Anderson, comunità.PDF
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! INDICE
Presentazione all'edizione italiana Chissà se capiranno di Marco d'Eramo
© 1983, 1991 Benedict Anderson Imagined Communities, Verso, London, New York 1991 © 1996 manifestolibri srl via Tomacelli 146 - Roma ISBN 88-7285-066-5 Traduzione: Marco Vignale Progetto grafico della copertina: Studio Idea
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Prefazione alla seconda edizione (1991) 1. Introduzione 2. Radici culturali 3. Le origini della coscienza nazionale 4. Pionieri creoli 5. Vecchie lingue, nuovi modelli 6. Ufficial-nazionalismo e imperialismo 7. L'ultima ondata 8. Patriottismo e razzismo 9. L'angelo della storia lO. Censimento, mappa, museo 11. Ricordare e dimenticare
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Il nuovo disordine mondiale. Un'appendice (1992)
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Bibliografia
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CHISSÀ SE CAPIRANNO di Marco dJEramo
Forse un giorno si chiederanno perché mai tanti esseri umani fossero pronti a immolarsi per la propria nazione. Che cosa ci fosse in quest' entità che la rendesse degna del sacrificio della propria unica, irripetibile vita. A noi contemporanei, in questa fine di XX secolo, la nazione sembra un orizzonte naturale della società e della politica. L'indipendenza nazionale ci pare un bene caro da salvaguardare (paventiamo se è minacciata). Non sembra nemmeno comico che un atleta pianga ascoltando dal podio il proprio inno nazionale. Come nella società indiana ognuno è incasellato in una casta, cosÌ nella nostra modernità ci pare ovvio che ognuno abbia una (e non più di una) nazionalità. Un' ovvietà ingannatrice. Per secoli, per millenni, gli umani hanno vissuto, agito, fatto politica, combattuto guerre in strutture sociali del tutto diverse dalle nazioni: in imperi polietnici e poliglotti, che oggi chiameremmo multinazionali, in entità regionali (potrebbe esistere un nazionalismo borgognone?), in comunità religiose, in principati il contorno delle cui frontiere dipendeva dalle peripezie matrimoniali delle dinastie. Ma allora quando è che si è imposto alle nostre società il concetto di nazione? Quando abbiamo cominciato a pensare che le nazioni fossero i soggetti della storia? Tanto che oggi le organizzazioni mondiali si chiamano Società delle Nazioni o Nazioni Unite. [Non a caso l'idea di nazione si forgia in contemporanea con il nascere dello storicismo e con l'affermarsi della teoria dei soggetti contro la teoria delle cause: il mondo è prodotto dall' azione di un soggetto, non generato come effetto da una causa]. Già la domanda sul «quando» suona blasfema a un patriota. Per lui la nazione è qualcosa di originario, un retaggio primordiale che forse era stato dimenticato, sepolto nella memoria e solo di recente è riaffiorato, identità ritrovata. Siamo di fronte a una duplicità: la nazione è stata pensata, creata di recente, ma essa pensa se stessa come antichissima. I nazionalismi sono nati tra la fine del '700 e l'inizio dell'800, ma per quell' epoca parliamo di risveglio dei nazionalismi, come se fossero emersi da un lungo sonno. Ci sembra che le nazioni siano sempre esistite. Ma cosÌ pensando cadiamo nella trappola che la nazione stessa ci tende: «il nazionalismo non è il risveglio delle nazioni all' autocoscienza: esso inventa nazioni là dove
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conclusione che non si può concepire nessuna 'definizione scientifica' di Nazione; eppure il fenomeno è esistito ed esiste»4. Tom Nairn, autore dell'innovativo The Break-up 0/ Britain ed erede di una poco meno vasta tradizione di storiografia e scienze sociali marxiste, fa candidamente notare: «La teoria del nazionalismo rappresenta il grande fallimento storico del marxismo»5. Ma anche questa confessione è in un celto senso fuorviante, nella misura in cui questo fallimento sembra il deplorevole esito di una lunga e consapevole ricerca di chiarezza teoretica. Sarebbe più giusto affermare che il nazionalismo è stato una scomoda anomalia per la teoria marxista e, proprio per tale motivo, è stato eluso più che affrontato. Come altro interpretare il fallimento di Marx nello spiegare l'aggettivo cruciale nella sua memorabile formulazione del 1848: «il proletariato di ogni nazione deve, naturalmente, risolvere innanzitutto i problemi con la propria borghesia»6? Come altro considerare l'uso, per più di un secolo, del concetto di «borghesia nazionale» senza nessun serio tentativo di giustificare teoreticamente l'importanza dell' aggettivo? Perché questa suddivisione della borghesia, una classe sociale di livello mondiale in quanto definita in termini di rapporti di produzione, è teoreticamente importante? Il fine di questo libro è di offrire suggerimenti per un'interpretazione più soddisfacente dell' «anomalia» del nazionalismo. Credo che su questo argomento sia la teoria marxista, sia quella liberale si siano intristite in un tentativo tardo tolemaico di «salvare i phenomena»; e che sia urgente riorientare la prospettiva in uno spirito, per cosÌ dire, copernicano. il mio punto di partenza è che i concetti di nazionalità, di nazionalismo o di «nazion -ità» - termine che si potrebbe preferire per per i suoi molteplici significati - sono manufatti culturali di un tipo particolare. Per poterli meglio interpretare è necessario considerare accuratamente come essi siano nati storicamente, in che modo il loro significato sia cambiato nel tempo, e perché oggi scatenino una legittimità cosÌ profondamente emotiva. Cercherò di dimostrare che la creazione di tali manufatti alla fine del '7007 è stata la spontanea distillazione di un complesso «incrocio» di forze storiche discontinue; ma che, una volta create, esse divennero
sostenere, o a combattere per la stessa parte. Chi può essere sicuro che Yugoslavia e Albania un giorno non arriveranno a esplodere? Quei gruppi eterogenei che desiderano un ritiro dell' Armata Rossa dalle sue installazioni nell'Europa dell'Est dovrebbero ricordare fino a quale livello la sua opprimente presenza abbia dal, 1945, escluso ogni conflitto armato tra i regimi marxisti della regione. Tali considerazioni servono a sottolineare come, dalla seconda guerra mondiale in poi, ogni rivoluzione riuscita si sia definita in termini nazionali (la Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica Socialista del Vietnam ... ) e, cosÌ facendo, si sia fermamente ancorata in uno spazio territoriale e sociale ereditato dal passato pre-rivoluzionario. Al contrario, il fatto che l'Unione Sovietica condivida con il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord la rara distinzione di rifiutare il concetto di nazionalità nel proprio nome, suggerisce che essa costituisce tanto l'eredità degli stati dinastici prenazionali dell'800, quanto l'anticipazione di un ordine internazionalista del 2000 2 • Eric Hobsbawm ha perfettamente ragione quando osserva che «movimenti e stati marxisti tendono col tempo a divenire nazionali non solo nella forma ma anche nella sostanza, e quindi nazionalisti. Niente suggerisce che quest'andamento possa interrompersi»3. Non che questa tendenza sia limitata al mondo socialista. Quasi ogni anno vengono ammessi nuovi membri alle Nazioni Unite. E molte «vecchie nazioni», un tempo credute ben consolidate, si trovano oggi minacciate da «sub-nazionalismi» all'interno dei propri confini, nazionalismi che, logicamente, aspirano a perdere un bel giorno la connotazione di «sub». La realtà è evidente: la «fine dell' era del nazionalismo», cosÌ a lungo profetizzata, non è minimamente in vista. Anzi, la «nazion-ità» è il valore più universalmente legittimato nella vita politica del nostro tempo. Se i fatti sono chiari, la loro interpretazione resta però oggetto di dispute annose. Nazione, Nazionalità e Nazionalismo si sono dimostrati notoriamente difficili da definire, e ancor più da analizzare. In contrasto con l'immensa influenza che il nazionalismo ha esercitato sul mondo moderno, le teorie plausibili su di esso sono decisamente esili. Hugh Seton-Watson, erede di una vasta tradizione di storiografia e scienze sociali liberali e autore del testo inglese di gran lunga migliore e più esauriente sul nazionalismo, osserva amaro: «Sono trascinato alla
4Vedi il suo Nations and States, p. 5. 5Vedi il suo «The ModernJanus», New Lelt Review, 94 (nov.-dic. 1975), p. 3. Questo saggio è incluso senza alcuna modifica in The Break-up 01 Britain come capitolo 9 (pp. 329-63). 6KARL MAI\)( E FR1EDR1CH ENGELS, Il Manzfesto del Partito Comunista (il corsivo è mio). In ogni esegesi teoretica, il termine «naturalmente» dovrebbe lampeggiare a luci rosse di fronte all'assorto lettore. 7Come fa notare Aira Kemilainen, furono i due «padri fondatori» della dottrina accademica del nazionalismo, Hans Kohn e Carleton Hayes, a discutere e sta-
2Chiunque metta in dubbio il diritto del Regno Unito a essere paragonato con l'Urss dovrebbe domandarsi: quale nazionalità denota il termine «anglo-irlandese»? 3ERlC HOBSBAWM, «Some Reflections on The Break-Up 01 Britain», New Lelt Review ,105 (settembre-ottobre 1977), p. 13.
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Età con la E maiuscola, e quindi a classificarlo come un'ideologia. (Va notato che poiché ognuno ha un' età, Età è solo un' espressione analitica). Sarebbe tutto più facile, credo, se «nazionalismo» fosse trattato nella stessa sfera di «consanguineità» e «religione», piuttosto che di «liberalismo» o «fascismo». Con lo spirito di un antropologo, propongo quindi la seguente definizione di una nazione: si tratta di una comunità politica immaginata, e immaginata come intrinsecamente insieme limitata e sovrana. È immaginata in quanto gli abitanti della più piccola nazione non conosceranno mai la maggior parte dei loro compatrioti, né li incontreranno, né ne sentiranno mai parlare, eppure nella mente di ognuno vive l'immagine del loro essere comunità 9• Renan si riferì a questo «immaginarsi» nel suo modo soavemente sarcastico quando scrisse che: «Or t essence d) une nation est que tous les individus aient beaucoup de choses en commun) et aussi que tous aient oublié bien des choses» lO. Con una certa ferocia Gellner afferma una tesi simile dicendo che: «Il nazionalismo non è il risveglio delle nazioni all' autoconsapevolezza: piuttosto inventa le nazioni dove esse non esistono»l1. Tale formulazione presenta però l'inconveniente che Gellner è così ansioso di dimostrare che il nazionalismo si nasconde sotto pretese infondate, da assimilare «invenzione» a «fabbricazione» e «falsità», piuttosto che a «immaginazione» e «creazione». Così facendo egli sottintende che vi sono comunità «vere» che possono essere vantaggiosamente contrapposte alle nazioni. In realtà è immaginata ogni comunità più grande di un villaggio primordiale dove tutti si conoscono (e forse lo è anch'esso). Le comunità devono essere distinte non dalla loro falsità! genuinità, ma dallo stile in cui esse sono immaginate. Gli abitanti dei villaggi di Giava hanno sempre saputo di essere in qualche modo legati a individui che non hanno mai incontrato, ma un tempo questi legami erano immaginati in ambito particolaristico, come reti indefinitamente estendibili di stirpe e clientela. Fino a tempi piuttosto recenti il linguaggio di Giava non aveva una parola per il concetto astratto
«modulari», in grado quindi di venir trapiantate, con vari gradi di consapevolezza, in una grande varietà di terreni sociali, per fondersi ed essere fuse con un'altrettanto ampia varietà di costellazioni politiche e ideologiche. Cercherò anche di mostrare perché questi particolari manufatti hanno suscitato attaccamenti così profondi.
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CONCETTI E DEF1NIZIONI
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Prima di affrontare le questioni sollevate, conviene considerare brevemente il concetto di «nazione» e offrirne una definizione maneggevole. I teorici del nazionalismo si sono trovati spesso perplessi, per non dire irritati, di fronte a questi tre paradossi: (1) L'oggettiva modernità delle nazioni agli occhi degli storici contro la loro soggettiva antichità agli occhi dei nazionalisti. (2) L'esplicita universalità della nazionalità come concetto socio-culturale (nel mondo moderno ognuno può e dovrebbe avere, e avrà, una nazionalità, come appartiene a un certo genere maschile o femminile) contro l'irrimediabile particolarità delle sue manifestazioni concrete, (ad esempio la nazionalità greca è «sui generis»). (3) La forza politica dei nazionalismi contro la loro povertà e persino incoerenza filosofica. In altre parole, il nazionalismo, al contrario di molti altri movimenti, non ha mai prodotto i propri grandi pensatori: nessun Hobbes, Tocqueville, Marx o Weber. Questo «vuoto» fa nascere facilmente, tra intellettuali cosmopoliti e multilingue, una certa condiscendenza. Come Gertrude Stein di fronte a Oakland, si potrebbe rapidamente èoncludere che «là non c'è nulla». È curioso il fatto che persino uno studioso tanto simpatetico col nazionalismo come Tom Nairn possa però scrivere che: «Il nazionalismo è la patologia del moderno sviluppo della storia, inevitabile quanto la nevrosi in un individuo, con implicita la stessa ambiguità e una simile tendenza innata a degenerare in demenza, radicata nel senso di abbandono di cui soffre gran parte del mondo (1'equivalente dell'infantilismo per la società) e largamente incurabile»8. Parte della difficoltà è che si tende a ipostatizzare l'esistenza di un Nazionalismo con la N maiuscola, come si è portati a pensare
9Cf. S[TON-WXISON, Nation and States, p. 5: «Tutto quello che posso dire è che una nazione esiste quando un numero significativo di persone all'interno di una comunità si considera come costituente una nazione, o agisce come se ne avesse costituita una». Possiamo sostituire «si considera» con «si immagina». wERNEST RENAN, Qu'est-ce qu'une nation/ in Oeuvres Complètes, I, p. 892. Aggiunge: «tutti i cittadini francesi devono aver dimenticato San Bartolomeo, i massacri del Midi del '200. In Francia non ci sono dieci famiglie che possono fornire la prova di un'origine franca ... » llEI\NEST GELLNER, Thought and Change, p. 169. Corsivo mio.
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bilire questa data. Credo che le loro conclusioni non siano state seriamente dibattute, se non da ideologi nazionalisti in particolari nazioni. Kemiliiinen osserva anche che la parola «nazionalismo» non divenne di uso comune se non alla fine del diciannovesimo secolo. Non appare, ad esempio, in molte lingue di quello stesso secolo. Se Adam Smith rifletteva sul benessere delle «nazioni», intendeva con tale termine niente più che «società» o «stati». ArRA KEMILAINEN, Nationalism, pp. 10,33, e 48-49. 8The Break-up 0/ Britain, p. 359.
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r>, Indonesia, 13 (aprile 1972), pag 103. Corsivo mio. Così, Kemal Ataturk chiamò una delle sue banche statali «Eti Banka» (Banca Ittita), ed un'altra «Banca Sumera». (SETON-WATSON, Nations and States, p. 259). Queste banche godono oggi di ottima salute e non c'è ragione di dubitare che molti turchi, e probabilmente Kemal stesso, videro seriamente, e vedano ancor oggi, negli ittiti e nei sumeri i propri antenati turchi. Prima di cominciare a ridere, è bene ripensare ad Artù e Boadicea, e considerare il successo commerciale delle mitografie di Tolkien.
3 Cfr. Rf:c[s DEBl\t\Y, «Marxism and the National Question», New Left Review, 105 (settembre-ottobre 1977), p. 29. Durante ricerche sul campo in Indonesia negli anni '60, fui colpito dal tranquillo rifiuto di numerosi musulmani di accettare le idee di Darwin. In un primo momento interpretai questo rifiuto come semplice oscurantismo. Più tardi cominciai a vederlo come un tentativo onorevole di essere coerenti: la dottrina dell' evol uzione era sem plicemen te incompatibile con gli insegnamenti dell'Islam. Cosa dovremmo farcene di un materialismo scientifico che accetta formalmente le scoperte della fisica a proposito della materia ma che fa cosÌ poco per legare queste scoperte alle lotte di classe, alle rivoluzioni, e cosÌ via? L'abisso che separa i protoni dal proletariato nasconde forse un'insospettata concezione metafisica dell'uomo? Si leggano comunque gli stimolanti testi di Sebastiano Timpanaro sul materialismo, e la profonda risposta a essi di Raymond Williams in «Timpanaro's Materialist Challenge», New Left Review, 109 (maggio-giugno 1978), pp. 3-17.
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mensamente meglio che barbari. Un tale atteggiamento non era certo esclusivamente cinese, né tantomeno confinato all' antichità. Considerate per esempio la seguente «politica verso i barbari», formulata all'inizio dell'800 dal liberale colombiano Pedro Fermin de Vargas:
gloria, erano sistemi di riferimento dati per scontati, proprio come la nazionalità oggi. È quindi essenziale considerare cosa diede a questi sistemi culturali la loro lampante plausibilità, e insieme sottolineare alcuni elementi chiave nella loro decomposizione.
Per espandere la nostra agricoltura sarebbe necessario ispanizzare i nostri indios. La loro pigrizia, stupidità e indifferenza alla fatica può portare a far pensare che essi derivino da una razza degenerata che si deteriora vieppiù con l'allontanarsi dalla sua origine (... ) sarebbe molto meglio se gli indios si estinguessero, per fusione con i bianchz; dichiarandoli liberi da tributi e altre tasse, e offrendo loro la proprietà privata della terré.
LA COMUNITÀ RELIGIOSA
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Poche cose impressionano quanto l'enorme distesa territoriale dell'Ummah Islam dal Marocco all' arcipelago Sulu, della Cristianità dal Paraguay al Giappone, e del mondo buddista dallo Sri Lanka alla penisola di Corea. Le grandi culture sacre (e per i nostri fini è lecito includervi anche il Confucianesimo) fondevano concezioni di comunità immense. La cristianità, la comunità islamica, e persino il Regno Di Mezzo (che, anche se noi oggi lo pensiamo come Cina, non si immaginò come cinese, bensì appunto come centrale), furono pensabili in gran parte tramite il medium di un linguaggio sacro e di una sacra scrittura. Prendete l'esempio dell'Islam: se dei maguindanao incontrassero dei berberi alla Mecca, senza conoscere le reciproche lingue e quindi incapaci di comunicare oralmente, essi sarebbero comunque in grado di capire i reciproci ideogrammi, in quanto le scritture sacre che hanno in comune esistono solo in arabo antico. In tal senso, l'arabo scritto ha avuto la stessa funzione dei caratteri cinesi nel creare una comunità tramite i segni, piuttosto che con i suoni. (Così oggi il linguaggio matematico perpetua un' antica tradizione: i rumeni non hanno alcuna idea di come i thailandesi chiamino il segno +, e viceversa, ma entrambi i popoli ne comprendono il significato). Tutte le grandi comunità antiche si concepivano al centro del cosmo, tramite lo strumento di un linguaggio sacro legato ad un ordine sovraterreno di potere. Perciò l'estensione del latino scritto, del pali, dell' arabo o del cinese, era teoricamente illimitata. (In realtà più la lingua scritta era morta, cioè più era lontana dal parlato, meglio era: in teoria tutti hanno accesso a un mondo di soli segni). Queste antiche comunità connesse da lingue sacre avevano un carattere distinto dalle comunità immaginate delle nazioni moderne. Una differenza cruciale era la fede delle comunità più antiche nella sacralità unica delle loro lingue, e quindi le idee sull' ammissione di nuovi membri. I mandarini cinesi guardavano con approvazione i barbari che imparavano faticosamente a dipingere gli ideogrammi del Regno Di Mezzo. Questi barbari erano già a metà strada per essere pienamente assimilati5 : mezzo-civilizzati era comunque im-
Colpisce come questo liberale proponga di «estinguere» i suoi indios in parte «dichiarandoli liberi da tributi» e «offrendo loro la proprietà della terra», piuttosto che sterminandoli con armi e microbi come i suoi successori cominciarono a fare poco dopo in Brasile, Argentina e Stati Uniti. Notate anche, insieme all' accondiscendente crudeltà, un ottimismo cosmico: alla fin fine l'indio è redimibile, dall'impregnarsi di bianco «seme civilizzato», e dall'acquisire proprietà privata, come chiunque altro. (Com'è diverso l'atteggiamento di Fermin rispetto alla successiva preferenza degli imperialisti europei per «genuini» malesi, gurkha e hausa rispetto a «meticci», «indigeni semi-educati», «musi neri» e via di seguito). Se le lingue sacre furono il medium tramite cui furono immaginate le grandi comunità globali del passato, la realtà di tali apparizioni dipendeva da un concetto estraneo al contemporaneo pensiero occidentale: la non arbitrarietà del segno. Gli ideogrammi cinesi, latini o arabi erano emanazione della realtà, non sue rappresentazioni fabbricate a caso. Ci è familiare la lunga disputa circa il linguaggio appropriato per le masse (latino o volgare). Nella tradizione islamica, fino a poco tempo fa il Qur)an era letteralmente intraducibile (e quindi non tradotto), perché la verità di Allah era accessibile solo tramite i segni «veri» dell'arabo scritto. Qui non c'è idea di un mondo così separato dal linguaggio che tutti i linguaggi siano da esso equidistanti (e quindi intercambiabili). In effetti, la realtà ontologica è percettibile solo tramite un singolo sistema privilegiato di rappresentazione: il linguaggio-verità della Chiesa latina, l'arabo coranico o
5Da cui la serenità con cui i mongoli cinesizzati e i manciù vennero accettati come Figli del Cielo.
6 JmIN LYNCH,
The Spanish-American Revolutions, 1808-1826, p. 260. Corsivo
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il cinese mandarin0 7 . E, in quanto lingue-verità, esse sono pervase da un impulso estraneo al nazionalismo; l'impulso alla conversione. Per conversione non intendo tanto l'accettazione di particolari precetti religiosi, quanto un' assimilazione alchemica. Il barbaro diviene «Regno di Mezzo», il Rif diventa musulmano, il Llongo cristiano. L'intera natura dell'essere uomo è sacralmente plasmabile. (Si confronti il prestigio di queste antiche lingue mondiali, torreggianti su tutte le lingue volgari, con invece l'esperanto o il volapuk, che giacciono ignorate tra esse). Dopotutto è stata questa possibilità di conversione che ha fatto diventare papa un inglese8 e Figlio del Cielo un manciù. Anche se le lingue sacre hanno reso immaginabili comunità come il cristianesimo, lo scopo reale e la plausibilità di tali comunità non possono però essere spiegati dalle sacre scritture soltanto: i loro lettori erano, in fondo, solo piccoli atolli alfabetizzati in un vasto oceano di analfabeti 9 Una spiegazione più completa richiede un' osservazione dei rapporti tra i letterati e le loro società. Sarebbe un errore confonderli con una tecnocrazia teologica. Le lingue che essi usavano, seppure astruse, non avevano niente dell' astrusità artificialmente creata del gergo degli awocati o degli economisti, ai margini dell'idea sociale di realtà lO . Piuttosto, i letterati erano gli esperti, erano un livello strategico in una gerarchia cosmologica il cui apice era divino. Le concezioni fondamentali riguardo ai «gruppi sociali» erano centripete e gerarchiche più che relazionali e orizzontali. L'incredibile potere del papato al suo culmine è comprensibile solo nei termini di un clero trans-europeo e scrivente in latino, e di una concezione del mondo, condivisa virtualmente da tutti, per cui l'intellighenzia bilingue, mediando tra volgare e latino, mediava tra terra e cielo. (La solennità della scomunica riflette tale cosmologia). Malgrado tutta la grandeur e tutto il potere delle grandi comu-
nità immaginate religiosamente, la loro non autocosciente coerenza declinò brutalmentemente dopo la fine del medioevo. Tra le ragioni di tale declino vorrei sottolinearne solo due legate direttamente alla sacralità unica di queste comunità. La prima è l'effetto delle esplorazioni del mondo non-europeo che, soprattutto ma non esclusivamente in Europa, «allargarono improwisamente gli orizzonti geografici e culturali, e quindi anche il concetto di possibili forme di vita umana»l1. Il processo è già evidente nel più grande tra tutti i diari di viaggio europei. Considerate questa meravigliata descrizione del Kublai Khan redatta dal buon cristiano veneziano Marco Polo alla fine del '200 12 : Dapoi ottenuta tal vittoria, il gran Can ritornò con gran pompa e trionfo nella città principal detta Cambalù, e fu del mese di novembre, e quivi stette fin al mese di febbraio e marzo, quando è la nostra Pasqua. Dove, sapendo che questa era una delle nostre feste principali, fece venire a sé tutti i Cristiani, e volse che gli portassero il libro, dove sono li quattro evangeli, al quale fattogli dar l'incenso molte volte con gran cerimonie, devotamente lo basciò, e il medesimo volse che facessero tutti i suoi Baroni, e i Signori che erano presenti. E questo modo sempre serva nelle feste principal dei Cristiani come è la Pasqua e il Nadal. Il simil fa nelle principal feste di Saraceni, Giudei, e Idolatri. Ed essendo egli dimandato della causa, disse: sono quattro Profeti che sono adorati e ai quali fa riverenzia tutto il mondo. Li Cristiani dicono il loro Dio essere stato Iesù Cristo, i Saraceni Maometto, i Giudei Moisè, gl'Idolatri Sogomombar Can, qual fu il primo Iddio degl'Idoli. E io faccio onor e riverenzia a tutti e quattro, cioè a quello che è il maggior in cielo, e più vero, e quello prego che mi aiuti. Ma, per quello che dimostrava il gran Can, egli tien per la più vera e miglior la fede cristiana ...
Degno di nota in questo passo non è tanto il tranquillo relativismo religioso (è un relativismo comunque religioso) del grande sovrano mongolo, quanto l'atteggiamento e il linguaggio di Marco Polo. Non pensa mai, anche se sta scrivendo per altri europei Cristiani, di descrivere il Kublai come «ipocrita» o «idolatra». (Certo, in parte perché «egli è più potente di genti, di terre e di tesoro di qualunque Signor che sia mai stato al mondo, né che vi sia al presente»13).
7Il greco ecclesiastico sembra non aver raggiunto lo status di lingua-verità. Le ragioni di tale «fallimento» sono molteplici, ma un fattore chiave fu certamente il fatto che il greco restò ancora un dialetto vivente (al contrario del latino) in gran parte dell'impero orientale. Devo questa osservazione a Judith Herrin. 8Nicholas Brakespear resse il pontificato tra il 1154 e il 1159 sotto il nome di Adriano IV. 9MARc BLOCli ci ricorda che nel medioevo «la maggioranza dei signori e numerosi grandi baroni erano amministratori incapaci di analizzare personalmente un rapporto o una relazione», FeudalSociety, I, p. 8I. lOCiò non vuoI dire che gli illetterati non leggessero. Ma quel che leggevano non erano le parole, ma il mondo visibile. «Agli occhi di chiunque fosse capace di riflessione il mondo materiale era poco più di una maschera, dietr-o la quale avvenivano tutte le cose veramente importanti; esso pareva loro anche una lingua, tesa a esprimere con i segni una più profonda realtà». Ibidem, p. 83.
llERICH AUERBACH, Mimesis, p. 282. 12MARCO POLO, Il Milione, pp. 104-5. Corsivo mio. Notate che, pur baciato, il Vangelo non viene letto. 13Ibidem, p. 99.
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~ Dall'uso inconsapevole di «nostro» (che diventa «loro»), e dalla descrizione della fede dei Cristiani come «la più vera», piuttosto che «vera» e basta, noi possiamo rilevare il germe di una territorializzazione della fede che prefigura il linguaggio di molti nazionalisti. (La «nostra» nazione è «la migliore», in un terreno competitivo e comparativo). Un contrasto rivelatore è offerto dall'inizio di una lettera del viaggiatore persiano Rica al suo amico Ibben da Parigi nel «1712» 14:
il 23 % era in volgare)16 Se delle 88 edizioni stampate a Parigi nel 1501, tutte tranne 8 erano in latino, dopo il 1575 la maggioranza è sempre stata in francese 17 . A parte un temporaneo ritorno durante la Controriforma, l'egemonia del latino era ormai condannata. E non si tratta solo di una generica popolarità. Poco dopo, a una velocità non meno vertiginosa, il latino smise di essere il linguaggio dell'alta intellighenzia pan-europea. Nel '600 Hobbes (1588-1678) fu una figura riconosciuta a livello continentale poiché scrisse nella lingua-verità. Shakespeare (1564-1616), al contrario, scrivendo in volgare, era virtualmente sconosciuto al di là della Manica18 . E se l'inglese non fosse diventato, due secoli dopo, la lingua imperiale predominante nel mondo, sarebbe forse rimasto nella sua originale oscurità insulare. Intanto i loro contemporanei di oltre-Manica, come Descartes (1596-1650) o Pascal (1623-1662), conducevano gran parte della loro corrispondenza in latino; quella di Voltaire era però quasi tutta in volgare 19 . Dopo il 1640, «con sempre meno opere pubblicate in latino, e sempre più in lingue volgari, il commercio del libro si frammenta in Europa»20. In una parola, il decadere del latino esemplificò un processo più ampio in cui le comunità sacre integrate da vecchi linguaggi sacri furono gradualmente frammentate, pluralizzate e territorializzate.
Il Papa è il capo dei Cristiani. È un idolo, venerato ormai per abitudine. Un tempo era temuto perfino dai prìncipi, perché li deponeva con la stessa facilità con cui i nostri magnifici sultani depongono i re di Iremetria o di Georgia. Ma nessuno lo teme più. Si dice successore di uno dei primi cristiani, chiamato San Pietro, ed è certo una ricca successione, perché il suo tesoro è immenso e ha in suo potere un grande paese.
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Le sofisticate e deliberate invenzioni del cattolico del '700 rispecchiano lo schietto realismo del suo predecessore del '200, ma ormai la «relativizzazione» e la «territorializzazione» sono decisamente autocoscienti, e di scopo prettamente politico. È forse allora irragionevole vedere un'elaborazione paradossale di questa tradizione quando l'ayatollah Ruhollah Khomeini identifica il «Grande Satana» non con un' eresia, né con un personaggio demoniaco (il povero piccolo Carter non era di taglia), bensÌ con una nazione? La seconda ragione è stata la graduale perdita di valore dellinguaggio sacro stesso. Scrivendo dell'Europa medioevale, Bloch fa notare che «il latino non era solo l'unica lingua in cui s'insegnava, era anche l'unica a essere insegnata»15 (Questo secondo «unica» mostra bene la sacralità del latino: nessun'altra lingua era considerata degna di essere insegnata). Già nel '500 però tutto ciò stava cambiando rapidamente. Non attardiamoci sulle ragioni del cambiamento: l'importanza decisiva del capitalismo-a-stampa* sarà discussa poi. Sarà sufficiente ricordarsi delle sue proporzioni e velocità. Febvre e Martin hanno stimato che il 77 % dei libri stampati prima del 1500 erano ancora in latino (il che significa, tra l'altro, che
IL REGNO DINASTICO
Oggi è difficile calarsi in un mondo in cui il regno dinastico appariva ai più l'unico sistema «politico» immaginabile. Perché, da parecchi punti di vista decisivi, una «seria» monarchia si oppone a tutte le moderne visioni di vita politica. Un governo monarchico organizza tutto intorno a un centro superiore. La sua legittimità deriva dalla divinità, non dai popoli, che dopo tutto sono sudditi, non cittadini. Nella concezione moderna, la sovranità di uno stato è operativa in modo rigido, pieno, uniforme, su ogni centimetro quadrato di un territorio legalmente demarcato. Ma nella concezione più antica, quando gli stati erano definiti da centri, i confini erano porosi e indistinti, e le sovranità scolorivano impercettibilmente l'una nell' altra21 . Da ciò deriva, paradossalmente, la facilità con cui imperi 16LuCIEN FEBVRE E HENRI-JEAN MARTIN, The Coming 0/ the Book, pp. 148-49. 17Ibid., p. 321. 18Ibid., p. 330. 19Ibid., pp. 331-32. 2°Ibid., pp. 232-33. 21 Si noti la confusione nella nomenclatura dei leader che deriva da questa
14HENRI DE MONTESQUIEU, Les Lettres Persanes (lettera XXIX, p. 60), pubblicate per la prima volta nel 1721. 15BLOCH, Feudal Society, I, p. 77. Corsivo mio. '[Il termine inglese è print-capitalism. Lo traduco con «capitalismo-a-stampa», come si direbbe «aereo a reazione» o «nave a vapore». Nota del curatore]
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e regni pre-moderni poterono sostenere il proprio dominio su popolazioni assolutamente eterogenee, e spesso neanche contigue, per lunghissimi periodi di temp022. Va ricordato che questi antichi stati monarchici si espandevano non solo per guerre, ma anche per politica sessuale - un genere ben diverso da quello praticato oggi. Tramite il principio generale di verticalità, i matrimoni dinastici portarono sotto nuovi vertici intere popolazioni. Esemplare fu la Casata d'Asburgo. Come diceva la massima, Bella gerant alil: tu felix Austria nube! Qui, in forma un po' abbreviata, riportiamo gli ultimi titoli della dinastia23 :
zione del regno. Infatti i lignaggi reali ottenevano spesso il loro prestigio, al di là di ogni aura di divinità, per così dire, da «incroci»24, poiché questi erano segni di uno status superiore. È caratteristico che nessuna dinastia propriamente «inglese» abbia mai regnato a Londra dall'undicesimo secolo (semmai ce n'è stata una); e quale «nazionalità» dovremmo assegnare ai Borboni25 ? Durante il '600 comunque, per ragioni su cui non insisto, la legittimità automatica delle monarchie sacrali cominciò lentamente a declinare in Europa occidentale. Nel 1649 Charles Stuart fu decapitato nella prima rivoluzione del mondo moderno e, durante gli anni '50 dello stesso secolo, uno degli stati europei più importanti fu governato da un Protettore plebeo piuttosto che da un re. Comunque ancora nell' età di Pope e Addison, Anna Stuart curava i malati imponendo le mani reali, un genere di cure praticato anche dai Borboni, Luigi XV e XVI, nella Francia dell'illuminismo fino alla fine dell' «ancien régime»26. Dopo il 1789, però, il principio di legittimità qovette essere fortemente e coscientemente difeso, e nel farlo, la «monarchia» divenne un modello semi-standardizzato. Tenno e Figli del Cielo divennero «Imperatori». Nel lontano Siam, Rama V (Chulalongkorn) inviò i suoi figli e nipoti alle corti di San Pietroburgo, Londra e Berlino per imparare le complessità del modello mondiale. Nel 1887 istituì il principio della successione al primogenito riconosciuto legalmente, portando quindi il Siam «in linea con le civilizzate monarchie d'Europa»27. li nuovo sistema portò al trono nel 1910 un eccentrico omosessuale che sarebbe stato certamente
Imperatore d'Austria; Re d'Ungheria, di Boemia, di Dalmazia, Croazia, Slavonia, Galizia, Lodomeria, e Illiria; Re di Gerusalemme, ecc; Arciduca d'Austria; Granduca di Toscana e Cracovia; Duca di Lotaringia, di Salisburgo, Stiria, Carinzia, Carniola, e Bucovina; Granduca di Transilvania, Margravio di Moravia; Duca dell' Alta e Bassa Slesia, di Modena, Parma, Piacenza e Guastalla, di Ausschwitz e Sator, di Teschen, Ragusa del Friuli e Zara; Conte magnifico di Asburgo e Tirolo, di Kyburg, Gorz e Gradiska; Duca di Trento e Bressanone; Margravio dell'Alto e Basso Lausitz e dell'Istria; Conte di Hohenembs, Feldkirch, Bregenz, Sonnenberg, ecc.; Signore di Trieste, di Cattaro e della Marca di Windisch; Gran Voyvoda della Voyvodina, Serbia ... ecc.
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Questo era, come fa giustamente notare Jaszi, «non senza un effetto piuttosto comico, (... ) il riepilogo degli innumerevoli matrimoni, scambi e conquiste degli Asburgo». In reami dove la poligamia era punita dalla religione, complessi sistemi di stanco concubinaggio divenivano essenziali all'integra-
24Soprattutto nell'Asia pre-moderna. Ma lo stesso principio esisteva nella monogama Europa cristiana. Nel 1910, un certo Otto Forst pubblicò il suo Ahnentafel Seiner Kaiserlichen und Koniglichen Hoheit des durchlauchtigsten Herrn Erzherzogs Franz Ferdinand, in cui elencava 2.047 antenati dell'arciduca che stava per essere ucciso. Includevano 1.486 tedeschi, 124 francesi, 196 italiani, 89 spagnoli, 52 polacchi, 47 danesi, 20 inglesi, più altri appartenenti ad altre quattro nazionalità. Questo «curioso documento» è riportato ibid., p. 136. Non resisto alla tentazione di citare la notevole reazione di Francesco Giuseppe alla notizia dell'omicidio dell'eccentrico erede designato: «In questo modo, una forza superiore ha restaurato quell'ordine che io, sfortunatamente, non fui capace di mantenere» (Ibid., p. 125). 25Gellner accentua la tipica estraneità delle dinastie, ma interpreta il fenomeno in senso troppo ristretto: i nobili locali preferiscono un re straniero proprio perché non prenderà partito nelle loro rivalità interne. Thought and Change, p.136. 26MARC BLOCH, Les Rois Thaumaturges, pp. 390 e 398-99. 27NoEL A. BAITYE, The Military, Government and Society in Siam, 1868-1910, tesi di dottorato in filosofia, Cornell1974, p. 270.
trasformazione. Gli scolari ricordano i re dal loro nome proprio (qual era il cognome di Guglielmo il Conquistatore?), e i presidenti dal loro cognome (qual era il nome proprio di Ebert?). In un mondo di «cittadini», tutti teoricamente in condizione di essere eletti presidenti, lo spettro limitato dei nomi propri risulta inadeguato come designazione specifica. Nel caso delle monarchie, al contrario, in cui il potere è limitato a una sola famiglia, è necessariamente il nome proprio, con numeri o soprannomi, a fornire le necessarie distinzioni. 22Possiamo qui notare en passant che Nairn ha ragione quando descrive l'Atto di Unione del 1707 tra Inghilterra e Scozia come un «accordo tra patrizi», nel senso che gli architetti dell'unione erano in effetti politici aristocratici. (Vedi la lucida discussione a questo proposito in The Break-up 0/ Britain, p. 136). È comunque difficile immaginare un patto di tal genere stretto dalle aristocrazie di due repubbliche: il concetto di Regno Unito fu certamente l'elemento mediatore che lo rese possibile. 230SCAR]ASZI, The Dissolution 0/ the Habsburg Monarchy, p. 34.
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una connessione tra due avvenimenti che non sono legati né cronologicamente né causalmente, una connessione che la ragione non può stabilire in senso orizzontale, ammettendo per questa parola un'estensione temporale. Si tratta unicamente di stabilirla collegando verticalmente i due fatti con la potenza divina, che soltanto in tal modo può creare un piano della storia e soltanto può dar la chiave della sua comprensione. Viene sciolto il legame temporale-orizzontale e causale dei fatti, l' hic et nunc non è più elemento di un corso terreno, è invece simultaneamente cosa sempre stata e che si compie nell' avvenire; ed è propriamente davanti all'occhio divino cosa eterna d'ogni tempo, già compiuta in avvenimenti terreni frammentari.
anche dei romanzacci odierni. Essa è chiaramente uno strumento per la rappresentazione della simultaneità in un «tempo vuoto e omogeneo», ossia una complessa parafrasi del termine «nel frattempo». Prendete, a scopo illustrativo, un segmento della trama di un romanzo, in cui un uomo (A) ha una moglie (B) e un'amante (C) che a sua volta ha un altro amante (D). Possiamo immaginare una sorta di grafico temporale per tale segmento, come segue: II
Tempo: Eventi:
Giustamente, Auerbach sottolinea che una tale idea di simultaneità ci è completamente estranea. Il tempo è visto come ciò che Benjamin chiama tempo messianico, una simultaneità di passato e futuro in un presente istantane0 33 . In un tale modo di pensare, il termine «nel frattempo» non può significare molto. La nostra concezione della simultaneità si è sviluppata in un lungo periodo di tempo, e la sua apparizione è certamente connessa, in modi che dovranno essere ancora studiati bene, con lo sviluppo delle scienze laiche. È però una concezione di cosÌ fondamentale importanza che, senza tenerne il dovuto conto, sarebbe difficile indagare l'oscura genesi del nazionalismo. A sostituire il concetto medioevale di simultaneità-nel-corso-del-tempo è stata, per citare ancora Benjamin, un'idea di «tempo vuoto e omogeneo», in cui la simultaneità è obliqua34 , trasversale al tempo, scandita non da prefigurazione e adempimento, ma da sincronia, misurata da orologi e calendari. Perché tale trasformazione sia cosÌ importante per la nascita delle comunità immaginarie delle nazioni, diventa più chiaro se consideriamo la struttura di due forme di rappresentazione che cominciarono a svilupparsi nel '700, il romanzo e il giornale35 ; queste forme offrirono gli strumenti tecnici per «rappresentare» quel tipo di comunità immaginata che è la nazione. Considerate innanzitutto la struttura del romanzo vecchio stampo, una struttura tipica non solo dei capolavori di Balzac, ma
A litiga con B C e D fanno l'amore
A telefona a C B fa compere D gioca a biliardo
III D si sbronza in un bar A cena a casa con B C fa un sogno minaccioso
Notate che in questa sequenza A e D non s'incontrano mai, e possono anche ignorare l'esistenza l'uno dell' altro, se C ha giocato bene le sue carte36 . Cos'è che dunque lega A a D? Due concetti complementari: primo, che entrambi fanno parte di una «società» (Wessex, Lubecca, Los Angeles). Queste società sono entità sociologiche di cosÌ solida e stabile realtà, che i loro membri (A eD) possono perfino venir descritti mentre s'incrociano per la strada, senza mai conoscersi37 , e comunque essere connessi. Secondo, che A e D sono inchiodati nella mente del lettore onnisciente. Solo lui, come dio, vede A telefonare a C, B fare spese e D giocare a biliardo, tutti nello stesso momento. Che tutti questi atti siano compiuti nello stesso tempo metrico, ma da attori ignari l'uno dell' altro, mostra la novità di questo mondo immaginario evocato dall' autore nella mente del lettore3 8. L'idea di un organismo sociologico che si muove ordinatamente in un tempo vuoto e omogeneo, ha una precisa analogia con l'idea di nazione, concepita anch' essa come una solida comunità che
di stampa solo dopo il 1700. FEBVRE E MARTIN, The Coming 01 the Book, p. 197. 36In effetti, l'efficacia della trama può dipendere, nei momenti I, II, III, dalla reciproca ignoranza delle azioni di A, B, C eD. 37Questa polifonia segna la netta demarcazione del romanzo moderno rispetto persino a un precursore brillante quanto il Satyricon di Petronio. La sua narrazione procede su un singolo piano. Se Encolpio si lamenta della mancanza di fede del suo giovane amante, non ci viene simultaneamente mostrato Gitone a letto con Ascilto. 38In questo contesto è interessante paragonare i romanzi storici con documenti o esempi di narrazioni originali del periodo preso in esame.
33WALTER BENJAMIN, Illuminations, p. 265. 34 Ibid., p. 263. Così profondamente radicata è questa nuova idea che si potrebbe dedurre che ogni concetto moderno essenziale è basato sull'idea di «nel frattempo». 35Mentre La princesse de Clèves era già apparsa nel 1678, l'epoca di Richardson, Defoe e Fielding sarà il primo '700. Le origini dei quotidiani moderni sono le gazzette olandesi del tardo '600; ma il quotidiano si diffuse come genere
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si sposta giù (o su) lungo la storia 39 . Un americano incontrerà o conoscerà di nome solo una minuscola manicata dei suoi milioni di compatrioti americani. Non ha nessuna idea di ciò che essi stiano mai facendo. Ha però piena fiducia della loro costante, anonima, simultanea attività. La prospettiva che sto suggerendo sembrerà forse meno astratta se ci dedicheremo brevemente a quattro esempi di narrativa di differenti culture ed epoche, tutti tranne uno legati a movimenti nazionalisti. Nel 1887, il «Padre del Nazionalismo Filippino», José Rizal, scrisse il romanzo Noli Me Tangere, che oggi è considerato il più alto esempio della letteratura filippina. Fu anche il primo romanzo scritto da un «Indio»40. Ecco il suo meraviglioso inizi041 :
non l'abbiano già distrutta. Non crediamo che il suo proprietario l'abbia fatta abbattere, visto che tale compito viene di solito lasciato a Dio o alla natura che, comunque, ha già numerosi contratti con il nostro Governo.
Superfluo ogni commento. Basterà notare che l'immagine iniziale (del tutto nuova per la letteratura filippina) di un ricevimento discusso da centinaia di persone innominate, che non si conoscono, in parti decisamente diverse di Manila, in un particolare mese di un particolare decennio, evoca immediatamente la comunità immaginata. E nella frase «in una casa in via Anloague» «descriveremo in un modo che sia possibile riconoscerla», chi dovrebbe riconoscerla siamo i lettori-noi-filippini. La casuale progressione di questa casa dal tempo «interiore» del romanzo al tempo «esteriore» della vita quotidiana di un lettore (di Manila) offre una conferma ipnotica della solidità di una singola comunità, che abbraccia personaggi, autore e lettore, muovendosi avanti lungo un tempo ordinat0 42 . Notate anche il tono. Mentre Rizal non ha la minima idea dell'identità individuale dei suoi lettori, eppure scrive per loro con un'ironica intimità, come se le relazioni con ognuno di essi non fossero per niente problematiche43 . Niente dà un senso maggiore di netta discontinuità che confrontare Noli con il precedente, più celebrato lavoro letterario di un «Indio», Francisco Balagtas (Baltazar): La Storia di Plorante e Laura nel regno di Albania, la cui prima edizione è datata 1861, ma che potrebbe essere stata composta già nel 183844 . Anche se Balagtas era ancora vivo quando Rizal nacque, il mondo del suo capolavoro era sotto ogni aspetto estraneo a quello di Noli. La sua ambientazione, una splendida Albania medioevale, è spaventosamente lontana nello spazio e nel tempo dalla Binondo degli anni intorno al 1880. I suoi eroi, FIorante, un nobile cristiano albanese, e il suo amico del cuore Aladino, un aristocratico musulmano (
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