Antonio Socci - Indagine su Gesù
February 9, 2017 | Author: nickgoodwill | Category: N/A
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La vita di Gesù analizzata dal punto di vista religioso, storico e scientifico...
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Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt Antonio Socci Indagine su Gesù Rizzoli Proprietà letteraria riservata 2008 RCS Libri S. p.A., Milano ISBN 978-88-17-02590-4 Prima edizione: novembre 2008 Per notizie ulteriori sull'autore o comunicazioni si può consultare il sito www. antoniosocci. it. \-\ Note per la consultazione Ogni sezione del libro è divisa dai segni \-\ e in ambiente dos comincia ad inizio schermo. I titoli non presenti nell'indice, e tuttavia presenti nel corso del testo, sono contrassegnati da un asterisco. Per chi la possiede, consiglio vivamente di leggere questo libro con la barra braille visto che per la sua completa comprensione è importante notare le molte virgolette, i trattini per delimitare un inciso, le parentesi eccetera. Ci sono molte note, a volte con testo piuttosto lungo, che ho messo in un'apposita sezione al termine del libro (dopo l'indice). Visto che durante la lettura del testo è bene consultarle, magari potresti copiare tale sezione in un altro file da leggere aprendo un'ulteriore finestra oppure con un secondo computer o notex. Oltre che dal numero, dopo del quale ho aggiunto anche il segno dei due punti per una lettura migliore per chi usa la sintesi, l'inizio di ogni nota è contrassegnato da una rientranza del margine sinistro. Non ho invece inserito il numero di pagina a cui la nota si riferisce. In origine le note erano a piè di pagina e a volte il testo di una nota continuava nella pagina successiva. Durante il testo ho lasciato i numeri di nota là dove si trovavano racchiudendoli però tra parentesi quadre e mettendo uno spazio dopo la parola accanto a cui erano posti in modo da evidenziarli e non confonderli con altri numeri presenti nel libro. Inoltre questi numeri erano posti un po'"più in alto rispetto al testo come si usa fare spesso per indicare le note nei libri in nero. Ovviamente questo libro non è un romanzo e va letto un po'"alla volta per capire e meditare quanto si sta leggendo. La vita di Gesù qui viene analizzata dal punto di vista religioso, storico e scientifico e troverai moltissimi riferimenti ad altri testi. A causa delle diverse edizioni, i numeri dei versetti della Bibbia citati nel libro potrebbero non corrispondere con l'edizione che stai usando. Quindi, se fosse necessario, cerca il riscontro qualche versetto prima o dopo del numero citato nel libro. Nel testo c'erano dei numeri con elevazione a potenza scritti con la grafia usata dai vedenti (non molto acquisibile con lo scanner e quindi controllati da persona vedente). Ho lasciato il numero così com'era mentre l'elevazione a potenza l'ho scritta per esteso, vedi ad esempio 10 alla diciasettesima. Revisione lavoro 8 ottobre 2009 (prima versione data a terzi). \-\ Con gratitudine e stupore ad Andrea Aziani a don Luigi Giussani a don Julián Carrón per la loro paziente e illuminante paternità Ringrazio per la preziosa collaborazione la professoressa Emanuela Marinelli e don Giuseppe Virgilio. La tua voce ha potuto intenerirmi La tua presenza trattenermi, E il tuo rispetto commuovermi. Chi sei? (..) Tu, solo tu, hai destato (..) L'ammirazione dei miei occhi, la meraviglia del mio udito. Ogni volta che ti guardo Mi provochi nuovo stupore E quanto più ti guardo Più desidero guardarti. Pedro Calderón de la Barca \-\ Pagina 1
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt Prologo. Il «caso Flew», Einstein e Gesù Un po'"di scienza allontana da Dio, ma molta vi riconduce Louis Pasteur Il 9 dicembre 2004, fra i tanti lanci di agenzia, ne esce uno della Associated Press con questa notizia: «Celebre ateista adesso crede in Dio». Parla di Antony Flew, il filosofo che era stato fino ad allora il simbolo mondiale dell'ateismo scientifico e il padrino dei vari attuali divulgatori dell'inesistenza di Dio come Richard Dawkins. Flew, durante un convegno a New York, dichiarò pubblicamente di essersi convinto dell'esistenza di Dio e che questa sua certezza è «basata sull'evidenza scientifica». [1] Si tratta di una conversione al deismo, concezione che riconosce l'esistenza di Dio come causa del mondo, ma non riconosce la rivelazione e i dogmi cristiani. Anche classici del pensiero laico come Voltaire e Rousseau concordano sull'esistenza di Dio. Scrive Voltaire: «Gli atei sono per lo più uomini di scienza coraggiosi, ma sviati nei loro ragionamenti, i quali non potendo comprendere la creazione, l'origine del male e altre difficoltà, ricorrono alla ipotesi dell'eternità delle cose e della necessità [...] Va notato soprattutto che il numero degli atei è minore oggi che in qualsiasi altro tempo, da quando cioè i filosofi hanno riconosciuto che non esiste alcun essere vegetante senza germe, alcun germe senza struttura, ecc... Geometri non filosofi hanno potuto rigettare le cause finali, ma i veri filosofi le ammettono; e, come ha detto un noto autore, il catechismo annuncia Dio ai fanciulli e Newton lo dimostra ai sapienti.» (Dizionario filosofico) Fra gli addetti ai lavori la notizia è una vera e propria bomba, perché Flew era da mezzo secolo la mente del moderno ateismo filosofico- scientifico: precisamente dal 1950, quando espose a Oxford le sue tesi con Theology and Falsification, che diventò uno fra i libri di filosofia più ristampati del ventesimo secolo. Contribuì come pochi altri a elaborare seri argomenti teorici sull'inesistenza di Dio. Espose sistematicamente le sue speculazioni in varie opere, diventando il punto di riferimento filosofico di coloro che proclamano l'incompatibilità fra la scienza e l'idea di Dio. La clamorosa conversione al deismo di Flew è un evento di grande significato perché non deriva da una crisi di coscienza personale, da una storia privata che esula dai suoi studi filosofici. Al contrario, egli l'ha così motivata: «La mia scoperta del Divino è stato un itinerario (pellegrinaggio) della ragione e non della fede». [2] Certo, occorre una straordinaria lealtà intellettuale per annunciare, a 80 anni, dopo mezzo secolo di gloria accademica, di «capitolare» di fronte all'evidenza, capovolgendo un sistema filosofico per il quale era ritenuto un celebre maestro di ateismo. E infine dichiarare: «I now believe there is a God!» [3] Flew ha messo nero su bianco gli argomenti principali che lo hanno vinto e convinto in un libro straordinario, uscito per HarperCollins nel 2007: There is a God. Sottotitolo: «Come il più famoso ateo del mondo ha cambiato idea». [4] Si tratta (nientemeno) della scoperta razionale dell'esistenza di Dio. [5] La sua vicenda, fra gli addetti ai lavori, ha suscitato enorme scalpore. Mentre sui mass media e nel dibattito pubblico assai meno di quanto meriterebbe. [6] C'è imbarazzo nel mondo dell'accademia, che preferisce aver ragione piuttosto che correggere i propri errori. Sul «New York Times», Francis S. Collins [7] ha tracciato questo quadro: «Nella sua giovinezza, l'ateo Antony Flew decise di far suo il principio socratico di "seguire l'evidenza ovunque essa possa condurre". Dopo un'intera vita di ricerca filosofica indagatrice questa coraggiosa ed eminente intelligenza è adesso pervenuta alla conclusione che l'evidenza conduce definitivamente a Dio. I suoi colleghi nella chiesa dell'ateismo fondamentalista saranno scandalizzati dalla sua storia, ma i credenti saranno enormemente incoraggiati, e coloro che con serietà sono alla ricerca troveranno molto, nell'itinerario di Flew, per illuminare la loro stessa strada verso la verità». Ciò che rende interessante questa vicenda è - dicevamo - la sua connotazione filosofico- scientifica. Il Dio che Flew riconosce esistente è quello di Aristotele e di Einstein. Quello a cui arriva la ragione: «Non ho sentito nessuna voce. E" stata la stessa evidenza che mi ha condotto a questa conclusione». Sono i risultati delle più recenti, sofisticate ricerche nel campo della biologia, della chimica e della fisica ad aver convinto Flew. Nel ripensamento di Flew sono stati decisivi Pagina 2
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt anche gli argomenti di un geniale scienziato ebreo, Gerald Schroeder, autore dell'Universo sapiente. [8] E poi le riflessioni contenute in The Wonder of the World del giornalista cattolico Roy Abraham Varghese col quale poi ha scritto There is God. Le evidenti tracce del Creatore che questi e altri autori, da anni, indicano, riguardano sia il macrocosmo che il microcosmo. Chi infatti ha dato alla materia inerte e cieca le ferree leggi logico- matematiche che ne ordinano meravigliosamente lo svolgimento vitale, nell'infinitamente piccolo e nell'infinitamente grande? Consideriamo l'istante in cui sono nati entrambi, il Big Bang che ha dato origine dell'universo. La potentissima esplosione di luce che ha fatto espandere un'infinitesimale grumo di pura energia fino alle dimensioni attuali dell'universo è una cosa strepitosamente simile al primo atto della creazione raccontato nella Genesi: il «Fiat lux» di Dio. Col Big Bang abbiamo scoperto che il tempo, lo spazio e la materia ebbero origine in quell'istante, circa 15 miliardi di anni fa. Arno Penzias, premio Nobel per la fisica per aver scoperto la radiazione cosmica di fondo (cioè «l'eco del Big Bang») dice: «Non c'è un "prima" del Big Bang, perché prima non esistevano tempo, spazio e materia». Dunque tutto è nato in un preciso istante e da un'origine inafferrabile che sta fuori dal tempo, dallo spazio, dalla materia e dalle leggi fisiche che regolano questo universo. Ma il segno di quella presenza trascendente, di quell'Intelligenza creatrice si trova poi - stando a quanto affermano i fisici come Schroeder - in tutto quello che è seguito. Fin dalle primissime frazioni di secondo. Basti pensare al perfetto equilibrio fra l'energia di espansione e le forze gravitazionali: se l'energia del Big Bang fosse stata appena superiore o appena inferiore tutto si sarebbe autodistrutto. Invece era perfetta. Nota l'astrofisico Marco Bersanelli: «La struttura del mondo fisico, dagli atomi ai pianeti, alle galassie, è strettamente dipendente dal valore numerico che assumono alcune - poche - costanti fondamentali della natura. [...] La dinamica dell'intero cosmo fin dai primi momenti appare accuratamente predisposta a generare condizioni favorevoli per accogliere la nostra comparsa ad un certo punto della sua storia» [9] La stessa cosa dice Stephen Hawking: «L'intera storia della scienza è stata una graduale presa di coscienza del fatto che gli eventi non accadono in modo arbitrario, ma che riflettono un certo ordine sottostante». [10] Fra i «numeri fondamentali» Hawking segnala, per esempio, «la grandezza della carica elettrica dell'elettrone e il rapporto della massa del protone a quella dell'elettrone [...] Il fatto degno di nota è che i valori di questi numeri sembrano essere stati esattamente coordinati per rendere possibile lo sviluppo della vita». [11] Tutta una miriade di altre coincidenze «intelligenti» di questo tipo, che qui non è possibile enucleare, nel loro insieme portano a ritenere razionalmente impossibile che si tratti di un meccanismo casuale. Hawking spiega: «Sarebbe in effetti molto difficile spiegare perché mai l'universo dovrebbe essere cominciato proprio in questo modo, a meno che non si veda nell'origine dell'universo l'atto di un Dio che intendesse creare esseri simili a noi». [12] C'è poi tutta un'altra serie di coincidenze sorprendenti, quelle che hanno portato alla formazione di un pianeta - la Terra - che incredibilmente, forse da solo, in un immenso abisso inospitale, possiede tutte le eccezionali caratteristiche necessarie, esattamente quelle indispensabili, per permettere lo sbocciare della vita. Schroeder, analizzando una per una queste incredibili peculiarità, scrive: «E" come se la Terra fosse stata fabbricata su ordinazione per ospitare la vita». [13] Vediamone solo qualcuna, fra le tante meravigliosamente esposte da Schroeder: la distanza ottimale dal Sole (bastava essere appena più vicini o appena più lontani e la vita sarebbe stata impossibile); l'orbita perfetta (se fosse stata più ellittica, come quella di Marte, non ci sarebbe stata vita). [14] Inoltre il caso ha voluto che i gas vulcanici permettessero il formarsi dell'atmosfera e degli oceani e che il cosiddetto vento solare della fase TTauri si verificasse prima, così salvando i mattoni della vita. [15] E sempre per lo stesso fortunatissimo «caso» l'atmosfera della Terra ha uno strato di ozono che protegge da radiazioni letali, ma fa passare la luce e il calore necessari alla vita. E per un'altra fantastica casualità, al centro della Terra, si trova quella massa di piombo fuso che provvidenzialmente protegge la vita sul pianeta da altre radiazioni devastanti e ci permette di vivere «sotto un vero e proprio ombrello magnetico». [16] Del resto, anche dopo aver azzeccato alla lotteria tutti questi numeri fortunati, al «caso» si sarebbe infine presentato il compito più arduo, quello statisticamente impossibile: riuscire a far nascere, da reazioni chimiche casuali, la prima, la più elementare, Pagina 3
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt forma di vita sulla terra. Jacques Monod, nel libro «Il caso e la necessità», nota: «La vita è comparsa sulla terra, ma prima di quest'avvenimento... la sua probabilità era quasi nulla». Era una eventualità statisticamente remotissima, pressoché prossima allo zero. Griscia Bogdanov aveva effettuato questo calcolo: «Affinché la formazione dei nucleotidi porti "per caso" all'elaborazione di una molecola di RNA (acido ribonucleico) utilizzabile, sarebbe stato necessario che la natura moltiplicasse i tentativi a caso per un tempo di almeno anni 1 seguito da 15 zeri (cioè un milione di miliardi di anni), il che è un tempo centomila volte più esteso dell'età complessiva del nostro universo». [17] Immaginiamo di trovare un giorno incisa in una caverna l'intera Divina Commedia. Se qualcuno affermasse che quelle lettere sono segni formatisi casualmente per l'azione del vento, dell'acqua e dei minerali certo sarebbe accolto con una risata. E. ovviamente impossibile. Del tutto inverosimile. Eppure un semplice organismo unicellulare «ha un contenuto di informazioni equivalente a cinquemila volte l'intera Divina Commedia». [18] Dunque come può essersi formata per caso la prima cellula vivente? Un altro celebre scienziato, Fred Hoyle, dichiara: credere che la prima cellula si sia formata per caso è come credere che «un tornado infuriando in un deposito di sfasciacarrozze abbia messo insieme un boeing». E come si può immaginare allora che si siano strutturati e plasmati per caso esseri vivente incommensurabilmente più complessi degli organismi unicellulari? La complessità di una semplice formica appare vertiginosa e inimmaginabile. E la formica è ancora poca cosa. Se fosse rinvenuto in qualche luogo remoto un mega computer fra i più sofisticati ed efficienti, potrebbe mai saltar fuori qualcuno a sostenere che quel mirabile macchinario è stato prodotto dalla casuale azione degli agenti naturali? Solo un buontempone. Ebbene, l'essere umano è un'entità fisico- intellettuale immensamente più raffinata e complessa di qualsiasi computer esistente (che, non a caso, è un prodotto dell'uomo). Eppure non si ritiene assurdo affermare che questo perfetto organismo è stato elaborato e realizzato dal caso. Il cervello umano, afferma Owen Gingerich, professore di astronomia e storia della scienza all'università di Harvard, «è di gran lunga il più complesso oggetto fisico a noi noto nell'intero cosmo. Dei grosso modo 35 mila geni codificati dal DNA nel genoma umano, ben la metà trova espressione nel cervello. Sempre nel cervello vi sono circa cento miliardi di neuroni, cellule nervose [...] interconnesse l'una con l'altra in maniera estremamente intricata. Ogni neurone si connette in media con 10.000 altri neuroni... il numero di interconnessioni sinaptiche di un singolo cervello umano supera abbondantemente quello delle stelle della nostra Via Lattea: 1015 sinapsi contro 1011 stelle». [19] Si dovrebbe spiegare come sia possibile che dal caos primordiale sia stata plasmata per caso una entità così eccezionale, di inaudita complessità, quando neanche un infimo organismo unicellulare poteva statisticamente essere prodotto casualmente. Oltretutto uno dei pilastri del pensiero scientifico è il Secondo principio della termodinamica, secondo cui nel tempo, l'entropia (indice di disordine del sistema) dell'universo tende ad aumentare (cioè si va sempre dall'ordine al disordine, dall'unità al caos, tutto si disperde e si degrada). Com'è possibile che si sia passati dal caotico ammasso atomico iniziale alla mirabile e misteriosa architettura del cervello umano? Ancora più sorprendente è l'esistenza di quel sistema di informazioni chiamato DNA che mette in grado qualsiasi organismo umano con l'accoppiamento di generare in brevissimo tempo un altro essere umano dotato di quel mistero inspiegabile come è la coscienza. Furono James Watson e Francis Crick, nel 1953, a scoprire nel nucleo delle nostre cellule, la struttura a doppia elica della molecola del DNA (acronimo inglese che sta per acido desossoribonucleico), che trasmette le informazioni genetiche in tutti gli esseri viventi (eccetto quelli in cui tale funzione è svolta dall'RNA). E" stata una delle più grandi scoperte del XX secolo. Quando Flew cominciò a rendere pubbliche le nuove conclusioni a cui era pervenuto indicò soprattutto le scoperte sul DNA come «prova» di una superiore intelligenza creatrice della natura. Oltre all'immane quantità di informazioni contenute nel DNA umano, con la sua stupenda complessità, bisogna sapere che tali informazioni sono scritte come in un codice informatico o in un linguaggio, sennonché i soli codici che conosciamo sono di origine umana, presuppongono un'intelligenza che li elabora e non si sono trovate altre creature che ne sono dotate. Quale intelligenza dunque ha inventato, formulato e miniaturizzato a tal punto tutte quelle informazioni contenute nel DNA nella Pagina 4
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt giusta sequenza? E quale ha saputo far sì che l'informazione potesse diventare, tramite processi naturali, materia biologica? Oltretutto le informazioni contenute nella molecola di DNA vanno distinte da essa. E" come un libro. La carta e l'inchiostro sono il mezzo che veicolano delle informazioni che non sono carta e inchiostro, ma sono altro. Sono pensiero. [20] Bill Gates dice: «Il DNA è come un software, solo molto più complesso». E cos'altro è un software se non un pensiero molto elaborato, che esige necessariamente un essere intelligente? E" di fronte a evidenze del genere che Flew si è arreso. E ha definito come «sforzo comico» il modo con cui Dawkins ha cercato di spiegare l'origine della vita con la categoria di «occasione fortunata». Cioè col ricorso al caso. Flew è stato sarcastico: «Se questo è il miglior argomento che potete fornire su questo tema la questione è chiusa». Diceva invece Albert Einstein che nelle leggi della natura «si rivela una ragione così superiore che tutta la razionalità del pensiero e degli ordinamenti umani è al confronto un riflesso assolutamente insignificante». [21] Proprio l'approccio di Einstein ha pesato nella svolta di Flew. Molti hanno definito il padre della relatività come ateo o panteista spinoziano. Invece Flew, nel suo libro, cita questo pensiero di Einstein che esprime chiaramente la sua certezza sull'esistenza di una Intelligenza superiore e trascendente che ha ordinato razionalmente il mondo: «Io non sono ateo e non penso di potermi definire panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri. Ma non sa come. E non conosce le lingue in cui sono stati scritti quei libri. Il bambino oscuramente sospetta che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra sia la situazione dell'essere umano, anche il più intelligente, di fronte Dio. Noi vediamo l'universo meravigliosamente disposto e regolato da certe leggi, ma solo con incertezza noi comprendiamo queste leggi. La nostra mente limitata comprende la misteriosa forza che muove le costellazioni». [22] Ed ancora: «Chiunque sia seriamente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l'esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell'uomo, e di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili». [23] Ecco perché Einstein molto esplicitamente stroncò la mentalità positivistica: «Io non sono un positivista. Il positivismo stabilisce che quanto non può essere osservato non esiste. Questa concezione è scientificamente insostenibile, perché è impossibile fare affermazioni valide su ciò che uno "può" o "non può" osservare. Uno dovrebbe dire: "Solo ciò che noi osserviamo esiste". Il che è ovviamente falso». [24] Infine Flew cita questa «confessione» di Einstein: «La mia religiosità consiste nell'umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei minimi dettagli che noi siamo in grado di comprendere con la nostra fragile e debole intelligenza. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell'incomprensibile universo, fonda la mia idea di Dio». [25] A questo punto è inevitabile domandarsi se il Creatore - la cui esistenza è così evidente - si sia mai messo in relazione con gli esseri umani. Flew non si sottrae a questo appassionante interrogativo: «La questione se il Divino abbia rivelato se stesso nella storia umana resta un valido tema di discussione. Non si possono limitare le possibilità dell'onnipotenza eccetto per quello che è una impossibilità logica. [26] Qualunque altra cosa è alla portata dell'onnipotenza». [27] Per questo l'ultima parte del libro di Flew è dedicata proprio a verificare la possibilità che questa Intelligenza onnipotente, si sia messa in contatto con gli uomini, che addirittura sia venuto Lui stesso sulla terra facendosi uomo. I greci antichi chiamavano Logos l'evidente razionalità dell'universo. Per san Giovanni il Logos è la Ragione e la Parola con cui Dio ha creato il mondo e le leggi razionali che governano dal microcosmo degli atomi al macrocosmo delle galassie. E san Giovanni inizia il suo Vangelo con una notizia che riguarda proprio quella misteriosa razionalità che ci salva dall'assurdo: «Il Logos si è fatto carne ed è venuto ad abitare fra noi». Flew sostiene che certamente «la figura carismatica di Gesù» è così speciale che è sensato prendere in seria considerazione l'annuncio che lo riguarda. [28] Se Dio si è davvero rivelato, a suo parere, è plausibile che lo abbia fatto con quel volto. Ma quali informazioni Pagina 5
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt su Gesù troverebbe un esploratore ignaro di lui che oggi volesse comprendere chi egli sia stato? Certo troverebbe pure le flebili tesi di qualche stravagante o qualche fanatico dell'anticlericalismo che ne ha addirittura messo in dubbio l'esistenza. Ma in questo caso basta la risposta di un pensatore al di sopra di ogni sospetto, come Voltaire. Il quale giudicava coloro che negano l'esistenza di Gesù «più ingegnosi che colti». [29] E Rudolf Bultmann - che pure ha demolito tutto il possibile del cristianesimo - scrisse nel 1926: «Il dubbio se Gesù sia veramente esistito è infondato e non merita di essere confutato. E" del tutto evidente che egli è all'origine di quel movimento storico, di cui il primo stadio tangibile è rappresentato dalla comunità cristiana primitiva palestinese». [30] Paradossalmente se Gesù non fosse esistito ci troveremmo davanti al più colossale dei miracoli, come osserva acutamente il Gougel: «Solo la realtà storica di Gesù permette di comprendere la nascita e lo svolgimento storico del cristianesimo, che senza di essa sarebbe un enigma, anzi un miracolo». [31] Esploreremo i tanti documenti storici in un prossimo volume. Qui basti osservare che nei primi anni della Chiesa, quando sarebbe stato facile, ai numerosi nemici del cristianesimo, usare un argomento simile, nessuno degli autori che attaccarono i cristiani o Gesù (talora con calunnie micidiali, come Celso) né mise mai in discussione la sua esistenza. «Essi l'avrebbero fatto, dice giustamente Harnack, se vi fosse stata anche solo l'ombra di un'incertezza: perché nessuna confutazione del cristianesimo sarebbe stata più radicale». [32] Ma era un argomento del tutto ridicolo e controproducente. Anche perché «dalle "Memorie" di Egesippo risulta che verso il 180 "vivevano ancora i parenti del Salvatore, vale a dire i nipoti di Giuda che fu detto fratello di lui secondo la carne...". Erano agricoltori e vissero fino al tempo di Traiano (vedi Eusebio, Hist. Eccl., III, 20). Non c'è stato uno solo dei numerosi Apologisti della fede cristiana che, nel rispondere agli attacchi di pagani ed ebrei, abbia dovuto dimostrare l'esistenza storica di Cristo: nessuno aveva potuto mai dubitarne. Basta scorrere gli scritti polemici di Celso, Porfirio, Luciano, Giuliano l'Apostata...». [33] Gli stessi testi ebraici antichi su Gesù sono testimonianze preziose. Nota, a proposito di essi, un importante storico ebreo come Riccardo Calimani: «L'importanza delle informazioni che possono essere desunte non è trascurabile [...] perché viene confermata l'esistenza storica di Gesù, spesso superficialmente negata». [34] Perfino dei testi così polemici con Gesù come le «Toledòt», sottolinea Calimani, «testimoniano l'autenticità della sua esistenza storica proprio contro coloro che intendono trasformarlo in un mito». [35] E viene confermata l'eccezionalità della rivelazione da lui fatta su se stesso. Questo Gesù è stato il solo, nella storia, ad aver avanzato la pretesa inaudita di essere Dio stesso fatto uomo. E" possibile che Dio si sia rivelato così, in questo modo tanto clamoroso, sorprendente e inaudito? Come non restare allibiti e perplessi di fronte a tale «pretesa», soprattutto considerando l'epilogo della vita di Gesù? René Girard ha espresso questo stesso sconcerto: «Come pensare che un giovane Ebreo ucciso duemila anni fa con un tipo di supplizio da lungo tempo abolito possa essere l'incarnazione dell'Onnipotente?». [36] Ebbene Girard si è convertito al cattolicesimo. E Flew, in fondo al suo libro, dopo aver riportato il dialogo del vescovo N. T. Wright su Gesù e sulla sua resurrezione, arriva a una conclusione sorprendente. Si dice colpito. Poi aggiunge: «E" possibile che vi sia stata o possa esserci una divina rivelazione? Come ho detto, non si può limitare la possibilità dell'onnipotenza eccetto per produrre il logicamente impossibile. Ogni altra cosa è aperta all'onnipotenza». [37] Dunque noi vogliamo vedere, scoprire, toccar con mano e valutare ogni traccia. Vogliamo svolgere la nostra indagine su Gesù come se fossimo dei marziani appena sbarcati sulla terra. Innanzitutto chiederemo di lui a chi non è cristiano, è ateo o professa altre fedi e addirittura ai nemici della sua Chiesa. \-\ Chi è Gesù di Nazaret? Il più bello fra i figli dell'uomo Salmo 44,3 Nietzsche, che fu il suo nemico giurato, un giorno confessò: «(Gesù) ha volato più alto di chiunque altro». [38] Ed Ernest Renan, che pure sferrò un attacco terribile al cristianesimo e alla Chiesa, definì Gesù «una persona eccezionale». [39] Aggiunse: «Gesù è l'individuo che ha fatto fare alla sua specie il Pagina 6
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt più grande passo verso il divino», «Gesù è la più eccelsa di quelle colonne che indicano all'uomo donde venga e dove debba andare. In lui si è condensato tutto ciò che vi è di buono e di elevato nella nostra natura... Quali che possano essere i fenomeni imprevisti dell'avvenire, Gesù non sarà mai superato. Il suo culto ringiovanirà continuamente, la sua leggenda strapperà interminabili lacrime; le sue sofferenze commuoveranno i migliori cuori: tutti i secoli proclameranno che tra i figli dell'uomo non è mai nato uno più grande di Gesù». [40] Ma chi è precisamente questo enigmatico Gesù che da duemila anni affascina tutti, perfino i nemici? Chi è questo giovane rabbi ebreo, che doveva essere cancellato dalla faccia della terra duemila anni fa con una feroce esecuzione capitale da schiavo, se oggi, dopo venti secoli, quel suo supplizio è ricordato in ogni angolo del mondo? Infatti, come scriveva Giovanni Papini, «la sua memoria è dappertutto. Sui muri delle chiese e delle scuole, sulle cime dei campanili, dei tabernacoli e dei monti, a capo dei letti e sopra le tombe E...] milioni di croci rammentano la morte del Crocifisso». [41] Un ateo militante come Paul Louis Couchoud - mentre cercava di sferrare il suo attacco finale al cristianesimo - dovette ammettere: «Nella mente degli uomini, nel mondo ideale che esiste sotto i crani, Gesù è incommensurabile. Le sue proporzioni sono fuori di paragone, il suo ordine di grandezza è appena concepibile. La storia di Occidente, dall'impero romano in poi, si ordina intorno a un fatto centrale, a un evento generatore: la rappresentazione collettiva di Gesù e della sua morte. Il resto è uscito di là o si è adattato a ciò. Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all'ombra gigantesca della croce». [42] Interroghiamo Jean Jacques Rousseau, che fu un nemico filosofico della Chiesa. Ecco quali pensieri e sentimenti rivela, parlando di Gesù, in un libro peraltro condannato sia nella Parigi cattolica che nella Ginevra calvinista: Vi confesso che la santità del Vangelo parla al mio cuore. Osservate i libri dei filosofi, con tutta la loro pompa! Come sono piccoli in confronto a quello. Può darsi che Colui di cui fa la storia sia egli stesso un uomo? E" questo il tono di un invasato o di un settario ambizioso? Che dolcezza, che purità nei suoi costumi! Quale grazia toccante nei suoi insegnamenti, quale elevatezza nelle sue massime, quale saggezza nei suoi discorsi, quale presenza di spirito, quale finezza, quale esattezza nelle sue risposte! Quale dominio delle passioni! Dove è l'uomo, dove è il saggio che sa agire, soffrire e morire senza debolezza e senza ostentazione? [...] Ma dove aveva Gesù preso i suoi precetti, presa questa morale elevata e pura, di cui Egli solo ha dato gli insegnamenti e gli esempi? [...] La morte di Socrate che filosofeggia tranquillamente coi suoi amici, è la più dolce che si possa desiderare; quella di Gesù che spira fra i tormenti, ingiuriato, canzonato, maledetto da tutto un popolo, è la più orribile che si possa temere. Socrate che prende la coppa avvelenata benedice colui che gliela offre e che piange; Gesù, nello spaventoso supplizio, prega per i suoi accaniti carnefici. Sì, se la vita e la morte di Socrate sono quelle di un saggio, la vita e la morte di Gesù sono di un Dio. [43] Stupisce anche lo sguardo su Gesù del giovanissimo Karl Marx. Egli scrisse che «l'unione con Cristo dona un'elevazione interiore, conforto nel dolore, tranquilla certezza e cuore aperto all'amore del prossimo, ad ogni cosa nobile e grande, non già per ambizione né brama di gloria, ma solo per amore di Cristo, dunque l'unione con Cristo dona una letizia che invano l'epicureo nella sua filosofia superficiale, invano il più acuto pensatore nelle più riposte profondità del sapere, tentarono di cogliere; una letizia che solo può conoscere un animo schietto, infantile, unito a Cristo e attraverso di Lui a Dio, una letizia che innalza e più bella rende la vita». [44] Indagando, interrogando, Gesù emerge sempre come l'uomo più sconvolgente di tutti i tempi (com'è noto il tempo stesso, in buona parte del mondo, da secoli, si computa a partire dalla sua nascita). Non c'è nessun individuo che gli si possa paragonare per l'importanza, la vastità e la durata della sua influenza. Nessuno scatena amore e odio come lui. E" anche il più rappresentato e cantato dall'arte di tutti i tempi. Anche la letteratura moderna ne è testimone. «Sembra che molti autori» scrive Luigi Pozzoli «pur non riconoscendo il Cristo della fede, siano pronti a condividere le parole e i sentimenti che Dostoevskij ha confidato un giorno a una persona amica». [45] Ecco le parole dello scrittore russo: «Non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo» e «non solo non c'è, ma non può esserci». [46]46 A tal punto che «se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità». Certo in Dostoevskij l'incontenibile ammirazione per Gesù Pagina 7
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt arriva al paradosso, ma la sua osservazione esprime davvero il sentimento di molti: «Quest'uomo fu il più eccelso sulla terra, la ragione per cui la terra esiste. Tutto il nostro pianeta, con tutto ciò che contiene, sarebbe una follia senza quest'uomo. Non c'è stato e non ci sarà mai nulla che gli sia paragonabile. E" qui il grande miracolo». [47] In effetti la personalità di Gesù continua a sorprendere anche i non credenti. Dice Alfredo Oriani: «Creduli o increduli, nessuno sa sottrarsi all'incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa». [49] Perfino il simbolo del laicismo italiano, Gaetano Salvemini, rimase folgorato dall'altezza sublime della sua figura e del suo insegnamento. Raccontò, in Empirici e Teologi, di essersi trovato in una stagione della vita come «sperduto nel buio e fu una impressione disperata». Si sentì illuminato allora da una pagina di Pascal in cui una vecchietta dice: «Io non so dimostrare a me stessa che c'è un Dio. Ma mi regolo come se ci fosse». Salvemini spiega: «Quella vecchierella mi insegnò la via da seguire. Debbo aggiungere che nel seguire quella via, ho trovato un'altra guida e mi sono trovato bene a lasciarmene guidare. E questa guida è stato Gesù Cristo che ha lasciato il più perfetto codice morale che l'umanità abbia mai conosciuto. Io non so se Gesù Cristo sia stato davvero figlio di Dio o no. Su problemi di questo genere sono cieco nato. Ma sulla necessità di seguire la moralità insegnata da Gesù Cristo non ho nessun dubbio». Sfogliando il diario del turbolento e inquieto autore di On the Road, Jack Kerouac, ci si può imbattere in questa annotazione: «So che soltanto Gesù conosce la risposta definitiva». [49] Nell'itinerario tormentato di Giovanni Testori perfino la «bestemmia» è segno dell'impossibilità di dimenticarlo e proprio perché non si può sradicare dal cuore è spada che lacera. Nel tempo della sua lontananza dalla Chiesa il poeta lombardo scriveva: T'ho amato con pietà Con furia T'ho adorato. T'ho violato, sconciato, bestemmiato. Tutto puoi dire di me Tranne che T'ho evitato. Sembra che sia rimasta nel mondo - per chi non è cristiano - una nostalgia incolmabile di lui. Con altrettanta drammaticità infatti Pier Paolo Pasolini grida al vuoto divorante della sua assenza: «Manca sempre qualcosa, c'è un vuoto in ogni mio intuire. Ed è volgare, questo non essere completo, è volgare, mai fui così volgare come in questa ansia, questo "non avere Cristo" [...]». [50] Resta diffuso e inestirpabile, a quanto pare, il desiderio di sentirsi guardati dai suoi occhi, da cui furono guardati i diversi personaggi dei Vangeli. Il poeta libanese Gibran, in «Gesù Figlio dell'uomo», mette in scena varie voci che, tutte, parlano di Gesù. [51] Le parole della Maddalena: «Amico mio, io ero morta, sappilo [...]. Ma quando i suoi occhi d'aurora guardarono i miei occhi, tutte le stelle della mia notte si dileguarono». Jorge L. Borges, da non credente, dichiara: «Gli uomini hanno perduto un volto, un volto irrecuperabile e tutti vorrebbero essere quel pellegrino [...] che a Roma vede il sudario della Veronica e mormora con fede: Gesù Cristo, Dio mio, Dio vero, così era dunque la tua faccia? [...] Abbiamo perduto quei lineamenti come si può perdere un numero magico, fatto di cifre abituali, come si perde per sempre un'immagine nel caleidoscopio. Possiamo scorgerli e non riconoscerli». [52] Lo scrittore argentino confessa di «non vedere» personalmente il volto di Cristo nella sua vita, tuttavia «insisterò a cercarlo fino al giorno dei miei ultimi passi sulla terra». [53] Il fascino di Gesù però raggiunge tutti, non solo gli artisti. Pur rifuggendo dalla retorica un famoso giornalista dei nostri anni come Enzo Biagi, solitamente ironico e disincantato, di fronte al gigante che riempie le pagine dei Vangeli non nasconde il suo stupore: «Gesù [...] ha detto cose che a tutt'oggi sono insuperabili. E credo che nessuno abbia conosciuto l'uomo come lui. Gesù è una figura misteriosa, difficile da spiegare solo con l'umano. Regge da 2002 anni. Non vedo paragoni in giro». [54] Tutti parlano di lui come di un uomo sublime, di tale statura, bellezza e nobiltà, che neanche la fantasia avrebbe potuto crearlo. Secondo un intellettuale laico come Umberto Eco, quand'anche Gesù fosse - per assurdo un personaggio inventato dagli uomini, il fatto che «abbia potuto essere immaginato» da noi «bipedi implumi», di per sé, «sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede». [55] Un grande scrittore Pagina 8
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt ebreo, Franz Kafka, interpellato dall'amico Janouch con una domanda inattesa: «E Cristo?», dette la sensazione di una scossa all'anima: «Chinò il capo. "E" un abisso pieno di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi"». [56] Anche il laico Albert Camus accusa il colpo: «Io non credo nella risurrezione però non posso nascondere l'emozione che sento di fronte a Cristo e al suo insegnamento. Di fronte a lui e di fronte alla sua storia non provo che rispetto e venerazione». [57] Umberto Saba, poeta triestino, ebreo, confidandosi in alcune sue lettere con l'amico monsignor Giovanni Fallani, dichiarava di non avere la fede, ma scriveva anche: «Io amo Gesù come l'uomo che più si è avvicinato al divino o, almeno, a quello che i poveri uomini immaginano essere il divino. Sì, amo infinitamente Gesù, ma (se così oso dire) lo amo come un ponte fra l'uomo e il Divino. Lo amo come un "fratello"; infinitamente grande, infinitamente buono e amabile. Ho bisogno di credere, di appoggiare, in ogni caso, la mia disperazione a Gesù». E in un'altra lettera, raccontando del suo calvario nell'assistere la moglie malata: «Quando mia moglie era ancora a casa e, almeno a tratti, in sé, le ho parlato un giorno di Gesù [...]. Si era a tavola e pareva molto commossa, tanto che, appena l'aiutai a mettersi a letto, le dissi: Lina mia, vuoi che ci baciamo in Gesù? La povera vecchia mi rispose: Magari! Abbiamo provato entrambi momenti di grande dolcezza. Ci siamo baciati e abbiamo pianto». [58] E" sorprendente che un uomo - a distanza di duemila anni - possa commuovere a tal punto da medicare le ferite della vita di un uomo e una donna del XX secolo, come una carezza buona che arriva fin nel profondo dell'anima. Non è mai accaduto nella storia. Oltretutto nel caso di Gesù - lo stiamo considerando al momento come un semplice uomo - è ancor più inspiegabile con parametri mondani la sua capacità di attraversare e invadere i secoli e i cuori. \-\ * La «malattia» chiamata Gesù Questo giovane rabbi ebreo nacque da un piccolo popolo, che era sotto il dominio della Roma di Augusto, nella lontana e polverosa periferia di quell'impero. Anzi, lui addirittura proveniva dalla periferia di Israele, la Galilea. Anche il suo modo di porsi sembrava destinarlo per forza a essere spazzato via e dimenticato dal rullo compressore della storia. Infatti visse totalmente inerme, senza mezzi, senza rivendicazioni di tipo terreno, col rifiuto radicale dell'uso della forza, del potere mondano (politico, militare, economico e intellettuale) e di ogni ambizione terrena. Addirittura in qualche caso dovette rendersi fisicamente irreperibile quando la folla, entusiasta di lui, voleva proclamarlo re politico. E" nei cuori che voleva stabilire il suo regno. Il senso di questa scelta è stato spiegato da Soren Kierkegaard nei suoi Frammenti filosofici. Kierkegaard sostiene che la situazione fra Dio e noi è paragonabile a quella di un grande Re innamorato che voleva conquistare l'amore di una donna comune. Se le si fosse fatto incontro in tutta la sua maestà, bellezza, potenza e ricchezza lei sarebbe rimasta abbagliata da tanta magnificenza e non sarebbe stata veramente libera di amarlo come ci si innamora e ci si ama con spontaneità e in piena libertà. Sarebbe stata attratta forse da tanta ricchezza e magnificenza. Per questo decise di farsi da lei conoscere in incognito nelle vesti di un uomo povero. Per poter suscitare il suo sincero amore. Ecco perché, spiega Kierkegaard, Dio si è fatto uomo. E si è fatto incontrare nella normalità della vita quotidiana, la vita della gente comune. [59] Egli - per usare un'immagine analoga - è come un Re che torna in incognito nella sua terra, dominata da un usurpatore, un desposta sanguinario che tiene prigionieri i cuori. L'unico vero Re legittimo, avendo già stabilito il giorno della sua manifestazione trionfale, con la gloria di un esercito invincibile, cerca, ora qui, amici e fratelli che si leghino a lui per sempre e portino subito, a tutti, la notizia della liberazione, della sua vittoria e del suo arrivo imminente a cui prepararsi. Quanti accetteranno di essere ora suoi «cavalieri» o soldati, che portano a tutti il conforto di questa notizia, saranno fatti grandi nel suo regno. L'unica regola o legge del suo Regno, già ora, è l'amore e il perdono (che sembrano quanto mai «perdenti» nel tritacarne della storia e della politica). Gesù è interessato solo al cuore degli esseri umani (ciò che meno interessa ai potenti), è interessato solo a conquistare i cuori, a partire da quelli dei più marginali e insignificanti. Come ha notato Kierkegaard: «Cristo non ritenne mai un tetto tanto misero da impedirgli di entrarvi con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore». Non si era mai visto uno così. Del resto Gesù non promise ai suoi - un gruppetto di uomini semplici - né potere, né soldi, né Pagina 9
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt fama, né onori sulla terra, anzi li invitò decisamente a disprezzare tutto questo e ad aspettarsi persecuzioni in cambio del suo Regno che non avrebbe avuto mai fine, godendo però, già in terra, della felicità incomparabile che dà la sua amicizia e l'avventura della vita vicino a lui. Cose che rappresentano «il centuplo» rispetto a tutto ciò che il mondo spaccia come felicità. Insomma Gesù è un giovane rabbi itinerante la cui missione è brevissima, come una meteora, dura solo due anni e mezzo. Appena trenta mesi. Un nulla, un soffio. Un'inezia nel corso dei secoli. Un istante al confronto dei lunghi regni di condottieri e imperatori. Oltretutto due anni nel corso dei quali egli (al contrario di tutti gli altri) non ammazzò nessuno, anzi si lasciò ammazzare senza opporre alcuna resistenza fisica. Venne spazzato via nel modo più feroce e umiliante dal potere imperiale romano e dalla casta sacerdotale. Ammazzato col supplizio degli schiavi. Stando a un criterio di realismo storico e politico uno così non doveva lasciare un'impronta profonda e indelebile. Personaggi del suo tempo che avevano suscitato molto più clamore, capeggiando rivolte e usando spregiudicatamente la forza, sollevando popoli in nome di appassionanti ideali politico- nazionalisti, oggi sono pressoché dimenticati, al massimo sono un nome e una riga in qualche polveroso libro di storia. Lui invece da duemila anni ha sconvolto il mondo, è l'Amato per cui arde il cuore di milioni di esseri umani, pronti a dare la propria stessa vita per lui. Perfino formidabili capi di imperi - come certi faraoni egiziani o altri sovrani orientali - che ebbero in vita un potere vastissimo e assoluto su immense nazioni, sono oggi solo un nome menzionato ogni tanto da qualche storico. Mentre Gesù è la passione dell'umanità. Come disse un mistico arabo: «Chi soffre di una malattia chiamata Gesù, non potrà più guarire». Chi lo ha incontrato e conosciuto non può più cancellarlo dal cuore e farne a meno. «Expertus potest credere quid sit Jesum diligere». [60] E" un innamoramento, un ricordo, una nostalgia che non passa più. E riguarda popoli e popoli. Ma perché? Come si può spiegare un simile enigma? Oltretutto il finale della vicenda pubblica di Gesù - dopo quei due brevissimi anni di predicazione - è segnato da una totale disfatta. Egli in effetti farà una fine orrenda, schiacciato come pochi altri, abbandonato in quella umiliazione da tutti i suoi amici, povera gente semplice, terrorizzata e in fuga. E" il più totale fallimento che si poteva immaginare e avrebbe dovuto cancellarlo dalla memoria di tutti. Invece è accaduto inspiegabilmente il contrario. Ernest Renan, che è stato un acerrimo nemico della Chiesa e della fede, proprio nel suo libro su Gesù afferma «che, con la sua audace iniziativa e l'amore che seppe ispirare» Gesù creò qualcosa (il cristianesimo) che ha rappresentato «la rivoluzione», «l'avvenimento capitale della storia del mondo». [61] Com'è possibile che anche i nemici dicano di lui parole simili? Mai si è visto un caso analogo. Boris Pasternak, lo scrittore russo premio Nobel per la letteratura, cristiano di origini ebraiche, scrive nel suo romanzo- capolavoro: Si può essere atei, si può non sapere se Dio esista e per che cosa, e nello stesso tempo sapere che l'uomo non vive nella natura, ma nella storia, e che, nella concezione che oggi se ne ha, essa è stata fondata da Cristo, e che il Vangelo ne è fondamento. Ma che cos'è la storia? E" un dar principio a lavori secolari per riuscire a poco a poco a risolvere il mistero della morte e a vincerla un giorno. Per questo si scoprono l'infinito matematico e le onde elettromagnetiche, per questo si scrivono sinfonie, ma non si può progredire in tale direzione senza una certa spinta. Per scoperte del genere occorre un'attrezzatura spirituale, e in questo senso, i dati sono già tutti nel Vangelo. In primo luogo, l'amore per il prossimo; questa forma suprema dell'energia vivente che riempie il cuore dell'uomo ed esige di espandersi e di essere spesa. Poi, i principali elementi costitutivi dell'uomo d'oggi, senza i quali l'uomo non è pensabile e cioè l'idea della libera individualità e della vita come sacrificio. Tenete conto che oggi ciò è ancora straordinariamente nuovo. Gli antichi non avevano storia in questo senso. Solo dopo Cristo, i secoli e le generazioni hanno potuto respirare liberamente. Solo dopo di lui, è cominciata la vita nella posterità e l'uomo non muore più per la strada, ma in casa sua, nella storia, nel pieno di un'attività consacrata a vincere la morte, dedito lui stesso a questa impresa. [62] In effetti a una semplice considerazione storica le conseguenze nei secoli di quei due anni e mezzo di vita pubblica di Gesù appaiono incalcolabili. Per tutti. \-\ * Non più schiavi, ma uomini e donne Pagina 10
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt Un giorno, raccontava Chesterton, «un ateo molto leale con cui mi trovai a discutere fece uso di questa espressione: "Gli uomini sono stati tenuti in schiavitù per paura dell'inferno". Gli ho fatto osservare che se avesse detto che gli uomini erano stati affrancati dalla schiavitù per paura dell'inferno, avrebbe almeno fatto riferimento a un inoppugnabile fatto storico». [63] In effetti la sparizione della schiavitù - una delle più clamorose e stupefacenti rivoluzioni, conseguenti al cristianesimo (un evento unico in quanto la schiavitù esisteva da sempre, tanto da essere addirittura ritenuta naturale, un «diritto») - ha avuto un motivo esclusivamente spirituale. [64] Non c'è affatto una ideologia sociale o politica all'origine di questo sconvolgimento, ma un uomo: Gesù. Il fatto che fin da Paolo sia stata proclamata la totale uguaglianza - in forza di Cristo - di ebrei e pagani, uomini e donne, schiavi e liberi, il fatto che la Chiesa abbia portato dovunque, con la fede, questo annuncio di liberazione e che, nel momento delle grandi conquiste e dell'apogeo del pato, il Successore di Pietro, l'amico di Gesù, abbia proclamato davanti al mondo, contro tutti gli appetiti delle potenze politiche ed economiche planetarie, che «Indios veros homines esse», [65] è una «rivoluzione», un capovolgimento di mentalità che non si spiega certo con l'eredità della cultura classica (teorizzavano lo schiavismo sia i filosofi greci che il diritto romano), né era patrimonio della tradizione ebraica, tantomeno apparteneva alla cultura islamica. Non è stato neanche - come qualcuno potrebbe credere - l'esito di un progresso civile, di un'evoluzione storica neutrale, perché - anzi - di lì a poco, con la frattura protestante, l'avvento della cultura laica, illuminista e l'indebolirsi della Chiesa, tornerà a dominare proprio l'ideologia razziale della disegueglianza degli esseri umani. Addirittura giustificata con teorie scientifiche. [66] Dunque quella rottura storica, che andava contro le cosiddette «leggi di natura», cioè le leggi del dominio, era tutta e solo dovuta all'irrompere di Gesù nella storia. Era dovuta al suo fare scudo agli uomini indifesi col suo stesso corpo, al suo essersi messo al posto di tutte le vittime e di tutti i sofferenti, al suo espiare per ciascun uomo, perfino per i colpevoli. Nessuno uomo poteva più essere vulnerato, nel corpo o nell'anima. Come notava Léon Bloy: «Gesù sta al centro di tutto, assume tutto e si fa carico di tutto, tutto soffre. E" impossibile colpire oggi un qualunque essere senza colpire lui, è impossibile umiliare qualcuno o annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno qualsiasi, senza maledire o uccidere lui». [67] C'è voluto un grande filosofo come René Girard per far capire la colossale rivoluzione portata nella storia umana dal racconto evangelico della vita e della morte di Gesù. [68] Così cambiò tutto. Nulla fu più come prima. Anche se ci vollero secoli. Kant era convinto che «il Vangelo fosse la fonte da cui è scaturita la nostra cultura», tutto ciò che noi chiamiamo «la civiltà». Se Gesù non fosse nato, se non fosse stato fra noi - per fare qualche esempio - non ci sarebbero stati né l'Europa moderna (con tutto quello che ha dato al mondo, europeizzandolo), né più il ricordo e le opere dell'antichità greca e romana che furono custodite e tramandate dai monaci. Non ci sarebbe stata neanche la moderna economia, [69] col suo inedito benessere perché sempre i monaci - seguendo Gesù lavoratore - nobilitarono il lavoro manuale, un tempo ritenuto prerogativa degli schiavi, al livello divino della preghiera, e trasformarono l'Europa devastata dalle invasioni barbariche e coperta di foreste selvagge e acquitrini, in un giardino fertile e rigoglioso. Come ebbe a dire Henry Goodel «i monaci benedettini lungo un arco di 1500 anni salvarono l'agricoltura». Quindi la sopravvivenza stessa dei popoli e il loro futuro. Un altro studioso aggiunse: «Dobbiamo ai monaci la ricostruzione agraria di gran parte dell'Europa», [70] con tutto ciò che comportò in termini di alimentazione, benessere, esplosione demografica. «Educatori economici», li definì lo storico Henri Pirenne. L'abolizione della schiavitù [71] portò all'invenzione (sostitutiva) di macchine per sfruttare l'energia idraulica che «i monaci usavano per battere il frumento, setacciare la farina, follare i panni e per la conciatura». [72] Così, questa messa al bando della logica dei «sacrifici umani» (a cui apparteneva lo schiavismo), non solo non fece decadere la società, come riteneva Nietzsche, ma fece fare un balzo avanti nella tecnologia che produsse vantaggi straordinari e immensi progressi. I monaci insegnarono ai contadini a dissodare, bonificare, coltivare e irrigare e l'Europa divenne fertile. I monaci introdussero l'allevamento del bestiame e Pagina 11
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt dei cavalli, «la fabbricazione della birra, l'apicoltura, la frutticoltura. Dovettero ai monaci la propria esistenza il commercio del grano in Svezia, la fabbricazione del formaggio a Parma, i vivai di salmone in Irlanda» [73] e tante altre cose. Citiamo - per fare un altro esempio - la produzione del vino e «la stessa scoperta dello champagne che si può far risalire a un monaco benedettino, Dom Perignon, dell'Abbazia di Saint Pierre a Hautvillers sulla Marna». [74] Grazie a questa fiorente agricoltura rifondata dai monaci l'Europa superò la sussistenza e fiorì il suo successivo progresso che umanizzò il mondo. Perfino la celebre bellezza del paesaggio italiano - specialmente della campagna umbra e toscana - porta il segno vivo del cattolicesimo che - secondo Franco Rodano - ha plasmato la «millenaria capacità contadina (conservata dalla Controriforma) di vivere il lavoro non solo come duro travaglio disseminato di "spine e triboli", ma anche come accurata e paziente ricerca, al tempo stesso, del necessario e del bello». [75] Tutta questa fioritura di una civiltà non era stata perseguita dai monaci. Loro cercavano solo il regno di Dio, il resto - secondo la promessa di Gesù - fu dato in sovrappiù. Fu il frutto di una liberazione dell'umano. I monaci non avevano un progetto sociale, politico o culturale. Il loro pensiero quotidiano era alla Gerusalemme celeste, quella che rappresentavano come l'incontro definitivo con Gesù. Ecco le travolgenti parole di un autore monastico del XII secolo: «Egli è il bellissimo d'aspetto, il desiderabile a vedersi, colui che gli angeli desiderano contemplare. Egli è il re pacifico, il cui volto tutta la terra desidera. Egli è la propiziazione dei penitenti, l'amico dei miseri, il consolatore degli afflitti, il custode dei piccoli, il maestro dei semplici, la guida dei pellegrini, il redentore dei morti, forte ausilio di chi combatte, pio remuneratore di chi vince. Egli è l'altare d'oro nel Santo dei Santi, dolce riposo dei figli, visione di gioia per gli angeli [...]. Che gli renderemo per tutto ciò che ci ha donato? Quando saremo liberati dal corpo di questa morte? Quando saremo inebriati dall'abbondanza della casa di Dio nella sua luce vedendo la luce? Quando apparirà Cristo, vita nostra, e noi con Lui nella gloria?». [76] Ecco cos'avevano nel cuore e nella mente questi uomini forti e temerari mentre - in fraternità, umiltà e obbedienza - salvavano la bellezza dalla barbarie, l'umanità dalla bestialità, mentre trascrivevano codici, dissodavano campi, dipingevano miniature, sanavano paludi, costruivano abbazie, inventavano sistemi di irrigazione e coltivazione e cantavano a ogni ora le lodi di Dio, dagli abissi delle foreste alle pendici delle montagne. Mi sono soffermato su particolari di vita quotidiana per sottolineare quante piccole, innumerevoli conseguenze - senza che ne abbiamo coscienza - ebbe la vita di Gesù. Ma bisognerebbe menzionare anche cose e istituzioni più importanti. Non ci sarebbero state né scuole, né università, né ospedali, [77] con tutta una serie di grandi opere di carità, [78] né la scienza moderna e la tecnologia che conosciamo, senza i monaci che vivevano nella meditazione della vita di Gesù. [79] E nemmeno la musica. E" facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (insieme alle Cattedrali e all'arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia cristiana. Se Gesù non fosse venuto fra noi non sarebbe stato possibile conoscere neanche l'amore come oggi lo conosciamo, cioè la felicità terrena fra un uomo e una donna innamorati che formano una famiglia, generano figli e si sostengono per la vita, facendo crescere la loro comunità e quindi il loro popolo. E" quanto mostra Denis De Rougement nella sua memorabile opera L'amore e l'Occidente. Prima di Gesù all'uomo si presentava solo la disperata alternativa fra i contratti matrimoniali, dove non era previsto l'amore (e dove la donna era proprietà del marito),[80] e l"«amour passion», il mito della fusione e dell'estasi, sempre inappagata. Era l'uomo condannato all'infelicità nel suo desiderio di infinito. «L'incarnazione del Verbo nel mondo» scrive De Rougement «è questo l'inaudito evento che ci libera dall'infelicità di vivere». [81] I popoli cristianizzati scoprono, grazie all'insegnamento della Chiesa e alla testimonianza dei santi, l'amore monogamico e indissolubile di cui parla Gesù. Prende inizio quella nuova storia dell'amore, finalmente felice, che si chiama famiglia: «Amare diviene allora un'azione positiva, un'azione di trasformazione». Gesù comandò addirittura: «Amate i vostri nemici». Dentro questa misura divina e infinita, chiese «l'abbandono dell'egoismo, dell'io fatto di desiderio e d'angoscia; la morte dell'uomo isolato, ma altresì la nascita del prossimo. A coloro che gli domandano ironicamente "chi è il mio prossimo?" Gesù risponde: è l'uomo che ha Pagina 12
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt bisogno di te. Tutti i rapporti umani, da quell'istante, mutano di senso. Il nuovo simbolo dell'Amore non è più la passione infinita dell'anima in cerca di luce, ma è il matrimonio di Cristo e della Chiesa. Lo stesso amore umano ne viene trasformato [...]. Un amore siffatto, essendo concepito sull'immagine dell'amore di Cristo per la sua Chiesa (Ef. 5, 25), può essere veramente reciproco. Perché egli ama l'altro com'è, anziché amare l'idea dell'amore o la sua vampa mortale e deliziosa. Inoltre è un amore felice, malgrado gli impacci del peccato, in quanto conosce fin da quaggiù, nell'obbedienza, la pienezza del suo ordine». [82] Gesù fa scoprire l"«agapé», l'amore che riconosce un «tu» prima di affermare il proprio desiderio. L'amore che ama l'altro (accettandone i limiti) e non l'idea dell'altro. L'amore che perdona e che sostiene. E dunque Tristano può finalmente sposare la sua Isotta, smettendola di farne il «simbolo del Desiderio» (sempre inappagato e smanioso di morte). Può sposarla sperimentando con lei la felicità e la fatica dei giorni, può generare dei figli e costruire la dimora degli uomini, scoprendo il vero eroismo che è quello della vita quotidiana, quello - come diceva Charles Péguy - del misconosciuto «padre di famiglia» e della madre. Un amore che «crea» e fa crescere, non distrugge nel possesso, un amore che permane fedelmente e quindi costruisce nel tempo. Un amore che protegge, che aiuta e che sostiene è - per dirla con Chesterton - «la più straordinaria delle trasgressioni e la più romantica delle rivolte». [83] E" anche la base della civiltà, questo delicato e fragilissimo ponticello di umanità che sta sospeso sull'abisso dell'istinto selvaggio. E anche la base di ogni Stato concepito come casa di un popolo. Del resto senza Gesù non avremmo mai avuto neanche lo Stato laico, perché - come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona - è Gesù che ha desacralizzato il potere, il quale da sempre aveva usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e le cose. Con Gesù inizia veramente la storia della libertà umana. \-\ * La rivoluzione «Puro filosofo quale sono e, per sincerità verso me stesso, voglio restare», scrisse Benedetto Croce «io stimo che il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall'umanità sia stato il cristianesimo». [84] Pur rimanendo laico, Croce nel memorabile saggio del 1942 Perché non possiamo non dirci cristiani, osservò: «Il Cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l'umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non meraviglia che sia apparso o possa ancora apparire un miracolo, una rivelazione dall'alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate. [...] E le rivoluzioni e le scoperte che seguirono nei tempi moderni [...] non si possono pensare senza la rivoluzione cristiana, in relazione di dipendenza da lei, a cui spetta il primato perché l'impulso originario fu e perdura il suo». Quale motivazione adduce il filosofo di un tale giudizio? «La ragione di ciò» spiega Croce «è che la rivoluzione cristiana operò nel centro dell'anima, nella coscienza morale, e, conferendo risalto all'intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fin allora era mancata all'umanità. Gli uomini, i geni, gli eroi che furono innanzi al Cristianesimo, compirono azioni stupende, opere bellissime, e ci trasmisero un ricchissimo tesoro di forme, di pensieri e di esperienze; ma in tutti essi si desidera quel proprio accento che noi accomuna e affratella, e che il Cristianesimo ha dato esso solo alla vita umana». Sulla sua scia anche un altro grande intellettuale laico, Federico Chabod, nella Storia dell'idea d'Europa, scrive: «Non possiamo non essere cristiani, anche se non seguiamo più le pratiche di culto, perché il Cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c'è fra noi e gli Antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il Pagina 13
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt verbo cristiano. Anche i cosiddetti "liberi pensatori", anche gli "anticlericali" non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo». [85] In effetti pure il cardinale Giuseppe Siri notava che in Europa (ma oggi in gran parte del mondo, visto che la cultura europea ha globalizzato tutte le civiltà) «l'aria è impregnata di Gesù Cristo, anche dove non lo si vuole, anche dove non lo si ama, dove lo si bestemmia, dove non lo si cerca, lo si rinnega». Se Gesù non ci fosse stato, se il mondo non avesse avuto quei due anni e mezzo, brevissimi e folgoranti, della sua vita pubblica - per fare qualche altro esempio pratico - le donne oggi non sarebbero considerate creature come gli uomini, non avrebbero eguali diritti, sarebbero ritenute ancora «esseri» su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte, com'era perfino nella Roma imperiale, patria del diritto. [86] La Roma di Ponzio Pilato e di sua moglie Claudia che (avendo fatto un sogno che l'aveva turbata o forse avendo avuto contatti con seguaci del Nazareno e avendo sentito parlare di lui) lo esortò accoratamente a non condannare Gesù. «Il messaggio di Claudia (a Pilato)» scrive Fulton Sheen «fu l'epitome di tutto ciò che il cristianesimo avrebbe fatto per le donne pagane. Ella è l'unica donna romana citata nei Vangeli... Quel suo sogno era l'epitome dei sogni e dei desideri di un mondo pagano, la secolare speranza di questo mondo in un uomo giusto: un salvatore». [87] In effetti è con Gesù che alle donne finalmente vengono riconosciuti la stessa dignità e lo stesso valore dell'uomo. E" un cambiamento incommensurabile. Se Gesù non fosse vissuto, vecchi e malati continuerebbero a essere abbandonati. Se Gesù non ci fosse stato non esisterebbero i «diritti dell'uomo». Né la democrazia (ripeto: la democrazia e la libertà sarebbero stati inconcepibili). Si tratta di conseguenze che sono state rilevate dagli studiosi, indipendentemente dal loro eventuale credo religioso. Thomas S. Eliot espresse lo stesso paradosso: «Un singolo europeo può non credere che la fede cristiana sia vera, e tuttavia tutto ciò che egli dice e fa scaturirà dalla parte della cultura cristiana di cui è erede, e da quella trarrà significato. Solamente una cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche». [88] Se Gesù non fosse vissuto probabilmente avremmo ancora un sistema economico fondato strutturalmente sulla schiavitù e quindi arretrato (oltreché disumano e bestiale), sempre al limite della sussistenza. Invece Gesù è venuto e il continente che l'ha accolto, il continente che Roma aveva preparato e che è diventato quello cristiano per eccellenza, l'Europa, di colpo ha fatto un salto di qualità inaudito, lasciando indietro il resto del mondo, perfino civiltà molto più antiche, come quella cinese. Dopo Gesù e grazie a lui l'essere umano è fiorito: con la sua intelligenza, la sua umanità, la sua creatività, la sua razionalità (soprattutto!) e innanzitutto la sua libertà. A illustrarlo in un libro brillante non è un apologeta cattolico, ma un sociologo americano, Rodney Stark. Il volume è uscito in Italia col titolo: La vittoria della Ragione. Sottotitolo: «Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza». Il suo excursus lungo i secoli è documentatissimo: quando gli europei per primi cominciarono a esplorare il mondo, ciò che li stupì fu «la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società». Oltretutto bisogna considerare il fatto che l'Europa - dopo il crollo dell'Impero romano - era partita da condizioni quasi primitive. Stark prende anche in considerazione alcuni particolari emblematici della vita quotidiana che però sottintendono una tecnologia e una notevole civiltà: «Perché per secoli gli europei rimasero gli unici a possedere occhiali da vista, camini, orologi affidabili, cavalleria pesante o un sistema di notazione musicale?». Il perché - risponde Stark risale a quella razionalità e a quel genio della realtà fioriti col cristianesimo. Gli esempi sembrano minimi (gli occhiali, i camini), ma si tratta di oggetti di uso quotidiano che hanno letteralmente rivoluzionato la vita e la qualità della vita. Si possono citare conquiste ben più grandi. Stark dimostra che è dal cristianesimo, dalla certezza di un Dio che ha razionalmente ordinato il cosmo, che deriva la «straordinaria fede nella ragione» che connota l'Occidente cristiano. «Sin dagli albori i padri della Chiesa insegnarono che la ragione era il dono più grande che Dio aveva offerto agli uomini... Il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l'utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa». E" per questo che un grande convertito del Novecento, lo scrittore inglese Gilbert K. Chesterton fa dire a un suo personaggio: «Il convertito non abbandona assolutamente Pagina 14
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt le ricerche e nemmeno le avventure.. la gente ha grossolanamente frainteso... Diventare cattolici non vuol dire rinunciare a pensare, esattamente come guarire dalla paralisi non vuol dire cessare di muoversi, bensì imparare movimenti esatti». [89] Da qui, da questa «vittoria della ragione», da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio di oscure divinità inconoscibile dagli uomini, ma è creato da Dio secondo il Logos razionale e può essere compreso e dominato dall'uomo, deriva la scienza. Stanley Jaki ha dimostrato in Science and Creation come il pensiero scientifico moderno è nato su fondamentali presupposti cristiani, e analizza sette civiltà non cristiane (araba, babilonese, cinese, egiziana, greca, hindu e maya) nelle quali la scienza «nacque morta» proprio per la loro concezione della natura, di Dio e della ragione. [90] Insieme con la scienza, da queste basi cristiane viene anche la tecnologia e, più profondamente, la stessa idea di libertà personale, su cui fiorisce - per esempio - come conseguenza sociale, pure quel sistema di produzione e di libero scambio regolato che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nella storia umana. Naturalmente potremmo dettagliare tutte le cose che sono contenute in questa rivoluzione: la nobilitazione del lavoro umano e i diritti di chi lavora, la legittimazione teologica e morale della proprietà privata e del giusto profitto (ma anche il suo uso sociale), il diritto della persona a non essere schiavizzato che ha provocato, come si è detto, una quantità di scoperte e conquiste tecnologiche, ma soprattutto la dottrina dei diritti dell'uomo che fiorì nelle università medievali e nella teologia successiva. Ed è stata recepita nelle istituzioni moderne. Come diceva Arnold Toynbee, «la democrazia è una pagina strappata dal Vangelo». E" iniziata la libertà quando è stata sancita la limitazione dell'arbitrio dello Stato, da quando cioè a Cesare è stato dato solo ciò che era di Cesare e si è riconosciuto che c'erano beni indisponibili per lo Stato: ciò che appartiene a Dio. Era la fine dello stato assoluto e divino. Che si è verificata grazie al cristianesimo, alla presenza della Chiesa. Lo stesso Bertrand Russell, nel suo libro più anticristiano, lo riconosce sorprendentemente: «La libertà che vige nei paesi in cui la civiltà ha origine europea (cioè la sola libertà esistente nel mondo, nda) si può storicamente far risalire al conflitto fra Chiesa e Stato nel medioevo». [91] E" tutto un sistema di pensiero e di valori che ha letteralmente dato forma al nostro vivere quotidiano e che deriva da ciò che Gesù ha portato nella storia umana. Il progresso stesso è un concetto nato dai padri della Chiesa e non è concepibile se non nella concezione cristiana della storia. Stark dettaglia le conseguenze della rivoluzione cristiana fino a particolari a cui noi di solito neanche facciamo caso, ma che hanno umanizzato il mondo. Una quantità di nostri gesti quotidiani, come accendere la luce, avere acqua e riscaldamento in casa, muoversi a velocità inaudita sul pianeta coprendo distanze immense, comunicare da un capo all'altro del mondo, disporre di cibo oltre ogni immaginazione, dominare lo spazio, debellare tante malattie allungando la vita umana di decenni... Tutto questo - letteralmente - non sarebbe stato neanche immaginabile senza quella conoscenza razionale e scientifica che ci ha portato il cristianesimo. Non è un caso se le conquiste dell'Occidente cristiano hanno civilizzato tutto il mondo. [92] Ripeto che stiamo facendo solo una valutazione dei fatti perché, per i cristiani, il fine ultimo non è questa liberazione storica, il cristianesimo non si identifica con la civiltà (né ovviamente con «una» civiltà, per esempio quella occidentale). Gesù - dice la Chiesa - non è venuto innanzitutto per civilizzare il mondo, ma per santificare gli uomini, [93] per renderli, da bestiali, divini. [94] Ma noi per ora stiamo indagando sull'uomo Gesù e su ciò che storicamente la sua vita ha determinato. Ancora più esplicito è il libro di uno storico americano, Thomas E. Woods: «Come la Chiesa Cattolica ha costruito la civiltà occidentale», che segnala l'immensa quantità e qualità di cose di cui siamo debitori al cristianesimo. Perfino per «l'elaborazione del concetto di diritto internazionale» che si deve non agli intellettuali illuministi, ma alle università spagnole del Cinquecento, specialmente a Francisco de Vitoria (sacerdote e teologo). E non si tratta solo di dottrina teorica: c'erano di mezzo i diritti umani di tanti popoli, soprattutto nelle terre appena scoperte. [95] Hegel - il grande nemico filosofico della Chiesa - ha sentenziato: «Cristo è il cardine della storia». [96] In effetti dopo di lui nulla è stato più come prima. Tutto è cambiato. Non che sia mutato l'uomo: resta la sua bestiale ferocia e - sotto diverse maschere sempre persisterà la tentazione diabolica del potere e dell'abuso. Perfino inalberando strumentalmente vessilli cristiani. Anche i cristiani, come i Pagina 15
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt musulmani, i pagani o gli atei hanno commesso crimini, ma qual è l'immensa novità? Che i cristiani mai potranno giustificarsi richiamandosi a Gesù [97] perché lui (che non uccise nessuno e si fece uccidere) è sempre con le vittime (di tutti). [98] Non così - per esempio - per Maometto e i musulmani. Consideriamo anche solo il massacro della comunità ebraica di Medina, i Quraiza. Maometto «fece scavare grandi fosse nel mercato di al- Madina. Gli ebrei vi furono condotti legati e furono decapitati uno per uno sull'orlo del fosso, poi gettati nel fosso stesso. Secondo gli uni erano seicento o settecento; secondo altri ottocento o novecento [...]. Poi furono venduti le donne e i bambini (come schiavi, nda). Il denaro ricavato dalla vendita e gli oggetti mobiliari furono spartiti», inoltre «il profeta prese per sé come concubina la bella Rayhana, vedova di uno dei giustiziati». [99] Uccisi a freddo, nel corso di diverse ore, dunque, e altri orrori. Un grande arabista come Francesco Gabrieli ha scritto: «Questo inutile bagno di sangue resta come la più perturbante macchia nella carriera religiosa del Profeta. Non condividiamo le disinvolte spiegazioni di chi se la sbriga sentenziando che "l'etica di Maometto non è la nostra" [...]. E" anche da quell'episodio che ne conseguì che chi, allora e poi, sparse sangue umano per la causa dell'islam, non agì affatto contro lo spirito di Maometto; mentre chi lo sparse in nome della fede cristiana ha sempre agito contro lo spirito di Gesù. Il principio "l'etica di Maometto non è la nostra" può bastare a spiegare l'aspetto guerriero dell'Islam, ma non gli assassini individuali e i massacri di inermi di cui il Profeta si macchiò». [100] \-\ * Gli occhi dei bambini Come e perché Gesù è riuscito a capovolgere la storia in un modo unico e radicale? I cristiani rispondono indicando il suo potere divino. Ma noi ora vogliamo restare alle considerazioni degli avversari della Chiesa. Sentiamo dunque la risposta di uno dei nemici più acerrimi del cristianesimo, Friedrich Nietzsche: «Dio in croce: si continua ancora a non comprendere lo spaventoso mondo di pensieri nascosto in questo simbolo? Tutto quanto soffre, tutto quanto è appeso alla croce, è divino... Noi tutti siamo appesi alla croce, quindi noi siamo divini». [101] Ecco la rivoluzione di Gesù. Tutti hanno pensato di cambiare il mondo uccidendo. Gesù solo l'ha cambiato lasciandosi uccidere. La rivoluzione cristiana, che è per Nietzsche la più grande sciagura, sta nel fatto che - dopo la croce di Gesù - nessun essere umano può essere più ritenuto, per principio, «sacrificabile». Ma proprio sui sacrifici umani nelle loro molteplici forme, politiche, rituali, sociali o militari - sono stati edificati da sempre tutti i regni e gli imperi, quindi Gesù - inchiodato al patibolo - è un colpo mortale alla storia precedente (come rileva Nietzsche), uno spazzar via tutta la storia pagana, fondata sul dominio del più forte. Per questo chi come Nietzsche a quella storia pagana vorrebbe tornare giudica Gesù come la peggiore sciagura del mondo: «L'individuo fu tenuto dal cristianesimo così importante, posto in modo così assoluto, che non lo si poté più sacrificare» scrive il filosofo dell'Anticristo «ma la specie sussiste solo grazie a sacrifici umani [...] E questo pseudoumanesimo che si chiama cristianesimo, vuole giungere appunto a far sì che nessuno venga sacrificato...». [102] Tutti noi oggi consideriamo «naturale» che ogni essere umano abbia diritti inviolabili, che non possa essere proprietà di nessuno e da nessuno sacrificabile, ma non è affatto così. E" sempre stato naturale l'esatto contrario. Peter Singer, [103] il famoso bioeticista che vuole disfarsi dell'eredità ebraico- cristiana - c'informa che «i nostri atteggiamenti attuali datano dal sorgere del Cristianesimo». E" da quando Gesù di Nazaret è passato su questa terra che tutto è cambiato. Infatti «se ritorniamo alle origini della civiltà occidentale, ai tempi dei Greci e dei Romani», spiega Singer «troviamo che l'appartenenza alla specie homo sapiens non era sufficiente a garantire la protezione della propria vita. Non c'era rispetto per le vite degli schiavi o degli altri "barbari"; e anche tra gli stessi Greci e Romani, i neonati non avevano un automatico diritto alla vita. I neonati deformi venivano uccisi esponendoli alle intemperie sulla cima di una collina. Platone e Aristotele pensavano che lo Stato dovesse imporre l'uccisione dei neonati deformi. I tanto celebrati codici legislativi attribuiti a Licurgo e Solone contenevano disposizioni analoghe». [104] Ma è veramente così? Davvero è con Gesù che tutto cambia? Se interpelliamo un altro importante intellettuale laico del nostro tempo come Richard Rorty (simbolo del neopragmatismo Pagina 16
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt americano) troviamo lo stesso giudizio. Rorty, in Objectivity, relativism and Truth. Philosophical papers (Cambridge 1991) nota: «Se si guarda a un bambino come a un essere umano, nonostante la mancanza di elementari relazioni sociali e culturali, questo è dovuto soltanto all'influenza della tradizione ebraicocristiana e alla sua specifica concezione di persona umana». E" con Gesù che anche i bambini diventano persone. Il suo sguardo di tenerezza e di protezione nei loro confronti ha anch'esso letteralmente cambiato lo sguardo del mondo. Nei Vangeli è evidente la sua struggente commozione verso i bambini. Lo si comprende quando li abbraccia, o quando, prendendola per mano, resuscita la fanciulla morta. Le dice: «Talità kum» (Mc. 5,41), che significa letteralmente «agnellino, alzati» [105] (e come si rivela attento e realista subito dopo, quando, nella immaginabile concitazione dei presenti, raccomanda alla mamma: «Datele da mangiare»). C'è poi quel senso di protezione verso di loro: il suo sguardo, sempre mite, sembra d'improvviso lanciare fiamme per difendere l'innocenza della loro anima, che è anche la purità di quanti credono in lui; la sola frase terribile, spaventosa del Vangelo, è quella in cui tuona: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt. 18,6). Ma c'è anche di più. I bambini per lui sono addirittura l'esempio da cui imparare. Una volta, lungo il cammino, gli apostoli confabulano su chi fra loro fosse il più grande. Arrivati a un villaggio, Gesù si siede, li guarda e chiede di cosa discutevano. Davanti al loro silenzio imbarazzato il Maestro, con dolcezza, spiega: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». Poi «preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo» disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt. 18,2-5). E un giorno in cui i discepoli sgridavano i bambini che letteralmente assalivano Gesù, il quale li prendeva in braccio e li benediceva, egli «s'indignò» per il comportamento dei suoi e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio» (Mc. 10,13-14). Non i sapienti, non gli eroi o i forti di Nietzsche, non i potenti o i giusti sono indicati come l'esempio da ammirare, ma i bambini. «Non si può apprezzare la forza di queste parole» scrivono Corrado Augias e Mauro Pesce «se non si considera che i bambini, in una società contadina primitiva, erano nulla, erano non persone, proprio come i miserabili. Un bambino non aveva nemmeno diritto alla vita. Se suo padre non lo accettava come membro della famiglia, poteva benissimo gettarlo per la strada e farlo morire, oppure cederlo a qualcuno come schiavo». [106] Questo era il mondo prima di Gesù. Bambini, miserabili, donne, vecchi, schiavi, malfamati, peccatori, ammalati, storpi e deformi, tutti coloro che erano considerati cose o rifiuti o esseri di minor valore o erano disprezzati, per Gesù proprio loro sono le creature più importanti, quelli a cui va specialmente il suo amore e la sua cura, coloro che «passano avanti» a quanti si sentono forti, giusti e importanti. Nella sua fondamentale opera Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX (Einaudi 1949), Lowith scrive: «Il mondo storico in cui si è potuto formare il "pregiudizio" che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la "dignità" e il "destino" di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice umanità, avente le sue origini nell""uomo universale" e anche "terribile" del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l'uomo ha ritrovato attraverso l'Uomo- Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo». Non si tratta solo di questioni filosofiche, ma di ciò che ha fatto nascere la «persona umana» nella storia e quindi i diritti della persona, la sua libertà, e che ha generato un oceano di carità, quell'immensa quantità di istituzioni, opere e iniziative che hanno letteralmente coperto - da secoli - l'Europa e il mondo, dove per la prima volta nella storia umana uno stuolo incalcolabile di persone - a diverso titolo (anche con donazioni e testamenti, come con l'offerta di se stessi) si è speso per alleviare sofferenze, aiutare disperati, provvedere ad affamati, curare amorosamente ammalati, bimbi abbandonati e reietti. Uno spettacolo unico nella storia dell'umanità che è nato dalla compassione che Gesù aveva per i poveri, i sofferenti, gli ammalati, gli appestati, i menomati e che ha plasmato una civiltà definita dalla solidarietà e piena di istituzioni di Pagina 17
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt assistenza. Lo stesso Voltaire - anticlericale accanito - si arrese davanti a questo immenso e millenario spettacolo di amore dei seguaci di Gesù, specialmente di tante donne: «Non vi è forse nulla di più grande, sulla terra, del sacrificio della giovinezza e della bellezza compiuto dal gentil sesso giovani spesso di nobili natali - al fine di poter lavorare negli ospedali per l'alleviamento della sofferenza umana; la vista del qual sacrificio è cosa rivoltante, per il nostro animo delicato. Gli individui che si sono staccati dalla religione romana hanno imitato in modo assai imperfetto un così alto spirito di carità». [107] Prima di Gesù, scrive Fielding Garrison, storico della medicina, «l'atteggiamento degli uomini verso la malattia e la sfortuna non era di compassione... il merito di aver dato sollievo su vasta scala alla sofferenza umana appartiene al Cristianesimo». [108] E" precisamente la colpa che Nietzsche gli imputa: «Il cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito».' [109] Con Gesù irrompe nel mondo la compassione di Dio. O, secondo René Girard, «la pietà per le vittime». E" entrata nel mondo la verità e «la verità vi farà liberi», aveva detto Gesù. Spiega Girard che «l'azione del cristianesimo nel nostro mondo» ha reso possibile a tutti riconoscere le situazioni di oppressione e di persecuzione e chiamare le cose con il loro nome. Ha reso possibile conoscere la propria dignità e la dignità di ciascuno, cosa che, di fatto, alla lunga, delegittima e demolisce il dominio dell'arbitrio: «nel corso dei secoli tale tendenza ha creato una società che non è comparabile a nessun'altra, e questa tendenza oggi ha unificato il mondo». [110] In genere noi non facciamo caso a questa globalizzazione spirituale, ma davvero, anche ormai in società non cristiane, penso per esempio all'India, ha fatto irruzione quella che Girard chiama la «preoccupazione per le vittime» portata da Gesù. Si tratta di un'assoluta novità nella storia umana: «E" un fenomeno senza precedenti» afferma Girard. «Per quanto si esaminino le testimonianze antiche e si facciano inchieste... non si troverà nulla che assomigli anche solo da lontano alla preoccupazione moderna per le vittime. Né la Cina dei mandarini, né il Giappone dei samurai, né le Indie, né le civiltà precolombiane, né la Grecia, né la Roma della repubblica o dell'Impero si curavano minimamente delle vittime che, con mano generosa, sacrificavano ai loro dèi, all'onore della patria, all'ambizione di grandi o piccoli conquistatori». [111] Ripeto: non che non vi siano state e non vi siano ricadute, anche gravissime, orrende, nella storia attuale, ma appunto - dopo il Golgota, il macello di Dio da parte dei poteri di questo mondo - il loro volto demoniaco è stato smascherato e la contraddizione con gli enunciati umanisti (e con ogni forma di moralità) sarà sempre stridente: «Ormai per sfuggire davvero al cristianesimo, il nostro mondo dovrebbe rinunciare del tutto alla sensibilità per le vittime ed è appunto quello che Nietzsche e il nazismo avevano compreso». [112] In questo senso si realizza sotto i nostri occhi, anche storicamente, l'affermazione di Gesù: «Io ho vinto il mondo» (Gv. 16,33). Dichiarazione che poteva sembrare davvero molto velleitaria, folle, da povero illuso, quando la pronunciò, cioè alla vigilia del suo massacro, oltretutto annunciando persecuzioni anche ai suoi. Eppure, proprio attraverso quella sua croce, Gesù ha vinto il mondo, ha vinto i forti e i potenti esaltati da Nietzsche. Ha davvero sbaragliato i poteri di questo mondo, paradosso supremo, con la sua «sconfitta». Accettando volontariamente il sacrificio di sé. Racconta Robert Hugh Benson: «Il Venerdì Santo, sotto le rovine del Palatino, andai alla chiesa di San Toto e ascoltai quel versetto: "Se liberi costui non sei amico di Cesare" (Gv. 19,12). Oggi "costui" è il Re mentre Cesare non è nulla». [113] \-\ * Gandhi, la Ginzburg e il crocifisso Infatti, storicamente, Gesù rimane. I poteri mondani passano. Tutto ciò che di buono, di umano, di vero è stato detto o fatto nella storia umana, in questi venti secoli, porta l'impronta o l'evocazione di lui. Non è un'affermazione di fede, ma una constatazione storica. Che poté fare, per esempio, anche Elio Vittorini sul Politecnico, quindi non certo un clericale: «Come cultura, Cristo è non meno importante di ciò che è come fede o vita dei fedeli. Nulla di quanto gli uomini hanno detto di nuovo o concreto o anche solo utile, dopo di lui, è stato detto in contrasto con lui». [114] E ogni volta che si vorrà Pagina 18
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt difendere l'uomo, si troverà legittimità e forza evocando Gesù. Perfino quando - fra Ottocento e Novecento - nasceranno i primi movimenti socialisti: il loro slancio umanitario, il grido dei miseri e degli sfruttati pronuncia il suo nome. Ignazio Silone, nel romanzo Uscita di sicurezza, descrivendo la sede della lega dei contadini, dentro una baracca per terremotati, dice: «Affisso in una parete c'era un quadro che raffigurava Cristo Redentore, avvolto in un lungo camice rosso e sormontato dalla scritta: "Beati gli assetati di giustizia!"». Nel 1988 scoppiò in Italia una polemica sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche. Soprattutto da Sinistra - per motivi ideologici e politici - arrivavano contestazioni e richieste di cancellazione di quel segno. Fu Natalia Ginzburg, scrittrice di sinistra e di origini ebraiche, a opporsi sull"«Unità» (del 22 marzo) con un articolo dal titolo Non togliete quel crocifisso. Scrisse fra l'altro: Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E" l'immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l'idea dell'uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? Sono quasi duemila anni che diciamo "prima di Cristo" e "dopo Cristo". O vogliamo forse smettere di dire così? Il crocifisso è il segno del dolore umano. La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l'immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo, cancella l'idea di Dio ma conserva l'idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c'è immagine. E" vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini. Gesù Cristo ha portato la croce. A tutti noi è accaduto o accade di portare sulle spalle il peso di una grande sventura. A questa sventura diamo il nome di croce, anche se non siamo cattolici, perché troppo forte e da troppi secoli è impressa l'idea della croce nel nostro pensiero. Alcune parole di Cristo, le pensiamo sempre, e possiamo essere laici, atei o quello che si vuole, ma fluttuano sempre nel nostro pensiero ugualmente. Ha detto "ama il prossimo come te stesso". Erano parole già scritte nell'Antico Testamento, ma sono divenute il fondamento della rivoluzione cristiana. Sono la chiave di tutto. [...] Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Un accanito anticlericale come Renan riconosceva che «strappare il nome di Gesù dal mondo sarebbe come scuoterlo dalle fondamenta». [115] E non solo nelle terre tradizionalmente cristiane. Consideriamo la situazione odierna, dopo duemila anni: non solo vi sono nel mondo due miliardi di cristiani su sei miliardi di abitanti (quindi due miliardi di persone che lo adorano come il Figlio di Dio fatto uomo), ma il fascino della su persona dilaga anche nel resto dell'umanità. Ai quattro angoli del pianeta, in qualunque civiltà, a qualsiasi religione si appartenga, Gesù fa breccia nei cuori. Consideriamo il continente indiano e il suo miglior simbolo moderno, il Mahatma Gandhi, una delle personalità più suggestive del Novecento. Sebbene induista rimase fortemente impressionato dalla figura di Gesù. Un giorno rivelò: «E" il Sermone della montagna che mi ha fatto amare Gesù [...]. E" il Sermone della Montagna che mi ha rivelato il valore della resistenza. Io fui colmo di gioia leggendo: "Amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano"». [116] Dunque la straordinaria vicenda biografica di Gandhi deve tantissimo all'incontro con la figura di Gesù, così come l'evoluzione dell'induismo dalla disumana dottrina delle caste all'emancipazione (almeno giuridica) dei «dalit». [117] Si racconta che «sulla parete di fango della sua capanna era appesa una stampa in bianco e nero con l'immagine del Cristo e la scritta: "Egli è la nostra pace"». [118] Nel dicembre 1931, in visita a Roma, Gandhi fu portato a visitare Pagina 19
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt la Cappella Sistina e si soffermò a lungo davanti al crocifisso del XV secolo che sta sopra l'altare. Dopo molto tempo sussurrò: «Non si può fare a meno di commuoversi fino alle lacrime». [119] Il Mahatma arrivò a dichiarare: «Io dico agli indù che la loro vita sarà imperfetta se non studiano con rispetto la vita di Gesù». [120] Se prendiamo una grande personalità del mondo buddista, il Dalai Lama, sentiamo parole egualmente ammirate: «Nell'entrare in contatto con Gesù Cristo, che ha influito spiritualmente su milioni di persone, emancipandole e liberandole dalla sofferenza come dimostra chiaramente la sua biografia, un buddhista, che cerca rifugio soprattutto nel Buddha, proverebbe il sentimento di profondo rispetto riservato agli esseri pienamente illuminati o ai bodhisattva». E ancora: «In quanto buddhista, il mio atteggiamento nei confronti di Gesù Cristo è questo: era un essere pienamente illuminato, oppure un bodhisattva con un altissimo livello di realizzazione spirituale». [121] \-\ * Nel Corano e non solo consideriamo il mondo islamico, che sulla terra ha oggi circa un miliardo e mezzo di fedeli. La figura di Gesù è venerata anche fra di loro. Nel Corano se ne parla come di un uomo sublime (anche se pare totalmente astratto dalla storia: il Corano nega la sua morte in croce perché Dio non può permettere la sconfitta di un suo profeta). E" menzionato in 15 sure su 114 per un totale di 93 versetti: è considerato un grande profeta dell'Islam. Spiega un dotto islamico: «Gesù Cristo è uno dei due profeti» secondo l'islam «nati senza padre (l'altro è Adamo)». [122] Riassume Angelo Amato: «Nato dunque dalla Vergine Maria, anche lei venerata, a dimostrazione della grande potenza di Dio, Gesù è ritenuto autore di molti miracoli»; è ritenuto «il più santo dei profeti prima di Maometto. Concezione verginale, miracoli e titoli (Messia, servo di Dio, benedetto, parola sicura messaggero...) vengono interpretati come segni della potenza di Dio». [123] Fra i musulmani «il suo insegnamento provoca ancora ammirazione e rispetto». [124] Naturalmente non è riconosciuto come «Figlio di Dio», ma la sua figura è venerata e suscita commozione e stupore, tanto che non sono rari coloro che, nei Paesi islamici, da questa descrizione della figura di Gesù, sono indotti a cercare di saperne di più nei Vangeli e - rischiando pesanti conseguenze, fino alla morte - si convertono. «Ho amato Gesù fin dalla mia infanzia» confessa una ragazza, nata islamica, a Jean- Marie Gaudeul che ha raccolto le testimonianze di tanti musulmani sedotti da Gesù. [125] Ecco un colloquio riferito da Gaudeul. «"Puoi citarmi i profeti che l'islam conosce e che tu conosci?". Egli si mise a raccontarmi i profeti conosciuti. Gli dissi: "Non ti ho sentito citare il nome di Issa (Gesù). Puoi parlarmi di lui?". Mi rispose: "E" esatto, non ho citato Issa. Egli ha avuto un potere che ci è enormemente superiore: è il signore del cielo e della terra e per questo non lo mescolo con gli altri profeti". E non aggiunse altro». [126] E" un fascino irresistibile che si prova appena si volge lo sguardo su Gesù. Lo ha dimostrato anche Camille Eid raccontando la stupenda storia di Mariam, 43 anni, libanese di famiglia musulmana. A 16 anni - come tutte anche Mariam iniziò lo studio del Corano. Il suo sogno nel cassetto era il pellegrinaggio alla Mecca e quando, a 17 anni, riceve una proposta di matrimonio da un uomo che vive appunto in Arabia Saudita coglie al volo l'occasione. In Arabia, col permesso del marito, continua gli studi alla Facoltà di sharia islamica a Medina con ottimi voti. E proprio lì accade qualcosa di imprevisto. «Presentivo "qualcuno" che studiava con me» racconta ad «Avvenire» «che mi invitava a conoscerlo attraverso i miei libri». Chi è che fa compagnia al suo cuore comincia a chiarirsi quando la donna decide di dedicare la tesina del primo anno a questo argomento: «I profeti nel Corano e Cristo». La sua tesi è dirompente. Ai professori, interdetti, spiega così quel titolo: «Perché è assurdo includere Cristo nel novero dei profeti». Quindi «cita loro le definizioni di Cristo contenute nel Corano: "Parola che viene da Dio", "un Suo Spirito", "un Segno per le creature", "eminente in questo mondo e nell'Altro". All'esame di Teologia islamica» scrive Eid, «Mariam osa addirittura affermare che "Gesù semmai ha due nature, una umana e l'altra angelica, ma è impossibile che sia solo un uomo". Poi aggiunge: "Conclusione: è nato dallo Spirito Santo". Non la bocciano, ma le mettono un trattino sul libretto, accanto alla materia». Ovviamente avanzare quelle tesi gravissime in quella sede è un fatto che non passa inosservato. I professori erano stupiti e curiosamente sono Pagina 20
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt stati ad ascoltarla anziché insorgere, con sorpresa di tanti, perché Mariam ha avuto l'intelligenza di usare proprio le parole del Corano per sostenere la sua posizione. In ogni caso Mariam torna in Libano dove insegna religione islamica a scuola. «Circola presto la voce che ha consigliato ai suoi allievi di leggere il Vangelo» scrive Eid «perché "non è affatto vero che l'islam ha abrogato le religioni precedenti"». Arriva dunque la pericolosa accusa di apostasia. Mariam deve render conto davanti al tribunale religioso: «Quando entrai - racconta - vidi attorno a me dei volti severi, gente che aspettava il verdetto per potermi tacciare di apostata e rendere lecita la mia uccisione. In quel momento mi venne in mente il passo del Vangelo che recita: "E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di cosa dovrete dire, perché vi sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire". Tornai serena. Allo sceicco che mi chiedeva conto delle mie affermazioni, risposi con le parole che Allah rivolge a Cristo nel Corano: "Porrò quelli che ti seguono al di sopra degli infedeli, fino al Giorno della Resurrezione". Poi aggiunsi: "Se il Vangelo fosse stato falsificato dai cristiani e quello autentico perduto, come affermate, perché mai il Corano non dice "fino alla venuta di Maometto" anziché "fino al Giorno della Resurrezioné?». La diatriba divampa per un'ora e mezza, Mariam «riesce a smontare tutte le obiezioni. A partire dal Corano. Ha perso il lavoro, ma nessuno ha più osato sfidarla o cercare di infastidirla. Da lì a poco tempo ha chiesto e ottenuto il battesimo». [127] Eid con Giorgio Paolucci ha raccolto in volume tante storie simili (I cristiani venuti dall'Islam, Piemme). Fatima, nata in Marocco da una famiglia islamica molto religiosa, arrivata all'adolescenza, comincia a interrogarsi: «Dalla lettura del Corano e di altri testi islamici nascono domande sulla figura che più la affascina oltre a quella di Maometto: Gesù il Nazareno. Le hanno insegnato a considerarlo un grande profeta degno di rispetto e venerazione, ma lei, che non si accontenta delle spiegazioni ricevute, sembra intuire che c'è sotto qualcosa di più: il Nazareno era un uomo nato da una vergine, aveva compiuto miracoli, dunque c'era in lui qualcosa di speciale che faceva pensare a un interesse particolare di Dio nei suoi confronti... Il profeta Gesù, autore di tanti miracoli e prodigi, non era forse più grande del profeta Maometto? E se avessero avuto ragione i cristiani nel considerarlo figlio dell'Altissimo, vero uomo e vero Dio?». [128] Anche il mondo ebraico - dopo secoli di incomprensione con i cristiani - da duecento anni almeno sta riscoprendo Gesù. Martin Buber lo definisce il «grande fratello» e per Shalom Ben Chorin, Gesù è qualcuno che «non può essere circoscritto con nessuna delle usuali categorie di pensiero». Un importante esponente dell'ebraismo francese come Edmond Fleg è arrivato a scrivere: «Come avrei voluto essere là per sentire, Gesù, la tua voce così dolce! Come ti avrei amato se ti avessi conosciuto!». [129] Lo scrittore yiddish Shalom Asch, una grande personalità della cultura ebraica internazionale, ha lasciato questo significativo giudizio: «Gesù Cristo è per me la suprema personalità di tutti i tempi, di tutta la storia, sia come Figlio di Dio sia come Figlio dell'uomo. Tutto ciò che lui disse o fece, ha per noi importanza fino al giorno d'oggi. Questo è qualcosa che non si può dire di nessun altro uomo, sia che viva ancora sia che sia morto». [130] Qual è la ragione di questo fascino universale? L'umanità di Gesù attrae e commuove quasi tutti: non credenti, ebrei, musulmani, buddisti o induisti a cui, naturalmente, vanno aggiunti attualmente due miliardi di cristiani. Cosa significa questo stupefacente fenomeno? Chiediamo il giudizio finale in questa indagine a un grande ingegno politico e militare, addirittura uno dei più esaltati e ammirati, fra i condottieri della storia, colui sul quale Hegel - vedendolo entrare a Jena nell'ottobre 1806 vergò un giudizio memorabile: «Oggi ho visto lo Spirito del mondo seduto a cavallo che lo domina e lo sormonta». Parlo di Napoleone Bonaparte, un mito che fu celebrato oltreché da Hegel e da Fichte - da artisti come Beethoven, Goethe, Foscolo, Manzoni. Napoleone era uno stratega unico, un attento conoscitore della storia e un'intelligenza esperta di cose umane. Fu peraltro anche un cinico persecutore della Chiesa e del papa stesso (per le sue conquiste macinò un oceano di vittime). Dunque il suo giudizio su quel Gesù che fu la sua esatta antitesi, può chiudere magnificamente questa prima tappa della nostra indagine. La parola a Napoleone. Nella solitudine di Sant'Elena, perso nell'immenso oceano Atlantico, l'Imperatore in esilio ebbe modo di meditare approfonditamente sulle vicende umane, su ciò che è veramente grande nella storia, sui movimenti storici e sul mistero della figura di Gesù. Un libro ne Pagina 21
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt raccolse i pensieri sparsi, dando forma organica e letteraria al magma delle sue meditazioni esternate in circostanze diverse, con amici e ospiti. [131] Possiamo disinteressarci della precisione letterale delle frasi attribuite a Napoleone, considerando solo la forza degli argomenti. Dunque il punto di partenza è una considerazione del generale Bertrand il quale concede che Gesù sia stato un uomo eccezionale, ma al pari di tutti i grandi conquistatori, nulla di più. Napoleone ascolta, ma dissente del tutto dal suo interlocutore: «Conosco gli uomini e vi dico che Gesù non è (solo) un uomo». La somiglianza con i fondatori di Imperi o di altre religioni «non esiste, c'è la distanza dell'infinito». [132] Spiega: «In Licurgo, in Numa, in Maometto, non vedo che dei legislatori i quali, poiché occupavano il primo posto nello Stato, hanno cercato la migliore soluzione al problema sociale. Non ci trovo però nulla che nasconda la divinità ed essi stessi, del resto, non hanno mai alzato le loro pretese così in alto [...]. La stessa cosa non si può dire di Cristo. Tutto di lui mi sorprende. Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde [...]. E" veramente un essere a parte. Le sue idee, i suoi sentimenti, la verità che egli annuncia, la sua maniera di convincere, non si riescono a spiegare né con le istituzioni umane né con la natura delle cose. La sua nascita e la storia della sua vita, la profondità della sua dottrina che raggiunge davvero la vetta delle difficoltà e ne è la soluzione più ammirevole, il suo Vangelo, la singolarità di questo essere misterioso, la sua apparizione, il suo dominio, il suo cammino attraverso i secoli e i regni, tutto rappresenta per me un prodigio. E" un mistero insondabile [...]. Qui non vedo niente di umano... più guardo da vicino, tutto è al di sopra di me, tutto appare grande». [133] «Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo [...]. Nel suo caso tutto è straordinario [...]. Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro!» [134] «Gesù si è impadronito del genere umano». [135] Ma torniamo a considerare personalità come Confucio, Zoroastro, Numa, Maometto: in cosa Gesù è differente? Napoleone risponde: «Mentre tutto ciò che egli ha fatto è divino, negli altri non c'è nulla, al contrario, che non sia umano. L'azione di questi mortali si limitò alla loro vita [...]. Il Cristo si aspetta tutto dalla propria morte. Si tratta forse dell'invenzione di un uomo? No, al contrario è uno strano scambio, una fiducia sovrumana, una realtà inspiegabile». [136] «Dal primo giorno fino all'ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce... Gesù non presta mai il fianco alla minima critica... Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile». [137] Napoleone non esita a dare «il titolo di impostore» a certi fondatori di religioni, ma quel titolo, afferma il grande corso, «ripugna talmente a Cristo e credo che nessun nemico del cristianesimo abbia mai osato attribuirglielo! E tuttavia non c'è una via di mezzo: Cristo o è un impostore o è Dio». [138] «Gesù è il solo che abbia osato tanto. E" il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: Io sono Dio [...]». [139] Fermiamoci qui. Torneremo sulle straordinarie meditazioni di Napoleone. A questo punto è venuto il tempo di incontrare e guardare in faccia lui, l"«indagato»: Gesù di Nazaret. E" il momento di provare a comprendere la sua personalità, la sua psicologia, la sua vita, il suo mistero. \-\ Indagine su Gesù Oggi il difficile non è l'accettare che Cristo sia Dio; il difficile sarebbe accettare Dio se non fosse Cristo J. Malegue Com'era precisamente quest'uomo che da duemila anni affascina il cuore di tutti? Occorre trovare e assemblare tutte le notizie storiche documentate che possono comporre il puzzle e mostrarci concretamente, nel suo momento storico, Gesù in azione. Cerchiamo i dettagli che illuminano la sua personalità, vogliamo capire i suoi atteggiamenti, le parole e i gesti, infine - per quanto è possibile - la sua stessa psicologia, la sua concezione delle cose e il suo intimo. Come lo vedevano i suoi contemporanei? Cosa provavano o pensavano coloro che lo incontravano, che lo ascoltavano o che gli vedevano compiere quei segni impressionanti? E" possibile ricostruire questa «emozione»? Sì, è possibile. Seguiremo l'indagine di tre maestri, Karl Adam, Romano Guardini e Luigi Giussani mentre setacciano le cronache dei Vangeli, quattro piccoli libri scritti con stile asciutto, sobrio, quasi giornalistico, che sono un resoconto fedele e dettagliato dei fatti che lo riguardano. Lì sono riportate Pagina 22
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt le genuine testimonianze di chi c'era, di chi ha visto con i propri occhi, toccato con mano e - per rendere testimonianza a ciò che ha visto - è stato disposto ad affrontare pure arresti, processi ed esecuzioni capitali, un elemento questo davvero probante perché non ci si fa certo torturare e uccidere - in massa! - per una favola che si è inventata. Vedremo in un prossimo volume come l'affidabilità dei Vangeli e la loro storicità sia stata confermata anche dalle fonti non cristiane e da tutte le più recenti scoperte, serie e scientificamente fondate, che vengono ovviamente ignorate dalla pubblicistica più ostile a Gesù e al cristianesimo. [140] Com'era Gesù? Dalle pagine dei Vangeli risulta chiaro che la persona di Gesù non lasciava indifferenti. «La fisionomia esteriore di Gesù» osserva Karl Adam, che seguiremo in questa fase dell'indagine «doveva esercitare un fascino irresistibile. Un giorno una donna del popolo si lasciò sfuggire, incontenibile, questo grido di lode: "Beato il grembo che t'ha portato e il seno che ti ha nutrito" (Lc 11,27). Gesù rispose correggendo: "Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio" (11,28). Tale risposta lascia intendere che la donna aveva di mira non solo i pregi dello spirito, ma anche quelli del corpo di Gesù.» [141] Possiamo averne un'idea dalla Sindone. E" un uomo sui 35 anni, alto più di 1 metro e 80 centimetri, fisicamente asciutto, sano e prestante come un uomo che ha svolto, fin da giovane, un impegnativo lavoro fisico. Scrive infatti il dottor Baima Bollone, medico legale che ha studiato la Sindone: «Le masse muscolari del petto, del dorso, dei glutei, delle cosce e dei polpacci sono ben pronunciate». [142] Ha un volto allungato e tratti regolari, labbra carnose, fronte spaziosa, con i capelli fino alle spalle e la barba lunga. Ma questa è solo la descrizione esteriore, che poco ci dice del suo modo di parlare o di rapportarsi agli altri, del suo temperamento, del suo sguardo. Dai Vangeli si capisce che «quell'impressione di forza che subito, al primo apparire, Gesù esercitava sul popolo, specialmente sui malati, sui peccatori, sulle peccatrici, era prodotta sì dalle sue forze spirituali religiose, ma certamente, in parte almeno, doveva essere un effetto del suo aspetto affascinante che trascinava e tratteneva le folle». [143] Specialmente l'impatto con i suoi occhi «doveva, in modo speciale suscitare vivissime impressioni: il suo sguardo era fiamma». [144] Non a caso i Vangeli, nel descrivere l'atteggiamento di Gesù, usano talora la formula «fissò lo sguardo» o espressioni che sottintendono lo stesso gesto. [145] Doveva essere un modo di fare caratteristico di Gesù quello di guardare dritto negli occhi e chi si trovava a parlargli probabilmente avvertiva una sensazione particolare, come sentirsi conosciuti e abbracciati nel mistero più intimo dell'anima. Anche Pietro, come gli altri, non ha più dimenticato quello sguardo. Perché segnò il suo primo incontro con Gesù, la sua prima fortissima impressione. E segnò anche l'ultimo drammatico incontro con lui. Il primo incontro fu quando Andrea condusse il fratello da Gesù e «Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)"» (Gv. 1,42). Forse Pietro si lasciò trascinare a quell'incontro con disincanto e sarcasmo, ma subito tutto fu spazzato via quando quello sconosciuto si voltò e «fissò lo sguardo su di lui». Quante volte Pietro, negli anni seguenti, avrà ripensato a quegli istanti. Quante volte, negli anni, avrà avuto la sensazione che Gesù, in quegli attimi, abbia visto tutto il suo destino, prendendone «possesso» (il nome ne è il segno). E l'ultimo incontro (prima della morte di Gesù) avvenne nei minuti drammatici dell'arresto e dell'interrogatorio, quando Pietro viene riconosciuto, nella casa del sommo sacerdote e rinnega il Maestro ben tre volte, mentre si sentì cantare un gallo: «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: "Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte". E uscito, pianse amaramente» (Lc. 22,61-62). Come poteva dimenticare quello sguardo che gli spalancò il cuore e orizzonti sconosciuti, nel primo incontro, e che lo fece scoppiare a piangere - lui, rude pescatore - nell'ultimo incontro? Su quello sguardo di Gesù - che torna anche in alcuni episodi significativi, come l'incontro col giovane ricco o quello con Zaccheo - la tradizione cristiana ha meditato molto. [146] Talvolta sembra davvero che con un solo sguardo Gesù spazzi via tutto (i pregiudizi del mondo, il moralismo che condanna i peccatori, il sospettoso scetticismo di chi non crede che si possa davvero essere amati con gratuità ed essere felici). E faccia irrompere un'imprevista felicità. Come per Zaccheo, personaggio di pessima fama a Gerico che, probabilmente, si riteneva lui stesso indegno. Ebbene Gesù alza gli occhi verso l'albero dove Zaccheo si è arrampicato per vederlo passare, nella folla, e gli dice: «Zaccheo scendi subito, Pagina 23
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt vengo a casa tua». E così d'improvviso, senza averne alcun merito, la primavera entra nella sua vita. [147] Sempre questo incontro con Gesù è accompagnato da un senso di liberazione e di letizia: «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù». Ed egualmente - come sullo sguardo di Gesù - la tradizione cristiana ha meditato a lungo sulle lacrime di Pietro. [148] Fin quasi a far pensare che proprio in quell'episodio, apparentemente piccolo, intimo (lo sguardo di Gesù e le lacrime di Pietro), sia contenuto il cuore e la dinamica del cristianesimo. [149] Da non confondere con la grandezza e la forza di una tradizione o di una cultura. [150] Dirà Charles Péguy: «Felici coloro che bevevano lo sguardo dei tuoi occhi». Sembra qualcosa di impercettibile, tale è la sua intimità. Ma tutto si gioca qui. Un antico inno recita: «O Iesu mi dulcissime/ spes suspirantis animae/ e quaerunt piae lacrimae/ et clamor mentis intimae». [151] Doveva essere un'esperienza impressionante incrociare i suoi occhi se perfino Pilato, di fronte a questo imputato silenzioso, straziato nelle carni, che pure è in catene, resta come soggiogato dal suo sguardo, dal suo fascino, dalla sua posatezza, dal suo mistero. E il governatore romano, che era così cinico e sprezzante, appare interdetto, stupito da quella personalità sicura di sé, così umile, ma anche così forte e incrollabile. Pur nella circostanza del processo, quando la sorte di quell'imputato ebreo è totalmente nelle sue mani (così pensava il procuratore romano), tuttavia Pilato sembra non sapersi sottrarre a una strana curiosità, un'attrazione. E" colpito dalla sua calma sovrana, dalla sua dignità. Seppure incatenato, il volto, la voce e gli occhi di quell'uomo erano tutt'altro che quelli di un uomo confuso e frastornato dalla terribile situazione in cui si trovava. Non era un uomo terrorizzato, anzi non mostrava alcuna soggezione psicologica verso il suo giudice. Ma non aveva neanche l'atteggiamento di certi rivoltosi, che, per fanatismo o perché non hanno niente da perdere, sfidano il potere. Tanto che Pilato non trova assurdo chiedergli se per caso lui non sia veramente un re. Perché i suoi erano gli occhi di un re che certamente avrebbe potuto sottrarsi all'arresto e che si è lasciato prendere volontariamente perché un misterioso disegno si compisse. Gli occhi di un re buono che conosce quale sarà lo svolgersi degli eventi. Un volto in quei momenti triste per il miserabile squallore degli uomini, ma sovranamente calmo, padrone della situazione. Dunque torniamo all'impressione che Gesù deve aver fatto, nei suoi tre anni di vita pubblica, a chi lo incontrava. Oltre allo sguardo, va sottolineata, dice Adam, «l'impressione prodotta dal portamento sano, vigoroso, equilibrato di Gesù». [152] Stando ai fatti dei Vangeli si capisce che «doveva essere un uomo avvezzo alla fatica, resistente, sano, robusto. E già per questo Egli si distingueva da altri celebri fondatori di religioni». [153] Non ha una casa, non possiede niente. Svolge la sua missione pubblica senza dimora, senza luogo «dove posare il capo», dormendo spesso all'aria aperta, esposto alle intemperie, al caldo più afoso e al gelo dell'inverno. E" un continuo peregrinare per vallate e monti e deserti. Instancabilmente. Spesso i suoi, che lo seguono, lamentano la fame e la sete, sotto il sole del deserto. Notevole, osserva Adam, «la sua ultima salita da Gerico a Gerusalemme... sotto la sferza del sole su sentieri senza ombra, attraverso ammassi rocciosi, nel deserto, dovette compiere una marcia di sei ore in salita, superando un dislivello di oltre mille metri. Ciò che meraviglia è che Gesù non si stanca. Alla sera stessa prende parte a un convito preparatogli da Lazzaro e dalle sue sorelle (Gv. 12,2)». [154] Del resto le sue eccezionali risorse fisiche e morali risulteranno molto chiare soprattutto nelle ore in cui verrà sottoposto a tormenti e torture insopportabili a qualunque essere umano fino al supplizio più bestiale. La sola flagellazione, di per sé, fatta con quelle modalità e con quella quantità del tutto inconsueta di colpi (sul corpo dell'uomo della Sindone sono state contate centoventi lesioni da flagello, in ogni parte del corpo) avrebbe schiantato chiunque. Qual era la sua personalità? Dunque Gesù appare ai suoi contemporanei come un giovane rabbi galileo, alto, prestante, forte. Tanto instancabile, quanto disponibile per tutti: fin dall'inizio si trova assediato dalla gente, spesso anche da grandi folle cosicché Marco dice che spesso «non aveva neppure il tempo per mangiare» (Mc. 3,20; 6,31), perché «fino a notte fonda andavano e venivano i malati» (Mc. 3,8) e lui aveva compassione di tutti. Li guardava, in tutte le loro pene nascoste, e sbocciavano in lui queste parole struggenti come un abbraccio: «Venite a me voi tutti che siete tribolati e oppressi ed io Pagina 24
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt vi conforterò» (Mt. 15,28). Il Vangelo ripete diverse volte l'espressione: «Ed ebbe compassione». Come una tenerezza che veniva dall'intimo, dalle profondità del cuore di Gesù per ognuno di quegli essere umani. Ecco, se vogliamo capire la concezione della vita e della realtà che ha Gesù si può definire molto bene così: per lui «tutto il mondo non vale la più piccola persona umana». [155] Questa «concezione» traspare in tutti i suoi gesti, in tutte le sue parole, in tutti i suoi atteggiamenti e le sue scelte. [156] Dice a proposito del ricco della parabola, che si riteneva soddisfatto dell'immenso patrimonio accumulato: «Stolto, stanotte stessa ti sarà richiesta la tua anima...». E domanda: «Che ti vale conquistare il mondo intero, se poi perdi te stesso?». Ai suoi occhi ciascun uomo è un tesoro di valore infinito, che supera il valore dell'universo stesso: per la sua anima, il suo destino divino, cioè Dio. Per questo agli occhi di Gesù non c'è neanche la più piccola differenza fra il grande della terra, il sapiente, il più potente degli imperatori e il derelitto che si trascina nei bassifondi della vita. Anzi, specialmente a questi uomini feriti e disperati lui va incontro, per caricarseli sulle spalle. Kierkegaard ha delle immagini commoventi in proposito: Cristo non ritenne mai un tetto così misero da impedirgli di entrarvi con gioia, mai un uomo tanto insignificante da non voler collocare la sua dimora nel suo cuore, così come non ha mai rinnegato la sua autorità divina. [..] Anche la Sua voce potente ti parlerà dicendo: "Io voglio essere anche tutto per te, essere il tuo Dio, e concludere con te il mio patto; io non sarò più per te come una poesia che ti entusiasma in un momento felice, ma forse se ne fugge non appena le angustie oscureranno il tuo animo. Resterò con te e, quand'anche ti smarrissi lungi da te stesso, anche se tu mi dimenticassi, io però di te non mi dimenticherò (Is. 49,15) e ti ammonirò e ti metterò in guardia, ti richiamerò nel momento opportuno perché tu ti attenga a me. Quando ti sentirai impotente e sfinito, le forze celesti si muoveranno in te. Quando starai per dubitare, nell'ora opportuna sentirai la certezza celeste" [157] Mentre la salvezza e la giustificazione degli eletti non passeranno mai» (In Evang. Johan., 72,3). Inoltre per Agostino la giustificazione dei peccatori supera la stessa creazione degli angeli nella giustizia perché manifesta una più grande misericordia (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1994). I polemisti pagani obiettavano ai cristiani che se davvero Dio si fosse fatto uomo e fosse risorto avrebbe dovuto mostrarsi al Senato di Roma o all'Imperatore. Kiekegaard ci mostra perché, al contrario, gli occhi di Gesù cercano soprattutto gli uomini comuni, piccoli e insignificanti. Più dell'imperatore o dello Zar di tutte le Russie: L'amore sta in rapporto inverso alla grandezza e all'eccellenza dell'oggetto. Se quindi io sono proprio una nullità - se nella mia miseria mi sento il più miserabile di tutti i miserabili - bene, è certo allora, eternamente certo, che Dio mi ama. Cristo dice: "Neppure un passero cade in terra, senza la volontà del Padre" (Mt. 10,29). Oh, io faccio un'offerta più umile ancora: davanti a Dio io sono meno di un passero: tanto è più certo allora che Dio mi ama, tanto più saldamente si chiude il sillogismo. [..] Quando ti senti abbandonato nel mondo, sofferente, quando nessuno si prende cura di te, tu concludi: "Ecco che Dio non si prende cura di me". Vergognati, stolto e calunniatore che sei! Tu che parli così di Dio. No, proprio chi è più abbandonato sulla terra, egli è più amato da Dio. E se non fosse assolutamente il più abbandonato, se avesse ancora una piccola consolazione; anzi, anche se questa gli venisse tolta: nello stesso momento diventerebbe ancora più certo che Dio lo ama. [158] Bisogna riconoscere che i resoconti del Vangelo mostrano proprio questa accorata passione di Gesù per le creature umane. Si capisce perché nell'Antico Testamento si dice che «le sue delizie (di Dio) sono nello stare coi figli degli uomini». Nel racconto della moltiplicazione dei pani i fatti si svolgono così: Gesù ha insegnato e guarito fino a sera e la gente non se ne va, sebbene sia ormai il crepuscolo. Gli apostoli vanno da Gesù a dirgli che deve congedarli, per farli andare nei villaggi vicini a cercare da mangiare, ma Gesù invece desidera tenerli ancora con sé, vicini a sé, non farli andare via. Si avverte in lui come uno struggente desiderio di proteggerli e prendersene cura. Come se non volesse abbandonarli più, come volesse stare sempre fra loro, accanto a loro. E" a questo punto che dice ai suoi «dategli voi stessi da mangiare!» e, davanti a loro, sbigottiti, opera quella clamorosa moltiplicazione dei pani. E" lì probabilmente che ha quell'intuizione sconvolgente: pensa di restare per sempre fra gli uomini sotto le apparenze del pane e del vino. Per la sua compassione sembra instancabile. Dopo un miracolo fatto di sabato - che dunque farà molto Pagina 25
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt discutere - si fa portare dal peschereccio dei suoi amici sull'altra riva del lago per stare un po'"in solitudine a pregare, ma in molti lo seguono pure là: malati, disperati, storpi, tutta una folla dolorante. Il Vangelo riferisce che Lui «guarì tutti» cioè, come diceva don Giussani commuovendosi, Gesù guardò tutti, capì tutti, prese sul serio tutti. Si dà letteralmente in pasto. E non è mai sopraffatto dalle circostanze, dagli umori, dal pericolo, dalla fatica o dal nervosismo. Certo, per la sua defatigante missione, a volte crolla pure lui di stanchezza. Come quel giorno, sulla barca: si mise in un angolo, chiuse gli occhi per lo sfinimento e si addormentò mentre il legno di Simone attraversava le acque calme del lago. Poi d'improvviso si scatenò uno di quei tremendi cicloni che ancora oggi imperversano sul lago di Tiberiade. Simone e i suoi, sebbene esperti, vengono presi dal panico, sanno che di lì a pochi minuti potrebbero essere risucchiati dai gorghi. Concitati svegliano Gesù e lui «appena desto dal sonno profondo subito si ritrova e domina la situazione. Tutto questo mostra quanto fosse lungi dall'avere un temperamento eccitabile, nervoso. Invece Egli era sempre padrone dei suoi sensi». [159] E" un episodio che dà la percezione della sua calma costante, della sua profonda pace interiore, del dominio delle situazioni che aveva sempre. Ma chi è - si chiedono sgomenti i suoi - uno che può comandare perfino alla tempesta e farla cessare all'istante? I suoi e coloro che lo incontrano o lo ascoltano sono colpiti anche dalla «straordinaria chiarezza del suo pensiero» e dalla «virile fermezza nell'eseguire la volontà del Padre». E" significativa la sua reazione in tre episodi in cui i suoi tentano di «indurlo ad abbandonare la via della Passione che Lui aveva scelto irrevocabilmente». Ha parole sorprendentemente dure. Perché «Gesù è l'uomo dalla volontà chiara, dall'azione sicura e decisa... sa ciò che vuole, lo sa fin dall'inizio», «in tutta la sua vita pubblica non si trova un solo istante in cui si mostri indeciso e pensieroso sul da farsi». [160] Non esita a seguire la volontà del Padre neanche quando viene abbandonato da tutti: «Voi pure volete andarvene?» (Gv. 6,68) «Niente di quello che può trattenere un uomo» osserva Siri «trattenne mai Cristo. Per questo solo, la sua figura si leva già purissima sulle misere contingenze e passioni umane». [161] Egli non è mai precipitoso, sconsiderato o istintivo. Gesù è l'uomo delle decisioni limpide, senza compromessi e patteggiamenti, senza codardia. Ma non manifesta mai arroganza o schematismo, al contrario: è sempre pronto a comprendere gli altri, anche le loro debolezze e meschinità, ama la libertà degli altri, anche se possono sbagliare o tradirlo. Però nel suo comportamento non c'è mai posto per bassezze o piccinerie. Lui è sempre nobile, grande. E" sempre teso ad affermare gli altri, a difendere e proteggere. Nel momento più drammatico, la notte concitata dell'arresto, non solo si lascia prendere volontariamente, ma negli attimi di massima tensione grida alle guardie armate e scatenate di prendere solo lui, si preoccupa cioè che lascino andare i suoi amici, fa loro da scudo. Adam osserva che «Gesù è un carattere eroico al sommo grado: è l'eroismo incarnato. Per lui l'eroismo è la regola». [162] E chiede a chi lo segue coraggio e decisione: anche se sa che al momento non saranno all'altezza, anche se conosce la viltà degli uomini, non si stanca di chiamarli alla nobiltà, a fare come lui, continua a esortarli e sostenerli (e a rialzarli) per innalzare la loro umanità fino a sé. Fa così col giovane ricco e fa così con Giuda (che fino all'ultimo chiama «amico»). Fa così con tutti gli altri suoi amici, che continuamente sorregge, corregge e rafforza. Tutto sopporta, tutto accetta e tutto valorizza per non farli scoraggiare e per farli crescere, per farli camminare, ciascuno come può. Colpisce in lui «l'assenza di ogni paura», come nota Romano Guardini. E questo non è solo «una dote del suo temperamento e non significa solo che avesse i nervi sani, sangue freddo e resistenza o intraprendenza; o che Egli sentisse il pericolo come qualcosa che esalta la vita... La sua mancanza di paura è una conseguenza del fatto che Egli è, senza inquietudine, una cosa sola con ciò che solo è vero e importante». [163] Cioè con colui che chiamava «il Padre mio». \-\ * I «segreti» di Gesù Solo lui lo chiamava così e insegnò anche ai suoi a chiamarlo «Padre nostro». Diceva in aramaico «Abbà» (che significa «papà»): è stato il primo a rivolgersi così all'Onnipotente: una tenerezza e confidenza che sarebbe stata «impensabile nella preghiera giudaica», [164] che pure talora aveva definito Dio Pagina 26
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt come Padre (Sal. 68). In questa totale comunione col Padre, in questa confidenza, Gesù si abbandona con assoluta fiducia al suo disegno che gli si svolge davanti. Ecco perché l'agire di Gesù mostra che egli non ha una sua tattica o un suo disegno o progetto. Vive la sua missione seguendo appassionatamente ciò che il Padre gli fa incontrare e leggendo nella realtà la volontà del Padre. Solo la gloria del Padre lui vuole. Rivelare agli uomini il Padre, farlo conoscere e amare. Per questo parla a tutti per farsi capire da tutti e per questo parla con semplicità, con piccole storie tratte dalla vita di tutti i giorni. Tuttavia manifesta un'autorevolezza che nessun altro ha. Quando i suoi contestatori provano a metterlo in contraddizione, vengono sbaragliati. Nessuno riesce a resistergli, neanche quei maestri di retorica e cavillosità che sono gli scribi, sempre pronti a tendergli trappole. E" unico perché pur essendo veramente umile «ha un carattere dominatore, regale». Gli stessi suoi amici, a cui un giorno lui laverà i piedi - con loro sconcerto - come fosse il servo, invitandoli a fare lo stesso fra sé, avevano un «timore reverenziale per il Maestro». Lui che era sempre, notoriamente, inerme, e rifiutava ogni violenza, perfino per legittima difesa, era come temuto dai nemici. Addirittura la squadraccia armata che va ad arrestarlo di notte ha un momento di sbandamento davanti alla forza che manifestano le sue parole: «Sono io, lasciate stare loro». [165] In effetti in Gesù si manifesta un potere superiore. E" evidente quando viene sottoposto alle sevizie dei soldati, che gli sputano in faccia, lo prendono a pugni e lo irridono, mentre lui subisce in silenzio e non proferisce parola. Ma quella superiorità traspare in particolare dal suo potere concreto su tutto. Sulla tempesta, sui demoni, sulle malattie, sulle debolezze umane, perfino sulla morte. Un giorno un padre concitato lo supplica di andare da lui perché la sua bambina sta morendo. Quando arriva Gesù la piccola è già spirata e giace sul letto inerte. Troppo tardi. Ma Gesù, lo abbiamo ricordato, si china accanto a lei, le prende una mano e le dice: «Talita Kum» («agnellino, alzati»). Così la bambina torna in vita nello sconcerto dei presenti. Non c'è solo la potenza, ma la tenerezza di quell'espressione: «agnellino». Un uomo così non si è mai visto. Tanto potente e così buono. Però è semplice, ha un cuore stupendo e s'illumina ammirando la gloria del Padre nella bellezza dei fiori di campo o nella spensierata allegria degli uccellini. Invita ad affidarsi totalmente a Dio come loro. Questo (come le parabole dove parla del contadino, del pastore, del grano, della festa nuziale) mostra che egli aveva osservato bene e tante volte le cose e le persone, «non gli erano indifferenti, ma aveva un atteggiamento di simpatia verso di esse». [166] E" particolarmente sensibile all'amicizia. Lo testimonia il fatto che con questo legame con i suoi ha fondato la sua Chiesa, il suo regno, ma lo si vede anche da come viveva altri legami di amicizia: quelli, per esempio, con Lazzaro e le due sorelle, Maria e Marta. Ama l'amicizia degli uomini e tutto ciò che la esprime, come certi momenti conviviali nei quali si condivide lo stesso pane. A tal punto che ha voluto paragonare «il Regno dei Cieli» a un grande banchetto e proprio cenando con gli amici nel momento più drammatico ha istituito il sacramento con cui sarebbe rimasto per sempre fra di loro e in loro: trasformando il pane e il vino nel suo stesso corpo e nel suo sangue. Osserva Romano Guardini: «Egli va verso gli uomini con cuore aperto. Sta quasi sempre insieme con loro... è pieno di un inesauribile desiderio di aiutare...». [167] Se malati e sofferenti si rivolgono a lui in massa, se i bambini gli vanno così incontro è perché sentono la sua «calda simpatia», la sua accoglienza. «In tutto ciò non c'è nulla della calma atarassia di uno stoico o dell'avversione per il mondo di un Buddha. Gesù è pieno di vita e di umana sensibilità...» [168] Dunque, pur amando la solitudine e le lunghe ore di preghiera (soprattutto di notte), stava volentieri fra gli uomini, ha simpatia per loro, anche per i pagani (cosa rivoluzionaria), specialmente si mostra pieno di affetto quando sono noti come peccatori. Lui che è così puro non li disprezza, ma ne ha profonda compassione, mostra loro la stima dentro il perdono e così scandalizza gli osservanti. Gesù invita tutti a seguire e ad amare lui, cambiando vita. Lui rivendica il potere di perdonare (e perdona tutti, sempre). Perdona perfino i suoi carnefici durante il supplizio. Perdona sempre. Tutti i peccati. Un potere che era solo di Dio. Lui si pone addirittura al di sopra della Legge e del Sabato. Nessuno poteva farlo, se non Dio solo. Uno così non si era mai visto. Rompeva tutti gli schemi, i preconcetti e tutti i moralismi. Era una continua sorpresa, sconcertava, eppure chi stava vicino a lui si sentiva a casa più che a casa sua, si sentiva se stesso come mai era accaduto, neppure da bambino, quasi che ognuno fosse nato solo per Pagina 27
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt incontrare lui e così ritrovare sé. Diceva: «Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Mt. 10,30). E soprattutto faceva percepire con tutto se stesso questa cura di ciascuno, questo struggimento di non voler perdere nessuno. Così ognuno, nel suo nulla, sentiva di essere al centro del mondo, guardato come nessuno mai l'aveva guardato. Gesù, all'ultima cena, arriva a inginocchiarsi davanti a ciascuno dei suoi discepoli, uno per uno. Fece quel gesto inaudito - lavare i piedi - che nelle case signorili era dovere dello schiavo verso gli ospiti del suo padrone. Il gesto più umiliante dunque. A tal punto che Pietro, che ben conosceva la propria miseria di rozzo pescatore e impetuoso peccatore, quasi si ribellò: non poteva vedere lui inginocchiato davanti a sé, proprio lui, il Maestro, Gesù, così puro, santo, grande. Ma si dovette arrendere. Per questo ognuno si sentiva prediletto, scelto. Proprio questo ascoltarono da lui i suoi amici: «Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi». Li aveva scelti e amati così come erano. Peccatori, a volte meschini, testardi, incoerenti. Li aveva scelti e amati così. [169] L'obiezione, la resistenza poteva venire solo da chi incontrava Gesù perché Gesù non aveva obiezioni per nessuno. Non c'è mai nessuno così peccatore o miserabile dal quale Gesù si ritragga. Lui sembra non avvertire neanche il problema di salvaguardare la sua reputazione, non prende mai le distanze dal malfamato, anzi gli va incontro, perfino si autoinvita da lui (si pensi a Zaccbeo). E i suoi discepoli sono tutte persone semplici, che amano stare con lui, sentirlo parlare, guardarlo, essergli amici, uomini senza fronzoli e senza intellettualismi, senza superbia, che si entusiasmano come bambini quella volta in cui mandandone settantadue nei villaggi dove lui non poteva arrivare - tornano pieni di meraviglia per le cose grandiose che si sono trovati a fare, tanto che «anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome». Cosicché, rendendosi conto di come il Padre apriva a lui i cuori dei semplici, donando loro i suoi tesori, Gesù se ne uscì quasi con un inno di entusiasmo ed è facile qui immaginare il suo bel sorriso: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» (Lc. 10,21). \-\ * Rivoluzione e rivelazione Quando incontra il giovane ricco c'è un'espressione strana, paradossale nel Vangelo che di solito non viene notata. Questo giovane, così pio da osservare tutti i comandamenti, attratto da Gesù si fa avanti chiedendo come poter meritare la vita eterna. «Gli disse Gesù: se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi. Udito questo, il giovane se ne andò triste poiché aveva molte ricchezze. Allora Pietro, prendendo la parola disse: ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa dunque ne otterremo. E Gesù disse loro: in verità vi dico: [...] chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt. 19,16-29). Dunque il giovane se ne andò (testualmente) «triste poiché aveva molte ricchezze»: una frase straordinaria, che segna un ribaltamento nella storia del mondo. [170] Fino ad allora si poteva essere tristi perché poveri, miserabili, spiantati. Non perché ricchi. Con Gesù entra nel mondo una nuova e sconosciuta tristezza, quella dell'avere e del potere, che impediscono di assecondare l'attrazione e il fascino di Gesù. [171] Ed entra nel mondo anche una nuova e sconosciuta felicità: arrendersi a quel fascino, ricevendo in cambio il centuplo di ciò che si lascia. Un fiume di persone, soprattutto giovani, nei secoli, darà tutto (ricchezze, mondanità, successo, piaceri, gloria, perfino regni) per poter avere questa felicità. Come - per fare un solo esempio - Ludovico d'Angiò che, splendido ventenne, rinunciò alla corona del regno di Napoli per indossare il saio di Francesco, da re a felice mendicante di Cristo: «Gesù Cristo è il mio regno» disse. «Se posseggo solo lui, potrò avere tutto. Se non lo posseggo, perderò tutto». Morì a 23 anni, nel 1297, venendo incoronato principe di un regno che non avrebbe mai avuto fine. [172] E" decisivo comprendere che seguono Gesù non perché sono «d'accordo» con «le idee», come accadrebbe in un partito o in un salotto (tanto è vero che per molto tempo i suoi non capiranno molto di quanto lui dice). No, lo seguono perché egli sprigiona una irresistibile forza di attrazione («Nessuno può venire a me, se non è attratto dal Padre» Gv. 6,66) e Pagina 28
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt perché avvertono in questa sua compagnia, nell'avventura che li ha coinvolti, in ogni suo sguardo, gesto o parola, un «piacere» smisurato e ignoto che solo appaga completamente la loro sete di felicità, di vita, di significato. [173] L'unico paragone (seppure pallidamente) possibile - che infatti sarà fatto da sant'Agostino - è quello dell"«uomo innamorato» che incontra la donna dei suoi sogni oppure dell"«uomo assetato» che cammina nel deserto e d'improvviso s'imbatte nella fresca e inesauribile sorgente di un'oasi da favola. Infatti è di «godimento» e di «piacere» che parla Agostino per spiegare perché tanti seguirono e seguono Gesù. [174] Come nell'Antico Testamento che deve ricorrere a un poema d'amore, il Cantico dei cantici, per far comprendere l'amore appassionato di Dio per il suo popolo (e per l'anima umana), nella vicenda di Gesù per capire lo stupore di chi lo ascoltava e soprattutto degli amici che avevano lasciato tutto per andare insieme a lui, in giro per villaggi e città, nella misteriosa avventura del suo regno, si può pensare all'esperienza dell'innamoramento perché «intender non lo può chi non lo prova». Così gli amici di Gesù avrebbero potuto riconoscere se stessi nei versi d'amore di Juan Ramon Jiménez: Parlava diversamente da tutti noi, di altre cose, di qui, ma mai dette prima che le dicesse lei. Era tutto: natura, amore e libro. Come l'aurora, sempre, cominciava in modo non previsto, così diverso da ciò che si sognava! Come le dodici, sempre, arrivava allo zenit, in un modo impensato, così distante da ciò che si cantava! Come il tramonto, sempre, taceva in modo inatteso, così distante da ciò che si pensava! Così lontano e così vicino [...] Come dice Javier Prades, «l'incontro dei discepoli con Gesù fa pensare che essi avevano davanti a sé Uno che parlava "diversamente da tutti noi,/ di altre cose, di qui, ma mai dette"». [175] Talora scandalizzando. Era abituale a quel tempo l'esecrazione moralistica dei pubblici peccatori da parte soprattutto di un'élite e di movimenti spirituali molto ossessionati dal tema della purità e che ritenevano se stessi giusti, retti, onesti, pii (e abilitati a giudicare i peccati altrui). Ma a chi sbandiera la propria rettitudine, le proprie pratiche di pietà e giudica con disprezzo il peccatore, Gesù racconta una parabola scomoda. La storia di un pio fariseo che «stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore». Gesù conclude così: «Io vi dico: questi (il pubblicano, nda) tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro (il fariseo, nda), perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato» (Lc. 18,10-14). Eppure l"«uomo onesto» era veramente una persona perbene, osservante della Legge, anche sinceramente impegnato. In alcuni episodi troviamo le scandalizzate invettive di alcuni (non tutti) scribi e farisei contro Gesù reo di parlare con pubblicani e prostitute. La purezza interiore di Gesù è assoluta («se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo» Mt. 18,9), la santità della sua vita è sotto gli occhi di tutti, è inarrivabile (solo lui può proclamare: «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore») tanto che sfida tutti a rimproverargli un solo peccato (mai nelle sue preghiere al Padre c'è una richiesta di perdono). Passa tante notti immerso in preghiera, eppure questo Gesù accetta con simpatia umana l'invito a pranzo di pubblici peccatori, ha affetto per ciascuno di loro, e - con somma indignazione dei benpensanti lascia che una povera donna di pessima fama gli baci i piedi bagnandoli con le sue lacrime di dolore. Erano in tanti a scandalizzarsi di questa totale libertà di Gesù dalle loro regole. Eppure a questi tali, a questa gente perbene, onesta e osservante della Legge, Gesù non risponde giustificandosi o arrampicandosi sui vetri, ma con un colpo da ko: «I pubblicani e le prostitute vi Pagina 29
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt passano avanti nel Regno di Dio» (Mt. 21,31). Doveva essere per loro come un pugno nello stomaco. E quando, secondo la Legge, pretendono di lapidare l'adultera e di avere il suo consenso, dice loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra» (Gv. 8,7). Silenzio generale, imbarazzo e poi, uno a uno, se ne vanno. Un giorno fissando negli occhi questa gente perbene (che giudicava gli altri e li disprezzava come peccatori) scandisce queste parole: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità. [...] Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna?» (Mt. 23,27-28 e 33). Si resta sinceramente sconcertati davanti a queste parole di fuoco che Gesù pronuncia contro delle persone perbene, mentre è dolce con i peccatori che, in fin dei conti, sono davvero gente discutibile (anche noi, oggi, detestiamo i disonesti, i profittatori, gli opportunisti e certi sfrenati gaudenti e normalmente vediamo tutti questi vizi negli «altri»: ognuno di noi istintivamente si mette nel novero delle persone che fanno il proprio dovere, le persone perbene). Non è che Gesù invitasse a essere peccatori, ma a essere umili e a non giudicare gli altri, a non vantare la propria rettitudine. [176] Perché questo rende superbi, fa presumere di se stessi e delle proprie capacità. Gesù invece è drastico: «Senza di me non potete far nulla». Nulla. Non dice «potete fare ben poco». Dice «non potete fare nulla». E" un'espressione pesantissima, sconcertante. Chi è mai costui che avanza una simile «pretesa»? In effetti dai Vangeli risulta che sono più pronti ad accoglierlo i «peccatori» (talvolta criminali) che i «giusti». Anche quando Gesù è in croce, viene dileggiato dai notabili, osservanti della Legge, e viene implorato dal «ladrone», che certo non era uno stinco di santo. Gesù arriva al suo cuore attraverso le ferite della sua vita, ed è il cuore di uno che sta morendo come criminale, non il cuore di uno corazzato con la sua superba moralità. Gesù chiede di essere amato da tutti così come ciascuno è. Sembra dire a peccatori, incoerenti, poveracci: «Né i limiti e i peccati vostri, né quelli altrui possono comunque impedirvi di volermi bene e rimanere con me. Io farò il resto. Vi cambierò io». Questo atteggiamento di Gesù è particolarmente evidente nel caso di Pietro, il più emblematico. Dopo tutto quello che aveva ricevuto e visto, nel momento dell'arresto di Gesù e dell'interrogatorio lo rinnegò ben tre volte per paura. Con le labbra, non con il cuore, dice sant'Ambrogio, cioè lo rinnegò per vergognosa viltà e ne pianse amaramente, ma continuava a volergli bene. Neanche lui sapeva spiegarsi questa cosa, ma gli voleva bene. Questo gli era chiaro. Di certo voleva sprofondare mentre lo diceva a se stesso, sentendosi ormai indegno dell'amicizia di Gesù, ma era innegabile quanto fosse attaccato al suo Maestro. Lo cercava sempre con gli occhi. E lo sguardo di Gesù, mentre cantò il gallo, fu il suo ultimo incontro con lui prima dell'esecuzione capitale sulla croce. Poi accade l'inaudita, imprevedibile resurrezione di Gesù e una serie di eventi convulsi. Gesù appare più volte, vivo, fra i suoi. Una di queste volte, il Maestro, era sulla riva del lago di Tiberiade - con la tenerezza che lo caratterizzava - aveva preparato del pesce per i suoi amici stanchi che con la barca tornavano dalla pesca. A un certo punto di quello stupefacente pasto insieme, Gesù fissa Pietro, che si sarà sentito morire. Ma, diversamente da quanto temeva, Gesù non gli chiede affatto conto del tradimento, non si mette a rimproverarlo per la sua viltà, non gli dice «non peccare, non tradire, non essere incoerente». Ma gli dice: «Simone, tu mi ami?». E addirittura glielo ripete tre volte e per tre volte gli consegna il suo piccolo gregge di amici e lo chiama alla sua grande missione. Così Gesù fa capire la sola cosa che chiede: il cuore, che si voglia bene a lui. Al resto penserà lui. Trasformerà lui quel focoso e rozzo pescatore, quel codardo nel momento del pericolo, nel pilastro della sua Chiesa, in un padre forte e buono, disposto un giorno a dare anche lui, con eccezionale eroismo, la sua vita su una croce. Gesù si compiace di gente così: l'amico che lo ha rinnegato, la Maddalena, Zaccheo, la Samaritana, il ladrone del Golgota. Li ama così come sono e li perdona. Così li trasforma. Li cambia lui stesso. \-\ * Domande su Gesù Romano Guardini, nel libro La realtà umana del Signore, dice che dai Vangeli emerge «una figura di sconvolgente grandezza e incomprensibilità». [177] Guardini si chiede: «Che impressione fa in complesso la figura di Gesù se la Pagina 30
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt confrontiamo con grandi figure dell'Antico Testamento come Mosè ed Elia? Innanzitutto quella di una grande calma e mitezza. Tuttavia noi congiungiamo facilmente a queste parole l'impressione di una certa debolezza», mentre invece «l'impressione che la figura di Gesù fece ai suoi contemporanei è stata evidentemente quella di una persona che possedeva una forza misteriosa. Secondo il resoconto evangelico gli uomini che lo vedono restano colpiti, anzi profondamente scossi dalla sua presenza»[78] Calma, sicurezza e «una profonda bontà». Ma questa pacatezza non gli impedisce di indignarsi quando si trova davanti l'ottusità cattiva, per esempio, di chi si scandalizza perché ha guarito un poveraccio nel giorno di sabato («girò con indignazione lo sguardo su di loro» Mc. 10,21). Né gli impedisce di manifestare talvolta una incontenibile felicità, come nell'episodio già ricordato in cui ringrazia il Padre perché il suo mistero viene compreso e accolto dagli umili e dai semplici e resta incompreso e osteggiato dai sapienti presuntuosi. [179] «In Gesù c'è una umanità meravigliosamente pura [...]. Egli è capace di portare la persona alla coscienza perfetta e alla realizzazione di quello che significa essere uomo [...] appartiene essenzialmente alla figura di Gesù la mancanza di ogni stranezza ed anormalità». [18] Osserva Guardini che Gesù non ha però un comportamento stoico, non manifesta mai distacco da questo mondo avvilente, egli «accetta quello che gli accade», anche se indegno o insignificante o umiliante, anzi «lo prende a cuore». [181] Guardini coglie altri aspetti dai Vangeli: «Gesù dà sempre l'impressione di essere infinitamente di più di quello che appare, di potere di più di quello che Egli fa, di sapere di più di quello che dice», [182] «in Gesù non si trova affatto malinconia che è una forma diffusissima della patologia religiosa». [183] Anche nella tentazione di Satana è un caso unico: non deve fare nessuno sforzo per resistere, perché, come dice lui stesso: «Il principe del mondo non può nulla contro di me» (Gv 14,30). E" un inattaccabile. Perciò coloro che vivono con Lui o che lo incontrano nelle piazze, nei villaggi, nelle sinagoghe, sempre più si domandano: «Ma chi è veramente quest'uomo?». Giussani sottolinea innanzitutto che c'è la scoperta di «un uomo senza paragone». [184] La gente starebbe delle ore a guardarlo, affascinata da tutti i suoi gesti, le sue espressioni, il suo volto, il suo modo di parlare, quello sguardo. I Vangeli fanno capire che spesso, anche dopo ore, nessuno va via, anche quando si fa tardi. Lui sa leggere nel segreto di tutti i cuori (come scoprono la samaritana al pozzo, Nicodemo, Giuda), così che tutti crollano davanti a lui. «La sua intelligenza sventa ogni tentativo di coglierlo in fallo». Come quando gli portano la donna colta in flagrante adulterio, che per la legge doveva essere lapidata: «Chi di voi è senza peccato...». Uno così non si era mai visto. Un giorno entrando in un villaggio s'imbatte in un corteo funebre ed è toccato dal pianto di quella madre, le si avvicina e le dice: «Donna, non piangere...» E dopo questo gesto di tenerezza le restituisce il figlio vivo. «E" difficile» commenta Giussani «che una persona potente sia veramente buona». Ma lui invece è proprio così. Lui si commuove guardando Gerusalemme e pensando alla sua fine e sempre lui, così austero e potente, si scioglie di tenerezza davanti ai bambini stringendoseli al cuore. E" una meraviglia mai vista sulla terra. E" l'essere umano che ciascuno desidererebbe incontrare nella vita. Eppure, dicono i suoi contemporanei, si sa da dove viene, si conoscono i familiari (pure i nemici si sono informati bene su di lui) tanto che ci si chiede: da dove gli viene questo sapere? Ma tale è la sua eccezionalità che subito dopo ci si chiede chi sia veramente. Anche fra i suoi amici che ogni giorno gli vedono compiere quelle opere cresce sempre di più la sensazione che in lui vi sia un mistero inafferrabile. Finché lui stesso si rivela apertamente: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che io sono» (Gv. 8,28). Un'espressione vertiginosa e inaudita che ripeterà: «Prima che Abramo fosse, Io Sono» (Gv. 8,58). Quell'espressione, «Io Sono» era per gli ebrei il sacro e impronunciabile nome dell'Altissimo Dio. Una bestemmia (passibile di morte) dunque per i suoi nemici e una bestemmia anche per certe persone pie e osservanti che non erano ostili a Gesù. E, va detto, un caso unico nella storia. Come si può davvero credere che il figlio di un falegname di Nazaret sia l'Eterno, l'Onnipotente, Colui che ha disegnato il corso delle galassie e dei millenni? Ma Pagina 31
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt veramente Gesù ha dichiarato di sé questo? Dal XVII secolo in poi si è molto almanaccato in ambito illuminista, idealista e protestante. Si è scritto che Gesù neanche sapeva di essere il Messia e che la sua coscienza messianica sarebbe emersa progressivamente; si è scritto che la sua «divinizzazione» è stata successiva, ad opera delle comunità cristiane che lo hanno mitizzato. E che mai e poi mai Gesù avrebbe preteso di dirsi Dio. Ma questa tesi non è supportata dalla minima prova. Anzi tutto dimostra l'esatto contrario. [185] Fin dal primo incontro Giovanni e Andrea tornano a casa annunciando di aver trovato il Messia e certo devono averlo sentito dichiarare a lui. Di questo i suoi sono convinti fin dall'inizio e infatti si aspettano l'instaurazione del suo regno, secondo le idee messianiche più diffuse del tempo. Semmai si faceva strada in loro la convinzione che egli fosse un mistero ben più grande, finché lui ha rivelato la sua identità. «Gli apostoli non hanno scoperto che Gesù era Dio, ma stando con lui, ne hanno avuto un'impressione grande, tale da "dover" dire: se non dobbiamo credere a questo uomo non dobbiamo credere neppure ai nostri occhi. E" per questa evidenza che, pur senza capire bene, hanno ripetuto le sue parole, quelle parole che hanno poi investito la storia». [186] Perciò Carsten P. Thiede può affermare: «Non ci sono prove che la "deificazione" di Gesù rappresenti uno sviluppo posteriore. La fede nella sua divinità fu spontanea e inequivocabile». [187] Ed è attestata dai Vangeli e dalle lettere apostoliche. Giovanni riporta fedelmente la precisa rivelazione di Gesù, quando Filippo insiste per vedere il Padre: «Filippo, da tanto tempo sei con me e ancora non hai capito? Chi vede me, vede il Padre» (Gv. 14,9). Si può immaginare in quale silenzio attonito dovevano cadere quelle parole, si può capire quanto vertiginosa e sconvolgente dovesse suonare quella frase alle orecchie di ascoltatori ebrei, consapevoli che Dio è assolutamente e totalmente oltre le nostre immaginazioni, infinitamente più grande di ogni nostra possibile rappresentazione. Eppure Filippo e gli altri sapevano bene che non avevano davanti un matto o un buontempone che poteva dire a cuor leggero una cosa simile, che sarebbe stata una bestemmia gravissima, un sacrilegio degno della morte. Avevano di fronte un uomo eccezionale, che compiva segni immensi, che viveva una santità e una purezza mai viste prima e custodiva un grande mistero. E che, a chiare lettere, rivelava loro la sua identità: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv. 10,30). «Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto» (Gv. 14,9). Di conseguenza Giovanni riporta pure la scandalizzata accusa delle autorità religiose contro Gesù: «Perché tu, che sei uomo, ti fai Dio?» (Gv. 10,33). Se anche - e senza motivo - non volessimo credere a quanto riferito da Giovanni, è lo stesso svolgimento dei fatti successivi (cioè la sua condanna) a provare che proprio questa era la «pretesa» avanzata da Gesù. Ce lo spiega un grande rabbino, dottissimo e acuto, Elia Benamozegh, 1[88] il quale afferma, con certezza assoluta: «Senza la divinità di Gesù l'opposizione ebraica è inspiegabile», infatti «mai l'ebraismo processerebbe, e ancor meno pronuncerebbe una condanna a morte contro chi non aspirasse che alle prerogative e al ruolo di Messia». [189] Dei tanti che si sono proposti come Messia, mai nessuno è stato processato per bestemmia. Autodefinirsi «Messia» (che, nella sua accezione generica e popolare, è una qualifica umana, terrena) è del tutto legittimo per la tradizione ebraica. Ben diverso, abissalmente diverso e assolutamente inaudito, è dirsi Dio. [190] «La sola disputa tra Gesù e la Sinagoga riguardò l'Incarnazione», afferma Benamozegh. \-\ * Un rabbino parla con lui Qual era l'effetto che una tale «pretesa» produceva su degli ebrei osservanti - com'era per esempio Saulo di Tarso, cresciuto alla scuola di Gamaliele? Abbiamo una sorta di «diario» di un rabbino che cerca sinceramente di capire questo Gesù, di comprendere bene il suo insegnamento. Anche se è un rabbino dei nostri giorni, Jacob Neusner si è come immedesimato con coloro che lo andavano ad ascoltare chiedendosi se si trattava di un nuovo grande profeta. E nel libro Un rabbino parla con Gesù descrive benissimo quale choc doveva provocare in un animo religioso «l'incontro con Gesù». [191] Innanzitutto «la personalità dell'uomo» dice Neusner «attrae l'attenzione». Il suo insegnamento «migliora in modo impressionante la Torah», ma ascoltandolo si scopre che «Gesù pretende di porsene al di sopra», perciò «la gente è sorpresa». Perché la Torah è «la rivelazione di Dio a Mosè sul monte Sinai» ed è, per il pio ebreo, la volontà di Dio e la strada certa della santità. Neusner ha ragione. La novità di Gesù non riguarda elementi marginali, ma il cuore. Per esempio, osserva il rabbino, Gesù non si rivolge a Israele, all'eterno Israele a cui hanno parlato i profeti e i patriarchi. Parla direttamente al tuo «io». Sembra Pagina 32
Antonio Socci - Indagine su Gesù.txt che neanche si ponga il problema, non parte dall'idea che esiste Israele e poi c'è il resto dei gentili. Anzi, parlando di un pagano, un soldato romano, arriva ad affermare: «Non ho mai trovato una fede simile in Israele». Quasi una provocazione. In effetti anche i Vangeli riferiscono, onestamente, lo «spavento» delle folle [192] perché Gesù non insegna come i rabbini, ma come uno che «ha autorità». [193] Non solo i rabbini, ma anche i profeti, a cominciare da Mosé, esordivano richiamandosi sempre a un'altra autorità: «Il Signore dice...». Gesù invece esordisce in una maniera assolutamente unica: «Io vi dico»,
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