferimento per i regimi di cambio il dollaro mantiene e addirittura ha accresciuto la sua importanza.

Il dollaro nelle riserve ufficiali. La stima è che in 70% delle RU dei paesi sono denominate in dollari. Grafico: valore assoluto delle riserve in dollari per i paesi in via di sviluppo e per i paesi avanzati.

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Capitolo 5

Il valore assoluto delle RU è crescente. Ma va confrontato con il totale delle riserve, qui c’è una stima. Però questo andamento è abbastanza in linea con quello che abbiamo mostrato sul totale delle riserve ufficiali nel mondo. A parte quella stabilizzazione negli ultimi anni →il ruolo del dollaro come valuta di riserva è sicuramente rimasto costante in questi anni. E quel blocco non va a favore dell’euro, ma va a favore di altre valute. Perché le riserve sono continuate ad aumentare nel 2008-2009, quindi la quota del dollaro forse si è un po’ ridotta. Ma non è l’euro che guadagna terreno → ma sono le valute dei paesi emergenti. Quindi anche come valuta di riserva il dollaro continua ad essere forte.

Il dollaro come valuta di fatturazione. Guardiamo questo grafico: in cosa è fattura il commercio internazionale?

Il commercio internazionale è fatturato principalmente ancora in dollari. E in questo grafico in ascissa abbiamo la quota delle esportazioni dei vari paesi fatturate in dollari; e in ordinata abbiamo la percentuale di esportazioni verso gli Stati Uniti. Quindi dobbiamo stabilire quanto abbiamo fatturato: ed è chiaro che fatturiamo in dollari se vendiamo agli Stati Uniti → questo lo accettiamo. La Francia ha il 35% circa fatturato in dollari → ma la quota del commercio che va verso gli Stati Uniti è poco più del 10%. La spiegazione è che anche quello che non va agli Stati Uniti viene fatturato in dollari. Se siamo sotto la bisettrice: la quota della fatturazione in dollari è superiore alla quota del commercio internazionale che va negli Stati Uniti. Quindi questo è un’evidenza del ruolo dominante del dollaro nel commercio internazionale dei vari paesi.

Il Ruolo Internazionale del Dollaro

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Dollaro nelle transazioni finanziarie internazionali. Il dollaro ha mantenuto il suo ruolo di valuta dominante, di primaria valuta, anche dopo l’arrivo dell’euro. L’arrivo dell’euro non ha impattato più di tanto.

Possibili spiegazioni: l’inerzia nell’uso delle valute la dimensione e la stabilità dell’economia americana il ruolo del dollaro nel prezzare le materie prime e il petrolio

C’è inerzia perché il fatto di essere la principale valuta vuol dire avere anche il mercato più liquido avere il mercato più liquido vuol dire avere gli spread più bassi. Quindi se si è primi perché si è più liquidi → ma se si è i più liquidi si mantiene la posizione perché gli operatori hanno un vantaggio ad operare su mercati estremamente liquidi. In più c’è il fatto che tutte le materie prime sono prezzate in dollari. E quindi tutti questi fattori, uniti al fatto che gli Stati Uniti sono il paese più importante, il paese più stabile, il paese economicamente ancora primo del mondo (anche se lo sarà ancora per poco) → fanno sì che il dollaro mantenga questo ruolo e che ci sia questa inerzia, questa isteresi nel cambiare e nell’adottare le valute estere a livello internazionale.

Quali sono i vantaggi che gli Stati Uniti ricevono da questa dominanza?

5.2.

I vantaggi della valuta chiave Signoraggio internazionale (600 mld abroad e il calcolo del signoraggio) Maggiore protezione da shock esterni Riduzione dei costi di transazione nel commercio e nella finanzia internazionale Minore preoccupazione per il rischio di cambio Maggiore autonomia dagli “squilibri” macroeconomici (il disavanzo delle partite correnti)

Ultimo: possibilità di gestire in maniera più autonoma gli squilibri macroeconomici → pensiamo a quel famoso disavanzo di parte corrente, che viene finanziato dalla domanda di dollari che il mondo esprime e permette agli Stati Uniti di stare in un limbo per cui può registrare disavanzi di parte corrente senza doversi riaggiustare. Tutti questi sono vantaggi che vanno a favore del paese che emette la valuta internazionale più importante del mondo, la valuta di riserva principale.

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Capitolo 5

Luca: «Se la Cina ha in mano gli Stati Uniti perché detiene moltissime riserve di dollari, il dollaro è veramente così forte? » È una domanda che abbiamo lasciato aperta. Se la Cina ha tanti dollari → la stessa Cina ha interesse che il dollaro sia forte. E la Cina ha interesse che il dollaro sia forte anche per motivazioni di carattere competitivo. Però c’è un rischio, perché stare tutti su un unico paniere è rischioso. Il passaggio avverrà gradualmente. Però il renminbi come valuta internazionale deve fare ancora molta strada, perché ad esempio il settore finanziario cinese è estremamente arretrato, estremamente ancora chiuso, il renminbi non è una valuta paragonabile al dollaro da questo punto di vista. Quindi se l’economia cinese, come dicono le stime, diventerà nel giro di 10-15-20 anni la prima economia del mondo e se continua a questi livelli, anche se poi sarà difficile mantenere questi livelli di crescita una volta diventati più ricchi → e quindi diventerà il primo produttore a livello mondiale non è detto neanche che la sua valuta diventi subito la prima valuta a livello mondiale. Perché abbiamo visto che c’è molta inerzia e sono richieste anche delle caratteristiche di liquidità che lo yuan non ha e non riuscirà ad avere in breve tempo. Quindi è prevedibile che la Cina arriverà prima come economia, ma non necessariamente anche la valuta avrà quel tipo di rilevanza come il paese dovrebbe avere. Già oggi è così.

14/10 bis

Lezione sulla crisi in preparazione alla tavola rotonda

Simone: «Si parla di crisi dell’euro, però perché il valore dell’euro rispetto al dollaro è così elevato? Non dovrebbe essere meno forte in questo periodo?» In economia innanzitutto non ci sono le possibilità di fare gli esercizi “contro fattuali”, di sapere quale sarebbe stato l’esito dell’euro senza la crisi. L’economia non è una scienza come la fisica dove si possono fare degli esperimenti. Alla domanda è difficile rispondere. Dopodiché i tassi di cambio sono un meccanismo bilaterale il giudizio che abbiamo sul cambio euro-dollaro riflette le aspettative che abbiamo sull’euro, sia le aspettative che abbiamo sul dollaro. Ed è difficile dire quanta parte dipende dall’uno o dall’altro. E poi noi la chiamiamo crisi dell’euro, ma potrebbe magari portare all’uscita di un paese e l’euro rimanere → e a quel punto sarebbe un euro ancora più forte senza quel paese. Quindi non c’è una risposta precisa a questa domanda.

Luca: «Allora perché si chiama crisi dell’euro? semmai invece di crisi dell’eurozona è una crisi dei paesi del Mediterraneo?» Perché è una crisi dei paesi deboli che si stanno valutando su come si sopporta questo periodo di transizione, però è anche una crisi dell’area dell’euro perché questi titoli sovrani sono presenti nei portafogli di tutti i principali paesi. L’integrazione ormai ha raggiunto livelli tali che tutti i paesi ormai sono molto legati. Quindi in questo senso potrebbe essere una crisi che tocca tutti i paesi.

Il Ruolo Internazionale del Dollaro

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Prof: «Le banche come valutano, come prezzano i titoli nei propri bilanci?» Questa crisi mette in evidenza anche molti limiti della regolamentazione. Innanzitutto c’è un primo paradosso. Paradosso della ricapitalizzazione delle banche. Si parla di ricapitalizzazione delle banche perché hanno queste perdite potenziali nei propri attivi, tra i quali ci sono i titoli sovrani. Quindi devono aumentare il capitale per fronteggiare i rischi dei debiti sovrani. Ma i debiti sovrani, sulla base della regolamentazione dei principi di Basilea II devono detenere a fronte degli investimenti in titoli capitale dello 0%. Quindi qui dobbiamo ricapitalizzare qualcosa che la regolamentazione classifica come titoli in assenza di rischio e come tali non devono assorbire nessun capitale. Questo è un paradosso. Le banche devono tenere circa l’8% di capitale a fronte delle attività che hanno. La somma delle attività è ponderata per il rischio.

Peso a seconda del rischio dell’attività che consideriamo. Se una banca fa un prestiti ad un’impresa questo la banca deve detenere l’8% di capitale. Se questa attività è un titolo di stato italiano, che è considerato una attività senza rischio → questo . Quindi in teoria una banca può comprare tutti i titoli di stato che vuole, perché questi acquisti non le comportano un assorbimento di capitale. E adesso si parla di ricapitalizzare le banche perché hanno in portafoglio i titoli sovrani. Quindi c’è qualcosa di sbagliato nella regolamentazione: non bisognerebbe valutare a rischio zero qualcosa che in realtà si è visto che può essere rischioso. Capitale che devono tenere a fronte dell’investimento in titoli = 0%. E adesso i problemi sono sui titoli del debito sovrano. Titoli che ora si è dimostrato che possono essere rischiosi.

E questo è un primo punto. Per il secondo punto → non c’è una regola comune per tutti i paesi. Le banche hanno normalmente due tipologie di book dove registrano i titoli che hanno: Trading book → dove ci sono i titoli che le banche detengono ai fini della negoziazione. Chi vuole comprare un titolo lo chiede alla banca e lei se ce l’ha ce lo vende → e questo devo essere preso da qui. In questo libro i titoli devono essere valutati al prezzo di mercato: mark to market. Questo libro si aggiorna continuamente in tempo reale e la valutazione di quei titoli riflette la valutazione del mercato. In media contiene il 15% dei titoli delle banche.

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Capitolo 5

Banking book → dove ci sono i titoli in proprietà. La valutazione è lasciata in generale a modelli che le banche devono indicare. E quasi mai sono mark to market, ma più spesso al prezzo di acquisto. I titoli che la banca si impegna a tenere fino a scadenza vengono valutati al prezzo di acquisto → il che vuol dire che se il titolo è sceso nel mercato la banca una perdita che non sta registrando. E questo è un altro problema. Se tutti fossero mark to market, come dovrebbe essere, cioè valutati al giusto valore che dovrebbero avere → man mano che i titoli greci vengono prezzati dal mercato come titoli spazzatura → questo si dovrebbe riflettere nei bilanci delle banche e le banche dovrebbero evidenziare delle perdite. Però non è cosi → e questo è il motivo per cui si vogliono ricapitalizzare le banche, prima di far registrare alle banche queste perdite. Infatti il ruolo principale del capitale in una banca, il ruolo del patrimonio è quello di fare da cuscinetto per le perdite. Serve come garanzia contro le perdite: è un cuscinetto, un ammortizzatore che assorbe tutte le perdite che arrivano. E quindi deve essere capiente in modo da lasciare la banca solvente, cioè che il valore delle attività deve essere superiore a quello delle passività. Per questo è importante che ci sia patrimonio nella banca. E invece il settore bancario è il settore dove il capitale è il più basso → è il settore che lavora più a leva. L’8% non è niente. È molto poco.

Simone: «Gli stress test che vengono sottoposti in questi periodo alle banche per vedere se devono ricapitalizzarsi, vanno a valutare il valore dei titoli nell’attivo?» Gli stress test sono degli esercizi che mettono sotto sforzo le banche per vedere come reagiscono i loro bilanci ad uno scenario negativo. E vanno a vedere se c’è abbastanza capitale per assorbire le conseguenze di uno scenario negativo. Il punto è che gli stress test li hanno fatti recentemente, l’EBA la nuova autorità di vigilanza europea li ha fatti. Però gli scenari negativi non prevedevano questo hair-cut, questa riduzione del valore dei titoli di stato sovrani. E quindi è un mezzo esercizio.

Andrea Cecconi: «La Grecia potrebbe fallire come paese?» Prima bisogna precisare cosa vuol dire “fallire”. Fallire vuol dire non rispettare gli impegni presi. Ho sottoscritto dei contratti, mi sono obbligato a restituire certe somme pagando certi interessi con determinate scadenze Ad un certo punto non ce la faccio, e la Grecia è in questa situazione, e dichiaro che ho bisogno di rivedere le condizioni perché finanziariamente non ho le risorse. Quindi un paese sovrano può fallire, nel senso che può rivedere le condizioni del suo debito, con una iniziativa unilaterale o bilaterale. Di solito ci si mette d’accordo con gli elettori. Ma se guardiamo alla storia economia dei paesi, gli eventi di crisi, di default, sono molto frequenti. Anche se noi siamo abituati a vivere in un paese in cui queste cose non sono successe negli ultimi anni. La Grecia dal 1800 ad oggi è stata in default il 50% degli anni. Stare in default vuol dire che è stata in difficoltà e ha chiesto la ristrutturazione del debito → e la ristrutturazione ha interessato il 50% degli anni.

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Ci sono tre dimensioni per ristrutturare il debito: ⇾ Allungamenti delle scadenze; ⇾ Riduzione del valore nominale che si restituisce, l’hair-cut che si dà al capitale; ⇾ Revisione dei tassi di interesse.

Questi sono fenomeni molto più frequenti di quello che uno possa immaginare. Noi siamo nati in un periodo in cui i titoli di stato erano la cosa più sicura: oggi non è più così. Oggi si osservano addirittura dei paradossi: un titolo non di stato ha dei rendimenti più bassi di un titolo di stato. Questo come è possibile? Il titolo di stato dovrebbe essere il titolo meno rischioso → perché lo stato ha una capacità impositiva, può fare una legge per aumentare le tasse. Oggi osserviamo delle imprese che hanno titoli con rendimenti più bassi di quelli che offrono i titoli di stato dello stesso paese. E questa è una anomalia dei mercati. Questo per dire come il mondo può cambiare: quelli che erano dei titoli non rischiosi oggi non lo sono più.

Quindi la risposta è che la Grecia certamente può fallire, anzi forse DEVE fallire. La Grecia non solo ha un grande debito, ma ha i conti pubblici che non sono in ordine. Ancora non ha raggiunto un avanzo primario. Disavanzo pubblico = differenza tra entrate e uscite. Se teniamo fuori le uscite che servono a servire il debito, cioè gli interessi sul debito → abbiamo il cosiddetto saldo primario. Il debito di oggi di un paese è uguale al debito dell’anno precedente più gli interessi sullo stock di debito (l’onere del debito) più l’eventuale avanzo o disavanzo primario:

Si può dimostrare che, supponendo che questo sia in equilibrio,, il rapporto debito/PIL tende a crescere se il tasso di crescita del PIL è minore del tasso di interesse reale. Se è così è divergente, aumenta sempre.

Invece se il tasso di crescita del PIL è maggiore del tasso di interesse reale → il rapporto debito/PIL tende a stabilizzarsi. Se è così il debito è sostenibile.

La Grecia non ha mai avuto un avanzo primario.

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Capitolo 5

La Grecia ha ancora un positivo: spende più di quanto incassa, a prescindere dall’onere del debito. Quindi qui c’è un problema di aggiustamento serio, perché anche se dovesse dichiarare fallimento, deve essere in grado di trovare qualcuno che le finanzia il disavanzo primario. Quindi o lo annulla, ed è la cosa che dovrebbe fare, e quindi può fallire in pace perché non avrebbe più bisogno per un certo periodo dei mercati e quindi una ristrutturazione del debito può risolvere il problema. Ma se la ristrutturazione del debito non ha con sé un azzeramento o un avanzo primario → quel paese ha ancora bisogno dei mercati.

Un debito si può affrontare in quattro modi: ⇾ Con la crescita: ma non è il caso della Grecia. ⇾ Con l’inflazione: e non è il caso dei paesi che fanno parte dell’area dell’euro, perché non hanno più il controllo dell’inflazione. ⇾ Con il risanamento fiscale con un avanzo primario. ⇾ Con il default. Un avanzo primario si ottiene: o riducendo le spese o aumentando le entrate, o tutte e due. Con la differenza che, a parte la crescita che sarebbe la soluzione virtuosa, le altre tre soluzioni sono tutte ugualmente costose, con la differenza che distribuiscono i costi in maniera diversa. Se ci dovesse essere inflazione → si distribuiscono i costi in maniera diffusa, anche se ci sono gruppi di interesse, gruppi di cittadini che soffrono più di altri, a seconda di quanto i vari gruppi sanno difendersi dall’inflazione. Se c’è un default → il peso è tutto sui detentori del debito. Se c’è un risanamento fiscale → dipende dalla tipologia del risanamento, però anche qui sono costi che interessano diversi gruppi di interesse.

Andrea Cecconi: «Se la Grecia non paga, le banche italiane avranno problemi?» La Grecia non è che non pagherà, ristrutturerà → ristrutturando le banche soffriranno, chi più o chi meno. Pare che le banche francesi e le banche tedesche soffriranno di più, perché hanno più titoli greci. Ma la sofferenza è generalizzata, perché non c’è solo la sofferenza diretta. Qui ci sono più rischi da considerare: ⇾ C’è il rischio diretto: se la banca A ha i titoli in portafoglio deve registrare una perdita e quindi quella banca va in crisi. ⇾ C’è il rischio indiretto: se la banca A va in crisi, anche la banca B che magari non ha i titoli in portafoglio, ma ha rapporti con quella banca → va in crisi anche lei. RISCHIO CONTAGIO. Quindi qui c’è un altro livello più indiretto di rischiosità, di contagio, che interessa il sistema bancario. Con questa integrazione finanziaria che abbiamo fatto in Europa, le banche tra di loro sono molto legate, perché sono molto integrate e perché sono molto grandi. Le abbiamo fatte crescere molto, le abbiamo fatte indebitare tantissimo, le abbiamo mandate a leva in modi incredibili e quindi i canali di contagio sono numerosi.

Quindi la prima grande preoccupazione che ha l’Europa, non è solo per i cittadini greci, ma è anche per quello che succede nel resto dell’Europa via soprattutto banche. Perché le banche sono grandi e i tesori nazionali non hanno più le risorse per intervenire a sostegno delle banche. I debiti pubblici sono per gran parte detenuti da istituzioni finanziarie di non residenti. Quando si parla di non residenti → in minima parte sono famiglie estere, ma sono investitori istituzionali esteri. E i debiti sono tanti: i debiti dei PIIGS da soli pesano attorno al 50% di tutti i debiti dell’area dell’euro.

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Cioè i debiti di Spagna, Italia, Irlanda, Portogallo e Grecia, da soli, sono la metà del debito dei 17 paesi della Zona Euro. I paesi dell’Unione Europea sono 27. Quindi questi pochi paesi in difficoltà pesano molto.

È per questo che la sequenza che si dovrebbe seguire è quella di mettere prima in sicurezza le banche, e poi arrivare con la riorganizzazione dei debiti greci. E questo i gruppi di lavoro lo stanno facendo. E una strada potrebbe essere quella di cambiare le regolamentazioni. La perdita che le banche subiscono → si potrebbe permettere che venga spalmata negli anni. E a quel punto le banche rimarrebbero in piedi, rimarrebbero solvibili. E questo si è fatto in caso di crisi. Però non è così: nel momento in cui si riconosce una perdita, quella perdita deve essere contabilizzata e dal conto economico passa sul patrimonio. Quindi la sequenza dovrebbe essere quella di ricapitalizzare le banche, renderle più robuste, e quando hanno le spalle più robuste → si ristruttura il debito e la perdita le fa rimanere in piedi.

Luca: «Se si verificasse un’altra crisi come quella del 2007, una crisi di fiducia verso il sistema bancario, cosa succederebbe? Se ci fosse un’altra ondata così forte.» Ma c’è già. Sta succedendo. Cosa ha fatto la BCE recentemente? Ha fatto due cose. Il problema è che le banche non hanno liquidità perché non se la prestano più tra di loro → perché non si fidano più l’una con l’altra, perché non sanno cosa hanno in bilancio. Allora le banche mettono i soldi nel conto della BCE invece di prestarle alle altre banche commerciali che hanno bisogno di liquidità. Perdendosi anche: perché le BCE ha i tassi più bassi di tutti, ha il floor. Le operazioni di mercato della BCE normalmente hanno scadenza di qualche settimana, un mese temi normali devono servire solo a gestire gli squilibri temporanei di liquidità.

scadenza breve. In

Sulla liquidità la BCE ha fatto qualcosa di straordinario recentemente: ⇾ Dà liquidità con scadenza a un anno, due anni. Operazioni di rifinanziamento a scadenza più lunga. ⇾ Considera sicuri una gamma di titoli molto ampia → ha allentato la qualità delle garantire per rendere possibile il rifinanziamento anche alle banche che in portafoglio non avevano titoli molto sicuri. ⇾ Poi ha iniziato il Securities Markets Programme: programma per acquistare i titoli di stato dei paesi in difficoltà. Quando la banca centrale dà liquidità si fa garantire, vuole il famoso collateral. Collaterale: titoli a garanzia a fronte del credito che la banca riceve dalla BCE Questi titoli devono avere certe caratteristiche: devono essere titoli sicuri. La banca centrale non può intervenire sul mercato primario dei titoli → per statuto. Eccezionalmente può intervenire sul secondario. Con il Securities Markets Programme la BCE ha iniziato a comprare titoli di stato prima del Portogallo, dell’Irlanda e della Grecia, e adesso anche della Spagna e dell’Italia. E chi ha tenuto su lo spread e il valore dei titoli è stata questa della BCE. E la BCE quando ha iniziato questo programma ha detto che interviene comprando i titoli di stato, ma i governi si dovevano impegnare in certe politiche, ed è la BCE che doveva dire loro cosa fare.

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Capitolo 5

E qui la lettera di Draghi di qualche giorno fa e quella di Trichet questa estate, che hanno detto al governo italiano cosa doveva fare.

Luca: «Praticamente questa operazione consiste nel riempirsi le tasche di titoli tossici e avvelenare quello che era un patrimonio più nobile?» Prima di chiamarli titoli tossici il prof ci andrebbe un po’ cauto. Che ci siano dei costi nell’affrontare questa crisi è indubbio. Dobbiamo sempre pensare a cosa potrebbe succedere se le autorità rimanessero alla finestra. Lo scenario alternativo è una catastrofe. Quindi forse bisogna fare qualche cosa affinché questa catastrofe sia evitata. E questo qualcosa sarà costoso per le generazioni future.

Nell’articolo di Draghi c’è un po’ di ottimismo, anche se questi giorni le proteste si sono spostate verso la Banca d’Italia. Ma se c’è una istituzione in questo paese più sana delle altre che pensa al futuro anche dei giovani in parte è solo la Banca d’Italia, anche se ha le sue responsabilità, perché i regolatori sono loro. Problema dei limiti della regolamentazione delle autorità di vigilanza → dove ci sarebbero buoni motivi per essere critici. Ma qui c’è un fenomeno che è difficile da estirpare, che gli economisti chiamano “la cattura del regolatore”. Fenomeno della cattura del regolatore. Una autorità di settore deve essere autonoma sia rispetto alla politica, soprattutto quella monetaria, sia nei confronti dell’industria e del settore che regola, in questo caso delle banche. La Banca d’Italia è una autorità di settore → che ha funzione di banca centrale e funzioni di vigilanza. E allora siccome le banche sono dei soggetti potenti → cercano di influenzare il regolatore, l’autorità. E quando ci riescono “catturano” il regolatore.

Simone: «Ma questo è un controsenso. Perché i capitali della Banca d’Italia sono proprietà di un pool di banche italiane.» Sì, ma questo non vuol dire niente. Il capitale ufficialmente della Banca d’Italia è posseduto dalle banche italiane. Ma questo è un residuo storico, per come è nata la Banca d’Italia. Non è che l’influenza arriva perché sono nel capitale. La Banca d’Italia da questo punto di vista ha questa anomalia, ma non è condizionata perché ha in assemblea degli azionisti che condizionano il suo lavoro. Però le autorità, i regolatori, possono essere influenzate dall’industria, dalle lobby. E questo è un problema dove ci sono conflitti di interesse. E quello che la crisi ha insegnato è che le banche dovrebbero essere più regolate, e non solo le banche → dovrebbe essere più regolato l’intero sistema bancario ombra, che è completamente fuori dalla regolamentazione. E le banche dovrebbero essere obbligate a tenere più capitale, perché ne tengono troppo poco. Il punto è che adesso, in una fase di crisi così, trovare il capitale non sarà facilissimo.

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Andrea Cecconi: «I vantaggi del signoraggio vanno a favore della Banca Centrale o al paese? » Alla fine va al paese. In Italia funziona che la Banca d’Italia fa il suo bilancio, finanzia tutte le sue spese con le entrate che ha, quindi paga il personale, le autorità di vigilanza e se rimane un profitto → questo viene in parte trasferito allo stato. Quindi c’è un legame tra banca centrale e il tesoro. Però il signoraggio è poca cosa. Non si risolvono questi problemi con il signoraggio. Il total asset di Unicredit è più grande del PIL italiano se uno dovesse salvare Unicredit dove si prendono i soldi? Non serve a niente il signoraggio. E così per tutte le altre banche.

Andrea Savino: «Ma ci sono anche i CDS. Le banche hanno i soldi per pagarli? » Sì, ci sono. Ma bisogna vedere chi li rilascia, Se salta una banca forse queste forme di assicurazioni proteggono, ma se salta tutto il sistema non c’è niente che tira. Assicurazioni del depositi, ecc.

Simone: «E allora perché a livello europeo per finanziarie le crisi dei debiti sovrani alcuni non vogliono utilizzare gli Eurobonds? » Non è che non vogliono, in parte già ci sono. L’Europa sta rispondendo a questa crisi con quattro linee d’azione principalmente: ⇾ Intervento sulle politiche nazionali, cercando di far migliorare le finanze pubbliche. Un esempio potrebbe essere Draghi alla BCE che dice al governo italiano cosa deve fare: fai la manovra, aumenta le tasse, diminuisci le spese, pensa alla crescita. ⇾ Interventi della BCE a favore del sistema bancario. ⇾ Riforma della governance economia europea che non ha funzionato. Patto di stabilità: per entrare nell’euro c’erano delle condizioni, e per restarci ce ne erano delle altre. Il patto regola delle condizioni per restare nell’area dell’euro, e sono condizioni che non sono state rispettate. Perché con il discorso che è arrivata la crisi non c’è stato mai nessun paese sanzionato, nonostante che quasi tutti i paesi fossero fuori dai limiti. È iniziata dalla Germania e dalla Francia, dai paesi principali. Quindi una linea d’azione è riformare il Patto di stabilità principalmente, ed elaborarlo anche per creare un maggiore coordinamento a livello europeo. Qui ci sono tante proposte. Sul Patto di stabilità si è abbastanza avanti, ci sono delle modifiche sulle quali c’è accordo: riguardano una maggiore flessibilità del patto ma al tempo stesso anche un irrigidimento sul fronte delle sanzioni. ⇾ Fondo salva stati gli Eurobonds. Ancora ammontari piccoli. Adesso si chiama European Financial Stability Facitlity, ma diventerà una istituzione permanente European Stability Mechanism, una sorta di fondo monetario europeo che raccolga risorse emettendo dei bond. E questi bond sono attualmente una passività di questa istituzione che ha sede in Lussemburgo che è stata appena creata. Di questa istituzione fanno parte tutti i governi che fanno parte dell’area dell’euro, con le quote di sottoscrizione che hanno nella BCE. L’Efsf emette dei titoli, raccoglie risorse, e finanzia i paesi in difficoltà. Questa è una prima forma di Eurobond. Questo fondo è stato ampliato nell’ammontare di risorse che ha a disposizione ed è stato ampliato nelle finalità, nell’utilizzo possibile, perché questo fondo potrà comprare i titoli di stati dei paesi in difficoltà e potrà, in via eccezionale, dare soldi ai paesi affinché ricapitalizzino le banche.

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Capitolo 5

Simone: «Non era più opportuno che gli Eurobonds fossero emessi dalla banca centrale con varie proposte? » Ci sono tante soluzioni possibili. Il prof pensa che gli Eurobonds possono essere una soluzione, ma una soluzione parziale. Perché ci sono due problemi: ⇾ C’è un problema contingente per risolvere la crisi, e soprattutto la crisi di fiducia che si è creata. E questa è una cosa che deve essere risolta nei prossimi giorni o settimane, perché se noi continuiamo ad emettere al 5% i BTP la condizione è strarispettata e ad un certo punto i mercati non ce li compreranno neanche più al 5%, o non ce li compreranno più. Adesso il 5% si applica all’emissione marginale dei BTP, noi fortunatamente abbiamo un debito grande ma molto spalmato nel tempo, con scadenze medie di 7 anni, 7 anni e mezzo. Quindi quel 5% dell’asta dei BTP di questi giorni, che è il costo del finanziamento, non si applica a tutto il debito. Perché se fosse già così saremo già il default. Quindi non possiamo resistere molto pagando il 5,5% se cresciamo allo 0%. ⇾ Poi ci sono problemi di come si risolvono gli squilibri, assumendo che l’uscita dall’euro non sia fattibile. La risposta sarà quella che bisognerà cercare di accelerare sul fronte dell’integrazione politica.

Andrea Cecconi: «Se la BCE dà 100 euro a Unicredit, Unicredit alla Banca Centrale deve dare un titolo dello stesso valore o anche di più, ma alla Banca Centrale stampare 100 euro costa 1 euro mettiamo, e agli altri 99 euro dove vanno?» Il signoraggio non è tutto il potere d’acquisto che esprime la moneta, il signoraggio è solo il rendimento che quella passività non deve pagare e quindi il signoraggio è la differenza tra il tasso del circolante, che è zero (il costo della raccolta è zero) e il rendimento della moneta che viene investita, che sono ad esempio i tassi di interesse che la banca fa pagare quando finanzia una banca. Quindi il signoraggio è questo flusso di reddito. Praticamente il signoraggio permette alla banca centrale di raccogliere risorse a costo zero. Poi non è proprio a costo zero perché deve spendere qualcosa per produrre le banconote e per mantenerle, cioè ritirare quelle consunte, fare controlli sulle banconote false, ecc. Ma sono sempre costi molto bassi. E il fatto dei 99 euro → è una moneta fiduciaria, è un valore riconosciuto. Infatti in tutto questo discorso l’unica istituzioni che può intervenire per risolvere queste questioni è la banca centrale. La banca centrale ha il potere di creare tutta la liquidità che vuole, il limite è soltanto la non accettazione della moneta da parte del mercato, del pubblico, che se ne ha creata troppa dice che non vale più niente e quindi è tutta inflazione e allora regolano le transazioni in dollari. Però siccome le passività nell’area dell’euro sono in euro, se la banca centrale è disposta a stampare moneta → quelle obbligazioni le onorerà sempre, perché onorarle per lei è semplicissimo: basta creare moneta.

Silvia: «Lei che farebbe se fosse il ministro Tremonti? » Io direi alla Banca Centrale di garantire tutti i debiti. E questo calmerebbe il mercato immediatamente. Deve essere un annuncio credibile. Però si devono convincere che questa crisi di fiducia la può risolvere solo la Banca Centrale che dichiara di comprare tutti i titoli.

Il Ruolo Internazionale del Dollaro

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Il mercato si calmerebbe subito e la banca centrale non dovrebbe neanche acquistarli, perché il mercato capirebbe che c’è una istituzione che garantisce e che ha una potenza illimitata di creazione della liquidità, perché potenzialmente può stampare tutta la moneta che vuole. Ma il problema è che se la facciamo realmente stampare tutta questa moneta poi ci troviamo con tanta inflazione. Questo è un rischio. Ma l’alternativa è andare incontro ad una catastrofe. Quindi bisogna correre questo rischio. E questo rischio potrebbe essere limitato perché se il mercato crede a quello che dice la banca centrale smette di speculare sui titoli di stato italiani, ammesso che l’Italia venga considerato un paese solvente, e ancora lo siamo, cioè siamo in grado di onorare i nostri debiti, soprattutto se i tassi si dovessero riabbassare ad un livello normale. E quindi l’annuncio della banca centrale potrebbe da solo spegnere la crisi di fiducia. Poi rimane il problema dello squilibrio. Tremonti per dire i governi → questa è una decisione politica.

Gabriele: «Ma il governo non ha il potere di influenzare la banca centrale.» In teoria no, lo statuto della banca centrale dice che non può prendere ordini da nessuno, però di fronte ad una crisi che può essere devastante, si può mettere d’accordo con la politica. E la banca centrale è d’accordo di fare questo, è che a livello politico non c’è un consenso ancora unanime, si sta creando. In questo gioco delle parti si cerca anche si scaricare la responsabilità sui governi: la BCE salva i governi, ma loro si devono mettere in ordine. È un gioco che si sta portando avanti anche troppo a lungo, ma è anche un discorso complesso. La governance europea è quello che è: non c’è un governo europeo che si deve convincere da solo e fare le cose in un certo verso. Ma sono tanti governi diversi. In questo gli Stati Uniti sono molto avvantaggiati. La Federal Reserve quando c’era la crisi non ha avuto problemi, ha fatto quello che doveva fare: quantitative easing = promessa di comperare tutto quello che bisognava comperare, aumentando la liquidità con le riserve. Invece l’Europa lo sta facendo a piccoli passi e la questione si sta aggrovigliando.

Luca: «Standard & Poor’s oggi ha declassato la Spagna. Questo incide anche sulla solidità dell’Europa stessa? E a che livello? » Un po’ sì, sicuramente non fa bene. Sicuramente non è una buona notizia, queste agenzie facendo il loro mestiere dicono che c’è una accresciuta rischiosità, e questo si potrebbe ripercuotere sul costo del finanziamento e questo potrebbe essere pericoloso.

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Capitolo 6

6. INTEGRAZIONE FINANZIARIA INTERNAZIONALE 21/10

Perché dobbiamo occuparci di integrazione finanziaria? Non solo per analizzare un fenomeno che è cresciuto negli ultimi anni (ma non è un nuovo fenomeno). Ma prima di tutto perché il sistema finanziario e il suo grado di apertura influenza, attraverso diversi canali, la formazione e la distribuzione del reddito e della ricchezza a livello internazionale.

Parliamo delle tendenze nel lungo periodo, non di quello che succede nel breve, nelle oscillazioni, nelle frenate che ci sono normalmente in questi processi a causa delle crisi. Però se guardiamo la tendenza di lungo periodo, un orizzonte temporale di diversi decenni, notiamo che questo fenomeno dell’integrazione, della globalizzazione, dell’integrazione finanziaria internazionale è in grande crescita. Peraltro noi abbiamo visto qualche dato e abbiamo concluso e osservato che questa era una crescita degli ultimi anni. In realtà, cosa abbastanza interessante e forse inaspettata, è che questa integrazione finanziaria ha avuto dei precedenti lontani molto intensi. Lo vedremo meglio più avanti. Quindi non è fenomeno nuovo, anche se negli ultimi decenni si è sviluppata molto l’integrazione finanziaria, secondo anche delle modalità e degli aspetti nuovi che vedremo. Ma la vera risposta al perché ci dovremmo interessare di questo aspetto, perché dovremmo occuparti di IFI sta nella seconda parte della slide. Poi distingueremo come vuol dire apertura e cosa vuol dire integrazione. Apertura = possibilità che si sviluppi integrazione. Quindi si può avere un sistema aperto ma non integrato, oppure avere un livello di apertura diverso dal livello di integrazione. Quindi ci interessa l’IFI per i suoi effetti e le conseguenze che può avere sulla crescita economica di un paese. Vedremo che ci sono alcuni canali che hanno effetti benefici sulla crescita, e ci sono altri canali che invece rappresentano dei rischi e dei costi, e quindi che frenano la crescita.

Punti da trattare:

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Definizioni di integrazione finanziaria internazionale. Modalità dell’IF. Evoluzione e dimensione dell’IF. Cause di lungo periodo che spiegano il processo dell’IF. Perché occuparci di IF? I canali attraverso i quali l’IF può contribuire alla crescita o meno di un paese. Benefici e rischi dell’IF. Indicazioni su come misurare l’IF.

Integrazione Finanziaria Internazionale

6.1.

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Definizioni di integrazione finanziaria

Una definizione molto generale:

⇾ Esistenza di relazioni e iniziative nell’area finanziaria (tra regioni, paesi) tra i partecipanti al mercato e le istituzioni. Importante il riferimento non solo ai mercati, ma anche alle istituzioni. E questo è un concetto che riprenderemo nel corso Ruolo delle istituzioni finanziarie come elemento, un aspetto, dell’IF → cioè il fatto che non è soltanto la detenzione di strumenti finanziari in altri paesi che ha iniziato un processo complesso come l’IF. Quindi riguarda non solo gli strumenti, non solo i mercati, ma anche le istituzioni che governano questi diversi mercati nazionali.

Una definizione più quantitativa:

⇾ Misura in cui i paesi sono collegati attraverso la detenzione di strumenti finanziari cross-border (che interessano più paesi). (Dell’Arricia ed Al, IMF Occasional paper n. 264 2008)

Una definizione più stringente che fa riferimento ai mercati e ad partecipanti ai mercati (gli operatori):

⇾ Un mercato è pienamente integrato se tutti i potenziali partecipanti: Fronteggiano uno stesso insieme (set) di regole; Hanno un uguale accesso agli strumenti e ai servizi finanziari; Sono considerati (trattati) egualmente nel mercato. (Baele ed Al. ECB Occasional paper, n. 14 2004)

Ci riferiamo qui al mercato. Parliamo di istituzioni sono indirettamente, quando diciamo che un mercato deve fronteggiare uno stesso insieme di regole. E quindi mercati integrati devono seguire regolamentazione analoghe. E questo è relativamente più vero nel settore finanziario rispetto ad altri settori. Trattati in maniera uguale non c’è discriminazione. Se non c’è discriminazione tra partecipanti al mercato in mercati di diversi paesi → diciamo che quelle aree sono integrate. Ad esempio se una banca estesa deve aprire uno sportello e non è discriminata dal fatto di essere un operatore non residente in un altro paese → questo fa pensare che i due paesi sono aperti tra di loro e quindi possono essere considerati integrati tra di loro. Libertà di movimento → poi la vedremo quando parleremo delle modalità dell’integrazione finanziaria.

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Altre definizioni quantitative → che si riferiscono o ai prezzi o alle quantità.

Definizione basata sui prezzi:

⇾ I mercati sono considerati integrati quando vale la legge del prezzo unico. Questa definizione fa riferimento al fatto che tiene, è rispettata la legge del prezzo unico → cioè quando lo stesso bene ha lo stesso prezzo in diversi mercati. La legge per cui i prezzi sono gli stessi a prescindere dal domicilio geografico dell’acquirente o del venditore.

Definizione basata sulle quantità:

⇾ Due mercati sono integrati quando alcuni indicatori quantitativi raggiungono determinate soglie. Qui possiamo considerare diversi indicatori di carattere quantitativo, si tratta di prendere alcune poste dei conti con l’estero e vedere quanto pesano ad esempio le attività finanziarie sull’estero rispetto alla dimensione dell’economia che stiamo considerando. Però qui già siamo nel campo delle misure, piuttosto che una vera definizione. Possiamo dire che consideriamo integrati due mercati se tra di loro scambiano strumenti finanziari e diamo una misura dello sviluppo di questi scambi. Ma più che una definizione questa è una misurazione del livello raggiunto dall’integrazione, che si basa su alcuni indicatori quantitativi. Poi vedremo quali indicatori potrebbero essere presi in considerazione. Il fenomeno è complesso perché se pensiamo i sistemi finanziari sono a loro complessi, possono essere analizzati in diversi aspetti e da diversi punti di vista. Perché che cos’è un sistema finanziario? Come lo definiremmo? Come l’insieme degli operatori, delle regole che devono rispettare e degli strumenti utilizzati nei vari mercati. Ci sono già due angoli di osservazione diversi: operatori e strumenti. Un sistema finanziario come funzione di: strumenti finanziari, servizi finanziari, istituzioni finanziarie, mercati e regole. Sono tutti diversi elementi che ci fanno osservare diverse dimensioni del sistema finanziario. E allo stesso modo, parlando di integrazione noi possiamo riferisci a tutte queste dimensioni, a tutti questi aspetti del sistema finanziario per definire un processo di integrazione finanziaria. Quindi l’apertura del sistema può essere valutata sotto diverse dimensioni.

6.2.

Modalità di integrazione finanziaria

Noi ci focalizzeremo in particolare sull’analisi di due modalità dell’IF, entrambe relative alla possibilità di scambiare strumenti e servizi finanziari tra diversi paesi.

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E queste due modalità hanno a che fare con:

⇾ Internazionalizzazione dei servizi finanziari Intendiamo il processo attraverso il quale le discriminazioni tra istituzioni domestiche ed estere vengono rimosse e quindi tutte le istituzioni sono trattate ugualmente. Esempio: una banca estera può stabilire/istituire una sua branchia operativa oppure operare a distanza e offrire servizi in un altro mercato/paese, quindi entrare in un altro paese senza essere penalizzata È un po’ quello che succede in Europa con la creazione del mercato unico in ambito finanziario. Se pensiamo alla libertà di azione e di manovra che le istituzioni finanziarie europee hanno all’interno dell’Unione Europa possiamo concludere che i mercati sono sicuramente aperti e anche che sono effettivamente integrati. Il concetto di integrazione è la realizzazione, la parte realizzata, dell’apertura. L’apertura è una potenzialità e l’integrazione è una misura dell’apertura. Quindi noi potremmo avere dei mercati in cui non ci sono penalizzazioni e le banche sono libere di operare dove vogliono, ma poi magari continuano ad avere una concentrazione del loro business nel loro paese di origine. In questo caso diremmo che i mercati sono aperti, ma il livello di integrazione è una misura relativa. Quindi l’apertura dà una possibilità e l’integrazione misura le conseguenze e le realizzazioni di quella potenzialità. Ma potremmo avere il caso opposto: sistemi che sono chiusi ma che sono tra di loro parzialmente integrati. Pensiamo a dei casi in cui potrebbero esserci delle restrizioni e dei divieti ad operare all’estero. Questo è stato anche il caso italiano che fino agli anni 70 non esportava capitali. C’era un problema di difesa della lira: noi avevamo l’inflazione più alta che in altri paesi e quindi la nostra moneta tendeva a deprezzarsi e per proteggere il cambio c’erano delle restrizioni valutarie. In questo caso non potevamo dire che l’Italia finanziariamente fosse aperta, perché c’erano dei divieti. Però gli operatori cercavano di aggirare queste regole e portare magari i soldi all’estero,. Quindi da un punto di vista effettivo, pratico, potevamo osservare una certa integrazione finanziaria, perché in Svizzera o in Francia o in Germania c’erano molte attività di residenti italiani che magari erano state portate in maniera illegale all’estero. Questo è il caso opposto di una situazione di integrazione parziale finanziaria in assenza di un’apertura. Quindi apertura e integrazione sono strettamente legate, ma concettualmente sono due cose diverse. Quindi l’internazionalizzazione dei servizi finanziari è un processo che non discrimina tra operatori e dà la possibilità agli operatori del settore di operare anche in altri mercati. Pensiamo alle banche, aspetto più importante di questa modalità.

⇾ Liberalizzazione del conto finanziario (capital account) – liberalizzazione dei movimenti di capitali L’idea è che non ci debbano essere restrizioni sugli investimenti all’estero e al tempo stesso ci deve essere una piena convertibilità della valuta locale in valute estere. Quindi una libertà di scambiare la valuta locale con altre valute → e la convertibilità è un presupposto. Perché per fare un investimento all’estero io devo comprare attività denominate in valute estere nella grande maggioranza dei casi. Quindi ci deve essere la possibilità di convertire la valuta domestica in valuta estera. E questa possibilità deve essere lasciata alla libera iniziativa degli operatori.

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6.3.

Evoluzione e dimensione dell’IF

Adesso diamo qualche indicazioni di massima e anche qualche dato su come questi processi si sono tradotti in effettiva integrazione nel corso del cambio, di come è cambiata e di come si è evoluta l’integrazione e cercheremo di farlo con una panoramica rapidissima su quello che è successo nel mondo nell’ultimo secolo. Innanzitutto segnaliamo che l’integrazione finanziaria non è un processo, un fenomeno soltanto recente, ma è un fenomeno che, con modalità diverse, ha interessato alcuni paesi già molto tempo fa. Grafico: grado di apertura commerciale di un paese.

Ma tutte le volte che c’è un’apertura commerciale → c’è poi anche un risvolto finanziario. Dati che spaziano in quasi tutto il 1900 e partono dal periodo precedente allo scoppio della prima guerra mondiale quando nell’economia soprattutto europea alcuni grandi paesi europei (Germania, Francia, Inghilterra, Olanda,…) avevano sviluppato un livello di integrazione reale e finanziaria molto molto elevato. Questo fenomeno era confinato a questi grandi paesi, però è interessante vedere che prima dello scoppio della guerra, cioè dopo questi 30-40 anni di grande crescita delle economie europee in cui c’erano dei cambi fissi, si è verificato un grande sviluppo dell’integrazione. E vediamo che i livelli di integrazione commerciale per la Gran Bretagna, ma anche per la Francia, a distanza di un secolo, a fine 900 → le economie si ritrovano ad avere un livello di apertura analogo ai livelli quasi di inizio secolo. In mezzo c’è tutta la fase della guerra e tra il periodo tra le due guerre in cui c’è la caduta del commercio internazionale. Svalutazioni competitive, integrazione che si riduce enormemente → queste sono le effettive esportazioni e importazioni sul PIL, quello che effettivamente è stato fatto sarebbe meglio parlare di grado integrazione e non di apertura. E poi le cose sono riprese dagli anni ‘50 in poi, dal secondo dopoguerra c’è uno sviluppo del commercio internazionale in cambi fissi. La crescita riprende nel dopoguerra, quando i paesi interessati crescono di numero, arrivano l’Italia e il Giappone, arrivano paesi che erano rimasti al margine dello sviluppo nei periodi precedenti.

Grafico: opening up merchandise trade (IMF OECD). In questo grafico vediamo ad esempio cose analoghe. Confronto tra fine secolo (1996) e inizio secolo sugli investimenti diretti all’estero sul PIL. E di nuovo vediamo che per l’olanda, per l’Inghilterra, per la Francia, per la Germania, non per gli Stati Uniti, gli IDE all’inizio del secolo erano ben maggiori di quelli che si osservano a fine secolo. E questo testimonia di un’integrazione tra questi grandi paesi che era molto sviluppata prima della prima guerra mondiale. Questa prima ondata di parziale integrazione, globalizzazione, che però era confinata ai primi anni del secolo.

Grafico: stay at home – stocks of outward foreign direct investment, % of GDP. Integrazione che cresce a fine secolo, nei primi anni del 1900 e poi si interrompe bruscamente perché scoppia la guerra, periodo della grande depressione e periodo di rallentamento nel grado di integrazione finanziaria e reale dei paesi. Poi arriva il secondo dopoguerra, arriva Bretton Woods → arrivano tre decenni di cambi fissi.

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Durante questo periodo le economie e i settori reali crescono molto, mentre quelli finanziari crescono relativamente poco, anche perché c’erano delle restrizioni che proteggevano il sistema dei cambi fissi. Quindi i movimenti di capiti dagli anni ‘50-60 fino ai primi anni ‘70 erano molto regimentati, controllati, vietati. Proprio perché si pensava che i movimenti di capitali potessero disturbare la tenuta dei cambi fissi. Quindi nelle misure di integrazione in quel periodo c’è una divaricazione: da un lato le economie reali e il commercio internazione che si sviluppano, mentre l’integrazione finanziaria rimane in sordina. Le cose cambiano in maniera molto energica quando vengono abbandonati i cambi fissi, si passa a cambi flessibili, e i paesi cominciano a liberalizzare gli scambi finanziari, e cominciano a rendere possibili l’internazionalizzazione dei servizi finanziari. comincia a svilupparsi una integrazione finanziaria in modo molto significativo. L’altra cosa che succede è che questa integrazione si allarga ad un novero di paesi più ampio. Mentre i primi dati valgono solo per i grandi paesi europei, negli anni ‘80-90-2000 il processo di integrazione si allarga, cambia aspetto, cresce e interessa un numero crescente di paesi. Questa è una prima differenza: l’interessamento del numero dei paesi che cresce. Poi un’altra novità che si osserva in questo periodo è la crescita dei flussi lordi. In passato erano i flussi netti che crescevano. E negli anni ‘80 e 90 si osserva una crescita dei flussi lordi → ci sono flussi che entrano e che escono, i paesi diventano più interdipendenti, e le direzioni dei flussi finanziari sono sia in entrata che in uscita. Quindi se andiamo a misurare il fenomeno osservando i movimenti lordi vediamo delle masse che crescono in maniera incredibile. Mentre i flussi netti, la differenza tra entrata e uscita, rimangono più contenuti, ma sono anch’essi crescenti. Poi si potrebbe anche leggere l’integrazione sulla base di quelli che sono i diversi strumenti finanziari che alimentano il processo di integrazione. E anche qui ci sono cambiamenti, nel senso che in passato erano soprattutto i movimenti di capitali di lungo periodo, gli investimenti diretti all’estero che erano prevalenti. Grandi investimenti che andavano a finanziarie e sviluppare grandi progetti: le infrastrutture (ferrovie, settore energetico), le grandi industrie che nascevano in quel periodo. Invece nell’integrazione finanziaria più recente sono altri strumenti finanziari che crescono in maniera più sostenuta: in particolare sono gli investimenti di portafoglio, i prestiti bancari, e nel dopoguerra sono anche i prestiti ufficiali, i prestiti che arrivano dagli organismi finanziari internazioni che cominciano ad essere molto attivi. Questi organismi vengono istituiti nel secondo dopoguerra e che negli anni ‘50-60-70 hanno un ruolo molto importante anch’essi per spiegare l’integrazione finanziaria.

Queste sono tendenze di lungo periodo. Poi ci sono state sempre della grandi frenate in concomitanza delle crisi finanziarie: quando scoppia una crisi i flussi si fermano.

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Grafico: totale dei flussi finanziari netti e dei flussi di IDE di selezionate economie di mercato emergenti Dal 1985 al 2005: vent’anni di flussi netti verso i paesi emergenti. Flussi finanziari netti totali e tot-line degli investimenti diretti all’estero.

Questo grafico ci fa vedere due cose. La prima è che nel 1996 scoppia la crisi asiatica i flussi netti, dopo questa crescita esponenziale, cadono. E restano ad un livello molto basso per degli anni. Mentre gli investimenti diretti all’estero sono molto meno volatili in occasione delle crisi finanziarie gli investimenti diretti all’estero non scompaiono, perché smantellare degli IDE è molto costoso, l’orizzonte di un IDE è sempre di lungo periodo → sono scommesse sul futuro di un paese/industria/settore. E vediamo che dopo la crisi asiatica gli investimenti di portafoglio crollano, ma gli investimenti diretti all’estero continuano a crescere, sono molto più stabili. Prima dicevamo che l’integrazione finanziaria negli ultimi decenni, nel 1990-2000, ha interessato un numero maggiore di paesi → però siamo sempre nell’ordine di pochi paesi. Se parliamo di integrazione finanziaria, il mondo ancora annovera tra i paesi finanziariamente integrati, un gruppo di paesi crescente ma ancora abbastanza limitato. Nel senso che anche tra i cosiddetti paesi emergenti, che sono un gruppetto di paesi che spiegano la componente più importante di questi flussi in questo processo di integrazione.

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Grafico: concentrazione dei flussi di capitali tra gli utenti dei più grandi paesi in via di sviluppo. Questo grafico ci fa vedere come sono concentrati pochi paesi: Cina, Brasile. Dati degli anni 2000, non aggiornati. Ma se li guardassimo oggi sarebbe più o meno lo stesso. Quello che vogliamo dire è che ci sono più paesi interessati, ma ancora sono pochi paesi che spiegano le grandi quote del processo di integrazione.

Questa è la torta degli investimenti diretti all’estero. E vediamo che 5 paesi spiegano i 3/4 della torta e 1/4 è spiegato da tutti gli altri. Nel mondo abbiamo più di 200 paesi. Quindi è un fenomeno abbastanza concentrato.

Questa è la torta degli investimenti di portafoglio. Anche qui tutti gli altri paesi spiegano il 24%. Fenomeni molto concentrati.

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Vediamo dati più recenti. Grafico: Afflussi e deflussi di capitali lordi e flussi netti – nelle economie avanzate e nelle economie emergenti. Sono tutti dati del FMI.

Dati per le economie industriali, e arriviamo fino al 2009. Si vedono due cose. Innanzitutto si vedono le grandi differenze tra valori netti e valori lordi. Il valore lordo è la somma degli afflussi e dei deflussi e quindi è la distanza tra i due estremi. Gli afflussi e i deflussi sono quasi speculari i valori netti quasi si annullano. Infatti i flussi netti sono la linea nera. La crescita enorme dei flussi lordi tra le economie avanzate non è osservabile in termini netti.

E poi qui si vede la crisi. La crisi finanziaria annulla i flussi lordi → e questo è un altro esempio di frenata dell’integrazione. Però queste sono frenate che nella storia decennale, secolare, sono episodi che ci sono sempre stati. Almeno così è sempre stato finora. Dopo le crisi questi afflussi hanno ripreso vigore e si sono di nuovo sviluppati. Si vedono anche adesso, anche se questa volta i costi sono stati molto elevati, hanno interessato i paesi ricchi in maniera forte, mentre le crisi precedenti erano soprattutto delle crisi dei paesi più poveri, dei paesi emergenti. Quindi qua è possibile che ci sia un ripensamento sulla rischiosità di avere una integrazione finanziaria con queste caratteristiche. Però era importante fare vedere la differenza tra l’impegno lordo e questa crescita esponenziale prima della crisi questa caduta improvvisa, quasi un azzeramento durante la crisi.

Se guardiamo i dati per le economie emergenti. Questo è un fenomeno che abbiamo già studiato: variazione delle riserve ufficiali e del fatto che se mettiamo in conto anche le riserve i paesi emergenti sono esportatori netti di capitali.

Quindi questi grafici ci fanno vedere la follia pre-crisi.

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Grafico: Attività e passività finanziarie sull’estero. Questa è la crescita di un indicatore di integrazione finanziaria. Attività e passività sommate relative al PIL → è una misura dell’integrazione. Questi valori sono 5 volte, 10 volte e 15 volte il PIL. E vediamo i paesi che sono schizzati, che sono quelli che poi hanno avuto i problemi maggiori. Il viola che è cresciuto di più è l’Irlanda, che poi ha avuto una crisi importante dove le banche irlandesi sono crollate quasi tutte. Il verde è l’Islanda, che lo stesso ha avuto una crisi bancaria sistemica che ha distrutto tutte le banche. La crescita che c’è negli ultimi 10 anni caratterizza un periodo di sviluppo sistemico del sistema finanziario e del suo grado di apertura.

Noi finora abbiamo parlato di sistema finanziario, ma un grande problema che è venuto fuori con la crisi è l’importanza di questo SHADOW BANKING SYSTEM → sistema bancario ombra, quello che non è regola, quello fatto di operatori che essendo nuovi e diversi dalle banche tradizioni non sono parte della sfera della regolamentazione che è stata pensata principalmente per le banche e per pochi altri operatori finanziari.

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E questo misura il concetto di INTERCONNECTEDNESS, che è l’interconnessione tra i paesi tramite i sistemi bancari tradizionali e tramite i sistemi bancari ombra. Quanto è più grande il canale, la sfera, che li lega e tanto più ci sono legami. Ci sono misure empiriche quantitative fatte da uno studio del fondo monetario. E vediamo che nel sistema ombra chi fa la parte del leone sono gli Stati Uniti. E poi ci sono Inghilterra, Francia e poi c’è il Lussemburgo: un piccolo paese che è un grande centro finanziario che è molto potente e molto sviluppato in questo ambito. Nel sistema bancario tradizionale i tre grandi blocchi sono: Germania, Francia, Gran Bretagna. E qualcosa Stati Uniti, Svizzera, Giappone e Olanda. Nel sistema bancario ombra tutto cambio: gli Stati Uniti hanno una grande fetta del sistema ombra, da cui sorgono i problemi. Perché i problemi sono arrivati dagli intermediari non regolati.

Dati: peso delle banche estere. Abbiamo parlato di internazionalizzazione dei servizi finanziari e lo abbiamo centrato, anche come esemplificazione, nel sistema bancario. Anche qui ci sono grandi novità negli ultimi anni. Questo non è aggiornato, ma sono importanti. Sono le quote delle banche estere nei sistemi bancari nazionali. Mettono in evidenza questa grandissima crescita nel 1999 e nel 1994. È un decennio importante questo, perché è il decennio in cui finiscono tutte le economie socialiste, tutte le economie pianificate saltano negli anni ‘90. Se ne vedono alcune, per esempio l’Ungheria. Se questi dati li riportiamo ad oggi, il peso delle banche estere che qui in Ungheria è pari al 55% → se lo misuriamo oggi è oltre il 90%. In tutte le economie in transizione, che sono passate da un regime pianificato ad un regime di mercato, c’è stata un’invasione, un’entrata massiccia, da parte delle banche estere. E si capisce abbastanza, perché se le banche come noi le intendiamo non esistevano nel sistema socialista. Quindi quando queste economie sono diventate economie di mercati, a parte alcuni scotti iniziali quando hanno cercato di sviluppare le proprie banche → si sono aperti ai sistemi finanziari di altri paesi. Se andiamo in Polonia, Albania, Cecoslovacchia, ritroviamo principalmente delle banche estere. La stessa cosa che era successa prima, per altri motivi, ma non con questa dimensione, nelle economie dell’America Latina.

Qui ci sono dati più aggiornati presi dalla BRI. E qui abbiamo un primato nostro come paese, soprattutto nell’Europa. Queste sono le quote di questi paesi: Italia, Austria, Stati Uniti, Germania e Belgio nell’Europa Centra e Orientale. Quindi chi ha investito nelle economie in transizione. Il paese che più ha investito nell’area centrale-orientale, anche se siamo arrivati tardi, è l’Italia. In particolare con due grandi banche: Unicredit e Banca Intesa. Prima sono arrivati i tedeschi, gli austriaci e gli olandesi, e poi sono arrivati gli italiani e gli altri

E questa è una spaccatura in termini di paesi in America Latina. Qui il primato è della Spagna. Noi tanti anni fa siamo usciti da quel mercato: le banche italiane hanno venduto in America Latina e comperato in Europa.

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26/10 Signoraggio. La BCE definisce il signoraggio come il suo reddito monetario derivante dalla differenza tra il rendimento del suo attivo meno il costo del suo passivo, che è praticamente nullo, che sono banconote in euro. Poi da altre parti potremmo aver trovato questa definizione: la variazione della quantità di moneta in termini reali, dove bisogna togliere i costi di produzione.

Che è equivalente al tasso di inflazione applicato alla quantità reale di moneta.

Nell’ipotesi accettata che nel lungo periodo il tasso di inflazione sia pari al tasso di variazione della moneta, abbiamo la definizione di signoraggio che si trova sui libri. Quello che la BCE considera come reddito è la differenza tra il rendimento delle AF che ha in portafoglio meno il costo della raccolta, che possiamo ipotizzare come costo di produzione della moneta. Torniamo all’integrazione finanziaria. Oggi vedremo le cause di lungo periodo che spiegano il processo dell’IF, che determinano l’integrazione finanziaria. E poi risponderemo alla domanda del perché occuparci dell’IF e vedremo come l’IF influenza la crescita, e quasli sono i canali di contatto tra IFI e crescita economica del paese.

6.4.

Le determinanti dell’apertura e dell’integrazione finanziaria

Il fatto stilizzato più importante: l’associazione positiva tra apertura finanziaria e livello dei redditi pro-capite. a) Il sottosviluppo dei mercati vincola la quantità di risorse finanziarie per l’investimento. b) La presenza di un peg sul cambio può giustificare la presenza di controlli. c) L’esistenza di controlli come strumenti di tassazione implicita (vari vincoli amministrativi sulle banche… l’esistenza di una banca centrale indipendente). d) Democrazia e apertura (diritto di poter disporre liberamente delle proprie risorse finanziarie)

I paesi più ricchi tendono ad essere finanziariamente più aperti e più integrati. E questo lo si può capire guardando diversi aspetti: a) Per esempio è chiaro che il sottosviluppo dell’economia vincola anche il livello di risorse finanziarie che può essere presente in un sistema. b) Un altro aspetto può avere a che fare con i regimi di cambio, perché come abbiamo già in parte menzionato l’obiettivo di mantenere il tasso di cambio fisso giustifica una minore apertura, una minore mobilità del capitale. Noi questo elemento lo abbiamo toccato quando abbiamo spiegato gli andamenti dell’integrazione finanziaria in relazione ai tassi di cambio tra le grandi economie. E abbiamo detto che lo sviluppo dell’IF accelera negli ultimi de-

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cenni, dagli anni ‘70 in poi, quando guarda caso il regime dei cambi fissi viene abbandonato dalle principali valute e insieme parte un’ondata di liberalizzazioni finanziarie, di apertura, di convertibilità e di maggiore mobilità dei capitali proprio perché è venuta a mancare una motivazione per la quale prima i tassi di cambio venivano controllati, ovvero quello di non creare problemi eccessivi ai tassi di cambio. E normalmente questi peg sono più diffusi tra i paesi più poveri. c) Questo vuol dire che nelle economie meno sviluppate sono anche più frequenti fenomeni di repressione finanziaria, cioè di controlli sul sistema finanziario giustificati dal fatto che questi controlli possono produrre anche delle forme di rendite, soprattutto a favore dello stato e a favore del sistema finanziario locale. Cioè attraverso questi controlli si può estrarre dal sistema economico un livello di redditi più alto. E se leggiamo l’altra parte della medaglia di queste affermazioni ci ritroviamo alcuni benefici dell’IF, che vedremo più avanti, ovvero il fatto che la presenza di un’apertura finanziaria internazionale rendere meno efficaci certi meccanismi che possono appunti servire ad estrarre delle rendite. Per esempio un’economia chiusa, non integrata finanziariamente, se i cittadini non hanno la possibilità di investire all’estero lo stato può gestire una situazione in cui i tassi di interesse reali possono essere anche negativi. Se il principale debitore è lo Stato, e questo molto spesso accade → lo stato si appropria di tassi di interesse negativi e quindi di un costo dell’indebitamento più basso. Invece un’economia integrata, aperta, i rendimenti che lo stato deve pagare sul proprio debito pubblico devono essere in linea con quella che è la rischiosità che riflette quel debito e si indica con i rendimenti nei mercati internazionali, altrimenti gli investitori si sposteranno all’estero. Allora se queste possibilità non ci sono è più facile per il governo estrarre delle rendite da questa situazione di chiusura. Oppure vincoli che riguardano il sistema bancario. d) E poi un altro aspetto generale che possiamo ricordare è che il livello di integrazione finanziaria va in qualche modo quasi di pari passo (o comunque è associato) con lo sviluppo della democrazia: nel senso che si riconosce ai residenti/cittadini di poter disporre liberamente delle proprie disponibilità finanziarie. E in questa libertà ci sta anche di impegnare e di fare scelte di portafoglio che interessano anche altre valute o altre destinazioni. Quindi lo sviluppo della democrazia economica si accompagna allo sviluppo dell’integrazione finanziaria. Sarebbe una limitazione dei diritti dei cittadini quello di chiudere le frontiere e creare un’economia finanziariamente chiusa all’estero.

Questi ragionamenti si accompagnano ad altri trend che, associati a quello che abbiamo appena detto, ci fanno capire perché l’IFI si sia così sviluppata negli ultimi decenni.

Questi risultati spiegano il trend recente e generale verso una maggiore apertura finanziaria: Dalla repressione finanziaria alla liberalizzazione dei mercati finanziari domestici; Minor rilevanza dei cambi fissi; Maggiore autonomia delle banche centrali; Processi di democratizzazione diffusi.

Ad esempio l’IFI si è molto sviluppata negli ultimi decenni proprio perché nella maggior parte dei paesi si è passati da situazioni di repressione finanziaria a situazioni di liberalizzazione dei mercati finanziari, e questo è un qualcosa che è successo nella maggioranza dei paesi negli ultimi tempi. Poi perché i cambi fissi hanno perso rilevanza, e infatti le principali valute del mondo non sono più in cambi fissi.

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Poi per quanto riguarda l’autonomia delle banche centrale c’è da dire che sono stati bloccati i processi inflazionistici. I processi inflazionistici sono una componente di quella repressione finanziaria che permette allo stato di estrarre rendite dalla propria economia attraverso della tassa sull’inflazione ad esempio. Una delle modalità attraverso le quali è stata sconfitta l’inflazione negli anni ‘70 è stata il passaggio verso banche centrali, che hanno il potere di controllare la moneta, più autonome, quindi indipendenti dal potere politico. La maggiore autonomia delle banche centrali rappresenta un fenomeno tipico degli ultimi due decenni del secondo scorso, quindi anni ‘80-90 nei principali paesi, ma poi così è stato anche in tutti gli altri paesi → questa tendenza ad avere autorità monetarie indipendenti dal potere politico è una tendenza a livello mondiale. Ed è un qualcosa anche raccomandato dagli organismi internazionali, dove intervengono a sostegno di economie più deboli. Quindi questo fenomeno delle banche centrali indipendenti è un qualcosa di relativamente recente. Dopodiché per quanto riguarda i processi di democratizzazione diffusi → è il fatto che ci sono sempre più paesi governati da regimi democratici, e abbiamo detto prima che la democrazia economica si lega, si associa, anche a questa maggiore libertà nelle scelte finanziarie e quindi la possibilità di poter investire all’estero e quindi integrarsi finanziariamente con il resto del mondo.

Poi ci sono, sempre nell’ambito di fenomeni di lungo periodo, quelle che vengono individuate come determinanti secolari, nel senso che sono cause che hanno sviluppi di lungo periodo e che sono osservabili in lunghi tempi.

6.4.1. ⇾ ⇾ ⇾ ⇾

Determinanti “secolari”

La crescita del commercio internazionale. Maggiore diffusione delle economie capitalistiche (economie in transizione). Ruolo delle organizzazioni finanziarie internazionali. L’emergere di lingue, monete, culture e istituzioni comuni (si abbassano le barriere economico-giuridiche e informative).

⇾ Il ruolo del progresso tecnico.

Crescita del commercio internazionale → vuol dire che lo sviluppo del commercio internazionale porta con sé anche un qualche sviluppo della sfera finanziaria. La cosa più semplice da pensare sono i pagamenti e anche tutti i servizi finanziari che hanno a che fare con le transazioni economiche reali fanno parte del sistema finanziario (mondo delle assicurazioni, copertura dei rischi di cambio, ….). Sono tutti servizi finanziari che si associano allo sviluppo della sfera reale, e quindi del commercio internazionale e quindi comportano uno sviluppo anche del settore finanziario.

Maggiore diffusione economie capitalistiche rispetto alle economie pianificate → le economie pianificate non esistono quasi più. Questo fenomeno che si osserva nell’arco di decenni, e chiamarlo “secolare” è un po’ più impegnativo, se pensiamo com’era il mondo degli anni ‘50-60 e com’è oggi nei termini di paesi in cui troviamo economie di mercato e paesi in cui c’è ancora un’economia socialista: la differenza è abissale. Fino agli anni ‘80 c’erano decine di paesi che avevano economie pianificate, dove quasi per definizione lo sviluppo del sistema finanziario è molto molto meno importante. Perché la funzione principale del sistema finanziario è quella di

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allocare le risorse → mentre questa funzione nelle economie pianificata non è demandata al sistema finanziario, ma è accentrata nelle funzioni del pianificatore centrale, che determina quali devono essere i settori, le industrie e i progetti che devono essere finanziati. Quindi in un’economia pianificata non c’è proprio il sistema finanziario così come noi lo conosciamo. Quindi questi passaggi si sono osservati dalla caduta del muro di Berlino in poi. Caduta del muro di Berlino: vero spartiacque. Grande evento che ha cambiato la ripartizione del mondo tra economie di mercato e economie pianificate, non solo in Europa, ma in tutto il mondo. A partire da quella data il numero di paesi gestiti secondo i principi delle economie di mercato è di gran lunga cresciuto e oggi la quasi totalità dei paesi ha economie di mercato. Quindi questo ha voluto dire trasformazioni non solo delle economie, ma sostituzione e crescita dei sistemi finanziari. In questi paesi sono stati costruiti da zero dei sistemi finanziari, nel senso che noi diamo oggi a questo termine.

Ruolo delle organizzazioni finanziarie internazionali → in questi processi di trasformazione istituzioni come il FMI, la BM, le banche internazionali di sviluppo regionali, hanno avuto un ruolo importante nel promuovere, almeno fino alla crisi asiatica, anche i processi di liberalizzazione finanziaria. Dopo sono diventati più cauti nel raccomandare questi processi. Ma sicuramente hanno avuto un ruolo nell’accompagnare i paesi nella transizione tra economia pianificata a economia di mercato. Hanno avuto un ruolo nello sviluppo più in generale dell’economia del mondo, nel commercio, nella finanzia. Quindi possiamo citarli come una delle concause di questa maggiore IF internazionale.

L’emergere di lingue, monete, culture e istituzioni comuni → è un qualcosa che accompagna i processi di globalizzazione. Ruolo del progresso tecnico → anche questo accompagna i processi di globalizzazione. L’idea è che ci sono molti canali di trasmissione attraverso i quali la diffusione della lingua inglese e del progresso tecnico e tecnologico e nel più lungo periodo il ruolo di alcune monete dominanti che facilitano gli scambi: sono tutti elementi che abbattono gli ostacoli, le barriere alla crescita economica, e alla integrazione tra i paesi, inclusa quella finanziaria. Si abbassano le barriere economico-giuridiche e informative → pensiamo al ruolo dell’informazione. Per decidere se investire in un altro paese abbiamo bisogno di informazioni. Il progresso tecnico e la diffusione di tecnologie come il web hanno sicuramente abbassato queste barriere informative e permesso l’accesso a mercati e paesi anche molto lontani. In finanza si chiama il bias nei confronti del proprio paese, gli investimenti finanziari. Gli investitori tendono a privilegiare strumenti finanziari emessi nel proprio paese. E questo ha a che fare con questo ultimo punto. HOME BIAS = tendenza degli investitori a privilegiare il proprio paese nella gestione dei propri portafogli. Questo dipende da una insufficienza, una scarsità di informazioni che riguardano gli altri paesi, principalmente. Si sceglie di comprare un’azione italiana e non cinese perché avere informazioni sulle regole che normano quell’acquisto, quell’impresa, quei mercati, diventa più complicato se i mercati, le imprese, i regolamenti e le norme sono di altri paesi. Quindi gli investitori tendono a privilegiare gli investimenti interni, anche a discapito di quelle che sono considerazioni di gestione del portafoglio, quindi rendimenti, liquidità e rischiosità. Questo home bias si è ridotto nel tempo proprio perché si sono sviluppati ulteriormente questi fattori: le informazioni, la conoscenza di lingue e culture comuni, e in alcuni casi anche di istituzioni comuni sovranazionali.

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Tutto questo ci può aiutare a capire perché questi processi di IF siano processi crescenti nel lungo periodo.

Lungo periodo → perché in questi processi di crescita ci sono battute di arresto, anche importanti. Se noi andiamo a vedere la storia dell’integrazione finanziaria, troviamo dei momenti storici lunghi anche diversi anni, durante i quali i processi di integrazione si sono ridotti, sono arretrati. Pensiamo ad esempio al periodo tra le due guerre mondiali: una delle più lunghe battute d’arresto dell’integrazione reale e finanziaria conosciute. Oppure pensiamo all’emergere delle economie pianificate: fenomeno relativamente recente, secondo scorso. In un’ottica secolare, quella esperienza che ormai si considera completata, può essere vista come una lunga battuta d’arresto nei fenomeni della globalizzazione, in particolare quella finanziaria. Oppure pensiamo a esperienze istituzionali che potrebbero essere reversibili: come ad esempio l’Unione Monetaria. l’UME è un processo che ha spinto enormemente il processo di integrazione finanziaria. Se questa soluzione politica istituzionale che i paesi europei si sono dati dovesse per qualche motivo interrompersi (improbabile, ma non teoricamente impossibile) → potrebbe essere un altro incidente di percorso importante, che potrebbe rappresentare in questa tendenza di crescita dell’integrazione, un momento di interruzione di una tendenza di lungo periodo.

E poi ci sono degli ostacoli per l’IF. Per accennare qualche aspetto che potrebbe frenare questo processo di integrazione possiamo pensare da che cosa può essere ostacolata una internazione finanziaria. In questo caso dobbiamo ricordare il ruolo di quei gruppi di interesse che possono essere penalizzati dal fatto che un paese faccia delle scelte politico-economiche che vanno verso l’integrazione finanziaria.

6.4.2.

Ostacoli per l’integrazione finanziaria

⇾ Aumenta il benessere sociale per l’economia ma alcuni “gruppi” possono sopportare delle perdite (intermediari domestici o imprese spiazzati dalla concorrenza internazionale che è conseguenza del fatto che il paese sia aperto finanziariamente … oppure governi irrazionali che vogliono il controllo sulle risorse finanziarie)

La scelta di liberalizzare un sistema, di farlo integrare, è una scelta che dovrebbe essere fatta dell’interesse di quello che è il benessere sociale, complessivo di un sistema. Nelle ipotesi che le economie e le società funzionino in questo modo. Quindi è una scelta che è fatta pensando alla massimizzazione del benessere sociale di una comunità. Ora, in questo processo di massimizzazione, ci sono vincitori e vinti. Ci sono coalizioni, gruppi che registrano benefici a seguito dell’integrazione → che dovrebbero essere la maggioranza. E ci sono gruppi che magari nel breve-medio termine registrano invece delle penalizzazioni. Questi gruppi potrebbero essere le banche domestiche che vengono spiazzate da una concorrenza internazionale che è conseguenza del fatto che il paese si è aperto finanziariamente. Stessa cosa si può dire per alcune imprese. E stessa cosa potrebbe essere anche riferita a un comportamento miope di alcuni governi che potrebbero temere nell’immediato un minor controllo del proprio paese e della propria economia a discapito di un processo in cui la sovranità in qualche modo viene ad essere condizionata dal fatto che si è ora in un’area più grande.

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Capitolo 6

Pensiamo a cosa è l’euro. Nel complesso dovrebbe aver portato dei vantaggi alla collettività nel suo insieme. Però sicuramente alcuni operatori sono stati penalizzati dal fatto che sia arrivano l’euro e siano arrivati sviluppi che hanno creato un mercato unico delle banche e della finanza. Quindi come in tutti i processi evolutivi ci sono situazioni che registrano dei benefici e situazioni che registrano dei danni. Ed è chiaro che i gruppi di interesse che subiscono dei danni dal processo di integrazione probabilmente faranno azioni di lobby per cercare di ritardare o di modificare quella integrazione, posta per obiettivi più nobili. Quindi bisogna tenere conto anche di questi aspetti per capire le dinamiche che possiamo osservare all’interno di un sistema economico. Questo per fare un discorso molto generale di quelle che possono essere le dinamiche di lungo periodo a favore dell’integrazione ed eventualmente freni/ostacoli al processo.

Spiegazioni specifiche. Poi ci possono essere delle spiegazioni riferite a singoli aspetti, a singole componenti dell’integrazione. All’inizio del corso abbiamo parlato di investimenti diretti all’estero e investimenti di portafoglio → possiamo pensare all’integrazione come ad un fenomeno che può essere colto guardando anche alla crescita degli investimenti diretti all’estero e degli investimenti di portafoglio tra paesi o alla crescita delle banche estere, a questo sviluppo, a questo intreccio dei sistemi bancari dei vari paesi, la cui manifestazione più diretta è quella della presenza e della crescita di banche estere in un altro paese.

… e spiegazioni specifiche delle singole componenti dei flussi:

⇾ International banking ⇾ FDI ⇾ Investimenti di portafoglio

Possiamo cercare di vedere quali possono essere le cause dello sviluppo di questi tre fenomeni come aspetti separati, anche se separati non sono, ma possiamo separarli per capire che dinamiche/determinanti possiamo individuare ragionando separatamente per questi tre aspetti dell’integrazione finanziaria che rappresentano forse i principali indicatori di un processo di integrazione.

6.4.3.

Ruolo delle banche estere

Follow the client approach Riduzione dei costi (regolamentazione) Considerazioni politiche (eurodollari) Nuove opportunità in nuovi mercati

Il ruolo delle banche estere può dipendere da varie considerazione.

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Una prima teoria che ha spiegato la presenza nei mercati esteri agli inizi degli sviluppi di questi fenomeni è il cosiddetto “follow the client approach”. Follow the client approach → la sfera finanziaria, il supporto e lo sviluppo delle banche arrivava a seguito e seguiva gli sviluppo dell’economia reale. E questo vuol dire che si sviluppava un processo di integrazione commerciale, industriale, reale, tra più paesi e a quel punto quegli imprenditori e quelle iniziative industriali e quelle iniziative imprenditoriali che si trasferivano all’estero avevano bisogno anche di un supporto finanziario, e bancario principalmente, per assistere queste iniziative reali e per avere a disposizione una serie di servizi bancari e finanziari ausiliari, strumentali all’attività reale. Quindi in questo caso le banche seguivano i clienti e magari aprivano filiali e uffici di rappresentanza presso quelle zone estere in cui i loro clienti facevano affari, avevano rapporti economici. Per esempio le banche italiane inizialmente si sono sviluppate e hanno aperto filiali in America Latina, in Argentina, in Brasile. Questo perché quelle banche erano realtà che erano presenti in questi paesi perché seguivano effettivamente la loro clientela industriale italiana che aveva rapporti con quelle aree del mondo e quindi erano ancillari alla sfera reale. Questo è il motivo per cui queste banche hanno aperto loro uffici in queste realtà. L’integrazione finanziaria ha seguito gli sviluppi dell’integrazione reale.

Ridurre i costi legati alla regolamentazione → altra determinante per queste decisioni di localizzarsi all’estero. Questo è il caso soprattutto di quelle decisioni degli intermediari finanziari a operare su certe piazze, su certi centri finanziari, dove la regolamentazione è diversa e sicuramente più vantaggiosa dal punto di vista della banca. L’esempio tipico è il Lussemburgo, o l’Irlanda, oppure piazze finanziarie come Singapore e Hong Kong oppure centri più piccoli dove la presenza bancaria era soprattutto motivata dal tentativo di aggirare delle norme, o comunque di essere sottoposti ad una regolamentazione più blanda. Il caso del Lussemburgo è sempre il più eclatante. Quindi in questo caso si va all’estero perché si ricerca una operatività sottoposta ad un regolamentazione meno stringente e meno onerosa.

Considerazioni politiche → richiamato per l’esperienza del caso dell’eurodollaro. Come è nato il mercato dell’eurodollaro a Londra negli anni ‘50. Il problema era politico, quindi è in risposta ad una tensione politica come si crea un processo di integrazione finanziaria. Gli eurodollari erano dei depositi in dollari che in primis l’unione sovietica, che aveva grosse tensioni con gli Stati Uniti, ma anche altri paesi arabi produttori di petrolio → decisero di non riportare più questi dollari negli Stati Uniti ma di costruire dei depositi all’estero dei depositi denominati in dollari. E la piazza che ha assorbito queste masse di dollari molto ingenti è stata la piazza di Londra. E con questo il centro finanziario di Londra è molto cresciuto. Quindi erano depositi dell’unione sovietica e di altri paesi importanti, che avevano dei grossi surplus nei commerci internazionali, soprattutto nel petrolio → infatti si chiamarono anche “petrodollari” ad un certo punto. Questi depositi, soprattutto proventi derivanti dal petrolio, venivano depositati e mantenuti all’estero per paura che per problemi politici questi asset potessero essere confiscati, soggetti alla sovranità degli Stati Uniti con cui c’erano grosse tensioni politiche. Era il periodo della guerra fredda: dagli anni ‘50-60 fino agli ‘70 ci sono state grandi tensioni tra queste aree del mondo.

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Nuove opportunità in nuovi mercati → determinante che esprime meglio le dinamiche più recenti nelle decisioni delle grandi banche internazionali: ovvero il fatto di andare verso quei paesi dove i sistemi bancari, i mercati bancari potevano offrire grandi possibilità di sviluppo. E qui il riferimento principale è alle economie in transizione. Abbiamo visto come queste economie che erano precedentemente organizzate con il modello di economia pianificata → decidono di trasformarsi in economie di mercato e i sistemi finanziari devono essere creati quasi da zero ecco che si presentano grandi opportunità di crescita per gli intermediari e per i sistemi finanziari di altri paesi che possono collocarsi su questi nuovi mercati su cui c’erano e ci sono margini di profitto molto più ampi perché sono mercati meno maturi rispetto a quelli dei paesi occidentali. Quindi queste ondate di investimenti, di decisioni di collocarsi all’estero delle banche occidentali soprattutto, quindi americane, europee, e in parte anche asiatiche, di andare verso questi nuovi mercati → avevano come obiettivo quello di sfruttare nuove opportunità per fare profitti in mercati meno maturi, in mercati emergenti.

6.4.4.

Investimenti diretti all’estero

È cambiata la natura degli FDI … dall’estrazione di risorse… a efficiency seeking goals. I fenomeni di delocalizzazione produttiva e la crescita delle multinazionali.

Stessa cosa o cose simili per quanto riguarda gli IDE. Qui in senso più in generale, non parliamo solo di banche, ma parliamo di investimenti diretti all’estero che riguardano anche il settore reale. Questa slide ci ricorda che negli ultimi anni a seguito di questo fenomeno di crescente integrazione, anche reale, o soprattutto reale in questo caso → è cambiata la natura di questi IDE. Questi IDE inizialmente erano orientati principalmente dal fatto di operare in quei mercati e in quei settori soprattutto dell’estrazione delle materie prime che erano presenti nei paesi emergenti, spesso i paesi più poveri, che richiedevano l’intervento di grandi imprese e di grandi multinazionali per l’estrazione e la lavorazione di risorse naturali da questi paesi. Pensiamo al petrolio e gli investimenti che le grandi multinazionali del petrolio hanno fatto in tutto il mondo. Quindi gli IDE all’inizio erano orientati dal fatto di estrarre risorse da questi paesi. Oggi c’è ancora quella tipologia di investimenti, ma il grosso delle ondate più recenti dii investimenti diretti all’estero vanno alla ricerca di costi di produzione più bassi e alla ricerca di obiettivi di maggiore efficienza economica, basata sul fatto che i costi del lavoro in molti paesi sono relativamente più bassi. Quindi tutti i fenomeni di delocalizzazione produttiva che hanno caratterizzato la crescita e l’integrazione reale e anche finanziaria di questi ultimi tempi sono soprattutto basati su questa ricerca di una maggiore efficienza e di avvicinamento a mercati che tendo a crescere a dei tassi molto alti.

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6.4.5.

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Investimenti di portafoglio

Ricerca di rendimenti più elevati. Opportunità di diversificare il rischio. Innovazione finanziaria. Telematica. Maggiore cultura finanziaria. Rilevanza degli investitori istituzionali. Sviluppi nel LCDs (rischi minori)

Perché sono cresciuti gli investimenti di portafoglio? Quali sono le determinanti principali? Parliamo sempre di tendenze di lungo periodo. Perché abbiamo visto che questi investimenti sono la componente più volatile, quelli che si stoppano per primi a seguito di una crisi finanziaria. In questi anni dopo la crisi del 2007 questi investimenti di portafoglio si sono ridotti enormemente. Ma qui il discorso che facciamo è più ampio. Ricerca di rendimenti più elevati possibili → motivazione puramente di gestione del portafoglio. Quindi tipicamente sfruttare il fatto che ceri paesi possono avere dei tassi di interesse e dei tassi di rendimento più alti, perché quei sistemi crescono di più. Maggiori opportunità per diversificare il rischio → quindi fare un asset allocation che tiene conto di una diversificazione tra grandi aree del mondo. Fenomeni di innovazione finanziaria e sviluppi telematici → quindi torniamo alle considerazioni che facevamo prima. Diffusione di una maggiore cultura finanziaria → tra gli operatori e tra gli investitori. Maggiore rilevanza degli investitori istituzionali → che hanno una gestione dei loro portafoglio molto più professionale e quindi sono più propensi ad operare in un ambito internazionale, sono più capaci di reperire e gestire informazioni che riguardano anche altri mercati. E siccome questi investitori istituzionali sono cresciuto un po’ in tutto il mondo, pensiamo ai grandi fondi pensione e ai grandi fondi di investimento questa loro maggiore rilevanza si ripercuote anche su una maggiore integrazione finanziaria dovuta alla gestione internazionale dei loro attivi. Crescente stabilizzazione dei paesi in via di sviluppo → le economie emergenti sono diventate meno rischiose, più sicure e più stabili anche questo allarga il novero dei paesi che sono coinvolti da questi processi di integrazione finanziaria. Questo per quanto riguarda la panoramica delle cause dell’integrazione finanziaria.

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Capitolo 6

6.5.

Perché occuparci di integrazione finanziaria?

⇾ Il motivo principale è perché questo fenomeno impatta sulla crescita di un paese.

La crescita di un paese è in qualche modo una funzione anche del livello di integrazione. E una rappresentazione molto schematica dei legami che possono esserci tra integrazione e crescita e tra crescita e integrazione è riportata nel libro Manzocchi-Papi.

Una rappresentazione schematica del rapporto tra integrazione e crescita.

Apertura verso l’estero del sistema finanziario nazionale

Sviluppo del sistema finanziario nazionale

Crescita economica

Benefici e rischi

Da un lato abbiamo il livello di apertura verso l’estero del sistema finanziario nazionale e quindi i livello di integrazione. E poi ci sono due canali attraverso i quali l’apertura e l’integrazione condiziona la crescita di un paese.

⇾ Il primo canale passa attraverso lo sviluppo del sistema finanziario nazionale → l’idea è che il sistema finanziario nazionale sia importante nello spiegare la crescita di un paese. Quindi avere un sistema finanziario sviluppato, efficiente, aiuta la crescita del paese. Se questo è vero, poi vuol dire accettare la presenza di questo canale → dobbiamo chiederci se l’apertura finanziaria internazionale può impattare sulla qualità, sullo sviluppo del sistema finanziario nazionale. Se questo è vero ed è vero anche l’altro legame → abbiamo individuato un primo canale di trasmissione degli effetti tra integrazione finanziaria e crescita di un paese. E vedremo che questi sono aspetti importanti che analizzeremo.

⇾ Poi c’è una serie di canali diretti attraverso i quali riceviamo tutti gli altri benefici e corriamo tutti gli altri rischi tra integrazione e crescita. Dai processi di integrazione finanziaria, l’esperienza di questi anni insegna, i paesi ricevono anche una serie di potenziali problemi che possono nuocere o comunque ostacolare la crescita economia. I rischi principali sono i rischi di crisi finanziaria che possono essere momenti di freno per l’economia.

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Cominciamo con lo spiegare come un sistema finanziamo sviluppato possa aiutare la crescita. La conclusione sarà che un sistema finanziario è importante per la crescita. E poi andremo a vedere come l’integrazione finanziaria può impattare sul sistema finanziario nazionale. E poi passeremo ad analizzare benefici e rischi dell’IF.

Lettura: paper di Ross Levine. Rassegna di qualche anno fa, ma ancora attuale, sui rapporti tra finanza e crescita. Richiama le funzioni del sistema finanziario e poi va a vedere come gli economisti hanno cercato di misurare la rilevanza del sistema finanziario sulla crescita di un paese. E quindi passano in rassegna una serie di approcci empirici attraverso i quali la ricerca economica ha cercato di misurare questo nesso, questo legame, tra sfera finanziaria e sfera reale.

28/10 Dobbiamo discutere lo schema. Oggi ci occupiamo del legame: come il sistema finanziario influenza la crescita economica. Discutiamo il paper di Ross Levine sposando l’approccio che lui utilizza per analizzare i fenomeni, che è un approccio di carattere funzionale, ovvero ci basiamo su quelle che sono le funzioni del sistema. Dopodiché faremo una breve rassegna dei metodi empirici usati dagli economisti per misurare l’impatto della finanziaria sulla crescita economica reale.

6.6.

I canali attraverso i quali l’IF può contribuire alla crescita di un paese

→ Il ruolo del sistema finanziario nella crescita economica.

Outline: Approccio funzionale all’analisi del sistema finanziario. Esame dei metodi empirici per misurare il ruolo del sistema finanziario nella crescita economica.

Divideremo questa lezione in due parti: 1) Perché il sistema finanziario dovrebbe essere rilevante per la crescita → analizzeremo le funzioni che svolge il sistema finanziario nell’economia di mercato. 2) Questioni empiriche: come gli economisti hanno cercato di trovare evidenza empirica a sostegno di argomentazioni di carattere più teorico → vedremo le metodologie, gli esercizi empirici, come si sono evoluti.

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Conclusione principale: la finanza è fondamentale per il suo contributo alla crescita economica (più crisi). I paesi con sistemi finanziari più sviluppati tendono a crescere più velocemente. le conclusioni sull’importanza della finanza per la crescita dovrebbero influenzare l’intensità con cui i responsabili politici ed i ricercatori cercano di identificare e costruire adeguate riforme del settore finanziario.

La conclusione a cui arriveremo è basata sulle funzioni e anche sui risultati della ricerca empirica. La conclusione principale a cui arriveremo sarà quella di dire che la finanza e il sistema finanziario danno un contributo molto importante alla crescita economica → tenendo conto anche delle crisi, che rappresentano invece la parte più importante dei costi, dei rischi che ci sono nel fare troppa finanza e farla nel modo sbagliato. Quindi la conclusione sarà la finanza conta per la crescita, al netto delle crisi. E che i paesi con i sistemi finanziari meglio sviluppati tendono a crescere più velocemente → evidenza empirica forte. Quindi c’è un nesso tra sviluppo del sistema finanziario e crescita economica. La grande domanda è se questo nesso è anche un nesso di causalità. Gli economisti hanno cercato di rispondere. E la risposta è che c’è anche un nesso di causalità, che va dalla finanza alla crescita. Ovviamente ci sono anche direzioni opposte in questa relazione complessa, cioè la crescita del sistema reale si tira dietro anche la crescita del sistema finanziario: non è completamente separabile questa interconnessione tra le due sfere, soprattutto nel determinare le direzioni di causalità dei legami.

Schumpeter .... J. Robinson (dove conduce impresa, la finanza segue) .... Dal mondo ipotetico, senza costi di informazione e di transazione, agli attriti e alle imperfezioni del mercato. Nel mondo ipotetico non c’è necessità di un sistema finanziario. Esempi di attriti e imperfezioni: costo di acquisizione delle informazioni, scrivere e far rispettare i contratti, i costi di negoziazione nei contratti finanziari. Il sistema finanziario (contratti, mercati, intermediari e regole) nasce per migliorare attriti e imperfezioni. Nel nascere per migliorare gli attriti, i sistemi finanziari producono valore aggiunto.

Questa slide ci richiama il dibattito che c’è stato nel corso decenni, perché il ruolo del sistema finanziario nello spiegare la crescita è stato un argomento molto dibattuto nel pensiero economico. E se andiamo indietro nel tempo possiamo trovare delle posizioni ancor prima dei risultati dell’analisi empirica che sono recenti, mentre il dibattito è molto più antico. Schumpeter aveva già anticipato il ruolo importante della finanza, e in particolare delle banche. Quindi nel pensiero di Schumpeter troviamo la centralità del banchiere nel promuovere lo sviluppo di un paese, nel decidere soprattutto quali progetti finanziare, nella scelta dei finanziamenti. Economisti come John Robinson o Lucas, più recentemente, invece hanno sempre ritenuto che la finanza non contasse poi così tanto, nel senso che la finanza seguiva il settore reale. Quindi lo sviluppo della finanza veniva visto come una conseguenza della crescita del settore reale, che si complica, diventa più complesso e necessita di servizi finanziari che sono ancillari alla crescita.

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Ma la locomotiva della crescita arriva dal settore reale. Questi economisti non individuavano un ruolo indipendente, una causalità, che andava dalla finanza alla crescita, ma lo sviluppo della finanza per loro era un fenomeno endogeno allo sviluppo del settore reale. Accenno alla storia del pensiero economico. Noi lo affronteremo in modo più pragmatico e più moderno, ci baseremo su lavori recenti anche empirici che cercano di misurare questo fenomeno. Facendo degli esercizi teorici, per capire qual è il ruolo del sistema finanziario → partiamo da un mondo ipotetico in cui c’è piena informazione, costi nulli, informazione diffusa, possibilità di scrivere tutti i contratti contingenti a tutti gli stati di natura possibili: in un mondo di questo tipo non c’è bisogno della finanza. In un mondo siffatto ognuno può trovare il soddisfacimento delle proprie esigenze senza il bisogno di far intervenire gli intermediari. Invece in un mondo reale l’informazione non è completa, anzi è scarsissima, i costi di transazione e i costi di raccolta e di elaborazione delle informazioni sono rilevanti, i mercati sono imperfetti, i contratti non sono completi → ci sono una serie di imperfezioni, di frizioni, di vincoli, la cui esistenza è all’origine della nascita e del ruolo del mondo della finanza in un’economia di mercato. La nascita degli intermediari (pensiamo alle banche) può essere giustificata dall’esistenza e dal superamento di queste imperfezioni e di questi costi che esistono in un sistema reale, nel senso di realistico. Quindi è per fronteggiare queste frizioni e per ridurre questi costi che nascono i sistemi finanziari e gli intermediari finanziari → e nel fare questo producono valore aggiunto, che è rilevante per la crescita.

Approccio funzionale al sistema finanziario. Questo approccio non dovrebbe essere specifico per paese, anche se le nostre analisi e gli interventi lo sono. Anche se strumenti finanziari, mercati e istituzioni possono variare notevolmente da paese a paese e nel tempo, le funzioni di base di un sistema finanziario sono essenzialmente le stesse in tutti i paesi, nel passato e nel presente, in Oriente e in Occidente.

Noi useremo un approccio funzionale per analizzare il sistema finanziario. E questo approccio funzionale è molto efficace: individuiamo le funzioni e poi ci chiediamo se il sistema finanziario sta svolgendo efficacemente, efficientemente queste funzioni. È uno strumento di analisi potente che esula da quelle che sono le caratteristiche specifiche del singolo paese, quindi ha una valenza generale. E inoltre seppure strumenti, mercati e istituzioni differiscono molto → qualsiasi economia di mercato che si possa differenziare in termini di strumenti, mercati e istituzioni, in realtà ha sistemi finanziari che svolgono tutti le stesse funzioni.

Esempio: se sono un risparmiatore e devo decidere di allocare il mio risparmio, se non ci fossero costi di informazione e non ci fossero costi di transazione, io potrei individuare da solo i progetti e l’imprenditore da finanziare. Perché ho tutte le informazioni per dire che quella è la persona giusta, quello è il progetto giusto, quella è la società giusta. Non ho costi per contattare e per avere informazioni su quello che fa la società, per trasferire i miei risparmi e per monitorare il mio investimento e recuperare i miei proventi. In un mondo ipotetico in cui non ci sono costi e c’è totale informazione i singoli risparmiatori potrebbero direttamente impiegare il proprio risparmio. In questo caso non c’è bisogno di nessuno che si interponga.

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Capitolo 6

Se ci pensiamo, e adesso lo vedremo, il ruolo della banca è quello di interporsi tra chi risparmia e chi chiede finanziamenti, cercando di ridurre queste asimmetrie informative che nella realtà invece ci sono, perché il risparmiatore non sa dove dovrebbe allocare le sue risorse, non ha informazioni sui settori economici, sull’andamento dell’economia e su quali potrebbero essere gli imprenditori giusti da finanziare e gli costa tantissimo scoprire queste cose, ammesso che ne abbia le capacità e le competenze. Quindi la banca si interpone tra queste due diverse esigenze e cerca di minimizzare queste imperfezioni dei mercati, cerca di raccogliere lei le informazioni, e lo fa in maniera più efficiente, non solo perché è più capace, ma anche perché ci sono delle economie di scala e di scopo nel raccogliere e nel gestire le informazioni. Quindi riesce a ridurre queste asimmetrie informative, cioè i divari informativi tra chi ha le informazioni e chi non ce le ha. L’intermediario, interponendosi, riesce a ridurre i costi di transazione, di costi di raccolta e di elaborazione delle informazioni, i costi di monitoraggio dei prenditori, e magari riesce anche scrivere i contratti in maniera più completa rispetto a quello che potrebbe scrivere un singolo risparmiatore che dovrebbe prevenire tutti i casi, ad esempio cosa succede se il finanziato non paga, come possa recuperare le sue somme. In un mondo perfetto dove tutti i contratti possono essere scritti e tutti possono essere fatti rispettare (concetto di ENFORCEMENT, del far rispettare una norma), dove non ci sono costi di enforcement, il mondo potrebbe operare senza gli intermediari, questo a tutti i livelli. Ma in realtà in mondo è fatto di incompletezze di informazioni, di frizioni, di contratti incompleti, di costi, di tempo scarso, ecc. E quindi ecco che arrivano gli intermediari. Ma questo vale in generale poi per tutti coloro che si interpongono tra più parti. Quindi la nascita della banca, che è l’intermediario finanziario per eccellenza, può essere spiegata in questo modo.

6.6.1. 1) 2) 3) 4) 5) 6)

Le sei principali funzioni del sistema finanziario

generating, pooling, and mobilizing savings to finance development; improving the allocation of scarce resources to competitive enterprises; imposing enterprise control through debt enforcement and liquidation; facilitating trading of goods and services through the reduction of transaction costs; ameliorating risk management through trading financial contracts, hedging and pooling risks; providing a transmission mechanism for monetary policy.

Lo sviluppo finanziario può essere definito concettualmente in termini di queste sei funzioni. Tutti i problemi del settore finanziario possono essere utilmente valutati in termini di impatto su questi sei funzioni.

Cosa fa una banca? Cosa fa un sistema finanziario? 1) Genera, riunisce/mette assieme/aggrega e mobilizza il risparmio per finanziare lo sviluppo. In questa funzione rientra il fatto che mette in contatto settori in surplus con settori in deficit. 2) Migliora l’allocazione delle risorse scarse tra imprese che competono per avere questo risparmio. Un sistema finanziario è come il cervello dell’economia → decide cosa fare con il risparmio che ha raccolto, cioè deve allocare questo risparmio. La funzione allocativa è importantissima, perché non è indifferente se una banca finanzia la Apple o un imprenditore che è un truffatore. Ai fini della crescita fa molta differenza.

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Quindi avere un sistema finanziario che è capace di finanziarie solo i progetti giusti è essenziale per la crescita di una economia. Non è che tutti quelli che vanno in banca a chiedere un prestito, ricevono soldi, bisogna convincere il banchiere che hanno una buona idea, e la buona idea deve avere un rendimento che mette in sicurezza il banchiere e il ritorno del banchiere. Gli interessi della società e quelli della banca dovrebbero muoversi assieme. 3) Impone il controllo aziendale attraverso il rispetto dei contratti di debito e la liquidazione. Funzione di monitoraggio →questi soldi devono essere usati nel modo giusto, nel modo dichiarato. C’è una funzione di controllo ex-ante (la 2): scegliere quale progetto. E c’è una funzione di controllo ex-post (la 3): una volta che il progetto è stato realizzato c’è un controllo dell’utilizzo dei fondi. Perché dal monitoraggio del progetto finanziato, dell’iniziativa imprenditoriale, la banca si assicura che le tornino i fondi. Quindi controllo se l’imprenditore sta realizzando quello che ha realizzato oppure no. Serve un ruolo del controllo attraverso il rispetto dei contratti di debito (enforcement) ed eventualmente attraverso la liquidazione (caso estremo). Questo per quanto riguarda la funzione creditizia della banca → ma una banca non si esaurisce qui. 4) Facilita il commercio di beni e servizi attraverso la riduzione dei costi di transazione. È impegnata nei sistemi di pagamento, che sono molto importanti nel sistema finanziario. Sono come un acquedotto: ci accorgiamo che c’è solo quando non funziona. Un esempio di riduzione dei costi di transazione è ad esempio il sistema dei pagamenti, che è gestito essenzialmente dal sistema bancario. Siccome con lo sviluppo dell’economia si incrementa anche la specializzazione delle attività produttive → la maggiore specializzazione richiede più scambi, più transazioni. Alcuni costi di transazioni sono abbassati dalla presenza di un sistema finanziario, che gestisce il sistema dei pagamenti e aiuta. 5) Migliora la gestione del rischio attraverso la negoziazione di contratti finanziari, di copertura e messa in comune dei rischi. I sistemi finanziari, le banche, gli intermediari specializzati, sono attivi anche nella gestione del rischio, perché ci sono vari rischi nel mondo: dai rischi di liquidità, ai rischi di cambio. E molti di questi rischi sono abbassati, migliorati, meglio gestiti, meno costosi, grazie al lavoro svolto dal sistema finanziario. 6) Fornisce un meccanismo di trasmissione alla politica monetaria. La politica monetaria in un’economia di mercato trasmette i suoi effetti grazie a canali di trasmissione che operano via sistema finanziario.

Le più importante sono le prime cinque, che ritroviamo nel paper di Levine. Il prof ha aggiunto la sesta, che è più discutibile. È la funzione più discussa perché prima di dire che questa funzione sia importante dobbiamo essere sicuri che la politica monetaria sia importante per la crescita. E questo è un argomento oggetto di dibattito. Se riconosciamo un ruolo alla politica monetaria, e un ruolo va riconosciuto se non altro perché ci assicura la stabilità monetaria e finanziaria → che sicuramente è importante per la crescita perché riduce l’incertezza.

Con queste funzioni in mente noi possiamo valutare e analizzare qualsiasi sistema finanziario. Prima di vedere in dettaglio queste funzioni, vediamo come queste funzioni sono collegate alla crescita, perché svolgere efficacemente ed efficientemente queste funzioni può aiutare la crescita.

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Capitolo 6

Come queste funzioni del sistema finanziario influiscono sulla crescita economica? Tre canali principali: Increasing capital accumulation Improving resource allocation Boosting technological innovation

Queste funzioni arrivano alla crescita attraverso tre canali principali: 1) Favoriscono l’accumulazione del capitale → e il capitale è importante per la crescita. Se un’economia accumula più capitale, finanzia più investimenti e riesce a crescere di più. 2) Migliorano l’allocazione delle risorse. Il sistema finanziario dovrebbe riuscire a scegliere i progetti più profittevoli, quelli più rilevanti per la crescita. 3) Sostengono l’innovazione tecnologica. Solitamente i progetti più profittevoli sono anche quelli tecnologicamente più innovativi.

Questi sono tre canali, concettualmente separabili: quantità di capitale, qualità dei progetti finanziati, sostegno al progresso tecnico. Sono tre canali attraverso i quali queste funzioni esplicano i loro effetti sull’economia reale.

Vediamo ora da vicino le funzioni.

Funzione 1: generare, aggregare e mobilizzare il risparmio Come generare il risparmio: il livello del tasso di rendimento e il livello di rischio. Ad esempio: Generare, mettere insieme e mobilizzare comporta la creazione di attività finanziarie di piccolo taglio. Tali attività forniscono opportunità per le famiglie di tenere portafogli diversificati. Generare, mettere insieme e mobilizzare comporta l’agglomerazione di capitale da risparmiatori disparati per gli investimenti. Senza l’accesso a investitori multipli, molti processi di produzione sarebbero vincolati a scale inefficienti.

Come fa a generare più risparmio il sistema finanziario? Contribuisce a questo obiettivo attraverso la possibilità di remunerare di più il risparmio, perché riesce a remunerare in maniera più profittevole di quanto non potrebbero fare da soli i risparmiatori. E questo genererà un rendimento, e parte di questo rendimento servirà anche per remunerare la raccolta della banca il tasso di risparmio potrebbe risentirne positivamente. E in più riducendo i rischi. Siccome siamo tutti avversi al rischio se riusciamo ad investire in attività più sicure stiamo meglio. Quindi intaccando il livello del rendimento e il livello del rischio riusciamo a generare più risparmio.

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Poi come fa il sistema finanziario per mobilizzare questo risparmio? Come fa una banca a convincere i risparmiatori a depositare presso di lei? Deve anche mettere a disposizione strumenti finanziari adeguati che vanno offerti ai prenditori. Deve venire incontro alle esigenze dei risparmiatori attraverso strumenti finanziari adeguati, che poi vengono combinati e impacchettati per essere poi offerti ai prenditori. E normalmente la banca raccoglie da piccoli risparmiatori e poi concentra l’attivo. L’attivo di una banca è più concentrato rispetto al passivo: ha tanti depositanti e meno prenditori → in questo senso fa il pooling: mette insieme tanti piccoli risparmi per poter finanziare progetti anche di grandi dimensioni. Facendo questo offre ai risparmiatori la possibilità di avere un portafoglio più diversificato, perché a fronte di quel deposito c’è la banca che dispone di quel deposito, ma la banca la possiamo vedere come un portafoglio di strumenti finanziari che compongono il suo attivo. Quindi ci offre direttamente la possibilità di avere una maggiore diversificazione del rischio rispetto a quello che potremo fare da soli, ammesso che possiamo riuscire a fare da soli. La banca mettendo assieme, facendo questo pooling, riesce a finanziarie anche grandi progetti che hanno grandi scale di produzione, che richiedono grandi somme di denaro. Questo è un altro vantaggio rispetto al collegamento diretto tra risparmiatori e prenditori.

Ci sono costi nel mobilizzare i risparmi di molti risparmiatori disparati. Due le principali tipologie di costi: I costi di transazione (raccolta di risparmio tra individui diversi); I costi di informazione (gli attivisti devono convincere i risparmiatori sulla solidità degli investimenti). A questo fine gli intermediari hanno bisogno di reputazione stellare o di sostegno del governo. Alla luce di questi costi, possono sorgere regolamentazioni finanziarie per mitigare queste frizioni e agevolare la mobilitazione e la condivisione del risparmio.

Ovviamente ci sono dei costi nel mobilizzare il risparmio da tanti diversi risparmiatori. E i costi sono essenzialmente due: i costi di transazione, quello di raccogliere il risparmio da diversi individui, e poi ci sono i costi di informazioni, cioè il fatto che chi mobilizza il risparmio deve essere capace di convincere il risparmiatore ad affidargli i suoi soldi, e quindi deve convincere i risparmiatori della bontà dell’investimento che andrà a fare. E se ci pensiamo, proprio per fronteggiare al meglio, per minimizzare questi costi → nascono gli intermediari finanziari, nascono le banche, che hanno una capacità di ridurre questi costi. E affinché questo si possa verificare in maniera efficiente, si deve avere fiducia della banca. E questa fiducia arriva dal fatto che c’è una regolamentazione e un controllo sulle banche, e in più c’è la copertura, l’assicurazione, dei governi. E poi le banche hanno bisogno di una reputazione adamantina. E tutto il sistema si regge sulla fiducia. Regolamentazione e vigilanza → cosa che non tutti hanno. C’è una riserva di legge per chi vuole raccogliere risparmio e per chi vuole usare il nome banca. C’è l’assicurazione sui depositi. Copertura, sostegno del governo alle banche → necessario per promuovere e tutelare la fiducia nel sistema, che è essenziale.

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Capitolo 6

Funzione 2: migliorare l’allocazione delle risorse È difficile e costoso valutare imprese, manager, progetti e condizioni di mercato. Istituzioni finanziarie potrebbero sorgere per ridurre questi costi di informazione. Economizzare sui costi di informazione facilita l’acquisizione di informazioni circa le opportunità di investimento, migliorando così l’allocazione delle risorse.

Questo è abbastanza intuitivo del perché le banche e sistemi finanziari hanno vantaggi nello scegliere a costi più bassi i progetti migliori nell’assicurare una migliore allocazione delle risorse. Se i risparmiatori lo dovessero fare singolarmente sarebbe quasi impossibile in termini di costi, di competenze, di informazioni, di esperienze, di informazioni riservate, perché molte di queste funzioni creano delle sinergie a livello di informazione.

Funzione 3: monitoraggio Oltre a ridurre i costi di acquisizione delle informazioni ex ante, istituzioni finanziarie possono sorgere per attenuare i costi di monitoraggio dei manager delle imprese, e per esercitare il controllo societario ex post. La governance delle imprese ha a che fare con i modi in cui gli intermediari finanziari si assicurano di ottenere un ritorno sui loro investimenti alle imprese. Meccanismi di controllo aziendale sottosviluppati possono ostacolare la mobilizzazione del risparmio. Ruolo delle banche e delle borse valori.

Una volta allocate le risorse, dobbiamo ridurre i costi del monitoraggio. E valgono considerazioni simili a quelle che abbiamo fatto per l’allocazione. Questi ruoli li abbiamo discussi a livello di banche, perché sono una componente importante e più immediata → ma la stessa cosa la possiamo pensare per i mercati, ad esempio le borse valori. Se pensiamo alla funzione di un mercato secondario delle azioni → possiamo individuare un meccanismo che ci fa capire come la borsa renda possibile anche il controllo delle società quotate. In che modo? Se il mercato valuta negativamente un’impresa → questo si rifletterà sul prezzo delle sue azioni. Se il prezzo scende molto sarà più facile un take-over, cioè appropriarsi di quella società, comprarla ad un prezzo più basso e quindi entrare nella gestione dell’azienda, e imporne una nuova. Quindi le imprese che hanno più problemi sono più facilmente soggette ad un take-over. E i take-over hanno una funzione anche di soluzione delle crisi aziendali, delle società più problematiche. Il meccanismo della borsa può essere visto come un meccanismo di monitoraggio dello stato di salute delle imprese quotate, ammesso che i prezzi riflettano lo stato di salute delle imprese.

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Funzione 4: facilitare gli scambi riducendo i costi di transazione La specializzazione richiede più transazioni. Le istituzioni finanziarie diminuiscono i costi di transazione facilitando la specializzazione.

La specializzazione aiuta, favorisce, la crescita.

Funzione 5: migliore gestione dei rischi Rischio di liquidità. Alcuni progetti ad alto rendimento richiedono un impegno a lungo termine del capitale, ma i risparmiatori non vogliono cedere il controllo dei propri risparmi per lunghi periodi. Aumentare la liquidità degli investimenti di lungo periodo facilita gli investimenti nei progetti ad alto rendimento e di lungo periodo (il ruolo delle banche e dei mercati secondari).

Possiamo fare un esempio con il rischio di liquidità. Ci sono dei progetti, e spesso sono i più importanti ai fini della crescita, che richiedono orizzonti temporali lunghi prima che questi progetti fruttino rendimenti. Pensiamo al’industria farmaceutica: richiede grandissimi investimenti e i ritorni sono molto lontani, c’è tata ricerca e tanta sperimentazione. Quindi prima che un prodotto si ripaghi è necessario avere davanti un orizzonte temporale molto lungo. Così come per molti altri settori. Per poter finanziarie questi progetti dobbiamo trovare dei risparmiatori disposti ad impegnare il loro risparmio per molto tempo. Questa uguaglianza tra le esigenze di chi risparmia e le esigenze di chi deve investire possono creare dei problemi. Perché chi risparmia vuole avere la possibilità di riavere indietro quel risparmio in caso di un bisogno futuro. Quindi la liquidità diventa importante per una scelta di portafoglio per un risparmiatore e per decidere se finanziare un progetto o un altro. I risparmiatori vorrebbe finanziarie i progetti più liquidi, ma i progetti più redditizi per il sistema spesso sono anche quelli più illiquidi. Qui la funzione dei mercati e dei sistemi finanziari (delle banche o dei mercati secondari) è quella di offrire la possibilità di trasformare investimenti a lunga scadenza in investimenti liquidi. Perché se i mercati sono organizzati in maniera tale che riescono ad offrire un mercato secondario ad esempio delle obbligazioni di un’industria farmaceutica → i risparmiatori si possono emancipare dai tempi di investimento dell’industria farmaceutica, perché hanno la possibilità di disinvestire, essendoci un mercato secondario di quei titoli. Quindi il rischio di liquidità viene in qualche modo attenuato dall’esistenza di mercati secondari. Oppure anche dalle banche. Perché questa esigenza di uscire dall’investimento prima della scadenza interesserà un numero limitato di risparmiatori → la banca può impegnare una parte della sua raccolta in investimenti a lungo termine e far fronte a alle richieste di liquidità con una parte di quelle somme raccolte.

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Capitolo 6

Quindi anche le banche hanno questo ruolo di migliorare la liquidità degli investimenti, perché raccolgono da tanti e quindi possono fronteggiare le richieste dei pochi che avranno necessità di liquidare l’investimento.

Poi c’è la gestione di tutte le altre tipologie di rischio. Rischio idiosincratico (rischi associati ai singoli progetti , imprese, nazioni, ecc). Le istituzioni finanziarie forniscono veicoli di negoziazione, mettendo in comune e diversificando il rischio. I risparmiatori di solito sono avversi al rischio, ma tendono ad essere più rischiosi verso progetti ad alto rendimento rispetto a progetti a basso rendimento. Le istituzioni finanziarie che facilitino la diversificazione del rischio inducono un cambiamento nei portafoglio verso progetti con un maggiore rendimento.

Si possono individuare diversi canali attraverso i quali i sistemi finanziari producono valore aggiunto nella gestione dei rischi. Pensiamo ai rischi di cambio. Oppure ai rischi idiosincratici = rischi associati a quella specifica attività. Nel momento in cui si gestisce un novero molto ampio di posizioni, si può fare fronte anche meglio al rischio del singolo caso. E questo aiuta molto perché normalmente i risparmiatori sono avversi al rischio.

Funzione 6: fornire un meccanismo di trasmissione alla politica monetaria Il dibattito sulla politica monetaria.

04/11 Stiamo analizzando il nesso tra finanza e crescita. La lezione di oggi sarà dedicata a capire come gli economisti hanno cercato di rintracciare l’evidenza empirica del ruolo del sistema finanziario nella crescita di un paese. Quindi trovare degli agganci di carattere empirico che possano dimostrare la casualità positiva tra lo sviluppo del sistema finanziario e la crescita di un paese. La conclusione sarà che c’è una buona evidenza empirica a sostegno del ruolo della finanza nella crescita. Quindi parlare di queste cose in tempo di crisi finanziaria è un po’ più difficile. Questa evidenza empirica è abbastanza recente. Questo è un campo tutt’ora oggetto di ricerca. Gli studi econometrici sono stati fatti negli ultimi due decenni, e sono tutt’ora in corso. Per presentare questa breve rassegna di questa letteratura adotteremo un approccio di carattere cronologico. Iniziamo dal contributo più lontano, quello pionieristico, che ha iniziato a studiare dal punto di vista empirico questa relazione, fino ad arrivare agli approcci più recenti. E vedremo che i lavori sono collegati l’uno all’altro, perché dalla critica dei lavori più recenti nascono delle nuove idee per andare avanti.

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6.6.2.

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L’evidenza empirica

1.

Cross-country comparisons and studies 2. Individual country studies 3. Industry-level analyses 4. Firm-level investigations

All’interno di un approccio cronologico distingueremo quattro diversi metodi/approcci allo studio di questa questione. 1) Studi cross-country → hanno studiato più paesi e hanno cercato di evidenziare questa relazione di causalità. All’interno di questo approccio vedremo la parte più cronologica, perché gli studi di questo tipo sono stati quelli più utilzzati, perché c’erano più dati. 2) Studi sui singoli paesi. 3) Analisi a livello settoriale → hanno studiato il problema nei settori economici, nell’industria. 4) Studi a livello di una singola impresa → studi che hanno usato dei micro dati, quelli più elementari possibili, a livello di impresa.

1) Cross-country studies

a) Goldsmith (1969) Lavoro seminale di Goldsmith. Financial Interrelation Ratio Aggregate New Issue Ratio Orizzonte temporale: 1860-1963. Correlazione tra sviluppo economico e finanziario (sia in termini di livelli e di tasso di crescita).

Cominciamo dallo studio più semplice, ma quello che per primo si è focalizzato su questo rapporto tra crescita e sistema finanziario e che per primo ha messo in evidenza questa relazione di causalità. È il lavoro empirico più vecchio, dell’economista che per primo si è posto questa domanda: Goldsmith. Orafo: buon mestiere per studiare la relazione tra finanza e crescita. Nel 1969 Goldsmith ha scritto un libro che al tempo era stato molto importante perché è stato il primo tentativo di mettere in relazione aspetti quantitativi di un sistema finanziario con la crescita. È un lavoro semplicissimo, più che altro di produzione statistica, nel senso che ha raccolto informazioni per tanti paesi e ha calcolato delle semplici correlazioni. In particolare ha utilizzato due indicatori (due proxy) per misurare il grado di sviluppo di un sistema finanziario.

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Capitolo 6

Ha usato due rapporti:  FIR = Rapporto di interrelazione finanziaria → rapporto tra le attività finanziarie del paese sulla ricchezza reale e finanziaria del paese. Qui ci sono grandissimi problemi di stima, perché l’orizzonte temporale analizzato da Goldsmith è un orizzonte temporale di lungo periodo, i dati si riferiscono quasi a un secolo di storia economica, per 35 paesi. Quindi c’è stato un grosso lavoro di ricostruzione statistica di queste informazioni.  ANIR = Rapporto aggregato della nuova emissione → rapporto tra le variazioni delle attività finanziarie sul PIL del paese. Calcolato sui flussi.

Questi due rapporti vengono calcolati perché il secondo dovrebbe essere più indicativo del primo. Però in realtà perché le statistiche sul PIL erano più disponibili rispetto a quelle sulla ricchezza. Questo è un lavoro di 50 anni fa applicato ad un periodo di analisi di riferimento che partiva 150 anni prima → lavoro storico quasi. È importante perché è il primo lavoro che cerca di mettere insieme questi due mondi: la sfera reale e quella finanziaria. E Goldsmith lo fa calcolando delle semplici correlazioni tra queste due tipologie indicatori: crescita economica e grado di sviluppo del sistema finanziario (attraverso questi due proxy). Tanto più erano alti quei valori (FIR e ANIR) e tanto più si ipotizzava un sistema finanziario sviluppato. L’idea è che la dimensione del sistema finanziario sia una proxy del suo grado di sviluppo. E infatti Goldsmith trova una relazione positiva tra lo sviluppo del sistema finanziario (così misurato in maniera così imprecisa e semplicistica) e la crescita economica di un paese. Questo è sufficiente per avere una prima conclusione sul rapporto tra queste due sfere? Sicuramente no. Ricordiamo questo lavoro solo perché è pionieristico, il primo di una lunga serie, che va ad inaugurare un filone di ricerca che riceverà molta attenzione da parte degli economisti. Quali sono le critiche principali che si possono fare a questo tipo di approccio? Questo tipo di approccio è stato poi seguito da altri lavori, decine o anche centinaia.

Punti di debolezza del lavoro di Goldsmith: 35 paesi nessun controllo sistematico sugli altri fattori che influenzano la crescita economica non identifica i canali di trasmissione la dimensione non può misurare con precisione il funzionamento del sistema finanziario nessuna informazione sulla causalità.

1) Numero di paesi limitato. 2) In questa sua semplice intuizione non c’è nessun tentativo di spiegare o di verificare l’esistenza di altri fattori che potrebbero avere un ruolo sulla crescita. È una semplice correlazione tra due fenomeni: indicatori grossolani dello sviluppo finanziario e crescita. E sicuramente la crescita dipende da tanti altri fattori.

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Ma a noi interessa sapere non solo che ci sia una correlazione, ma che ci sia una causalità tra questi due aspetti. Quindi dovremo cercare un modo per evitare di trovare soltanto una correlazione spuria, cioè una semplice correlazione tra due fenomeni che si muovono assieme → perché di per sé non ci dice nulla sul nesso causale tra i due. Correlazione spuria = due fenomeni che si muovono assieme ma non hanno nessun legame tra di loro. È solo una casualità. Il fatto che ci sia una correlazione elevata non vuol dire che ci sia un nesso di causalità tra le variabili: serve altro per spiegarlo. Quindi da un punto di vista metodologico la semplice correlazione è indicatore molto molto debole. 3) Poi in questo lavoro non c’è nessuna indicazione di quelli che potrebbero essere i canali di trasmissione dalla finanza alla crescita: perché la finanza dovrebbe innescare la crescita. Non c’è una descrizione dei nessi casuali. 4) Altra critica si potrebbe fare agli indicatori utilizzati per misurare il grado di evoluzione del sistema finanziario: la dimensione di per sé potrebbe non essere un indicatore sufficiente. Anche se probabilmente c’è una correlazione positiva tra dimensione del sistema finanziario e l’espletamento di certe funzioni, anche se poi a noi interessa l’efficienza con cui queste funzioni sono svolte. Perché in tutti i paesi il sistema bancario alloca le risorse, ma a noi interessa sapere se le alloca in maniera efficiente in linea con uno sviluppo o meno. Quindi la cosa è abbastanza complessa. 5) E infine non c’è nessuna informazione sulla direzione della casualità. Non solo il fatto che se due variabili si muovono assieme non ci dice nulla sulla causalità → e in ogni caso non sappiamo la causalità in che direzione si muova, perché ci potrebbe essere anche una causalità inversa: cioè è lo sviluppo del sistema reale, la crescita, che si tira dietro lo sviluppo del sistema finanziario. E se fosse così sarebbe tutto molto meno rilevante. Poi noi sappiamo che i nessi di causalità tra questi due mondi sono in entrambe le direzioni. La crescita si tira dietro la finanza, ma la finanza è importante per la crescita. E questo vale anche nel nostro discorso generale di integrazione finanziaria e della crescita reale: la stessa crescita può favorire l’integrazione finanziaria.

b) King e Levine (1993) Fatti stilizzati dei loro studi cross-country. Loro hanno: controllato gli altri fattori che influenzano la crescita economica esaminato i canali di trasmissione (l’accumulazione di capitale e i canali di crescita della produttività) costruito ulteriori indicatori di sviluppo del sistema finanziario fornito alcuni semplici test di causalità

Altro paper importante, pionieristico, perché ha inaugurato un altro approccio molto più moderno. Due economisti americani che utilizzano un approccio di lungo periodo per un numero ampio di paesi, ma fanno un passo avanti rispetto al lavoro di Goldsmith. 1) Tengono conto anche di altri fattori che possono influenzare la crescita economia, e quindi cercano di isolare il contributo della finanziaria. Cercano di spiegare un fenomeno con un suo certo andamento, con una serie determinanti, e poi aggiungono un’altra variabile, che è quella che gli interessa → e vanno a vedere se il potere esplicativo di quel fenomeno aumenta se inseriscono questa ultima variabile → che potrebbe essere un indicatore di sviluppo del sistema finanziario. Mentre in Goldsmith questa cosa non c’era.

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Capitolo 6

2) Loro controllano altri fattori che possono influenzare la crescita economica e individuano dei canali di trasmissione, che poi sono quelli che abbiamo ricordato nell’approccio teorico: abbiamo detto che le funzioni del sistema finanziario arrivano alla crescita attraverso l’accumulazione del capitale, una migliore allocazione delle risorse e un sostegno al progresso tecnico. In questo lavoro c’è una discussione dei meccanismi di trasmissione che passano attraverso la crescita della produttività e l’accumulazione del capitale. 3) Poi c’è una maggiore varietà di indicatori che misurano il grado di sviluppo del sistema finanziario, molto simili a quelli che abbiamo già visto, ma un po’ più ampi. 4) E poi c’è il tentativo di fornire una prima indicazione, un primo modo per verificare la causalità.

Spieghiamo in modo molto molto semplice come impostano il loro problema di econometria: statistica applicata all’economia. Questi fenomeni vengono studiati utilizzando varianti più o meno complesse del concetto della regressione. Regressione: mettere in relazione una variabile con altre variabili e spiegare/stimare le relazioni che legano la variazione della variabile indipendente con quelle delle variabili dipendenti.

Equazioni di regressione: Dove: sono indicatori di crescita, misure di sviluppo finanziario, le variabili di controllo. Variabili di controllo: Y pro capite Educazione Stabilità politica Tasso di cambio Politica fiscale e monetaria

= variabili indipendenti → misura della crescita. È un vettore di variabili che indicano la crescita. E poi gli indicatori della crescita si spiegano con questa relazione in cui abbiamo due vettori e delle variabili di controllo. Cioè se io voglio spiegare la crescita, e immagino che la crescita dipenda da tante cose, cerco di inserire queste cose nel novero delle mie variabili esplicative, le mie variabili indipendenti, poi aggiungiamo separatamente la variabile, il fenomeno che voglio osservare (in questo caso il ruolo della finanza) e vedo se tenendo conto di tutte le altre determinanti riesco ad isolare un effetto esplicativo per la mia variabile indipendente oggetto della mia indagine. Variabili di controllo = variabili che potrebbero influenzare la crescita al di fuori di quella che io voglio esaminare. Metteremo un insieme di serie statistiche, di osservazioni temporali. Questa analisi di regressione ha due dimensioni: temporalmente (serie storica - verticale) e geograficamente (per più paesi - orizzontale). In tutto per spiegare la crescita. Poi isolo le variabili che misurano lo sviluppo finanziario ( ). E al posto di vado a mettere degli indicatori di sviluppo del sistema finanziario, che sono osservati nel tempo tra paesi. Tra le variabili di controllo possiamo mettere tutte quelle che i dati ci dicono che sono significative.

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e sono coefficienti che vado a stimare che misurano la sensibilità della mia variabile indipendente alla variazione delle variabili dipendenti. I coefficienti delle variabili mi dicono l’impatto sulla crescita, e devono essere statisticamente significative.

Le misure del livello di sviluppo del sviluppo del sistema finanziario sono abbastanza simili a quelle di Goldsmith.

Le misure del livello di sviluppo finanziario (King e Levine 1993): PROFONDITÀ = passività liquide del sistema finanziario / PIL BANCA = Il credito bancario / credito bancario + attività domestiche della banca centrale CREDITO PRIVATO = credito alle imprese private / totale del credito interno CREDITO PRIVATO = credito alle imprese nazionali / PIL

Quattro misure: ⇾ Il rapporto tra le passività liquide del sistema finanziario sul PIL (abbastanza simile all’ANIR di Goldsmith). ⇾ Credito bancario sul credito totale → dove il credito totale è il credito delle banche più il credito della Banca Centrale. Ci sembra strano che la Banca Centrale faccia del credito, e aldilà del fatto che compra titoli pubblici una moderna banca centra non ha rapporti con il settore privato e delle imprese. Però nel tempo e nello spazio non è sempre stato così: in passato ci sono state banche centrali facevano credito al settore privato. È un indicatore del grado di sviluppo di un sistema anche questo: questo coinvolgimento delle banche centrali nel dare credito è un fenomeno che oggi non si osserva quasi più, però in passato aveva la sua rilevanza. ⇾ Credito al settore privato sul totale del credito interno. ⇾ Credito alle imprese domestiche sul PIL.

Indicatori di crescita: Tasso medio di crescita reale del PIL pro capite Tasso medio di crescita dello stock di capitale pro capite

→ Si considerano due variabili indipendenti.

Risultati: Coefficiente significativo del vettore ..... ma evidenze insufficienti per attribuire la causalità Approccio “post hoc, ergo propter hoc” : Le misure del sistema finanziario prevedono una crescita economica? Il livello iniziale di sviluppo del sistema finanziario è una buona variabile predittiva della crescita economica e dell’accumulazione di capitale fisico, dopo aver controllato anche per altre variabili.

b → coefficienti delle variabili finanziarie. Per avere un’indicazione di rapporto tra i due mondi dovrei trovare che quel zero.

è un insieme di coefficienti diverso da

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E, a seconda di come definisco le mie variabili finanziarie, individuerò a priori un segno per quei coefficienti → nel nostro caso sono quasi sempre positivi. Tanto più è sviluppato il credito al settore privato e tanto più mi aspetto che ci sia crescita. Quindi vado a vedere se il valore di è statisticamente significativo diverso da zero e positivo. Se trovo questo posso pensare che ci sia una relazione tra variabili finanziarie e variabili reali. Le variabili finanziarie sono osservato ad un tempo . L’idea è che lo sviluppo del sistema finanziario di oggi mi spiega la crescita di domani. Un periodo precedente → sono sfasate queste variabili. Causalità. “Post hoc, ergo propter hoc” = se un fenomeno accade prima di un altro io posso inferire che il secondo fenomeno sia causato dal primo. Quindi se io osservo una crescita del sistema finanziario e al periodo successivo osservo una crescita del settore reale → sulla base di questo approccio semplicistico posso dire che il fenomeno che è accaduto prima mi spiega quello che accade dopo. Questo è corretto da un punto di vista metodologico? È meglio della correlazione semplice, ma è ancora molto discutibile. Quindi in questo senso c’è un piccolo passo avanti nei confronti della causalità. Sicuramente possiamo dire che se un fenomeno si muove prima di un altro, e non possiamo dire che lo causa → possiamo dire almeno che lo predice (che non vuol dire ancora causare). Quindi, avendo trovato questi risultati, possiamo dire che la finanza è un buon preditore, ha una capacità predittiva, di quello che succede al mondo reale.

Punti deboli dell’approccio di King e Levine: 1. Lo sviluppo finanziario e la crescita potrebbero essere guidati da alcune variabili comuni omesse. In assenza di una teoria della crescita accettata, l’elenco delle potenziali variabili omesse per cui lo sviluppo del sistema finanziario potrebbe essere un proxy, rimane rilevante ed è oggetto di congetture (ad esempio, la propensione delle famiglie al risparmio) 2. I risultati di King e Levine potrebbero dipendere dal fatto che i mercati finanziari anticipano la crescita economica. Lo sviluppo finanziario potrebbe essere semplicemente un indicatore anticipatore, piuttosto che un fattore casuale (ad esempio, le banche prestano di più se pensano che i settori cresceranno; oppure la borsa valori capitalizza il valore attuale delle opportunità di crescita) 3. L’interazione fra sistema finanziario e settori reale è probabile che sia bi-direzionale. Questo aspetto non viene trattato in modo adeguato. 4. Le opportunità di miglioramento si applicano alla misura dello sviluppo finanziario (approccio funzionale, misure di efficienza ...) 5. I progressi futuri in materia di causalità potrebbero essere raggiunti focalizzandosi sui dettagli dei meccanismi teorici attraverso i quali lo sviluppo finanziario influenza la crescita.

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1) Ci può essere ancora un problema di variabili omesse, cioè il fatto che io ho spiegato la crescita tendendo conto delle variabili di controllo, ma potrei aver dimenticato ancora qualcosa delle variabili di controllo, e quella variabile omessa potrebbe spiegarmi l’andamento della mia variabile indipendente. 2) Sul discorso della tempistica, i risultati di King e Levine dipendono dal fatto che i mercati finanziati si muovono prima, anticipano quello che succede nel settore reale. Ma questo anticipo non è ancora un’evidenza della causalità. Ad esempio la capitalizzazione di borsa: il valore dei corsi azionari potrebbe anticipare la crescita futura. Il prezzo di un azione dipende dalle prospettive di crescita, dovrebbe essere il valore scontato di tutti i profitti che io attendo in futuro. quindi io ho un settore che è molto promettente e penso si svilupperà in futuro per suoi motivi di carattere reale, e prima ancora che quello sviluppo si manifesti, il settore finanziario potrebbe cogliere quel fenomeno. Per esempio se pensiamo alle azioni: potrebbero aumentare di valore prima ancora che quell’industria abbia avuto il tempo di realizzare quei profitti che sono già scontati nel valore dell’azione. Questo è un esempio di un movimento del settore finanziario che anticipa quello che succede nel settore reale, ma che non lo causa → lo riflette, anche se pure in anticipo. Un altro esempio è quello delle banche: prestano di più se pensano che il settore crescerà. Di nuovo la crescita dipende da fattori di carattere reale e i banchieri scontano questa cosa e sono più disposti a dare credito nel settore perché pensano in futuro si svilupperà. Quindi il credito si muove oggi, ma i redditi prodotti da quel settore si muovono domani. Quindi di nuovo un esempio di una variabile che è un leading indicator, ma che non ha un nesso di causalità → riflette quelli che saranno gli sviluppi nel settore reale. Allora potrebbe sorgere la domanda: ma questa è una condizione necessaria affinché quegli sviluppi si verifichino? Può darsi, però questi esempi sono per dimostrare che una variabile si può muovere prima di un’altra senza necessariamente doverla causare. 3) L’interazione tra settore reale e settore finanziario può essere spiegata con una casualità bidirezionale e sicuramente e così. Ma questo aspetto non è esplorato in quell’approccio. Si cerca di trovare una causalità che va solo in una direzione. Ma nella realtà sicuramente le due cose si muovono assieme e si causano assieme. Si cerca una casualità monodirezionale. 4) Ci sono spazi e opportunità di miglioramento per quanto riguarda la misura dello sviluppo finanziario. Ci sono ancora misure molto grossolane, indicazioni quantitative simile a quelle di Goldsmith e molto semplicistiche. 5) Si possono fare progressi ulteriori sulla casualità cercando di usare un approccio più teorico e più funzionale attraverso il quale spiegare i legami tra sistema finanziario e crescita. E vedremo che qualche tentativo in questa direzione qualche altro paper lo fa.

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Capitolo 6

c) Levine e Zervos (1996)

Altro paper che si focalizza sul ruolo della borsa, sulla liquidità della borsa. In un approccio simile a quello di King e Levine, ovvero sempre più paesi e serie storiche. Però questa volta le variabili finanziarie hanno a che fare con la borsa, e con l’idea che cerchiamo di misurare la liquidità.

Evidenze sulle funzioni finanziarie e sulla crescita economica: Isolare il contributo di ciascuna funzione si è rivelato eccessivamente difficile. Legame tra liquidità e la crescita economica. Nessun tentativo per le banche. Levine e Zervos (WBER 1996) si sono focalizzati sul ruolo della liquidità del

Pochissimi

tentativi.

mercato

azionario.

Due misure di liquidità macroeconomica: Value traded ratio = il valore complessivo di azioni negoziate in borsa di un paese / PIL Turnover ratio = valore complessivo di azioni negoziate / capitalizzazione di borsa

L’approccio: Equazioni di regressione simili a quelle di King e Levine, 42 economie

Risultati: Lo sviluppo del mercato azionario è correlato positivamente con la crescita economica.

La liquidità è misurata da due rapporti:  Rapporto di valore scambiato = totale delle azioni trattate e negoziate nella borsa valori di un paese rispetto al PIL.  Rapporto del giro d’affari = totale delle azioni trattate, le negoziazioni di borsa, sul valore della capitalizzazione. Più sono alti questi due valori e più la borsa è sviluppata, più è un mercato spesso e liquido.

L’idea è che se c’è questa maggiore liquidità → questo dovrebbe influenzare, a parità di condizioni, e considerate tutte le altre variabili, la crescita di un paese. E da un punto di vista econometrico l’approccio è simile a quello di King e Levine: si fa vedere se i coefficienti di questi indicatori dello sviluppo del mercato borsistico sono correlati, anticipandoli in questo caso, con i valori della crescita. E i risultati finali sono che questa associazione positiva viene trovata in uno studio che ha interessato 42 paesi.

Questo per quanto riguarda gli studi cross-country significativi, che seguono l’idea di confrontare dei paesi e vedere le analogie.

Poi ci sono studi che invece hanno osservato solo un singolo paese.

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2) Country-case studies

Casi di studio sui singoli paesi basati su un’analisi descrittiva e valutazioni soggettive: a)

Gli studi di Cameron (1967) per i paesi sviluppati: rapporto tra sviluppo bancario e la prima fase di industrializzazione (attente analisi dei legami giuridici, economici e finanziari tra banche e industrie).

b) McKinnon (1973) fornisce i suoi studi analoghi per i paesi in via di sviluppo. c)

Vicarelli per l’Italia.

d) Studi econometrici applicati alle regioni e province italiane (Mattesini e Cosci 1997). e) Lucchetti, Papi e Zazzaro (2001).

E qui ci sono studi storici → ricordiamo solo i nomi di questi case studies. Qui non c’è un approccio econometrico alla base, sono solo casi di studio applicati e riferiti a singoli paesi. E questi storici economici conclusero dicendo che la finanza è estremamente importante per spiegare la crescita. Mattesini e Cosci hanno usato l’approccio di King e Levine applicato a sottoaree di un paese. Lucchetti, Papi e Zazzaro hanno prodotto un lavoro che ha cercato di fare un passo in avanti in questa letteratura. Hanno applicato questo approccio alle regione italiane e hanno cercato di spiegare lo sviluppo di aree regionali con una serie di indicatori del sistema finanziario, in aggiunta a delle variabili di controllo, come hanno fatto anche King e Levine. Però le variabili dello sviluppo del sistema finanziario erano un po’ diverse → e questo è il valore aggiunto di questo lavoro. Ma hanno cercato di misurare la funzione allocativa delle banche, scegliere i progetti migliori → che è la più importante ai fini dello sviluppo. Questa efficienza, che è difficile da misurare, l’hanno cercata di cogliere vedendo l’efficienza microeconomica delle banche, usando i bilanci bancari stimando una funzione di costo per capire quali erano le banche più efficienti, quelle che utilizzavano meglio gli input per produrre prodotti bancari. Hanno usato i bilanci, hanno fatto delle analisi di efficienza basate sui dati di bilancio → e poi hanno spalmato l’efficienza delle banche in base alla presenza delle banche nelle varie regioni italiane, e la presenza è misurata dagli sportelli. Hanno fatto un ranking e misurato l’efficienza delle singole banche, e poi hanno guardato dove lavoravano quelle banche. E questo serve per calcolare l’efficienza del sistema bancario in ogni regione. Se una banca lavora nelle Marche e in Umbria, e lo diciamo sul numero di sportelli che questa banca ha nelle marche e in Umbria, e hanno usato questa ponderazione per calcolare degli indici di efficienza dei sistemi bancari regionali. E i risultati sostengono l’evidenza di un ruolo dell’efficienza del sistema bancario, per spiegare la crescita dell’economia. Questa analisi l’hanno fatta su un periodo più lungo possibile, di alcuni decenni.

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Capitolo 6

3) Industry-level analyses

a) Rajan and Zingales AER 1998 L’approccio: Usando gli Stati Uniti come punto di riferimento (benchmark), essi definiscono per ogni settore la domanda efficiente di finanziamenti esterni (investimenti meno flussi di cassa interni / investimenti). Usando 41 paesi, hanno verificato se le industrie che dipendono maggiormente dalla finanza esterna crescono relativamente più rapidamente in quei paesi con i più sviluppati sistemi finanziari.

Rajan: economista indiano che lavora negli Stati Uniti, e ha lavorato anche al Fondo Monetario. Zingales: economista italiano che insegna a Chicago e scrive sul Sole 24 Ore. Il loro è un approccio un po’ diverso, anche se l’obiettivo è sempre misurare gli effetti del sistema finanziario sulla crescita. Hanno usato un approccio per cui usando il sistema economico americano come benchmark, loro hanno classificato i vari settori economici sulla base di quanto credito, di quanto fabbisogno finanziario esterno hanno. Lo hanno calcolato come investimento meno i flussi di cassa originati dal settore. Quindi possiamo avere il settore farmaceutico che ha un cash flow ridicolo, ma un grande fabbisogno di investimento. Oppure possiamo avere un supermercato che fa pochi investimenti, ma ha un cash flow altissimo. Il settore farmaceutico è molto più dipende dalla finanza esterna, dai finanziamenti esterni. Mentre il secondo ha un turnover delle riserve molto rapido, il primo deve investire oggi per riscuotere tra 20 anni, quindi ha bisogno di qualcuno che lo sostiene per 20 anni. Quindi hanno classificato i settori economici sulla base della necessità della finanza esterna. E poi con un approccio a livello di industria, ma c’è anche una dimensione internazionale, hanno testato se quei settori economici che sono più dipendenti dalla finanza esterna crescono relativamente più velocemente laddove ci sono i sistemi finanziari più sviluppati. Quindi l’osservazione questa volta è il settore che necessita di finanziamenti esterni. E poi si è fatto un esame econometrico.

Come proxy di sviluppo del settore finanziario usano: il rapporto tra credito al mercato interno più la capitalizzazione di borsa sul PIL. i sistemi contabili.

La variabile dipendente è il tasso medio annuo di tasso di crescita del valore aggiunto delle varie industrie in paesi diversi. Conclusione: Lo sviluppo finanziario ha un’influenza favorevole sulla crescita economica, riducendo il costo del finanziamento esterno alle imprese più finanziariamente dipendenti.

C’è anche è un’altra novità: come proxy del settore finanziario usano anche i sistemi di contabilità.

Integrazione Finanziaria Internazionale

123

Il rapporto tra il credito interno più la capitalizzazione di borsa sul PIL → è meno interessante perché più in linea con gli altri indicatori che abbiamo già visto. La novità è che ci sono degli indicatori che misurano la qualità dei sistemi di contabilizzazione nei paesi. L’idea è che un sistema bancario per funzionare ha bisogno di informazioni. Un banchiere per fare bene il suo mestiere deve potersi basare sulla correttezza e sulla qualità delle informazioni contabili che arrivano dal mondo delle imprese. Le banche si devono fidare che quel bilancio sia veritiero, e rappresenta la vera situazione analizzando quel bilancio possono valutare se quel richiedente credito è meritevole o meno di fiducia. Ci sono delle valutazioni, delle stime della qualità dei sistemi contabili dei vari paesi → e l’idea è che più veritieri e più corretti sono i sistemi contabili → tanto più facile sarà per le banche svolgere il loro mestiere e questa è una proxy dello sviluppo del sistema bancario e del sistema finanziario. La conclusione è la stessa: lo sviluppo finanziario ha un’influenza positiva sulla crescita economica, riducendo i costi della finanza esterna per quelle imprese più dipendenti finanziariamente dall’estero.

4) Firm-level investigation Gli studi a livello di impresa sono importanti per individuare il ruolo delle asimmetrie informative. Due tipi di prove: Le decisioni di investimento delle imprese con più gravi problemi di asimmetria informativa sono più sensibili al flusso di cassa rispetto a quelle per cui è meno costoso per gli esterni monitorare (PMI rispetto alle grandi imprese, rating delle obbligazioni). Le innovazioni finanziarie o le politiche di minori asimmetrie informative possono influenzare positivamente le decisioni di investimento. Le imprese con stretti legami con le banche tendono ad essere meno vincolate nelle loro decisioni di investimento rispetto a quelle con rapporti bancari meno maturi.

Saltato.

6.6.3.

Conclusioni

Crescente mole di evidenza empirica indicante risultati consistenti a favore del ruolo significativo e rilevante della finanza nello spiegare la crescita economica. Il limite principale di questa letteratura riguarda le proxies empiriche che sono state utilizzare per misurare lo “sviluppo finanziario” e la sua efficienza nei vari significati riconducibili alle funzioni del sistema finanziario.

Queste sono le conclusioni di tutta la letteratura. Abbiamo accennato solo ai paper più importanti, ma ce ne sono decine e decine. C’è un impatto positivo, e rilevante anche dal punto di vista quantitativo.

124

Capitolo 6

E il limite principale è ancora il collegamento, la misurazione del ruolo del sistema finanziario nell’economia. Perché abbiamo usato tante proxies, ma nessuna è direttamente riconducibile alle funzioni del sistema finanziario che abbiamo descritto nella lezione precedente, o lo sono solo indirettamente. Quindi è chiaro che qui c’è un limite derivante dalla indisponibilità dei dati. Ad esempio: qual è la statistica che ci dice quanto è bravo un banchiere nel fare il proprio mestiere? Non si sa. Non può essere i profitti che fa, perché dipendono dalle forme di mercato in cui opera. Può essere quanti crediti fa, quanto cresce la sua banca, sono tutti indicatori che possono avere dei pro e dei contro. Ma rispetto a quello che faceva Goldsmith 50 anni fa, un po’ di progressi sono stati fatti, anche perché oggi ci sono molti più dati a disposizione, molte più banche dati da utilizzare. E quindi la letteratura si arricchisce sempre di nuovi esercizi, di nuove evidenze empiriche, e questo è il modo in cui procede il progresso nella misurazione degli effetti in questo caso della finanza sulla crescita. Ma l’effetto della crisi? Queste sono analisi di lungo periodo le crisi dovrebbero essere parte di queste analisi, però quando si vede una crisi della dimensione di quella in cui stiamo vivendo, c’è da chiedersi se la finanza così sviluppa sia sempre così utile ai fini della crescita o se invece non rappresenti, come vedremo più avanti, anche un ostacolo, un limite, in certi casi.

Noi abbiamo visto quali sono le funzioni, quelle prozie riescono a cogliere il significato di quelle funzioni? La conclusione è che ancora non c’è una stretta capacità di queste statistiche di cogliere il significato dell’efficienza delle varie funzioni svolte del sistema finanziario.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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7. I BENEFICI DELL’INTEGRAZIONE FINANZIARIA INTERNAZIONALE 09/11

Riprendiamo il discorso sul rapporto tra finanza e crescita (schema). I benefici dell’integrazione finanziaria li divideremo sulla base delle due modalità dell’integrazione finanziaria che abbiamo considerato: l’internazionalizzazione dei servizi finanziari e la liberalizzazione dei movimenti di capitali.

Oggi continueremo ad analizzare quello schema che abbiamo visto le lezioni precedenti. Quando abbiamo collegato l’integrazione finanziaria alla crescita abbiamo schematizzato e individuato due canali: 1) Il primo era quello che operava tramite il sistema finanziario. Avevamo detto che l’integrazione finanziaria influenza il sistema finanziario nazionale, che a sua volta rappresenta una condizione necessaria importante per la crescita. E questo legame lo abbiamo analizzato in termini di approccio funzionale da un punto di vista teorico e empirico. → E oggi vedremo la prima parte di questo legame: come l’integrazione finanziaria può influenzare un sistema finanziario domestico come l’apertura internazionale può influenzare il sistema finanziario nazionale. 2) Il secondo era invece un legame diretto.

Apertura verso l’estero del sistema finanziario nazionale

Sviluppo del sistema finanziario nazionale

Crescita economica

Benefici e rischi

I benefici derivanti dall’integrazione finanziaria: 1) I guadagni provenienti dalla internazionalizzazione dei servizi finanziari. 2) I guadagni derivanti dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali.

126

Capitolo 7

Oggi ci soffermeremo sui guadagni che derivano dall’internazionalizzazione dei servizi finanziari. E in particolare ci soffermeremo sui vantaggi e sui benefici che dall’apertura può ricavare un sistema bancario, in particolare. Ci soffermeremo sugli aspetti che interessano più da vicino il sistema bancario, nell’idea anche che il sistema bancario rappresenti la parte più rilevante di un sistema finanziario. Faremo considerazioni soprattutto legate ai paesi emergenti, ai paesi in via di sviluppo, alle economie in transizione, che sono quelle che più hanno registrato una integrazione finanziaria intesa secondo questa modalità della internazionalizzazione dei servizi finanziari, quelle che soprattutto hanno ricevuto una importante presenza estera. Liberalizzando le entrate hanno permesso alle banche estere di intervenire e caratterizzare i sistemi bancari domestici.

Integrazione finanziaria e sistema finanziario. L’IF può essere pensata con l’internazionalizzazione dei servizi finanziari e la liberalizzazione dei movimenti di capitali.

7.1.

I benefici derivanti dall’internazionalizzazione dei servizi finanziari

Scambiare e fornire servizi sulla base dei vantaggi comparati IDE dai sistemi più sviluppati verso quelli meno sviluppati. Dinamiche confermate dall’evidenza empirica o Tanti IDE nei paesi emergenti e nei PVS o Dinamiche incrociate tra paesi avanzati Queste dinamiche sono in linea con gli interessi dei paesi? – Sicuramente si per i paesi avanzati (dai mercati maturi verso quelli con potenziale di crescita) – Questione più dibattuta per i paesi che ricevono gli investimenti. Quali benefici e costi? Prima risposta: i benefici superano i costi.

Parlando dell’internazionalizzazione dei servizi finanziari potremmo partire da lontano e dire che questi scambi di servizi finanziari dovrebbero avvenire applicando le norme e le teorie del commercio internazionale dei servizi finanziari sulla base dei vantaggi comparati che i diversi paesi possono avere nei diversi comparti del sistema finanziario. E quindi sulla base di questa generale teoria noi ci dovremmo aspettare soprattutto degli investimenti diretti all’estero che vadano nella direzione per cui i paesi con i sistemi finanziari e bancari più sviluppati dovrebbero intervenire ed investire nei paesi meno sviluppati. Quindi dovremmo immaginare una direzione degli investimenti che sia questa. E questo in realtà è quello che si osserva anche dall’evidenza empirica, anche se dovremmo distinguere tra: ⇾ L’evidenza empirica che riguarda da un lato i paesi emergenti e i paesi in via di sviluppo → che sono quelli che hanno ricevuto gran parte di questi IDE in campo bancario soprattutto. ⇾ E dall’altro l’evidenza empirica che riguarda i paesi sviluppati e i paesi avanzati → e notiamo che gli IDE vanno in entrambe le direzioni. E questi sentieri di integrazione incrociati si osservano anche in ambiti commerciali e in altri settori (teoria del commercio internazionale).

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

127

Quello che ci interessa è sopratutto vedere le dinamiche e le conseguenze delle dinamiche che interessano i paesi in via di sviluppo e i paesi emergenti → per capire in sostanza se queste dinamiche sono in linea con gli interessi dei paesi e se contribuiscono alla crescita dei paesi che ricevono questi investimenti. Per quanto riguarda i paesi avanzati → è chiaro che c’è un interesse e una convenienza nel senso di andare ad investire in quei paesi che hanno tassi di crescita maggiori e quindi possibilità di business maggiori in mercati ancora da sfruttare. Dal punto di vista di chi fa investimenti la logica e la convenienza sono abbastanza chiare. Il punto più dibattuto è stato invece se i paesi che hanno ricevuto questi investimenti hanno avuto benefici per quanto riguarda lo sviluppo della loro sfera finanziaria e poi lo sviluppo della loro sfera reale. Questa è una questione più dibattuta, ma anticipiamo che alla domanda “Ci sono stati vantaggi netti per i paesi che hanno ricevuto grosse presenze estere nel settore bancario?” la risposta è positiva. E questo lo argomenteremo soprattutto cercando di elencare quali sono i canali attraverso i quali gli IDE possono impattare sul livello di sviluppo e di efficienza di un sistema bancario o finanziario nazionale. E faremo accenno brevemente anche ai lavori empirici che hanno cercato di misurare questi vantaggi e questi benefici.

In che modo l’internazionalizzazione dei servizi finanziari dovrebbe influenzare lo sviluppo finanziario di un paese? L’internazionalizzazione dei servizi finanziari dovrebbe aumentare l’offerta e la qualità della finanza nei paesi meno sviluppati economicamente. E ciò può avvenire perché: Porta intermediari più efficienti più vicino alle imprese in aree arretrate. Permette a queste imprese di accedere ai mercati finanziari più distanti.

Qui ci stiamo concentrando sul ruolo delle banche estere nell’influenzare la crescita e lo sviluppo di un sistema bancario nazionale. Questo dovrebbe accadere principalmente per due motivi: 1) Perché consente di portare intermediari che dovrebbero essere più efficienti in contatto con le imprese di un paese che dovrebbe essere più arretrato. Quindi il fatto che questa clientela, queste imprese reali, possano entrare in contatto con intermediari finanziari più efficienti dovrebbe rappresentare un primo canale di trasmissione di effetti positivi. 2) E poi perché dovrebbe anche permettere a queste imprese una migliore accessibilità a quelli che sono mercati finanziari che altrimenti non sarebbero raggiungibili. Ad esempio il mercato internazionale dei capitali o l’accesso alle risorse finanziarie di un gruppo bancario estero che arriva ad avere sportelli e legami nel sistema bancario in esame.

Tre canali principali.   

Maggiore efficienza e concorrenza. Maggiore stabilità finanziaria. Maggiore disponibilità di credito e più alto numero di servizi finanziari.

128

Capitolo 7

In particolare attraverso queste due modalità (maggiore accessibilità rispetto alle banche estere e una maggiore accessibilità ai mercati finanziari altrimenti non raggiungibili) possiamo dire che ci sono tre canali principali attraverso i quali questa maggiore vicinanza dovrebbe produrre effetti positivi: 1) Dovrebbe innalzare il livello dell’efficienza del sistema bancario domestico e il livello anche di concorrenza. 2) Ci dovrebbe essere una maggiore stabilità finanziaria. 3) Ci dovrebbe essere una maggiore disponibilità del credito e una più ampia offerta di servizi finanziari.

E questi tre canali sono rappresentati in questa figura.

Internazionalizzazione e performance del sistema finanziario.

Efficienza del sistema finanziario

Internazionalizzazione dei servizi finanziari

Stabilità del sistema finanziario

Performance del sistema finanziario nazionale

Disponibilità di risorse finanziarie

Il legame fra l’internazionalizzazione dei servizi finanziari (che in questo caso significa sopratutti presenza di banche estere nel mercato locale) e i tre canali che abbiamo individuato → a loro volta potrebbero impattare sulla performance del sistema bancario e finanziario nazionale. Vediamo più da vicino questi tre canali. Cominciamo dal vedere più in dettaglio perché l’efficienza e la concorrenza dovrebbero aumentare.

7.1.1.

Efficienza e concorrenza L’integrazione finanziaria dovrebbe aumentare l’efficienza e la concorrenza degli intermediari e dei mercati finanziari. Nella misura in cui la maggiore efficienza stimola la domanda di fondi e di servizi finanziari, questo dovrebbe tradursi in un aumento delle dimensioni del settore finanziario nazionale. L’efficienza dovrebbe aumentare (nuovi metodi organizzativi, nuovi sistemi informativi, nuove procedure per la valutazione e il controllo dei rischi, migliore capitale umano).

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

129

Le acquisizioni cross-border potrebbero portare le banche più vicino alla loro scala di efficienza (riduzione dei costi di intermediazione). La concorrenza: la pressione competitiva dalle banche estere dovrebbe ridurre il costo dei servizi finanziari ed erodere le rendite delle banche locali.

Ma in che modo l’efficienza potrebbe essere accresciuta dalla presenza estera? Ci sono diverse cose da dire. In particolare l’efficienza dovrebbe aumentare perché la banca estera che arriva ed entra nel mercato domestico dovrebbe portare con sé dei: ‐ metodi organizzativi più efficienti. ‐ sistemi informativi più efficaci → in una banca sono un qualcosa di estremamente importante. ‐ nuove procedure per la valutazione e il controllo dei rischi → altra area fondamentale, perché l’attività bancaria è sostanzialmente una attività di gestione dei rischi. Quindi avere delle procedure, dei metodi, per gestire i rischi in modo più efficiente vuol dire avere un’attività bancaria più efficiente. ‐ un capitale umano di migliore qualità → normalmente questi IDE spesso comportano anche il movimento delle figure apicali che gestiscono la banca. Movimenti nel senso che molto spesso, almeno nelle parti iniziali, il vertice della banca locale importa il management proveniente dal gruppo bancario estero. In questo senso potrebbe essere un miglioramento del capitale umano della banca. L’ipotesi di base è sempre quella che stiamo considerando una banca estera che arriva da un paese più sviluppato e che porta a dei vantaggi comparati nel gestire e nel portare avanti il suo business bancario. Quindi il fatto che arrivi una banca estera vuol dire poter sfruttare e usufruire di tutte quelle modalità organizzative che per definizione una banca estera dovrebbe avere più sviluppate rispetto ad una banca locale.

Poi il fatto che in molti casi questi IDE sono arrivati tramite acquisizioni di banche locali → cioè non succede quasi mai che ci sia la costituzione di una nuova banca controllata o completamente partecipata da una banca estera. Le modalità attraverso le quali si sviluppano queste banche estere possono essere: ‐ o attraverso l’apertura di una filiale del gruppo estero; ‐ o attraverso l’acquisizione di un intermediario locale → per esempio questo è quello che è successo in gran parte delle economie in transizione, quando ci sono stati i processi di privatizzazione. Alla privatizzazione hanno partecipato istituzioni estere, che hanno acquisito realtà già esistenti. E quindi in questo caso le acquisizioni cross-border hanno aumentato molto spesso la dimensione di questi intermediari e hanno permesso di raccogliere quelle economie di scala che possono esserci nel business bancario. Cioè il fatto di appartenere ad un gruppo più grande dovrebbe di per sé rappresentare un vantaggio in termini di scala più efficiente, di raggiungimento di una scala, di una dimensione più efficiente; ammesso che ci siano economie di scala crescenti nel settore bancario. Questi sono possibili canali attraverso i quali l’efficienza è migliorata. Poi abbiamo detto che ci sono conseguenze anche sula concorrenza. Concorrenza → l’arrivo di questi players internazionali dovrebbe comportare un aumento del livello di concorrenza e questo aumentato livello di concorrenza dovrebbe far sì che il sistema operi con livelli competitivi più elevati il che vuol dire con una riduzione anche di quelle rendite di posizione che le banche locali precedenti all’arrivo della concorrenza estera potevano avere. Quindi maggiore concorrenza derivante dalla pressione competitiva che può essere portata in un mercato dalla presenza estera.

130

Capitolo 7

7.1.2.

Stabilità Maggiore stabilità finanziaria (tecniche di gestione del rischio, maggiore reputazione e depositi più stabili (flight to quality) Miglioramento della regolamentazione nazionale a causa della tendenza verso un “level playing field” (norme di contabilità, vigilanza finanziaria, corporate governance, ecc). Capitalizzazione delle istituzioni nazionali. Le banche estere importano la vigilanza dalle loro autorità domestiche. Le banche estere favoriscono la stabilità della base di depositi (“flight to quality” a casa).

Perché la stabilità dovrebbe essere accresciuta? Nel primo punto sono menzionati tre possibili aspetti: 1) Miglioramento della gestione del rischio → già richiamata. 2) Maggiore reputazione → nel senso che la banca estera ha un capitale reputazionale da difendere più alto. E quindi questo potrebbe essere un motivo per cui dovrebbe garantire una maggiore stabilità. 3) Maggiore stabilità dei depositi: l’idea è sempre quella di un paese ospitante che è meno sviluppato nei paesi in cui ci sono sistemi bancari poco sviluppati, arretrati, che hanno al loro interno banche estere di sistemi internazionali si è osservato che quando c’è una crisi di fiducia, una crisi finanziaria, una crisi bancaria, o comunque quando si intravede la possibilità di crisi bancaria, normalmente c’è quello che si chiama il “flight to quality”. Flight to quality volo verso la qualità, spostamento verso la qualità → i depositanti tendono a muovere i propri depositi verso quelle istituzioni ritenute più sicure. Quindi la presenza di queste banche estere, godendo di una maggiore reputazione, può stabilizzare la raccolta bancaria del paese. Quindi laddove ci dovessero essere spostamenti dettati da questo fenomeno del “flight to quality” si prevede lo spostamento all’interno dello stesso paese da banche ritenute meno solide a banche, quelle estere, ritenute invece più solide dal mercato. Se non ci fossero le banche estere questo “flight to quality” potrebbe avvenire attraverso invece un’esportazione di capitali. Quindi in questo senso i depositi sono più stabili → l’idea è che le banche estere possano godere di una maggiore fiducia da parte dei depositanti. Normalmente le banche estere che vanno in un altro paese sono gruppi di primaria importanza: è un grande gruppo bancario che si sposta, è la multinazionale del settore che si sposta in altri paesi. Questo è un primo punto per la stabilità. Non è l’unico.

Normalmente quando un paese si apre all’esterno tende a registrare un processo di ammodernamento della struttura regolamentare del paese in campo bancario. E questo avviene per più motivi: ‐ Innanzitutto perché c’è un interesse da parte dei paese ad avere una regolamentazione più efficace, più in linea con quelli che sono gli standard internazionali. ‐ Le stesse banche internazionali potrebbero avere un interesse perché questo avvenga, per avere le stesse procedure all’interno del gruppo, per fronteggiare le stesse problematiche a livello di regolamentazione. ‐ E anche a livello di autorizzazioni → perché una banca quando fa un investimento deve essere autorizzata dall’autorità di vigilanza. E una delle prime cose che un’autorità di vigilanza guarda prima di autorizzare è quella di capire se il paese ospitante ha gli stessi standard regolamentari.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

131

Quindi sicuramente questo fatto del miglioramento della regolamentazione,dove per regolamentazione non si intende soltanto le regole, ma anche il rispetto delle regole, e quindi l’efficacia della vigilanza → questo sicuramente è un punto importante. E nella regolamentazione c’è una tendenza verso un “level playing field”. Level playing field il campo di gioco deve essere livellato le stesse regole e le stesse condizioni devono sussistere su mercati diversi, non ci devono essere dei vantaggi competitivi legati al fatto che la regolamentazione possa essere diversa da un paese all’altro. Vuol dire poter tutti soggiacere alle stesse regole e non creare distorsioni legate alla regolamentazione.

Un altro aspetto che può migliorare la stabilità è il fatto della capitalizzazione delle istituzioni domestiche. Questo si riferisce all’ipotesi che le banche estere siano arrivate in un paese con un sistema bancario in crisi. La capitalizzazione delle istituzioni domestiche può essere più alta quando investimenti esteri arrivano attraverso l’acquisizione di un soggetto interno, e questa acquisizione molto spesso che porta con sé una maggiore capitalizzazione. Questo ad esempio è stato il caso delle economie in transizione, che, nei primi anni dello sviluppo delle economie di mercato, hanno tutte registrato grande crisi bancarie. Questo nel decennio degli anni ‘90. Quindi una banca in crisi poteva essere salvata attraverso una fusione o una acquisizione da parte di soggetti esteri che arrivavano nel paese, ricapitalizzavano la banca e creavano a quel punto un sistema bancario con un livello di capitale più alto. Quindi in molti casi si è osservato questo effetto sulla capitalizzazione derivante appunto da capitale straniero che veniva investito e impiegato, immesso nelle banche domestiche.

Altro punto è che le banche estere importano le tecniche, le metodologie e gli obiettivi di supervisione, di vigilanza, dal loro paese di origine. Questo è rilevante quando abbiamo un gruppo bancario che si sposta all’estero e l’affiliazione estera è soggetta anche alla vigilanza del paese di origine e non solo a quella dell’autorità locale. C’è un triplo effetto disciplina – le banche estere devono soggiacere: ‐ Ai controlli delle autorità locali. ‐ Ai controlli delle autorità del paese di origine ‐ E alla disciplina del gruppo, ai controlli della capogruppo, che ha ovviamente anch’essa un interesse affinché la banca estera si comporti secondo i principi di una sana e prudente gestione. Quindi dovrebbe esserci un triplo controllo su queste banche, almeno sulla carta (ma non solo) queste banche estere sono soggette a maggiori controlli direttamente determinano una maggiore stabilità del sistema bancario a cui appartengono. Poi le crisi finanziarie ci insegnano che questi controlli non sono sempre efficaci.

L’ultimo punto sulla stabilità riguarda il fatto che le banche straniere ottengono maggiore stabilità nella base dei depositi bancari. C’è questo fenomeno del “flight to quality” che dovrebbe rimanere confinato all’interno del paese.

132

Capitolo 7

7.1.3.

Disponibilità di credito e di risorse finanziarie Maggiore accesso ai mercati finanziari internazionali (credito e mercati azionari). Come l’integrazione finanziaria procede, le banche dei paesi più sviluppati sono in grado di fornire prestiti cross-border alle imprese dei paesi meno sviluppati (questo credito non apparirà nelle statistiche nazionali). Analogamente, per i servizi finanziari: ⇾ solo guardando alle misure di sviluppo finanziario locale basate sulla dimensione, non può rivelare il reale miglioramento della accessibilità ai servizi creditizi e finanziari. ⇾ come l’integrazione finanziaria procede, la dimensione dei mercati finanziari perde parte del suo significato come misura del loro sviluppo (credito/PIL, capitalizzazione di borsa /PIL).

Ultimo canale. Perché ci dovrebbe essere una maggiore disponibilità di credito e risorse finanziarie? Innanzitutto perché queste realtà estere, queste banche estere potrebbero migliorare l’accesso ai mercati internazionali; e in più perché possono essere disponibili maggiori risorse se pensiamo che alle spalle di quella banca estera c’è un gruppo bancario di livello internazionale che ovviamente ha capacità di credito molto maggiore. E questo discorso vale sia per la disponibilità quantitativa di credito, sia per la disponibilità qualitativa delle tipologie di servizi finanziari offerti. E ovviamente questo interessa soprattutto alle grandi imprese che vogliono affacciarsi sui mercati internazionali.

Questo è sufficiente per menzionare brevemente quelli che sono i potenziali vantaggi di una presenza di banche estere per un sistema domestico ancora poco sviluppato. Ma ci sono anche dei rischi, dei costi, derivanti dall’internazionalizzazione dei servizi finanziari.

7.2.

Potenziali rischi e costi dell’internazionalizzazione dei servizi finanziari

1) Questione dell’infant industry: la paura della dominanza da parte di banche estere. 2) Le difficoltà delle autorità nazionali nel controllare le banche estere. 3) Deflussi di capitali: le banche estere potrebbero competere per i depositi locali e canalizzare i fondi al di fuori del paese. 4) Le banche estere potrebbero dirigere i fondi verso le multinazionali ignorando le PMI. 5) Le banche estere potrebbero esporre le economie ospitanti a eventi che si svolgono in altri paesi dove esse operano (contagio). 6) Le banche estere hanno accesso a più alternative di investimento e potrebbero essere inclini al ”cut and run behavior”.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

133

Elenco delle possibili questioni negative legate alla presenza estera. 1) Problema dell’infant industry, dell’industria nascente: l’idea è che se abbiamo un’industria molto giovane, le autorità dovrebbero cercare di non esporla alla concorrenza internazionale. L’idea è che un’industria locale dovrebbe prima essere irrobustita e poi aperta alla concorrenza internazionale → altrimenti il rischio è che non si sviluppi mai un’industria nazionale perché i concorrenti esteri già sviluppati, più grandi e più efficienti dominerebbero comunque quel mercato. Questo problema dell’infant industry è stato molto dibattuto negli anni ‘90 sopratutto nelle economie in transizione che avevano di fronte grandi trade-off tra: ‐ far sviluppare un’industria bancaria locale, tenendo chiusi i confini nazionali alla concorrenza estera → e questo avrebbe voluto dire impiegare tempo e risorse per avere un livello di un sistema bancario inizialmente inefficiente; ‐ o se invece aprirsi subito alla concorrenza internazionale → ma a quel punto questo avrebbe voluto dire ridurre le possibilità di sviluppo per la nascita e il consolidamento di un’industria bancaria locale. Questo problema dell’infant industry è la paura della dominanza da parte dei soggetti stranieri, delle banche estere. 2) Questione della difficoltà delle autorità locali a controllare una multinazionale estera, una grande banca estera. Altra questione sollevata soprattutto nelle economie in transizione. E anche questo è un falso problema, nel senso che il fatto di essere grandi non sempre vuol dire essere capaci di sfuggire alle regole del regolatore nazionale. Anche perché l’alternativa a queste banche estere, nei paesi in transizione erano anche le SOBs (State Old Banks), le grandi banche pubbliche che in questi paesi dell’Europa dell’est erano state create all’inizio della transizione. E queste grosse banche nazionali pubbliche erano molto vicine al mondo della politica, al mondo governativo, nei vari paesi e quindi forse erano quelle le banche più difficili da controllare, piuttosto che le banche estere private che arrivavano e si affacciavano su questi mercati. Il fatto di essere grandi e potenti nell’industria bancaria è sempre un problema → vediamo anche nella crisi: “too big to fail”. Il problema della cattura del regolatore da parte dei soggetti regolamentati, rispetto alle grandi istituzioni finanziarie, è un problema. Ma in questi paesi questo problema lo dobbiamo vedere contestualizzato in quelle realtà, in quei periodi e in quei paesi dove l’alternativa erano appunto queste banche locali, spesso di proprietà pubblica, comunque grandi e comunque in mano a persone molto potenti in questi paesi, che si dovevano confrontare con autorità di vigilanza appena nate, e spesso anche incapaci di fare il proprio mestiere perché erano competenze che non c’erano in questi paesi. 3) Problema del deflusso dei capitali → attraverso queste banche si creavano dei canali dove potevano sfuggire capitali. E anche questa è una paura abbastanza infondata, almeno in tempi normali. Nel senso che è stato vero semmai il contrario: questi paesi offrivano possibilità di impiego e di risparmio molto più redditizie di quelle che potevano esserci in un mercato maturo. Quindi l’idea semmai è che questi paesi potevano ricevere risparmio attraverso queste istituzioni, e non viceversa. Però la paura che potessero raccogliere depositi localmente e incanalarli verso altri paesi c’è stata. 4) 5) Le banche straniere potevano essere più disposte a finanziare le multinazionali, le grandi imprese, piuttosto che le PMI. Grandi imprese → verso le quali le asimmetrie informative potevano essere minori. L’idea è che queste banche straniere finanziano soprattutto le grandi corporation, i grandi gruppi industriali, e tralasciano le piccole e medie imprese locali, le SMEs (Small and Medium size Enterprises). Questa è una questione empirica che va verificata. In teoria le asimmetrie informative che fronteggia una grande banca estera o una grande banca nazionale dovrebbero essere più o meno le stesse. Per cui anche questo punto,

134

Capitolo 7

come i precedenti, possono essere risolti guardando a cosa è successo, a come si sono comportate queste realtà. Questa domanda la lasciamo in sospeso. 6) Paura del contagio → le banche estere potrebbero esporre le economie ospitanti a eventi che potrebbero avere luogo in altri paesi dove operano le banche estere, nel loro paese di origine o nel paese in cui sono operative. Quindi c’è una paura di contagio derivante da questa rete di rapporti di cui le banche estere sono parte. 7) Problema del “cut and run behavior” (“tagliare la corda”) → paura che le banche estere, avendo accesso a più alternative di investimento, potrebbero essere più inclini che altri ad avere questo atteggiamento di disinvestire da iniziative locali e fuggire, impiegare questi investimenti in alternative possibili all’estero. Quindi potrebbero amplificare oppure facilitare la fuga di risparmi e di capitali.

Quali di questi rischi hanno fondamento? Ci sono costi per il settore bancario locale nel breve periodo. ... ma a livello economico complessivo, i benefici devono superare gli eventuali costi associati ad una presenza straniera.

Sicuramente dei costi per il settore bancario locale, almeno all’inizio della transizione, ci sono stati. Questi paesi che si sono aperti alla presenza estera hanno registrato in poco tempo una dominanza quasi assoluta delle banche estere nei mercati locali. E quindi le banche estere hanno in qualche modo spiazzato e divorato le quote di mercato delle banche nazionali. Nelle prime lezioni abbiamo visto qualche dato. Ci sono paesi in cui la quota delle banche estere è del 90%, anche perché i sistemi bancari nazionali sono stati quasi completamente ceduti a banche estere. Se questo sia un bene o un male nel lungo periodo è un’altra questione. Noi qui stiamo ragionando sul fatto che il sistema bancario dovrebbe essere ancillare, strumentale alla crescita economica. Quindi quello che ci interessa è anche che il sistema bancario sia efficiente, che finanzi in maniera adeguata la crescita di un paese. Nel complesso, a livello di sistema economico complessivo, i benefici dovrebbero sovrastare i possibili costi associati con la presenza estera. Questa è una prima conclusione su considerazioni di carattere teorico, funzionale.

7.3.

Effetti della internazionalizzazione dei servizi finanziari al paese ospitante

7.3.1.

L’evidenza empirica

Robusta evidenza empirica in termini di maggiore efficienza delle banche estere … … senza costi significativi per il paese ospitante.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

135

Cominciano ad esserci anche molti lavori che cercano di misurare i benefici e i rischi della presenza estera e volendo limitare tutta questa letteratura ad una frase possiamo dire che c’è un’evidenza empirica abbastanza robusta in termini di maggiore efficienza di queste banche estere rispetto alle banche locali (efficienza misurata in vari modi, anche quella allocativa in qualche misura). E soprattutto da questi lavori empirici non sono stati trovati quei possibili costi che abbiamo elencato prima: non è vero che le banche estere si comportano diversamente verso le PMI, pare che non sia vero che spostano risorse dal paese ospitante verso l’estero, semmai è vero il viceversa. E quindi la presenza bancaria estera, almeno in alcune fasi storiche iniziali, può essere valutata positivamente. E questo ci permette di arrivare ad una prima conclusione rispetto a quel legame della figura, ovvero il fatto che un’apertura, un’integrazione finanziaria, in questo caso intesa come internazionalizzazione dei servizi finanziari, come presenza estera, può essere di qualche aiuto, può essere importante per lo sviluppo del sistema finanziario nazionale.

Luca: « In questo periodo in l’Italia le elezioni ed un governo tecnico potrebbero far bene o male? ». I mercati quello che non vogliono è l’incertezza, e noi siamo ancora in una situazione di grande incertezza. Poi come risolvere questa crisi è un altro problema. Questa crisi è una cosa molto complessa, che ha risvolti di breve periodo e problemi di medio-lungo periodo. Nel breve periodo l’unica soluzione possibile potrebbe essere quella di un intervento significativo, convinto, della BCE che faccia quello che il suo statuto non le consente di fare, cioè il prestatore di ultima istanza applicato a dei paesi invece che alle banche. Perché il prestatore di ultima istanza è solitamente applicato alla crisi di liquidità di una singola banca. Però se andiamo a vedere la storia delle banche centrale ci accorgeremmo che il credito di ultima istanza è stato utilizzato in casi ancor più eccezionali in favore degli stati. Una banca centrale nazionale potrebbe, in casi eccezionali, comperare quei titoli di stato che non compera più il mercato. Questo è uno dei punti critici della Costituzione Europea, perché noi abbiamo una banca centrale che non può svolgere (e adesso diremo: che non vuole svolgere) il ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti di alcuni paesi. Perché lo statuto non prevede esplicitamente questo ruolo e perché il consenso politico su questa cosa da parte dei paesi forti che comandano ormai l’Europa non c’è (Francia e Germania). Siccome la Germania è contraria a questo ruolo che potrebbe avere la BCE, noi nel breve periodo siamo in una situazione molto difficile. La BCE non potrà comprare ancora a lungo i titoli di stato come in parte ha fatto in questo periodo e soprattutto non ha mai dato dimostrazione di convinzione di questo ruolo. E i mercati vogliono convinzione, non vogliono una banca che adesso compra, però dice di comprare temporaneamente e che fra poco smetterà, perché non è il suo mestiere farlo. Questo annuncio non funziona. Infatti lo spread è arrivato quasi a 600 punti base. La sostenibilità del debito si traduce nel fatto che il tasso di crescita reale del PIL deve essere superiore al tasso di interesse reale. Se non è così il rapporto debito/PIL tende a crescere a parità di avanzi e disavanzi primari. Cioè, supponendo che ci sia un avanzo primario pari a zero, per stabilizzare il rapporto debito/PIL il tasso di interesse reale deve essere inferiore al tasso di crescita del PIL.

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Capitolo 7

Questo spread vuol dire che oggi i BTP hanno un tasso di interesse del 7%. Con l’inflazione al 3% diciamo che il tasso di interesse reale è il 4%, ma il tasso di crescita reale del PIL italiano è 0,…%. Quindi perché il debito sia sostenibile noi dobbiamo creare un avanzo primario dell’ordine del 3-4%. Noi oggi non abbiamo un avanzo primario di questo livello, ed è molto difficile averlo perché vuol dire o ridurre le spese o aumentare le entrate. Per creare questo avanzo di bilancio bisogno avere la forza politica di base. Da qui il fatto che un governo con una larga base in cui siano rappresentati tutti riesce ad imporre quei costi e quelle misure che avrebbero altrimenti un costo politico molto forte. I politici altrimenti sono miopi, pensano solo alla loro rielezione e non al bene del paese. Il problema è anche un problema di attuazione: ci vuole la forza politica per aumentare le tasse e ridurre le spese. Non è questione di un governo, ma se un governo riesce a portare avanti queste misure, che ci chiedono anche gli effetti disciplina dall’Europa. Non c’è un aggiustamento senza costi. Il punto è che la qualità degli interventi fatti negli ultimi 20 anni non è stata all’altezza delle situazioni e quindi la fiducia verso le istituzioni politiche è andata molto a calare.

Giacomo: « Cosa ne pensa dell’ipotesi avanzata da qualcuno di aumentare il più possibile la parte di debito detenuta dagli italiani? ». Sì, potrebbe essere una soluzione. Ma si tratta di convincere centinaia di migliaia di persone a fare questo passo. Ma in realtà il mercato, per come sta andando, ci sta dicendo che la gente sta uscendo dai titoli, non li sta comperando. Quindi in teoria ci vorrebbe un’azione coordinata, ma comunque non risolveremmo i nostri problemi. Questo risolverebbe i problemi di breve periodo, ma il punto è che noi non possiamo convivere a lungo con un debito così alto e con dei tassi di interesse così alti. Quindi dobbiamo trovare il modo per riaggiustarci.

Tutto questo riguarda la crisi finanziaria in atto nel breve periodo. Poi c’è un problema molto più serio: nel medio-lungo periodo → quello di capire come delle economie che marciano a velocità diversa possano stare insieme avendo la stessa valuta senza avere un governo unico, una politica fiscale unica, un bilancio pubblico unico. Questo è il punto di fondo. E qui la risposta di nuovo è una risposta difficile da dare, anche perché quello che stiamo osservando è un comportamento da parte dei paesi contrario a quello che studiamo sui libri di testo. Ricordiamo da macroeconomia l’aggiustamento tra paesi in cambi fissi. Noi in Europa siamo in cambi fissi in sostanza. Gli aggiustamenti li stanno richiedendo ai paesi in deficit. Alcuni paesi del sud-Europa non solo hanno un debito più alto, ma hanno anche una minore competitività e degli sbilanci delle partite correnti molto elevati. → Cioè: uno sbilancio di parte corrente deve essere finanziario dall’estero. L’Italia, come la Grecia e come la Spagna, sono in disavanzo nelle partite correnti. E questo va finanziario con degli afflussi di capitali. Se questi afflussi di capitali non arrivano più abbiamo un problema. E perché abbiamo questi disavanzi di partite correnti? Perché siamo meno competitivi. Perché siamo meno competitivi? Perché abbiamo inflazione più alta e perché abbiamo una produttività più bassa. Questo è un problema reale, di medio-lungo periodo. Come si risolve? O si velocizza l’integrazione politica e allora diventiamo una regione povera del sistema e ci saranno dei meccanismi di trasferimenti che ci permettono di sopravvivere con gli sbilanci delle partite correnti. Ma se non andiamo in questa direzione, non si sa.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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E la crisi ha complicato tutto perché prima tutti erano europeisti e adesso nessuno lo è più: i tedeschi non si vogliono unire all’Italia. Il nord-Europa e il sud-Europa non parlano più la stessa lingua sostanzialmente. Il potere si è redistribuito: noi una volta eravamo parte dei vertici eurpei, adesso non lo siamo più, adesso Sarkozy si vede con la Merkel e decidono. Questo è un mondo che va riequilibrato e non si sa come. Ma questo è un grande problema, un nodo molto forte. L’idea della moneta unica era: facciamo la moneta unica per arrivare più in fretta all’unione politica. E l’idea dell’unione politica era: l’Europa deve smettere di farsi la guerra. L’unione monetaria era stata pensata come un progetto politico che doveva servire a mettere insieme dei popoli che si sono fatti storicamente la guerra, soprattutto i tedeschi e i francesi. E lì ci fu un grande dibattito tra i tedeschi che prima volevano prima l’unione politica e gli italiani e i francesi che dicevano che con l’unione monetaria si sarebbe arrivati prima all’unione politica (quando l’Italia contava qualcosa ed era ascoltata). Oggi la situazione è molto diversa: l’unione politica è un qualcosa di molto lontano. Allora come si esce da questa situazione? O si fa uno sforzo incredibile (ed è l’unica speranza che ci può rimettere in equilibrio), una grande politica, un grande “colpo di reni” (cit. Ciampi) → ma questo paese è in grado di farlo? Ha la classe politica in grado di farlo? Tutto quello che serve per questo scatto di orgoglio? Altrimenti non c’è soluzione. Quindi la solidarietà, compriamo noi il debito, può essere una buona idea, ma i veri problemi rimangono sul tappeto. Noi possiamo stare dentro l’euro? Si può uscire dall’euro? Secondo il prof no. Uscire dall’euro è una cosa drammatica per tutti, ma anche per il nordEuropa, perché ormai siamo così integrati che se noi usciamo non è che gli altri non si accorgono di nulla. L’integrazione finanziaria è tale che l’Italia ha un quarto del debito pubblico dell’area dell’euro. il debito pubblico italiano conta un quarto del debito pubblico dei 17 paesi dell’euro. e questo debito pubblico è per oggi il 40% in mano a istituzioni estere. La situazione è complicata.

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Capitolo 7

Abbiamo trattato quelli che potevano essere i benefici derivanti dall’internazionalizzazione dei servizi finanziari, dove abbiamo considerato solo la presenza di banche estere in un sistema bancario di un paese relativamente arretrato, e abbiamo discusso i benefici e le eventuali preoccupazioni che potevano essere accompagnate dall’eventuale sviluppo dell’integrazione finanziaria. E abbiamo concluso che per i paesi ospitanti abbiamo individuato una serie di possibili vantaggi, mentre i rischi erano confinati a elementi tutto sommato trascurabili. E quindi abbiamo concluso che dal punto di vista dei paesi ospitanti ci può essere un forte vantaggio a registrare queste aperture verso l’estero, per una serie di motivi riconducibili essenzialmente alla maggiore stabilità, maggiore efficienza e alla maggiore disponibilità di risorse finanziarie nel paese. Poi abbiamo cercato di dimostrare la valenza empirica che l’apertura verso l’estero può contribuire, può avere un effetto positivo, può contribuire allo sviluppo del sistema finanziario, e in particolare bancario, del paese. Questo canale lo abbiamo applicato e qualificato soprattutto nel caso di un paese in transizione, che si apre ad paese più sviluppato.

Il prossimo passo sarà quello di analizzare il canale diretto.

Apertura verso l’estero del sistema finanziario nazionale

Sviluppo del sistema finanziario nazionale

Crescita economica

Benefici e rischi

Dobbiamo considerare quelli che possono i benefici e i rischi che non passano tramite il sistema finanziario nazionale, ma che hanno invece un impatto diretto sulla crescita di un paese. Questo vuol dire sostanzialmente interessarsi dei benefici o dei rischi che possono soprattutto derivare dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali.

11/11 Lasciamo l’analisi di un sistema bancario relativo ad un paese arretrato e facciamo discorsi più generali relativi ai benefici che possono derivare dall’integrazione finanziaria, intesa questa volta principalmente come liberalizzazione dei movimenti di capitali, quindi apertura dell’intero sistema finanziario e libertà per gli operatori di investire anche in attività all’estero o in attività denominate in valuta estera.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

7.4.

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I benefici derivanti dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali Produzione Shocks temporanei (consumption smoothing) Diversificazione dei portafogli Disciplina delle politiche economiche

Possiamo raggruppare questi benefici in questi quattro punti, che non sono in ordine di importanza. L’importanza relativa di queste diverse tipologie è una funzione sia del tempo sia dei paesi: un aspetto potrebbe essere particolarmente importante in un certo periodo storico per un certo paese e un altro aspetto essere invece meno importante. Questi benefici interessano il mondo della produzione, in particolare il riferimento è soprattutto al ruolo degli investimenti diretti all’estero, centrale nei vari settori. Poi una seconda tipologia dei vantaggi riguarda la capacità dell’IF di essere utilizzata per attenuare gli effetti di shock temporanei. La terza tipologia di benefici guarda alla possibilità di avere una diversificazione dei portafogli finanziari. E l’ultimo aspetto riguarda la disciplina delle politiche economiche → l’idea che l’integrazione porti con sé un effetto disciplina sulle autorità di un paese lo stiamo vivendo in questi giorni. Cercheremo di spiegare meglio perché un paese integrato dovrebbe essere soggetto ad una maggiore disciplina nella definizione e nella realizzazione delle politiche economiche.

7.4.1.

Produzione

a) Investimento b) Costo del capitale c) IDE

La produzione ha tre diversi aspetti da considerazione che hanno a che fare con le possibilità di investimento, il costo del capitale e gli investimenti diretti all’estero.

a) Investimento L’integrazione allenta il vincolo del risparmio nazionale sull’investimento. migliora l’allocazione delle risorse (effetto sulla qualità dell’investimento non sulla quantità) In un mercato globale dei capitali, è il rendimento relativo nei vari paesi, e non il risparmio nazionale, a determinare il volume dell’investimento.

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Capitolo 7

L’idea di fondo è che l’integrazione finanziaria rimuove quello che in un’economia chiusa è il vincolo tra risparmio e investimento. Da macroeconomia in una ipotetica economia chiusa l’equilibrio può essere rappresentato dall’uguaglianza tra risparmio e investimento, e questo equilibrio è anche una sorta di vincolo, nel senso che se veramente l’economia fosse chiusa la possibilità di finanziarie gli investimenti di quel paese sarebbero vincolati/confinati alla dimensione/livello del risparmio nazionale. Questo vincolo è allentato, è quasi rimosso in una economia aperta. Quindi se una economia aperta dovesse offrire possibilità di investimento relativamente redditizie da altri paesi → il vincolo del risparmio nazionale non è più operativo e quindi quel paese avrebbe accesso a risorse risparmiate da altri paesi. E viceversa: un paese che non ha al suo interno sufficienti possibilità di investimento → in una economia integrata riesce ad investire all’estero, ad impiegare il proprio risparmio all’estero. E questo può essere un vantaggio per il singolo paese → ma è un vantaggio per l’economia globale, perché ci dovrebbe essere una migliore allocazione delle risorse. Ed è un effetto che riguarda la qualità e non quantità, cioè: l’apertura non è che possa, se non indirettamente, aumentare il livello del risparmio mondiale → ma può far sì che questo risparmio venga allocato in maniera più efficiente e possa finanziare i progetti dove si riscontrano i rendimenti più elevati. E in questo senso migliora l’allocazione delle risorse. In un mercato globale dei capitali, in un mondo in cui il capitale si può muovere liberamente e senza costi.

b) Costo del capitale Il costo del capitale come somma di 4 componenti: 1. 2. 3. 4.

Il tasso di interesse reale su un asset senza rischio Il premio al rischio per il progetto finanziato La struttura dei costi dell’intermediario Il profitto dell’intermediario

Costo del capitale inteso come tassi di interesse che vengono richiesti. L’idea è che possiamo pensare il costo del capitale come la somma di quattro componenti. La prima è il tasso di interesse reale senza rischio = tasso base a cui vanno aggiunte le successive tre componenti, che avranno a che fare da un lato con il premio al rischio per il singolo progetto, e dall’altro con i costi e i profitti dell’intermediario. Tasso di interesse = tasso di interesse senza rischio + una serie di mark-up. Mark-up = componenti aggiuntive che tengono conto della rischiosità specifica di quel tipo di investimento, di quel tipo di imprenditore, tengono costo della struttura di mercato in cui opera l’intermediario, e poi un’ultima componente che va a remunerare il valore aggiunto dell’intermediario (i servizi offerti). Quindi idealmente possiamo pensare al tasso di interesse su un qualsiasi progetto come la somma di queste quattro componenti: una generale e tre che si riferiscono una alle caratteristiche del prenditore e quindi la rischiosità di quel prenditore e altre due che si riferiscono al mercato, alla struttura dei costi, e al profitto dell’intermediario. Le ultime due sono collegate. Struttura dei costi = quanti costi devo sopportare, quindi quanto efficiente sono.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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Struttura di mercato → un mercato concorrenziale esprimerà una componente di questo tipo più bassa rispetto ad un mercato più protetto. Profitto dell’intermediario = remunerazione del valore aggiunto dei servizi offerti dall’intermediario.

L’idea è che tutte queste quattro componenti potrebbero essere influenzate positivamente dall’integrazione finanziaria (positivamente nel senso che l’IF tende a ridurre queste componenti di costi).

L’integrazione finanziaria può agire su tutte le 4 componenti:    

Il tasso di interesse reale può essere influenzato dal risparmio disponibile Il premio al rischio può risentire della diversificazione dei rischi Il costo dell’intermediazione si riduce con lo sviluppo del sistema finanziario I margini di profitto risentono del livello di concorrenza

Il tasso di interesse reale, almeno per alcuni paesi, potrebbe essere influenzato da un maggior risparmio disponibile che potrebbe essere disponibile a seguito della maggiore integrazione. Il premio al rischio che l’intermediario richiedere per tener conto del rischio idiosincratico di quel particolare progetto che potrebbe essere meglio gestito in un ambito internazionale, quindi avere una maggiore diversificazione e quindi poter chiedere un premio per il rischio minore legato al fatto che l’integrazione finanziaria consente all’intermediario di diversificare di più. Il costo dell’intermediazione potrebbe anch’esso ridursi nel senso che un sistema finanziario integrato potrebbe divenire più efficiente e quindi come tale operante con una scala maggiore o con un trend di efficienza migliore che potrebbero ridurre i costi. Poi un mercato integrato/aperto dovrebbe registrare una maggiore concorrenza e quindi anche in questo senso i margini di profitto potrebbero essere più bassi, se non ci sono posizioni di rendita che permettono lo sfruttamento delle stesse, di prezzare diversamente i servizi finanziari. E quindi anche i margini di profitto potrebbero essere relativamente ridotti rispetto ad una situazione di chiusura, di non apertura, di non concorrenza estera. Quindi se pensiamo al tasso di interesse come somma di queste quattro componenti e se riteniamo che tutte queste quattro componenti possano essere influenzate positivamente da una più ampia integrazione finanziaria l’idea che potremo ricavarne è che in un mercato finanziario integrato/aperto i livelli di tassi di interesse potrebbero essere più bassi. E questo ovviamente rappresenta un aspetto positivo per la crescita del paese.

Afflussi di capitale e crescita economica La cosa più interessante sicuramente è legata agli afflussi di capitale, e in particolare agli investimenti diretti dall’estero. Questi sicuramente rappresentano un aspetto molto importante per la crescita di qualsiasi paese. Non è un caso che le politiche economiche dei paesi cercano di attrarre il più possibile i capitali dall’estero per essere impiegati in investimenti sul territorio nazionale. L’Italia è uno dei paesi meno attraenti/attrattivi per i capitali internazionali e questo sicuramente è uno dei tanti elementi che spiegano anche la bassa crescita che c’è stata in questi ultimi decenni in Italia.

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Capitolo 7

c) Il ruolo degli IDE Tre canali: 1. Gli IDE aumentano il volume degli investimenti nel paese (soprattutto nei PVS) (greenfield investments v. M&A) 2. Guadagno di efficienza (maggiore efficienza delle nuove iniziative, pressione sui competitors domestici…) 3. Spillover effects (learning by doing, nuove tecniche, capitale umano, processi imitativi, travasi di personale ...)

Gli IDE dovrebbero essere importanti per la crescita per tre principali aspetti. 1) Il primo aspetto è legato al fatto che aumenta il volume degli investimenti. Ma la classificazione degli IDE può ricomprendere diverse tipologie qui dovremmo qualificare meglio la tipologia dell’investimento diretto dall’estero: ‐ Greenfield investments = costituzioni di nuove imprese che rappresentano un incremento netto dell’investimento nel paese, arriva capitale estero che è impiegato in un nuovo insediamento, in una nuova iniziativa aspetto positivo che ha conseguenze positive per il livello dell’investimento. ‐ Merger and acquisitions = acquisizione di una realtà già esistente non necessariamente o comunque non in egual misura il livello dell’investimento nel paese dovrebbe aumentare. Una cosa è se un’impresa viene creata da zero, non c’era prima, ad esempio l’Honda decide di spostare una sua fabbrica dalla Polonia all’Italia, ed è un investimento che parte da zero e costruisce un nuovo impianto industriale – e un’altra cosa è se l’Honda compra la Ducati → anche questo è un investimento che verrebbe registrato come IDE, però non necessariamente e comunque non nella stessa misura questo comporterebbe un aumento dell’investimento nel paese, potrebbe avere altre tipologie di vantaggi. Ma il primo dipende anche dalla tipologia dell’investimento che arriva. 2) Il secondo canale è legato a guadagni di efficienza che potrebbero derivare dall’apertura (considerazioni analoghe le abbiamo fatte parlando delle banche estere). L’idea è che l’investitore estero se entra nel mercato è perché ha dei vantaggi competitivi rispetto ai competitors che trova in quel mercato e quindi è molto probabile che ci siano livelli di efficienza maggiori in queste nuove iniziative e al tempo stesso è probabile che questa nuova presenza comporti una maggiore pressione, anche concorrenziale, sui produttori e sulle imprese già esistenti in quel mercati. Quindi guadagni che efficienza che riguardano i singoli investimenti, ed eventualmente indirettamente le pressioni concorrenziali che si possono originare e che possono a loro volta influenzare i livelli di efficienza delle altre aziende del settore. 3) Spillover effects → effetti derivanti dal fatto che un’iniziativa imprenditoriale può non solo crescere direttamente, ma anche creare delle situazioni altrettanto positive per la crescita attraverso degli effetti che si trasmettono in vario modo (ad esempio un’impresa che si stacca o parte di personale che si stacca dall’impresa e che realizza una iniziativa oppure l’attivazione di processi imitativi da parte di altre imprese). Sotto questo aspetto ricomprendiamo un coacervo di possibili esternalità positive che si possono creare in seguito all’arrivo di un investimento dall’estero.

L’aspetto degli IDE sicuramente è uno dei più importanti, ed è anche un aspetto sul quale c’è più evidenza empirica. Ci sono stati molti studi degli economisti che hanno cercato di misurare l’impatto di questi investimenti sulla crescita del paese ospitante.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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L’evidenza empirica sul rapporto crescita e IDE Relazione positiva tra investimenti e crescita Effetti particolarmente positivi in presenza di un elevato capitale umano dei paesi ospitanti Gli investimenti diretti hanno sicuri effetti positivi sulla crescita Gli investimenti di portafoglio hanno effetti dubbi

Su questi studi si trovano quasi sempre aspetto positivi e rilevanti per la crescita del paese che riceve questi investimenti. In particolare questi effetti sono maggiori laddove il paese ospitante ha una qualità del capitale umano molto elevata. E questo è stato il caso dei paesi delle economie dell’Europa orientale. Le economie socialiste dell’ex blocco dell’Unione Sovietica avevano tanti difetti ma anche qualche aspetto positivo. E uno di questi aspetti positivi era il livello elevato di istruzione che quelle popolazioni avevano e quindi quando queste economie sono passate al sistema di mercato le nuove iniziative imprenditoriali hanno trovato un terreno molto fertile in termini di capitale umano, di competenze, di abilità. E questa cosa si vede anche in molti lavori empirici: laddove gli investimenti arrivano in paesi che hanno un livello di istruzione, un livello di capitale umano, più elevato, questi investimenti hanno effetti maggiormente positivi. E questo è abbastanza intuibile, pensiamo ai discorsi sulle esternalità positive: queste sono più facilmente sviluppabili laddove ci sono persone, imprenditori, personale, capace di vedere meglio e quindi di sfruttare quelle opportunità. Questi sono i risultati dell’evidenza empirica → ed è sicuramente vero per gli IDE, che hanno effetti positivi sulla crescita. Molto più dubbi e quasi inesistenti sono invece i risultati sugli investimenti di portafoglio. E questo lo possiamo intuire perché gli investimenti di portafoglio sono quella parte degli investimenti più volatili e il legame con la crescita economica è molto più complesso e comunque più dubbioso, nel senso che molto spesso questi investimenti sono anche quelli che più facilmente vengono ridiretti verso altri nidi e ad esempio in caso di crisi finanziaria sono i primi ad essere interessati dalla fuga altrove. Adesso ci stiamo concentrando sui benefici dell’integrazione finanziaria, mentre quando parleremo dei rischi, dei problemi che il sistema finanziario può creare → comincia ad esserci una grossa riflessione sul ruolo del sistema finanziario. Perché queste crisi finanziarie sono di una rilevanza tale che mettono forse in discussione, non tanto l’integrazione che è un processo abbastanza inarrestabile nel lungo periodo, quanto la tipologia e le modalità dell’integrazione. Ci torneremo quando parleremo degli aspetti negativi dell’IFI.

7.4.2.

Shocks temporanei e consumption smoothing

Possibilità di ricorrere ai mercati internazionali per ridurre la variabilità dei consumi Shocks negativi e positivi

I paesi possono essere interessati da diverse tipologie di shock. Uno shock è un fenomeno improvviso che può avere conseguenze positive e negative. Noi parliamo di shock soprattutto negativi. Uno shock negativo può essere una catastrofe naturale. Uno shock positivo può essere la scoperta di un giacimento di petrolio.

144

Capitolo 7

La possibilità di far fronte a questi shock nel caso negativo con dei finanziamenti e nel caso positivo con degli investimenti → permette ai paesi di gestire in maniera più equilibrata e meno rigida le conseguenze di questi shock. Ad esempio nel caso di shock negativi → l’IFI potrebbe rendere possibili dei finanziamenti che permettono al paese di rientrare gradualmente e di avere delle dinamiche di consumo molto più stabili potendo spalmare nel tempo gli effetti dello shock grazie ai finanziamenti dall’esterno. Quindi in questo senso consumpion smoothing: i profili e le dinamiche del consumo possono essere più equilibrati nel tempo e negli anni grazie all’integrazione finanziaria internazionale.

7.4.3.

La diversificazione dei portafogli

Il ricorso ad attività estere può consentire: rendimenti maggiori (soprattutto se in uscita da una situazione di repressione finanziaria) rischi complessivi minori grazie alla diversificazione

Ma esiste ancora l’home bias (vincoli informativi e normativi)

L’idea è molto semplice, riguarda il fatto che in presenza di apertura gli operatori hanno la possibilità di ricorrere ad attività estere per impiegare il proprio risparmio. E questo può consentire sia l’ottenimento di rendimenti maggiori, e questo può avvenire soprattutto in quelle realtà dove esistevano situazioni di repressione finanziaria, sia una migliore gestione dei rischi, grazie alla diversificazione. Repressione finanziaria = quando un paese era chiuso all’estero dal punto di vista finanziario. Essere chiuso vuol dire che c’erano dei divieti ad investire all’estero i tassi di interesse interni probabilmente sfruttavano questa chiusura e quindi venivano tenuti a livelli più bassi, magari per agevolare il finanziamento pubblico, sia tramite debito sia tramite inflazione. E quando un paese esce da una situazione di repressione finanziaria l’apertura internazionale, la liberalizzazione dei movimenti di capitali → può dare agli operatori e ai risparmiatori di quel paese la possibilità di investire i propri risparmi in attività che offrono rendimenti maggiori. In più l’apertura rende possibile una migliore diversificazione e una migliore gestione dei rischi. Perché a quel punto un portafoglio può essere impiegato su più valute su più valute e quindi c’è un discorso di diversificazione e gestione del rischio che sicuramente diventano più efficienti. Tutto questo dovrebbe dar luogo a portafogli molto diversificati → in realtà se guardiamo alla composizione della ricchezza nei vari paesi troviamo che molta parte di questa ricchezza, sempre meno ma una parte importante, è investita in attività del paese. Questo è il cosiddetto fenomeno dell’home bias che deriva dal fatto che gli spostamenti in altri paesi sono ancora complicati da una serie di barriere legali, normative, informative, linguistiche. Anche se questa caratteristica, man mano che l’integrazione si sviluppa, si riduce sempre di più.

I Benefici dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

7.4.4.

   

145

Apertura internazionale e effetti disciplina sulle politiche economiche

Si riduce il potere dello stato di estrarre rendite monetarie e fiscali rispetto al caso di economia chiusa Disciplina di mercato sulle politiche economiche (freno alle politiche eccessivamente espansive…) … ma, secondo alcuni, anche limitazioni della sovranità nazionale e malfunzionamenti dei mercati I vincoli internazionali come viatico a politiche economiche impopolari

Ultima tipologia di benefici che può derivare dall’apertura e dall’IFI.  Innanzitutto se l’economia è aperta dal punto di vista finanziario esiste una libertà degli operatori di impiegare il proprio risparmio all’estero, di rivolgersi all’estero per le proprie attività e passività finanziarie → questa apertura riduce il potere dello stato di estrarre dai propri cittadini le rendite monetarie e fiscali. Le rendite monetarie hanno a che fare con il fatto che una modalità di finanziarie la spesa pubblica è quella della monetizzazione del deficit, ovvero il ricorso alla creazione di moneta che a lungo andare si traduce in una maggiore inflazione, che rappresenta una tassa implicita sui saldi monetari che va a vantaggio dello stato. È la più iniqua delle tasse, distribuita su tutta la popolazione in maniera proporzionale ai saldi monetari che gli individui detengono; e normalmente i saldi monetari sono relativamente più significativi nei gruppi più poveri della popolazione, rispetto ai ricchi. Quindi la tassa da inflazione può essere considerata come una possibilità derivante da una posizione di forza di un paese quando i cittadini non hanno la possibilità di considerare anche alternative estere. Quando viviamo in un paese che ha una inflazione elevata, ma quel paese ci dà la possibilità di investire all’estero, probabilmente deterremo le nostre attività in attività estere, per proteggerci dalla perdita del valore d’acquisto della valuta nazionale. Quindi un paese aperto riduce la possibilità da parte del governo di sfruttare i propri cittadini con l’imposizione di una tassa di inflazione particolarmente elevata. Stessa cosa per la fiscalità, per le rendite fiscali dello stato. Se vivo in un paese in cui c’è un livello di tassazione elevata tenderò a spostare il mio risparmio in un altro paese. Quindi da questo punto di vista l’apertura funziona come un condizionamento alla imposizione fiscale che un governo può considerare come ottimale. In questo senso si riduce il potere dello stato di estrarre rendite monetarie e fiscali rispetto al caso di una economia chiusa. In economia chiusa lo stato è molto più libero di operare tramite l’inflazione, tramite la fiscalità, per portare avanti i propri obiettivi.

 Il secondo punto riguarda la disciplina di mercato sulle politiche economiche. Pensiamo soprattutto alle politiche di bilancio e alle politiche monetarie che possono trovare un vincolo nella possibilità degli operatori e del mercato di osservare cosa fa un paese e di valutarlo nella sua credibilità e nella sua implementazione delle politiche. Quindi se osservo un paese il fatto di essere fortemente integrato con gli altri paesi dovrebbe dare al paese una maggiore disciplina perché politiche eccessivamente fuori controllo sarebbero altrimenti penalizzate da una fuga di capitali o da richieste di tassi di interesse sul debito del paese più alti, rispetto al caso in cui dovessero essere sottoscritti dall’estero (è un po’ il caso italiano di questi ultimi anni). Questo può essere visto come un vantaggio.

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Capitolo 7

 Secondo alcuni questo condizionamento esterno comporta anche una limitazione della sovranità nazionale perché si dice che i condizionamenti che ci arrivano dai mercati non sono legittimati da un consenso politico. È un po’ l’idea delle perplessità che molti hanno dimostrato in questi giorni di fronte alle lettere della BCE e della Commissione Europea. L’ultima è quella della CE che ha inviato a Berlusconi un questionario con 39 punti dove si chiede conto dei programmi di governo su tutti gli aspetti della politica economica. Oppure la lettera di questa estate della BCE che non solo faceva domande, ma fissava dei punti precisi su cosa l’Italia dovesse fare. Il problema è che questa è un’ingerenza più o meno positiva (dipende dai punti di vista) sulle decisioni di un paese sovrano da parte di una istituzione esterna.

 Per l’ultimo punto l’idea è che quelle che potrebbero essere delle politiche corrette per un paese nel medio-lungo periodo potrebbero essere al tempo stesso nel breve periodo delle politiche impopolari e quindi difficili da proporre e da fare accettare da un punto di visto politico. Quindi quello che i governi possono fare, quando sono parte di un contesto integrato, è mettere in atto queste politiche come una imposizione esterna, come un qualcosa che chiedono altri per cause di forza maggiore. E questo è quello che è successo quando siamo entrati nell’euro, allora c’era il governo Prodi, e si fece una grande manovra molto impopolare per rispettare le condizioni di accesso all’unione monetaria. Si riuscì ad attuare la manovra con la giustificazione che era l’Europa che ce lo chiedeva, se volevamo entrare nell’Europa dovevamo fare dei sacrifici nel breve periodo per avere vantaggi nel lungo periodo. E la cosa si è riproposta anche con i governi più recenti e anche in questi giorni quando certe manovre sono giustificate come imposizione esterna. Oppure la stessa cosa succede con gli organismi internazionali come il fondo monetario, che interviene in un paese e fa delle proposte e i governi utilizzano quelle proposte per imporre una politica che altrimenti avrebbe dei costi politici più alti. Se queste manovre sono considerate positive al fine del benessere della nazionale, la possibilità di usare questo viatico, questo riferimento extra-nazionale può essere visto come un aspetto positivo dell’integrazione, ammesso che quel tipo di politica possa essere considerata una politica corretta.

I Rischi dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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8. I RISCHI DELL’INTEGRAZIONE FINANZIARIA INTERNAZIONALE

La visione pessimistica legata alla globalizzazione. L’integrazione finanziaria riduce la libertà di azione delle autorità nazionali. L’integrazione finanziaria rende le dinamiche dei mercati finanziari più rischiose e meno stabili.

8.1.

La visione pessimistica

IF come una componente del processo di globalizzazione: L’IF facilita la maggiore concorrenza da paesi a bassi salari che a sua volta innesca una ”corsa al ribasso” con i paesi riducendo i salari, le tasse, le prestazioni sociali ... per rendersi più competitive.

La globalizzazione è una forma di integrazione globale associata a varie sfere, non solo dell’economia.

8.2.

L’IF riduce la libertà di azione delle autorità nazionali I commercianti di titoli e gli speculatori valutari hanno soppiantato i leader politici nel determinare le politiche macroeconomiche ... Infatti, i flussi internazionali di capitali agiscono come una lente di ingrandimento per l’economia domestica, moltiplicando i benefici delle buone politiche, ma anche aumentando i costi delle cattive politiche.

Questa è una prima critica che si fa all’integrazione finanziaria, ed è abbastanza superficiale. Può essere visto in maniera positiva o negativa, dipende dall’angolazione da cui la vediamo. Secondo alcuni la speculazione e i mercati soppiantano i governi nel decidere le politiche da attuare. E questo è un male per loro. Ma in realtà l’IF e i flussi internazionali di capitali agiscono come una lente di ingrandimento dei problemi, degli aspetti positivi e negativi di un’economia. E ovviamente quando l’integrazione moltiplica i benefici delle buone politiche nessuno se ne accorge e pochi lo sottolineano, mentre quando invece agisce per evidenziare o anticipare i problemi la cosa viene subito sottolineata dagli oppositori dell’IF con facili critiche.

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Capitolo 8

8.3.

L’IF rende le dinamiche dei mercati finanziari più rischiose e meno stabili

I rischi effettivi dell’IF: a) Ondate di afflussi di capitali; b) I maggiori rischi delle crisi finanziarie: Deflussi di capitali Volatilità e herding Effetto contagio Effetto domino

I rischi reali (nel senso di effettivi) dell’IF sono riconducibili a due diverse tipologie, che teniamo separate e sicuramente la seconda è più importante della prima. Da un lato il fatto che un paese potrebbe essere oggetto di un’ondata di afflussi finanziari eccessivi. Alcuni paesi hanno problemi di questo tipo: di gestione macroeconomica degli afflussi eccessivi di capitale. Fino a poco tempo fa abbiamo detto che il capitale fa bene, ma dipende che capitale, in quali quantità, in quali concentrazioni e per quali fini. L’idea è che alcuni paesi emergenti ritenuti dai mercati particolarmente virtuosi o redditizi possono registrare delle ondate eccessive di investimenti dall’estero, soprattutto di investimenti di portafoglio, che possono creare dei problemi di gestione macroeconomica. Poi ci sono problemi opposti: derivanti dai deflussi improvvisi e consistenti di capitali da un paese che possono dare origine alle crisi finanziarie. E qui dobbiamo parlare di vari fattori. Fenomeni di herding = il fatto che i mercati finanziati e gli operatori finanziari tendono a muoversi in massa. Il termine “herding” fa riferimento al gregge. Cioè quando qualcuno si muove in una direzione, tutti tendono ad andare nella stessa direzione. Questo perché ci sono asimmetrie informative nei mercati internazionali ancora maggiori e quindi si tende ad imitare quello che fa il leader, quello che è ritenuto lo speculatore più informato. Effetti domino derivano dal fatto che i settori e le economie sono tra loro integrati, quindi i problemi di uno si ripercuotono sugli altri. Effetti contagio legati al fatto che c’è asimmetria informativa e quindi il problema di qualcuno uno potrebbe essere pensato come problema di qualcun altro. Nel dubbio il contagio potrebbe verificarsi.

8.3.1.

Ondate di afflussi di capitali

Tutti i principali destinatari degli afflussi di capitali privati hanno registrato ondate di afflussi di capitali molto ingenti in rapporto alla dimensione delle economie. Mentre gli afflussi sono in genere benefici per i paesi ospitanti, le ondate di afflussi possono portare rischi per la stabilità macroeconomica e finanziaria.

Nei paesi emergenti ci sono stati periodi in cui i paesi hanno registrato in modo molto concentrato degli afflussi ingenti rispetto alla dimensione dell’economia, alla capacità di gestire questi capitali. I problemi sono di carattere macroeconomico inizialmente e poi anche di stabilità finanziaria, perché a questi afflussi poi possono seguire dei deflussi, che sono più complicati da gestire.

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Massicci afflussi di capitali possono causare: Overheathing sotto forma di eccessivo aumento della domanda aggregata; Preoccupazioni per la competitività delle esportazioni; Preoccupazioni per la stabilità finanziaria.

Cosa vuol dire avere problemi di carattere macroeconomico? Ci riferiamo al fatto che questi afflussi ingenti di capitale possono causare un overheating, cioè un surriscaldamento dell’economia derivante dal fatto che questi capitali si trasmettono e comportano un aumento della domanda aggregata. Oppure problemi possono anche riguardare la competitività oppure altre questioni possono riguardare la stabilità finanziaria. Quindi gli afflussi ingenti di capitali sono potenzialmente portatori di questi tre problemi: ⇾ Problemi di gestione macroeconomica e di surriscaldamento dell’economia; ⇾ Problemi di perdita di competitività dell’industria nazionale; ⇾ Problemi di instabilità finanziaria.

Dati su: Entità degli afflussi di capitali I più recenti afflussi dopo la crisi Non proiettati.

a) Preoccupazioni per il surriscaldamento da eccessiva domanda aggregata Il canale di trasmissione macroeconomica: ⇾ Regime di cambio fisso ⇾ Interventi sul mercato forex ⇾ Creazione di base monetaria ⇾ Aumento dello stock di moneta e del credito ⇾ Tassi di interesse più bassi ⇾ Aumento dei prezzi delle attività sui mercati interni (poco profondi) ⇾ Espansione della domanda aggregata

Cominciamo a vedere qual è la catena che può portare dagli afflussi di capitali all’aumento della domanda aggregata. Qui è indicato un primo meccanismo di trasmissione, supponendo, come spesso è il caso, che un paese emergente abbia un regime cambio quasi fisso. In questo caso gli afflussi di capitale, per evitare che ci sia un apprezzamento eccessivo del cambio, comportano degli interventi sul mercato valutario → questo a sua volta comporta la creazione di base monetaria (quando la banca centrale interviene sul mercato valutario acquista attività estere, aumenta le riserve ufficiali e aumenta la quantità di moneta, che può sterilizzare) aumenta la quantità di moneta→ questo abbasserà i tassi di interesse. E qui abbiamo già un primo canale: legame con gli investimenti. Ma ci può essere anche un effetto che riguarda i mercati degli asset, i cui prezzi potrebbero aumentare, perché se calano i tassi, gli asset finanziari tendono a crescere di prezzo.

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Capitolo 8

Questo è un primo meccanismo di trasmissione e questi effetti ricchezza a loro volta possono avere impatto sulla domanda aggregata. Quindi è un primo meccanismo di trasmissione attraverso il quale se siamo in cambi fissi o quali fissi questi afflussi di capitali si possono tradurre in un aumento della domanda aggregata. Ci sono poi meccanismi di trasmissione che vanno direttamente ad aumentare della domanda aggregata: gli IDE vanno ad impattare direttamente sul livello della DA.

Surriscaldamento / aggiustamento Se l’economia dispone di capacità in eccesso, aumenterà l’attività economica e si deterioreranno le partite correnti della bilancia dei pagamenti. Alla fine, la capacità in eccesso verrà assorbita e l’espansione della domanda si innesca sull’inflazione. Se c’è un peg sul tasso di cambio ed è mantenuto → il tasso di cambio reale si apprezza ulteriormente, deteriorando la parte corrente.

Perche è un problema la domanda aggregata? Può essere o non essere un problema, dipende dalla presenza o meno di capacità inutilizzata nel paese. Se l’economia possiede capacità in eccesso → allora questo aumento della domanda aggregata si scaricherà sul livello di attività economica e questo è ancora gestibile, non crea grandi problemi. Ma prima o poi questa capacità in eccesso verrà riassorbita e l’espansione della domanda comincerà a fare pressione sull’inflazione, sui prezzi. Qui parliamo sempre di afflussi di capitali molto grandi rispetto alle dimensioni dell’economia. Parliamo di afflussi di capitali che in poco tempo rappresentano una quota molto rilevante del PIL, perché sono economie relativamente piccole che ricevono grandi flussi dall’estero. Se c’è una pressione inflazionistica e se c’è un peg sul tasso di cambio, quindi un cambio quasi fisso, e questo cambio vuole essere rispettato, questo farà apprezzare il tasso di cambio reale e questo causerà un ulteriore deterioramento della parte corrente dei conti con l’estero.

Quattro sintomi del surriscaldamento: Accelerazione dell’attività economica; Deterioramento della parte corrente; Aumento del tasso di inflazione; Apprezzamento del tasso di cambio reale.

Quattro sintomi possono essere preoccupanti per questo overheating. L’apprezzamento del cambio reale, a sua volta, impatta sulla competitività. Tra l’altro dipende da cosa succede al cambio. Il cambio reale in questo caso si apprezza perché aumentano i prezzi, però è possibile che ci sia anche un effetto sul tasso di cambio nominale, che vi sia un apprezzamento anche del cambio nominale. E questo peggiora ancora le cose. Questi afflussi di capitale possono essere trasformati in un accumulo di riserve e/o in un apprezzamento del tasso di cambio, che insieme all’aumento dei prezzi tutto questo fa sì che vi sia una competitività dell’industria nazionale.

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b) Le preoccupazioni per la competitività delle esportazioni Ondate di afflussi di capitali → accumulo di riserve internazionali e apprezzamento del tasso di cambio → effetti negativi sulla competitività delle esportazioni.

Le preoccupazioni per la competitività dell’industria nazionale possono arrivare attraverso questo apprezzamento del tasso di cambio reale derivante e dall’aumento dei prezzi e dall’apprezzamento del tasso di cambio nominale.

c) Le preoccupazioni per la stabilità finanziaria Ondate di afflussi di capitali → qualora i flussi di portafoglio sono significativi aumenta la volatilità → timore di cambiamenti improvvisi.

Se arrivano questi capitali e prendono la forma (come spesso succede) di investimento di portafoglio, questo può creare una possibilità, che si può verificare in tempo molto rapidi e improvvisi, di fughe di capitali dal paese, di disinvestimento, di deflussi. Quindi se problemi nascono dall’arrivo, poi ci sono essere problemi ancora più seri dall’uscita improvvisa di questi flussi di capitali. E questo solleva timori circa le conseguenze riguardo la stabilità finanziaria.

Come far fronte alle ondate di afflussi di capitali? Riducendo gli afflussi netti…

Cosa possono fare i paesi per proteggersi da questo rischio delle ondate di capitali, degli afflussi improvvisi e ingenti di capitali. Possono fare due cose: una prima risposta è il tentativo di ridurre gli afflussi netti. Per ora abbiamo parlato di afflussi lordi. Afflussi netti vuol dire cercare, se ci sono gli spazi, di liberalizzare anche le uscite di capitali. Normalmente un paese liberalizza prima le entrate e poi le uscite, e questo vale soprattutto per i paesi in via di sviluppo. Noi viviamo in un paese che ha liberalizzato già da un po’ di anni, ma non da tanti anni: l’Italia ha liberalizzato le uscite di capitali negli anni ‘90, mentre le entrate erano già libere. Quindi se il paese ha ancora questo margine di manovra, potrebbe permettere una liberalizzazione anche in uscita dei capitali e questo potrebbe ridurre l’entità degli afflussi netti.

(slide non presente)

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– Elementi chiave di un quadro politico possibile per gestire gli afflussi di capitale

a) Risposte macroeconomiche Lasciare che il tasso di cambio si apprezzi quando viene svalutato su base multilaterale. Acquistare riserve valutarie – sterilizzando l’impatto quando l’inflazione è preoccupante – se le riserve non sono più che sufficienti dal punto di vista precauzionale. Abbassare i tassi base, o inasprire la politica fiscale per lasciare spazio al monetary easing, in coerenza con gli obiettivi di inflazione e quando l’overheating non è un problema.

Sul fronte delle risposte macroeconomiche si potrebbe permettere che il cambio si aggiusti. Finora abbiamo detto che i problemi arrivano anche perché i cambi sono tenuti relativamente fissi. Qui ci sono dei trade-off da considerare: perché il cambio fisso mi fa aumentare la quantità di moneta che tramite quel meccanismo di trasmissione mi crea problemi di gestione della domanda aggregata; se il paese facesse apprezzare il cambio di queste entrate di capitali i problemi sulla quantità di moneta sarebbero parzialmente risolti, perché vanno a modificare il tasso di cambio e non il livello delle riserve, la banca centrale non interverrebbe.

b) Altre misure Compensare l’impatto degli afflussi sugli aggregati monetari domestici: Sterilizzazione Ridurre il moltiplicatore monetario Imporre massimali sul credito Misure amministrative (controlli sugli afflussi di capitale, liberalizzazione dei deflussi di capitali ...)

Altre misure potrebbero essere quelle della sterilizzazione, se siamo in cambi invece idealmente fissi. Oppure cercare di ridurre il moltiplicatore monetario. Noi sappiamo che l’intervento sul mercato dei cambi fa variare la base monetaria, poi per arrivare alla moneta c’è l’effetto del moltiplicatore. Le autorità del paese potrebbero ad esempio aumentare il livello di riserva obbligatoria e ridurre il moltiplicatore monetario, perché a parità di variazione di base monetaria la variazione della moneta sarebbe molto inferiore. Oppure introdurre dei controlli amministrativi che potrebbero riguardare o massimali sul credito bancario, e quindi meccanismi che mettono un freno all’espansione della moneta e degli aggregati monetari e degli aggregati creditizi; oppure mettere delle misure amministrative che riguardano proprio il controllo dei capitali, quindi inserire o reinserire parziali controlli ai movimenti di capitali, contingentandoli oppure mettendo delle imposte. Ad esempio alcuni paesi hanno messo delle imposte sui movimenti di capitale a breve termine, e questo ha scoraggiato la speculazione e ha scoraggiato i mercati a fare investimenti a breve termine in quel paese. Questi sono tutti esempi di misure, ma se possono individuare diverse, che tendono a ridurre o le entrate di capitali o gli effetti di questi capitali sulle variabili macroeconomiche.

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c) Misure prudenziali Rafforzare il quadro istituzionale prudenziale per rafforzare la capacità del settore finanziario di far fronte ai rischi di stabilità finanziaria.

Per quanto riguarda i rischi di instabilità finanziaria misure prudenziali potrebbero essere quelle di rafforzare il framework di vigilanza in modo tale che gli intermediari finanziari possano essere più preparati a gestire gli eventuali rischi di un deflusso di capitali o di liquidità. Queste riguardano misure che possono mitigare il rischio di instabilità finanziaria.

18/11 Parlando dei problemi (intesi come rischi) che possono derivare dall’integrazione finanziaria abbiamo trattato la prima tipologia di rischi, ovvero gli afflussi di capitali quando sono ingenti, improvvisi e concentrati. E abbiamo discusso perché queste ondate di afflussi possono costituire problemi per i paesi, soprattutto di carattere di gestione macroeconomica. E abbiamo detto che quello degli afflussi di capitali ingenti e improvvisi sono il minore dei problemi, anche se in alcune situazioni, soprattutto riferite a paesi emergenti e in alcuni periodi storici, questa è stata una questione importante. Ma il vero rischio, la parte più importante, è quello relativo alla possibilità, non tanto degli afflussi, quanto dei deflussi improvvisi e quindi delle crisi. I problemi più seri però sono quelli che sono associati al rischio di crisi finanziarie. Chiariamo il termine “crisi finanziaria”, perché è abbastanza generico.

8.3.2.

Crisi finanziarie

Tipi di crisi finanziarie:

⇾ Crisi valutarie ⇾ Crisi bancarie ⇾ Crisi del debito estero

Usando una schematizzazione possiamo distinguere tra tre diverse tipologie di crisi. In alcuni casi le crisi finanziarie hanno componenti di tutte queste diverse tipologie. Nella realtà possono presentarsi contemporaneamente. Se si presentano contemporaneamente una crisi valutaria e crisi bancaria c’è una fuga di capitali, di depositi bancari, che si sposta all’estero e questo ha ripercussioni sia sulle banche sia sulla valuta, sul tasso di cambio. Questa è una schematizzazione per meglio inquadrare il problema, ma nella realtà questi aspetti possono confondersi risultare componenti di una stessa crisi.

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Capitolo 8

a) Crisi valutarie Una crisi valutaria si verifica quando un attacco speculativo sul tasso di cambio (quindi sulla valuta interna) si risolve in uno dei seguenti risultati o in entrambi: Significativi interventi delle autorità monetarie per difendere la valuta spendendo grandi quantità di riserve internazionali o aumentando nettamente il livello dei tassi di interesse; Svalutazione o forte deprezzamento della valuta.

Questa è una definizione più precisa di crisi valutaria, quando si verifica. C’è un ordine nelle risposte di un’autorità che cerca di evitare un attacco speculativo. Gli interventi delle autorità monetarie hanno effetti sul volume delle riserve bancarie o sul livello dei tassi di interesse. C’è una sequenza negli interventi: tentativo di difesa: innalzamento dei tassi di interesse per rendere più costosa e meno vantaggiosa la speculazione. tentativo di difesa del cambio: interventi diretti sul mercato valutario. in cambi fissi: svalutazione solo alla fine. in cambi flessibili: ci può essere contemporaneamente una difesa e un deprezzamento della valuta domestica. Normalmente si osserva questa sequenza: prima si cerca di arginare con strumenti indiretti come la variazione dei tassi di interesse, poi si cerca di arginare entrando direttamente sul mercato dei cambi segnalando qual è la posizione della banca centrale, e solo alla fine questo potrebbe trasformarsi in una svalutazione/deprezzamento del tasso di cambio.

b) Crisi bancarie Una crisi bancaria si riferisce ad una situazione in cui il governo interviene estendendo l’assistenza su larga scala alle banche che sono interessate da uno o entrambi dei seguenti eventi: Effettive (o potenziali) situazioni di difficoltà; Effettiva (o potenziale) corsa agli sportelli.

Parliamo di crisi bancarie quando le crisi hanno una valenza sistemica, cioè devono interessare una parte importante del sistema. Non stiamo parlando della singola crisi della singola banca, a meno che la singola banca non abbia una valenza sistemica per le dimensioni che ha. La crisi della banca si riferisce ad una situazione in cui il governo interviene su larga scala su: 1) Situazioni di difficoltà significative delle banche (situazione estrema: fallimenti). 2) Il timore che ci sia una corsa agli sportelli oppure, se siamo in una fase avanzata, una vera e propria corsa agli sportelli.

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c) Crisi del debito estero Una crisi del debito estero è una situazione in cui un paese non riesce a servire il proprio debito estero, quando il debito sia sovrano oppure privato.

Una crisi da debito può essere definita come una situazione in cui il paese non riesce più a rispettare/onorare le condizioni che regolano le sue passività e quindi indipendentemente dal fatto che queste difficoltà riguardino debito privato o debito sovrano. Anche se più spesso le crisi da debito hanno interessato il debito sovrano, però potrebbe esserci anche una crisi da debito privato, sempre con una valenza sistemica, e potremo parlare anche in questo caso di crisi debitoria. Un economista potrebbe definire queste crisi anche come una situazione in cui il paese non riesce più a servire il suo debito estero (come scritto sopra). Ma questa forse è una limitazione → potrebbe anche essere debito interno, anche se il debito interno non dovrebbe mai rappresentare un problema per un paese. “Non dovrebbe” perché in queste settimane stiamo sperimentando un caso di debito interno che rappresenta un problema; però siamo in una situazione eccezionale: abbiamo un debito domestico denominato nella nostra valuta, ma non abbiamo una banca centrale (o comunque una istituzione centrale) che governa quella valuta anche con obiettivi di stabilità finanziaria. La situazione attuale dell’Europa, come anche quella dell’Italia, è una situazione in cui il debito è denominato nella nostra valuta, ma è come se fosse debito estero. Perché il debito interno, denominato in valuta interna, quando c’è una banca centrale sarà sempre onorato, magari è onorato stampando moneta e quindi con una moneta che perde di valore perché crea un processo inflazionistico, ma può essere sempre onorato. E le banche centrali hanno anche questa funzione, eccezionalmente, ma ce l’hanno, cioè quella di intervenire a sostegno del proprio paese quando la domanda di finanziamento del mercato viene a mancare e quindi la può sostenere. Questo è un punto importante, ed è una novità di questa crisi. Perché se parliamo di debiti sovrani, normalmente se guardiamo alla storia dei paesi, sono sempre crisi scoppiate rispetto al debito estero. Una banca centrale che funzioni ha? Dovrebbe garantire tre grandi funzioni: ⇾ stabilità monetaria; ⇾ stabilità finanziaria: nel senso che deve intervenire a sostegno delle crisi di liquidità delle banche commerciali; ⇾ sostegno allo stato (eccezionale): deve intervenire in casi eccezionali anche a sostegno delle crisi di liquidità dei debiti sovrani dello stato (anzi, le banche centrali sono spesso nate con questa prima funzione a sostegno dello stato: ad esempio la Banca d’Inghilterra, una delle prime banche centrali). Quindi in questo senso siccome c’è dietro questa istituzione che ha caratteristiche speciali, perché è capace di creare tutta la liquidità che può servire per arginare una crisi → il debito domestico denominato in valuta domestica generalmente non costituisce un problema. E non c’è mai stato uno stato che ha dichiarato di non restituire più il debito, solo in casi eccezionali quando non si voleva ricorrere alla stampa della moneta. Ad esempio il consolidamento che fece Mussolini nel 1926 fu su debito anche interno, però c’era un obiettivo di cambio preciso, si era impegnato con la lira 90 e quindi non poteva inflazionare troppo. Quindi normalmente un debito costituisce un problema quando è denominato in valuta estera. L’eccezionalità della situazione attuale è quella di avere un debito denominato in valuta interna, che ci pone dei vincoli come se fosse in valuta estera, nel senso che non possiamo controllare la banca centrale, chiedendole di aiutarci comprandoci i titoli. Finora non è stato così, speriamo che sia così nelle prossime settimane, altrimenti la crisi non si risolve. Per statuto la BCE non può comprare titoli sul mercato primario, sulle nuove emissioni, non può dare finanziamenti diretti allo stato. Può farlo in via eccezionali sul secondario, ma per obiettivi di politica monetaria. In realtà quello che sta facendo sono interventi anche abbastanza ingenti per obiettivi di stabilità finanziaria. E qui c’è un grande problema perché non potrebbe farlo, perché la BCE non ha come obiettivo la stabilità finanziaria, soprattutto di sostegno ad AL-

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CUNI paesi, e non all’area. Anche se, dato che la crisi è diventata così ampia, possiamo dire che è una crisi dell’area. Cioè se dovesse essere abbandonato un paese, questo potrebbe portare ripercussioni su tutti gli altri paesi, per i legami e il livello elevato che ha raggiunto l’integrazione finanziaria ormai, soprattutto per i legami che ci sono tra banche.

Dati: titoli pubblici di ciascun paese (in miliardi di euro) che sono in mano a banche europee. Questo ci dà un’idea dei legami che ci sono in Europa tra paesi. L’istogramma per l’Italia ci dice che del nostro debito, che è di circa 1.900 miliardi → 832 miliardi sono nei portafogli delle banche europee. Questo ci dà un’idea di quanto connessi sono i paesi. Se ci dovesse essere un problema sui titoli di stato italiani, questo problema si rifletterebbe per più di 830 miliardi anche sui detentori esteri, le sole banche ne hanno 832.

Dati: titoli che ha la Banca Centrale Europea. A marzo 2010 non aveva quasi nulla. A novembre 2011 ne ha tantissimi. Ha comprato moltissimo negli ultimi due mesi.

Ma perché allora non finisce la crisi? Non finisce la crisi perché la BCE nicchia dicendo che sta comprando, ma non lo può fare, quindi non lo farà più, vuole smettere. Non è convincente nel dire che compra e garantisce tutti i titoli di stato dell’area. Che è quello che stanno chiedendo a gran voce gran parte degli economisti, molti paesi, non solo quelli interessati direttamente, ma ormai tutta l’Europa sta chiedendo alla Germania (che è l’unico paese ancora che resiste) di allentare ed estendere questo obiettivo della BCE affinché possa più che comprare, anche solo annunciare di impegnarsi a comprare titoli → perché il solo annuncio, se fosse credibile, dovrebbe bloccare la speculazione, sempre che i paesi siano ritenuti solvibili. E l’Italia dovrebbe essere, in condizioni normali, solvibile, anche nonostante il debito elevato che ha, perché la ricchezza degli italiani è un multiplo molto grande del debito pubblico. Il punto è tutto qua, in questo scontro tra Germania e un gruppo di paesi toccati da questa crisi, tra cui fanno parte ora anche Francia, Austria e Belgio. Lo spread con i titoli francesi è arrivato a 200 punti, cioè la Francia paga degli interessi sul debito molto più alti di quelli che paga la Gran Bretagna, che ha dei fondamentali molto peggiori di quelli della Francia: la GB ha un debito molto elevato perché ha salvato molto le banche, ha un disavanzo elevato, ha inflazione → però il rendimento dei titoli inglesi è molto più basso di quelli dei titoli francesi. Perché lì c’è una Banca d’Inghilterra che garantisce su quel debito, e quindi il mercato non le va contro perché non ha ragione di pensare che non sia un debito ripagabile. Quindi adesso lo scontro ha da un lato la Germania, dove la Merkel sostiene che la banca centrale si deve occupare solo di stabilità monetaria, mentre la stabilità finanziaria è un problema dei paesi, una responsabilità della politica fiscale. Qui c’è un gioco che sta spingendo i paesi a fare gli aggiustamenti più ampi possibili e poi dovrebbe mollare alla fine, perché se non molla non si sa come finisce questa storia. È chiaro che chiederà qualcosa in cambio, come è giusto che sia. La Germania dirà che potrà eventualmente considerare l’opportunità di allargare gli obiettivi delle BCE, però dobbiamo darci delle altre regole sul fronte fiscale, quindi che trasferiamo un po’ di sovranità, come abbiamo fatto in campo monetario, anche in campo fiscale all’Europa → cosa che finora non è successa.

Dati: disciplina fiscale: parametri del patto di stabilità (2010). Dovrebbero avere il 60% sul PIL → sopra la linea rossa ci sono tutti i paesi al di sopra: dalla Polonia in poi, inclusa la Germania, la Francia, il Belgio.

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Vincolo del disavanzo sul PIL al 3% → nessuno paese lo rispetta, tranne il Lussemburgo, l’Estonia e la Svizzera. Tutti gli altri sono fuori. Il Regno Unito ha il 10%.

Nonostante questa disciplina fiscale dei paesi, nessun paese ha avuto una sanzione. Perché i primi a non rispettare quelle regole sono stati Francia e Germania, i paesi più grandi, la leadership politica in Europa. La Germania ora dice che può acconsentire che si allarghino i confini, altrimenti la crisi va fuori controllo e tocca tutti perché abbiamo visto che legami ci sono tra le banche, però dobbiamo mettere mano a delle nuove regole, la politica fiscale deve essere coordinata, le regole fiscali devono essere rispettate. Questo vuol dire modificare la governance europea, modificare i trattati. E il prof auspica a questo, che la crisi si blocchi perché la BCE comincia a fare il suo mestiere, autorizzata dalla Germania che contemporaneamente riesce ad ottenere un passaggio di sovranità a livello europeo. Si esce soltanto da una maggiore integrazione politica: solo in questo modo si riesce a sbloccare tutto. Però bisogna fare presto, perché più andiamo avanti e più la cosa diventa problematica. Però siccome adesso c’è anche la Francia dal lato dei paesi indisciplinati, perché anch’essa è toccata da questo speculazione, può darsi che la Germania venga in aiuto il più possibile.

Noela: «Cosa ne pensa dell’ipotesi che questo attacco speculativo sia opera di una cospirazione internazionale volta a far svendere all’Italia le sue industrie, o almeno le aziende che ha ancora pubbliche, quali ad esempio l’Eni. C’è chi diceva che la Germania non stava intervenendo perché aveva convenienza a far indebolire l’Italia da questo punto di vista. » Il prof non crede alla teoria dei complotti. È chiaro che ci sono delle speculazioni nel senso più negativo del termine. Se noi dovessimo metterci a posto, e speriamo che lo si faccia in fretta, e se riusciremo a far riacquistare fiducia ai mercati rispetto alla situazione fiscale italiana, non lo faremo (secondo il prof) abbassando e svendendo il patrimonio dello stato e le aziende pubbliche. Prima di fare quello ci sono altre leve, altre manovre, c’è la tassazione, ci sono le politiche per la crescita. L’abbattimento di quel patrimonio pensa non sia preso in considerazione da nessuno, nessuno sta pensando di vendere l’Eni, magari vendiamo al settore privato una caserma in disuso o le terre del demanio, ma non è questo un rischio.

Andrea: «Perché la banca centrale tedesca ha venduto molti titoli italiani? » Non è vero, li ha comprati. Forse le banche commerciali tedesche, non la centrale. È vero che le banche commerciali hanno ridotto l’esposizione, questo sì. Le banche straniere hanno ridotto molto l’esposizione all’Italia e rispetto a tutti questi paesi in difficoltà. E questo può essere fatto sia perché vogliono evitare delle perdite e quindi sotto certi livelli non li vogliono tenere e li vendono, registrando a quel punto delle perdite però (anche se limitate rispetto a quelle che possono prevedere), oppure ci sono meccanismi di alta finanza complessa che giocano sulla speculazione. Però questo può spiegare il singolo comportamento, ma che ci sia un complotto no, è fantapolitica. Però che ci siano realtà, anche importanti, che speculano col solo obiettivo di guadagnare il massimo, facendolo anche ai limiti della regolamentazione, sicuramente è vero, ma lo si affronta con una regolamentazione diversa.

Gabriele: «Ma la BCE non svolge il ruolo di prestatore di ultima istanza? » Rispetto al settore delle banche sì, lo sta facendo. Ma non lo sta facendo rispetto agli stati in difficoltà, o lo sta facendo parzialmente e non in maniera adeguata.

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Gabriele: «A che livello dovrebbe aiutare gli stati? » Dovrebbe valutare quali sono le situazioni di illiquidità e quelle di insolvenza. Le situazioni di insolvenza vanno trattate con una ristrutturazione, che può essere di vario tipo. Come la Grecia, che non ha tanto di debito, ma ha un disavanzo primario spaventoso, e nonostante le misure che ha preso finora, la Grecia spende ancora molto di più di quanto incassa. E questo è insostenibile. E politicamente, più di quello che hanno fatto, pensa sia difficile. L’Italia non è come la Grecia, l’Italia ha un avanzo primario. Non cresce, però le finanze pubbliche sono in ordine. C’è il debito, però se c’è fiducia quel debito negli anni può essere controllato, siamo stati per decenni con un debito così elevato e non era mai successo al mondo. Quindi è un problema di fiducia: i mercati hanno perso fiducia nei confronti del governo italiano. E infatti la scintilla che ha fatto scoppiare tutta questa bolla è riconducibile ad una perdita di fiducia nel governo. Quando Tremonti è stato messo in discussione dal governo è partito tutto. Poi magari sarebbe stata un’altra scintilla nei giorni successivi a fare scoppiare tutto. Anche qui vediamo che le crisi finanziarie sono incontrollabili. Una crisi di fiducia opera in maniera del tutto imprevedibile, nel senso che ad un certo punto c’è un qualcosa che mette in discussione la fiducia e poi i mercati a quel punto cambiano completamente opinione e prendono posizioni diverse. C’è questa sorta di herding behavior, dove herding viene da gregge, cioè il fatto che soprattutto nei mercati internazionali dove c’è molta asimmetria informativa, succede che quando qualcuno che è ritenuto più informato di altri prende una posizione, il mercato lo segue e quindi va ad ondate, si muove come un gregge. Ci sono varie spiegazioni per questo comportamento: il fatto dell’asimmetria informativa, il fatto di leggere un segnale che potrebbe essere interpretato da chi non ha informazioni come indicazione della direzione di marcia, il fatto che le performance dei gestori sono sempre misurate in termini relativi per cui si sta più volentieri insieme al gruppo perché la valutazione che viene data del mio lavoro è in funzione di quello che fanno gli altri, per cui se io sto con gli altri e sbaglio insieme a tutti gli altri è un discorso, se sbaglio da solo in quella posizione è un’altra. Quindi c’è una valutazione non solo assoluta, ma anche relativa rispetto al mercato, e questo tende ad alimentare l’effetto gregge. Quindi la fiducia si può perdere per qualsiasi motivo.

Gabriele: «Quindi la banca centrale potrebbe intervenire sul mercato primario dei titoli? » No, sul mercato primario non può comprarli, però potrebbe dire che garantisce tutti i titoli e che interviene a coprire tutta l’offerta che c’è sul mercato secondario. A quel punto il prezzo non può più scendere, perché compra lei. La sola promessa di comperare, l’impegno credibile, i mercati a quel punto ci credono e smettono di speculare. Ci vuole la politica per cui può andare in questa direzione, ci vuole la Germania che benedica questa politica. Questo è quello che il prof pensa potrebbe succedere. Per andare sulle aste del mercato primario bisogna modificare lo statuto, adesso non ci può andare. Lo statuto parla esplicitamente di divieto di operare sul primario.

Gabriele: «Però per far rientrare quei paesi sui vincoli di Maastricht non dovrebbe comprare il loro debito? » Questo dei vincoli e delle regole fiscali è un altro problema che non c’entra con la banca centrale. Da quei valori bisogna rientrare gradualmente, bisogna prenderli come un dato di fatto. Tant’è che una delle cose che sta facendo l’Europa è quella di modificare il Patto di Stabilità. È sotto revisione per cercare di dare più flessibilità, perché in caso di crisi non possono esserci queste regole stringenti e così definite, con quei criteri; e la revisione va verso una maggiore sanzionabilità dei paesi, cioè in una maggiore disciplina. Per esempio oggi nessun paese è stato sanzionato, ma le procedure sanzionatorie prevedono che ci siano delle maggioranze qualificate per sanzionare i paesi, e il paese interessato vota nella maggioranza qualificata. Adesso quello che si sta pensando di fare è rovesciare questa logica: le maggioranze qualificate servano per fermare una procedura sanzionatoria avviata dalla Commissione e il paese interessato non vota, non entra in quella decisione e quindi sarà molto più facile sanzionare un paese, quindi la disciplina dovrebbe esser maggiore.

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Però il discorso della banca centrale è un discorso per fermare la speculazione e ridare fiducia agli stati, alla Spagna, all’Italia, che onoreranno i propri debiti. Questo dovrebbero fare per risolvere la fase acuta della crisi.

Gabriele: «Quindi la banca centrale dovrebbe immettere liquidità? » Buona domanda. Deve immettere base monetaria, e il motivo per cui i tedeschi normalmente osteggiano questo comportamento perché c’è paura dell’inflazione, c’è il timore che la monetizzazione possa comportare un aumento della moneta e quindi dell’inflazione. In una crisi finanziaria non è così perché la moneta è il prodotto di due fattori: la variazione delle base monetaria per il moltiplicatore monetario. L’intervento sul mercato dei titoli fa aumentare la base monetaria, ma l’effetto sulla moneta dipende da cosa succede al moltiplicatore. Nel caso di crisi finanziaria, il moltiplicatore monetario si riduce enormemente, le banche oggi non prestano più, le banche mettono i soldi presso la BCE. Oggi presso la BCE tra le riserve libere delle banche ci sono circa 300 miliardi di euro: cifra che si è registrata massima dopo il fallimento di Lehman. Questo vuol dire che le banche non rimettono in circolo il credito, i depositi, la base monetaria, e non mettono in moto come dovrebbero il processo che dà origine al moltiplicatore monetario → la banca riceve la BM, dà un credito, che torna come deposito, dà un altro credito, poi torna come deposito, e così via finché questo processo moltiplicativo si esaurisce perché ad ogni passaggio un po’ di moneta rimane nelle tasche del pubblico e un po’ rimane nelle tasche delle banche. Ma se tutta rimane nelle riserve libere delle banche presso la banca centrale, il moltiplicatore monetario crolla. Negli ultimi anni la base monetaria è cresciuta tantissimo, il credito non è cresciuto e la moneta non è cresciuta altrettanto, perché in una fase di crisi finanziaria non vale più quel meccanismo moltiplicativo che abbiamo studiato per tempi di normalità. Il che vuol dire che l’iniezione di liquidità della banca centrale non necessariamente si traduce automaticamente in una variazione quantitativamente analoga della moneta. Un’obiezione può essere: questo è quello che succede finché c’è la crisi, ma quando la crisi finisce e le banche ritirano le riserve libere e rimettono in circolazione la moneta, a quel punto parte l’inflazione. Sì, a quel punto potrebbe partire l’inflazione, è vero. Però nel frattempo la banca centrale potrebbe avere il tempo per ritirare liquidità cedendo i titoli, almeno parzialmente. Non stiamo dicendo che un intervento di salvataggio non si strasformi nel medio-lungo periodo in un innalzamento dell’inflazione, ma questo è il male minore rispetto alle catastrofi che possono esserci in caso di non intervento.

Mediola: «Ma la banca centrale non ha qualche meccanismo, qualche politica, per obbligare le banche a rimettere in circolazione il denaro? » Qui ci sono più fattori che spiegano questo comportamento, e sono tutti concatenati. Un primo problema è che la difficoltà del debito si riflette sulla qualità degli attivi delle banche, quindi non sanno più che valore dare alle banche. Un secondo problema è che c’è una caduta del reddito del paesi, la crescita non c’è e quindi c’è un problema anche di domanda di credito. E poi c’è un problema di regole: Basilea III obbliga le banche a detenere dei coefficienti di liquidità. Questo è un altro problema. Oppure le nuove norme sull’assicurazione dei depositi. Queste sono tutte norme che ingessano le banche, creano problemi alle banche, danno più stabilità alle banche ma al tempo stesso le costringono ad operare su scala più ridotta. Un’altra cosa che chiede Basilea III è l’aumento di capitale. In questo momento le banche non sanno dove prendere i soldi per aumentare il capitale. Un modo per aggirare il problema è di ridurre le attività, di ridurre il credito. La situazione di crisi rende i crediti molto più rischiosi perché le sofferenze stanno salendo perché l’economia reale è in difficoltà e quindi tutto questo ridurre il credito. Tutto questo si traduce in termini di moltiplicatore in una riduzione dello stesso. Il fatto di iniettare liquidità può darsi che nel medio periodo comporti inflazione, non necessariamente lo fa nel breve periodo (anzi nel breve periodo finché c’è la crisi l’inflazione non esce), però dobbiamo valutare qual è l’alternativa. La manovra alternativa è non fare nulla e cioè andare contro il muro.

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Capitolo 8

Gabriele: «Ma il sostenere il prezzo dei titoli non comporta l’inflazione! » Come no? Sostenere il prezzo dei titoli vuol dire comprare i titoli. Comprare i titoli è cedere moneta. La creazione di moneta c’è perché li compra la banca centrale. Le preoccupazioni inflazionistiche in questa fase sono l’ultimo dei problemi, sia perché non è detto che si creai inflazione, che ci sia questo impatto inflazionistico, e sia ancor prima perché l’alternativa è un mondo peggiore del male della crescita dell’inflazione, ammesso che ci sia.

8.3.3.

Fatti stilizzati

In queste slide ci sono un po’ di fatti stilizzati sulle crisi recenti, anche se le crisi ci sono sempre state, cominciano da quando sono comparse le banche. Le primi crisi sono delle banche del 1300 in Italia (Banca dei Bardi e Peruzzi). Questi sono fatti stilizzati su quelle che sono state le recenti crisi bancarie, finanziarie e valutarie, intese come le crisi degli ultimi decenni. Adesso le saltiamo: da leggere.

Fatti stilizzati circa le crisi finanziarie. Le crisi finanziarie non sono un fenomeno recente. Nel corso degli ultimi tre decenni abbiamo visto: Molte crisi bancarie (senza significativi effetti esterni, ma molto costose) Crisi valutarie con ricadute (effetti di spillover) molto pronunciate e effetto contagio

Fatti stilizzati circa le crisi bancarie. Le crisi bancarie sono diventate sempre più frequenti dagli anni 1980 e 1990. Prima dell’ultima crisi finanziaria, l’incidenza ed i costi delle crisi bancarie nelle economie in via di sviluppo ed emergenti è stata molto più alta nei paesi in via di sviluppo ed emergenti rispetto ai paesi industrializzati.

Fatti stilizzati circa le recenti crisi finanziarie. – – – – – – –

Le recenti crisi finanziarie hanno colpito paesi finanziariamente più integrati rispetto al passato. Forti deflussi di capitali. Gravi contrazioni economiche e perdite pesanti anche per gli investitori stranieri. Crisi imprevedibili. Effetti contagio ed effetti domino. Interventi cospicui da parte delle IFI. Le condizioni economiche esterne erano buone.

I Rischi dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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Le crisi finanziarie. Perché dovremmo preoccuparci delle crisi finanziarie? – Le crisi sono molto costose (distruzione di ricchezza, costi di ristrutturazione, perdita di output). – Gli interventi preventivi e correttivi sono la chiave.

Passiamo a considerare perché ci stiamo occupando tanto delle crisi ovvero dei costi delle crisi. Le crisi sono estremamente costose per vari ordini di motivi: perché distruggono ricchezza, perché comportano dei costi di ristrutturazione molti elevanti, perché c’è una perdita di output, ma anche perché ci sono debiti pubblici che vanno alle stelle, …. Ci sono tanti canali attraverso i quali le crisi possono manifestare il loro costo. ⇾ La distruzione della ricchezza è chiaro: se noi abbiamo degli asset finanziari e c’è un crollo dei prezzi, questo è il modo più immediato per pensare agli effetti ricchezza dovuti alla crisi. ⇾ Costi di ristrutturazione si riferiscono soprattutto alla ristrutturazione dei sistemi bancari. Pensiamo alla crisi del 2007: vediamo quante risorse pubbliche sono state buttate nel salvataggio delle banche. Una domanda sarebbe “Perché dobbiamo salvare le banche?” → Perché il salvataggio delle banche è molto meno costoso delle conseguenze che si avrebbero facendo fallire il sistema bancario. È sempre un problema di scelta tra alternative di minor costo, di scegliere quella costosa. ⇾ Output loss: perdite di prodotto potenziale, perché normalmente le crisi si associano anche a fasi di recessione molto severe e quindi c’è un costo opportunità nella mancata produzione che si è avuta in seguito ala crisi. Potremmo vedere molti dati per cercare di quantificare i costi delle crisi, ma sappiamo che questi costi sono davvero molto elevati. Le ricerche che hanno cercato di qualificare questi costi sono arrivate a ipotizzare molti punti percentuali di PIL, in alcuni casi anche decine di punti di PIL nei vari paesi. E quindi è bene che ci sia un’attenzione alla prevenzione e al fatto di avere degli interventi correttivi per minimizzare i costi di una crisi o per anticiparla.

8.3.4.

Le cause delle crisi finanziarie

⇾ Fattori esterni. ⇾ Fattori interni. ⇾ L’instabilità intrinseca dei mercati finanziari internazionali.

È difficile raggruppare le cause di una crisi finanziaria in un’unica slide, perché ogni crisi è abbastanza specifica, ogni volta c’è un elemento di novità che rende l’esperienza passata non sempre così preziosa, anche se molte volte ci sono degli aspetti e degli eventi che ritornano. I mercati e le autorità spesso sono di memoria molto corta e quindi si dimenticano delle esperienze delle crisi precedenti. Volendo schematizzare quelle che sono le possibili tipologie di cause abbiamo tre diversi aspetti: – Fattori esterni al paese. – Fattori domestici. – Fattori che hanno a che fare con l’intrinseca instabilità dei mercati finanziari internazionali.

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Capitolo 8

Cause complementari piuttosto che spiegazioni alternative. ... ma è importante tenerle separate a causa di implicazioni politiche diverse.

Anche in questo caso questa è una schematizzazione che nella realtà può trovare un’analisi composita, nel senso che spesso queste cause si intrecciano: non sono spiegazioni sempre alternative, ma spesso sono complementari. Però è importante tenerle separate perché le implicazioni di policy di una tipologia di cause rispetto ad un’altra possono essere molto diverse: – Se un problema è esterno probabilmente non ci sono molte raccomandazioni: se un paese subisce un shock esterno ci potrebbero essere delle raccomandazioni che riguardano il regime di cambio. – Se invece è un problema interno di gestione delle politiche macroeconomiche è un discorso, se è un problema di regolamentazione è un altro. – Se è un problema di instabilità dei mercati bisognerebbe intervenire forse con azioni coordinate a livello internazionale, da parte di un organismo internazionale che possa condizionare le regole dei singoli paesi. E nel mercato finanziario ci sono molti esempio in questa direzione e li vedremo più avanti. Quindi per quanto riguarda la distinzione può essere importante perché i rimedi possono essere diversi.

a) Fattori esterni I fattori esterni si riferiscono a shock esterni negativi; più rilevante per i paesi meno sviluppati e le economie emergenti.

I fattori esterni si riferiscono a shock negativi e spesso questi storicamente avevano maggiormente interessato i paesi più poveri, i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti, che sono più vulnerabili in genere rispetto alle economie avanzate; anche se l’ultima crisi ha messo un po’ in discussione questa regolarità empirica che si era osservata finora, perché l’ultima crisi è stata una crisi che ha interessato i paesi avanzati a causa di effetti domino che dipendevano dall’integrazione dei sistemi finanziari che esistevano tra i paesi avanzati. Quindi questa affermazione sembra essere disattesa dall’esperienza ultima dell’ultima crisi, dove lo shock esterno è arrivato da un altro paese, ma ha colpito maggiormente le economie avanzate. Però questa è un po’ l’eccezione che conferma questa regolarità.

Esempi di shock esterni: La variazione delle ragioni di scambio (difficoltà per le esportazioni) Le modifiche dei tassi di interesse delle maggiori economie (riallocazione dei portafogli, gli effetti sulle banche …) I movimenti dei tassi di cambio tra le principali economie (competitività, currency mismatches …) Una riduzione significativa della domanda mondiale. Più è alto il livello di integrazione e maggiori saranno gli effetti degli shock esterni.

– Variazione delle ragioni di scambio → che mettono in difficoltà le esportazioni sopratutto quando nei paesi la struttura delle esportazioni è molto concentrata (caso dei paesi in via di sviluppo). – Modifiche dei tassi di interesse → possono causare delle riallocazioni dei portafogli dei grandi investitori istituzionali e quindi muovere i capitale da un paese a un altro. – Movimenti dei tassi di cambio → possono avere effetti sulla competitività di un paese e creare dei disallineamenti valutari se attività e passività degli operatori sono denominate in diverse valute.

I Rischi dell’Integrazione Finanziaria Internazionale

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– Riduzione della domanda mondiale → se le principali economie e le principali aree vanno in recessione e questo per i paesi che dipendono da quelle aree rappresenta uno shock reale esterno. – Il discorso è che l’integrazione opera come un canale di trasmissione degli effetti dagli altri paesi sul nostro paese e viceversa. Quindi tanto più si è integrati e tanto più gli shock esterni avranno effetto.

b) Fattori domestici I fattori domestici si riferiscono agli squilibri macroeconomici e fattori istituzionali. Le politiche monetarie e fiscali troppo espansive hanno causato boom di credito e le bolle.

Squilibri macroeconomici: politiche fiscali, ma anche le politiche monetarie. Fattori istituzionali: ad esempio la crisi asiatica di fine anni ‘90 è stata una crisi dove la macroeconomia era assolutamente in ordine, però i fattori istituzionali e soprattutto le autorità di settore, la vigilanza, la regolamentazione finanziaria erano totalmente inadeguati. Quindi quella è stata una crisi causata da debolezze e da manchevolezze nel sistema di controllo dei sistemi finanziari, piuttosto che da carenze macroeconomiche. Anzi, dal punto di vista macroeconomico erano dette “tigri asiatiche”, perché avevano dei fondamentali incredibili: dei grandi avanzi di bilanci, avanzi nei conti con l’estero, grande crescita, sembravano dei paesi da imitare e poi tutto è scoppiato improvvisamente nel settore finanziario.

Esempi di rilevanti fattori istituzionali: Processi di rapida liberalizzazione finanziaria. Eccessiva concorrenza e assunzione eccessiva di rischi. Inadeguatezza delle regolamentazioni e insufficienza delle capacità di vigilanza.

– Processi di rapida liberalizzazione finanziaria → questo era il caso della crisi delle tigri asiatiche. – Eccessiva concorrenza e assunzione eccessiva di rischi → se c’è troppa concorrenza gli intermediari possono essere portati ad assumere posizioni di rischio eccessive. – Inadeguatezza delle regolamentazioni e della vigilanza → fattore importante, anche della crisi ultima. Ci sono state queste inadeguatezze delle regole e delle capacità delle autorità di controllare il sistema.

c) Intrinseca instabilità dei mercati finanziari internazionali Le asimmetrie informative possono essere più severe a livello internazionale. I processi decisionali si basano anche sul comportamento degli altri partecipanti al mercato (herding behavior). Effetto domino (interconnessione). Effetto contagio.

– Il fatto che le asimmetrie informative sono più gravi a livello internazionale è dovuto al fatto che può essere più difficile raccogliere informazioni una volta che si è investito in strumenti emessi da paesi lontani.

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Capitolo 8

– Herding behavior, cioè il fatto che i processi decisionali sono basati su quello che è il comportamento che si osserva soprattutto in alcuni grandi settori che possono orientare tutto il mercato. – Effetto domino, che si è osservato soprattutto nell’ultima crisi con l’interconnessione tra i sistemi la crisi di una istituzione si ripercuote sulla qualità degli attivi delle altre istituzioni. – Effetto contagio, che ha a che fare con il fatto che non si hanno abbastanza informazioni. Ad esempio so che la Grecia ha problemi, quindi immagino che ci possano essere anche altri paesi in quella situazione, oppure so che la Grecia costituisce un primo precedente di uscita dall’euro e quindi immagino che a quel punto anche gli altri paesi potrebbero uscire. In questo caso si ha un effetto di contagio.

8.3.5.

Collegamenti tra l’integrazione finanziaria e le crisi finanziarie

Esposizione agli shock esterni. Effetto di lento ingrandimento sulle politiche domestiche (ingrandimento del glass effect). Effetto contagio e effetti domino.

L’integrazione finanziaria è importante per le crisi perché ha effetti attraverso questi tre canali: – Crea una esposizione agli shock esterni → per definizione una economia chiusa non avrebbe problemi di questo tipo, ma le economie chiuse non esistono. Quindi tanto più alta è l’integrazione e tanto maggiori sono gli effetti degli shock esterni in un paese. – Glass effect sulle politiche domestiche → i problemi o i virtuosismi delle politiche domestiche si ripercuoto sul comportamento degli operatori esteri e quindi tendono ad aumentare, nel bene o nel male, gli effetti derivanti da punti di forza o punti di debolezze dei singoli paesi. – Effetti contagio e effetto domino appena presentati.

Domanda del prof: « Come usciamo dalla crisi? »

Le Misure dell’Integrazione Finanziaria

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9. LE MISURE DELL’INTEGRAZIONE FINANZIARIA 23/11

Vedremo come misurare il fenomeno di integrazione. Come prima cosa dobbiamo ricordare la differenza tra apertura e integrazione.

– Differenza tra apertura e integrazione L’apertura dovrebbe essere una condizione necessaria per l’integrazione, nel senso che l’apertura permette che i paesi si integrino, ma nella pratica possiamo avere anche dei casi di integrazione senza apertura. Quindi dobbiamo separare apertura da integrazione. Sono due concetti separati: ⇾ L’apertura è la possibilità di acquisire attività o passività sull’estero. ⇾ L’integrazione è l’effettiva realizzazione di questa possibilità, che può essere anche sganciata dal livello di apertura. Cioè possiamo avere paesi che sono potenzialmente aperti, nel senso che è possibile/lecito/legale/permesso effettuare degli investimenti all’estero, però questi non prendono forma. Oppure al contrario potremmo avere una situazione di divieto/chiusura, di quel paese, ma nella pratica osservare un livello effettivo di integrazione positivo, il che vuol dire che in qualche modo si è aggirata la regolamentazione che vietava l’apertura di quel sistema.

9.1.

Indicatori di apertura Esistenza di restrizioni ufficiali ai movimenti di capitale. Le informazioni contenute nell’Annual report on Exchange arrangements and Exchange restrictions (IMF). Informazioni sulle restrizioni sui flussi in entrata e in uscita (controlli selettivi sui cambi, sulle transazioni e sugli investimenti esteri, misure fiscali, …)

Per quanto riguarda gli indicatori di apertura il riferimento è ad un lavoro che è una pubblicazione periodica del Fondo Monetario Internazionale che riporta le informazioni sulle restrizioni e il rispetto dei vari paesi sui movimenti dei capitali in sostanza. E per ogni paese ci dice che tipo di controlli esistono sia sulla convertibilità della valuta (quindi sui cambi), sia sulle transazioni e sugli investimenti esteri. Quindi ci sono tutte le norme che interessano il grado di apertura di un paese.

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Capitolo 9

Quindi se vogliamo sapere qual è la situazione di un determinato paese il riferimento è questa pubblicazione periodica del FMI, che riporta tutti i vincoli e quindi definisce in qualche modo il livello di apertura che caratterizza ciascun paese.

Ma quanto intense ed efficaci sono le restrizioni?

Questa è forse la pubblicazione più completa per quanto riguarda il livello di apertura, però il fatto di sapere che un paese sia aperto e che permetta certe operazioni nei confronti dell’estero non ci dice nulla sull’effettivo livello di integrazione. In altre parole, non ci dice quanto efficaci siano efficaci quelle restrizioni e quanto il mercato e gli operatori abbiano attivato quelle potenziali operazioni permesse dalla normativa di un paese.

Da un punto di vista economico rileva una misura del grado di sviluppo raggiunto dall’integrazione finanziaria. Diversi approcci e misure:

⇾ Prezzi degli assets e co-movimenti di variabili di diversi paesi ⇾ Indicatori sui flussi effettivi relativi ai singoli paesi Quindi da un punto di vista economico questo vuol dire che è più interessante osservare delle misure che cercano di cogliere il fenomeno dell’integrazione, più che dell’apertura. E per fare questo, per capire qual è il grado di sviluppo raggiunto dall’integrazione finanziaria, possiamo fare riferimento a diversi approcci e a diverse tipologie di misure. L’unica differenza che facciamo qua è tra due tipi di approcci: ⇾ quelli che sono basati su i rendimenti e i prezzi degli asset e sui co-movimenti di variabili di diversi paesi, e questo ci dà una indicazione indiretta del livello di integrazione, in realtà. ⇾ e degli indicatori quantitativi molti più diretti che riguardano i flussi effettivi realizzati dai residenti di un paese nei confronti del resto del mondo. Quindi questa seconda tipologia raccoglie informazioni che ricaviamo sostanzialmente dai conti con l’estero, dalla bilancia dei pagamenti.

9.1.1.

Prezzi degli assets e co-movimenti di variabili di diversi paesi

⇾ Tassi di interesse ⇾ Mercati azionari ⇾ Relazione risparmio/investimento

Nel primo tipo di approccio ci sono tre diverse tipologie di modalità con cui misurare l’integrazione: ⇾ Quella che si basa sui tassi di interesse e sulla verifica di alcune condizioni. ⇾ I co-movimenti dei mercati azionari, quindi il fatto di andare a vedere se gli indicatori di un mercato borsistico su muovono assieme e che tipo di correlazione hanno tra diversi paesi. ⇾ Studio empirico della relazione tra risparmio e investimento, che è stata indicata da due economisti parecchi anni fa e che poi ha avuto un certo seguito.

Le Misure dell’Integrazione Finanziaria

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Queste sono le tipologie di test/approcci basati sui prezzi e cui co-movimenti delle variabili.

Sui tassi di interesse diciamo che un modo indiretto per misurare l’integrazione è anche quello di verificare le condizioni di parità dei tassi di interesse → cioè mercati integrati dovrebbero soddisfare la condizione di parità dei tassi di interesse. Se parliamo di condizione di parità scoperta → affinché non vi siano possibilità di arbitraggio sul mercato dei cambi, il differenziale nei tassi di interesse deve essere bilanciato dal differenziale tra tasso a pronti odierno e tasso a pronti ad una certa data, tenendo conto delle variazioni attese del cambio. Se parliamo di parità coperta → al fine di escludere la possibilità di arbitraggi sul mercato dei cambi, i differenziali dei tassi d’interesse devono essere accompagnati da differenziali tra i tassi spot e i tassi forward (a termine) sul mercato dei cambi. Il fatto di soddisfare questa condizione è già un qualcosa che ci indica che quei due mercati sono tra loro integrati. Il primo problema e limite di questa condizione basata sulla condizioni di parità dei tassi di interesse è che il fatto che si sia verificata questa condizione non ci dà nessuna misura quantitativa su quanti scambi/flussi ci siano stati tra i due paesi. E questo è il limite principale di questo approccio, che ci dice che i mercati sono integrati perché altrimenti quella condizione non si sarebbe verificata, però anche in caso di verifica/soddisfacimento di quella condizione non sappiamo nulla sul fronte quantitativo. Quindi non abbiamo nessuna informazione sul volume dei movimenti di capitali.

Per i mercati azionari l’idea è capire se c’è una elevata correlazione e laddove riscontriamo correlazioni elevate concludiamo che c’è un collegamento/integrazione tra i due paesi.

Invece la relazione risparmio/investimento è un esercizio empirico inizialmente proposto da due economisti: Feldestein e Horioka. Questo è il lavoro originario che ha dato vita ad una letteratura empirica, articolo apparso sull’ Economic Journal, una delle riviste storiche e principali degli economisti inglesi.

Approccio à la Feldstein e Horioka (EJ 1980):

Mobilità bassa correlazione tra e Stima su 16 paesi OCSE 1960-74 L’Hp di non può essere rifiutata.

La loro intuizione parte dalla macroeconomia: noi sappiamo che in una ipotetica economia completamente chiusa l’investimento e il risparmio dovrebbero essere uguali. Quindi questi due economisti hanno proposto un esercizio empirico che stimava la quota degli investimenti sul reddito ( ) per diversi paesi e in diversi periodi di tempo come una funzione del risparmio del paese in quello stesso periodo di tempo ( ). E quindi l’idea molto semplice è di andare a stimare se il livello dell’investimento in quel paese è condizionato, e in che misura eventualmente, dal livello di risparmio presente in quel paese.

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Capitolo 9

E quindi qui l’idea è che economie aperte e integrate dovrebbero osservare una dissociazione tra il risparmio nazionale e l’investimento nazionale e viceversa, economie completamente chiuse dovrebbero avere una correlazione unitaria tra quello che succede al risparmio e quello che succede all’investimento. Quindi: ⇾ Se il nostro che viene ad essere stimato è uguale ad 1 → concluderemo che i paesi considerati non sono integrati, nel senso che il risparmio nazionale condiziona completamente l’investimento nazionale. ⇾ Se invece dovesse risultare diverso da 1 → questa è un segnale/indicazione del fatto che il risparmio nazionale non condiziona completamente l’investimento nazionale; in altre parole, l’investimento è dissociato/staccato, almeno in parte, dal livello del risparmio del paese il che vuol dire che c’è un qualche livello di integrazione. Nel lavoro originario Feldestein e Horioka presentarono questa stima per 16 paesi dell’OECD in un periodo in cui i movimenti di capitali erano molto molto limitati. Tra il 1960 e il 1974 siamo in una fase in cui ancora c’erano quasi prevalentemente cambi fissi (Bretton Woods, Dollar Exchange standard) c’erano elevate restrizioni sui movimenti di capitali. Quello che trovano loro adesso ci interessa relativamente. Ma ci interessa invece l’approccio, che è poi stato ripetuto e ri-testato in molte altre situazioni: in periodi di tempo diversi e gruppi di paesi diversi. Nella fattispecie, qui loro non riuscirono a rifiutare l’ipotesi che fosse uguale da 1 → il che vuol dire che in quel periodo, tra quei paesi, c’era un livello di integrazione molto ridotto, perché i risparmi nazionali erano condizionanti sul livello degli investimenti nei rispettivi paesi. Però a noi interessa capire la logica dell’approccio, che è una intuizione molto semplice: in paesi integrati il livello degli investimenti nazionali dovrebbe essere sganciato dal livello del risparmio nazionale.

9.1.2.

Indicatori sui flussi effettivi dei singoli paesi

Indicatori di accesso ai mercati internazionali dei capitali:

⇾ Capacità del paese di attrarre capitali esteri (flussi di capitali privati / PIL) ⇾ Possibilità del paese di investire all’estero (assets finanziari / Ricchezza finanziaria o PIL) Ma i flussi effettivi possono essere influenzati da vari fattori e non solo dalle restrizioni esistenti.

Le ultime misure sono quelle più quantitative, che si basano sui flussi effettivi registrati dai singoli paesi. Qui si può usare anche la fantasia per definire i vari indicatori a seconda di quelli che sono gli obiettivi delle analisi che stiamo portando avanti. ⇾ Un esempio potrebbe essere la capacità del paese di attrarre capitale esteri → che potrebbe essere misurata dal flusso di capitali privati, dagli investimenti diretti all’estero, rispetto al PIL quanto investimenti il paese riesce ad attrarre, sempre in relazione ad una variabile di scala che è data dal PIL. ⇾ Oppure un altro esempio può essere la possibilità del paese di investire all’estero → a questo punto diventano rilevanti gli asset finanziari dei residenti investiti nei paesi esteri e quindi denominati in valuta estera, rispetto ad una variabile di scala. La variabile di scala corretta potrebbe essere la ricchezza finanziaria, se abbiamo questa informazione, oppure rispetto al PIL. Questi sono solo due esempi, ma ne possiamo fare diversi, a secondo dell’obiettivo dell’analisi.

Organismi Finanziari Internazionali

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10. ORGANISMI FINANZIARI INTERNAZIONALI

L’ultima parte del corso riguarda gli organismi finanziari internazionali e le iniziative che queste istituzioni hanno promosso e contribuito a promuovere in cambio finanziario internazionale. Indice.

⇾ Coordinamento e organizzazioni internazionali ⇾ Le istituzioni finanziarie internazionali ⇾ Le istituzioni nate a Bretton Woods: Il FMI e la Banca mondiale ⇾ Le funzioni originarie, l’organizzazione e la struttura finanziaria ⇾ Le giustificazioni economiche

Sul fronte delle istituzioni economiche cominceremo dal capire perché nascono le organizzazioni finanziarie internazionali. Poi vedremo quali sono velocemente le principali IFI, che ormai sono numerosissime, perché continuano ad essere istituite; l’ultima nata è il cosiddetto «Fondo salva stati» che si trasformerà in qualcosa di permanente, già forse dal prossimo anno, l’European Stability Mechanism. Poi faremo un focus su quelle che sono le due istituzioni finanziarie internazionali che sono nate a seguito della conferenza di Bretton Woods: il FMI e la Banca Mondiale. Di queste istituzioni vedremo le funzioni, l’organizzazione, la struttura finanziaria e faremo un’analisi di quelle che sono le principali funzioni che possono costituire le principali giustificazioni economiche che spiegano l’esistenza di queste istituzioni.

10.1. Coordinamento e organizzazioni internazionali Il coordinamento quale canale per promuovere i benefici e ridurre i rischi dell’integrazione economica internazionale. Due punti di partenza per giustificare il coordinamento internazionale: la mancanza di un governo internazionale la crescente integrazione economica e finanziaria internazionale Quali modalità per organizzare la collaborazione internazionale?

⇾ La collaborazione occasionale o ad hoc rispetto alla collaborazione permanente. ⇾ Le organizzazioni /istituzioni internazionali rappresentano il modo per organizzare la collaborazione permanente e istituzionale tra paesi.

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Capitolo 10

L’istituzionalizzazione del coordinamento economico e finanziario ha rappresentato uno dei fenomeni distintivi degli ultimi 50 anni.

Il coordinamento internazionale possiamo pensarlo come il canale attraverso il quale i vari paesi cercano di promuovere e massimizzare i benefici dell’integrazione finanziaria, e al tempo stesso di limitare e di ridurre i rischi della stessa integrazione. I punti di partenza che possono giustificare il coordinamento sono essenzialmente due: il fatto che il mondo non è ancora governato (e forse mai lo sarà) da un unico governo internazionale e quindi queste forme di coordinamento sono una sorta di succedanei a questa mancanza; e poi l’altro fenomeno importante è la crescente integrazione finanziaria tra i paesi, e quindi il fatto che ci siano una serie di legami e quindi di canali di trasmissione degli effetti (sia negativi sia positivi) tra i diversi paesi del mondo. Le due possibili modalità per organizzare questo coordinamento sono: la collaborazione ad hoc su specifici problemi; oppure organizzare questa collaborazione in modo permanente, il che vuol dire istituire delle organizzazioni (le istituzioni finanziarie internazionali, appunto) che rappresentano i vari paesi e che hanno come obiettivo quello di occuparsi del coordinamento in ambito finanziario. E questa seconda soluzione, il ricorso al coordinamento permanente, è stato un fenomeno che si è sviluppato particolarmente negli ultimi 50 anni, cioè tutte le organizzazioni finanziarie internazionali sono istituzioni molto recenti. Ma i problemi di coordinamento c’erano anche prima dell’istituzione di queste realtà, però soprattutto negli ultimi 50 anni, a partire dalla seconda guerra mondiale in poi, c’è stato un impulso via via crescente che ha portato alla costituzione di un novero elevato di istituzioni finanziarie internazionali, a partire da Bretton Woods per arrivare sino ai giorni nostri. E quello della costituzione di questi organismi, di queste istituzioni, è sicuramente uno dei tratti distintivi più importanti della storia economia degli ultimi 50 anni. Dal fondo monetario fino al Finalcial Stability Board (per ricordare uno degli ultimi nati, anche se non è una vera e propria organizzazione internazionale, qualcosa di simile ma senza le caratteristiche tipiche), in questo periodo sono nate una serie molto numerosa di iniziative che hanno portato alla costituzione di nuove istituzioni.

Ma cosa si intende esattamente con il termine organizzazione internazionale? Organizzazione internazionale: unione di più soggetti di diritto internazionale (paesi…)

Con il termine “organizzazione internazionale” in particolare intendiamo una unione di più soggetti di diritto internazionale, dove “soggetti di diritto internazionale” vuol dire principalmente paesi, ma non solo paesi. Potrebbe voler dire anche che in un organizzazione internazionale ci sono come membri paesi e altre organizzazioni, ad esempio altri soggetti di diritto internazionale.

10.1.1. Caratteri salienti di un’organizzazione internazionale 1. 2.

Accordo istitutivo (statuto) Struttura permanente con sede, organi e risorse proprie

Lo statuto fissa gli obiettivi, la governance, gli strumenti e i metodi operativi dell’organizzazione.

Organismi Finanziari Internazionali

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La struttura si compone in genere di tre organi: organo politico plenario; organo politico ristretto (funzioni esecutive); organo tecnico amministrativo.

In particolare, i caratteri salienti di un’organizzazione internazionale possono essere ricondotti a questi due punti: ⇾ L’esistenza di un accordo istitutivo tra i paesi membri, quello che normalmente viene chiamato “lo statuto” dell’organizzazione. ⇾ E la presenza di una struttura permanente con sede, organi e risorse proprie dell’organizzazione. Queste sono due caratteristiche che possono farci riconoscere un’organizzazione internazionale. E normalmente in uno statuto ritroviamo questi contenuti: le finalità, gli organi, le modalità operative, gli strumenti attraverso i quali l’organizzazione persegue le proprie funzioni e i propri obiettivi finali. La struttura è simile a quella che troviamo in una qualsiasi impresa e può essere ricondotta a tre tipologie di organi. La struttura organizzativa si compone di: – un organo politico plenario → che normalmente è l’equivalente dell’assemblea dei soci in una società qui è l’assemblea dei paesi membri, dei soggetti internazionali che compongono l’organizzazione. – un organo politico ristretto → che ha normalmente funzioni esecutive. – Un organo tecnico amministrativo → che sta a capo dell’organizzazione. Per fare un esempio → la BCE ha: Organo politico plenario = comitato dei governatori → tutti i paesi membri sono rappresentati. Organo politico ristretto = comitato esecutivo → organismo che gestisce in maniera continuativa l’organizzazione e che quindi si riunirà molto più spesso, ci saranno persone impiegate a tempo pieno in quel lavoro (composto da un numero molto più limitato di soggetti e non tutti i paesi membri sono rappresentati in questo organismo). Organo tecnico amministrativo = presidente della BCE → che sta a capo di tutta la struttura amministrativa della BCE. Quindi in questo senso per esempio il Comitato di Basilea non è una organizzazione internazionale, perché non ha un suo statuto, anche se ha una sua organizzazione, anche se molto contenuta. La stessa cosa si può dire per il Financial Stability Board: non è una vera e propria organizzazione intesa in questo senso. Però queste sono degli embrioni, dei nuclei, che molto spesso poi evolvono e diventano successivamente organizzazioni internazionali, dotandosi di una organizzazione molto più strutturata e permanente.

10.2. Principali istituzioni finanziarie internazionali ⇾ ⇾ ⇾ ⇾ ⇾ ⇾ ⇾ ⇾ ⇾ ⇾

Il Fondo Monetario Internazionale Il Gruppo della Banca Mondiale (Dall’ITO attraverso il GATT fino al WTO) Le Banche di Sviluppo Regionali La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS EBRD) La Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI BIS) L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE OECD) Le istituzioni finanziarie europee (… la Banca Europea degli Investimenti) Il Financial Stability Board EFSF (ESM), BCE, EBA, ….

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Il WTO doveva nascere con il fondo monetario e la banca mondiale. È una organizzazione internazionale sicuramente e tra le più importanti, ma non è una organizzazione finanziaria. Si occupa di commercio internazionale quindi non la mettiamo nel novero della nostra attenzione. Dall’ITO, al GATT, al WTO ci interessano solo perché erano parte dello stesso progetto, della stessa architettura pensata nella conferenza di Bretton Woods nel 1944. Le banche di sviluppo regionali sono tutti organismi internazionali, soddisfano quei criteri: sono organizzazioni composte da un’unione di più soggetti internazionali. La banca asiatica per lo sviluppo, che è una delle banche di sviluppo regionali (ce ne sono quasi una per continente) è composta da una serie di paesi tra cui tutti i paesi asiatici più normalmente tutti i paesi dell’OCSE. La BERS è una banca istituita molto recentemente. Tutte le istituzioni finanziarie europee sono anch’esse organizzazioni internazionali perché sono l’unione di più soggetti internazionali. Qui possiamo ricordare la BCE, la BEI, tutte le autorità di settore recentemente costituite a livello europeo, ricordiamo in particolare l’EBA (European Banking Authority). Il Financial Stability Board, anche se non è una vera e propria organizzazione internazionale, però è il consesso forse più importante oggi per discutere le problematiche finanziarie internazionali. È quello che era stato presieduto da Draghi fino a qualche giorno fa, e adesso dal governatore del Canada.

10.2.1. Le Banche di Sviluppo Regionali L’obiettivo originario: affiancare la Banca Mondiale nel perseguimento dei suoi fini istituzionali con l’istituzione di istituzioni finanziarie più radicate in una particolare area del mondo Nacquero, in tempi diversi:

⇾ la Banca Inter-Americana per lo Sviluppo (IDB), ⇾ la Banca Africana per lo Sviluppo (AfDB), ⇾ la Banca Asiatica per lo Sviluppo (ADB). L’organizzazione e la struttura finanziaria delle banche regionali ricalca quella della Banca Mondiale. La gestione è in mano ai paesi dell’area, ma la partecipazione al capitale è aperta ad altri paesi.

Parlando di banche di sviluppo regionali il riferimento obbligato è la Banca Mondiale, perché la Banca Mondiale nasce nel primissimo dopoguerra, mentre queste istituzioni nascono successivamente, negli anni ‘50 o ‘60 a seconda dei casi. Però queste istituzioni regionali (nel senso di continentali) si rifanno e replicano il modello della Banca Mondiale, sia nelle funzioni e negli obiettivi sia nelle caratteristiche organizzative strutturali e finanziarie. Cioè sono delle banche mondiali, con l’unica differenza che la Banca Mondiale opera in tutto il mondo, mentre ognuna di queste banche di sviluppo regionali operano solo nei rispettivi continenti. Qui ne vengono ricordate tre, ma in realtà ne possiamo aggiungere qualcun’altra.

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Le funzioni delle Banche di Sviluppo Regionali. Assistenza nella preparazione e coordinamento dei piani di sviluppo regionale. Assistenza tecnica nella formulazione e attuazione di specifici progetti di sviluppo. Erogazione di prestiti a lunga scadenza per finanziare progetti di sviluppo e per contribuire alla stabilità finanziaria. Promozione degli investimenti pubblici e privati. Coordinamento con altri organismi economici internazionali. Attività di ricerca sulla realtà regionale.

Le funzioni sono evolute nel tempo, così come è successo per la Banca Mondiale, anche per queste realtà le funzioni sono cambiate nel tempo. Questo perché in alcuni casi alcuni obiettivi originari avevano perso di significato o in altri casi perché strada facendo il dibattito politico ha spostato verso nuove missioni e nuovi obiettivi l’operato di queste banche. Oggi l’obiettivo principale delle banche di sviluppo regionali è la lotta alla povertà. Quindi fare crescita e fare sviluppo soprattutto nei paesi più poveri. Poi come fare crescita e come fare sviluppo anche questo è un argomento che ha subito un’evoluzione tumultuosa nel corso degli anni. Nel senso che gli stessi economisti hanno individuato nel tempo motivi diversi e cause diverse della crescita. Le teorie della crescita sono cambiate nel tempo, e quindi anche il modo in cui si promuove operativamente la crescita è cambiato nel tempo. Ad esempio negli anni ‘50 e ‘60 queste realtà finanziavano soprattutto progetti che costruivano grandi infrastrutture, perché si riteneva fossero molto importanti per la crescita. Poi andando avanti queste realtà si sono occupate di settori e hanno fatto progetti ed interventi diversi. Oggi si dà molta attenzione alla lotta alla corruzione, al ruolo delle donne, alla microfinanza, all’efficacia dei sistemi finanziari, si dà assistenza su molti altri fronti. Questo perché proprio la teoria della crescita e l’efficacia degli interventi è evoluta nel tempo. Non c’è sempre la stessa ricetta da utilizzare per far crescere un paese. La crescita è una cosa complessa, forse è la cosa più complessa in assoluto, e la crescita dipende da moltissimi fattori. Ci sono decine e decine fattori che possono spiegare nel medio-lungo periodo la crescita di un paese. E quindi anche l’evoluzione di queste realtà è stato il risultato anche di questo dibattito, di queste prove, di queste esperienze che sono state fatte nel corso del tempo: alcune fallimentari, altre meno, altre di grande successo. Quindi sono realtà che hanno registrato dei grandi cambiamenti e hanno dato anche dimostrazione di saper cambiare atteggiamento, aldilà di quelle che sono le posizioni spesso molto ideologiche che parlano senza sapere; hanno dato prova di essere molto dinamiche. Qui c’è un elenco di funzioni, che sono tutti esempi delle funzioni svolte da queste realtà.

Le tre principali banche regionali: IDB, AfDB, ADB. Altre banche regionali e sub-regionali.

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Queste tre realtà che abbiamo prima richiamato non sono le uniche realtà che interessano la famiglia e il gruppo delle cosiddette banche di sviluppo regionali, ma ce ne sono anche altre. In Europa c’è ad esempio la BEI (Banca Europea degli Investimenti, che è anch’essa una banca di sviluppo regionale. C’è la Banca Islamica che opera nei paesi arabi. E ce ne sono altre.

Queste banche di sviluppo regionali sono partecipate da tutti i paesi dell’area più i paesi OCSE. Quindi questo vuol dire che noi come Italia siamo membri di tutti queste realtà. Quindi noi come italiani possiamo lavorare in queste realtà, perché normalmente lavorano in questi gruppi internazionali solo le nazionalità rappresentate, qualche volta con delle quote mai annunciate, ma praticamente rispettate più o meno. Per esempio le donne erano molto favorite fino a poco tempo fa, perché queste sono istituzioni anche molto attente a questioni di genere e quindi cercano sempre di avere quote paritarie tra uomini e donne.

Tra le tre principali che abbiamo citato la più importante è la Banca Asiatica per lo Sviluppo (ADB), che è la più grande.

a) IDB – Banca Inter-Americana per lo Sviluppo

IDB (1959), sede Washington, circa 50 paesi, capitale $100 miliardi, solo una piccola percentuale è versato, il resto è “callable capital”. Sulla base di questa garanzia la Banca può raccogliere risorse sui mercati finanziari internazionali (AAA) e prestare a condizioni molto competitive (lo statuto prevede che il portafoglio prestiti non superi il capitale). Finanziamenti a lungo termine, per progetti ma anche per aggiustamenti strutturali dei settori; Finanziamenti ai governi, recentemente anche al settore privato.

La banca inter-americana lavora solo nel continente americano, quindi America Centrale e Meridionale essenzialmente, anche se la sede è a Washington. È stata la prima nata, nel 1959.

b) AfDB – Banca Africana per lo Sviluppo

AfDB (1963), sede Abidjan (Costa d’Avorio) ora Tunisi, circa 75 paesi, capitale $23 miliardi, solo una piccola percentuale è versato, il resto è “callable capital”. E’ la più piccola tra le tre grandi banche regionali.

La banca africana è la più piccola, aveva sede in Costa d’Avorio, ma siccome da un po’ di anni la Costa d’Avorio è un paese altamente instabile, è stata spostata a Tunisi provvisoriamente.

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c) ADB – Banca Asiatica per lo Sviluppo

ADB (1966), sede Manila, circa 55 paesi, capitale $100 miliardi, solo una piccola percentuale è versato, il resto è “callable capital”. I paesi OCSE hanno la maggioranza del capitale. Finanziamenti a lungo termine, per progetti ma anche per aggiustamenti strutturali dei settori.

La banca asiatica è l’ultima costituita, però oggi è diventata la più importante. Ad esempio da un punto di vista del portafoglio prestiti è seconda solo alla Banca Mondiale come capacità di prestito.

10.2.2. La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) BERS (1990), sede Londra, circa 60 paesi inclusa la BEI. Le funzioni principali della BERS sono la promozione della trasformazione delle economie pianificate dei paesi dell’Est Europa e delle ex Repubbliche Sovietiche in economie di mercato, e il sostegno allo sviluppo del settore privato in queste economie. Forte orientamento verso il mercato (i prestiti al settore pubblico non possono eccedere il 40 % del portafoglio). Eroga finanziamenti, acquisisce partecipazioni in imprese private, e concede garanzie (gli impegni complessivi non debbono superare il valore del capitale).

L’ultima nata tra le banche di sviluppo regionali è la BERS, possiamo ancora includerla tra questo tipo di istituzioni. È stata costituita nel 1990 e la funzione principale di questa istituzione è stata la trasformazione e l’assistenza alle ex economie pianificate, che si sono trasformate in economie di mercato a partire proprio dal 1990, che è l’anno dopo la caduta del muro di Berlino e quindi anno del passaggio di gran parte di queste realtà da economie pianificate a economie di mercato. E l’obiettivo della BERS era appunto quello di favorire queste transizioni di questi paesi. E poi, come tutte le realtà che nascono con un obiettivo, una volta raggiunto quell’obiettivo continuano ad occuparsi di problemi nuovi e continuano molto spesso ad esistere. Questa è la storia di gran parte delle istituzioni finanziarie internazionali: nate per un obiettivo specifico e poi, concluso quell’obiettivo, le istituzioni continuano ad esistere occupandosi di altre finalità. È successo così per la Banca Mondiale, è successo così per l’OCSE, è successo così per la BRI. Anche in questo caso per la BERS, le transizioni sono completate quasi per tutti i paesi, ma la banca ancora esiste e sta promuovendo soprattutto iniziative del settore privato nei paesi di interesse. Quindi questa è una banca che opera soprattutto nell’Europa Orientale, negli ex paesi dell’Unione Sovietica, in questa zona del mondo.

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10.2.3. La Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) BRI (1930); sede Basilea; 33 azionisti in gran parte banche centrali. Nasce per gestire il problema dei pagamenti legati alle riparazioni richieste alla Germania dopo la fine della prima guerra mondiale, ma sin da allora il principale scopo è stato la promozione della cooperazione tra le banche centrali. Oggi la BRI ha perso il suo connotato europeo, e rappresenta un forum internazionale per la consultazione e la cooperazione tra le banche centrali dei principali paesi del mondo (vari comitati e consultazioni informali attraverso meeting mensili dei governatori). La BRI opera anche come banca per le banche centrali; gestisce parte delle loro riserve ufficiali; esegue in forma anonima interventi sui mercati dei cambi per conto delle banche centrali; fornisce credit facilities (garantite dall’oro) o co-finanzia – insieme alle principali banche centrali – quelle banche centrali che hanno temporanei problemi di liquidità.

Una banca molto importante è la BRI, che nasce nel 1930 per gestire il problema dei pagamenti richiesti alla Germania dai paesi vincitori della prima guerra mondiale. Anche qui quella finalità è ormai completamente esaurita, però la BRI continua ad essere ancora una istituzione estremamente importante. Ha perso il suo connotato europeo che la caratterizzava quando è nata e oggi rappresenta un forum internazionale importantissimo per quanto riguarda la cooperazione tra le banche centrali dei principali paesi del mondo. E ospita una serie di comitati, tra cui il più famoso dei quali è il Comitato di Basilea, dove ha sede la BRI. E il Comitato di Basilea ha la responsabilità di dare indicazioni in tema di vigilanza bancaria; ed è stato ed è tuttora un comitato molto molto attivo: ha un piccolo segretariato ospitato all’interno della BRI. In più la BRI, aldilà di essere questo forum per il coordinamento internazionale, opera anche come banca. Ed è una banca molto speciale: è una sorta di banca centrale delle banche centrali. Quindi per esempio gestisce parte delle riserve ufficiali di molte banche centrali, esegue per le stesse in forma anonima interventi sul mercato dei cambi (quindi se una banca centrale non vuole far sapere che interviene, può dare ordine alla BRI di intervenire per suo conto). Tutte le banche centrali hanno conti presso la BRI e utilizzano questi conti per intervenire sul mercato valutario.

10.2.4. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) OCSE (1948), sede Parigi; personale 1800. Inizialmente l’OCSE venne creato per gestire le risorse del piano Marshall, ma anche per stimolare la liberalizzazione dei commerci internazionali e la cooperazione delle politiche economiche, monetarie e commerciali. Questi obiettivi vennero gradualmente allargati ad altri paesi e oggi l’OCSE conta circa 30 paesi membri. Anche le funzioni si sono allargate e oggi l’OCSE formula raccomandazioni su molte questioni economiche che vanno dal mercato del lavoro, all’ambiente, all’energia, agli investimenti all’estero, ecc.

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Anche l’OCSE era stata istituita con obiettivi molto specifici. In particolare l’OCSE doveva gestire i finanziamenti del piano Marshall, il piano di aiuti americani che gli Stati Uniti hanno organizzato per aiutare l’Europa nella ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. E queste risorse sono state inizialmente gestite dall’OCSE. Ovviamente questo è un compito ormai chiuso da tempo. Ma l’OCSE è rimasto e oggi si occupa di tanti problemi, che spaziano in molti ambiti economici, incluso qualcosa anche in ambito finanziario. Per esempio sugli investimenti diretti all’estero l’OCSE ha un ruolo abbastanza importante. Per il resto sono più tematiche di carattere economico e non strettamente finanziario. Anche se fanno anche loro sorveglianza sui paesi membri e quindi indirettamente si occupano anche di sistemi finanziari. Ma sono più conosciuti per iniziative che riguardano il mercato del lavoro, l’istruzione, l’inquinamento, le questioni ambientali. Ci sono diverse iniziative all’interno dell’OCSE, che ha sede a Parigi.

10.2.5. Il Financial Stability Board

Creato nel 1999, su proposta dei G7, a seguito della crisi finanziaria asiatica, allora come Financial Stability Forum, poi trasformato in Financial Stability Board nel 2009, a seguito della recente crisi finanziaria e su proposta dei G20. Fanno parte del FSB le autorità di vigilanza di tutti i principali paesi e dei principali centri finanziari, oltre alle principali istituzioni e consessi finanziari internazionali L’obiettivo originario e principale è il miglioramento del coordinamento tra le varie autorità di vigilanza nazionali e tra i principali organismi finanziari internazionali (International standard setting bodies) al fine di promuovere la stabilità finanziaria internazionale.

L’ultimo nato, particolarmente importante, è il Financial Stability Board, che è stato creato nel 1999. Gli international standard setting bodies sarebbero quegli organismi che fissano i principi internazionali su cui si dovrebbero basare le regolamentazioni dei vari paesi. Per esempio il Comitato di Basilaea è l’international standard setting body per la vigilanza bancaria. Stessi consessi ci sono per i mercati finanziari, per le assicurazioni, per la lotta al riciclaggio (il GAFI). → questi sono tutti esempi di international standard setting bodies, che sono dei consessi più che delle istituzioni. Quindi gli international standard setting bodies sono istituzioni che fissano i criteri generali, le cosiddette soft laws, che leggi non sono ma sono i principi che ispirano i vari paesi. Questi organismi non hanno il potere di imporre delle normative nella teoria, ma nei fatti lo fanno. E lo fanno attraverso la fissazione di questi principi. E in questi organismi lavorano rappresentanti delle rispettive autorità di settore dei principali paesi. Che per l’Italia sono: la CONSOB sui mercati finanziari, l’ISVAP per le assicurazioni, la Banca d’Italia per le banche, ecc.

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Funzioni del FSB. Nel suo mandato rientrano, tra l’altro, le seguenti funzioni: valutare le vulnerabilità del sistema finanziario individuando le azioni necessarie per fronteggiarle; promuovere il coordinamento e lo scambio di informazioni tra le autorità di vigilanza dei vari paesi; monitorare gli sviluppi di mercato e fornire raccomandazioni sulle relative implicazioni per le politiche di regolamentazione intraprendere esami strategici delle attività dei vari organismi internazionali per assicurare che le rispettive azioni siano coordinate, tempestive, incentrate sulle giuste priorità e indirizzate verso le principali criticità del sistema finanziario internazionale.

Il FSB coordina anche le altre istituzioni finanziarie internazionali. E non è un caso che nel FSB, oltre ai principali paesi, ci sono anche il FMI, la Banca Mondiale, il GAFI, ecc. Questa è proprio la cupola del coordinamento finanziario internazionale. I grandi paesi del mondo danno indicazioni al FSB → che a sua volta dà indicazioni a caduta agli organismi internazionali → e a loro volta a tutti i paesi.

Questo esaurisce la veloce panoramica che abbiamo fatto sulle organizzazioni internazionali che non sono Banca e Fondo, su cui faremo un focus più dettagliato.

Luca: « Quanto è importante che ci sia un livello di regolamentazione comune e sostanzialmente uguale tra le varie aree? E se diversi livelli di regolamentazione e diversi livelli di libertà in quanto a produzione di strumenti finanziari possono modificare i rapporti tra i vari leader: essenzialmente America, Europa e Cina? »

«Gli effetti di questi organismi sulla regolamentazione dei sistema finanziario. » Ricordiamoci che il sistema finanziario è il settore forse più integrato tra i vari settori economici del mondo e quindi non è un caso che, a causa proprio di questa maggiore integrazione, sia il settore dove il coordinamento nelle regole ha raggiunto il livello più alto. Questa è la giustificazione. Poi quanto queste regole siano tra di loro, tra i vari paesi, e soprattutto tra le varie aree, coordinate e simili o uguali, questo è ancora un problema che non ha trovato una completa soluzione. Nel senso che ci sono questi principi generali internazionali che sono rispettati in tutti i paesi ormai. Però sono principi generali. E poi declinare questi principi in normative specifiche comporta ancora una certa capacità dei paesi di differenziarsi da un posto all’altro. Per esempio i requisiti di capitale negli Stati Uniti, per le grandi banche di investimento, erano molto bassi, più bassi di quelli che c’erano in Europa. Quindi ci sono ancora delle differenze, però queste differenze tendono a ridursi perché i mercati sono integrati e perché c’è questa domanda di coordinamento che deriva da questa assenza di un governo internazionale, ma comunque dalla necessità, data l’integrazione molto elevata, di avere regole comuni, di avere quello che è il cosiddetto “level playing field”.

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10.3. Le istituzioni nate a Bretton Woods

Vedremo le funzioni originarie, la governance, la struttura finanziaria di queste istituzioni e cominceremo a parlare delle funzioni che svolgono oggi.

Cenni sulla nascita delle istituzioni finanziarie internazionali nate con gli accordi di Bretton Woods. La concezione dei rapporti economici internazionali del sistema economico che emerse dopo la seconda guerra mondiale si basava sull’esperienza e sulle lezioni apprese dalle sventure economiche del periodo tra le due guerre. Gli architetti del sistema ratificato a Bretton Woods avevano individuato tre principali problemi alla soluzione dei quali avrebbero dovuto provvedere tre nuove istituzioni internazionali.

Fondo e Banca Mondiale nascono a seguito del nuovo disegno dell’architettura finanziaria internazionale messo a punto nella conferenza di Bretton Woods. La concezione di questa nuova architettura si basa molto sull’esperienza dei due decenni precedenti, del periodo tra le due guerre, quando il mondo fu investito dalla prima grande crisi del sistema capitalistico degli anni ‘30, che poi ha prodotto un periodo di rallentamento, di depressione economica per i due decenni successivi. Fu un periodo in cui il commercio internazionale crolla, i paesi si chiudono, l’integrazione economica e finanziaria arretra, i paesi si difendono con le politiche del cambio dove c’era un ricorso frequente alle svalutazioni competitive, quindi esportavano i problemi agli altri paesi. Quindi alla luce dei problemi che erano stati registrati dall’economia mondiale nel periodo tra le due guerre, le potenze vincitrici o che stavano per vincere la seconda guerra mondiale, si riuniscono in questa località del New Hampshire nel 1944 per decidere come ridisegnare l’ordine economico internazionale a guerra conclusa. In questa conferenza vennero identificati tre grandi problemi che poi diedero origine alle tre grandi istituzioni che sono nate o concepite a Bretton Woods.

Problemi.

1) Si riteneva che per evitare la ripetizione degli eventi economici degli anno 30, fosse necessario sviluppare la cooperazione internazionale al fine di eliminare il ricorso a quelle svalutazioni competitive che si credeva avessero intensificato e prolungato gli effetti della grande depressione. Si temeva anche l’inizio di una ulteriore fase depressiva post-guerra, e quindi ci si adoperò per stabilire una struttura internazionale che potesse aiutare i paesi ad adottare politiche anti-depressive senza che questo comportasse conseguenze negative al di fuori dei loro confini. Al raggiungimento di questo obiettivo doveva provvedere il FMI.

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Il primo problema e obiettivo era quello che evidenziava il fatto che erano stati fatti degli errori dalle politiche economiche dei principali paesi, si voleva evitare che si ripetessero quelle politiche di chiusura delle economie e si richiedeva che fosse necessario sviluppare la cooperazione internazionale tra i principali paesi. E questo proprio per evitare il ricorso a quelle politiche di svalutazione competitiva che avevano aggravato la situazione dopo la crisi degli anni ‘30. Inoltre si temeva l’inizio di una fase depressiva dopo la guerra e quindi durante questa conferenza i paesi si adoperarono per aiutare le varie economie a non ricorrere a queste politiche di chiusura e cercarono di individuare una istituzione che potesse non solo promuovere il coordinamento, ma anche promuovere politiche che avrebbero avuto un effetto anti-depressivo e quindi politiche di sostegno alle domande dei vari paesi senza che questo si ripercuotesse negativamente nelle altre economie, così come era successo durante le politiche basate sulle svalutazioni competitive. E per il raggiungimento di questo obiettivo, quindi lo sviluppo del coordinamento internazionale e il sostegno alle economie affinché non ricorressero più alle svalutazioni competitive ma potessero avere finanziamenti per accompagnare gli aggiustamenti necessari, venne creato il Fondo Monetario Internazionale. È con questo obiettivo che venne creato il FMI. Quindi al problema di coordinamento e sostegno alle economie venne associata la costituzione di questo nuovo organismo.

2) C’era inoltre la consapevolezza che le esigenze di investimento per avviare la ricostruzione avrebbero di gran lunga superato il livello del risparmi nazionali disponibili, e che pertanto flussi ufficiali in aggiunta ai pochi capitali privati sarebbero stati essenziali per finanziare la ricostruzione e la ripresa dello sviluppo. Questo era il compito principale demandato alla Banca Mondiale.

Poi c’era un altro problema, ovvero il fatto che la seconda guerra mondiale era stata la prima grande esperienza bellica che aveva toccato pesantemente anche tutte le infrastrutture civili. È stata la prima guerra che ha creato distruzioni degli apparati industriali, delle città, delle infrastrutture; a differenza della prima guerra mondiale che invece era una guerra basata e combattuta con altre tecniche militari. Lo sviluppo della tecnologia ha impattato anche sugli effetti devastanti che la guerra ha avuto. Quindi c’era un enorme problema di ricostruzione, perché soprattutto l’Europa e il Giappone furono distrutti in larga misura dai bombardamenti, principalmente. Quindi c’era un’esigenza di riavviare questa ricostruzione e c’era il timore che i risparmi presenti nell’economia postbellica non fossero sufficienti a finanziarie queste grandi esigenze di ricostruzione. E per risolvere questo problema del finanziamento e della ricostruzione venne pensata, concepita e istituita la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, quella che normalmente viene chiamata la Banca Mondiale. La Banca Mondiale ha anche l’acronimo IBRD (International Bank for Reconstruction and Developement). E questo era il compito demandato principalmente alla Banca Mondiale: quindi creare le risorse finanziarie per finanziarie la ricostruzione dei paesi colpiti dalla guerra.

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3) Infine, la ripresa del commercio internazionale era considerata essenziale per la ripresa economica mondiale e quindi sorgeva la necessità di avere un’istituzione internazionale che si occupasse di sviluppare e far riprendere le relazioni commerciali tra i paesi. A questo scopo doveva provvedere la cosiddetta Organizzazione del Commercio Internazionale (ITO), il cui statuto non venne però mai ratificato.

E poi c’era un terzo problema, ovvero il grandissimo rallentamento nel commercio internazionale a seguito delle politiche autarchiche seguite dai paesi tra le due guerre. Pensiamo per esempio all’Italia con la politica fascista tra le due guerre con l’autarchia, ma cose simili furono fatte anche da altri grandi paesi. Alla luce di questi errori e delle conseguenze di queste politiche c’era una consapevolezza diffusa sulla necessità di far riprendere il commercio internazionale e quindi contribuire a promuoverne lo sviluppo. E quindi sorgeva la necessità di avere una istituzione internazionale che si occupasse di questo problema. E a questo scopo doveva provvedere il terzo grande pilastro di questa architettura disegnata a Bretton Woods: l’Organizzazione del Commercio Internazionale. L’ITO venne concepita a Bretton Woods ma, a differenza degli altri due pilastri, non venne realizzata. Il WTO, che è l’equivalente di questa istituzione concepita a Bretton Woods, nasce solo alcuni decenni dopo. Quindi il progetto venne realizzato solo parzialmente, però l’architettura venne concepita durante questa conferenza, a cui parteciparono solo le potenze alleate. C’era la Russia inizialmente, ma poi abbandonò, ma non c’erano Italia e Germania. Noi fummo chiamati solo alla fine della guerra a partecipare alla costruzione di queste istituzioni.

Le funzioni originarie. Le funzioni svolte dal dopoguerra in poi sono mutate continuamente a causa delle mutevoli circostanze, circostanze che sono cambiate anche grazie al successo delle IFI nel realizzare i propri mandati originari. Inizialmente le funzioni e i campi di azione delle due istituzioni erano nettamente separate. La banca doveva fornire e stimolare finanziamenti a lungo termine e a costi contenuti per la ricostruzione dei paesi colpiti dalla guerra e per lo sviluppo delle aree del mondo più povere e bisognose di capitale. Date le enorme esigenze di finanziamento per la ricostruzione postbellica, nei primissimi anni di vita la Banca non fu comunque in grado di dare un contributo fondamentale da un punto di vista quantitativo alla ricostruzione; essa riuscì a erogare prestiti ai paesi europei per un valore pari a circa a 1 miliardo di dollari, contro i circa 12 miliardi distribuiti dal piano Marshall nel periodo tra il 1948 e il 1951. Inizialmente gli sforzi maggiori della Banca furono indirizzati verso la ricostruzione. Nei primi dieci anni di vita, 43% dei suoi prestiti furono erogati principalmente a favore dei paesi europei ma anche del Giappone, dell’Australia, della Nuova Zelanda e del Sud Africa. Dei prestiti concessi ai PVS nei primi due decenni di vita della Banca tre quarti finanziarono infrastrutture. Si tenga presente che a quel tempo una generale scarsezza di liquidità esisteva in tutto il mondo con l’eccezione forse del nord America.

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Queste sono le funzioni originarie, così come queste istituzioni erano state pensate. In realtà se guardiamo a quello che oggi fanno queste istituzioni, in particolare a quello che fa la Banca Mondiale, troviamo una serie di compiti e funzioni completamente sganciati da quella che era stata l’idea iniziale. Quindi le funzioni sono continuamente cambiate e questo a causa, da un lato delle diverse circostanze e dei diversi problemi che via via si sono presentati a livello internazionale, e in parte perché grazie anche all’operato di queste realtà alcuni di questi problemi sono stati parzialmente superati. Questo peraltro ha comportato anche un altro fenomeno: mentre all’inizio le due istituzioni avevano funzioni nettamente separate, non c’erano sovrapposizioni, nel tempo queste funzioni si sono molto accavallate e oggi la divisione del lavoro tra FMI e Banca Mondiale non è più così netta e ci sono state e continuano ad esserci aree di sopraposizione delle due realtà. Per esempio la Banca Mondiale era stata pensata per l’attività di finanziamento della ricostruzione, inizialmente per i paesi più colpiti dalla guerra: Germania, Giappone, Italia, che ricevettero nei primi anni ‘50 i finanziamenti concessi dalla Banca Mondiale. Poi la ricostruzione e la ripresa furono molto più veloce di quanto si potesse immaginare. Ricordiamo che negli anni ‘50 i paesi che crescono di più solo quelli che più erano stati più colpiti dalla guerra: in Italia sono gli anni del boom, del miracolo economico; il Giappone lo stesso riuscì a crescere a tassi molto elevati; stessa cosa per la Germania. E comunque da un punto di vista quantitativo questo ruolo della Banca Mondiale fu abbastanza contenuto. Per dare un’idea degli ordini di grandezza, la Banca Mondiale investì in progetti di ricostruzione in Europa circa un dodicesimo di quello che ha finanziato il piano Marshall, il piano adottato dagli Stati Uniti per aiutare la ricostruzione europea. Il piano Marshall ha impiegato una quantità di risorse di gran lunga superiore a quella che è riuscita ad erogare la Banca Mondiale. Di lì a poco, anche alla luce di questa ripresa veloce e di questi altri aiuti che erano disponibili, la Banca Mondiale iniziò ad occuparsi di una missione abbastanza diversa da quella che era la missione originaria: si iniziò ad occupare di promuovere lo sviluppo delle aree dei paesi più poveri del mondo. E oggi così la conosciamo. Se vogliamo, una divisione del lavoro tra FMI e Banca Mondiale oggi dipende in parte anche da quelli che sono i paesi che ricevono sovvenzioni, aiuti, assistenza da queste istituzioni. La Banca Mondiale oggi lavora solo ed esclusivamente con i paesi più poveri, mentre il Fondo Monetario Internazionale lavora con tutti i paesi membri, almeno teoricamente; ma senza dire “teoricamente”, perché con l’esperienza di questa ultima crisi il FMI è tornato ad occuparsi anche dei paesi economicamente avanzati. Oggi il debitore più grande del FMI, che riceve aiuti dall’attività creditizia del fondo, il paese membro che ha ricevuto il maggiore prestito nel portafoglio del fondo è la Grecia. Gli Stati Uniti sono il paese che ha la quota più alta, il finanziatore maggiore. E per molti anni, dagli anni ‘70 fino a poco tempo fa, il fondo monetario non aveva avuto più clienti rappresentati da paesi “ricchi”. Questa crisi ha rinnovato le problematiche e oggi il FMI è molto impegnato nel mantenimento della stabilità, anche finanziaria, mondiale e quindi si è dovuto interessare anche dei paesi più avanzati. Perché questa ultima crisi si è originata negli Stati Uniti e si è allargata e ha interessato molto da vicino i paesi più avanzati.

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Articolo dal Sole 24 Ore di oggi: “Il vero bazooka è l’asse Fmi-Bce” di Alessandro Leipold. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-25/vero-bazooka-asse-fmibce064622.shtml?uuid=AanX2ROE&fromSearch

Leipold è stato uno degli italiani a più alti livelli nel FMI. Lui su questa crisi suggerisce una cosa molto interessante per risolvere il problema della BCE e dall’avversione della Germania affinché la BCE intervenga a sostegno dei debiti dell’area, sul fatto che non è previsto da statuto, la Germania non lo permette e c’è un’empasse critico. In questo articolo si fa riferimento al fatto che la BCE, che ha vincoli di statuto per comperare i titoli del debito pubblico dei paesi membri, però non ha vincoli nei rapporti con gli organismi finanziari internazionali. Quindi l’idea che Leipold riportava è quella che la BCE finanzia il FMI, il FMI interviene con un prestito a favore dei paesi in difficoltà e quindi in questo modo trova le risorse per dare questi aiuti, ponendo poi anche una certa condizionalità perché i prestiti di queste istituzioni sono dati sulla base dalla conditionality, cioè una serie di condizioni che il paese che riceve gli aiuti deve rispettare. Quindi ci sono dei condizionamenti, degli interventi, sulle politiche economiche in sostanza. E siccome il fondo al momento ha una quantità di risorse, tutto sommato, limitate per una crisi della dimensione di quelle Europea, questa potrebbe essere una soluzione. Per dare un’idea degli ordini di grandezza, il portafoglio impegnato dal FMI (non erogato, solo le promesse di aiuto, che non sono ancora tutte tradotte in aiuti effettivi) ammontano a circa 200 miliardi. Questo è tutto quello che il fondo ha impiegato in tutte le operazioni in tutto il mondo. Ma 200 miliardi sono i titoli che da qui a sei mesi lo stato italiano deve emettere per rifinanziare il suo debito. Quindi questo ci dà l’ordine di grandezza di quanto grande potrebbe essere la necessità dell’Europa rispetto alla capacità del fondo, che oggi si basa soltanto sul capitale, sui prestiti che i paesi più ricchi fanno al FMI. Quindi il giochetto sarebbe aggirare i vincoli dello statuto e far fronte sulla capacità di creare liquidità della BCE. Tra l’altro, in questo modo il FMI si prenderebbe un rischio di credito, però sarebbe un rischio di credito molto sopportabile anche perché il FMI quando dà un finanziamento a un paese lo dà sempre nella forma di un credito privilegiato. Quindi la senority di questi strumenti è sempre la più alta possibile: in caso di fallimento sono quei crediti che vengono rimborsati per primi.

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10.3.1. Il Fondo Monetario Internazionale

Il Fondo Monetario Internazionale è una agenzia delle Nazioni Unite. Fanno parte del FMI circa 185 paesi, che sono praticamente quasi tutti i paesi del mondo. Dei grandi paesi mancano soltanto la Corea del Nord, il Sudan e Cuba, e poi ci sono alcuni piccolissimi paesi che non sono membri.

a) Lo statuto del FMI Le principali disposizioni statutarie del FMI prevedevano che esso dovesse: promuovere la cooperazione monetaria internazionale attraverso un’istituzione permanente; favorire l’espansione e lo sviluppo equilibrato degli scambi; promuovere la stabilità dei cambi ed evitare svalutazioni competitive; ridurre l’intensità degli squilibri delle bilance dei pagamenti attraverso l’erogazione di prestiti ai quei paesi con difficoltà temporanee di bilancia dei pagamenti.

Queste sono le principali disposizioni statutarie del FMI, e sono in sostanza le funzioni principali. Se andiamo a vedere lo statuto del fondo → qui le cose non sono molto cambiate, se non per una cosa. Promuovere la stabilità dei cambi → ha perso molto significato perché i cambi fissi non ci sono più. Quindi su questo fronte le cose sono abbastanza cambiate. Ridurre l’intensità degli squilibri… → qui siamo nelle operazioni caratteristiche del FMI. Dove bilancia dei pagamenti è inteso in senso lato, è inteso nel senso di problemi che riguardano l’interezza dei conti con l’estero, quindi sia problemi che arrivano dalle partite correnti, sia problemi che arrivano anche da una crisi finanziaria che comporta l’uscita di capitali o una necessità di capitali legata a problematiche di carattere finanziario.

b) La struttura organizzativa del FMI

Board of Governors Composizione: un governatore per ogni stato membro. Competenze: elegge l’executive board, decide su nuovi membri, aumenti di capitale, calcolo della quota,… Un meeting all’anno (IMF and WB Annual meetings).

Executive Board Composizione: 24 direttori esecutivi Presidente dell’Executive Board è il Managing Director che è anche il capo del personale. Competenze: amministrazione ordinaria Tre meeting alla settimana.

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International Monetary and Financial Committee (IMFC) (ex Interim Committee) Composizione: 24 ministri dei 24 paesi che siedono nell’Executive Board Competenze: organismo che fissa la politica del FMI Due meeting all’anno.

Development Committee Composizione: 24 ministri dei 24 paesi che siedono nell’Executive Board Competenze: organismo che fissa la politica del FMI (e della BM) rispetto ai paesi emergenti e in via di sviluppo Due meeting all’anno.

Sul fronte della governance, della struttura organizzativa, Fondo e Banca Mondiale sono molto simili. Nel Fondo ci sono più dei tre organi tipici che avevamo individuato ieri negli organismi finanziari internazionali. Board of governors = assemblea, organo plenario di tutti I paesi membri. È composto da un rappresentante per ogni stato ed ha le competenze per eleggere il comitato esecutivo. E decide sulle grandi questioni, che sono per esempio un aumento di capitale del fondo, l’accettazione di un nuovo paese membro, il calcolo della quota. E questo organo si riunisce una volta all’anno, in occasione dei famosi Annual Meetings del Fondo e della Banca Mondiale, che sono tenuti assieme, due anni a Washington e un anno in una capitale estera. I governors sono normalmente i ministri delle finanze oppure i governatori delle banche centrali. Executive board = comitato esecutivo, organo di governo. È composto da 24 direttori esecutivi, dove alcuni sono rappresentanti dei singoli paesi, quindi i paesi più importanti hanno un loro rappresentante; mentre gli altri rappresentano le rispettive constituency, cioè gruppi di paesi che sono rappresentanti da un unico produttore esecutivo. Chi ha una rappresentanza permanente sono i grandi paesi: Stati Uniti, Russia, Cina, Germania, Gran Bretagna, Francia, Arabia Saudita (che è uno dei più grandi finanziatori del fondo). L’Italia è come se ce l’avesse, perché l’Italia ha una sua constituency, un suo gruppo di paesi che ha sempre designato un italiano a rappresentarla; in quanto gli altri sono paesi relativamente piccoli: Portogallo, Grecia, Albania, San Marino, Malta, Cipro e Timor Est. L’executive board è l’organo che decide la politica del fondo e si riunisce due o tre volte la settimana ed i suoi uffici sono permanentemente fissi a Washington. Il presidente dell’Executive Board del FMI è il Managing Director, che è anche il capo dello staff. Poi ci sono due comitati che fissano le politiche e le strategie del fondo monetario: International Monetary and Financial Committee = comitato che fissa le strategie per le questioni che riguardano tutti i paesi. Development Committee = comitato più specializzato sulle problematiche dei paesi in via di sviluppo. Qui opera anche la Banca Mondiale. Questi comitati si riuniscono due volte all’anno, in occasione degli Annual Meetings e in occasione degli Spring Meetings, seconda riunione in cui si raccolgono i principali rappresentanti dei paesi.

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c) La struttura finanziaria del FMI La dimensione del FMI riflette le sottoscrizioni dei paesi membri (quote), che a loro volta riflettono l’importanza economica dei paesi. Le quote sono riviste ogni 5 anni. Le quote possono essere parzialmente pagate in oro (prima del 1978), valuta nazionale, DSP o valute chiave. Tutte le transazioni dl FMI sono denominate in DSP. I DSP sono moneta internazionale creata dal FMI e distribuita ai paesi membri in proporzione alle quote. Questa moneta può circolare tra i paesi i quali devono accettarla in cambio di valuta nazionale fino al raggiungimento del doppio della loro assegnazione iniziale. I DSP sono costituiti da un basket delle 5 principali valute e il suo valore varia al variare dei tassi di cambio. Il capitale del FMI viene utilizzato per finanziare i paesi membri. Fino al 1973 i paesi potevano prendere a prestito fino ad un massimo pari alla quota; questo vincolo è stato rimosso dopo la crisi petrolifera e quindi il capitale del FMI è diventato insufficiente e il FMI ha iniziato a prendere a prestito dai paesi più ricchi. La struttura finanziaria rileva anche per i meccanismi decisionali del FMI. Le decisioni sono prese con un sistema basato sulle quote del capitale sottoscritte da ciascun paese. In pratica questo meccanismo da un potere di veto agli USA perché le decisioni più importanti richiedono l’85% del capitale (la quota americana è del 16,8%)

Per quanto riguarda la struttura finanziaria, c’è una cosa importante da ricordare, ovvero che i paesi membri hanno ciascuno una quota del FMI, come è anche per la Banca Mondiale: la struttura è la stessa in questi casi. Queste quote sono molto importanti perché il valore della quota decide da un lato il potere di voto che un paese ha e poi alla quota sono commisurati anche gli aiuti che possono essere ottenuti da questi paesi (almeno in maniera grossolana ci deve essere una certa corrispondenza tra il livello della quota e il livello dei potenziali aiuti che possono ricevere i paesi). Quindi è come se fosse una società di capitali, nel senso che i paesi più grandi hanno quote più grandi e decidono proporzionalmente alla quota. A differenza di altre agenzie delle Nazioni Uniti, ad esempio a differenza dell’ONU in cui i paesi hanno un voto e poi i paesi più importanti hanno un diritto di veto. Qui non è c’è un diritto di veto (anche se poi nella pratica c’è), ma c’è un meccanismo basato soltanto sulle quote: paesi più grandi finanziano maggiormente il fondo ma hanno potere maggiore. La quota viene rivista ogni cinque anni con una formula che tiene conto principalmente della dimensione economica, ma non solo, tiene conto principalmente della forza economica di un paese: ci sono una serie di variabili come il PIL, le riserve ufficiali, il commercio internazionale. È una formula in cui entrano diverse variabili economiche. Per dare un’idea gli Stati Uniti hanno una quota, che è stata recentemente un po’ ridotta, attorno al 16%. E questo è un numero importante perché le decisioni più importanti devono essere prese con una maggioranza qualificata pari all’85% del capitale. Il che vuol dire che senza gli Stati Uniti che hanno il 16%, quell’85% non viene raggiunto. Questo riguarda le grandissime decisioni, non riguarda l’operatività ordinaria, dove neanche occorre una votazione, ma di solito si decide in maniera unanime. Però questo 16% che rappresenta la quota degli Stati Uniti è indicativo del potere che questo paese ancora riveste in questo organismo internazionale. Stessa cosa vale per la Banca Mondiale: le quote del Fondo e della Banca vanno di pari passo.

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Una prima grande differenza tra Banca e Fondo riguarda la struttura finanziaria, nel senso che il FMI raccoglie il capitale con la sottoscrizione delle quote e poi ha degli accordi bilaterali con i paesi che hanno grandi disponibilità, per esempio l’Arabia Saudita, che è uno dei principali prestatori del Fondo Monetario, perché ha dei surplus importanti. Però il Fondo Monetario, seppure lo possa fare da statuto, non si è mai rivolto al mercato e il capitale sottoscritto deve essere tutto versato. Nel caso della Banca Mondiale, invece, il capitale è per larga parte callable capital, cioè capitale richiamabile in caso di necessità, e quello versato è una piccolissima quota. Quindi la Banca Mondiale raccoglie capitale emettendo dei bonds, delle obbligazioni sui mercati internazionali e raccogliendo risorse dai mercati. Quindi questa è una prima differenza tra Fondo e Banca, aldilà delle funzioni, sul fonte del finanziamento, della struttura finanziaria, della struttura del passivo c’è questa grande differenza: la Banca Mondiale va sul mercato, il Fondo no. Il Fondo si fa aiutare solo dai paesi membri. La Cina nel Fondo ha circa il 3,82% → questo ci dà un’idea di come sono poco rappresentati i paesi più poveri, perché il Fondo è sempre stata tipicamente una istituzione incentrata sugli Stati Uniti e l’Europa. Paesi come il Belgio, piccolissimi, hanno il 2%. Noi abbiamo quasi come la Cina. E poi recentemente sono state riviste queste quote, a favore della Cina, del Brasile. http://www.imf.org/external/np/sec/memdir/members.aspx#top

10.3.2. Il gruppo della Banca Mondiale 1. International Bank for Reconstruction and Development (IBRD) 2. International Finance Corporation (IFC) 3. International Development Association (IDA) 4. Multilateral Guarantee Agency (MIGA) 5. International Centre for Settlement of Investment Disputes (ICSID).

La Banca Mondiale, che inizialmente era IBRD, in realtà in questi anni è cresciuta ulteriormente, ed oggi è un gruppo formato da cinque istituzioni. La più importante è IBRD, che è quella che normalmente si dice «la Banca Mondiale». IBRD è l’istituzione nata a Bretton Woods. Poi successivamente sono nate le altre. IFC originariamente era il braccio del gruppo per intervenire nel settore privato nei paesi più poveri. Perché originariamente e prevalentemente queste istituzioni danno finanziamenti ai governi, ai paesi. Invece IFC fa prestiti ai privati, ma prende anche partecipazioni per far partire una iniziativa: istituisce un fondo comune, un’assicurazione, o prende una partecipazione di minoranza per aggregare interessi locali e far nascere qualche cosa. IDA è l’associazione del gruppo che interviene nei paesi più poveri, quelli che hanno i redditi più bassi in assoluto, e qui interviene soprattutto con prestiti o agevolati o addirittura con donazioni. Viene finanziata essenzialmente da aiuti che provengono dai paesi più ricchi o dai profitti del gruppo. Perché la Banca quando dà soldi in prestito si fa pagare degli interessi, come anche il Fondo Monetario, e quindi hanno dei redditi queste istituzioni.

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Le altre due sono meno importanti, più recenti. MIGA dà delle garanzie, soprattutto per problemi di carattere politico. È un’assicurazione che copre quegli eventi che le altre assicurazioni normalmente non coprono. ICSID è un centro per la risoluzione delle dispute che riguardano le problematiche degli investimenti a livello internazionale.

1.a) La struttura organizzativa della Banca mondiale I paesi che vogliono entrare a far parte della Banca devono prima essere membri del FMI (diritti e doveri). Board of Governors Composizione: un governatore per ogni stato membro. Competenze: nuovi membri, aumenti di capitale,… Un meeting all’anno. Executive Board Composizione: 24 direttori esecutivi, di cui 5 permanenti Presidente dell’Executive Board è il Presidente che è anche il capo del personale. Competenze: amministrazione ordinaria, ma meno influente del corrispondente Board del FMI a causa della diversa attività (più progetti micro piuttosto che programmi macroeconomici) Due meeting alla settimana. Development Committee Composizione: 24 ministri dei 24 paesi che siedono nell’Executive Board Competenze: organismo che fissa la politica della Banca mondiale e del FMI rispetto ai paesi emergenti e in via di sviluppo Due meeting all’anno. Staff: quasi 10000 inclusi i long term consultants; composizione più variegata rispetto al FMI.

Come governance vale quello che abbiamo già visto per il Fondo. La struttura organizzativa sostanzialmente la stessa, con l’unica differenza che il Fondo Monetario ha due comitati, mentre qua ce n’è soltanto uno. Però la Banca ha anch’essa un organo plenario composto da tutti i governatori dei paesi membri, che si riunisce una volta all’anno nella stessa occasione e nello stesso luogo del Fondo Monetario. Il capo della Banca è il presidente della Banca, di là era il Managing Director. La Banca Mondiale è sempre stata guidata da un americano, e il Fondo Monetario Internazionale è sempre stato guidato da un europeo.

1.b) La struttura finanziaria della Banca Mondiale Ogni paese membro contribuisce al capitale della Banca, ma solo il 6% è capitale versato. Il resto è callable capital. L’ammontare dei prestiti concessi non può superare il valore del capitale e delle riserve.

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I contributi dei paesi al finanziamento della banca sono marginali rispetto all’esposizione della Banca nel confronto del mercato. La Banca emette obbligazioni a medio lungo termine (global bonds), ma anche strumenti finanziari a breve termine. I titoli della Banca sono forse i titoli meno rischiosi in assoluto (0% di peso per il calcolo del capital adequacy ratio delle banche commerciali).

Per quanto riguarda la struttura finanziaria della Banca è rilevante il fatto che ogni paese membro contribuisce al capitale solo per il 6%, e il resto è tutto capitale a richiesta.

1.c) Credit facilities Prestiti vengono concessi solo ai paesi in via di sviluppo (
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