Anatomia Patologica - Completo

September 10, 2022 | Author: Anonymous | Category: N/A
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Paolo Gazzetta Anatomia Patologica ___________________________________________________

PAOLO GAZZETTA

ANATOMIA PATOLOGICA SINOSSI

« Hic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae »

Introduzione all’anatomia patologica Prime indicazioni sulle finalità dell’apprendimento dell’anatomia patologica ci vengono dalla seconda metà del 1400, con Antonio Benivieni; le prime osservazioni hanno chiaramente una stretta correlazione con il gesto autoptico e compaiono come semplici annotazioni degli anatomici. Marcello Malpighi (1628-1642) è il fondatore dell’anatomia microscopica e con Giovan Battista Morgagni (1682-1771) l’anatomia patologica riceve il suo input fondamentale; l’autopsia assume da questo

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momento una finalità clinica precisa, ovvero la localizzazione dei processi morbosi (De sedibus et causis morborum ac malorum per anatomen indagatis). 1845-1853: Bennet e Donaldson vengono chiamati al letto del malato; negli anni successivi però l’anatomia patologica mostra uno sviluppo inferiore alle attese, soprattutto a causa del fatto che i patologi rifiutano inizialmente l’utilizzo del microscopio. Rudolf Virchow (omnis cellula e cellula) si riallaccia alle funzioni elementari della vita e allo studio della citologia; nel 1887 viene chiamato al letto del Kaiser Federico III dal dott. McKenzie, per valutare una tumefazione laringea. Negli anni ’60 (USA), Chang fa il primo esame intraoperatorio al congelatore (congelamento, taglio e valutazione in 10-15 minuti), valutazione che permette una rapida decisione chirurgica e terapeutica. L’anatomia patologica si afferma sempre più come disciplina a carattere clinico: oggi il materiale oggetto di studio è prevalentemente ottenuto ex corpore vivo; i prelievi bioptici vengono corredati di una scheda che fornisce dati precisi di identificazione. Il campione viene preparato per lo studio morfologico, immunoistochimico e di biologia molecolare. La fissazione blocca i processi autolitico – degenerativi (formalina) ma anche congelamento e altre metodiche. Il patologo: 1. descrive il pezzo (colore, lesioni, consistenza, necrosi, emorragie) 2. misurazione e documentazione fotografica 3. taglio in sezioni di 3-5 mm di spessore (sezioni seriate poste in biocassette di materiale plastico; vengono poste in un apparecchio che disidrata e diafanizza i campioni 4. inclusione in paraffina: serve a creare una consistenza adeguata per il taglio 5. taglio al microtomo, in sezioni di 2-3 micron; più la sezione è fine, più efficace sarà la colorazione 6. colorazione (in mezzo acquoso) con procedure automatiche; la colorazione serve a produrre un contrasto tra le varie componenti di un tessuto  colorazioni istomorfologiche (EE, Giemsa) e istochimiche (PAS…; oggi abbandonate a favore dell’immunoistochimica). Le informazioni ottenute sono primariamente morfologiche, ma oggi queste non sono sufficienti a rispondere alle esigenze diagnostiche che richiedono informazioni biologico – funzionali. Per esempio, di fronte ad una neoplasia a grandi cellule, come sapere se mi trovo di fronte ad un sarcoma, ad un linfoma, ad un carcinoma? Le metodiche immunoistochimiche (fine anni ’80), ci permettono di caratterizzare una cellula e un tessuto in base alle strutture molecolari che presenta (es. LCA  linfoma). Oggi l’anatomia patologica è soprattutto immunomolecolare con: - scopo diagnostico, (derivazione cellulare) - scopo prognostico, (grado di differenziazione / indice di proliferazione) - scopo terapeutico (utilizzo anticorpi monoclonali)  riconoscimento istotipi (immunoistochimica);  alterazioni biologico / molecolari (biologia molecolare, citogenetica, gene profile con applicazione a malattie genetiche, infettive, neoplastiche. Immunoistochimica: tecnica basata su una reazione antigene – anticorpo; primi esperimenti di Coons negli anni ’40-50. Come posso rendere visibile una reazione Ag/Ab virtuale. Coons lega all’Ab il fluorocromo (emissione di luce a lunghezza d’onda visibile e rilevazione di reazione). Oggi si utilizzano cromogeni che permettono il permanere nel tempo della visibilità della reazione. Analisi molecolare: ibridazione fra sonda genomica e sequenza di basi ad essa complementare. Tecniche: - ibridazione in situ (facile, di rapida esecuzione); - ibridazione su filtro - microarray - FISH - PCR: importante soprattutto per i linfomi; a volte gli infiltrati linfoidi non sono facilmente caratterizzabili come neoplastici, ma specifiche sequenze monoclonali identificano come “anomala” una proliferazione e un infiltrato linfoide. Oggi è addirittura possibile eseguire tecniche molecolari

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su singola cellula (microdissezione laser); è stato così possibile dimostrare la provenienza Bcellulare del linfoma di Hodgkin. Lo scopo è la diagnosi, più o meno precisa. Microarray: fronte avanzato della ricerca biomedica oncologica. Array: allineamento del materiale biologico da analizzare valuta l’espressione genica (mRNA) in 2 modi. Unsupervised analysis (hierarchical clustering): confronto tra molti tipi di tumore e ne classifico le omologie; Supervised analysis: correlazione pattern genetici di tumori omologhi; confronto tra categorie predeterminate di campioni. Il profilo di espressione genica è importante perché: - distingue pazienti ad alto / basso rischio - permette lo sviluppo di nuovi farmaci molecolari. Esempio: carcinoma mammario: espressione gene Her2neu  tirosina chinasi (17q) intracellulare; associazione tra iperespressione e prognosi sfavorevole (metastasi precosi). L’organismo umano produce 90 TK e 43 TK-like. Trastuzumab: Ab monoclonale anti-TK Her2-neu. Più del 50% del lavoro del patologo va oggi oltre la morfologia: - diagnosi - caratteristiche biologico – funzionali - parametri prognostico – predittivi.

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Anatomia Patologica

EMOLINFOPATOLOGI A

Patologia del midollo osseo, dei linfonodi, della milza e del timo

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EMOPOIESI Le cellule del sangue compaiono nel sacco vitellino durante la terza settimana di sviluppo embrionale, generate da una primitiva popolazione di cellule staminali che differenziano esclusivamente in senso mieloide. Sembra che queste cellule originino dal mesoderma della regione intraembrionale dell’aortagonade-mesonefro (AGM) o da un sottogruppo di cellule del sacco vitellino. Dal terzo mese le cellule staminali derivanti dall’AGM/sacco vitellino migrano nel fegato, che da quel momento rappresenta la principale sede dell’emopoiesi fetale, cioè fino al momento della nascita. A partire dal quarto mese di sviluppo, le cellule staminali migrano nel midollo osseo e l’emopoiesi inizia anche in questa sede. Alla nascita il midollo osseo di tutto lo scheletro è emopoieticamente attivo, rappresentando l’unica fonte di cellule ematiche, mentre l’emopoiesi epatica si riduce al minimo e persiste solo in alcuni focolai che divengono inattivi poco dopo la nascita. Alla pubertà inizia l’involuzione del midollo osseo soprattutto nelle sedi appendicolari distali e nel giovane adulto l’emopoiesi è attiva solo nel midollo delle vertebre, delle coste, dello sterno, del cranio, della pelvi e delle regioni epifisarie prossimali di omero e femore. Si calcola che in un adulto soltanto il 50% del midollo osseo sia emopoieticamente attivo. Il MIDOLLO OSSEO EMOPOIETICO è costituito dalle cellule emopoietiche (staminali, progenitori e precursori) e da cellule di supporto che costituiscono, unitamente alla matrice extracellulare, il microambiente midollare. Le cellule di supporto sono rappresentate da osteoblasti, fibroblasti, adipociti, macrofagi e dalle cellule endoteliali dei sinusoidi midollari; le cellule di supporto elaborano la maggior parte dei fattori di crescita, delle citochine e dei componenti della matrice extracellulare necessari per la corretta differenziazione, maturazione e collocazione delle cellule emopoietiche nel microambiente midollare. La CELLULA STAMINALE EMOPOIETICA è caratterizzata dalla capacità di automantenersi, di differenziarsi lungo le varie filiere cellulari midollari e di generare colonie cellulari se coltivata in vitro; la capacità del comparto staminale di non esaurirsi dipende proprio dalla capacità che la cellula staminale ha di effettuare una - divisione simmetrica, che produce cioè due cellule figlie ancora staminali con il suo stesso grado di differenziazione e una - divisione asimmetrica, che produce invece cellule figlie con un più avanzato grado di differenziazione e di maturazione. L’impiego dell’analisi della clonalità (tests di clonogenicità) ha permesso di definire le caratteristiche salienti delle cellule staminali emopoietiche: - sono capaci di creare un equilibrio tra automantenimento e differenziamento; - sono multipotenti; - ciascuna cellula è in grado di generare una progenie di cellule figlie mature sufficiente a garantire la ripresa dell’emopoiesi se trasferita in un organismo sottoposto a condizionamento mieloablativo; - sono rare; [rappresentano circa 1/10000 - 1/100000 della popolazione midollare]; - sono quiescenti (G0) o comunque possiedono un basso indice mitotico nel sistema emopoietico dell’adulto in “steady-state”. L’impiego dell’analisi dell’immunofenotipo ha permesso di definire che una popolazione cellulare in grado di ricostituire l’emopoiesi in un paziente sottoposto a chemioterapia mieloablativa mostra positività per il CD34 e l’AC133 e negatività per il CD38 e l’HLA-DR. Tali cellule si riscontrano nel midollo osseo, nel sangue del cordone ombelicale e in misura minore nel sangue periferico, dove possono essere mobilizzate utilizzando specifici chemioterapici antineoplastici o fattori di crescita. In condizioni fisiologiche le cellule CD34+ costituiscono circa l’1-3% della popolazione midollare, lo 0,1-0,2% delle cellule mononucleate del sangue periferico e lo 0,8-1,2% delle cellule mononucleate del sangue del cordone ombelicale. Si tratta di cellule quiescenti che hanno la caratteristica di entrare frequentemente nel ciclo cellulare (ogni 30 giorni), contenute nelle NICCHIE MIDOLLARI che sono in grado di riconoscere e raggiungere, se infuse nel sangue periferico (“homing”), riconoscendo molecole della famiglia delle integrine (VLA-4) e recettori di adesione (CD44). Il c-KIT consente alla cellula di aderire allo stroma. La mobilizzazione della cellula staminale avviene per azione del G-CSF (fattore stimolante le colonie di granulociti) che indurrebbe i neutrofili a liberare proteasi dirette verso le proteine di adesione delle nicchie midollari. Da recenti studi sembra che le cellule staminali emopoietiche possiedano caratteristiche di plasticità tali da permettere loro la differenziazione in cellule mature di tessuti diversi da quello d’origine.

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Anatomia del midollo osseo Al microscopio elettronico, la cavità midollare appare come una vasta rete di sinusoidi con sottili pareti rivestite da un unico strato di cellule endoteliali adagiate su uno strato discontinuo di membrana basale e cellule avventizie. Nell’interstizio si trovano cluster di cellule emopoietiche e di adipociti; le cellule ematiche differenziate penetrano nei sinusoidi mediante migrazione transcellulare attraverso le cellule endoteliali. I megacariociti si dispongono attorno ai sinusoidi ed estendono propaggini citoplasmatiche che si liberano nel torrente circolatorio per produrre piastrine; i granulociti immaturi sono concentrati presso le trabecole ossee, mentre i granulociti maturi sono localizzati più centralmente. Le malattie che modificano la normale architettura midollare possono indurre liberazione anomala di precursori immaturi nel sangue periferico (leucoeritroblastosi o “screzio leucoeritroblastico”). Una stima ragionevole dell’attività del midollo si ottiene valutando il rapporto ADIPOCITI/CELLULE EMOPOIETICHE che, nell’individuo normale è prossimo a 1. Nelle malattie iperproliferative (anemie emolitiche) può aumentare notevolmente la quota emopoietica, mentre nelle ipo/aplasie midollari il rapporto è a favore degli adipociti. Lo striscio di sangue midollare asciugato all’aria e colorato con MayGruenwald-Giemsa è l’esame d’elezione per lo studio della morfologia cellulare dei precursori midollari, mentre nelle malattie che producono fibrosi midollare (alcuni tumori, mielofibrosi idiopatica, hairy cell leukemia) e nei casi in cui sia necessaria la valutazione complessiva dell’architettura midollare, la biopsia osteomidollare è l’esame di scelta: permette infatti di valutare i rapporti esistenti fra le diverse componenti cellulari (come suddetto).

LE CELLULE DELL’IMMUNITÀ

Linfociti T I linfociti T si differenziano nel timo da precursori immaturi. Cellule T mature vergini (naive) si ritrovano nel sangue periferico, dove costituiscono circa il 60-70% dei linfociti e nelle aree a cellule T degli organi

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linfoidi periferici (cosiddette aree “timo-dipendenti”) come le aree paracorticali dei linfonodi e nelle guaine periarteriolari della polpa bianca splenica. Ogni linfocito T è geneticamente programmato per riconoscere uno specifico antigene attraverso un recettore di membrana, il TCR. In circa il 95% dei T linfociti il TCR consiste di un eterodimero composto da una catena polipeptidica α e da una β . Il TCRα/β riconosce peptidi presentati su molecole MHC da cellule presentanti l’antigene. Le cellule T non sono attivabili da antigeni solubili. La presenza di riarrangiamenti del gene TCR è un marker della linea cellulare T (analisi molecolare). Poiché ogni cellula T mostra un caratteristico riarrangiamento del TCR, la sequenza specifica dei geni per il TCR riarrangiati e lo stesso TCR rappresentano dei sicuri marcatori di clonalità, utili per la distinzione di una proliferazione T cellulare policlonale da una monoclonale. Una piccola popolazione di cellule T esprime un TCRγ/δ i l quale è in grado di riconoscere peptidi, lipidi, piccole molecole, senza necessità di presentazione da parte di proteine MHC (particolarmente efficace nei confronti di molecole quali le proteine da shock termico); questi particolari T linfociti tendono ad aggregarsi sulle superfici epiteliali (respiratoria, gastrointestinale…) e nel liquido sinoviale. La loro funzione specifica, però, non è nota. Il CD4 e il CD8 sono espressi su due sottoclassi di linfociti Tα/β ( 60% CD4+, 30% CD8+ in riferimento alle cellule T mature). Al legame MHC-I/TCR+CD8 e MHC-II/TCR+CD4 segue l’attivazione del linfocito, fenomeno per il quale è necessaria l’interazione del CD28 linfocitario con il B7-1 (CD80) e B7-2 (CD86) espressi sulla cellula presentante l’antigene. Linfociti B I linfociti B originano da precursori immaturi nel midollo osseo. Linfociti B maturi costituiscono il 10-20% della popolazione linfocitaria periferica circolante e sono presenti negli organi linfatici periferici, dove si aggregano in follicoli linfatici che, se stimolati, sviluppano un centro germinativo. Anche il BCR mostra specificità per un solo antigene e questa specificità deriva dal riarrangiamento dei geni per le immunoglobuline e dai fenomeni di ipermutazione somatica. La presenza di geni riarrangiati delle immunoglobuline è un marcatore della linea B, utile per le analisi di clonalità. Sotto stimolo antigenico, i linfociti B si differenziano in plasmacellule producenti anticorpi altamente specifici. I linfociti B esprimono inoltre molecole non polimorfiche, come il CD40 e il recettore Fc. Il recettore-2 per il complemento (CD21) è il recettore specifico per il virus di Epstein-Barr. Le plasmacellule risiedono negli organi linfoidi e nelle mucose; alcune plasmacellule possono migrare nel midollo osseo e ivi risiedere per parecchi anni. Per la risposta B-cellulare è necessaria la corretta funzionalità del sistema Thelper che lega i linfociti B impegnando il CD40 con lo specifico recettore. Diverse citochine stimolano differenti classi anticorpali. Macrofagi Processano gli antigeni e presentano i frammenti peptidici alle cellule T; sono importanti effettori in alcune reazioni immunitarie cellulomediate. Sono stimolati soprattutto dai Th1 (IFN-γ). Inoltre fagocitano batteri opsonizzati (rivestiti da IgG o C3b). Cellule dendritiche Vi sono due tipi di cellule dendritiche funzionalmente abbastanza differenti. Traggono il loro nome dai fini processi citoplasmatici che hanno. Il primo tipo è detto cellula dendritica interdigitata (o semplicemente “cellula dendritica”) e rappresenta il più importante tipo di cellula presentante l’antigene. Cellule dendritiche immature all’interno dell’epidermide sono chiamate cellule di Langerhans. Il secondo tipo è detto cellula dendritica follicolare ed è presente nei centri germinativi dei linfonodi e della milza, importanti per l’attivazione della risposta B cellulare e nella patogenesi dell’AIDS. Cellule NK Rappresentano il 10-15% dei linfociti del sangue periferico e non presentano recettori T cellulari o immunoglobuline di superficie. Sono più grandi dei piccoli linfociti e contengono molti granuli azurofili: vengono definiti anche grandi linfociti granulari. Rappresentano un efficace braccio d’azione dell’immunità innata e sono efficaci in prima linea contro infezioni virali e nei confronti di cellule tumorali, senza precedente sensibilizzazione.

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LINFONODI E LINFOADENOPATIE I linfonodi rappresentano la componente più ampiamente distribuita e più accessibile del tessuto linfoide. Sono strutture grossolanamente reniformi, di pochi millimetri, circondate da una capsula e costituite da tessuto connettivo e da una piccola componente di fibre elastiche. La capsula è perforata da numerosi dotti linfatici che riversano il loro contenuto nel seno marginale; la linfa fuoriesce da esso e filtra attraverso il linfonodo, venendo poi convogliata nei sinusoidi midollari e fuoriuscendo dal vaso linfatico efferente a livello dell’ilo, che è il punto di penetrazione di un’unica vena e di un’unica arteriola. Nella zona corticale, immediatamente sottostante al seno marginale periferico, stanno aggregati di linfociti B vergini definiti follicoli primari, separati dalle regioni parafollicolari che sono invece ricche di linfociti T. Sotto stimolo antigenico i follicoli primari aumentano di volume e si trasformano in centri germinativi, i quali assumono una colorazione istologica chiara. I centri germinativi sono circondati dalla zona mantellare istologicamente più scura, che contiene soprattutto piccoli linfociti B vergini. In particolari condizioni reattive (non normalmente!) esternamente alla zona mantellare si accumula un orletto di cellule B con più citoplasma: questa regione è detta zona marginale ed è invece costitutivamente presente nella milza. La porzione midollare del linfonodo è occupata dai seni della midollare, che rappresentano la sede linfonodale del sistema monocito-macrofagico e della secrezione anticorpale. I follicoli sono la sede dell’immunità umorale: al loro interno vi sono linfociti B (CD20+). I progenitori dei linfociti B sono nel midollo osseo (TdT+) e divenuti linfociti B vergini maturi vanno a localizzarsi preferenzialmente nella zona periferica del follicolo, la zona mantellare. In occasione di presentazione antigenica da parte delle cellule dendritiche follicolari, questi linfociti vanno incontro a blastizzazione: il piccolo linfocito B vergine diventa un grosso immunoblasto e inizia a produrre IgM (REAZIONE IMMUNOLOGICA PRIMARIA). La cellula va in quello che è divenuto un centro germinativo e prolifera; nel centro germinativo troviamo centroblasti e centrociti. Tre ordini di fenomeni avvengono nel centro germinativo: 1. RIARRANGIAMENTO dei geni delle immunoglobuline; 2. SWITCH ISOTIPICO: l’immunoglobulina prodotta inizialmente è sempre un’IgM; cambia il tipo di catena pesante; 3. IPERMUTAZIONE SOMATICA Sono due le opzioni a cui può andare incontro la cellula con affinità specifica per un antigene: - il linfocito può divenire una cellula B della memoria, che si va a localizzare nelle vie aeree, digestive, milza, cute e, se incontrerà nuovamente l’antigene potrà produrre IgA e IgG immediatamente e con alta affinità; - il linfocito può divenire plasmacellula secernente IgG e IgA nei seni della midollare del linfonodo. Le aree parafollicolari/paracorticali sono la sede dell’immunità T cellulare e contengono piccoli linfociti T maturi che hanno già acquisito specifiche competenze immunitarie nel timo e che quindi non vanno incontro ad ulteriori processi di differenziamento e selezione clonale. Le VENULE AD ENDOTELI ALTI rappresentano una valvola di controllo per l’entrata/uscita dei linfociti T dal linfonodo. LINFOADENOPATIE

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(linfoadenite) (linfoadenopatia) NEOPLASIA primitiva/secondaria del linfonodo (linfoma/metastasi) LINFONODO DI DIMENSIONI AUMENTATE (dimensioni maggiori di 1 cm o di 2 cm se inguinale; nel bambino 2 cm in ogni caso): 15 giorni di terapia antimicrobica che si presume efficace e specifica; se non vi è regressione è indicato lo studio istopatologico da prelievo bioptico. Lo studio istologico permette di definire: - IL PATTERN DI REAZIONE:  iperplasia follicolare (reazione B cellulare)  iperplasia diffusa (interfollicolare, reazione T cellulare)  misto  sinusale (reazione monocito-macrofagica) PATOLOGIA INFIAMMATORIA REAZIONE IMMUNITARIA

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APPLICAZIONE DI MARCATORI SPECIFICI:

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CD20 – cellule B CD3 – cellule T CD68 – macrofagi CD34 – endoteli CD21, CD23 – cellule dendritiche

Linfoadenopatie: sede e possibili eziologie correlate - occipitali: inf cuoio capelluto, punture insetti - retroauricolari: rosolia - auricolari anteriori: inf oculocongiuntivali - cervicali posteriori: toxoplasmosi - cervicali anteriori: EBV, inf orofaringe, TBC - mediastino: sarcoidosi, miceti, TBC - ascellari: m da graffio di gatto, linfoadenite dermatopatica, brucellosi, inf da piogeni - epitrocleari: lue, virosi, sarcoidosi, tularemia - addominali: TBC, Yersinia - inguinali: lue, herpes, gonococco, linfogranuloma venereo 1- LINFOADENOPATIA CON PATTERN FOLLICOLARE A. IPERPLASIA FOLLICOLARE ASPECIFICA B. LINFOADENOPATIA IN ARTRITE REUMATOIDE C. LINFOADENOPATIA DA LUE D. LINFOADENOPATIA IN HIV E. M DI CASTLEMAN F. CENTRI GERMINATIVI PROGRESSIVAMENTE TRASFORMATI A.

IPERPLASIA FOLLICOLARE ASPECIFICA

I centri germinativi istruiscono i linfociti B (soprattutto in età infantile); mostrano polarità con porzioni esterne più acuminate; elevata presenza di marcatori di sintesi (Ki67/Mib1) e ricca presenza di macrofagi. Iperplasia follicolare - soprattutto bambini - tanti macrofagi - molte mitosi - grande polimorfismo - bcl2+ solo attorno al centro germinativo (immunoblasti) -

Linfoma follicolare - soprattutto adulti - cellule monomorfe - meno mitosi - no macrofagi - cellule che tendono ad infiltrare il tessuto circostante al centro germinativo - bcl2+ in tutto il follicolo

Studi genetici: t(14;18) bcl2: cromosoma 14: geni immunoglobuline (promotori molto attivi) cromosoma 18: gene ciclina D2 (gene antiapoptotico); 75% dei casi mostra un infiltrato osteomidollare paratrabecolare CD20+; questo è diagnostico di LNH follicolare anche una sede primitiva nota. B.

LINFOADENOPATIA IN ARTRITE REUMATOIDE

Forte stimolo alla produzione anticorpale  accumulo di Ig nel centro germinativo (normalmente presenti solo nella midollare)  corpi di Russel (corpi eosinofili). Complicanze: trasformazione neoplastica per iperstimolazione e neoplasia (LNH da metotrexate)

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C.

LINFOADENOPATIA DA LUE

Il linfonodo si presenta con una capsula fibrosa spessa: iperplasia follicolare + fibrosi capsulare. Molte plasmacellule: nucleo eccentrico, citoplasma basofilo, zona chiara perinucleare (Golgi). Altre caratteristiche: plasmacellule perivascolari; linfoadenopatie inguinali, reazione di Wassermann positiva (VDRL). D.

LINFOADENOPATIA DA

HIV

Centri germinativi senza mantello, senza polarità, con articolazione ad acciottolato (moulding). Infiltrazione di piccoli linfociti nel CG (dissecazione del centro germinativo). Il virus, nel linfonodo causa una iperplasia dei follicoli, depauperamento, atrofia, mentre in circolo è presente una clearance T linfocitaria e Ig mediata. Gli immunocomplessi che si formano con il virus invadono le cellule dendritiche follicolari, che vengono distrutte da linfociti T CD8+  insufficienza funzionale delle cellule dendritiche  elevata viremia  insufficienza T/B cellulare. Nelle prime fasi invece c’è forte stimolo alla produzione anticorpale. Mialgie, perdita di peso, astenia. E. M DI CASTLEMAN Tipo ialinovascolare Ogni età. M=F. Sintomatici 95% delle cellule). Grande attività apoptotica. Linfoma molto aggressivo. Nei nostri paesi interessa soprattutto la giunzione ileocolica, il cieco, l’ovaio, la tiroide. Traslocazione t(8;14); cromosoma 8, gene c-myc cromosoma 14, geni Ig Se una porzione di 8 va sul 14 il gene c-myc viene iperespresso. C-myc è un oncogene. EBV è un potente mitogeno per le cellule B; cellule B altamente proliferanti possono commettere l’errore appena descritto. Radio/chemioterapia sono efficaci. Anche altri virus o reazioni a vaccinazioni (iniezioni nella mammella maschile degli ospedali militari) possono produrre un quadro simile. Aspetto identico a quello della mononucleosi infettiva. Tali quadri sono definiti

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motlet o pomellati. Equivale a dire che i buchettini sul linfonodo sono fatti da grandi cellule B (immunoblasti) stimolati da un virus. Gli aspetti pomellati in un linfonodo non sempre sono infezioni virali. Talvolta (citocheratine+) possono essere metastasi epiteliali (carcinoma lobulare della mammella: non ha desmosomi, non tende ad aggregare. B.

LINFOADENOPATIA ANGIOIMMUNOBLASTICA

Patologia particolarissima. Paziente di 60 anni, con importanti manifestazioni sistemiche, ipergammaglobulinemia, rash, febbre e artropatia. Nel linfonodo: tanti vasi, assenza di strutture tipiche, vasi + immunoblasti. Oggi inquadrata come iperplasia atipica che prelude al linfoma angioimmunoblastico T, molto grave, che porta a morte in breve tempo. Proliferazione oligoclonale neoplastica, diagnosi: tante cellule CD21+ (dendritiche), CD10+ (CALLA) stranamente su T linfociti. 3- LINFOADENOPATIA CON PATTERN MISTO A. TOXOPLASMOSI B. L A DERMATOPATICA C. L A GRANULOMATOSA (SARCOIDOSI) D. L A NECROTIZZANTE (M DI KIKUCHI) E. L A IN LES F. L A TIPO PSEUDOTUMORE INFIAMMATORIO A.

TOXOPLASMOSI

Linfoadenopatia occipitale, retrocervicale. Reazione sierologica o biopsia: pattern misto  follicoli + paracorticale. Peculiarità: aree rosa chiaro, grosse cellule (istiociti epitelioidi); epitelioidi in quanto tra loro adesi come in un epitelio. Granulomi che interessano le aree paracorticali e B cellulari. Come si forma un granuloma: T linfociti che producono linfochine, istiociti, cellule epitelioidi. Aree paracorticali: granulomi soprattutto in aree T; in questa patologia i granulomi sono tipici anche nei centri germinativi. LINFOADENOPATIA DI PIRINGER-KUCHINKA: LINFOADENITE DELLA TOXOPLASMOSI. ESCLUSIVO. GRANULOMI NEL FOLLICOLO, PATTERN MISTO CON IPERPLASIA FOLLICOLARE, CELLULE B MONOCITOIDI. Toxoplasmosi: contagio attraverso contatto con feci gatto, verdura nei campi e carne poco cotta. Terapia con sulfamidici. Pericolosa soprattutto nei primi mesi di gravidanza: encefalo e occhio  calcificazioni oculari e orbitarie. Pericolosa negli immunodepressi (HIV, trapiantati)  toxoplasmosi nel miocardio. B.

LINFOADENOPATIA DERMATOPATICA

Cute eritematosa (donna giovane che si depila le ascelle), linfonodo ascellare ingrandito; forma mista, soprattutto paracorticale; grande stimolazione antigenica, soprattutto cellule dendritiche e tanti melanofagi; la ferita che guarisce è sempre più pigmentata della cute circostante (incontinentia pigmenti). Si chiama anche linfoadenopatia di Pautrier. Curata la cute, guarisce. C.

L A GRANULOMATOSA

Sarcoidosi. Linfoadenite mediastinica, interstiziopatia polmonare, nodosità, granulomi non caseosi fatti da istiociti epitelioidi che talvolta formano cellule giganti con corpi asteroidi e corpi di Schaumann: concrezioni lamellari di calcio e proteine. Ipergammaglobulinemia. Aumento dell’ACE, ipercalcemia. Necessari tutti questi parametri per la diagnosi. Broncoaspirato: aumento linfociti T con aumento TCD4+ rispetto ai TCD8+ (BAL). Linfonodi “a patata”. Escludere micosi, TBC, morbo di Crohn, LH, carcinomi (granulomi senza metastasi). Se c’è necrosi caseosa, il processo è di natura tubercolare.

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Scrofula: simile alla cute del maiale; (tbc); fistole da cui fuoriesce materiale caseoso. Ragazzino con gatto in casa, linfonodo duro e dolente. Paziente febbrile, defervescenza  il linfonodo diventa molle e si riduce un po’  area granulomatosa con necrosi colliquativa a carta geografica. Reazione epitelioidea + linfociti. M. da graffio di gatto (Bartonella henselae). Guarisce. Soprattutto in primavera. Anche encefaliti, epatiti gravi. Quadro identico in adulti all’inguine: linfogranuloma venereo (Chlamydia trachomatis). Bambino con forti dolori addominali, sospetto appendicite acuta. Masse linfonodali mesenteriche: linfoma? Follicoli con granulomi paracorticali, linfociti, cellule epitelioidi, PMN che colliquano. Granulomi che colliquano: Yersinia pseudotuberculosis. D.

L A NECROTIZZANTE DI KIKUCHI

Giovane adulto maschio, linfonodo laterocervicale enorme. Febbre. Due grandi aree chiare nel linfonodo con detriti cellulari. Molte cellule sono andate in necrosi; quando c’è necrosi ci si aspetta di trovare una reazione per lo meno granulocitaria; in questo caso ci sono molti istiociti, immunoblasti, ma non reazione infiammatoria granulocitaria. Linfoadenite necrotizzante. Necrosi senza reazione infiammatoria, con molti immunoblasti T e cellule in apoptosi. Soprattutto donne giapponesi < 30 anni, soprattutto linfonodi laterocervicali. Fatta la diagnosi non occorre far nulla, guarisce per conto suo. Può evocare molte DD’ con aspetto simile. - Se presenti ANA, artralgie  LES; - grosse cellule CD30+  LH con aree di necrosi - LNH immunoblastico con necrosi. 4- LINFOADENOPATIA CON PATTERN SINUSALE A. ISTIOCITOSI DEI SENI (M DI ROSAI-DORFMAN) B. M DI WHIPPLE C. ISTIOCITOSI A CELLLULE DI LANGERHANS D. ISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA E. M DI GAUCHER A. ISTIOCITOSI DEI SENI Si riferisce alla distensione e alla prominenza dei sinusoidi linfatici. Sebbene sia aspecifico, questo tipo di pattern può risultare particolarmente evidente in linfonodi che drenano regioni affette da neoplasie. L’endotelio linfatico appare marcatamente ipertrofico e i macrofagi sono aumentati di numero. Bambino, 12 anni, febbre, leucocitosi, ipergammaglobulinemia. Tolto il linfonodo si vede che ha una spessa capsula e seni enormi  linfoadenopatia con istiocitosi massiva dei seni. L'istiocitosi dei seni con massiva linfoadenopatia, o malattia di Rosai-Dorfman, è una rara sindrome caratterizzata dalla proliferazione non neoplastica di cellule istiocitiche/fagocitiche all'interno dei seni linfonodali. L'eziologia della malattia di Rosai-Dorfman non è nota. La malattia di Rosai-Dorfman solitamente è una sindrome clinica, ma raramente può rappresentare un reperto casuale in linfonodi infiltrati da lesione linfomatose, istiocitosi a cellule di Langerhans, o iperplasia reattiva aspecifiche nel corso di reazioni infiammatorie, autoimmunitarie o neoplasie varie. I pazienti con malattia di Rosai-Dorfman solitamente si presentano con masse linfonodali voluminose e non dolenti, ma a volte coesistono sintomi variabili a seconda della localizzazione extra-nodale che, comunque, è molto rara. Non esiste una terapia codificata della malattia di Rosai-Dorfman che è stata trattata, di volta in volta, con vincristina o vinblastina associate a cortisonici o altri farmacia, con chirurgia e/o radioterapia. Qualche volta interessa occhio e cute: istiociti che nel citoplasma hanno linfociti non digeriti (emperipolesi); marcatore S100, tipico non degli istiociti ma delle cellule dendritiche.

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B. M DI WHIPPLE Seni pieni di istiociti, artropatia, febbre, anemia. Ecografia  endocardite. Istiociti ripieni di glicoproteine PAS+; a livello ileale: villi appiattiti, vie linfatiche dilatate, carcasse batteriche PAS+ (Tropheryma whippelii)  m di Whipple. Stasi linfatica e malassorbimento. Fatta la diagnosi, talvolta su linfonodo, la terapia è antibiotica. C. ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS Il termine istiocitosi è una definizione generale indicante disordini proliferativi delle cellule dendritiche e dei macrofagi. Un piccolo gruppo di malattie sono caratterizzate da proliferazione di un particolare tipo di cellula dendritica immatura, la cellula di Langerhans. Nella maggior parte dei casi queste proliferazioni sono monoclonali e pertanto di probabile origine neoplastica. Nel passato questa patologie erano indicate come istiocitosi X ed erano suddivise in tre categorie: - sindrome di Letterer-Siwe; - malattia di Hand-Schuller-Christian; - granuloma eosinofilo. Queste condizioni sono oggi considerate espressioni differenti dello stesso disordine di base. In ognuna le cellule tumorali esprimono HLA-DR, S100 e CD1a. Presentano abbondante citoplasma spesso vacuolato e nuclei vescicolari contenenti solchi lineari o ripiegamenti. La presenza di granuli di Birbeck nel citoplasma è tipica: al m.e. i granuli di Birbeck hanno un’apparenza pentalaminare a bastoncino e a volte un’estremità dilatata, simile ad una racchetta da tennis. Dato che i granuli non si osservano in tutte le cellule tumorali, l’identificazione dell’espressione di S100 e CD1a mediante tecniche immunoistochimiche aiuta considerevolmente a porre la diagnosi. La distribuzione delle cellule neoplastiche nei tessuti linfoidi e nei visceri è probabilmente attribuibile all’anormale espressione dei recettori della chemochina; mentre le cellule dendritiche normali della cute esprimono CCR6, la loro controparte neoplastica esprime CCR6/7. Questo consente alle DC anomale di migrare nei tessuti che esprimono le chemochine CCL20 in cute e ossa (ligando di CCR6) e CCL19/21 negli organi linfoidi (ligandi di CCR7). L’istiocitosi a cellule di Langerhans si presenta sotto forma di tre entità clinicopatologiche: 1. ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS MULTIFOCALE MULTISISTEMICA (M DI LETTERER-SIWE): si verifica in genere prima dei due anni d’età, ma occasionalmente colpisce gli adulti. Una caratteristica clinica predominante è lo sviluppo delle lesioni cutanee simili a eruzione seborroica, causate da infiltrati di cellule di Langerhans, sulla fronte, sul retro del tronco e sul cuoio capelluto. La maggior parte dei soggetti affetti presenta una concomitante epatosplenomegalia, linfoadenopatia, lesioni polmonari e lesioni osteolitiche. L’estesa infiltrazione del midollo causa anemia, trombocitopenia e predisposizione ad infezioni come otite media e mastoidite. Il decorso della malattia non trattata è rapidamente letale; con CT intensiva, il 50% dei pazienti sopravvive a 5 anni. 2. ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS UNIFOCALE MONOSISTEMICA (GRANULOMA EOSINOFILO): caratterizzate da accumuli erosivi in espansione di cellule di Langerhans, in genere entro le cavità midollari delle ossa. Gli istiociti sono variabilmente mescolati con eosinofili, linfociti, plasmacellule e neutrofili. L’infiltrato eosinofilo è prevalente nella maggior parte dei casi. Qualunque osso può essere coinvolto; in genere la volta cranica, le coste, il femore. Meno comunemente le lesioni monosistemiche di identica istologia compaiono nella cute, nei polmoni, nello stomaco; le lesioni unifocali in genere interessano il sistema scheletrico nei bambini più grandi e negli adulti. Possono essere asintomatiche o causare dolore, fragilità ossea, fratture patologiche. Si tratta di un disturbo indolente che può talvolta guarire spontaneamente o essere trattato con irradiazione/chirurgia. 3. L’istiocitosi MONOSISTEMICA MULTIFOCALE (MALATTIA DI HAND-SCHULLER-CHRISTIAN) (osso, cute) colpisce i bambini piccoli che si presentano con multiple masse ossee erosive che si espandono nei tessuti molli adiacenti. Nel 50% dei pts l’interessamento del lobo ipofisario posteriore porta a diabete insipido. La combinazione di: difetti ossei della volta cranica + diabete insipido + esoftalmo  triade di HandSchuller-Christian. Molti pazienti vanno incontro a risoluzione spontanea, altri possono essere trattati con successo con la chemioterapia.

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4. L’istiocitosi polmonare a cellule di Langerhans rappresenta una categoria particolare osservata in adulti fumatori. Può regredire con la sospensione del fumo e in genere è costituita da una popolazione policlonale di cellule di Langerhans, il che suggerisce che essa rappresenti più un’iperplasia reattiva che una vera neoplasia. Bambino con adenopatia retroauricolare, seni dilatati su fondo di tessuto linfatico. Due popolazioni: istiociti (S100 e CD1+) particolari che presentano l’antigene, granulociti eosinofili. Nel citoplasma vi sono bacchettine a racchetta da tennis. Cellula di Langerhans è generalmente situata nei siti d’entrata degli agenti esterni nell’organismo. Proliferano moltissimo  istiocitosi a cellule di Langerhans. Soprattutto bambini. Prognosi legata al numero di sistemi interessati. D. ISTIOCITOSI EMOFAGOCITICA Bambino, 7 anni, sottoposto a BMT; citopenia, epatosplenomegalia, febbre. Istiociti che autofagocitano globuli rossi e causano anemia. Malattia VAHS (virus associated hemofagocytic syndrome)  CMV, EBV, HSV. È una sindrome grave. E. M DI GAUCHER Lesioni scheletriche, splenomegalia, linfoadenopatie, cellule con nucleo alla periferia. Malattia da accumulo con deficit di sfingolipidasi (cerebrosidi). Non metabolizzano la membrana di globuli rossi vecchi.

MILZA E SPLENOMEGALIE Equivalente circolatorio dei linfonodi nel sistema linfatico. Filtra le sostanze estranee dal sangue, incluse le cellule ematiche senescenti e danneggiate e la partecipazione alla risposta immunitaria degli antigeni circolanti. È il principale deposito dei fagociti mononucleati (polpa rossa) e delle cellule linfoidi (polpa bianca). Normalmente pesa circa 150 g nell’adulto e ha dimensioni di 12x7x3 cm. È racchiusa in una sottile capsula traslucida di connettivo grigio, attraverso la quale si osserva il fragile parenchima splenico rosso scuro. La superficie di taglio è punteggiata di chiazze grigie: i follicoli splenici o malpighiani (polpa bianca). La POLPA BIANCA consiste di aggregati di cellule linfoidi che circondano le arterie spleniche di media grandezza. Una sezione a croce di tale arteria rivela un colletto eccentrico di linfociti T (guaina linfatica periarteriolare). A intervalli questa guaina si espande su un lato dell’arteria, formando noduli linfoidi composti da linfociti B. Su stimolazione antigenica, entro queste aree follicolari si formano i tipici centri germinativi. Il mantello di linfociti che circonda le arteriole penicillari scompare quando questi vasi penetrano nella polpa rossa. La POLPA ROSSA della milza è attraversata da numerosi sinusoidi vascolari a pareti sottili, separati dai cordoni splenici o cordoni di Billroth. Il rivestimento endoteliale del sinusoide è discontinuo, consentendo il passaggio delle cellule ematiche tra i sinusoidi e i cordoni. I cordoni splenici sono simili a spugne e consistono

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di un labirinto di macrofagi lassamente connessi attraverso lunghi prolungamenti dendritici che creano un filtro sia fisico che funzionale attraverso il quale il sangue filtra lentamente. Il sangue percorre due strade per raggiungere le vene spleniche: - una parte fluisce attraverso i capillari nei cordoni splenici, da cui poi filtra nei sinusoidi splenici circostanti e raggiunge le vene (circolazione aperta o compartimento lento); - una parte passa direttamente dai capillari alle vene spleniche; questo circuito chiuso è il comparto con il flusso ematico più rapido. Sebbene solo una piccola frazione del sangue che entra nella milza in ogni momento segua il percorso aperto, nell’arco di un giorno l’intero volume ematico passa attraverso i letti di filtrazione dei cordoni splenici, dove viene selezionato dai macrofagi sinusoidali. Le funzioni della milza possono essere così definite: - rimozione di elementi non desiderati dal sangue per fagocitosi nei cordoni; - funzionalità di organo linfatico secondario: le cellule dendritiche della guaina linfatica intrappolano gli antigeni e li presentano ai linfociti T; le cellule T e B interagiscono ai margini dei follicoli della polpa bianca; nei seni della polpa rossa si trovano plasmacellule secernenti anticorpi; - la milza può fungere da serbatoio di cellule emopoietiche; normalmente l’emopoiesi splenica cessa prima della nascita, ma può essere riattivata in casi di anemia grave; - la milza sequestra una porzione non insignificante di elementi ematici; negli animali con milze contrattili possono essere mobilizzati e costituiscono un importante pool di riserva; la milza umana non è contrattile; nell’uomo la milza normale contiene 30-40 mL di RBC ma in presenza di splenomegalia questa quantità è notevolmente aumentata; ospita anche il 30-40% dell’intero volume piastrinico dell’organismo. La milza può sequestrare fino all’80-90% del volume piastrinico totale circolante e un numero sufficiente di WBC, inducendo leucopenia; - l’insufficienza splenica è caratterizzata da una singola manifestazione clinica principale, qualunque ne sia la causa: maggiore suscettibilità all’infezione disseminata da batteri capsulati, come H. influenzae, pneumococco, meningococco. La milza si ingrossa per: - grossa risposta immunologica; - grossa risposta monocitomacrofagica; - entrambe (soprattutto). I linfociti ricircolano ogni giorno in numero di 500x109; in 30 minuti fanno tutto il giro del torrente circolatorio. Vanno a tutto il MALT, linfonodi, organi (fegato, polmone e sottocute), tornano poi al sangue; possono raggiungere il midollo osseo (che non ha vasi linfatici). La gran parte raggiunge esclusivamente la milza, ricircola e torna al sangue. Milza: impalcatura stromale in cui sono inseriti vasi afferenti (arterie) che poi capillarizzano e versano il flusso nei seni della milza (circolazione chiusa, relativamente rapida). Altri capillari si aprono nei cordoni della milza (polpa rossa, travate macrofagiche che delimitano seni venosi; il sangue può passare nei cordoni, essere filtrato (circolazione aperta, molto lenta). CD68: macrofagi che formano un reticolo. Strutture con analogie e differenze con i linfonodi. Vi sono follicoli e zone T cellulari; nella milza però la regione mantellare presenta un’area eccentrica espansa a contatto con i seni molto strettamente: zona marginale, presente nella milza e nel MALT, che contiene i B linfociti della memoria; si trova a contatto diretto con gli antigeni circolanti nei seni; può differenziare immediatamente in plasmacellula IgG/IgA secernente. Nel linfonodo la zona marginale è presente solo in caso di particolare reattività. I seni sono recettori canalicolari di sangue, che vi arriva direttamente o dopo filtraggio nei cordoni. I cordoni contengono soprattutto macrofagi; presenza di endotelio (FVIII, CD34) con funzione macrofagica (CD8+). Nell’uomo la milza non è contrattile come nel cane; si ingrandisce  ipersplenismo con citopenia generalmente trilineare. Attraverso la membrana basale spesso interrotta gli antigeni possono entrare/uscire dalla milza e così i linfociti: architettura ad “anelli incastrati” con aperture tra loro. Splenectomia indicata in caso di: - ipersplenismo (pancitopenia); - neoplasie; - volumi eccezionali.

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1. SPLENOMEGALIE INFETTIVE O

VIRUS (EBV, CMV)

O

BATTERI (BRUCELLA, SALMONELLA, MICOBATTERI, LUE)

O

PROTOZOI (TOXOPLASMA, LEISHMANIA, TRIPANOSOMA)

O

MICETI (HISTOPLASMA)

O

ELMINTI (SCHISTOSOMA, ECHINOCOCCO)

EBV Recettore nell’epitelio tonsillare (faringodinia, raramente carcinoma nasofaringeo); infetta i linfociti B con meccanismo citolitico o latenza (attivazione policlonale B); le cellule B non sono più riconosciute come self ed evocano una blastizzazione CD8+ nel sangue periferico: rischio di diagnosi di leucemia acuta. Reazione sierologica di Paul-Bunnel: anticorpi anti B linfociti infettati. Grande proliferazione di T linfociti (iperplasie parafollicolari). Le cellule modificate dal genoma virale assumono aspetti simili alle cellule RS del LH. Si può arrivare alla rottura di milza con emoperitoneo. TORCH Nei neonati che presentano una delle seguenti condizioni: - problemi oculari (congiuntivite e cataratta); - problemi cerebrali (calcificazioni); - cardiopatie (pervietà setto); - epatosplenomegalia; - emorragie petecchiali; - polmoniti. T  toxoplasmosi (occhio, cervello); R  rosolia (malformazioni cardiache); C  CMV; la cellula infetta assume un nucleolo enorme a occhio di civetta; epatite, encefalite, petecchie; 2/3 delle gravide sono portatrici immunologicamente competenti; H  herpesvirus per via transvaginale (congiuntivite); O  others (anche lue, tbc…). Anche la milza è interessata: nel gatto si compie il ciclo completo del protozoo; problemi alla donna se è acquisita nei primi mesi di gravidanza; microcefalia fetale, calcificazioni cerebrali. Grave negli immunodepressi (HIV, trapiantati). Leishmania Produce milze enormi. Protozoo diffuso nei paesi in via di sviluppo, anche in Sicilia. Ciclo che si attua in un pappatacio (flebotomo); l’infezione cutanea produce il quadro del “bottone d’oriente”. I protozoi possono essere scaricati in circolo dai macrofagi se il soggetto è poco immunocompetente e producono: epatosplenomegalia, infiltrazione midollare, colorito brunastro della cute (kala-azar, febbre nera), linfoadenopatie, ipergammaglobulinemia. Milza: polpa bianca ridottissima, aree occupate da macrofagi che fagocitano Leishmania (agenti con 2 µm di diametro con un piccolo nucleo detto cinetocore), plasmacellule. Malaria In forma cronica può portare a milze di 5 Kg. Ogni anno muore un milione di persone per malaria. L’agente in cui si compie il ciclo è la zanzara Anopheles che trasmette sporozoiti che vanno nel fegato. Gli sporozoiti vanno a localizzarsi nei RBC, dove si riproducono. Possono indurre una situazione ischemica e rompersi liberando parassiti (accesso febbrile violento); i detriti vanno al rene e formano cilindri  insufficienza tubulare. Nefrosi emoglobulinica (“crash syndrome”). La milza si riempie di macrofagi e pigmento emoglobinico e malarico (ematina, emozoina)  milza verde. I plasmodi sono tutti controllabili dalle clorochine, meno il falciparum, che richiede terapie più complesse.

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Micobatteriosi atipiche I bacilli tubercolari producono una reazione di difesa; il M. avium/intracellulare dà diffusione sistemica ed è difficilmente eradicabile (M.A.I.= m. avium/intracellulare); colpiscono soprattutto immunodepressi (++ HIV). 2. SPLENOMEGALIE IMMUNOLOGICHE O

LES

O

SARCOIDOSI

O

AMILOIDOSI

O

ARTRITE REUMATOIDE

O

S. DI

FELTY

Arteria circondata da fibrosi concentrica lamellare a bulbo di cipolla (LES). Può colpire le grandi sierose, articolazioni, midollo osseo, rene, milza (costantemente interessata). S. di Felty: AR + splenomegalia; alcuni casi possono essere associati a LGL; indolente. Facilità infezioni, accessi di anemizzazione. 3.

MILZE CON GRANULOMI SIMIL-SARCOIDI O

MICOBATTERI

O

CROHN

O

BRUCELLOSI

O

LEBBRA

O

LUE

O

LEISHMANIA

O

ZIRCONIO, BERILLIO (LAMPADE AL NEON)

O

LH – LNH DEFICIT IGA

O

DRENAGGIO CARCINOMI

O

IDIOPATICI (ESCLUSI TUTTI GLI ALTRI).

O

Granuloma: reazione del sistema macrofagico stimolato da cellule T. Cellula epitelioide con corpo asteroide al suo interno (soprattutto sarcoidosi); milze enormi anche in caso di amiloidosi, prognosi nefasta. Birifrangenza verde mela: dicroismo. Diversissimi tipi di amiloide diversa. Amiloidosi AL, AA (++). 4. SPLENOMEGALIE SU BASE CIRCOLATORIA

-

(dilatazione e sclerosi della parete dei seni); (piastrinosi, disturbi coagulativi); CIRROSI EPATICA (soprattutto alcolica, emocromatosica, molto meno quelle postvirali); INFARTI SPLENICI (una grossa milza è spesso irrorata male; infarto  rilascio pigmenti dai globuli rossi; l’infarto ha forma triangolare con base alla periferia e apice al vaso occluso). ENDOCARDITI DEL CUORE SINISTRO (infarti da embolizzazione: necrosi suppurativa): accessi febbrili con dolore splenico parossistico  emocoltura, ecocardiografia; MILZA DA STASI: seni dilatati, sclerosi delle pareti; gli elementi del sangue rallentati vengono più facilmente eliminati o tesaurizzati. INSUFFICIENZA CARDIACA

TROMBOSI PORTALE SPLENICA

5. SPLENOMEGALIE EMATOLOGICHE

o

ANEMIA EMOLITICA

O

PORPORA TROMBOCITOPENICA IDIOPATICA

(anemia falciforme con HbS)

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Anemia falciforme. HbS soffre molto della ipoossigenazione. Polimerizza e forma bracci molto rigidi; i RBC sono indeformabili e rigidi, con aspetto a falce; - trombi nei vasi - osteomielite - insufficienza cardiaca - infarti polmonari - insufficienza renale - trombosi cerebrale Milza inizialmente ingrandita per stasi, poi va incontro ad infarto generalizzato, si sclerotizza e va in atrofia. Vantaggio di resistenza nei confronti della malaria: i merozoiti hanno un circolo molto rallentato e vengono fagocitati meglio. PTI Milza enormemente ingrandita. Istiociti con citoplasma schiumoso che hanno fagocitato membrane piastriniche lisate in seguito alla presenza di anticorpi: marcatore CD68 (macrofagi); terapia: 1. immunosoppressione steroidea (danazolo); 2. splenectomia di seconda linea. Nei bambini/adolescenti, trombocitopenie gravi su base immunologica possono sopravvenire dopo un’infezione virale; rischio di emorragie cerebrali; cortisone ad alte dosi; guarigione in un mese di terapia. 6. SPLENOMEGALIE DA MALATTIE DA ACCUMULO GAUCHER (manca α-glicosidasi) NIEMANN-PICK

o

M DI

O

M DI

O

MUCOPOLISACCARIDOSI

M di Gaucher Si accumulano nel citoplasma dei macrofagi i glicolipidi; la milza è molto ricca di macrofagi (milza + midollo emopoietico + fegato)  cellule di Gaucher che si accumulano nel midollo causando sclerosi midollare e fratture patologiche. Epatosplenomegalia + anemia + fratture  BMT. Cellule a “seta sfrangiata” o a “carta accartocciata”  m di Gaucher. M di Niemann-Pick La forma più grave riguarda il SNC in cui si accumulano sfingomieline. Nelle forme non neuropatiche si accumulano nella milza, linfonodi, polmone. Cellule con microvacuoli (sfingomieline): al m.e.  corpi zebrati, malattia di Niemann-Pick. Mucopolisaccaridosi Gravissime. Si accumulano mucopolisaccaridi (glicosamminoglicani). Eparina e cheratansolfati sono componenti soprattutto delle ossa e delle cartilagini. Sono 6-7 entità cliniche diverse. Deformità scheletriche e acondroplasia. 7. SPLENOMEGALIE NEOPLASTICHE O

LEUCEMIE

O

LNH

O

LH

O

M MIELOPROLIFERATIVE

O

MASTOCITOSI SISTEMICA

O

TUMORI STROMALI SPLENICI BENIGNI/MALIGNI

O

METASTASI

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Leucemie Ad esordio con splenomegalia. Anziano con anemia, leucopenia, neutropenico, piastrinopenia. Milza sostituita da piccoli linfociti e da una quota minore di prolinfociti più grandi (LLC-B). Linfocito B neoplastico marcato con CD5 (tipico marcatore T), CD23. Il linfocito blastizza per dividersi (paraimmunoblasti, precursori dei piccoli linfociti o prolinfociti). Pazienti molto a rischio di secondo tumore (polmone, intestino, melanoma). Le proliferazioni linfatiche a bassa malignità si curano malissimo. Trasformazione prolinfocitica della LLC  progressione molto più rapida. Lesioni cutanee, splenomegalia, linfociti, knobby cells (cellule bernoccolute); piccoli linfociti T; interessa cute e milza  LLC-T, molto più rara nei paesi occidentali, molto più grave. Leucemia a grandi linfociti granulati: splenomegalia, artropatie, anemia; allo striscio periferico: - corpi di Howell-Jolly negli eritrociti (residui nucleari); - grosso linfocito granulare (LGL) marcati con CD8+ oppure a fenotipo NK. Hairy-cell leukemia: splenomegalia enorme; piastrinopenia, non linfoadenopatie, linfocitosi nel sangue periferico a tricoleucociti. Fibrosi midollare: no aspirazione midollare: punctio sicca perché il midollo è pieno di fibre reticolari. Cellule con marcatori particolari B: CD20+, fosfatasi acida tartrato-resistente (marcatore delle cellule neoplastiche periferiche). Terapia con cladribina: è una terapia mirata. Nel fegato i tricoleucociti occupano i seni epatici e vi aderiscono. Linfomi non Hodgkin

-

Basso grado: microgranularità non confluenti: occupano le aree in cui abita la loro controparte normale. Stadio avanzato (III/IV). Alto grado: enormi nodosità confluenti che occupano il tessuto con effetto destruente. Diagnosticati in stadio non avanzato, spesso consentono anche una RT locale.

Dal punto di vista prognostico lo stadio avanzato di un LNH a basso grado ha solo significato terapeutico, non prognostico. (bcl2 t(14;18)) (infiltrano parete vasi, polpa rossa) LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE (MZL  cellule B memoria, caratteristico della milza e del MALT): tessuti con lunga stimolazione immunologica: stomaco (H. pylori), tiroidite di Hashimoto, s Sjoegren. Sono cellule che tornano sempre nella loro nicchia di origine e tendono ad essere localizzati. Eliminato lo stimolo immunologico queste neoplasie regrediscono in misura variabile. In circolo possono mandare grosse cellule con molto citoplasma. Nel midollo si dispongono lungo i capillari (cellule simili ai tricoleucociti). LINFOMA FOLLICOLARE LINFOMA MANTELLARE

LNH A GRANDI CELLULE B:

soprattutto nelle tonsille (anziano), milza, linfonodi e fegato; in genere diagnosi in stadio precoce limitato alla sede di insorgenza. T EPATOSPLENICO γ/δ: gravissimo linfoma del giovane; nella milza interessa solo i sinusoidi (soprattutto CD3+ e CD5+); nel fegato occupano tutti i seni. Piastrinopenia, adenopatie, prognosi grave. LINFOMA

Linfoma di Hodgkin L’infiltrazione splenica è indicativa di III stadio. Per LH è importante la stadiazione per la prognosi, in quanto il tumore si sviluppa per catene linfonodali contigue; stadio avanzato è un fattore negativo. IV stadio indica interessamento midollare e grave prognosi. Nell’anziano la prognosi è peggiore. Malattie mieloproliferative

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Paolo Gazzetta Anatomia Patologica ___________________________________________________ MIELOFIBROSI IDIOPATICA:

punctio sicca, enorme splenomegalia, midollo: megacariociti che crescono creando fibrosi. I megacariociti rilasciano FGF, PFIV, TGFβ, osteoprotegerina (collagene, reticolo). Anemia, piastrinopenia, leucopenia, emopoiesi splenica (inefficace)  metaplasia mieloide. MPO+ (serie bianca). Glicoforina (marcatore serie rossa); eccesso di CD34+ staminali circolanti che vanno a cercare homing in giro per l’organismo (milza, fegato, meningi, parete toracica). Digressione su alcune entità cliniche particolari: Pseudotumore infiammatorio: curiosa entità. Il processo flogistico raggiunge dimensioni notevoli. È costituita pressoché solo da processo infiammatorio. La diagnosi può essere sospettata dall’ecografia (massa che si espande internamente) a paziente asintomatico o il paziente può presentare movimento degli indici infiammatori, dolori addominali, trombocitosi modesta, febbre, anemia, leucocitosi. Esame istologico: milza sovvertita  sclerosi all’interno della quale ci sono linfociti, plasmacellule, fibroblasti (cellule di tipo flogistico cronico); non vi sono cellule neoplastiche. L’asportazione è risolutiva. Tumore a cellule follicolari dendritiche: aspetti pseudotumorlike. Può dar luogo a falsa diagnosi di pseudotumor. Si tratta però di un vero tumore con cellule atipiche, cellule follicolari dendritiche tutte simili con funzione di presentare l’antigene al sistema immunitario: attenzione a - atipie - cellule di tipo sinciziale questa neoformazione è clonale e contiene il genoma di EBV: malignità limitata, non metastatizza. Neoplasia dei mastociti: segni e sintomi: frequenti: più rari: flushing ipotensione dolori addominali shock, anafilassi intermittenti testa vuota, cefalea diarrea irritabilità nausea deficit memoria vomito cambiamenti cardiopalmo personalità artralgie ulcera peptica dolori ossei esofagite sintomi respiratori infiltrazione splenica perivasale (mastociti). I mastociti sono marcati con triptasi. Cellule ricchissime di granuli metacromatici (contengono istamina ed eparina, cioè glicopolisaccaridi acidi). Epatosplenomegalia e infiltrazione midollare; mastocito  citochine che richiamano eosinofili, inducono angiogenesi, inducono fibrogenesi, vasodilatazione (istamina). Sulla cute forma la cosiddetta orticaria pigmentosa.

MEDIASTINO E PATOLOGIA DEL TIMO Il mediastino è un’area compresa fra la colonna vertebrale, la parete toracica, il diaframma e la prima costa. III/IV vertebra toracica (divide il mediastino in superiore e inferiore). Mediastino anteriore/mediastino posteriore. Nel mediastino medio alloggia il cuore. I diversi compartimenti possono ospitare patologie diverse tra loro; c’è differente incidenza anche per età. Mediastino superiore: può scendervi la TIROIDE (gozzo ploujant cfr);

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-

TIMO LINFONODI

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PARATIROIDI (possono scendervi). Mediastino posteriore: GANGLI NERVOSI che accompagnano i tronchi del simpatico cervicale/toracico (tumori delle strutture nervose); Mediastino medio: CISTI DA PATOLOGIA PERICARDICA; CISTI DA PATOLOGIA BRONCHIALE; LINFOMI; Mediastino anteriore: TUMORI DEL TIMO TUMORI TIROIDE LINFOMI TUMORI GERMINALI (soprattutto testicolari, anche senza riscontro nella gonade).

TIMO Il timo, insieme con le paratiroidi inferiori, deriva embriologicamente dalla III e, variabilmente IV coppia di tasche faringee (struttura endodermica). Una o due paratiroidi vengono sporadicamente racchiuse nella capsula timica. Il timo o una sua parte, possono presentare localizzazioni ectopiche nel collo o sulla superficie pleurica. Alla nascita il timo pesa 10-35 g, continua ad aumentare di dimensioni fino alla pubertà, quando raggiunge i 20-50 g. Da allora in poi subisce una progressiva atrofia (si riducono i lobuli e viene infarcito di tessuto adiposo) che lo porta nell’anziano ad avere un peso di 5-15 g. L’involuzione è accompagnata dalla sostituzione del parenchima da parte di tessuto fibroadiposo. La crescita e l’involuzione hanno ritmi molto variabili; l’involuzione può avvenire rapidamente anche nel giovane in seguito a periodi di forte stress (come in corso di infezione di HIV). Ha una forma piramidale ed è ben capsulato e composto da due lobi fusi; le estensioni fibrose della capsula dividono ogni lobo in numerosi lobuli, ciascuno dei quali possiede uno strato corticale esterno che racchiude una zona midollare centrale. Predominano le cellule epiteliali timiche e i linfociti immaturi della linea T. direttamente sotto la capsula sono presenti cellule epiteliali in una fila quasi continua ma più in profondità esse sono organizzate in una lassa rete entro cui i linfociti si sviluppano e maturano. Queste cellule hanno abbondante citoplasma e pallidi nuclei vescicolari; le estensioni citoplasmatiche vengono a contatto con le cellule adiacenti. Al contrario le cellule epiteliali della midollare sono raggruppate più densamente e possono essere affusolate con nuclei ovali scuri e hanno solo scarso citoplasma privo di prolungamenti di interconnessione. Spirali di queste cellule creano i corpuscoli di Hassal, con le loro parti centrali cheratinizzate (perle cornee). Le cellule linfatiche immature migrano dal midollo osseo al timo e, una volta maturate, raggiungono le aree timo-dipendenti degli organi periferici (zone paracorticali dei linfonodi, guaine periarteriolari della milza). La produzione timica di cellule T diminuisce lentamente durante l’età adulta. Oltre ai timociti e alle cellule epiteliali, nel timo si trovano macrofagi, cellule dendritiche, una piccola popolazione di linfociti B, rari neutrofili ed eosinofili, cellule mioidi disperse. Le cellule mioidi sono di particolare interesse per lo sviluppo della myasthenia gravis pseudoparalytica. Per riconoscere una struttura timica bisogna evidenziare la presenza di spazi perivasali clamorosamente ampi, che nessun altro organo ha. Questi spazi servono a creare una barriera timica che impedisce agli antigeni di entrare a contatto con i linfoblasti T e permette di uscire solo ai linfociti T. La midollare è chiara: pochi linfociti; la corticale è scura: molti linfociti. Nella midollare ci sono cellule più cellule epiteliali che possono raccogliersi a formare perle di cheratina. Due componenti molto integrate tra loro: cellule epiteliali e linfociti strettamente in relazione: addirittura qualche linfocito è compreso dentro ad una cellula epiteliale che l’abbraccia (emperipolesi, dal greco “abbracciare”, serve ad educare i linfociti). Il linfocito T deve riarrangiare il TCR (a.). Nel timo c’è un grosso cimitero di cellule in apoptosi (tutti linfociti riusciti male, non educabili); le cellule epiteliali formano una rete: 1. cellule nurse; 2. cellule M (macrofagi);

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3. 4.

cellule dendritiche; cellule muscolari striate; Nel timo avvengono altri due fenomeni: b. riconoscimento del self (tolleranza); c. selezione (fenomeno per cui i T linfociti vengono abituati ad agire solo per legame con MHC II). La capsula del timo si introflette a formare spazi perivascolari con grossi aggregati di cellule B (CD20). Sono presenti follicoli di B linfociti che aumentano enormemente in certe patologie. TdT  cellule B/T immature (enzima che serve a riarrangiare il TCR e scompare nella porzione midollare, dove i linfociti sono più maturi  terminal-desossi-nucleotidil-transferasi.). Nel timo: PROLIFERAZIONE TOLLERANZA DIFFERENZIAZIONE RESTRIZIONE Aplasia Timica (sindrome di DiGeorge) Delezione 22q11. tetania paratireopriva (mancano le paratiroidi) deficit T clamoroso (infezioni intracellulari) malformazioni cardiache malformazioni degli archi branchiali (agenesia della mandibola) In altri casi il timo è piccolo e displastico, senza linfociti  SCID (immunodeficienza grave combinata). Se manca ADA (adenosin-deaminasi), i linfociti si riempiono di sostanze tossiche e non agiscono; se è mutata la catena γ i linfociti T sono irresponsivi. TUMORI DEL TIMO Classificazione WHO Classificazione clinicopatologica A…………………………………………….. TIMOMA BENIGNO AB…………………………………............... TIMOMA BENIGNO B1…………………………………………………. TIMOMA MALIGNO CATEGORIA 1 B2…………………………………………………. TIMOMA MALIGNO CATEGORIA 1 B3…………………………………………………. TIMOMA MALIGNO CATEGORIA 1 C……………………………………………………….TIMOMA MALIGNO CATEGORIA 2 (metastatizzano) A e AB  derivati dalla componente meno proliferante (midollare); B1, B2, B3  derivati da porzione corticale proliferante. Timoma: problemi legati alla massa; presenza coincidente di sindromi paraneoplastiche. Il timoma è un tumore sempre dell’adulto, che coinvolge entrambi i sessi, con un’età media di 40-50 anni. TIMOMI (WHO, 2003) A  atrofico (simili al timo in involuzione, midollare) B  bioattivo (simili al timo proliferante, corticale) C  cancro Massa mediastinica rilevata con imaging  agoaspirato (fine needle aspiration)  eritrociti, cellule epiteliali con linfociti nel citoplasma  indicativo di timoma  intervento chirurgico  esame istopatologico: citocheratine (cellule epiteliali), linfociti  diagnosi istologica. Caratteristiche dei timomi: pattern organoide

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componente epiteliale/linfocitaria no atipie

Pezzo operatorio  volume della massa  si vedono i setti (il tumore mantiene l’organizzazione del timo); generalmente ben circoscritto. Istologia: molti setti che suddividono la struttura tumorale e si riuniscono a formare una specie di puzzle. Uno dei criteri più importanti per la prognosi è lo stadio (estensione) e il grado (aspetto). Stadio 1 2 3 4 5 6 1.

tutto contenuto nella capsula viene fuori poco sporge molto dalla capsula impianti extratimici (pleura) metastasi linfonodali metastasi a distanza (polmone, fegato) Timoma A

Cellule atrofiche, allungate, esprimono citocheratine. Sembrano fibroblasti; non ci sono linfociti; cellule che non producono sostanze di richiamo per i linfociti. 2.

Timoma B

Passando da B1 a B3 aumenta il numero di cellule epiteliali, si riduce il numero di linfociti e aumenta l’invasività. CD1a mette in evidenza linfoblasti (T?); aspetto organoide con formazione di strutture timosimili e corpi di Hassal (tende a differenziare la porzione midollare. B2: setti, linfociti e buchetti chiari che corrispondono alle cellule epiteliali. Grandissimo numero di spazi perivasali. SINDROMI PARANEOPLASTICHE

- Myasthenia gravis - Aplasia pura eritroide (eritroblastopenia selettiva acquisita) Inoltre: s Cushing, s Addison, neuromiotonia, anemia emolitica, ipogammaglobulinemia, miocardite, panipopituitarismo, polimiosite, sindrome dell’uomo rigido (stiff man syndrome), artrite reumatoide, LES, tiroiditi, sclerodermia. L’asportazione generalmente normalizza la situazione. Myasthenia gravis: sindrome dei cercatori di stelle, dei guardatori di vetrina (per la ptosi palpebrale e per l’astenia). 80% ha anomalie timiche (15% timoma, 85% iperplasia linfoide timica), 20% ha un timo normale. Iperplasia timica: sono presenti nodulotti formati da cellule B; nel timo sono presenti miocellule striate (marcate con desmina, mioglobina e actina). I tumori più frequentemente associati a MG sono i timomi B (bioattivi). Generalmente, fattori prognostici per i tumori sono il grading, lo staging e il performance status. 3.

Timoma C (carcinoma timico)

Sintomi da massa. Età 50 anni. Metastatizzano. Sono formati da cellule epiteliali (carcinosarcoma, papillare, indifferenziato, epidermoide…). EBV: donne giovani  carcinoma linfoepiteliale, può localizzarsi nel timo, ghiandole salivari…(rinofaringe).

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I setti non sono così evidenti, può essere presente cheratina (epidermoidale cheratinizzante, simile al carcinoma squamoso del polmone: importante differenziarli). Sistema prognostico semplificato Istologia Non-C Non-C C C 4.

Stadio I/II III/IV I/II III/IV

Prognosi Eccellente Intermedia Intermedia Prognosi povera

Tumori neuroendocrini

Nel timo sono presenti anche cellule neuroendocrine  tumori neuroendocrini: carcinoide (CaNeWD1) carcinoma a piccole cellule (CaNePD2): sembrano linfociti, ma positivo alle citocheratine; raddoppiano in 24-48h. la chemioterapia è molto attiva. Marcatori esclusivi delle cellule neuroendocrine: cromogranina, somatostatina, etc. 5.

Tumori germinali mediastinici

Soprattutto maschi giovani; frequenti; 15% di tutte le neoplasie mediastiniche. Sintomi di massa, compressione vena cava. Prevalgono quelli Teratomatosi (70% infanzia), in cui spesso si sviluppa tessuto pancreatico secernente insulina. Non seminomatosi: producono HCG (placenta) AFP (seno endodermico = vitellino). Associazione con neoplasie ematologiche (isocromosoma 12). Sviluppo di tessuti somatici; molti aggregati di linfociti (seminoma), reazioni granulomatose. Questo perché la linea germinale è normalmente isolata dal sistema immunitario e in questo caso viene a contatto con esso e, riconosciuta come non self, genera reazioni granulomatose. PLAP: fosfatasi acida placentare: trovarlo nel siero o nei tessuti ci permette di porre diagnosi di seminoma. Tumori germinali: mediastino, testicolo, retroperitoneo, ipofisi (tutta la linea mediana). Tumori non seminomatosi Gonade (che è una porzione di mesonefro); nel testicolo/ovaio risponde molto bene alla RT e può guarire; nel mediastino è decisamente più grave. Nel tumore possono essere presenti tutte e tre le derivazioni embrionali  teratoma. Carcinoma embrionale: simile ad un adenocarcinoma. Marcato con CD30, che è un marcatore della cellula RS. Risponde molto bene a chiemioterapia con metalli pesanti (cis-platino), anche se presentano già metastasi. Tumore del sacco vitellino: producono AFP; tipico dei bambini piccoli (orchioblastoma); ottima prognosi nel bambino. Teratoma mediastinico: maturo (derivati di tutti i foglietti embrionali), immaturo (tessuti immaturi, prognosi non buona). Corioncarcinoma: secerne HCG. Cellule = placenta  attività angiotròpa. Tropismo per i vasi. Possono partire dal testicolo e andare nel polmone. Grave, metastatizza facilmente. Nell’ovaio risponde bene al metotrexate; risponde meno bene nel mediastino (++ maschi). Se rapida crescita  necrosi, emorragie (non ha il tempo di acquisire adeguata vascolarizzazione). 6.

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Altre patologie del mediastino

Carcinoma neuroendocrino well differentiated. Carcinoma neuroendocrino poorly differentiated.

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CISTI TIMICA DA INVOLUZIONE: il timo in involuzione forma cisti che possono rompersi e creare una reazione necrotico-infiammatoria. Talora cisti simili si formano nel contesto di un timoma o di un linfoma di Hodgkin. Cisti: benignità/tumore contiguo  seminoma timico, LH. LINFOMA DI HODGKIN, VAR SCLEROSI NODULARE: massa, tosse, astenia; aspirato  cellule RS a occhio di gufo; cellule lacunari CD30+. Sintomi sistemici, localizzazione. Importante la stadiazione.  FEBBRE SEROTINA  SUDORAZIONI NOTTURNE  PERDITA DI PESO > 10%  PRURITO  DOLORE NEL LINFONODO INTERESSATO SE BEVE ALCOL

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LINFOMA B PRIMITIVO DEL MEDIASTINO: molto aggressivo. Tipico delle donne giovani; dà strane metastasi (rene, pleura); CD20+ comprese in un tessuto sclerotico, CD23+. LINFOMA LINFOBLASTICO: bambino con massa nel mediastino anteriore. Grossi elementi linfoidi. Tdt+; se occupa anche il sangue periferico  leucemia/linfoma linfoblastico T (il B non dà massa mediastinica). Va a testicolo/meningi. M DI CASTLEMANN: patologia tipica del mediastino (cfr. linfoadenopatie). TUMORI DEL SNP: cellule gangliari, filamenti nervosi; cellule molto differenziate (ganglioneuroma); neuroblastoma: forma rosette, molto maligno, del bambino.

NEOPLASIE LINFOIDI I linfomi costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie linfoidi caratterizzate dalla proliferazione clonale e dall’accumulo di elementi linfoidi neoplastici. I vari tipi istologici presentano notevoli differenze nella presentazione clinica, nella storia naturale e nella risposta alla terapia. Possono originare da elementi linfoidi B o T. Il modo più comune con cui si presenta all’osservazione clinica un paziente affetto da linfoma è l’ingrandimento progressivo e persistente di uno o più linfonodi superficiali (cervicali, ascellari, inguinali); i linfonodi non sono generalmente dolenti. Se il linfoma esordisce in sede mediastinica o addominale, i sintomi possono essere vaghi e legati alla massa o alla compressione delle strutture vasculonervose o parenchimali viciniori. Quando insorge in sedi extranodali (tonsille, stomaco, intestino, cute, polmone, tiroide, testicolo, cervello) i sintomi saranno legati all’alterazione della normale funzionalità della sede anatomica interessata. L’adenopatia può essere accompagnata dai cosiddetti sintomi sistemici. In alcuni casi di linfoma di Hodgkin può comparire prurito intrattabile (non compreso fra i sintomi sistemici). Negli ultimi anni è stato possibile rilevare un aumento considerevole dell’incidenza di neoplasie linfoidi, principalmente a causa dell’uso di sostanze chimiche e radiazioni elettromagnetiche che hanno il potere di alterare cellule molto sensibili; una spiegazione pratica è data inoltre dallo sviluppo di tecnologie farmaceutiche innovative in campo ematologico. Da circa cinquant’anni lo studio dei linfomi ha portato ad un’evoluzione della conoscenza di queste patologie e ad una conseguente incessante attività classificativa. I percorsi classificativi, il cui processo è stato dettato dalla necessità di una più stretta associazione tra le nuove conoscenze biologiche delle neoplasie linfoidi e i quadri clinico-prognostici che esse producono, hanno portato alla classificazione WHO, 2001, cui noi oggi facciamo riferimento. “L’impulso a classificare è uno degli istinti fondamentali della specie umana, come l’impulso al peccato.” Classificazioni principali - Rappaport, 1966 - British ILN, 1973 - KIEL (prof. Lennert), 1974 - Working Formulation, 1982 - REAL, 1994 - WHO, 1997-2001.

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RAPPAPORT,

1966 Diffuso

Nodulare well/poorly differentiated lymphocytic lymphoblastic convoluted/non convoluted - “histiocytic” - Burkitt’s type Criteri morfologici, architetturali; divide in nodulari/diffusi; presenta una modesta correlazione clinica. -

Poorly differentiated lymphocytic; Mixed cell “histiocytic”

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KIEL,

1974 – PROF. LENNERT La definizione del tipo istologico contiene un riferimento all’immunofenotipo ed allo stadio di differenziazione della linea linfoide a cui l’elemento neoplastico può essere attribuito. È una classificazione più raffinata che distingue in basso grado / alto grado  si tratta di un riferimento all’aspetto citologico, non prognostico. Adottata da tutti i patologi europei; classificazione in base alla supposta origine cellulare (controparte normale). Low grade (piccole cellule) - lymphocytic - lymphoplasmacitoid - centrocytic - centroblastic/centrocytic

High grade (grandi cellule atipiche) - centroblastic - lymphoblastic o Burkitt’s type o Convoluted type o Others - Imunoblastic

Gli americani non accettarono la classificazione Kiel e ne producono altre. Al National Cancer Institute di Bethesda viene creata la WORKING FORMULATION, 1982 (mal riuscita). Si tratta di una classificazione operativa per uso clinico basata su criteri puramente morfologici. Distingue tre categorie fondamentali con prognosi diversa (aspettativa di vita di 7,3,1 anni). Basso grado - piccoli linfociti - follicolare, piccole cellule - follicolare, piccole e grandi cellule

Grado intermedio - follicolare, grandi cellule - diffuso, piccole cellule - diffuso, misto - diffuso, grandi cellule

Alto grado di malignità - immunoblastico a grandi cellule; - linfoblastico; - a piccole cellule (Burkitt e non Burkitt).

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Rappresenta un compromesso terminologico confuso; le categorie prognostiche non tengono conto dei dati biologici, ma solo della sopravvivenza. Negli anni ’90 vi è stata una continua diatriba tra gli Americani e gli Europei che passa attraverso la revisione della Kiel nel 1992. Nel frattempo l’approccio allo studio dei linfomi diventa francamente biologico. Nel 1994 la diatriba si conclude con la stesura di una “Revised European/American Lymphoma Classification, REAL, 1994. Utilizza dati biologici, fenotipici, clinici, molecolari, morfologici; evita la diatriba, ma i buoni propositi non sono sostenuti da dati clinici. International Lymphoma Study Group  proposta di nuova classificazione (WHO, 2001) LINFOMI B - neoplasie dei precursori B  LEUCEMIA/LINFOMA LINFOBLASTICO DEI PRECURSORI B - neoplasie a cellule B mature  LEUCEMIA LINFOCITICA CRONICA / LINFOMA A PICCOLI LINFOCITI  LEUCEMIA PROLINFOCITICA A CELLULE B  LINFOMA LINFOPLASMOCITICO  LINFOMI DELLA ZONA MARGINALE NODALE E SPLENICO  LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE EXTRANODALE  LINFOMA MANTELLARE  LINFOMA FOLLICOLARE  LEUCEMIA A CELLULE CAPELLUTE  PLASMOCITOMA / MIELOMA PLASMACELLULARE  LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE B  LINFOMA DI BURKITT LINFOMA DI HODGKIN  LH CLASSICO • SCLEROSI NODULARE • CELLULARITÀ MISTA • RICCO IN LINFOCITI • DEPLEZIONE LINFOCITARIA  LH A PREDOMINANZA LINFOCITARIA NODULARE LINFOMI T - neoplasie dei precursori T  LEUCEMIA / LINFOMA LINFOBLASTICO DEI PRECURSORI T - neoplasie a cellule T/NK periferiche  LEUCEMIA PROLINFOCITICA A CELLULE T  LEUCEMI A LINFOCITI GRANDI GRANULARI  MICOSI FUNGOIDE / SINDROME DI SÉZARY  LINFOMA A CELLULE T PERIFERICHE NON SPECIFICATO  LINFOMA A GRANDI CELLULE ANAPLASTICO  LINFOMA ANGIOIMMUNOBLASTICO A CELLULE T  LINFOMA A CELLULE T ASSOCIATO A ENTEROPATIA  LINFOMA PANNICULITICO A CELLULE T  LINFOMA EPATOSPLENICO A CELLULE Tγ/δ  LEUCEMIA / LINFOMA A CELLULE T DELL’ADULTO  LINFOMA A CELLULE NK/T TIPO NASALE  LEUCEMIA A CELLULE NK

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Cellule di origine delle più comuni neoplasie linfoidi. CLP: precursore linfoide comune; BLB: linfoblasto pre-B; NBC: cellula B nativa; MC: cellula B mantellare; GC: cellula B del centro germinativo; MZ: cellula B della zona marginale; DN: cellula pre-T CD4/CD8 doppio negativo; DP: cellula pre-T doppio positivo; PTC: cellula T periferica; PC: plasmacellula.

Meccanismi patogenetici molecolari dei linfomi Nei disordini linfoproliferativi è spesso presente un’alterazione dei geni che controllano i processi del ciclo e della crescita cellulare; in pratica si verifica un blocco del processo apoptotico, cioè del processo di morte cellulare programmata, che avviene per tutti i cloni linfoidi sviluppatisi nel nostro organismo non utili alle esigenze del sistema immunitario. I meccanismi responsabili dell’alterata funzione genica nei linfomi sono: 1. 2. 3. 4.

traslocazioni cromosomiche amplificazioni geniche mutazioni somatiche delezioni geniche

TRASLOCAZIONI CROMOSOMICHE

Trattasi di riarrangiamenti cromosomici non casuali che giustappongono i geni delle immunoglobuline o del recettore della cellula T con numerosi altri geni; questi ultimi perdono le loro sequenze regolatorie e vengono posti sotto il controllo di sequenze che regolano l’espressione di geni codificanti per le Ig o il TCR. Tali traslocazioni, considerate patognomoniche dei disordini linfoproliferativi, sono probabilmente causate da errori verificatisi durante il processo di ricombinazione somatica dei geni delle Ig o del TCR; ciò sarebbe confermato dal fatto che, nelle traslocazioni che coinvolgono i geni Ig, a livello del punto di rottura situato nella regione DJ dei geni delle catene pesanti, vengono aggiunti nucleotidi random “N” forse per azione della stessa ligasi coinvolta nella ricombinazione VDJ; la cellula bersaglio di tali traslocazioni potrebbe perciò essere il linfocito proB/preB. Altri dati lasciano supporre che la traslocazione avvenga a livello del centro germinativo (punto di rottura nella regione di switch delle catene pesanti). Bcl1  t(11;14)(q13;q32): si osserva nel 70% dei linfomi mantellari. Si verifica la giustapposizione tra cene bcl1 e locus IgH. Il gene bcl1 (ciclina D1) viene così ad essere posto sotto il controllo di regioni enhancer che promuovono la trascrizione IgH. La deregolazione di bcl1 impedisce il passaggio dalla fase G1 alla fase S.

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Bcl2  t(14;18)(q32;q21): presente nel 90% dei linfomi follicolari. La traslocazione pone il gene bcl2 sotto l’azione di un enhancer (promotori di IgH). La proteina bcl2 determina così un blocco apoptotico in grado di dare un vantaggio alle cellule affette, che sono in grado di differenziare in cellule B esprimenti IgM/D di membrana. Bcl6  gene 3q27: si ritiene che il gene bcl6 sia necessario per la differenziazione e regolazione della cellula B; si tratta di un gene promiscuo, trovandosi riarrangiato con numerosi partners cromosomici; una traslocazione di bcl6 si osserva nel 5-10% dei casi di linfoma follicolare. t(2;5)(p23;q35): si tratta di un riarrangiamento cromosomico che non coinvolge i geni Ig, presente nel 40-60% dei pazienti giovani (per lo più bambini) con linfoma anaplastico a fenotipo T/null. La traslocazione determina la giustapposizione tra il gene ALK (cr. 2) e il gene NPM (nucleofosmina, cr. 5). Il gene alk, codificante per una chinasi normalmente non espressa nel tessuto linfoide sano, viene sovraespresso. AMPLIFICAZIONE GENICA

Trattasi di un processo che determina un aumento dell’espressione dei geni che regolano la proliferazione cellulare e che eventualmente possono determinare chemioresistenza. L’esame cromosomico convenzionale mostra talvolta la presenza di double minutes (“doppi minuti”) e di homogeneously staining regions (HSR, regioni colorate in modo omogeneo). FISH e metodiche molecolari dimostrano che tali frammenti sono espedienti che la cellula mette in atto per amplificare i geni Myc, Rel, Bcl2. MUTAZIONE SOMATICA

a mutazione si verifica più frequentemente a carico delle regioni 5’ regolatorie dei geni Myc, Bcl2, Bcl6. La non infrequente mutazione di bcl6 in entrambi gli alleli rende non necessaria la traslocazione con i geni Ig. Si ritiene che una mutazione di bcl6 identifichi la cellula d’origine con il linfocito B del centro germinativo. DELEZIONI GENICHE

La perdita dell’eterozigosi (LOH) è stata la metodica molecolare che ha dimostrato come alcune regioni cromosomiche siano frequentemente delete nei linfomi non-Hodgkin. Si tratta di porzioni del genoma il cui contenuto è tuttora sconosciuto. In molti linfomi “a basso grado di malignità” si verifica delezione delle braccia lunghe dei cromosomi 6 e 7: del(6q), del(7q). Diagnosi e stadiazione La diagnosi di linfoma viene formulata, in ultima analisi sulla base dell’esame istologico, eseguito su biopsia di un linfonodo e/o di altri tessuti interessati. Il corretto inquadramento del paziente deve includere una serie di accertamenti che consentono di definire l’estensione della malattia (stadiazione) e di definire precisamente la prognosi. La classificazione di Ann Arbor, originariamente creata per il linfoma di Hodgkin, è oggi utilizzata anche per la stadiazione dei linfomi non Hodgkin. L’interessamento dei vari organi e apparati viene effettuato tramite una serie di esami strumentali (TC torace, addome, pelvi, mieloaspirato, biopsia osteomidollare). Lo studio di eventuali localizzazioni extranodali può richiedere ad esempio biopsie gastriche multiple, valutazione ORL con esame bioptico dell’anello di Waldeyer, rachicentesi con esame citologico del liquor (Burkitt e linfoma linfoblastico). I linfomi più aggressivi si manifestano generalmente in forma localizzata, mentre quelli cosiddetti “indolenti” giungono alla diagnosi in stadio III/IV.

 Stadiazione di Ann Arbor dei linfomi di Hodgkin e non Hodgkin STADIO

I II III IV

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

Interessamento di una sola regione linfonodale (I) o extranodale singolo (IE) Interessamento nodale dallo stesso lato del diaframma (II) o con interessamento del solo tessuto extranodale contiguo (IIE). Interessamento delle regioni linfonodali su entrambi i lati del diaframma (III) che può comprendere la milza (IIIS) e/o il solo organo/tessuto extranodale contiguo (IIIE, IIIES). Focolai multipli/disseminati di interessamento di uno o più organi o tessuti extranodali, con o senza coinvolgimento nodale.

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Ogni stadio è poi suddiviso in A/B a seconda che siano assenti/presenti i seguenti sintomi sistemici: sudorazioni notturne profuse febbre significativa perdita di peso > 10% del peso corporeo.

CONSIDERAZIONI PRELIMINARI ALLA TRATTAZIONE SISTEMATICA DELLE NEOPLASIE LINFOIDI nella maggior parte dei casi, il riarrangiamento dei geni per il recettore antigenico precede la trasformazione neoplastica; le cellule neoplastiche avranno pertanto il medesimo recettore per l’antigene e produrranno la stessa immunoglobulina / TCR. L’analisi di questi geni può fornire utili informazioni sulla natura clonale della proliferazione; la maggior parte delle neoplasie linfoidi è di origine B cellulare; i più rari linfomi in assoluto sono quelli a cellule NK; i linfomi sono neoplasie che alterano la normale funzionalità del sistema immunitario; si possono verificare sia una perdita di vigilanza che della tolleranza; le cellule linfatiche neoplastiche tendono ad imitare il comportamento della loro controparte normale e a proliferare in sedi particolari con quadri di accrescimento caratteristici; a differenza del LH, i LNH sono ampiamente disseminati al momento della diagnosi; l’homing linfocitario è tuttavia determinato dall’espressione di particolari recettori per molecole di richiamo che sono responsabili della formazione di masse più o meno localizzate.

Neoplasie da precursori B e T cellulari LEUCEMIA

/ LINFOMA LINFOBLASTICO

Comprende un gruppo di neoplasie costituite da precursori linfocitari immaturi B (85%) o T cellulari (10%). Le neoplasie linfoblastiche B si manifestano tipicamente come leucemia acuta linfoblastica con un coinvolgimento diffuso del midollo osseo e un variabile coinvolgimento periferico. Le più rare neoplasie T linfoblastiche tendono a manifestarsi con massa mediastinica timica in maschi adolescenti, versamento pleurico e raro interessamento midollare all’esordio. I linfoblasti B/T sono morfologicamente indistinguibili; la distinzione si basa sull’immunofenotipo. Il picco di incidenza delle ALL B è intorno ai 4 anni, mentre delle ALL T nell’adolescenza. Le ALL dell’adulto sono molto meno frequenti e si associano ad una prognosi più sfavorevole. I linfoblasti sono cellule di medie dimensioni hanno citoplasma chiaro privo di granulazioni, cromatina fine indistinta. Il nucleo può avere aspetto convoluto. Nelle forme linfomatose è talora possibile un pattern macrofagico a “cielo stellato”, a causa dell’elevato tasso mitotico. Hanno un immunofenotipo caratteristico TdT+ e, a seconda della linea cellulare: B  CD10 (CALLA), CD19, CD79a, CD34 T  CD3, CD7, CD1a +/- ; il CD1a è un marcatore tipicamente timico. Circa il 90% presenta alterazioni strutturali/numeriche dei cromosomi. Molto comune l’iperploidia, ma anche la poliploidia e le traslocazioni t(12;21) e t(9;22) Ph’ e t(4;11). Queste alterazioni correlano con l’immunofenotipo e a volte sono predittive per la prognosi. Il cromosoma Philadelphia è predittivo di una prognosi nettamente più sfavorevole. Queste alterazioni portano verosimilmente all’arresto maturativo dei linfoblasti con accumulo di cellule neoplastiche. Clinica La maggior parte dei pts ricorre al medico per sintomi di insufficienza midollare: pallore, astenia, affaticabilità, palpitazione (anemia); petecchie, ecchimosi, emorragie cutaneo-mucose (piastrinopenia); e infezioni (leucocitosi con granulocitopenia). Fra i segni più frequentemente apprezzabili vi sono le linfoadenomegalie, splenomegalie, epatomegalia, legate all’infiltrazione leucemica; nel 15% dei casi è presente un impegno mediastinico con sintomi correlati (tosse stizzosa, dispnea e versamento pleurico). Un quadro clinico particolare è relativo alla localizzazione testicolare / ovarica, rara in fase d’esordio, ma particolarmente rilevante nelle recidive. Coinvolgimento del SNC (meningosi leucemica), con segni di ipertensione endocranica, quali vomito, cefalea, rigidità nucale, disturbi oculari (fotofobia e diplopia). L’inquadramento diagnostico della ALL prevede l’esame emocromocitometrico (anemia, piastrinopenia, leucocitosi/leucopenia; la leucopenia particolarmente frequente nella forma pre-B common, tipica dei

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bambini), valutazione microscopica dello striscio di sangue periferico, della funzionalità cardiaca, renale, epatica ed il mieloaspirato per valutazione morfologica, analisi cromosomica e fenotipo immunologico. Fattori prognostici negativi t(9;22), t(1;19), ipodiploidia. Immunofenotipo pre-T e pro-B. Età < 6 mesi e > 35 anni. Leucociti > 30000/µL. Tempo per remissione completa ematologica > 4 settimane.

Neoplasie a cellule B periferiche LEUCEMIA LINFATICA CRONICA

/ LINFOMA A PICCOLI LINFOCITI

Si tratta di due disordini linfoproliferativi morfologicamente, immunofenotipicamente e genotipicamente indistinguibili, differendo unicamente nel grado di linfocitosi nel sangue periferico. La maggior parte dei pazienti presenta una linfocitosi sufficiente a soddisfare i criteri diagnostici per LLC (linfociti > 10000/µL). Costituisce la forma di leucemia più comune nei paesi occidentali. SLL costituisce solo il 4% dei LNH. Molto meno frequenti nei paesi asiatici. L’architettura linfonodale è diffusamente alterata con una popolazione prevalente di piccoli linfociti del diametro di 6-12 µm con nuclei tondi o lievemente irregolari, con cromatina addensata e scarso citoplasma. Queste cellule sono frammiste ad un numero variabile di cellule di maggiori dimensioni, definite prolinfociti. Nella maggior parte dei casi i prolinfociti si riuniscono insieme per formare dei distinti aggregati focali definiti “centri di proliferazione” per il loro contenuto relativamente alto di cellule in elevata attività mitotica. Quando presenti, i centri proliferativi sono patognomonici per LLC/SLL. Nella LLC il sangue periferico contiene un alto numero di piccoli linfociti: queste cellule sono fragili, spesso si rompono durante l’allestimento dello striscio, determinando le cosiddette ombre cellulari (ombre di Gumprecht). L’interessamento del midollo osseo si osserva in tutti i casi di LLC e nella maggior parte dei casi di SLL (infiltrati interstiziali e di aggregati non paratrabecolari di piccoli linfociti). Generalmente infiltrata la polpa bianca e rossa della milza e l’area periportale epatica. Studi molecolari dell’ipermutazione somatica dei geni IgvH (regioni variabili delle catene pesanti delle Ig), evento che avviene nel passaggio nel centro germinativo del follicolo linfatico; due possibili forme di LLC: forma derivante da cellule naive pre-centro germinativo, che non presentano ipermutazione somatica dei geni vH; stadio avanzato alla diagnosi; richiedono un trattamento specifico e hanno una sopravvivenza ridotta; forma derivante da cellule B memoria post-centro germinativo, in cui l’ipermutazione somatica dei geni vH è presente. 50-70% pts; malattia che esordisce negli stadi iniziali con scarsa tendenza all’evolutività e una buona prognosi generale. La conoscenza dello stato mutazionale IgvH ha quindi valore prognostico e terapeutico. La tecnica molecolare è però molto costosa; si è soliti allora valutare con l’immunofenotipo marcatori surrogato dello stato mutazionale IgvH: l’espressione del CD38 correla con lo stato mutato; la proteina ZAP70, se presente in più del 20% delle cellule neoplastiche correla con una malattia più severa. L’immunofenotipo presenta: CD19, CD20, CD23, CD5. Esprimono Ig di superficie a bassa densità, con restrizione clonale per le catene leggere κ o λ. Clinica Molto variabile. Alcuni soggetti rimangono asintomatici per diversi anni, altri presentano un andamento clinico aggressivo. Le principali complicanze sono dovute all’insorgenza di infezioni, manifestazioni autoimmunitarie e seconde neoplasie o all’evoluzione della malattia in un quadro di leucemia prolinfocitica o di sindrome di Richter. Le infezioni sono soprattutto batteriche e sono dovute principalmente all’ipogammaglobulinemia, alla neutropenia e alla riduzione dell’attività cellulomediata (60% delle cause di morte). I fenomeni autoimmuni insorgono per deficit della tolleranza; è possibile la positività del Coombs diretto con autoanticorpi caldi antieritrocitari  anemia emolitica autoimmune. L’autoanticorpo è più spesso dalle cellule normali residue che non dai linfociti patologici. Anche piastrinopenia autoimmune ed eritroblastopenia autoimmune. Anemia + Piastrinopenia autoimmuni in corso di LLC  sindrome di Evans. La sindrome di Richter (3-10%) si configura come evoluzione in un linfoma non hodgkin diffuso a grandi cellule (immunoblastico) con rapida comparsa di sintomi sistemici, masse linfomatose asimmetriche, LDH

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elevata. Il decadimento è rapido. La sindrome di Richter può insorgere anche a livello midollare sotto forma di infiltrazione a grandi cellule. La trasformazione prolinfocitica è caratterizzata da masse linfomatose diffuse, splenomegalia progressiva, citopenia, comparsa di prolinfociti nel sangue periferico e midollare e resistenza alla chemioterapia. Particolarmente elevata l’incidenza di seconde neoplasie (epiteliomi, carcinoma broncogeno, melanomi). deficit di immunosorveglianza antineoplastica ed effetti secondari della chemioterapia alchilante.

 Stadiazione di Rai della leucemia linfatica cronica STADIO

0 I II III IV

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

Linfocitosi periferica con infiltrato midollare > 30% Linfocitosi + adenomegalie Linfocitosi + splenomegalia (con o senza epatomegalia e linfoadenopatie) Linfocitosi + anemia (Hb < 11 g/dL) Linfocitosi + piastrinopenia (PLT < 100 x 109/L) con o senza anemia o epatosplenomegalia

 Stadiazione di Binet della leucemia linfatica cronica STADIO

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

A Linfocitosi periferica e midollare con meno di 3 aree linfoidi interessate; non anemia, non piastrinopenia B Idem, con 3 o più aree linfoidi interessate C Anemia (Hb < 10 g/dL) e/o piastrinopenia (PLT < 100 x 109/L)

LINFOMA FOLLICOLARE

Costituisce il 35% dei LNH ed è il più frequente linfoma a cellule B nei paesi occidentali. Si presenta in età medio-avanzata (media di 59 anni), ed è più raro nelle popolazioni asiatiche. Lo si può osservare in pazienti anche più giovani con malattia localizzata. Alla diagnosi è generalmente in stadio avanzato. È composto da cellule morfologicamente e immunofenotipicamente simili ai linfociti dei normali centri germinativi; nella maggior parte dei casi, a piccolo ingrandimento, si osserva un coinvolgimento linfonodale con un pattern di crescita prevalentemente nodulare o nodulare-diffuso; due sono i tipi cellulari osservati, in diverse proporzioni: piccole cellule con contorno nucleare irregolare o clivato e citoplasma scarso, definiti centrociti (piccole cellule clivate) e cellule grandi con cromatina nucleare dispersa, diversi nucleoli e una modesta quantità di citoplasma, definiti centroblasti. Di solito nei linfomi follicolari le piccole cellule clivate costituiscono la maggioranza delle cellule; un interessamento del sangue periferico in grado di produrre linfocitosi (abitualmente < 20000/µL) è osservabile nel 10% dei pazienti. Il coinvolgimento del midollo osseo si osserva nell’85% dei pazienti e caratteristicamente appare sotto forma di aggregati linfoidi paratrabecolari (CD20+)). Frequentemente sono colpite anche la polpa bianca della milza e la triade portale epatica. Lo studio immunofenotipico mostra una forte espressione delle immunoglobuline di superficie, positività per CD19, CD20, CD10. La negatività del CD5 lo distingue dal linfoma mantellare. Dal punto di vista molecolare, il linfoma follicolare è caratterizzato dalla traslocazione t(14;18) che sposta l’oncogene bcl2 sul cromosoma 14. Variabile positività del bcl6. La proteina bcl2 ha un effetto antiapoptotico e protegge le cellule dal danno proapoptotico della chemioterapia e radioterapia, determinando la sostanziale inguaribilità dei linfomi follicolari. La bcl2 può essere valutata con immunoistochimica (Ab monoclonali) o FISH (più costosa). Dal punto di vista clinico le condizioni generali sono buone e i sintomi sistemici sono rari, così come la malattia bulky; vi è di solito un’adenopatia generalizzata e splenomegalia in oltre 30%. Il decorso è indolente, senza rischio di morte a breve termine, ma le recidive della malattia sono continue anche dopo molti anni. La chemioterapia non altera significativamente la storia naturale. La sopravvivenza mediana è di 8 anni.

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La trasformazione istologica (30-50%) di solito è verso forme di linfoma diffuso a grandi cellule B, raramente in linfoma tipo Burkitt (generalmente in questo caso compare una nuova traslocazione che interessa il locus di c-Myc). Questi tumori conservano comunque la bcl2+. La prognosi è comunque da rivalutare, dopo l’introduzione in terapia di radioimmunoconiugati (zevalin, antiCD20 marcato con radioimmunoisotopo) e anticorpi monoclonali (rituximab, anti-CD20), oltre che per l’introduzione di più equilibrati regimi di condizionamento al trapianto di midollo, che lo rendono accessibile anche a pazienti meno giovani e delle procedure di purging in vitro. Viene suddiviso in gradi di malignità a seconda del numero di centroblasti (grandi cellule) per campo: 0-5 grado 1 6-15 grado 2 > 15 grado 3 LINFOMA DIFFUSO A GRANDI CELLULE

B (DLBCL)

Si tratta di un gruppo eterogeneo di neoplasie che insieme costituiscono il 20% di tutti i LNH e il 60-70% delle neoplasie linfoidi aggressive. Leggera prevalenza nel sesso maschile, con età media all’esordio di circa 60 anni. Costituisce comunque anche il 5% dei linfomi dell’infanzia. Ne esistono una serie di sottotipi (centroblastico, centrocitico, anaplastico). Dimensioni cellulari relativamente grandi (abitualmente 4-5 volte il diametro di un piccolo linfocito) e un quadro di accrescimento diffuso; grado di variazione morfologica discreto; nella maggior parte dei casi le cellule tumorali hanno nucleo tondo/ovale che appare vescicolato a causa della collocazione marginale della cromatina a ridosso della membrana nucleare, ma talora sono ben evidenti grandi nuclei multilobati o clivati. I nucleoli possono essere due o tre, posti vicino alla membrana nucleare o uno singolo localizzato centralmente. Il citoplasma è moderatamente abbondante e può essere pallido o basofilo; tumori più anaplastici possono contenere cellule multinucleate con grandi nucleoli che assumono l’aspetto di inclusioni che assomigliano alle cellule di Reed-Sternberg. Immunofenotipo (al confine col linfoma follicolare): CD20, CD19, CD79a; possono esprimere CD10, bcl6 e bcl2. Sono tutti negativi per Tdt. Gli studi citogenetici e molecolari indicano che i DLBCL sono eterogenei riguardo alla patogenesi. Un frequente evento è l’alterazione di bcl6, un regolatore trascrizionale a dito di zinco, necessario per la formazione dei normali centri germinativi. I bcl2+ si ritiene originino dalle cellule B del centro germinativo e sono generalmente bcl6-. Linfoma a grandi cellule B associato a immunodeficienza. Si verifica nelle gravi immunodeficienze T cellulari (ad es stadio finale infezione HIV, SCID, dopo allo-BMT e trapianti d’organo). Le cellule B neoplastiche spesso sono infettate in maniera latente da EBV, che si ritiene abbia un ruolo fondamentale nella patogenesi. Il ripristino dell’immunità T può condurre alla regressione di tali proliferazioni. Linfoma a grandi cellule delle cavità dell’organismo. Insorge come un versamento pleurico/ascitico maligno, soprattutto in pazienti con HIV in stadio avanzato, ma anche in anziani HIV-. Le cellule tumorali spesso non esprimono markers B/T ma presentano riarrangiamento clonale IgH. In tutti i casi le cellule tumorali sono infettate da KSV/HHV8 che può avere un ruolo eziologico; tra i linfomi maligni, l’infezione da KSV è stata osservata solo in questo particolare sottotipo. I pts con DLBCL di presentano con rapido aumento della massa neoplastica in singola sede. Comunemente sono confinati all’anello di Waldeyer; l’interessamento primitivo/secondario del fegato/milza può assumere la forma di tumefazioni destruenti di grandi dimensioni. La malattia extranodale può insorgere nel gastrointestinale, cute, osso, SNC, altre sedi. Il coinvolgimento del midollo osseo è tardivo; raro il quadro leucemico. Il DLBCL è molto aggressivo e conduce, se non trattato, il paziente rapidamente ad exitus. Con gli attuali protocolli chemioterapici, nel 60-80% dei pazienti può essere ottenuta la remissione completa e circa il 50% rimane libero da malattia per molti anni, potendosi considerare guarito. I pazienti con malattia localizzata hanno una prognosi migliore. 3 categorie: - tipo 1: germinal centre type - tipo 2: post germinal centre type - tipo 3: activated

(prognosi migliore) (prognosi peggiore)

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Entità particolare: linfoma non-Hodgkin B a grandi cellule primitivo del mediastino: 5% dei LNH; coinvolge soprattutto donne di 30-35 anni con algie toraciche, massa bulky all’RX, tosse, sindrome della vena cava superiore. Ha una storia naturale rapida (settimane – 3 mesi). Frequente infiltrazione degli organi contigui. È un linfoma extranodale che si ritiene origini da un piccolo subset di cellule B timiche (cellule B asteroidi prossime ai corpi di Hassal?). Sintomi: tosse, dolore toracico, disfonia, sindrome della vena cava superiore (edema a mantellina, palpebrale), raramente linfoadenomegalia sovraclaveare; non vi è coinvolgimento midollare; è un linfoma extranodale. Caratteristicamente angiotròpo, aggredisce i vasi, forma sclerosi mediastinica; le cellule hanno dimensioni variabili; immunofenotipo: CD20, CD23, CD30+/ triade caratteristica. Citogenetica: anomalie cromosoma 9 (75%, frequente anche in caso di LH); probabilmente esiste analogia con LH, ma l’evento mutazionale porterebbe la cellula più verso il fenotipo B. LINFOMA DI

BURKITT

Linfoma ad elevata aggressività clinica, caratterizzato dalla t(8;14), o dalle varianti t(8;22) o t(2;8) che comportano la fusione dell’oncogene myc sul cromosoma 8 con i geni per le catene pesanti (14) o leggere (2  kappa, 22  lambda) delle immunoglobuline. La t(8;14) conferisce un potere di crescita cellulare aggressivo. All’interno di questa categoria sono compresi: 1. linfoma di Burkitt africano (endemico), particolarmente associato a EBV; 2. linfoma di Burkitt sporadico (non endemico); 3. gruppo di linfomi aggressivi che colpiscono soggetti HIV+. Queste diverse forme di linfoma sono istologicamente identiche, anche se presentano alcune differenze dal punto di vista clinico, genotipico e virologico. I tessuti coinvolti sono sovvertiti da un diffuso infiltrato di cellule linfoidi di medie dimensioni (10-25 µm) con nuclei tondeggianti/ovalari con cromatina grossolana, molti nucleoli e discreta quantità di citoplasma debolmente basofilo o amfofilo. Le dimensioni del nucleo sono simili a quelle dei macrofagi benigni presenti nel tessuto neoplastico. È caratteristico un alto indice mitotico (Ki67 > 95%) come anche la morte cellulare per apoptosi evidenziata dalla presenza di numerosi macrofagi tissutali ricchi di detriti nucleari. I macrofagi benigni sono diffusamente distribuiti fra le cellule tumorali e presentano un abbondante citoplasma chiaro che crea un caratteristico aspetto a “cielo stellato”. Nei casi caratterizzati da coinvolgimento midollare, le cellule presenti nel mieloaspirato hanno una cromatina nucleare leggermente condensata, da 2 a 5 nucleoli distinti e citoplasma blu con numerosi vacuoli chiari. Immunofenotipo: sono neoplasie a cellule B mature che esprimono IgM di superficie, catene leggere monotipiche κ ο λ, CD19, CD79a, CD20, CD10, bcl6: fenotipo molto simile a cellula B in rapida divisione all’interno delle zone scure dei normali centri germinativi. Sia i casi endemici che sporadici sono osservati nei bambini e giovani adulti (generalmente), costituendo circa il 30% dei LNH pediatrici. La maggior parte si manifesta in sedi extranodali; il Burkitt endemico spesso interessa la mandibola e manifesta una strana predilezione ad interessare reni, ovaie, surreni. Al contrario quello sporadico si presenta spesso come tumefazione addominale che interessa il cieco e il peritoneo; l’interessamento del midollo è raro, ma possibile, così come quello del SNC. Il linfoma di Burkitt è molto aggressivo, ma risponde bene alla CT ad alte dosi a breve termine. La prognosi è peggiore negli adulti di età più avanzata. L’infezione da EBV porta alla comparsa dell’antigene EBNA, proteina virale con proprietà oncogenetiche. Il sistema di stadiazione più utilizzato è quello secondo Murphy. La sensibilità ai farmaci è molto elevata e questo determina tumor lysis syndrome: ipercalcemia per liberazione di potassio intracellulare, fino all’arresto cardiaco o nefropatia uratica. Necessaria l’iperidratazione, l’alcalinizzazione, l’allopurinolo (o la rasburicasi). Nell’adulto l’approccio terapeutico è complicato dal fatto che il 25-30% dei LB insorgono in soggetti HIV+.  Stadiazione di Murphy del linfoma di Burkitt STADIO

I II III IV

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

Una sola sede di malattia nodale/extranodale con l’esclusione di mediastino e addome Due o più sedi dallo stesso lato del diaframma oppure localizzazione primaria resecabile al tratto gastroenterico Localizzazione ad ambedue i lati del diaframma o localizzazione intratoracia/intraaddominale estesa e non resecabile Qualunque delle precedenti associata ad interessamento del midollo osseo o del SNC

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LINFOMA LINFOPLASMOCITICO

Neoplasia a cellule B dei soggetti adulti/anziani, che di solito si presenta nella VI/VII decade di vita. Costituito da varie entità comprendenti: linfoma a piccoli linfociti con differenziazione plasmacellulare; immunocitoma. Aspetto in apparenza simile alla LLC/SLL, ma differisce per il fatto che una sostanziale frazione di cellule neoplastiche va incontro a differenziazione terminale in plasmacellule. Più frequentemente le PC neoplastiche secernono IgM monoclonali, spesso in quantità sufficienti a dare origine ad una sindrome da iperviscosità nota come macroglobulinemia di Waldenstroem; a differenza del mieloma multiplo, la sintesi delle catene pesanti è solitamente bilanciata e perciò le complicanze derivanti dalla secrezione di catene leggere libere, per esempio insufficienza renale e amiloidosi, sono rare. Tipicamente il midollo osseo contiene un diffuso infilitrato di linfociti, plasmacellule e linfociti plasmocitoidi intermedi. Spesso accompagnati da iperplasia reattiva dei mastociti. La proporzione tra le componenti cellulari può essere molto variabile e alcuni tumori contengono anche una popolazione di cellule linfoidi più grandi, con più cromatina nucleare vescicolare e nucleoli prominenti. Le inclusioni PAS+ contenenti Ig si osservano frequentemente nel citoplasma (corpi di Russell) o nel nucleo (corpi di Dutcher) delle cellule plasmocitoidi. Non compaiono masse causanti lisi ossee, come nel mieloma multiplo. Spesso il tumore è disseminato anche a milza, linfonodi e fegato al momento della diagnosi; può inoltre verificarsi infiltrazione delle radici nervose, delle meningi e del cervello con la progressione della malattia. Immunofenotipo: CD20, Ig monoclonali, CD10-. Non presenta traslocazioni che coinvolgono i geni Ig. La più comune anomalia citogenetica è una delezione del(6q). Sintomi: insufficienza midollare, iperviscosità (neurologici e della vista), crioglobulinemia. Malattia inguaribile, progressiva. LINFOMA MANTELLARE

“Il linfoma mantellare unisce la peggiore caratteristica dei linfomi indolenti, l’inguaribilità, alla peggiore caratteristica dei linfomi ad alto grado, l’aggressività”. Rappresenta circa il 7-9% dei LNH. Si presenta generalmente nella V/VI decade di vita ed evidenza una prevalenza nei maschi. Le cellule tumorali sono molto simili alle normali cellule virgin mantellari; è costituito da piccole cellule con pattern diffuso/nodulare con nuclei indentati che ricordano i centrociti. Ne esiste una varietà blastica ancora più aggressiva. Le cellule neoplastiche possono circondare i normali centri germinativi, producendo un aspetto vagamente nodulare a basso ingrandimento. Proliferazione omogenea di piccoli linfociti con contorni nucleari da rotondi a clivati (indentati). Generalmente non sono presenti grandi cellule simili a centroblasti e neanche centri di proliferazione (diversamente dai linfomi follicolari e dal SLL). La cromatina nucleare è addensata, i nucleoli poco evidenti, il citoplasma scarso. Coinvolgimento del sangue periferico 20-40%. Sedi frequenti di interessamento extranodale: midollo osseo, milza (polpa bianca), aree periportali epatiche e intestino. Occasionalmente l’interessamento multifocale della mucosa intestinale provoca poliposi linfomatoide. È il linfoma a prognosi peggiore di tutti. Diagnosi in stadio III/IV con interessamento midollare. Prognosi a 5 anni molto bassa, mentre secondo la vecchia classificazione sarebbe un linfoma a basso grado (!!). Frequenti recidive (< 20 mesi); peggior free survival (< 11%); necessari BMT o altre terapie aggressive. Immunofenotipo: esprime CD19, CD20, CD5, CD23- (distingue da SLL/LLC), bcl1+ (ciclina D1, t(11;14), esclusiva del linfoma mantellare, presente nel 70% dei casi). Mentre la presentazione più frequente è una linfoadenopatia indolente, i sintomi relativi alla splenomegalia (50%) o all’interessamento del tratto gastrointestinale non sono frequenti. La prognosi è infausta e la sopravvivenza media è di 3-4 anni. Non è guaribile con la chemioterapia convenzionale e la maggior pare dei pazienti soccombe a disfunzioni d’organo dovute all’infiltrazione tumorale.

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LINFOMA DELLA ZONA MARGINALE

Categoria che racchiude un gruppo eterogeneo di tumori a cellule B che si presentano variabilmente nei linfonodi, nella milza o nei tessuti extranodali. Inizialmente osservati in sede mucosa e quindi definiti neoplasie del MALT. Quindi sono divisibili in: MZL nodale MZL extranodale splenico (colpisce la polpa bianca, produce splenomegalia, trombocitopenia, frequente interessamento midollare; basso rischio di trasformazione in LH aggressivo). MZL extranodale del MALT Nella maggior parte dei casi le cellule tumorali assomigliano alle normali cellule B della zona marginale, che rappresentano una popolazione di linfociti B memoria post centro germinativo. I MZL extranodali meritano una particolare attenzione a causa della loro peculiare patogenesi: 1. spesso insorgono in tessuti interessati da patologie infiammatorie croniche / autoimmuni o a eziologia infettiva (ghiandole salivari nella s di Sjoegren, tiroide nella tiroidite di Hashimoto e stomaco nella gastrite da H. pylori); 2. restano localizzati per prolungati periodi, diffondendo sistemicamente solo tardivamente nel loro decorso; 3. possono regredire se l’agente causale è eradicato. La MZ è poco rappresentata nei linfonodi normali (aumenta nei linfonodi reattivi). Sono più frequenti i MZL extranodali (stomaco, milza, cute, sottocute). La comparsa di MZL extranodali potrebbe essere inserita in un continuum tra iperplasia linfoide reattiva e il linfoma a cellule B vero e proprio. Il processo inizia come una risposta immunitaria policlonale reattiva. Sono compatibili con un’ottima qualità di vita e hanno una prognosi che nella maggior parte dei casi supera i 10 anni. H. pylori  gastrite follicolare reattiva  MZL La milza è un ricettacolo di antigeni; uno dei possibili fattori patogenetici è l’HCV; è un virus double-face (infetta il fegato ma ha anche un tropismo diverso con reservoir extraepatici: milza/cute). Espressione CD81, proteina in grado di legare il capside virale. Istologia: zona marginale iperespansa; non ha un fenotipo specifico; esprimono CD20 CD79a IgM superficie IgD superficie Diagnosi per esclusione: infatti è CD5CD10Bcl2MALToma: 7-8% di tutti i linfomi. Trattamento con agenti antimicrobici (antibiotici, interferone, antivirale)  si cura la causa scatenante. 50% di tutti i linfomi del tratto gastroenterico. Adulti/anziani, soprattutto donne, prevalenza in alcune aree (veneto) o solo problema di sovradiagnosi? Associati a malattie autoimmuni: s Sjogren, t di Hashimoto. Sedi: stomaco, polmone, bronchi, ghiandole salivari/lacrimali, tiroide, mammella. Milza (HCV)  non è un maltoma

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Stomaco  Hp Ghiandole lacrimali  Chlamydia Cute  Borrelia burgdorferi È un linfoma a basso grado. Lesioni caratteristiche linfoepiteliali delle mucose non sono sinonimo di linfoma. L’iperplasia della zona marginale è diversa dal linfoma della zona marginale. MALTomi regrediti? In alcuni casi è possibile che proliferazioni iperplastiche vadano in regressione; se iperplasia alla diagnosi istologica: ricampionamento dopo 3 mesi; se persiste  MZL. LEUCEMIA A CELLULE CAPELLUTE

Rara ma caratteristica neoplasia a cellule B. 2% di tutte le neoplasie, 4 volte più frequente nei maschi e soprattutto caucasici di mezza età. L’hairy cell leukemia deriva il suo nome dall’aspetto delle cellule leucemiche, che presentano sottili prolungamenti simili a capelli (ben visibili in contrasto di fase); negli strisci periferici i tricoleucociti presentano nuclei rotondi, ovalari o reniformi e una modesta quantità di citoplasma blu pallido; spesso hanno estensioni simili a fili o a bolle. Il numero di cellule circolanti è altamente variabile; il midollo osseo è sempre interessato da un diffuso infiltrato interstiziale di cellule con nuclei ovalari/reniformi, cromatina addensata, citoplasma pallido abbondante. Queste cellule sono intrappolate in una matrice extracellulare composta da fibrille di reticolina e quindi non possono essere normalmente aspirate dal midollo osseo (punctio sicca). La polpa rossa della milza è infiltrata in modo preferenziale, portando ad un aspetto macroscopico rosso carnoso e alla cancellazione della polpa bianca. Le triadi portali epatiche sono frequentemente interessate. Immunofenotipo: CD19, CD20, CD22 (linea B); CD5-, IgH superficie, CD11c, CD25 (monocitari). Origine probabilmente dalle cellule B memoria post centro germinativo. A livello del sangue periferico è presente leucopenia (< 3000/mm3) con neutropenia (< 1000/mm3) e monocitopenia spiccata. Sono presenti inoltre un’anemia normocromica, normocitica e piastrinopenia dovuta a ridotta produzione, sequestro splenico ed emodiluizione. I tricoleucociti sono l’elemento patognomonico della malattia e costituiscono il 10-30% dei leucociti circolanti. Sono positivi alla reazione della fosfatasi acida tartarato resistente; la biopsia osteomidollare è essenziale per la diagnosi. Vi è un infiltrato lasso da parte di elementi linfoidi (70-80% del MCN). Ipoplasia delle altre linee maturative, fibrosi reticolinica dimostrabile con impregnazione argentica. Milza: infiltrazione massiva della polpa rossa e dei seni da parte dei tricoleucociti. Clinica. L’insorgenza della malattia è insidiosa e graduale. Compaiono inizialmente sintomi aspecifici

e solo in una fase successiva disturbi direttamente correlati alla malattia; il rilievo obiettivo più frequente è la splenomegalia (di vario grado, ma spesso molto voluminosa); può essere presente epatomegalia; in genere assenti le adenomegalia superficiali, mentre con discreta frequenza sono rilevabili nelle stazioni profonde. Gli episodi infettivi da granulocitopenia sono estremamente importanti e spesso rivelatori della malattia. MIELOMA MULTIPLO

Rappresenta la più importante e comune gammopatia monoclonale sintomatica. È caratterizzato da molteplici masse tumorali sparse in tutto il sistema scheletrico costituite da proliferazione clonale plasmacellulare. Il mieloma solitario è una varietà rara che consiste in una massa neoplastica solitaria nel midollo o in tessuti molli. Il mieloma multiplo è una malattia neoplastica a elettiva localizzazione nel midollo osseo, caratterizzata da una proliferazione incontrollata di cellule linfoidi B (plasmacellule) con infiltrazione plasmocitaria midollare, produzione di immunoglobuline strutturalmente omogenee e spesso lesioni osteolitiche e insufficienza renale. L’incidenza è di 3-4 casi ogni 100.000/anno. L’età mediana alla diagnosi è di 60-70 anni; più frequente nei maschi. Il mieloma multiplo si presenta generalmente sotto forma di lesioni multifocali osteolitiche e composte da plasmacellule (plasmocitomi); le ossa dello scheletro assiale sono le più colpite; la distribuzione seguente è la

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più frequente: colonna vertebrale, coste, cranio, pelvi, femore, clavicola, scapola (in ordine decrescente di frequenza). Queste lesioni focali iniziano nella cavità midollare, erodono l’osso trabecolare e distruggono progressivamente quello corticale, determinando spesso fratture patologiche, più comuni nella colonna vertebrale, dove possono anche essere di tipo mielico (a differenza di ciò che avviene generalmente nell’osteoporosi). Le lesioni ossee appaiono radiologicamente a margini netti, spesso di 1-4 cm di diametro; sono macroscopicamente costituite da masse tumorali gelatinose, molli, rossastre. Meno comunemente possono determinare demineralizzazione diffusa (osteopenia), piuttosto che difetti focali. All’esame microscopico il midollo presenta un aumentato numero di plasmacellule che costituiscono più del 30% del MCN; come la loro controparte benigna, le plasmacellule neoplastiche hanno una zona perinucleare chiara (Golgi) e nucleo eccentrico; possono prevalere plasmacellule morfologicamente relativamente normali o plasmoblasti con cromatina nucleare vescicolare e un prominente nucleolo singolo o cellule bizzarre multinucleate. Con la progressione della malattia, infiltrati simili possono riscontrarsi nella milza, nel fegato, nei reni, nei polmoni, nei linfonodi o in altri tessuti molli. Negli strisci di sangue periferico, l’elevato livello sierico di proteina monoclonale porta all’impilamento dei RBC (formazione di rouleaux), fenomeno però non specifico (LES, HIV precoce). Patogenesi. Eziologia sconosciuta. L’incidenza aumenta nei soggetti esposti a radiazioni ionizzanti o a tossici chimici; anche stimolazioni antigeniche croniche e infezioni virali (HHV8) possono rappresentare possibili concause. Gli elementi mutati sono cellule staminali pre-B midollari che presentano riarrangiamento dei geni delle Ig. L’IL6, prodotta da cellule stromali (paracrina) e da cellule mielomatose stesse (autocrina); il clone produce anche IL1 e TNFβ, citochine che attivano gli osteoclasti (OAF = osteoclast activatin factors), responsabili dei fenomeni osteolitici tipici della malattia. Il tempo di raddoppiamento inizialmente è di 3-6 mesi, fino a raggiungere un plateau. Perché sia evidente un picco monoclonale all’elettroforesi delle sieroproteine, il clone deve raggiungere una massa di 5 x 109 cellule. La fase preclinica varia da 1 a 3 anni. Più raramente si presenta come un quadro evolutivo di MGUS. Alterazioni del cariotipo nel 30-50%, documentate mediante citogenetica convenzionale (basso indice mitotico). La FISH rileva aberrazioni fino al 90% dei casi. Le più frequenti anomalie citogenetiche sono: monosomia 13, del(13q14), t(11;14) e t(4;14); queste ultime tre associate a prognosi particolarmente grave. Può essere presente un cromosoma 14 aggiuntivo. Esistono diverse varianti del mieloma multiplo, definite in base alla tipologia delle Ig secrete (classi immunochimiche): 1. IgG (65%), κ:λ= 2:1, 60% secernenti; 2. IgA (25%), κ:λ=2:1, 60% secernenti; 3. κ,λ (10%), κ:λ=2:1, 100% secernenti; 4. IgD (1%), κ:λ=1:9, 90% secernenti; 5. non secernenti (1%). I

SINTOMI POSSONO ESSERE RIFERITI ALLA SOSTITUZIONE MIDOLLARE, ALL’AUMENTATO RIASSORBIMENTO OSSEO, ALLA

COMPONENTE MONOCLONALE E ALLA RIDOTTA PRODUZIONE DELLE NORMALI IG.

L’anemia origina da: sostituzione della componente proliferativa midollare; produzione di fattori sideropessici tipici delle malattie croniche (epcidina); insufficienza renale. L’insufficienza renale è determinata da: danno prodotto dalle Ig monoclonali (catene leggere); ipercalcemia (12 mg/dL) da osteolisi. La sindrome da iperviscosità comprende: sintomi neurologici (vertigini, cefalea); alterazioni dell’emostasi secondaria per interferenza con i fattori della coagulazione (I, II, V, VII, VIII) e dell’emostasi primaria (interazione con la membrana piastrinica); emodiluizione (falsa anemia);

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deposito nei tessuti (amiloidosi secondaria AL).

Le complicanze più temibili sono neurologiche (oltre che renali), dovute a: ipercalcemia e sindrome ipercalcemica (Ca++ > 15 mg/dL):  NAUSEA  VOMITO  ASTENIA MARCATA  OBNUBILAMENTO  COMA  IPERCALCIURIA (con danno tubulare renale da aumentato riassorbimento di calcio)  PRECIPITAZIONE INTERSTIZIALE  NEFROCALCINOSI  POLIURIA OSMOTICA (da eliminazione del calcio non riassorbito)  GRAVE DISIDRATAZIONE SECONDARIA  INSUFFICIENZA RENALE ACUTA compressione radici nervose per alterazioni anatomiche della colonna vertebrale (neuropatia radicolare); fratture vertebrali mieliche esitanti in para/tetraplegia flaccida. Il danno renale è però primariamente dovuto alla proteinuria di Bence-Jones (oltre che all’ipercalcemia)  precipitazione intratubulare di catene leggere libere monoclonali e deposizione nella membrana basale di tubuli e glomeruli renali. In corso di mieloma multiplo si può osservare deposito di catene leggere nei parenchimi e amiloidosi secondaria AL con organomegalie e danno funzionale: epatosplenomegalia, macroglossia, nefropatia glomerulare con albuminuria e IRC, cardiomiopatia, turbe di conduzione AV, scompenso cardiaco congestizio, sindrome del tunnel carpale, lesioni ai nervi periferici con neuropatia, sindrome da malassorbimento (deposito intestinale)  diagnosi con biopsia del grasso periombelicale o rettale.

 Stadiazione di Durie-Salmon del mieloma multiplo STADIO

I

II III • • • • • •

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

Tutti i seguenti parametri: - Hb > 10 g/dL - calcemia < 12 mg/dL - osteolisi assenti o lesione litica solitaria - IgG < 5 g/dL - IgA < 3 g/dL - BJ urine < 4 g/24 h Tutti i pazienti non in stadio I o III. Uno o più dei seguenti parametri: Hb < 8,5 g/dL calcemia > 12 mg/dL osteolisi multiple IgG > 7 g/dL IgA > 5 g/dL BJ urine > 12 g/24 h

Ciascuno stadio viene sottoclassificato in A/B: A se creatinina < 2 mg/dL, B se creatinina > 2 mg/dL.

Altri parametri prognostici sono costituiti dalla β 2-microglobulina (massa tumorale), labeling index (aggressività biologica della malattia; indice di marcatura con timidina triziata delle plasmacellule midollari), proteina C reattiva (prodotta sotto stimolo di IL6).

Neoplasie a cellule T/NK periferiche

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Più frequenti in Asia. 12% di tutti i LNH nei paesi occidentali. Associati ad EBV. Molte cellule T possono differenziare in senso citotossico ed esprimere marcatori tipici delle cellule NK (perforina, granzime); in base alla struttura del TCR distinguiamo linfociti T: TCR α/β CD4/CD8 + TCR γ/δ CD4- e CD8Non abbiamo altri marcatori immunoistochimici di clonalità. Usiamo la biologia molecolare che valuta il riarrangiamento del TCR  diagnosi solo in centri specializzati. Spesso perdono CD3, CD2 e CD5. Non facili da diagnosticare. Sedi soprattutto extranodali (es primitivi cutanei). WHO:   

T leucemici (rarissimi) T cutanei T extranodali di altro tipo T nodali (rari): ALCL Angioimmunoblastico Periferico non specificato

Il CD30 è una molecola chiave nel linfoma T: grande porzione di linfomi T ha questa positività; è una molecola che appartiene alla superfamiglia del recettore del TGF. È un dato molto importante per la prognosi dei linfomi T pediatrici; se CD30+ prognosi migliore. LINFOMA A CELLULE

T PERIFERICHE NON SPECIFICATO

I linfomi a cellule T periferiche sono eterogenei. È stata perciò creata una categoria diagnostica cestino: il linfoma a cellule T periferiche non specificato. Le neoplasie alterano diffusamente l’architettura nei linfonodi periferici e sono composte da una miscela polimorfa di cellule T maligne piccole, intermedie e grandi. Possono presentare un rilevante background reattivo, come eosinofili e macrofagi. Immunofenotipo: T maturo; Tdt-, CD2, CD5, CD3, variamente CD4/CD8. Molti tumori hanno però fenotipi molto diversi dalle cellule T periferiche normali. Analisi DNA  riarrangiamenti monoclonali di almeno un locus TCR. Linfoadenopatia generalizzata, spesso eosinofilia, prurito, febbre, perdita di peso. LINFOMA A GRANDI CELLULE ANAPLASTICO

(ALCL) CD30+ NODALE

Si tratta di un linfoma T aggressivo che esprime il marker di attivazione CD30/Ki-1; se ne distingue una forma sistemica linfonodale ed una forma primitivamente cutanea (cfr linfomi cutanei primitivi). Rappresentano il 3% di tutti i linfomi non-Hodgkin ed il 30% dei LNH pediatrici. Spesso il tumore comprende grandi cellule anaplastiche, alcune delle quali tipicamente contengono nuclei a ferro di cavallo e citoplasma voluminoso (hallmark cell); le cellule tumorali a volte si raggruppano attorno alle venule e imbottiscono i seni linfonodali, mimando l’aspetto dei carcinomi metastatici o delle metastasi da melanoma. Sono però CD30+, TIA1+, ALK+/- (positivo soprattutto nei bambini). Tende a coinvolgere sedi extranodali; spesso vanno bene ma possono coinvolgere molte sedi (anche midollo, nel 10-20% dei casi). Neoplasia aggressiva a grandi cellule con t(2;5)  ALK+ soprattutto nei bambini. la traslocazione t(2;5) avviene tra il gene della nucleofosmina (5q35) e il gene alk (recettore tirosinchinasico, 2p23). La proteina ALK è associata a prognosi nettamente più favorevole (tipica delle forme pediatriche)  sopravvivenza 80%. LEUCEMIA/LINFOMA A CELLULE

T DELL’ADULTO

Si tratta di una neoplasia delle cellule T CD4+. Si osserva in adulti (soprattutto maschi) infettati da HTLV1 (retrovirus). Si riscontra più frequentemente nelle regioni dove l’HTLV1 è endemico (Giappone meridionale,

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Africa occidentale e bacino dei Caraibi). È caratterizzato da lesioni cutanee, linfoadenopatia generalizzata, epatosplenomegalia, linfocitosi nel sangue periferico e ipercalcemia. La morfologia delle cellule tumorali varia ampiamente, anche se frequentemente si riscontrano nei tessuti e nel sangue cellule con nuclei multilobati, descritte come cellule a trifoglio o a fiore. Meno comunemente sono presenti cellule giganti multinucleate somiglianti alle RS. Le cellule tumorali contengono il provirus clonale HTLV1. La maggior parte dei pazienti presenta una malattia rapidamente progressiva, fatale entro pochi mesi – un anno. Meno comunemente il tumore interessa soprattutto la cute e segue decorso indolente, che ricorda la micosi fungoide. L’infezione HTLV1 può anche dare origine a una malattia demielinizzante progressiva del SNC. LEUCEMIA A LINFOCITI GRANDI E GRANULARI

(LGL)

Anche detta “linfocitosi CD8”, “TCLL CD8+”. Sono riconosciute due varianti: a cellule T a cellule NK Si presentano soprattutto negli adulti. La variante a cellule T presenta lieve linfocitosi e splenomegalia, senza linfoadenopatia ed epatomegalia. La malattia a cellule NK si presenta in modo più ristretto, con poca/nessuna linfocitosi o splenomegalia. La caratteristica citologica è la presenza di linfociti nel sangue periferico e nel midollo osseo con abbondante citoplasma blu contenente grossolani granuli azurofili sparsi. L’interessamento del midollo osseo è generalmente focale, senza significativa alterazione architetturale dei normali elementi ematopoietici. La polpa rossa della milza e i sinusoidi epatici sono usualmente infiltrati. Neutropenia e anemia dominano il quadro clinico (riduzione delle forme mieloidi tardive nel midollo osseo). Meno comunemente si presenta aplasia eritroide pura. Elevata incidenza di patologie reumatiche. Alcuni pazienti con malattia di Felty (artrite reumatoide + splenomegalia + neutropenia) hanno una LGL sottostante. Il decorso è variabile a seconda del grado di citopenia. Le forme NK sono più aggressive. LINFOMA A CELLULE

T/NK EXTRANODALE

Anche “granuloma letale della linea mediana” e “reticulosi maligna della linea mediana”. Molto rara in Europa. Si presenta come massa distruttiva della linea mediana (rinofaringe, cute, altri siti extranodali come testicolo). L’infiltrato circonda i piccoli vasi, causando un’estesa necrosi ischemica; gli elementi neoplastici consistono soprattutto in grandi cellule linfoidi; il citoplasma contiene grandi granuli azurofili simili a quelli presenti nelle cellule NK normali. Non presenta riarrangiamenti del TCR ed esprime marcatori NK. I singoli tumori contengono identici episomi dell’EBV. LINFOMA

T ENTEROPATICO

Il linfoma intestinale a cellule T è solitamente associato ad un assorbimento di lunga durata, come nel caso di morbo celiaco; questo linfoma insorge in individui giovani (30-40 anni) dopo 10-20 anni dall’insorgenza di un malassorbimento; insorge in genere nel tenue prossimale e la sua prognosi è infausta. Si tratta di lesioni di alto grado. Soprattutto in soggetti con morbo celiaco. Non molto frequente. Aggressivo. Sintomi peritonitici. Survival < 4 mesi.

Linfoma di Hodgkin Il linfoma di Hodgkin è una malattia linfoproliferativa caratterizzata dal punto di vista istopatologico dalla presenza di una minoranza di cellule neoplastiche (cellule di Reed-Sternberg, cellule di Hodgkin) di derivazione linfocitaria per lo più di linea B, inserite in un background di cellule infiammatorie. La derivazione linfocitaria è certa ed ha indotto a sostituire la vecchia denominazione “morbo di Hodgkin”. L’incidenza del LH è pari a 2-3 casi/100000/anno ed il rapporto M:F=1,5:1. La curva dell’età di incidenza è bimodale, con un picco tra 15-30 anni e uno dopo i 60 anni. Rappresenta circa il 30% di tutti i linfomi.

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Il LH è generalmente circoscritto ad un singolo gruppo assiale di linfonodi (cervicale, mediastinico, paraaortico); la diffusione avviene per contiguità (la stadiazione ha dunque un determinante valore prognostico); l’interessamento extranodale è raro. I linfomi non Hodgkin invece sono già disseminati alla diagnosi, non diffondono per contiguità, coinvolgono spesso l’anello di Waldeyer; l’interessamento extranodale è comune. La classificazione delle malattie linfoproliferative WHO ha distinto due entità nell’ambito del linfoma di Hodgkin che possiedono peculiari caratteristiche cliniche, morfologiche, immunofenotipiche. LINFOMA DI HODGKIN CLASSICO

   

SCLEROSI NODULARE CELLULARITÀ MISTA RICCO IN LINFOCITI DEPLEZIONE LINFOCITARIA

LINFOMA DI HODGKIN, VARIANTE A PREDOMINANZA LINFOCITARIA NODULARE

Le cellule neoplastiche del linfoma di Hodgkin REED-STERNBERG La cellula di RS diagnostica ha dimensioni di 15-45 µm di diametro e hanno generalmente due (ma anche più) nuclei ciascuno con un grande nucleolo delle dimensioni di un piccolo linfocito (5-7 µm). Il citoplasma è abbondante. Nelle forme classiche, le cellule RS vanno incontro ad una forma particolare di morte cellulare, nella quale le cellule si retraggono e divengono picnotiche, un processo descritto come mummificazione. CELLULA DI HODGKIN Simile alla cellula RS; variante con un solo nucleo e un solo nucleolo. LA CELLULA DI

CELLULA LACUNARE

Osservata soprattutto nel sottotipo a sclerosi nodulare, ha più nuclei, leggermente ripiegati o multilobati, circondati da abbondante citoplasma pallido che è spesso danneggiato durante il taglio delle sezioni, lasciando così il nucleo posto in uno spazio chiaro, le lacune. VARIANTI LINFOISTIOCITICHE (CELLULE L & H) Hanno nuclei polipoidi, simili a noccioli di pop-corn, nucleoli appariscenti, citoplasma moderatamente ampio; sono specifiche del sottotipo a prevalenza linfocitaria nodulare. Per la diagnosi di LH, le cellule RS devono essere presenti in un adeguato background infiammatorio tipico del LH: linfociti, plasmacellule, eosinofili. LINFOMA DI HODGKIN CLASSICO

Due picchi: 15-30 / anziani. Soprattutto mediastinico (linfonodale). Rarissimi casi a fenotipo T? In tutti i sottotipi istologici sono presenti le cellule RS che presentano un nucleo bilobato o due nuclei (“a occhio di gufo” o “a occhio di civetta”), un macronucleolo eosinofilo, cromatina dispersa ed un ampio citoplasma lievemente basofilo. Tali cellule esprimono tipicamente i marcatori CD30 e CD15. Altro elemento caratteristico è la cellula mummificata (ampie dimensioni, nucleo picnotico, citoplasma condensato. Il tipo di background cellulare varia con il sottotipo istologico. Le cellule RS sono in grado di secernere citochine con un pattern anomalo ed hanno i recettori delle stesse  ricca quota infiammatoria, eosinofili e fibroblasti. Nella maggior parte dei casi, le cellule RS presentano riarrangiamento Ig nel 98% dei casi se valutate con microdissezione laser (cellule B dei centri germinativi o post-centro germinativo). Non vengono prodotte immunoglobuline come nel LH a predominanza linfocitaria nodulare. Ciò è dovuto ad inattivazione della trascrizione causata dal deficit del fattore di trascrizione (ottamero dipendente, indicato come oct2); normalmente le cellule B che hanno perso la capacità di produrre immunoglobuline vanno incontro ad apoptosi: questo non succede alle RS perché la via apoptotica è bloccata. Documentata una maggiore incidenza in pazienti con pregressa mononucleosi infettiva: vi sono differenti percentuali di positività per EBV a seconda del sottotipo istologico. Le cellule infettate esprimono le proteine LMP1 e EBNA1 mentre sono negative per EBNA2  profilo tipico di un’infezione latente da EBV.

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LH SCLEROSI NODULARE È la forma più comune di LH (65-70% dei casi). M=F. Propensione all’interessamento dei linfonodi cervicali bassi, sopraclaveari e mediastinici di adolescenti o giovani adulti e solo raramente è associato a EBV. Caratterizzato morfologicamente da: - una variante RS particolare, la cellula lacunare; - bande di collagene che dividono il tessuto linfoide in noduli circoscritti; la fibrosi può essere scarsa/abbondante e le cellule neoplastiche sono osservate in un background polimorfo di linfociti T, eosinofili, plasmacellule, macrofagi. Le cellule RS diagnostiche sono meno frequenti che nel tipo a cellularità mista e a deplezione linfocitaria. Le cellule tumorali hanno un caratteristico immunofenotipo CD30, CD15 e CD45- e negativi per marcatori B/T associati. I noduli sono circondati da bande di collagene birifrangente; le cellule hanno nucleoli piccoli e presentano retrazione del citoplasma rispetto al background circostante per cui appaiono disposte entro una lacuna (cellule lacunari). È effettuabile un grading (McLenner 1/2) in relazione al numero di cellule RS (1 se < 25%, 2 se > 25%). Il coinvolgimento di milza, fegato e altri tessuti può presentarsi nel normale decorso sotto forma di noduli tumorali irregolari simili a quelli che si riscontrano nei linfonodi. La prognosi è eccellente. LH CELLULARITÀ MISTA Costituisce il 20-25% dei casi. M>F, fortemente associato a EBV. Le cellule RS contengono il genoma EBV in almeno il 75% dei casi. Più associato degli altri ad età avanzata, sintomi sistemici, stadio avanzato. La prognosi è comunque molto buona. Il coinvolgimento linfonodale prende la forma di un interessamento diffuso da parte di un eterogeneo infiltrato cellulare che comprende piccoli linfociti, eosinofili, plasmacellule e macrofagi benigni. Le cellule RS e le varianti mononucleate sono abbondanti. Immunofenotipo = sclerosi nodulare. I piccoli linfociti nel background sono prevalentemente cellule T e l’iniziale malattia linfonodale interessa preferibilmente le zone paracorticali a cellule T. Le cellule RS sono tipiche e inserite in un milieu a composizione variabile: eosinofili, neutrofili, plasmacellule, istiociti, cellule epiteliodi, talora formanti granulomi. È il sottotipo che esprime più frequentemente le proteine EBV (LMP1 nel 75%). LH RICCO IN LINFOCITI Rara forma di LH classico nella quale i linfociti reattivi costituiscono la maggior parte dell’infiltrato cellulare; nella maggior parte dei casi i linfonodi sono diffusamente infiltrati, ma a volte è presente una vaga nodularità dovuta alla presenza di follicoli residui di cellule B. Associato ad EBV nel 40% dei casi con prognosi molto buona. I noduli presentano residui di centri germinativi eccentrici, con cellule RS disposte nelle zone mantellari espanse. Per una diagnosi differenziale corretta rispetto al LH a predominanza linfocitaria nodulare, è essenziale la positività per CD30 e CD15 delle cellule di RS (generalmente mononucleate). LH A DEPLEZIONE LINFOCITARIA Rara forma di LH (< 5%) caratterizzata da scarsità di linfociti e relativa abbondanza di cellule RS oppure di varianti pleomorfiche delle stesse. Il fenotipo delle cellule tumorali è = sclerosi nodulare. La determinazione del fenotipo è imprescindibile per la diagnosi, poiché la maggior parte degli LH a deplezione linfocitaria sono LNH a grandi cellule. Predominano le cellule RS con aspetto sarcomatoso. Problemi di diagnosi differenziale con i LNH a grandi cellule anaplastiche CD30+. In alcuni casi predomina la fibrosi con scarse cellule RS. I soggetti HIV+ presentano costantemente infezione da EBV.

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Osservato prevalentemente nei pazienti anziani, nei soggetti HIV+ o in pazienti di paesi non industrializzati, spesso associato ad EBV; uno stadio avanzato e sintomi sistemici sono frequenti e il decorso complessivo è meno favorevole degli altri sottotipi. LINFOMA DI HODGKIN A PREDOMINANZA LINFOCITARIA NODULARE

Rara variante (5% di tutti i casi di LH). Età media (< 35 anni), soprattutto maschi. Linfoadenopatia monostazionaria (cervicale/ascellare) asintomatica. L’interessamento del mediastino e del midollo osseo è raro. La struttura dei linfonodi è nodulare. Tipiche le cellule RS-variants (cellule pop-corn) con nuclei vescicolosi plurilobati e piccoli nucleoli, positive per i marcatori B (CD20, CD79a, bcl6) e producono Ig, mentre sono negative per i tipici marcatori RS (CD15, CD30). Appaiono disperse in un contesto di piccoli linfociti, istiociti e cellule epitelioidi. Tipica è la rosettazione T/NK attorno alle cellule pop-corn. Plasmacellule, neutrofili ed eosinofili sono pressoché assenti. Solo modesta fibrosi. Le cellule pop-corn dimostrano un riarrangiamento monoclonale dei geni Ig; le regioni variabili delle catene pesanti denotano mutazioni somatiche tipiche delle cellule B del centro germinativo. Si considera come precursore della neoplasia il centroblasto del centro germinativo. Costante negatività per il virus di Epstein-Barr. Rischio di progressione (3-5%) in un linfoma diffuso a grandi cellule B. Eziologia e Patogenesi Eziologia molto controversa. Recentemente il problema è stato, se non risolto, almeno chiarito, attraverso la microdissezione laser e l’analisi di singole cellule RS. In più casi singoli tutte le cellule RS sono interessate da identici riarrangiamenti Ig con ipermutazioni somatiche stabilendo che la cellula di origine è un linfocito centro germinativo o post centro germinativo. In rarissimi casi è invece riarrangiato il locus TCR (origine da cellule T trasformate?). Le cellule RS non esprimono molti dei geni tipici dei B linfociti. Le cellule infettate da EBV esprimono la proteina LMP1, che pare avere attività trasformante; è inoltre noto che l’infezione precede la trasformazione. LMP1 trasmette segnali che up-regolano NF-kB. L’inappropriata attivazione di questo fattore di trascrizione sembra essere un evento comune nei LH classici. È stato proposto che questa attivazione da parte di EBV o di altri meccanismi salvi cellule destinate all’apoptosi ponendole in uno stadio particolarmente recettivo per l’acquisizione di altre mutazioni sconosciute atte alla trasformazione in RS. Network di comunicazione tra la cellula RS e il background infiammatorio.

Le cellule RS sono aneuploidi e spesso posseggono diverse aberrazioni clonali. L’acquisizione del cromosoma 2p, sede del proto-oncogene c-rel, è particolarmente comune e può portare all’up-regulation di NF-kB. Clinica. Il 60-80% dei casi di LH si presenta con adenopatie cervicali; nel 90% dei casi la malattia è sopradiaframmatica. Raro è l’interessamento extranodale e midollare. Le adenopatie sono in genere non dolenti, duro-parenchimatose, non aderenti alle strutture vicine, ben isolabili. In fase avanzata

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possono presentarsi come voluminosi pacchetti linfonodali conglomerati e irregolari. Il 25-30% ha all’esordio sintomi sistemici: febbre persistente o ricorrente (> 38° nel mese precedente senza cause apparenti), un calo ponderale > 10% peso corporeo negli ultimi 6 mesi, sudorazioni notturne profuse nel mese precedente. Tali sintomi sono anche definiti sintomi B e hanno una rilevanza prognostica negativa. Esclusi dai criteri diagnostici, ma indicativi, sono il prurito persistente e intrattabile e il dolore in sede linfonodale dopo l’ingestione di modeste quantità di alcol etilico.

 Stadiazione di Ann Arbor dei linfomi di Hodgkin e non Hodgkin STADIO

I II III IV

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

Interessamento di una sola regione linfonodale (I) o extranodale singolo (IE) Interessamento nodale dallo stesso lato del diaframma (II) o con interessamento del solo tessuto extranodale contiguo (IIE). Interessamento delle regioni linfonodali su entrambi i lati del diaframma (III) che può comprendere la milza (IIIS) e/o il solo organo/tessuto extranodale contiguo (IIIE, IIIES). Focolai multipli/disseminati di interessamento di uno o più organi o tessuti extranodali, con o senza coinvolgimento nodale.

Ogni stadio è poi suddiviso in A/B a seconda che siano assenti/presenti i seguenti sintomi sistemici: sudorazioni notturne profuse febbre significativa perdita di peso > 10% del peso corporeo.

La diagnosi si effettua generalmente su biopsia linfonodale/extranodale. In caso di più stazioni interessate è preferibile evitare i linfonodi inguinali.

 Punteggio prognostico di Hasenclever per il linfoma di Hodgkin FATTORI DI RISCHIO:

1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Albumina sierica < 4 g/dL Hb < 10,5 g/dL sesso maschile stadio IV età > 45 anni leucociti > 15000/mm3 linfociti < 600/mm3 o < 8% nella formula leucocitaria

Se nessun fattore di rischio: probabilità che la malattia non progredisca dopo la terapia = 80%; Pazienti con 5 o più fattori hanno una probabilità del 40% circa.

Linfomi primitivi della cute Si tratta di patologie poco conosciute, la cui incidenza è in aumento. Sono una strana famiglia di entità derivanti da elementi B, T, NK; possono essere solamente cutanei o spia secondaria di un linfoma nodale diffuso alla cute. Tra questi due gruppi esiste una differenza enorme, soprattutto in termini prognostici; è diverso ad esempio parlare di un linfoma follicolare primitivo della cute (sola escissione chirurgica) da un linfoma follicolare nodale ad interessamento cutaneo (stadio IV, molto grave, chemioterapia intensiva!). Molti linfomi primitivi della cute non necessitano di terapie sistemiche. Nel 1975 Edelson comincia a parlare di queste forme e nel 1991 si propone una classificazione desunta dalla Kiel; nel 1993 è introdotto il termine SALT (skin associated lymphoid tissue). Oggi è utilizzata la classificazione WHO-EORTC (WHO-EORTC consensus of cutaneous lymphoma classification). Cutaneous T-cell and NK-cell lymphomas Mycosis fungoides MF variants and subtypes

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Folliculotropic MF Pagetoid reticulosis Granulomatous slack skin Sézary syndrome Adult T-cell leukemia/lymphoma Primary cutaneous CD30+ lymphoproliferative disorders Primary cutaneous anaplastic large cell lymphoma Lymphomatoid papulosis Subcutaneous panniculitis-like T-cell lymphoma * Extranodal NK/T-cell lymphoma, nasal type Primary cutaneous peripheral T-cell lymphoma, unspecified Primary cutaneous aggressive epidermotropic CD8+ T-cell lymphoma (provisional) Cutaneous / T-cell lymphoma (provisional) Primary cutaneous CD4+ small/medium-sized pleomorphic T-cell lymphoma (provisional) Cutaneous B-cell lymphomas Primary cutaneous marginal zone B-cell lymphoma Primary cutaneous follicle center lymphoma Primary cutaneous diffuse large B-cell lymphoma, leg type Primary cutaneous diffuse large B-cell lymphoma, other Intravascular large B-cell lymphoma Precursor hematologic neoplasm CD4+/CD56+ hematodermic neoplasm (blastic NKcell lymphoma) LINFOMI

B PRIMITIVI DELLA CUTE

LINFOMA FOLLICOLARE DELLA CUTE

Adulti/anziani. Coinvolgono testa, collo, tronco (schiena). Papule/placche, tumori solitari o multipli spesso circondati da un eritema ad anello. La prognosi è buona (95% a 5 anni); terapia: RT, CT se malattia cutanea diffusa o se diffusione extracutanea. L’aspetto istologico è identico a quello del linfoma follicolare nodale; non c’è infiltrazione dell’epidermide (zona di rispetto); infiltrato di centrociti e centroblasti; il fenotipo presenta piccole differenze: non c’è traslocazione bcl2 ! e questo rappresenta un valido aiuto per il patologo: generalmente se il bcl2 è negativo, la malattia non è sistemica, ma primitivamente cutanea; CD20, CD79a, bcl6+. LINFOMA MARGINALE DELLA CUTE

50 volte meno frequente del linfoma follicolare. Coinvolge tutte le età; noduli solitari (con aree discromiche) o più raramente tumori del sottocute. Prognosi eccellente (100% a 5 anni) e anche un po’ sospetta: forse vengono considerati anche casi di pseudolinfoma. Solo RT e follow up. Cellule piccole con ampio citoplasma; overlapping assoluto con i MZL nodali ed extranodali; restringimento monotipico delle catene leggere (clonalità). LINFOMA A GRANDI CELLULE DELLA GAMBA

Soprattutto agli arti inferiori, in soggetti con più di 60 anni. Grossi tumori cutanei rossastri. L’outcome è pessimo (muoiono tutti in pochi mesi – anni). Pare che quelli della gamba vadano peggio che in altre sedi. Cellule grandi riconducibili ad immunoblasti / centroblasti; epidermide non infiltrata (zona di rispetto). Bcl6+. Sono pazienti generalmente molto anziani a cui non si esegue BOM; sono davvero primitivamente cutanei? LINFOMI

T PRIMITIVI DELLA CUTE

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MICOSI FUNGOIDE

Linfoma T epidermotropo composto da piccole/medie cellule con nuclei cerebriformi (definizione riservata alla forma classica della malattia, tipo Alibert-Bazin). Malattia lunga, controllabile e non infrequente. Rappresenta 1/3 di tutti i linfomi cutanei. I linfomi T non presentano l’area di rispetto, sono epidermotròpi. Generalmente insorge fra i 30-60 anni e le lesioni cutanee vengono inizialmente interpretate come lesioni eczematose aspecifiche; la prognosi è, a lungo termine, negativa: quasi costante è la progressione in linfoma aggressivo ad alto grado (visceri, linfonodi…). La lesione iniziale è rossastra, desquamante, a placca, tipo “bruciatura di sigaretta”(stadio eczematoso). All’esame istopatologico sono presenti cellule tumorali epidermotrope con grossi nuclei ipercromatici e perdita del CD7; la diagnosi iniziale è però difficile, sia per il clinico che per il patologo: la biologia molecolare è inizialmente negativa in più del 50% dei casi. Nell’avanzare, la malattia cambia aspetto (placche che poi si rilevano): stadio di placca. A questo punto la diagnosi è molto più semplice: le cellule epidermotròpe tendono a formare microascessi di Pautrier (aggregati diagnostici per il patologo). Sopravviene poi lo stadio tumorale: lesioni molto rilevate, crostose; a questo punto la prognosi è di 8 mesi – 2 anni. Una forma particolare di MF è la Sindrome di Sézary. Meno frequente e più aggressiva; interessa adulti/anziani; il paziente è nettamente eritrodermico (cute rosso fiammante (homme rouge) con sfumature brunastre) e le cellule tumorali sono diffuse a tutta l’epidermide  cellule di Luzner-Sézary (sono linfociti Th che mostrano caratteristici infiltrati a banda nel derma superficiale e sono le cellule che formano gli aggregati noti come microascessi di Pautrier nella MF) che vanno a leucemizzare (se superano le 1000 cellule/mm3 nel sangue periferico, posso fare diagnosi. Varianti MF: follicolotròpa (capelli); localizzazione alle pliche: cellule tumorali frammiste ad istiociti; la cute è lassa e si riempie di istiociti con sottocute appesantito e grosse pliche; pagetoid reticulosis MALATTIE LINFOPROLIFERATIVE CUTANEE

CD30+

Lo studio dell’espressione del CD30 nei linfomi cutanei ha rivelato che queste neoplasie sono aggressive ma a prognosi favorevole. Papulosi linfomatoide. Soggetto di 30-40 anni; presenta molte pustole di 0,2-1 cm sulla cute; scompaiono dopo circa 2 settimane (self healing): è autorisolventesi ma recidivante; risparmiate le superfici palmoplantari. Il patologo vede cellule molto brutte, simili alle RS del LH. Nessun trattamento necessario; si può effettuare una terapia PUVA con psoraleni e UVA. La biologia molecolare dice poco; clonalità in < 50% dei casi; come nel LH le cellule tumorali sono poche (necessaria la microdissezione laser). Linfoma a grandi cellule anaplastiche CD30+. Noduli che non regrediscono ma non evadono dalla cute; cellule brutte, atipiche. Molte cellule tumorali; buona prognosi ma maggior tendenza a interessare i linfonodi locoregionali. Esistono anche lesioni borderline a cavallo tra le due forme precedenti (frequenti fenomeni di regressione) con buona prognosi. Tutte queste malattie sono davvero linfomi? Sembrerebbe di sì; la clonalità è presente in più del 95% delle cellule utilizzando le tecniche di dissezione laser. LINFOMI

T PERIFERICI CUTANEI NOS

Cellule pleomorfe, da immunoblastiche ad anaplastiche, con aspetto cerebriforme e fenotipo T (CD3, CD43).

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Subcutaneous Panniculitis-like T-cell lymphoma. Mima una panniculite (ipodermite) infiammatoria (evento frequente in malattie autoimmuni e diabete). Età molto variabile; noduli simil-lipoma. L’esame istopatologico mostra cellule linfomatose che circondano gli adipociti e li distruggono; la diagnosi è difficile. Si tratta di una forma aggressiva che necessita trattamento. Fenotipo T (CD3) ad espressione NK (perforina). NK-T cell Lymphoma nasal type. Un tempo noto come linfoma T della linea mediana (cfr. pagina 37, “linfoma a cellule T/NK periferiche extranodale”). Lesioni cutanee, sintomi B, povera prognosi. È aggressivo, distrugge le strutture vascolari. CD2, CD56 (NK), perforina (NK), EBV+ 100%, CD3 cyt+ (CD3 superficiale -). Probabilmente sono linfomi sistemici a tropismo viscerale che hanno come primo sito bersaglio la cute.

NEOPLASIE MIELOIDI Caratteristica comune di queste neoplasie è l’origine dalle cellule progenitrici emopoietiche. Queste malattie interessano primitivamente il midollo osseo e in minor grado gli organi emopoietici secondari (fegato, milza e linfonodi) e si manifestano con alterazioni quantitative e qualitative dei normali costituenti cellulari del sangue periferico. Esistono tre grandi categorie di forme neoplastiche mieloidi: - la leucemia mieloide acuta, caratterizzata da accumulo di forme mieloidi immature nel midollo e soppressione della normale emopoiesi; - le sindromi mielodisplastiche associate a emopoiesi inefficace e citopenia di vario grado coinvolgente variamente le linee mieloidi; - le sindromi mieloproliferative croniche, associate ad un aumento della produzione di cellule mieloidi terminalmente differenziate. È frequente la “trasformazione” nel tempo da forme meno aggressive (mieloproliferative) a forme rapidamente evolutive (leucemia acuta); curiosa inoltre la tendenza talvolta mostrata dalla leucemia mieloide cronica (sindrome mieloproliferativa) ad evolvere in leucemia acuta linfoblastica Ph’+, cioè positiva per la traslocazione t(9;22) tipica della LMC. La prognosi delle forme “evolute” è nettamente più grave. LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA

L’incidenza della leucemia acuta mieloide aumenta sensibilmente con il crescere dell’età; complessivamente risulta di 2-3 casi ogni 100.000 persone per anno. Le LAM rappresentano circa il 15-20% delle leucemie acute del bambino e l’80% delle leucemie acute dell’adulto. Dal punto di vista genetico e molecolare sono state individuate diverse alterazioni che ricorrono con frequenza e specificità variabile nelle LAM. Traslocazione t(8;21) (q22;q22) inv 16 (p13-q22) t(15;17)(q21;q11) t(11;17)(q13;q11) t(5;17)(q31;q11) t(11;17)(q13;q11) t(9;11)(p22;q23) omeotici t(11;19)(q23;p13.1)

Geni coinvolti ETO-AML1 CBFβ-MYH11 PML-RARα PLZF-RARα NPM-RARα NUMA-RARα AF9-MLL

Proteina CBFα CBFβ RARα RARα RARα RARα

MLL-ENL

MLL

MLL

Funzione DNA binding DNA binding attivatore trascrizionale attivatore trascrizionale attivatore trascrizionale attivatore trascrizionale regolatore positivo geni

regolatore positivo geni omeotici

Le leucemie acute mieloidi sono state classificate fino all’ottobre 2002 in base ai criteri morfologici e immunocitochimici FAB (French-American-British Classification Group). In tutti i casi, per porre diagnosi di leucemia acuta mieloide, occorre che il numero di cellule blastiche presenti a livello midollare sia maggiore o uguale al 20% della cellularità totale. La classificazione FAB distingue i seguenti sottotipi di leucemia acuta mieloide:

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- Leucemia acuta M0 (indifferenziata): è caratterizzata da blasti privi di granuli citoplasmatici e corpi di Auer. Le reazioni citochimiche convenzionali (mieloperossidasi, sudan nero) risultano negative. Per la diagnosi deve essere rilevata la positività per uno o più marker mieloidi (anticorpi monoclonali anti-CD13 e anti-CD33) in almeno il 20% dei blasti leucemici. Non è associata ad alterazioni citogenetiche specifiche. - Leucemia acuta M1 (senza maturazione): è caratterizzata da blasti mieloidi senza segni di maturazione: non sono presenti granuli citoplasmatici, la cromatina nucleare è fine. Per la diagnosi è necessario evidenziare la positività alla mieloperossidasi ed al Sudan nero in almeno il 3% dei blasti leucemici. La componente granulocitaria con segni di maturazione deve essere uguale o inferiore al 10%. Non è associata ad alterazioni citogenetiche specifiche. - Leucemia acuta M2 (con maturazione): è caratterizzata da blasti mieloidi nel cui citoplasma è possibile osservare granuli azurofili o corpi di Auer; a livello nucleare sono ben evidenti nucleoli. La componente granulocitaria con maturazione è superiore al 10%; la componente monocitaria deve essere inferiore al 20%. Questo sottotipo si associa alla traslocazione t(8;21) con il coinvolgimento dei geni AML/ETO (prognosi favorevole). - Leucemia acuta M3 (promielocitica): la quasi totalità delle cellule leucemiche è costituita da promielociti atipici con citoplasma ricco di granulazioni azurofile e corpi di Auer (variante ipergranulare). La reazione alla mieloperossidasi è intensamente positiva. Questo sottotipo è associato con altissima frequenza alla t(15;17), riarrangiamento PML/RARα (prognosi favorevole). Esiste una variante ipogranulare della leucemia acuta M3, in cui i granuli non sono visibili alla microscopia ottica ma sono dimostrabili con la microscopia elettronica. L’alterazione citogenetica è la medesima della variante ipergranulare. - Leucemia acuta M4 (mielomonocitica): per la diagnosi di questa forma deve essere presente oltre a una quota di blasti superiore al 20%, deve essere presente una componente granulocitaria midollare in vari stadi differenziativi maggiore del 20% e una componente monocitaria midollare non inferiore al 20%. Una positività per la mieloperossidasi e la cloroacetato-esterasi (esterasi specifiche) viene riscontrata nella componente granulocitaria, e una netta positività delle esterasi non specifiche (alfanaftil-acetato-esterasi) è presente nelle cellule monocitarie. Una inv(16), con prognosi favorevole, si associa frequentemente a una variante della LAM-M4 detta con componente eosinofila. Gli eosinofili sono abnormi e nel citoplasma oltre ai granuli specifici sono presenti granuli basofili particolarmente prominenti. - Leucemia acuta M5a (monocitica scarsamente differenziata): le cellule monocitiche devono costituire almeno l’80% delle cellule leucemiche; i monoblasti devono costituire almeno l’80% della componente monolitica; la componente granulocitaria se presente deve essere inferiore al 20% delle cellule leucemiche. I monoblasti sono negativi alla mieloperossidasi e positivi alla alfanaftil-acetato-esterasi (esterasi non specifiche). Questa forma non è associata a alterazioni citogenetiche specifiche. - Leucemia acuta M5b (monocitica con differenziazione): per la diagnosi è necessario che i monoblasti siano meno dell’80% della componente monocitaria. I promonociti sono predominanti. - Leucemia acuta M6 (eritroleucemia): è caratterizzata dalla coesistenza di blasti mieloidi e eritroblasti abnormi a livello del midollo osseo. I precursori eritroidi sono almeno il 50% delle cellule; almeno il 30% delle cellule non-eritroidi è costituito da mieloblasti. I precursori eritroidi sono displastici e PAS positivi. Le alterazioni citogenetiche sono estremamente variabili. - Leucemia acuta M7 (megacariocitaria): la diagnosi di questa forma è esclusivamente immunofenotipica: gli elementi blastici devono essere positivi per gli antigeni CD41, CD42 e CD61 (antigeni piastrinici GpIb, GpIIb/IIIa e GpIIIa). Inoltre la natura megacariocitaria della leucemia può essere evidenziata con la microscopia elettronica mediante la dimostrazione della perossidasi piastrinica delle cellule.

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Il quadro clinico delle leucemie acute mieloidi è caratterizzato da sintomi e segni da insufficienza midollare: anemia (pallore, astenia, affaticabilità, palpitazione), piastrinopenia (petecchie, ecchimosi, emorragie cutaneo-mucose), granulocitopenia (infezioni). In particolare nei sottotipi mielomonocitico e monocitico (LAM M4-M5 nella classificazione FAB) si possono riscontrare sintomi e segni da infiltrazione (epatosplenomegalia, linfoadenomegalie, infiltrati cutanei, ipertrofia gengivale, interessamento del sistema nervoso centrale). L’esordio della malattia può anche essere caratterizzato da una coagulazione intravascolare disseminata (CID), in particolare nella leucemia acuta promielocitica (LAM-M3), dove questa complicanza è presente in più del 90% dei casi. SINDROMI MIELODISPLASTICHE

Il termine “sindromi mielodisplastiche” si riferisce ad un gruppo di malattie clonali della cellula staminale emopoietica caratterizzate da difetti di maturazione associati a emopoiesi inefficace e da un aumentato rischio di trasformazione in leucemia mieloide acuta. Generalmente la sintomatologia è legata a citopenia mono/trilineare nel sangue periferico. Si presentano in due modi: - MDS idiopatica o primaria: si sviluppa in soggetti >50 anni e progredisce insidiosamente; - MDS terapia-correlata: associata a CT/RT e si manifesta 2-8 anni dopo il trattamento; questa forma è associata ad un più elevato rischio di evoluzione leucemica. Il reperto caratteristico è dato dalla differenziazione disordinata (displastica) che colpisce tutte le linee maturative mieloidi. All’interno della serie eritroide le anomalie più comuni comprendono: sideroblasti ad anello (eritroblasti con mitocondri carichi di ferro visibili come granuli perinucleari al blu di Perls), maturazione megaloblastica, simile a quella da deficit di folati e B12 e anomalie nucleari di gemmazione che appaiono come nuclei deformi, spesso polipoidi. Le anomalie pseudo-Pelger-Huet dei neutrofili (iposegmentazione nucleare) sono comuni. I megacariociti con lobi nucleari singoli o multipli che separano i nuclei (megacariociti pawn ball) sono caratteristici. I blasti mieloidi possono essere aumentati, ma non devono superare il 20% della quota cellulare midollare: se questo avviene, si pone diagnosi di LAM. L’evoluzione in LAM avviene nel 10-40% dei pazienti e in genere si tratta di forme difficilmente trattabili con la CT; per questo le forme più avanzate di MDS (AREB1/2) vengono trattate anche con BMT in casi selezionati; altre forme, come la sindrome del(5q) sono decisamente più favorevoli. La sopravvivenza varia comunque da qualche mese a qualche anno.

SINDROMI MIELOPROLOFERATIVE CRONICHE LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA

Colpisce adulti tra i 25-60 anni. Si distingue dalle altre MPD per la presenza di una particolare alterazione molecolare, cioè la t(9;22) che interessa il gene BCR sul cromosoma 9 e il gene ABL sul cromosoma 22. la traslocazione produce un cromosoma 22 più piccolo, che agli studi di citogenetica è stato nominato “cromosoma Philadelphia”. In quanto dovuta a tale meccanismo, la LMC colpisce unicamente l’uomo, non potendosi riscontrare in forma spontanea in altre specie, probabilmente a causa della distanza relativa che assumono i cromosomi 9 e 22 nelle mitosi di cellule non umane. La proteina di fusione BCR-ABL codifica per una tirosin-chinasi che è in grado di autofosforilarsi ed attivarsi costitutivamente, senza necessità di stimolo da parte di un ligando; la cascata di eventi che viene così a valle determinata blocca la via apoptotica e stimola la proliferazione, mette cioè la cellula staminale in condizione di attiva proliferazione. Per motivi sconosciuti i progenitori granulocitari sono quelli più interessati dall’attività BCR-ABL, mentre i megacariocitari lo sono meno. È tuttavia curioso notare che, potendosi riscontrare la t(9;22) nella LAL ed essendo proprio la LAL uno dei rischi evolutivi della LMC, probabilmente il disordine interessa a monte un precursore staminale comune alla linea mieloide e linfoide. Il midollo presenta una cellularità prossima al 100% (normale è 50%) con la maggior parte delle cellule proliferanti differenziate in senso granulocitario. Un rilievo caratteristico sono gruppi sparsi di istiociti con

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citoplasma rugoso “blu mare”. Nel sangue periferico vi è marcata leucocitosi, e generalmente anche basofilia; meno frequente l’eosinofilia. La metaplasia mieloide splenica può determinare infarti focali da massiva splenomegalia, ma anche splenomegalia e linfoadenopatia. Dopo un periodo medio di 3 anni, la maggior parte dei pazienti entra nella cosiddetta “fase accelerata” con aggravamento della trombocitopenia e dell’anemia; entro qualche mese generalmente si verifica una “crisi blastica” che produce una sintomatologia del tutto sovrapponibile ad una LAM. Il 70% delle crisi blastiche è mieloide; il restante 30% produce blasti di linea B (Tdt, CD19, CD20) o anche, molto raramente, di linea T. La terapia è oggi molecolare e specifica, con farmaci inibitori della chinasi bcr-abl, come imatinib, dasatinib, nilotinib. Nei casi evolutivi generalmente la chemioterapia viene attuata con schemi simili a quelli della LAM (citarabina, idarubicina) e in casi selezionati può essere indicato il BMT allogenico. POLICITEMIA VERA

In questa forma neoplastica vi è aumento delle forme eritroidi, granulocitarie e megacariocitarie con eritrocitosi (massa eritrocitaria aumentata) nel sangue periferico, trombocitosi e granulocitosi. Le cellule progenitrici eritroidi hanno pressoché annullato la loro dipendenza dall’eritropoietina, che peraltro mostra valori sierici molto bassi. Il midollo osseo è ipercellulato con poco grasso residuo e sono aumentati i progenitori di tutte le linee mieloidi; lo striscio periferico mostra una trombocitosi con piastrine molto grandi. L’evoluzione della malattia può portare a fibrosi midollare ed emopoiesi extramidollare e, meno frequentemente, a LAM.

TROMBOCITEMIA ESSENZIALE

Conta piastrinica > 600000/mm3. Rappresenta una diagnosi di esclusione rispetto alle altre MPD. I megacariociti midollari sono spesso molto aumentati di numero e dimensioni e vi è modesta deposizione di fibre di reticolina; le PLT periferiche sono molto grandi. Nel 50% dei pazienti vi è organomegalia da emopoiesi extramidollare. Tipiche le trombosi e le emorragie, così come l’eritromelalgia. La sopravvivenza è di 12-15 anni. MIELOFIBROSI IDIOPATICA

Peculiare il rapido sviluppo di fibrosi midollare degenerativa; vi è soppressione della normale emopoiesi midollare con citopenia e metaplasia mieloide negli organi periferici (milza, fegato, linfonodi). Sono probabilmente megacariociti neoplastici a rilasciare fattori fibrogenetici nel midollo osseo (TGF-beta). Nelle fasi precoci in cui la fibrosi è minima, il midollo è generalmente ipercellulato; sopravviene poi una fibrosi diffusa e talvolta gli spazi fibrotici calcificano (osteosclerosi). La splenomegalia è massiva (> 4 kg), dura, grigio-rossastra; comuni gli infarti subcapsulari. Nel sangue periferico vi è leucoeritroblastosi e spesso basofilia con piastrine molto grandi. Inizialmente la conta piastrinica è normale/elevata, ma con il progredire della malattia vi è importante piastrinopenia. La sopravvivenza media varia da 3 a 5 anni; il rischio di LAM è del 5-20%.

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IL POLMONE

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Atelettasia, danno polmonare acuto, malattia polmonare restrittiva e ostruttiva, malattie vascolari, infezioni polmonari, neoplasie; pleura

ANATOMIA POLMONARE Embriologicamente il sistema respiratorio ha origine dalla parete ventrale dell’intestino primitivo; dalla linea mediana della trachea si dipartono due estroflessioni laterali: le gemme polmonari. L’abbozzo embrionale del polmone destro si divide in tre rami e quello sinistro in due, dando origine a tre lobi a destra e due a sinistra. La lingula è il corrispettivo sinistro del lobo medio. Il polmone sinistro ha un volume inferiore al destro. Il tronco del bronco principale destro è più verticale e più allineato con la trachea rispetto al sinistro; il materiale estraneo eventualmente aspirato come vomito, sangue, corpi estranei, tende perciò a preferire la via del bronco destro e del polmone destro. La ramificazione delle vie aeree è accompagnata dalla doppia vascolarizzazione del polmone: sistema delle arterie polmonari e arterie bronchiali. Dalla progressiva suddivisione dei bronchi originano i bronchioli che si differenziano dai bronchi per la mancanza dello scheletro cartilagineo e per la presenza di ghiandole sottomucose nelle loro pareti; l’ulteriore ramificazione dei bronchioli conduce ai bronchioli terminali (diametro < 2 mm); distalmente vi è l’ACINO (unità funzionale) che ha forma grossolanamente sferica con un diametro di 7 mm; è composto dai bronchioli respiratori (che nascono dai bronchioli terminali) nelle cui pareti sono presenti diversi alveoli; questi bronchioli proseguono nei dotti alveolari che subito si diramano nei sacchi alveolari. Un gruppo di 3-5 bronchioli terminali, ognuno con il corrispondente acino, è detto lobulo polmonare. Eccezion fatta per le corde vocali (ricoperte da epitelio squamoso pluristratificato), l’intero albero bronchiale è rivestito da un epitelio colonnare ciliato pseudostratificato, in cui si distinguono, nelle vie aeree con scheletro cartilagineo, numerose cellule mucosecernenti. La mucosa bronchiale contiene cellule neuroendocrine (serotonina, calcitonina, GRP (bombesina)). Lungo le pareti della trachea e bronchi (non bronchioli) si trovano numerose ghiandole sottomucose mucosecernenti. I setti alveolari sono costituiti da: endotelio capillare, membrana basale e interstizio circostante, epitelio alveolare (contenente pneumociti di tipo I o membranosi (95% della superficie della parete alveolare) e di tipo II, tondi, responsabili della produzione del surfattante (contenuto nei corpi multilamellari osmiofili al me) e della riparazione dell’epitelio alveolare); sono presenti macrofagi alveolari, spesso infarciti di particelle di carbonio e altre particelle fagocitate.

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Le pareti alveolari sono perforate da numerosi pori di Kohn, che permettono il passaggio di batteri ed essudato tra alveoli adiacenti. Adiacente alla membrana cellulare alveolare si trova lo strato di surfattante. ANOMALIE CONGENITE Ipoplasia polmonare. Deficit di sviluppo di entrambi i polmoni, con una conseguente riduzione del peso, del volume e del numero di acini in rapporto al peso. 10% delle autopsie neonatali. Malformazioni cistiche dell’intestino primitivo. Anomalo distacco dell’abbozzo embrionale dell’intestino primitivo; in genere localizzate all’ilo o nella porzione mediana del mediastino; a seconda della struttura della parete, sono classificate in broncogene, esofagee o enteriche. Si presenta in bambini e giovani adulti, come reperto incidentale o con sintomi correlati all’effetto massa o a un’infezione secondaria. Il diametro varia da 1 a 4 cm. La resezione chirurgica è risolutiva. Malformazioni congenite delle vie aeree polmonari. Sono lesioni amartomatose del polmone, classificate in 5 tipi sulla base dei rilievi clinicopatologici; il tipo 1 è il più frequente, con grandi cisti e buona prognosi. Il tipo 2 ha cisti di grandezza intermedia e prognosi infausta. Sequestro polmonare. Presenza di una porzione di tessuto polmonare senza nessuna connessione alle normali vie aeree; il sangue giunge all’area sequestrata dall’aorta o da uno dei suoi rami; i sequestri extralobari sono esterni al polmone (ovunque nel torace / mediastino); i sequestri intralobari sono all’interno del parenchima polmonare e associati ad infezioni ricorrenti o bronchiectasie. ATELETTASIA Incompleta espansione del polmone o collasso di un polmone normalmente espanso, con produzione di aree di parenchima polmonare relativamente privo di aria. La forma acquisita, negli adulti, può essere suddivisa in atelettasia: - da riassorbimento od ostruzione - da compressione - da contrazione L’atelettasia da riassorbimento è conseguenza di una completa ostruzione bronchiale, che nel tempo conduce al riassorbimento dell’aria intrappolata negli alveoli dipendenti, senza alterazione del flusso ematico attraverso le pareti alveolari interessate. Il mediastino si sposta verso il polmone atelettasico. L’atelettasia da compressione si ha ogni volta che la cavità pleurica è parzialmente o completamente occupata da essudato fluido, neoplasie, sangue, aria (in questo caso si parla di pneumotorace) oppure in seguito allo pneumotorace iperteso allorché la pressione dell’aria determina compressione e compromette la funzionalità polmonare e dei grossi vasi. Il mediastino si sposta dal lato opposto a quello colpito. L’atelettasia da contrazione si verifica quando alterazioni fibrotiche locali o generalizzate del polmone / pleura impediscono una piena espansione. L’atelettasia è un’alterazione reversibile (a meno che non sia causata da contrazione). PATOLOGIA POLMONARE ACUTA -

accidenti vascolari edema polmonare danno alveolare acuto (ARDS) emorragia polmonare infezioni (polmoniti acute).

TROMBOEMBOLIA POLMONARE

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Occlusione di un alteria polmonare da coaguli ematici embolici. I trombi si formano nel 95% nei vasi venosi degli arti inferiori al di sopra del ginocchio. Circolo pelvico, cuore destro; rari i trombi in situ. Risalgono attraverso la cava inferiore, il cuore destro e raggiungono le arterie polmonari. Epidemiologia. Incidenza: 20-25/100000 ospedalizzati. 10% delle morti acute ospedaliere dell’adulto. 30% sono casi di trauma grave, ustioni severe, fratture. Rischio raddoppia ogni 10 anni d’età. Più frequente causa di morte non ostetrica post-partum. Oltre il 50% delle TVP sono asintomatiche; il 10% embolizza. Fattori predisponenti: - chirurgica, - neoplasie, - infarto miocardico, FA, protesi valvolari, - cateteri arteriosi, immobilità, - ipercoagulabilità primaria (deficit ATIII, fV Leiden, iperomocisteinemia, Ab-anti-PL, lupus anticoagulante), - ipercoagulabilità secondaria (pillola, terapia sostitutiva, chirurgia dei grossi vasi). L’esito dipende dal grado di ostruzione del circolo e quindi da: - dimensione dell’embolo, - dimensione del vaso occluso, - numero di emboli, - stato del sistema cardiovascolare. Sede anatomica: - 60-80% silenti (piccole dimensioni) - 10-15% rami terminali dell’arteria polmonare  infarto polmonare - 10-15% rami di medio calibro  emorragia polmonare centrale - < 5 % tronco polmonare o rami principali  morte istantanea Dispnea improvvisa, morte per collasso cardiocircolatorio (cuore polmonare acuto); sintomi simili all’infarto miocardico. Arterie di medio calibro: emorragia se circolo sistemico efficiente, infarto polmonare se circolo sistemico insufficiente. Dispnea, dolore toracico, febbre, tosse, emottisi, dolore pleurico. Piccoli emboli distali: scarsa o nessuno sintomatologia. Quando sono numerosi e ripetuti nel tempo possono produrre ipertensione polmonare tromboembolica (secondaria). Diagnosi: - D-dimero (ELISA) - Ecografia venosa - Perfusion lung scanning con albumina marcata Tc99 - Angiografia polmonare con contrasto - Ecocardiografia Prevenzione di eventi tromboembolici polmonari - eparina - calze elastocompressive (compressione pneumatica) - filtro cavale - terapia anticoagulante - mobilizzazione precoce. Le conseguenze della tromboembolia polmonare dipendono dalla massa embolica e dalle condizioni circolatorie generali. Grossi emboli possono fermarsi nella arteria polmonare o nei rami maggiori o a livello della biforcazione (embolo a sella). Ne consegue morte improvvisa. Emboli più piccoli arrivano in vasi più periferici, dove possono provocare un infarto polmonare; le arterie bronchiali vicariano in parte l’insufficienza circolatoria e se efficienti si verificano emorragie ma non infarto;

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solo il 10% degli emboli causa infarto. Le emorragie sono contraddistinte dalla conservazione della struttura alveolare polmonare. Il riassorbimento del sangue permette la ricostituzione della struttura preesistente. L’embolia polmonare causa infarto solo quando la circolazione bronchiale è insufficiente (pts con malattie cardiache / polmonari). È pertanto poco frequente nei giovani. Circa ¾ degli infarti interessa i lobi inferiori con lesioni multiple; variano di dimensione; a forma di cuneo; si estendono alla periferia del polmone con l’apice diretto verso l’ilo. Nella maggior parte dei casi si identifica un vaso occluso all’apice dell’infarto. È un infarto emorragico che nelle prime ore appare come un’area rilevata di colorito rosso bluastro. Spesso la superficie pleurica è rivestita da essudato fibrinoso; entro 48 h l’essudato diventa pallido (lisi emazie) e infine marrone per produzione di emosiderina. Con il passare del tempo inizia la sostituzione fibrosa con trasformazione dell’infarto in una cicatrice. Istologicamente la caratteristica diagnostica è la necrosi ischemica del tessuto polmonare nella zona di emorragia che interessa la parete alveolare, i bronchioli, i vasi. Se l’infarto è causato da embolo infetto compare una maggiore reazione infiammatoria (infarto settico) e questa lesione può evolvere in ascesso. Altre forme di embolia polmonare - GASSOSA (ferite del collo, toracentesi, punture di grosse vene, lacerazione polmonare)  morte improvvisa per quantità superiori a 100 mL; patologia da decompressione; liquido amniotico (1/50000 parti, con mortalità superiore 80%; rischio di DIC per elevata attività tromboplastinica del liquido amniotico; rischio di ARDS se si sopravvive a embolia) - ADIPOSA (fratture ossee, traumi tessuti molli, ustioni, pancreatite acuta); 90% dei soggetti con grandi lesioni scheletriche; manifesta nel 10% dei casi; nel 10% è fatale - MIDOLLO OSSEO - CORPI ESTRANEI (eccipienti di droghe iniettive) - PARASSITI (infarto polmonare per ostruzione vascolare da dirofilaria).

EDEMA POLMONARE

Squilibrio emodinamico (insuff cardiaca congestizia: aumento pressione idrostatica nel letto vascolare polmonare); polmoni di peso elevato (normale circa 350 g); congestione ematica, essudato amorfo negli alveoli. Se di lunga data, accumulo di siderofagi. L’edema può derivare da alterazioni emodinamiche (edema cardiogeno / emodinamico) o in via diretta da aumento della permeabilità capillare dovuto a lesioni microvascolari. Edema polmonare cardiogeno. Il più comune meccanismo è un aumento della pressione idrostatica, come avviene nell’insufficienza cardiaca congestizia sinistra. La congestione e l’edema caratterizzano polmoni pesanti e imbibiti; il fluido si accumula dapprima nelle regioni basali (edema declive); i capillari alveolari sono ingorganti e si osserva un precipitato roseo intraalveolare. All’interno dell’alveolo possono essere presenti microemorragia e macrofagi ripieni di emosiderina (cellule dell’insufficienza cardiaca); i macrofagi sono abbondanti e la fibrosi può portare i polmoni a divenire duri e bruni (indurimento bruno). Edema da lesioni microvascolari. Lesioni dei capillari dei setti alveolari; la pressione idrostatica capillare polmonare non è elevata; l’edema consegue a lesioni primitive dell’endotelio vascolare o da un danno delle cellule epiteliali; fuoriuscita di liquido nello spazio interstiziale / alveolare. Nelle forme generalizzate si crea una ARDS.

DANNO ALVEOLARE DIFFUSO

(DAD) – SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO ACUTO (ARDS)

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Polmone da shock, danno alveolare acuto. Sindrome clinica caratterizzata da un danno severo e generalizzato dell’unità alveolo-capillare con aumento della permeabilità capillare, invasione di fluido negli spazi aerei, danno della barriera alveolare, alterazioni del surfattante. Si manifesta con insufficienza respiratoria grave ad esordio rapido e improvviso, cianosi e ipossiemia refrattaria che possono evolvere verso un’insufficienza multiorgano. La radiografia del torace mostra infiltrazione alveolare diffusa (RX, TC  ground glass). L’ARDS è complicanza di lesioni dirette del polmone o malattie sistemiche. I polmoni sono pesanti, di consistenza aumentata, di colore rosso e imbibiti. Congestione, edema interstiziale e intraalveolare, infiammazione e deposizione di fibrina; le pareti alveolari appaiono tappezzate da membrane ialine, simili a cera (sovrapponibili a quelle osservate nella malattia delle membrane ialine del neonato). Le membrane ialine consistono in un essudato ricco in fibrina, frammisto a residui citoplasmatici e lipidici delle cellule epiteliali necrotiche; nelle fasi organizzative, le cellule epiteliali di tipo II vanno incontro a proliferazione nel tentativo di rigenerare il rivestimento alveolare. Frequente esito fatale nonostante terapia (ventilazione meccanica)  60%. Cause di danno alveolare diffuso: - sepsi - infezioni - aspirazione contenuto gastrico - trauma soprattutto cerebrale - intossicamento - overdose - idiopatica  AIP se sopravvivenza: restitutio ad integrum; più raramente fibrosi per organizzazione delle membrane e collasso alveolare. Il danno diffuso della parete ha un ruolo centrale nella patogenesi. È seguito da alterazioni morfofunzionali a volte prevedibili che conducono ad insufficienza respiratoria. La lesione iniziale riguarda l’endotelio capillare o l’epitelio alveolare. Le conseguenze comprendono aumento della permeabilità vascolare e quindi essudazione intraalveolare, perdita della capacità di diffusione, alterazioni della distribuzione di surfattante a causa di danni ai pneumociti di tipo II. Un danno polmonare acuto si sviluppa in seguito ad una serie di stimoli infiammatori infettivi e non. L’espressione dei geni coinvolti nel processo infiammatorio è regolato da meccanismi trascrizionali (NF-kB). Fin dai primi 30 minuti che seguono un insulto acuto, vi è un aumento della sintesi di IL8, un potente chemotattico per i neutrofili e attivatore dei macrofagi polmonari. Sequestro e attivazione dei neutrofili a livello polmonare. L’esame istologico nelle prime fasi ha dimostrato aumento del numero di neutrofili nello spazio vascolare, interstizio, alveoli. Grave dispnea / tachipnea; cianosi e ipossiemia ingravescenti con acidosi; infiltrati diffusi bilaterali all’RX.

Malattia delle membrane ialine del neonato Causa principale di distress respiratorio neonatale. Altre cause sono: sedazione materna, lesioni cerebrali al parto, aspirazione di meconio o sangue, ipossia intrauterina. Principale causa di morte neonatale (> 50%). Coinvolge soprattutto neonati prematuri; altri fattori di rischio sono il diabete materno (insulina) e il taglio cesareo. Causa: carenza di surfattante polmonare per immaturità dei pneumociti di II ordine. Terapia: ventilazione artificiale; surfattante sintetico; somministrazione di steroidi preparto in soggetti a rischio. Complicanze: ventilazione artificiale  displasia broncopolmonare, fibroplasia retrocristallina, infezioni, pervietà del dotto arterioso di Botallo, emorragia cerebrale intraventricolare, enterocolite necrotizzante.

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Polmone atelettasico, ipoventilato. Sviluppo incompleto della componente alveolare; pochi alveoli ventilati; membrane ialine su pareti bronchiolari e alveolari.

EMORRAGIA POLMONARE

Si manifesta con emottisi, anemizzazione. Cause di sanguinamento: 1. localizzato a. ascesso b. micetoma c. cavità tubercolare d. bronchiectasia e. neoplasia bronchiale f. fistola bronchiale (spesso con arterie aneurismatiche) g. malformazione arterovenosa 2. diffuso a. vasculiti (m autoimmuni) b. s Goodpasture c. emosiderosi polmonare idiopatica d. anticoagulanti o coagulopatie e. farmaci / droga (cocaina) Presenza di emazie e di siderofagi negli alveoli con o senza capillarite. Con capillarite: - granulomatosi di Wegener (ANCA+) - poliangioite microscopica (ANCA+) - crioglobulinemia mista - artrite reumatoide - da farmaci Senza capillarite - s Goodpasture (pat renale) - lupus eritematoso (ANA+) - penicillamina - coagulopatie - emosiderosi polmonare idiopatica Sindrome di Goodpasture Autoanticorpi anti membrana basale (catena alfa-3 del collagene IV); giovani maschi; glomerulonefrite proliferativa associata a sindrome emorragica polmonare; immunofluorescenza polmone: depositi lineari di Ig lungo la membrana basale degli alveoli. Immunofluorescenza rene: depositi lineari di Ig e C’ lungo la membrana basale dei glomeruli. Emosiderosi polmonare idiopatica Ripetuti episodi di emorragia polmonare; prevalente nei bambini, talora associata ad intolleranza alle proteine del latte; evidenza di emorragia recente / pregressa: siderofagi (macrofagi contenenti ferro, positivi al blu di Perls). Fibrosi variabile; assenza di flogosi e vasculite. INFEZIONI POLMONARI

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Con il termine polmonite può essere definita qualunque infezione del parenchima polmonare; la polmonite può essere provocata da molti microrganismi, alcuni dei quali creano quadri distintivi. Può insorgere quando i meccanismi di difesa sono compromessi o quando la resistenza dell’ospite è in generale diminuita; i meccanismi di difesa possono essere alterati da numerosi fattori: - perdita o soppressione del riflesso della tosse (coma, anestesia, farmaci, mal neuromuscolari) - danno all’apparato mucociliare (fumo, gas tossici, s di Kartagener) - interferenze con l’attività fagocitaria o battericida dei macrofagi alveolari (fumo, alcol, anossia) - congestione polmonare ed edema - accumulo di secrezioni (fibrosi cistica) - deficit congeniti dell’immunità e immunodeficienza umorale (piogeni) - deficit immunità cellulomediata (microrganismi intracellulari: micobatteri, herpesvirus, pneumocystis) Inoltre è fondamentale considerare il potere patogeno (virulenza) dei microrganismi. Classificazione in base ai microrganismi: - virali - batteriche - microrganismi atipici (micoplasma) - miceti Classificazione in base alla clinica: - polmonite acuta acquisita in comunità (CAP) - polmonite atipica acquisita in comunità (CAP) - polmonite nosocomiale - polmonite da aspirazione - polmonite cronica - polmonite necrotizzante e ascessi polmonari - polmonite dell’immunodepresso In ciascuno dei suddetti gruppi è coinvolto un numero limitato di agenti eziologici.

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POLMONITE ACUTA ACQUISITA IN COMUNITÀ

S. pneumoniae, H. influenzae, M. catarrhalis, S. aureus, L. pneumophila, Enterobacteriaceae (Klebsiella), Pseudomonas pp. Possono essere batteriche o virali; l’invasione batterica del parenchima polmonare determina la formazione di essudato infiammatorio intraalveolare che quindi causa addensamento (consolidamento) del tessuto polmonare. Insorgono in soggetti immunocompetenti o con fattori di rischio di moderata gravità (BPCO, diabete, età infantile / avanzata, scompenso cardiaco, alcolismo, diabete). Clinica: esordio acuto, febbre elevata, brividi, tosse produttiva con escreato mucopurulento; alcuni pts hanno emottisi. Mortalità < 10% di tutti i ricoverati (empiema, meningite, endocardite, pericardite, condizioni predisponenti). Distribuzione anatomica: polmonite lobare, broncopolmonite lobulare. RX: opacità focali (broncopolmonite) o lobo radiopaco ben circoscritto (polmonite lobare); aspetto macroscopico: consolidamento. Sequenza classica: - congestione: polmoni pesanti, edematosi; congestione vascolare, essudato fluido alveolare, scarsa cellularità infiammatoria (neutrofili), presenza di batteri;

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epatizzazione rossa: polmone solido, rossastro, poco ventilato, essudato endoalveolare massivo (neutrofili, fibrina, eritrociti); epatizzazione grigia: polmoni asciutti grigio – brunastri, disgregazione eritrociti, essudato granulocitario e fibrinico; risoluzione: digestione enzimatica dell’essudato detrito – alveolare  eliminazione con tosse, fagocitosi; organizzazione fibroblastica.

Complicanze: pleurite (fino ad empiema pleurico, aderenze pleuroparietali), ascesso, evoluzione in fibrosi, disseminazione batteriemica (endocardite, meningite, nefrite). Streptococcus pneumoniae È la causa più comune delle CAP. L’escreato viene colorato con gram  numerosi neutrofili contenenti diplococchi gram+ lanceolati  polmonite pneumococcica. (ricordare che lo pneumococco rappresenta il 20% della flora endogena degli adulti). L’isolamento di pneumococchi da emocolture è più specifico ma meno sensibile. Classico quadro di polmonite lobare (se non trattata). Haemophilus influenzae Microrganismo gram- pleomorfo. Principale causa di infezioni acute mortali respiratorie e meningee nei bambini. Negli adulti è una comune causa di CAP. Colonizzatore ubiquitario della faringe, dove esiste in due forme: - capsulato (5%) - non capsulato (95%). Le forme capsulate secernono emocina, un antibiotico in grado di uccidere i ceppi non capsulati. Il tipo B, dotato di una capsula di poliribosofosfato è coinvolto in gravi forme sistemiche. Le forme non capsulate disseminano lungo la superficie del tratto respiratorio superiore e producono otite media, sinusite e broncopolmonite. Haemophilus secerne un fattore che altera il battito ciliare e una proteasi che degrada le IgA. Anticorpi anticapsula proteggono l’ospite: il polisaccaride capsulare B si trova nel vaccino pediatrico. La polmonite da Haemophilus è un’urgenza pediatrica, con elevata mortalità; la laringotracheobronchite discendente determina ostruzione delle vie aeree e dei piccoli bronchi da parte di un essudato denso di PMN, ricco di fibrina, simile a quello della polmonite pneumococcica. Addensamenti polmonari lobulari e a chiazze. Causa anche una congiuntivite acuta purulenta (pink eye). Nei bambini / anziani può provocare endocardite, pielonefrite, colecistite, artrite settica. È la più comune causa batterica di riacutizzazione della BPCO. Moraxella catarrhalis Causa polmonite soprattutto nell’anziano. È la seconda più comune causa batterica di riacutizzazione di BPCO. Staphilococcus aureus Bambini / adulti sani, secondario a malattie respiratorie virali. La polmonite stafilococcica spesso porta a complicanze come l’ascesso polmonare e l’empiema. I tossicodipendenti sono ad alto rischio di polmonite ed endocardite stafilococcica. Klebsiella pneumoniae La più frequente causa di polmonite batterica da gram-. Soggetti debilitati e malnutriti (alcolisti cronici). Caratteristico l’escreato denso e gelatinoso; il microrganismo produce un abbondante polisaccaride capsulare viscido che il pt ha difficoltà ad espettorare.

Legionella pneumophila

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Malattia dei legionari. Forme epidemiche e sporadiche di polmonite causate da Lp; la febbre di Pontiac è un’infezione correlata causata da Lp, affligge il tratto respiratorio superiore, è autolimitante e priva di segni di polmonite; si sviluppa facilmente in ambienti artificiali contenenti acqua, come i tubi domestici e gli impianti di raffreddamento. La polmonite da legionella è comune in soggetti con malattie predisponenti renali, cardiaci, ematologici. Gli organi trapiantati sono particolarmente suscettibili. Antigene urinario  diagnosi. La polmonite batterica mostra due quadri principali di distribuzione anatomica: - broncopolmonite lobulare - polmonite lobare. L’addensamento parcellare del polmone è più caratteristico della broncopolmonite; la polmonite lobare è una forma di infezione acuta che determina addensamento fibrinoso suppurativo di un intero lobo o di gran parte di un lobo. L’interessamento a chiazza può diventare confluente; una efficace terapia può limitare molto l’addensamento. Dal punto di vista clinico la gestione si basa sulla determinazione dell’agente causale, della sua sensibilità alla chemioterapia antibiotica e l’estensione della malattia. Nella polmonite lobare sono stati descritti quattro stadi classici (sopra citati). I focolai di broncopolmonite sono aree addensate di infiammazione suppurativa acuta. L’addensamento può essere a chiazze in un lobo, ma è in genere multilobare e per lo più basale. La reazione evolve in essudazione purulenta che riempie bronchi, bronchioli e spazi alveolari adiacenti. Le complicanze di una polmonite comprendono: - danno e necrosi tissutale  ascesso - diffusione dell’infezione alla cavità pleurica con reazione fibrinoso – suppurativa intrapleurica nota come empiema - organizzazione dell’essudato con solidificazione di una parte del polmone - disseminazione batteriemica alle valvole cardiache, pericardio, cervello, reni, milza, articolazioni, causando ascessi metastatici o artrite suppurativa.

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POLMONITE ATIPICA ACQUISITA IN COMUNITÀ

Influenzavirus A / B, RSV, adenovirus, rinovirus, rosolia, varicella, morbillo, micoplasma pneumoniae, chlamydia pneumoniae, coxiella, coronavirus (SARS). Il termine “polmonite atipica primaria” era un tempo utilizzato per descrivere una malattia respiratoria acuta caratterizzata da infiltrati infiammatori diffusi nei polmoni, limitati soprattutto ai setti alveolari e all’interstizio polmonare. Atipica per: - modesto escreato - mancanza di reperti obiettivi di addensamento - assenza di essudato alveolare - leucocitosi modesta. Soggetti immunocompetenti o con fattori di rischio moderati (infanzia, malnutrizione, alcolismo); spesso andamento epidemico; sintomi atipici “influenzali”, dispnea. Trattamento antibiotico per prevenire le sovrainfezioni batteriche. Le polmoniti da micoplasma sono molto comuni tra i bambini e i giovani adulti; comuni anche le infezioni virali o da altri agenti intracellulari (Coxiella burnetii  febbre Q).

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Il più comune meccanismo patogenetico è l’adesione del microrganismo all’epitelio dell’apparato respiratorio superiore seguita da necrosi cellulare e risposta infiammatoria. La distribuzione anatomica è irregolare o lobare, con aspetto macroscopico di congestione e radiologico di opacità. Edema e infiltrato infiammatorio nei setti alveolari, linfociti, istiociti, plasmacellule; essudato alveolare, membrane ialine; necrosi epitelio alveolare; effetto citopatico virale. Tutti gli agenti eziologici provocano essenzialmente quadri simili; l’interessamento polmonare può essere diffuso o interessare interi lobi unilateralmente o bilateralmente. Le aree colpite sono congeste, rosso – bluastre, subcrepitanti; la pleura è liscia. Prevale la natura interstiziale della reazione infiammatoria, localizzata dentro la parete degli alveoli; i setti sono allargati ed edematosi e presentano un infiltrato infiammatorio mononucleato. Molte volte è possibile un danno alveolare simile all’ARDS. Le sovrainfezioni batteriche possono determinare un quadro di bronchite ulcerativa e bronchiolite. La tosse può essere assente e le manifestazioni possono consistere semplicemente in febbre, cefalea, dolori muscolari e agli arti inferiori; l’edema e l’essudazione sono entrambi localizzati in aree strategiche, creando così una viva sintomatologia dispnoica che contrasta con la povertà del reperto obiettivo.

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POLMONITE NOSOCOMIALE

Sono, per definizione, polmoniti contratte in ambiente ospedaliero. I microrganismi che si diffondono in ambiente ospedaliero vengono selezionati dall’utilizzo corrente di farmaci antibatterici e soluzioni antisettiche e sono pertanto ampiamente antibioticoresistenti. Enterobacter, Pseudomonas, Staphilococcus aureus. Individui debilitati / immunocompromessi. Si manifesta come polmonite acuta con frequente insorgenza di complicanze; ha spesso ad esito fatale.

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POLMONITE DA ASPIRAZIONE

Si verifica in pazienti fortemente debilitati o per alterazione dello stato di coscienza o in caso di crisi di vomito ripetute; un anomalo riflesso della deglutizione predispone all’inalazione di contenuto gastrico. La polmonite è in parte chimica (effetto irritante dell’acido gastrico) e in parte batterica (la flora orale mista viene trascinata nell’albero bronchiale). Si sviluppa spesso una polmonite suppurativa – necrotizzante con decorso fulminante; porta spesso a morte; nei sopravvissuti sono frequenti gli ascessi polmonari. La polmonite da aspirazione cronica si sviluppa nei soggetti predisposti come reazione granulomatosa da corpo estraneo inglobante materiale alimentare con distribuzione nodulare peribronchiale.

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ASCESSO POLMONARE

Processo suppurativo localizzato con distruzione del parenchima polmonare e formazione di una cavità a contenuto purulento (cellule infiammatorie e detrito cellulare) delimitata da una parete fibroblastica di spessore variabile. In genere chiamati in causa stafilococchi, streptococchi e saprofiti gram-. Cause: -

aspirazione di materiale purulento da un focolaio prossimale (dentario, sinusale); aspirazione di contenuto gastrico; complicanze di polmonite batterica; embolo settico; evoluzione polmonite post-ostruttiva;

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complicanza di bronchiectasie / fibrosi cistica.

Il diametro delle lesioni varia da alcuni mm a 5-6 cm. Possono essere singole o multiple. Gli ascessi da aspirazione sono più comuni nel polmone destro (per i motivi descritti in precedenza) e sono più spesso singoli. Gli ascessi derivanti da bronchiectasie sono multipli, basali e diffusamente infiltranti. Se l’ascesso è comunicante con le vie aeree, il materiale può essere drenato e la cavità riempirsi di aria. Sovrainfezioni croniche possono portare ad un quadro definito di gangrena del polmone. Se drenaggio in cavità pleurica  empiema. Febbre, escreato fetido, purulento, ematico (emottisi); dolore toracico e calo ponderale sono comuni. L’ippocratismo digitale compare dopo alcune settimane. Spesso la risoluzione con antibioticoterapia avviene senza conseguenze, ma è fondamentale la valutazione delle condizioni predisponenti.

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POLMONITE NELL’IMMUNODEPRESSO

La comparsa di addensamenti polmonari e segni di infezione attiva (febbre) è una delle evenienze mediche più frequenti in pazienti con compromissione immunitaria causata da: - HIV (la malattia polmonare è la prima causa di morte in soggetti HIV+) - Immunosoppressione iatrogena per trapianto d’organo - Radioterapia - Chemioterapia (soprattutto mielosoppressiva) - Neoplasie (alcune neoplasie linfoidi (ALL, CLL, mieloma) compromettono notevolmente l’attività del sistema immunitario. Gli organismi in causa sono: - batteri  Pseudomonas, micobatteri, Legionella; - virus  CMV, herpesvirus; (vedi in appendice: infezioni sistemiche di rilevanza istopatologica) - miceti  candida, aspergillo, criptococco (vedi in appendice: infezioni sistemiche di rilevanza istopatologica) La particolare condizione immunitaria dà luogo a manifestazioni cliniche e istopatologiche atipiche: - SCARSA O ASSENTE INFIAMMAZIONE - RIDOTTE RISPOSTE TISSUTALI - LESIONI DISTRUTTIVE - QUADRO DI DANNO ASPECIFICO (DAD).

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POLMONITE CRONICA

Oltre alla tubercolosi, che sarà trattata in appendice (infezioni sistemiche di rilevanza istopatologica), altre infezioni polmonari croniche sono dovute a Histoplasma, Blastomices, Coccidioides, ovvero funghi dimorfi. L’istoplasmosi, la blastomicosi e la coddidioidomicosi sono malattie granulomatose del polmone possono presentare analogie con la tubercolosi; sono causate da funghi termicamente dimorfici, ovvero che possono svilupparsi sotto forma di ife che producono spore a temperatura ambiente, ma crescono come lieviti (miceti filamentosi) alla temperatura corporea. Hanno una distribuzione caratteristica: - histoplasma: Ohio, Mississippi, Caraibi; - blastomyces: Sud degli USA; - coccidioides: Sud degli USA e Messico.

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PATOLOGIA POLMONARE CRONICA Le malattie croniche del polmone sono classificate in base ai test di funzionalità respiratoria in sindromi ostruttive e restrittive. La sindrome ostruttiva (malattia delle vie aeree) è caratterizzata da un aumento della resistenza al flusso (riduzione FEV1); la sindrome restrittiva è caratterizzata da ridotta espansione del parenchima con diminuzione della capacità polmonare totale. MALATTIE POLMONARI OSTRUTTIVE

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ENFISEMA BRONCHITE CRONICA ASMA BRONCHIECTASIE

MALATTIE POLMONARI RESTRITTIVE

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FIBROSI POLMONARE (IPF, NSIP, COP, PNEUMOCONIOSI, IATROGENA) MALATTIE GRANULOMATOSE (SARCOIDOSI, POLMONITE DA IPERSENSIBILITÀ) EOSINOFILIA POLMONARE MALATTIE INTERSTIZIALI CORRELATE AL FUMO PROTEINOSI ALVEOLARE POLMONARE MALATTIE DELLA PARETE TORACICA, MALATTIE NEUROMUSCOLARI (DISFUNZIONI VENTILATORIE)

MALATTIE POLMONARI OSTRUTTIVE

ENFISEMA

Condizione del polmone caratterizzata da ingrandimento anomalo e permanente dello spazio aereo distale al bronchiolo terminale, accompagnato da distruzione delle pareti senza evidente fibrosi. L’espansione non accompagnata da distruzione è definita sovradistensione (ad esempio nel polmone residuo dopo pneumonectomia monolaterale). Assenza di fibrosi. L’enfisema viene classificato in base alla distribuzione anatomica nel contesto del lobulo. Il lobulo è un gruppo di acini: le unità terminali formati da alveoli. 4 varietà principali di enfisema: 1. CENTROACINARE 2. PANACINARE 3. PARASETTALE 4. IRREGOLARE. Solo i primi due causano una ostruzione di flusso clinicamente significativa. L’enfisema centroacinare è il più comune (95% dei casi). Le porzioni centrali e prossimali degli acini sono formate dai bronchioli respiratori e sono coinvolte, mentre gli alveoli distali sono risparmiati. All’interno dello stesso acino coesistono zone enfisematose e normali. Le lesioni sono più comuni e gravi nei segmenti apicali dei lobi superiori. Le pareti degli spazi aerei contengono grandi quantità di pigmento bruno. Flogosi peribronchiale e peribronchiolare. Colpisce forti fumatori, spesso in associazione a bronchite cronica.

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L’enfisema panacinare presenta una iperinsuflazione uniforme degli acini a partire dal livello dei bronchioli respiratori, fino agli alveoli terminali a fondo cieco. Più grave alle basi polmonari. Associato a deficit di AAT. L’enfisema parasettale (lobulare distale) presenta una parete prossimale dell’acino normale; è colpita in modo prevalente la parete distale. Più evidente nelle regioni adiacenti alla pleura, lungo i setti di connettivo lobulare e ai margini dei lobuli. Si sviluppa adiacente ad aree di fibrosi, di tessuto cicatriziale o di atelettasia ed è più grave nelle regioni superiori. I riscontri sono dati da spazi aerei molteplici successivi e dilatati con diametro da 0,5 a 2 cm, a volte organizzati in strutture simil cistiche. Probabilmente presente in forma latente in molti casi di pneumotorace spontaneo in giovani adulti. L’enfisema irregolare (iperinsufflazione con fibrosi) così chiamato perché l’acino è interessato in modo irregolare, è invariabilmente associato a fenomeni di cicatrizzazione. Una o più zone cicatriziali derivanti da un processo infiammatorio guarito. Epidemiologia. La BPCO (bronchite cronica, enfisema) è un importante problema sanitario. È la quarta principale causa di morbilità e mortalità negli Stati Uniti. Chiara associazione tra tabagismo ed enfisema. Il tipo più grave insorge proprio nei forti fumatori. Patogenesi. Lieve infiammazione cronica in tutte le vie respiratorie, nel parenchima e nel sistema vascolare polmonare. Macrofagi, linfociti T CD8+ e neutrofili sono aumentati localmente nel polmone. Le cellule attivate rilasciano molti mediatori, compreso LTB4, IL8 e TNF, in grado di danneggiare le strutture polmonari e di mantenere e amplificare l’infiammazione neutrofilica. Teoria del disequilibrio proteasi / antiproteasi. L’ipotesi che spiega la distruzione della parete alveolare è lo squilibrio tra proteasi e antiproteasi, con associazione di specie ossidanti prevalenti sugli antiossidanti. La distruzione è provocata dallo squilibrio tra elastasi e antiproteasi (AAT, a1-macroglobulina). Pazienti omozigoti con deficit genetico di AAT hanno una tendenza marcata a sviluppare enfisema; il fenotipo normale PiMM è presente nel 90% della popolazione; dei diversi fenotipi associati a deficit, il peggiore e comune è PiZZ; oltre l’80% dei fenotipi PiZZ sviluppa un enfisema sintomatico. L’intervento terapeutico più importante è la sospensione / astensione dal fumo. La principale attività elastasica è quella derivante dai neutrofili (altre vengono prodotte da macrofagi, mastociti, cellule pancreatiche e batteriche); i neutrofili sono normalmente sequestrati nei polmoni e pochi possono accedere allo spazio alveolare. Qualsiasi stimolo in grado di aumentare il numero di leucociti nei polmoni e/o il rilascio dei loro granuli contenenti elastasi, aumenta l’attività elastolitica polmonare. I neutrofili rilasciano inoltre radicali liberi che inibiscono l’attività di AAT (deficit funzionale). In presenza di bassi livelli sierici di AAT, il processo di distruzione del tessuto elastico è incontrollato e si sviluppa enfisema. La forma più comune di enfisema è correlata al fumo di sigaretta; i linfociti CD8+ possono a loro volta prendere parte al processo causando apoptosi delle cellule epiteliali alveolari o per mezzo di ulteriore reclutamento di macrofagi. Nei fumatori aumenta l’attività elastasica e si riduce l’attività dell’AAT, anche se questa può essere quantitativamente normale. La nicotina e le specie reattive dell’ossigeno contenuti nel fumo, sembrano avere un potente effetto chemotattico. Il fumo aumenta anche l’attività elastasica dei macrofagi. I radicali liberi inibiscono l’AAT. Normalmente il polmone contiene un corredo fisiologico di antiossidanti; il fumo di tabacco contiene numerosi radicali liberi che consumano questi meccanismi antiossidanti, iniziando così i danni tissutali; una

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conseguenza secondaria è l’inattivazione delle antiproteasi native. Nei fumatori si osserva generalmente sviluppo di enfisema centroacinare. La totale mancanza di antiproteasi produrrebbe invece un quadro di enfisema panacinare. Probabilmente il maggior coinvolgimento di zone apicali del polmone in corso di enfisema centroacinare rispecchia la relativa deficienza di flusso apicale con minor apporto dell’AAT sierica. L’enfisema panacinare determina aumento del volume polmonare (cuore a goccia). L’enfisema centroacinare ha un aspetto macroscopico meno peculiare; i polmoni non appaiono ingranditi a meno che la malattia non sia molto avanzata; i due terzi superiori sono più colpiti. Strie nerastre. Le grandi bolle apicali (blebs) sono più caratteristiche dell’enfisema irregolare o lobulare distale. Sulla superficie di taglio si possono osservare alveoli di volume aumentato; vi è riduzione degli alveoli addossati alle pareti esterne di calibro minore. I pori di Kohn sono così dilatati che i setti protrudono a fondo cieco nello spazio alveolare. Vi sono spazi aerei dilatati e vescicole / bolle. Spesso i bronchioli respiratori e i vasi sono compressi e deformati; coesiste spesso bronchite cronica / bronchiolite. Le manifestazioni cliniche compaiono quando è compromesso almeno un terzo del parenchima polmonare. Il primo sintomo è la dispnea, che inizia insidiosamente ma con andamento ingravescente. La tosse / sibili possono essere prevalenti (dd’ asma). Il calo ponderale è comune (dd’ carcinoma). Il pt si presenta dispnoico e con torace a botte ed espirazione prolungata. Si siede con il busto in avanti e respira attraverso le labbra corrugate. La limitazione al picco di flusso espiratorio è diagnostica. Tali pazienti possono iperventilare e rimanere ben ossigenati (pink puffers). I pts con bronchite cronica presentano una storia di infezioni ricorrenti, abbondante espettorato purulento, ipercapnia e ipossiemia grave (blue bloaters). Lo sviluppo di cuore polmonare e insufficienza cardiaca da ipertensione polmonare secondaria sono associati a prognosi infausta. La morte è dovuta a: - acidosi respiratoria e coma - insufficienza cardiaca destra - collasso massivo del polmone in seguito a pneumotorace. Terapia con broncodilatatori, steroidi, bullectomia, riduzione chirurgica del volume polmonare, trapianto polmonare. Altri tipi di “enfisema”

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Iperinflazione compensatoria: dilatazione degli alveoli senza distruzione dei setti in risposta a perdita di tessuto. Iperinflazione ostruttiva: il polmone si espande in seguito alla presenza di aria intrappolata al suo interno; causa comune è l’ostruzione subtotale di origine neoplastica. Enfisema bolloso: qualunque forma di enfisema che abbia formato grandi bolle subpleuriche (diam > 1 cm). Enfisema interstiziale: entrata di aria all’interno dello stroma connettivale del polmone, del mediastino o del sottocute.

BRONCHITE CRONICA

Comune tra i fumatori e coloro che vivono in ambienti con matrice aerea molto inquinata. Può progredire in “ostruttiva” e portare a cuore polmonare e insufficienza cardiaca. Può inoltre essere responsabile di metaplasia squamosa e displasia dell’epitelio respiratorio, fungendo così da humus per la trasformazione neoplastica. La bronchite cronica è di per sé definita clinicamente da tosse produttiva e persistente per almeno 3 mesi per almeno 2 anni consecutivi in assenza di altre cause note.

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Nella bronchite cronica semplice i pts presentano tosse produttiva ma non segni obiettivi di ostruzione delle vie aeree. I forti fumatori sviluppano ostruzione cronica al flusso associata spesso a segni di enfisema: bronchite cronica ostruttiva. Il fattore primario scatenante nella genesi sembra essere una cronica irritazione da parte di sostanze irritatorie: il 90% dei pts è fumatore; anche polvere di granaglie, cotone, silicio. Le infezioni batteriche e virali sono importanti cause di esacerbazione clinica. La bronchite cronica è più frequente nei maschi di mezza età. 4-10 volte più frequente nei fumatori. La presentazione consiste in ipersecrezione di muco nelle grandi vie respiratorie, ipertrofia delle ghiandole sottomucose di trachea e bronchi. Le proteasi neutrofiliche (elastasi, catepsina) stimolano la secrezione. Incremento delle cellule caliciformi nelle piccole vie aeree, nei piccoli bronchi e nei bronchioli, che porta ad eccessiva formazione di muco e contribuisce all’ostruzione delle vie respiratorie. Queste rappresentano reazioni metaplastiche protettive. Studi istologici delle piccole vie aeree in giovani fumatori hanno rilevato: 1. metaplasia delle cellule caliciformi con tappi mucosi nel lume 2. raggruppamento di macrofagi alveolari pigmentati 3. infiltrazione infiammatoria 4. fibrosi della parete bronchiolare. Il fumo e gli altri irritanti che ipertrofizzano le ghiandole mucose possono causare anche bronchiolite e malattie delle piccole vie aeree. Quando la bronchite è accompagnata da ostruzione, la lesione predominante può diventare il concomitante enfisema. Le infezioni hanno ruolo secondario: sono responsabili del mantenimento della bronchite e delle esacerbazioni acute. Il fumo di sigaretta predispone alle infezioni in diversi modi: - interferisce con l’attività ciliare dell’epitelio respiratorio; - può provocare direttamente danno cellulare epiteliale; - inibisce la capacità dei leucociti bronchiali alveolari di eliminare eventuali batteri. Anche le infezioni virali possono causare esacerbazioni. Macroscopicamente si osservano iperemia, tumefazione, edema mucosale. Eccessiva secrezione mucinosa / mucopurulenta adesa alla superficie epiteliale. Talvolta bronchi e bronchioli sono riempiti da densi cilindri di secrezioni e pus. L’aspetto istologico caratteristico della bronchite cronica è dato dall’infiammazione cronica delle vie aeree (prevalentemente linfociti) e dall’ipertrofia delle ghiandole mucosecernenti tracheali e bronchiali. Significativo l’incremento delle dimensioni delle cellule caliciformi (rapporto spessore ghiandolare / spessore parete tra epitelio e cartilagine  indice di Reid, che normalmente è di 0,4. Persistenza di tosse produttiva. Dopo molti anni si sviluppa dispnea da sforzo. Con il passare del tempo e il persistere dell’abitudine tabagica, possono comparire ipossia, ipossiemia e lieve cianosi. Molti pazienti presentano quadri a cavallo con l’enfisema. Dopo molti anni ancora si possono sviluppare cuore polmonare cronico e insufficienza cardiaca.

ASMA

Malattia infiammatoria cronica delle vie aeree che causa episodi ricorrenti di dispnea con sibili espiratori, fame d’aria, senso di costrizione e tosse, in particolare durante la notte e/o nelle prime ore del mattino. Questi sintomi sono associati a broncocostrizione diffusa e di grado variabile, con limitazione del flusso aereo reversibile. L’infiammazione provoca aumento della reattività bronchiale (broncospasmo) a vari stimoli. Anche lo sforzo fisico e il freddo possono avere un ruolo scatenante. Aumento dell’incidenza negli ultimi 30 anni nei paesi occidentali. Ha uno spettro di fattori predisponenti e una presentazione variabile.

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Clinicamente si definiscono alcune categorie poco nette: - asma steroido-sensibile - asma steroido-resistente - asma difficile (cfr) - asma instabile. L’asma è classificato in: (la prof.ssa Morbini dice che quello intrinseco è atopico, quello estrinseco no) - estrinseco (iniziato da una reazione da ipersensibilità di tipo I, indotta dall’esposizione a un antigene estrinseco); - intrinseco (iniziato da meccanismi diversi da quelli immunitari, compresa l’ingestione di aspirina, infezioni polmonari, spt virali, freddo, irritanti inibitori, stress, attività fisica). Molti pts mostrano caratteristiche sovrapposte e hanno elevati livelli plasmatici di IgE. Altre categorie informali definiscono l’asma in base all’evento che scatena la broncocostrizione (stagionale, farmaco indotto, da attività fisica, professionale, del fumatore). L’aspergillosi broncopolmonare allergica, una possibile complicanza, è in parte una reazione allergica verso in fungo che colonizza la mucosa bronchiale: livelli sierici elevati di IgE, eosinofilia e Ab-anti aspergillus. I principali fattori eziologici dell’asma sono: - predisposizione genetica all’ipersensibilità di tipo I (atopia); - stato di flogosi acuta / cronica delle vie aeree; - iperattività bronchiale. L’infiammazione coinvolge vari tipi cellulari e mediatori. I linfociti Th2 sono i componenti predominanti dell’infiammazione bronchiale. Secernono interleuchine che stimolano le cellule B a produrre IgE. I Th1 secernono IFN-gamma e IL2 che promuovono l’eliminazione di virus e altri meccanismi intracellulari. Nei pts con asma allergico, la differenziazione è deviata verso il fenotipo Th2. Modificazioni strutturali nella parete bronchiale (rimodellamento). Comprendono ipertrofia della muscolatura liscia, deposizione di collagene subepiteliale. Recente correlazione gene ADAM33 con l’asma; questo gene appartiene a una sottofamiglia di metalloproteasi; l’esatta funzione del gene è ignota: è espresso dai fibroblasti e dalle cellule muscolari lisce. Probabilmente alcuni polimorfismi accelerano la proliferazione muscolare e fibroblastica (rimodellamento con fibrosi subepiteliale).

ASMA ATOPICO

Comune tipo di asma che inizia durante l’infanzia. Scatenato da antigeni ambientali comuni. I geni che predispongono all’atopia sono oggetto di studio. Una prova di sensibilità cutanea con antigene provoca la comparsa immediata di pomfo ed eritema reattivo (tipo I). Le cellule Th2 rilasciano IL4-5 che promuovono la produzione di IgE da parte delle cellule B, la proliferazione di mastociti e di eosinofili. Nel caso di un antigene inalato, la reazione avviene sui mastociti sensibilizzati: i mediatori allentano le tight-junction della mucosa e facilitano la penetrazione dell’antigene verso il pool sottomucoso di mastociti. La stimolazione diretta di recettori vagali subepiteliali provoca attivazione di riflessi colinergici che hanno un effetto broncocostrittore. Tutto ciò avviene pochi minuti dopo lo stimolo (risposta acuta o immediata): broncocostrizione, edema, secrezione di muco e talvolta ipotensione.

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La reazione di fase tardiva inizia dopo 4-8 ore e può persistere per alcune ore. Lesioni epiteliali e costrizione delle vie aeree. ASMA NON ATOPICO

Detto anche non reaginico. Scatenato da infezioni delle vie respiratorie; i germi generalmente coinvolti sono soprattutto virus. La flogosi indotta dal virus della mucosa riduce la soglia dei recettori vagali subepiteliali per gli stimoli irritanti. Gas inquinanti inalati come ossido di zolfo, ozono, biossido di azoto possono anch’essi contribuire all’infiammazione cronica. L’asma aspirina sensibile è il prototipo dell’asma farmaco indotto. Insorge in pazienti con riniti ricorrenti e poliposi nasale. L’asma professionale è provocato dall’esposizione a resine epossidiche, plastiche, polveri inorganiche, legno, cotone, platino, gas (toluene). I polmoni sono iperdistesi per iperinflazione e vi possono essere piccole aree di atelettasia; la più spiccata alterazione macroscopica è l’occlusione di bronchi e bronchioli da parte di tappi mucosi spessi e adesivi. I tappi contengono aggregati vorticoidi di cellule epiteliali che danno origine alle cosiddette spirali di Curschmann. Sono presenti numerosi eosinofili e cristalli di Charcot – Leyden. Questi ultimi sono raccolte di materiali cristalloidi composti da proteine di membrana eosinofile. Altri rilievi caratteristici, detti nel complesso “rimodellamento bronchiale” comprendono: - ispessimento della membrana basale dell’epitelio bronchiale; - edema e infiltrato infiammatorio della parete bronchiale con preminenza di eosinofili e mastociti; - ipertrofia delle ghiandole sottomucose; - ipertrofia della parete muscolare del bronco. La crisi asmatica classica dura anche diverse ore ed è seguita da tosse prolungata. L’espettorazione delle secrezioni mucose fornisce un notevole miglioramento soggettivo della difficoltà respiratoria. In alcuni pazienti questi sintomi persistono cronicamente a basso livello. Lo stato asmatico grave può durare anche per settimane e in queste situazioni si può creare cianosi da ipossiemia e anche morte. La diagnosi clinica è supportata da elevata conta eosinofila ed eosinofili e spirali di Curschmann e cristalli di Charcot – Leyden nell’escreato.

BRONCHIECTASIE

Sono una malattia caratterizzata da dilatazione permanente di bronchi e bronchioli causata da distruzione del tessuto muscolare ed elastico, successiva o associata ad infezioni croniche necrotizzanti. La dilatazione deve essere permanente. Una dilatazione reversibile spesso accompagna le polmoniti. Le bronchiectasie sono oggi una condizione rara; si manifestano con tosse, febbre, espettorato abbondante, fetido e purulento; le bronchiectasie si sviluppano in associazione a: - malattie congenite / ereditarie: fibrosi cistica, sequestro intralobare polmonare, immunodeficienze, discinesia ciliare primitiva, s. di Kartagener (autosomica recessiva); - stati post-infettivi: polmonite necrotizzante, virus, funghi; - ostruzione bronchiale: dovuta a neoplasie, corpi estranei e occasionalmente a ritenzione di muco; - altre: artrite reumatoide, LES, IBD, post-trapianto. L’infezione e l’ostruzione sono le patologie maggiormente associate e sembra che siano ambedue necessarie allo sviluppo delle lesioni definitive. Dopo l’ostruzione bronchiale si alterano i meccanismi di clearance e ristagno di muco distale; infiammazione delle vie aeree. Questi meccanismi sono più eclatanti nelle forme gravi associate a fibrosi cistica. La discinesia ciliare primitiva ha una frequenza di 1/15-40 mila nascite: malfunzionamento delle ciglia contribuisce alla ritenzione delle secrezioni e allo sviluppo di secrezioni ricorrenti, che portano a

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bronchiectasie  assenza o accorciamento dei bracci di dineina (infertilità nei maschi). Metà dei pazienti sono affetti da sindrome di Kartagener (situs viscerum inversus + bronchiectasia + poliposi nasale). L’aspergillosi broncopolmonare allergica è dovuta ad ipersensibilità all’aspergillus fumigatus. È una importante complicanza dell’asma grave e della fibrosi cistica. Intensa flogosi delle vie aeree con eosinofili e tappi di muco. Le bronchiectasie interessano i lobi inferiori bilateralmente; in particolare le vie bronchiali più verticali e sono più gravi nella parte distale dei bronchioli che assumono una dimensione anche 4 volte maggiore. Slargamenti allungati a forma di tubo (bronchiectasie cilindriche) o in altri casi deformazione fusiforme o nettamente sacculare (bronchiectasie sacculari). Bronchi e bronchioli sono dilatati e possono essere seguiti all’esame macroscopico direttamente fino alla superficie della pleura. Sulla superficie di taglio la superficie bronchiale appare come una cisti riempita di secrezioni mucopurulente. Nei casi acuti: intensa essudazione infiammatoria nella parete di bronchi e bronchioli associata a desquamazione epiteliale e ad aree estese di ulcerazione necrotizzante. Può esserci metaplasia squamosa del rimanente epitelio. Una flora mista presente comprende streptococchi, stafilococchi, germi enterici, anaerobi e, spt nei bambini, H. influenzae e P. aeruginosa. Tosse intensa e persistente, espettorato maleodorante a volte ematico, dispnea e ortopnea nei casi gravi. La tosse può avere carattere parossistico (mattino, nei cambiamenti di posizione che conducono al drenaggio delle raccolte di pus). Per la parte relativa alla fibrosi cistica si veda la sezione “Malattie Pediatriche”.

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MALATTIE POLMONARI RESTRITTIVE

Gruppo eterogeneo di malattie caratteristiche caratterizzate prevalentemente da compromissione diffusa e solitamente cronica del tessuto connettivo polmonare, soprattutto dell’interstizio più periferico e delle pareti dell’alveolo. L’eziopatogenesi è definita per la pneumoconiosi e l’alveolite allergica estrinseca. Per la sarcoidosi è definita la patogenesi, ma non l’eziologia. Nel caso delle fibrosi polmonari l’eziologia può essere ignota (idiopatica).

 Principali quadri della malattia cronica polmonare interstiziale FIBROSANTE

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POLMONITE INTERSTIZIALE COMUNE (FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA) POLMONITE INTERSTIZIALE ASPECIFICA POLMONITE CRIPTOGENETICA IN VIA DI ORGANIZZAZIONE ASSOCIATA A DISORDINI DEL COLLAGENE PNEUMOCONIOSI REAZIONI FARMACOLOGICHE DA RADIAZIONI

GRANULOMATOSA

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SARCOIDOSI POLMONITE DA IPERSENSIBILITÀ

EOSINOFILA CORRELATA AL FUMO

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POLMONITE INTERSTIZIALE DESQUAMATIVA PNEUMOPATIA INTERSTIZIALE ASSOCIATA A BRONCHIOLITE RESPIRATORIA

ALTRO

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PROTEINOSI POLMONARE ALVEOLARE

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FIBROSI POLMONARE

All’interno di questa categoria vengono trattate anche le forme di pneumoconiosi, in quanto la tendenza evolutiva in tali forme occupazionali è di tipo fibrosante. Si tratta comunque di patologie complesse che hanno uno spettro di manifestazioni cliniche variabili fino, appunto, alla fibrosi polmonare. A.

FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA

Sindrome clinico-patologica con proprie caratteristiche radiologiche, anatomopatologiche e cliniche. Le caratteristiche istologiche della fibrosi sono definite come polmonite interstiziale comune (UIP); necessarie per porre diagnosi di IPF. Sindrome di Hamman-Rich: IPF rapidamente progressiva; ora considerata una forma di lesione polmonare acuta ed è sinonimo di polmonite interstiziale acuta. Pare che l’IPF sia causata da cicli ripetuti di danno polmonare acuto (alveolite) provocato da alcuni stimoli non ancora identificati. La riparazione del danno dà origine ad abbondante proliferazione fibroblastica e porta a foci fibroblastici che sono caratteristiche dell’IPF. I mediatori delle guarigione come il TGF sono iperespressi in questi siti. La reazione infiammatoria cronica responsabile si ritiene sia di tipo Th2 (eosinofili, mastociti, IL4, IL13). Sembra che in questi casi sia presente una anomala attivazione della via di segnale Wnt-beta-catenina all’interno delle cellule mesenchimali delle lesioni fibroproliferative. La superficie pleurica ha aspetto ad acciottolato a causa della retrazione cicatriziale lungo i setti interlobulari. La superficie di taglio mostra fibrosi parenchimale: aree dure, gommose e biancastre con prevalenza alle regioni inferiori e caratteristica localizzazione subpleurica e lungo i setti interlobulari. Le lesioni caratteristiche della UIP sono le chiazze di fibrosi interstiziale. La densa fibrosi causa collasso della parete alveolare e formazione di spazi cistici rivestiti da pneumociti iperplastici di tipo II o epitelio bronchiolare (fibrosi a favo d’ape, honeycombing  alveoli sostituiti da spazi cistici separati da tralci spessi di connettivo con cellule infiammatorie). Flogosi lieve o moderata all’interno delle aree fibrotiche; focolai di metaplasia squamosa; spesso ipertensione polmonare secondaria. Inizio insidioso con graduale dispnea da sforzo e tosse secca; età 40-70 anni; sopravvivenza < 3 anni; il trapianto di polmone è l’unica opzione terapeutica efficace. B.

POLMONITE INTERSTIZIALE ASPECIFICA

Biopsie che non dimostrano le caratteristiche specifiche di nessuna altra malattia interstiziale polmonare a causa ignota. Si osservano un quadro cellulare e uno fibroso. Quadro cellulare: flogosi interstiziale cronica di grado lieve / moderato con linfociti e poche plasmacellule. La fibrosi interstiziale è diffusa / parcellare senza l’eterogeneità temporale caratteristica della UIP. I focolai fibroblastici sono assenti. Dispnea, tosse per mesi; 46-55 anni (inferiore al quadro fibrotico di UIP). C.

POLMONITE ORGANIZZATA CRIPTOGENETICA

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Sinonimo di “bronchiolite obliterante evolutiva in polmonite”. Tosse e dispnea in un paziente con aree disomogenee di addensamento parenchimale subpleuriche o peribronchiali. Tappi poilipoidi di connettivo lasso nei dotti alveolari, negli alveoli e spesso anche nei bronchioli. Non vi è fibrosi interstiziale o polmone a favo d’ape. Un quadro simile può essere presente in seguito a BMT. D.

INTERESSAMENTO POLMONARE IN COLLAGENOPATIE

E.

PNEUMOCONIOSI

Termine che fu coniato originariamente per descrivere la reazione polmonare non neoplastica all’inalazione di polveri minerali in ambiente lavorativo. In senso stretto si intende con pneumoconiosi l’esposizione occupazionale ben definita a sostanze specifiche presenti nell’aria; anche polveri atmosferiche inquinanti hanno però effetto simile nelle popolazioni delle aree urbane. Lo sviluppo della pneumoconiosi dipende: - dalla quantità di polvere trattenuta nei polmoni e nelle vie respiratorie - da dimensioni, forma e galleggiabilità delle particelle - dalla solubilità e reattività biochimica delle particelle - dai possibili effetti di irritanti compresenti nell’inalato. I fattori che danneggiano l’integrità dell’apparato mucociliare (fumo) predispongono all’accumulo di polvere. Le particelle più dannose hanno un diametro di 1-5 micron e possono raggiungere le piccole vie aeree terminali e i sacchi alveolari e si possono localizzare nei setti. Le particelle più piccole sono quelle che causano più frequentemente un danno polmonare acuto, mentre le particelle più grandi resistono alla dissoluzione e persistono nel parenchima per anni; tende così a formarsi una pneumoconiosi fibrosante (caratteristica della silicosi). Gli effetti dell’inalato non sono però confinate al solo polmone; alcune possono guadagnare il circolo sistemico e determinare una risposta diversa. Pneumoconiosi dei minatori di carbone (coal worker pneumoconiosis, CWP) Oggi l’incidenza è drasticamente ridotta. Il quadro clinico del minatore varia dall’antracosi asintomatica alla pneumoconiosi semplice (CWT) alla CWT complicata e alla fibrosi massiva. L’antracosi è la lesione più lieve: di comune riscontro anche negli abitanti dei centri urbani e fumatori di tabacco. Il pigmento inalato è fagocitato dai macrofagi alveolari e interstiziali, che lo accumulano poi nel connettivo, lungo i linfatici o nel tessuto linfoide organizzato lungo i bronchi o all’ilo polmonare. La CWP semplice è caratterizzata da macule di carbone (1-2 mm) e da noduli di carbone; la macula è costituita da macrofagi ripieni di carbone; il nodulo contiene anche fibre collagene. I lobi superiori sono più interessati. Soprattutto vicino ai bronchioli respiratori. Nel tempo si dilatano gli alveoli adiacenti; la CWP complicata si sovrappone alla CWP e si sviluppa in anni; caratterizzata da cicatrici intensamente pigmentate di nero che possono raggiungere i 10 cm. Sono di solito multiple; le lesioni sono costituite da collagene denso e pigmentato. Il centro della lesione è necrotico a causa dell’ischemia locale. La CWP è una malattia benigna che causa una modesta riduzione della funzionalità polmonare; nel 10% si sviluppa ipertensione polmonare e cuore polmonare. A differenza della silicosi, non vi sono prove convincenti che la patologia aumenti la predisposizione alla tubercolosi. Silicosi Malattia polmonare causata dall’inalazione di cristalli di biossido di silicio (silice). Attualmente è la malattia professionale cronica più diffusa nel mondo. Si presenta con una latenza di decenni, come una pneumoconiosi fibrosante nodulare a lento sviluppo.

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La silice è presente in forma cristallina e amorfa, ma le forme cristalline (quarzo) sono molto più fibrogeniche. La silice causa attivazione e liberazione di mediatori macrofagici; l’IL1, il TNF, la fibronectina, mediatori lipidici, radicali liberi dell’ossigeno e citochine fibrogeniche. Anticorpi anti-TNF possono bloccare l’accumulo di collagene polmonare in modelli sperimentali. La silicosi è caratterizzata macroscopicamente da noduli inizialmente piccoli, appena palpabili, di colore pallido fino a nerastro (se presente carbone) nelle zone superiori dei polmoni. Con il progredire della malattia questi noduli possono unirsi in cicatrici dure e fibrotiche; alcuni vanno incontro a rammollimento e cavitazione. Lesioni fibrotiche possono osservarsi nei linfonodi ilari e nella pleura. Talora i linfonodi presentano fini calcificazioni a guscio d’uovo. Le lesioni nodulari sono costituite da strati concentrici di collagene ialinizzato circondato da una capsula di collagene più denso. L’esame dei noduli con il microscopio a luce polarizzata rivela particelle birifrangenti di silice. Radiografia di routine in lavoratore asintomatico. Mostra tipicamente una fine nodularità delle zone superiori del polmone; la funzionalità polmonare è normale o quasi. La malattia porta a morte lentamente ma può limitare gravemente la vita attiva. La silicosi è associata a un’aumentata predisposizione alla tubercolosi. La IARC ha concluso che la silice cristallina è cancerogena negli esseri umani. Malattie legate all’asbesto L’esposizione professionale all’asbesto è legata alla presenza di: - placche fibrose localizzate / fibrosi pleurica diffusa - versamenti pleurici - fibrosi interstiziale parenchimale (asbestosi) - carcinoma broncogeno - mesoteliomi - (carcinoma del colon, mesotelioma peritoneale ?) Le forme di asbesto sono molteplici e a seconda di concentrazione, dimensioni, forma e solubilità influenzano la malattia. - Forma serpentina: il crisotile serpentino è la forma più utilizzata nell’industria; i crisotili vengono più facilmente intrappolati nelle vie respiratorie superiori e vengono rimossi dall’apparato mucociliare; gradualmente eliminati dai tessuti in quanto più solubili. - Forma anfibola: quelli più lunghi di 8 micron e più sottili di 0,5 micron sono i più lesivi. Sia gli anfiboli che i serpentini sono fibrogenici e associati a maggiore incidenza di tutte le patologie amianto correlate, tranne il mesotelioma, correlato esclusivamente alle fibre di anfiboli. L’asbesto può scatenare e promuovere tumori. Le fibre di asbesto generano radicali liberi nelle porzioni polmonari distali; l’assorbimento di cancerogeni presenti nel fumo di tabacco genera una importante sinergia tra questi due fattori di rischio.

 Rischio di carcinoma broncogeno - asbesto: 5x - asbesto + fumo: 55x La deposizione cronica di fibre e la persistente liberazione di mediatori portano infine a infiammazione interstiziale generalizzata e fibrosi interstiziale. La distribuzione diffusa e non nodulare (come la silicosi) potrebbe essere dovuta all’attitudine dell’asbesto a penetrare le cellule epiteliali e raggiungere gli alveoli. L’asbestosi è caratterizzata da fibrosi polmonare diffusa, indistinguibile dalla fibrosi diffusa da altre cause, tranne che per la presenza di corpuscoli asbestosici. Questi hanno l’aspetto di corpi di color marrone dorato, fusiformi o bastoncellari con un centro traslucido e consistono di fibre di asbesto ricoperte di materiale proteinaceo contenente ferro: si formano per il tentativo dei macrofagi di fagocitare l’amianto. Corpi proteici

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ricoperti di ferro sono definiti corpi marziali. L’asbestosi inizia come fibrosi intorno ai bronchioli respiratori e ai dotti alveolari e si estende a interessare sacchi alveolari e alveoli adiacenti. Il tessuto fibroso distorce la normale architettura del polmone, creando spazi cistici allargati racchiusi in pareti fibrose spesse. Alla fine assumono l’aspetto a favo d’api. Contrariamente alla CWP e alla silicosi, l’asbestosi inizia nei lobi inferiori e nelle zone subpleuriche. La cicatrizzazione può intrappolare e restringere arterie e arteriole, causando ipertensione e cuore polmonare. Le placche pleuriche sono placche di collagene denso ben circoscritte, contenenti calcio; si sviluppano nelle zone anteriori e posterolaterali della pleura parietale e sulla pleura diaframmatica. Non contengono corpi asbestosici. Aumento del rischio di neoplasie: - carcinoma broncogeno (5x); effetto sinergico del fumo; - mesotelioma pleurico (1000x); rischio non aumentato dal fumo; - mesotelioma peritoneale. I segni clinici dell’asbestosi sono simili a quelli di tutte le malattie polmonari interstiziali diffuse. Dispnea con tosse produttiva. (spt dopo 20 o più anni dalla prima esposizione). F.

MALATTIA INDOTTA DA FARMACI

bleomicina metotrexate amiodarone nitrofurantoina aspirina betabloccanti

/ RADIAZIONI

polmonite, fibrosi AAE polmonite, fibrosi AAE broncospasmo broncospasmo

MALATTIE GRANULOMATOSE

A.

SARCOIDOSI

Malattia sistemica da causa ignota caratterizzata da granulomi non caseosi in molti tessuti e organi. Presenta molti quadri clinici; i più frequenti sono un’adenopatia ilare bilaterale o interessamento polmonare (90%) alla RX torace. Lesioni oculo-cutanee sono molto comuni. La prevalenza è maggiore nelle donne; 10 volte superiore nei neri americani che nei bianchi. Disturbo della regolazione immunitaria in individui predisposti esposti ad alcuni agenti ambientali. Le alterazioni immunologiche più frequenti comprendono: - accumulo intraalveolare e interstiziale di cellule T CD4+ con alterazione rapporto CD4/CD8 da 5:1 a 15:1 - espansione oligoclonale di cellule T - livelli aumentati di citochine Th1 come IL2, IFN-gamma  espansione T e attivazione macrofagica - aumentati livelli di diverse citochine polmonari (IL8, TNF) - altre alterazioni sistemiche:  anergia cutanea (PPD, antigeni della candida);  ipergammaglobulinemia policlonale (da disregolazione delle cellule Th). Associazione con HLA-A1/B8/DR3. I fattori ambientali sono poco noti. Microrganismi diversi sono stati proposti, ma non vi è evidenza del fatto che la sarcoidosi possa essere causata da un qualsiasi agente infettivo.

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Tutti i tessuti interessati mostrano i caratteristici granulomi non caseosi, ciascuno costituito da cellule epitelioidi strettamente raggruppate, spesso con cellule di Langhans o cellule giganti del tipo “da corpo estraneo”. Presenti spesso concrezioni lamellari con calcio e proteine (corpi di Schaumann) e inclusioni stellate note come corpi asteroidi, racchiuse in cellule giganti (60% dei granulomi). Non sono patognomonici. Polmone: talvolta piccole lesioni nodulari solide non cavitate di 1-2 cm lungo i linfatici, intorno ai bronchi e ai vasi. Frequenti i granulomi nella mucosa bronchiale  alta sensibilità diagnostica delle biopsie broncoscopiche. Rapporto CD4/CD8 superiore a 2,5 e CD3/CD4 inferiore a 0,31 nel BAL sono frequenti. Forte tendenza alla guarigione. Spesso compresenti vari stadi di fibrosi e ialinizzazione. Linfonodi: interessati nella maggior parte dei casi; spt ilari e mediastinici. Aumentati di volume, separati, talvolta calcificati. Tonsille: colpite in 1/3 – 1/4 dei casi. Milza: ingrandita in 1/5 dei casi, ma microscopicamente coinvolta nel 75% casi. La capsula non è interessata. Il fegato è meno coinvolto; può presentarsi ingrandito e con granulomi periportali. Il midollo osseo è frequentemente coinvolto. Le lesioni dell’osso hanno tendenza a coinvolgere le falangi delle mani e dei piedi con piccole aree di riassorbimento. Lesioni cutanee sono presenti nel 50% dei casi; l’occhio e le ghiandole esocrine salivari e lacrimali sono spesso interessati (irite, iridociclite mono/bilaterale con soppressione della lacrimazione). Uveoparotite + sarcoidosi: sindrome di Mikulicz. Escludere altre cause di infiammazione granulomatosa: tubercolosi, micosi. Malattia proteiforme. Esordio insidioso di alterazioni respiratorie: affaticamento e dispnea, tosse, dolore toracico, emoftoe; febbre, astenia, calo ponderale, anoressia, sudorazioni notturne. Decorso imprevedibile con cronicità progressiva o periodi di riacutizzazione e remissione. 65-70% dei pts guarisce con minimi reliquati. La morte può avvenire per fibrosi polmonare e cuore polmonare o, meno frequentemente, in seguito ad interessamento del SNC. B.

ALVEOLITE ALLERGICA ESTRINSECA (POLMONITE DA IPERSENSIBILITÀ)

Spettro di malattie polmonari immunomediate, caratterizzate da intensa e prolungata esposizione a polveri organiche e ai relativi antigeni inalati nell’ambiente di lavoro. Diversamente dall’asma interessa soprattutto gli alveoli. La progressione verso la fibrosi può essere prevenuta dall’allontanamento dell’agente ambientale. Il polmone del contadino deriva dall’esposizione a polveri generate nel fieno raccolto umido / tiepido, che permette la rapida proliferazione di spore di actinomiceti termofili. Il polmone dell’allevatore di piccioni (malattia dell’amatore di uccelli) è provocata da proteine del siero, delle secrezioni o delle penne degli uccelli. Il polmone da umidificatore è causato da batteri termofili presenti nell’acqua riscaldata dei serbatoi. L’AAE è una malattia immunomediata: - BAL mostra aumento livelli citochine proinfiammatorie (MIP1a, IL8) - Aumento T linfociti CD4 e CD8 - Anticorpi specifici nel siero (ipersensibilità di tipo 3 da IC) - C’ e Ig nella parete dei vasi ( “ “ “ ) - La presenza di granulomi non caseosi in 2/3 suggerisce ipersensibilità ritardata (tipo 4). Modificazioni a carico dei bronchioli. Polmonite interstiziale con accumulo di linfociti e macrofagi; granulomi non caseosi nei 2/3 dei pts; fibrosi interstiziale o bronchiolite obliterante in fase avanzata. Le manifestazioni cliniche sono varie: episodi ricorrenti di tosse, dispnea, leucocitosi. Infiltrati diffusi e nodulari all’RX; i test di funzionalità respiratoria mostrano una patologia restrittiva acuta. I sintomi appaiono 4-6 ore dopo l’esposizione. Se l’esposizione continua, sopraggiunge la forma cronica con insufficienza respiratoria progressiva, dispnea, cianosi, riduzione CPT e compliance polmonare.

EOSINOFILIA POLMONARE

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Numerosi quadri polmonari presentano infiltrazione eosinofila (elevati livelli di IL5). Si tratta di malattie a patogenesi immunomediata non completamente nota. - polmonite eosinofila acuta con insufficienza respiratoria: malattia acuta da causa ignota; esordio rapido con febbre, dispnea, ipossiemia. Addensamenti diffusi all’rx torace e il BAL contiene il 25% di eosinofili; rapida risposta ai corticosteroidi; - polmonite eosinofila semplice o sindrome di Loeffler: lesioni transitorie, eosinofilia periferica, decorso benigno; rx torace caratteristica: ombre di varia dimensione e forma presenti in tutti i lobi; i setti alveolari sono ispessiti da infiltrato (eosinofili, cellule giganti); no vasculite/fibrosi/necrosi; - eosinofilia tropicale causata da infezione da microfilaria - eosinofilia secondaria - polmonite eosinofila cronica idiopatica: zone focali di addensamento distribuite soprattutto alla periferia dei campi polmonari; febbre elevata, sudorazioni notturne, dispnea, sintomi che rispondono agli steroidi; diagnosticata quando siano escluse altre cause di eosinofilia polmonare cronica. MALATTIE INTERSTIZIALI CORRELATE AL FUMO: POLMONITE INTERSTIZIALE DESQUAMATIVA

(DIP)

Malattia caratterizzata da grande quantità di macrofagi presenti nelle vie aeree, un tempo ritenuti pneumociti desquamati (da cui il nome). Si pensava inoltre che la DIP fosse una fase precoce di IPF. La DIP presenta segni di fibrosi minima o assente e nella maggior parte dei casi non ha evoluzione progressiva. Il reperto più tipico è l’accumulo di molti macrofagi con citoplasma abbondante contenente pigmento brunastro (macrofagi del fumatore) negli spazi aerei. Particelle di ferro granulari sono presenti nel citoplasma. Alcuni macrofagi contengono corpi lamellari (surfattante); i setti alveolari sono ispessiti (linfociti) e rivestiti da pneumociti cuboidi rigonfi. La fibrosi interstiziale, se presente, è lieve. Spesso presente enfisema. 4-5^ decade di vita. 2x nell’uomo. Tutti i pazienti sono fumatori. Dispnea, tosse secca persistente; ippocratismo digitale. Gli indici di funzionalità polmonare mostrano lieve alterazione restrittiva e moderata diffusione DLCO. Buona prognosi con terapia steroidea e sospensione del fumo.

PROTEINOSI ALVEOLARE POLMONARE

Malattia rara caratterizzata da infiltrati polmonari bilaterali a chiazze asimmetriche e da accumulo di surfattante acellulare negli spazi intra-alveolari e bronchiolari. Esistono tre classi di questa malattia: - congenita: rapido esordio di DRS (distress neonatale); mutazione in diversi geni: proteina B del surfattante (SPB), GM-CSF, recettore GM-CSF. Nella maggior parte dei casi, la causa genetica non è però nota. Il deficit di SPB è trasmesso con modalità autosomica recessiva. - acquisita: eziologia sconosciuta; no familiarità. 90% casi. Deficit di GM-CSF  alterazione della clearance del surfattante. Autoanticorpi neutralizzanti GM-CSF sono presenti nel siero e nel BAL di pazienti con PAP acquisita (ma non nelle altre forme). Questi anticorpi inibiscono l’attività del fattore di crescita endogeno; è una patologia autoimmune. - Secondaria: rara; silicosi acuta, sindromi da inalazione, immunodeficienze, tumori, malattie emopoietiche. Le alterazioni istologiche sono simili. Precipitato omogeneo granulare negli alveoli che causa addensamento confluente focale di ampie aree polmonari, con minima reazione infiammatoria. Al taglio essuda liquido torbido. Marcato aumento delle

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dimensioni e del peso del polmone. Il precipitato alveolare è PAS+ e contiene accumuli di colesterolo. Presenza di proteina A e C del surfattante (nei deficit di SPB) e di tutte e tre le proteine nella forma acquisita. Dispnea aspecifica a esordio insidioso, tosse, escreato abbondante e gelatinoso. Alcuni presentano una sintomatologia prolungata con malattia febbrile. A rischio di sovrainfezioni. Lavaggio polmonare completo (+ trattamento con GM-CSF). La PAP congenita è fatale in 3-6 mesi.

LINFANGIOLEIOMIOMATOSI

Malattia rara; donne in età fertile; associazione con sclerosi tuberosa e angiomiolipomi. Dispnea, emotorace spontaneo, emottisi. Terapia ??? TC: cisti a pareti sottili distribuite su tutto l’ambito polmonare. Proliferazione di cellule leiomuscolari immature nell’interstizio (HMB45+, recettori estrogeni+).

IPERTENSIONE POLMONARE Il circolo polmonare normale è a bassa resistenza / pressione. La pressione polmonare è 1/8 di quella sistemica. Si parla di ipertensione quando la pressione polmonare media raggiunge 1/4 di quella sistemica ed è spesso secondaria a condizioni cardiopolmonari che aumentano il flusso o la pressione polmonare, le resistenze vascolari o la resistenza al flusso ematico del cuore sinistro. - BPCO e pneumopatie interstiziali: ipossia, riduzione del letto capillare - Cardiopatie congenite / acquisite: stenosi mitralica - Tromboembolie ricorrenti: amputazione del letto vascolare polmonare ostruito da emboli ricorrenti con conseguente aumento delle resistenze vascolari - Disturbi autoimmuni: sclerodermia (fibrosi intimale, ipertrofia mediale, ipertensione). Raramente l’ipertensione polmonare si riscontra in pazienti senza cause note: ipertensione polmonare idiopatica (IPH). Solo il 6% presenta una forma familiare con ereditarietà autosomica dominante. Solo il 10% dei membri della famiglia sviluppa la malattia conclamata. Alterazione della trasmissione del segnale a livello della via di segnalazione della BMP2 (proteina morfogenetica dell’osso). L’ipertensione è causata da proliferazione endoteliale, leiomuscolare e intimale con fibrosi intimale laminare concentrica. La BMPR2 appartiene ai recettori del TGFbeta; il meccanismo di trasmissione BMP è importante per l’apoptosi e la differenziazione cellulare con effetti diversi a seconda del tessuto. Nelle cellule leiomuscolari la BMP causa apoptosi: in assenza di tale segnale le cellule muscolari lisce proliferano. Fattori associati sono la produzione di endotelina, la riduzione di prostaciclina e NO. L’attivazione endoteliale rende le cellule endoteliali trombogeniche e favorisce la persistenza di fibrina. Le citochine infiammatorie promuovono le mitosi leiomuscolari e il trofismo della matrice extracellulare. In alcuni pts esiste una componente vasospastica. Grande varietà di lesioni vascolari. La presenza di molti trombi organizzati indica come causa la tromboembolia ricorrente. La BPCO si associa a ipossia cronica come evento scatenante. Depositi ateromatosi nell’arteria polmonare simili all’aterosclerosi sistemica; le arteriole hanno spiccato aumento dello spessore della media e fibrosi intimale, con notevole restringimento del lume dei vasi  in tutti i casi ma soprattutto IPH. Arteriopatia plessogenica polmonare: presenza di formazioni capillari a ciuffo che circondano il lume delle piccole arterie a pareti sottili.  cardiopatie.

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IPH: donne 20-40 anni. Occasionalmente nei bambini. Sincope da sforzo. Malattia esordisce con dispnea e affaticamento, dolore toracico. Cianosi, ipertrofia ventricolare destra, morte da cuore polmonare scompensato entro 2-5 anni. La terapia con vasodilatatori e antitrombotici migliora la prognosi.

CARCINOMA BRONCOGENO 90-95% dei tumori polmonari; i rimanenti sono carcinoidi (5%); il 2-5% sono fibrosarcomi, leiomiomi, linfomi. Il carcinoma broncogeno è la più comune causa di mortalità per cancro. 13% delle diagnosi di cancro. Incidenza in calo negli uomini. Negli anni ’90, l’aumento nelle donne ha raggiunto un plateau. Insorge tra 40-70 anni, con un picco intorno ai 50-60 anni. Solo il 2% compare prima dei 40 anni. La prognosi è infausta (sopravvivenza generale a 5 anni è del 15%). Diversi fattori possono influire sull’insorgenza del carcinoma broncogeno. FUMO DI TABACCO.

Correlazione inequivocabile. L’87% dei carcinomi del polmone insorge in fumatori. Associazione positiva con il numero di sigarette fumate al giorno, la tendenza ad inspirare il fumo e la durata dell’abitudine tabagica. Rispetto ai non fumatori il fumatore medio ha un rischio 10x maggiore e i forti fumatori (> 40/die) hanno un rischio 60x maggiore. La sospensione del fumo per 10 anni riduce il rischio, ma mai ai livelli di controllo. Il fumo passivo fornisce comunque una quantità di cancerogeni senza soglia di rischio sicura. Il fumo di pipa e sigaro aumenta il rischio, ma molto meno del fumo di sigaretta. Il tabacco non fumato è più sicuro, ma è strettamente associato con carcinomi del cavo orale. Modificazioni sequenziali nell’epitelio delle vie respiratorie. Correlazione lineare intensità esposizione / variazioni epiteliali; iniziano con la metaplasia squamosa e progrediscono con displasia squamosa, carcinoma in situ, carcinoma invasivo. Nel fumo di sigaretta sono presenti induttori (ad esempio i PAH, come il benzo-alfa-pirene), promotori (derivati del fenolo), elementi radioattivi (Polonio210, C14, K40), arsenico, muffe, nichel. Alcune esposizioni professionali aumentano il rischio: Radiazioni ionizzanti ad alte dosi. Minatori di uranio: 4x se non fumatori, 10x se fumatori. Esposizione all’asbesto: cancerogeno molto potente, specie se associato al fumo. Il periodo di latenza è di 10-30 anni; tra i lavoratori dell’asbesto, uno su cinque muore per carcinoma polmonare, uno su dieci per mesotelioma e uno su dieci per carcinoma gastrointestinale. Oggi si tende a considerare il problema dell’inquinamento da radon: gas radioattivo ubiquitario presente nel suolo. GENETICA MOLECOLARE.

L’esposizione agli agenti suddetti determina accumulo di alterazioni genetiche nelle cellule pre-neoplastiche. 10-20 mutazioni genetiche rendono evidente il tumore. Alcune lesioni molecolari sono specifiche, altre comuni di alcuni istotipi. C-myc, k-ras, EGFR, Her2/neu. I geni oncosoppressori più comunemente deleti sono p53, RB, p16 e numerosi loci sul cromosoma 3p. In 3p vi sono numerosi oncosoppressori candidati. Le mutazioni p53 sono comuni a SCLC e NSCLC. SCLC: alterazioni in c-myc e RB. NSCLC: alterazioni in RAS e p16. Ruolo del polimorfismo del gene del citocromo P450 (CYP1A1); aumento della capacità di metabolizzare agenti cancerogeni derivanti dal fumo di sigaretta e quindi aumento del rischio di carcinoma polmonare. Lesioni precancerose. Si distinguono in 3 tipi: - displasia squamosa e carcinoma in situ.

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iperplasia adenomatosa atipica. iperplasia diffusa polmonare idiopatica di cellule neuroendocrine.

Le proporzioni relative delle categorie più importanti di carcinoma broncogeno sono: - carcinoma squamocellulare: 25-40% - adenocarcinoma: 25-40% - carcinoma a piccole cellule: 20-25% - carcinoma a grandi cellule: 10-15%. L’incidenza dell’adenocarcinoma è significativamente aumentata negli ultimi 2 decenni: è ora la più comune forma di carcinoma del polmone. Le donne tendono a sviluppare di più l’adenocarcinoma rispetto ad altri istotipi. Vi possono essere quadri istologici diversi anche nello stesso tumore. Vengono clinicamente divisi, in base alla risposta alla terapia e allo sviluppo di metastasi, in: - carcinoma a piccole cellule (SCLC): metastatici, con ottima risposta iniziale alla CT; - carcinoma non a piccole cellule (NSCLC): non inizialmente metastatici, con risposta mediocre alla CT. La relazione più stretta con il fumo si ha con il carcinoma squamocellulare e con il carcinoma a piccole cellule.

MORFOLOGIA

I carcinomi del polmone originano in genere all’ilo del polmone o in sua prossimità. Circa 3/4 delle lesioni originano dal I, II, III ordine di bronchi. Un piccolo numero origina alla periferia dei setti alveolari o dei bronchioli terminali (prevalentemente adenocarcinomi).

1) Carcinoma squamocellulare. Per lo più riscontrato nei maschi e strettamente correlato al tabagismo. Caratterizzato da cheratinizzazione / ponti intercellulari; la cheratinizzazione può assumere la forma di perle cornee. L’attività mitotica è più elevata nei tumori poco differenziati. In passato la maggior parte di questi originava centralmente dai bronchi segmentali o subsegmentali; l’incidenza nelle zone periferiche è in aumento. Nell’epitelio adiacente possono essere osservati: metaplasia squamosa, displasia epiteliale e focolai di carcinoma in situ. Mostrano la massima frequenza di mutazioni di p53. Necrosi centrale con cavitazione nelle lesioni più datate. Massa che ostruisce i bronchi e invade le strutture polmonari. L’espressione della proteina p53 aumenta con l’aumentare della displasia epiteliale. RB nel 15%. L’inibitore di p16 è inattivato nel 65% dei tumori. Molteplici perdite alleliche a livello dei loci di geni oncosoppressori (3p, 9p, 17p). Her2/neu è iperespresso nel 30%, ma non per amplificazione genica (a diff del carc mammario).

2) Adenocarcinoma. Tumore epiteliale maligno con differenziazione ghiandolare e produzione di mucina da parte delle cellule ghiandolari. Varie modalità di crescita; sono spesso misti. Varietà acinare, papillare, bronchioloalveolare e solido con formazione di mucina. Solo il bronchioloalveolare puro ha distintivi caratteri (cfr avanti). L’adenocarcinoma è il tipo più comune nelle donne e nei non fumatori; le lesioni sono più periferiche e piccole. La differenziazione è variabile. 80% contiene mucina. Crescono più lentamente degli squamocellulari, ma tendono a metastatizzare precocemente. Mutazioni di k-ras sono frequenti nei fumatori (30%), ma non nei fumatori. RB, p16, p53 hanno la stessa frequenza dello squamocellulare. Il CARCINOMA BRONCHIOLOALVEOLARE si sviluppa nelle regioni terminali bronchioloalveolari del parenchima polmonare; 1-9% di tutti i carcinomi polmonari. Si presenta nelle zone periferiche come nodulo singolo o noduli diffusi che possono confluire a provocare un addensamento simile a una polmonite. I noduli parenchimali appaiono grigi e traslucidi. Non coinvolge i bronchi principali e pertanto

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bronchiectasie ed enfisema ostruttivo sono poco frequenti. Quadro a sviluppo esclusivamente bronchioloalveolare. Crescita lungo strutture preesistenti senza distruzione dell’architettura alveolare: questa modalità di crescita è stata chiamata lepidica: le cellule assomigliano a farfalle posate su uno steccato. Due sottotipi: muciparo (cellule colonnari a spina o cuboidi) e non muciparo (cellule colonnari lungo i setti alveolari). Costituiti da cellule bronchiolari secernenti mucina, cellule di Clara o raramente pneumociti di tipo II. I carcinomi non mucipari si presentano come un nodulo periferico con rara diffusione aerogena (resezione chirurgica!). Quelli mucipari tendono a diffondere per via aerogena, formando tumori satelliti: nodulo singolo o multipli fino ad interessare l’intero lobo (dd’ polmonite). Probabilmente l’iperplasia adenomatosa atipica è il precursore istologico (lesioni proliferative monoclonali)  epitelio da cuboide a colonnare basso, con atipie citologiche.

3) Carcinoma a piccole cellule: altamente maligno. Caratteristico tipo cellulare. Cellule epiteliali piccole, scarso citoplasma, bordi ben definiti, cromatina granulare (quadro a sale / pepe). Assenza di nuclei appariscenti. Non esiste una dimensione assoluta per le cellule tumorali, generalmente 2,5 volte un piccolo linfocito. Elevata conta mitotica. Le cellule crescono in gruppi non organizzati in senso ghiandolare, né squamoso. La necrosi è comune ed estesa. La colorazione basofila delle pareti vascolari dovuta ad incrostazione di DNA è frequente. 2/3 casi hanno granuli neurosecretori simili a quelli delle cellule argentaffini di Kulchitsky presenti lungo l’epitelio bronchiale nel feto e nel neonato. Cromogranina, sinaptofisina nel 75% dei casi. PTH-like e altri prodotti bioattivi. Forte relazione con il fumo di sigaretta: 99% sono fumatori. Insorgono sia nei bronchi principali che in periferia. Non vi è una fase preinvasiva nota. Molto aggressivi, metastatizzano precocemente. Non passibili di chirurgia. I geni p53 e RB sono molto spesso mutati.

4) Carcinoma a grandi cellule: tumore epiteliale maligno indifferenziato privo delle caratteristiche citologiche delle altre forme. Grossi nuclei, nucleoli prominenti, modesto citoplasma. Rappresentano probabilmente forme 1/2 indifferenziate non riconoscibili con il mo come tali. La loro ultrastruttura mostra tuttavia una minima differenziazione ghiandolare / squamosa. Carcinoma a grandi cellule neuroendocrine: crescita organoide trabecolare, simile a rosette, aspetto a palizzata. Differenziazione neuroendocrina.

5) Carcinomi combinati: 10% di tutti i carcinomi polmonari.

Patologia secondaria. I carcinomi polmonari determinano modificazioni nel tessuto polmonare distale al punto di interessamento. L’ostruzione focale può creare un grave enfisema ostruttivo; l’ostruzione totale può provocare atelettasia. L’alterato drenaggio delle vie aeree produce una bronchite suppurative, bronchiectasie. Un carcinoma silente può manifestarsi come ascesso polmonare. La compressione della vena cava può determinare sindrome della vena cava superiore. L’estensione al pericardio dà pericardite. Si può avere pleurite con versamenti di una certa entità.

 Stadiazione TNM del carcinoma polmonare (broncogeno).

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T1 T2

N1 N2 N3

Tumore < 3 cm senza coinvolgimento pleurico o del bronco principale Tumore > 3 cm o con interessamento del bronco principale a 2 cm dalla carena, interessamento della pleura viscerale o atelettasia lobare Tumore con interessamento della parete toracica, diaframma, pleura mediastinica, pericardio, bronco principale a 2 cm dalla carena o atelettasia dell’intero polmone Tumore con invasione del mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, esofago, corpi vertebrali o carena o con versamento pleurico maligno Ln ilari omolaterali o peribronchiali Ln mediastinici / Ln sottocarenali omolaterali Ln mediastinici / ilari controlaterali, Ln scaleni o sovraclaveari

M0 M1

No metastasi a distanza Metastasi a distanza

T3 T4

STADIO 1 a STADIO 1 b

T1 N0 M0 T2 N0 M0

STADIO 2 a STADIO 2 b

T1 N1 M0 T2 N1 M0

STADIO 3 a STADIO 3 b

T1-3 N2 M0 / T3 N1 M0 Tn N3 M0 / T3 N2 M0 / T4 Nn M0

STADIO 4

Tn Nn M1

/ T3 N0 M0

ASPETTI CLINICI

Il carcinoma polmonare è un tumore aggressivo e insidioso. Pazienti con media di 50 anni che presentano sintomi da molti mesi: tosse, calo ponderale, dolore toracico, dispnea; talvolta esami eseguiti per altri motivi rivelano la presenza di metastasi. Il tumore bronchioloalveolare non è invasivo, non metastatizza e piuttosto determina “soffocamento”. In generale si presenta come una massa solida di consistenza dura con diretta estensione alla pleura, vasi mediastinici, pericardio; metastasi precoci ai linfonodi ilari e mediastinici. Le metastasi a distanza sono localizzate a surrene, cervello, osso, fegato, ma sono possibili ovunque. La biopsia broncoscopica rivela il 90% delle lesioni centrali, ma solo il 30% delle lesioni periferiche. La prognosi è infausta nella maggior parte dei pazienti (15% a 5 anni). Solo il 15% dei carcinomi è diagnosticato in fase iniziale; di questi si può presumere un tentativo di resezione in pochi casi di adenocarcinoma e carcinoma squamocellulare. La chirurgia nel microcitoma non è indicata (sopravvivenza di 6-17 settimane nei casi non trattati); con la terapia la sopravvivenza del microcitoma si aggira sui 12 mesi. La prognosi è comunque variabile; gli stadi precoci localizzati in pazienti con istotipi selezionati possono, con una terapia chirurgica radicale, possono avere una prognosi migliore. Il carcinoma polmonare è associato (1-10% dei pazienti) a numerose sindromi paraneoplastiche, in quanto produttore di sostanze bioattive ormono-simili: -

ADH: iponatriemia ACTH: sindrome di Cushing PTH, PTH-RP, PGE: ipercalcemia (è molto frequente nel carcinoma polmonare) Calcitonina: ipocalcemia Gonadotropine: ginecomastia Serotonina, bradichinina: sindrome da carcinoide.

Non è infrequente osservare una sindrome miasteniforme di Lambert-Eaton, per presenza di auto-Ab anti canale neuronale del calcio; comuni anche la neuropatia periferica sensoriale, alterazioni dermatologiche, reazione leucemoide, osteoartropatia polmonare ipertrofica (con ippocratismo digitale).

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I tumori apicali del solco polmonare (tumore di Pancoast) tendono a invadere le strutture neurali peritracheali inclusi i plessi cervicali del simpatico, producendo così la sindrome di Horner omolaterale (Claude-BernardHorner): enoftalmo, miosi, ptosi palpebrale e anidrosi. Sono inoltre presenti dolori nel territorio di innervazione del nervo ulnare.

 Effetti locali della diffusione del carcinoma polmonare (broncogeno) BASE PATOLOGICA

QUADRO CLINICO

Ostruzione vie aeree Ostruzione; accumulo lipidi in macrofagi Tumore esteso alla pleura Invasione del nervo laringeo ricorrente Invasione esofagea Invasione del nervo frenico Invasione della parete toracica Compressione VCS Invasione dei gangli del simpatico Coinvolgimento pericardico

polmonite, ascesso, collasso lobare polmonite lipidica versamento pleurico disfonia disfagia paralisi del diaframma distruzione costale sindrome della vena cava superiore sindrome di Horner pericardite, tamponamento cardiaco

ALTRE NEOPLASIE POLMONARI NEOPLASIE NEUROENDOCRINE

Le neoplasie neuroendocrine polmonari comprendono i cosiddetti tumorlets, piccoli e benigni e i carcinoidi, i tumori a piccole cellule e il carcinoma polmonare neuroendocrino a grandi cellule (questo presenta architettura organoide, grave atipia citologica, necrosi, cellule di dimensione intermedia). I tumori carcinoidi rappresentano l’1-5% di tutti i tumori dei polmoni; più frequenti al di sotto dei 40 anni e con incidenza uguale nei due sessi. Il 20-40% non sono fumatori. Presentano un basso grado di malignità e sono distinti in tipici e atipici sulla base della morfologia. I carcinoidi tipici non presentano alterazioni di p53 o dell’equilibrio BCL2/BAX, mentre i carcinoidi atipici mostrano queste alterazioni nel 20-40%. Centrali o periferici. I tumori centrali si accrescono come masse digitate o sferiche polipoidi che si proiettano in genere nel lume del bronco e sono coperti da mucosa intatta. Raramente superano i 3-4 cm. Possono penetrare la parete bronchiale fino a emergere con lesioni a “bottone di colletto”. La diffusione ai linfonodi locali è più frequente nei carcinoidi atipici. Il tumore appare composto di cellule con aspetto organoide, trabecolare, a palizzata, a nastro o a rosette, separate da un delicato stroma fibrovascolare. Le cellule sono regolari, con nuclei tondi uniformi. I carcinoidi tipici hanno meno di 2 mitosi per 10 campi ad alto ingrandimento, mentre dei carcinoidi atipici le mitosi sono 2-10/10 campi e sono presenti focolai di necrosi. Per le manifestazioni cliniche si veda l’appendice: tumori neuroendocrini gastrointestinali.

 Tumori mediastinici ed altre masse MEDIASTINO SUPERIORE

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linfoma timoma lesioni tiroidee

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carcinoma metastatico tumori delle paratiroidi

MEDIASTINO ANTERIORE

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timoma

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teratoma linfoma lesioni tiroidee tumori delle paratiroidi

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MEDIASTINO MEDIO

MEDIASTINO POSTERIORE

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tumori neurogeni neurofibroma)

linfoma ernia iatale

(schwannoma,

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cisti broncogena cisti pericardica linfoma

Paolo Gazzetta Anatomia Patologica ___________________________________________________ METASTASI POLMONARI

Il polmone è la più frequente sede di metastasi. Queste hanno aspetto di noduli multipli, di dimensioni variabili, distribuiti in tutti i lobi. Frequente necrosi o linfangite carcinomatosa macroscopicamente non apparente. PLEURA Il liquido pleurico normale è costituito da un fluido chiaro acellulare che non supera i 15 mL di volume. Versamenti pleurici infiammatori

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PLEURITE SIEROSA, SIEROFIBRINOSA, FIBRINOSA:

tubercolosi, polmonite, ascesso polmonare, bronchiectasie, AR, LES, uremia, metastasi. L’essudato viene normalmente riassorbito con risoluzione ed organizzazione della componente fibrinosa. EMPIEMA: raccolta di pus saccata, giallo-verdastra, cremosa, spesso localizzata ma può arrivare a 500 mL. Spesso residuano aderenze fibrose che obliterano la cavità pleurica. PLEURITE EMORRAGICA: essudato infiammatorio ematico; non frequente; si riscontra nelle rickettsiosi, nelle diatesi emorragiche e nell’interessamento neoplastico del cavo pleurico.

Versamenti pleurici non infiammatori

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IDROTORACE:

raccolta non infiammatoria di liquido sieroso all’interno della cavità pleurica (sindromi edemigene); si può riassorbire spesso senza reliquati. EMOTORACE: fuoriuscita di sangue entro la cavità pleurica (aneurisma aortico, trauma vascolare). CHILOTORACE: raccolta di liquido lattescente, spesso di origine linfatica, nella cavità pleurica. In genere confinato al lato sinistro (traumi del dotto toracico, ostruzione neoplastica dei linfatici di grosso calibro).

Pneumotorace Presenza di aria o gas nella cavità pleurica e può essere spontaneo, traumatico o iatrogeno (terapeutico). Può teoricamente complicare qualunque malattia polmonare che determini rottura di un alveolo. È più comunemente associato a enfisema, asma, tubercolosi. Una forma clinicamente rilevante è lo pneumotorace spontaneo idiopatico. Si presenta in soggetti giovani per rottura di piccole bolle subpleuriche apicali; regredisce spontaneamente quando l’aria si riassorbe; le recidive possono talvolta divenire invalidanti. Lo pneumotorace causa compressione, collasso e atelettasia polmonare e può essere responsabile di marcato distress respiratorio. Quando lo pneumotorace permette l’ingresso di aria, ma non la fuoriuscita, si parla di pneumotorace iperteso e questo può comprimere le strutture mediastiniche vitali e il polmone controlaterale.

MESOTELIOMA MALIGNO

Si formano nel torace a partire dalla pleura viscerale o parietale. Sono neoplasie rare, ma negli ultimi anni la loro incidenza ha subito notevoli variazioni nei gruppi con esposizione a polveri di asbesto (si veda quanto detto sull’asbestosi). Il rischio di sviluppare mesoteliomi in soggetti con esposizione occupazionale è del 710% circa. Lungo periodo di latenze (25-45 anni). Il fumo non aumenta il rischio. Corpuscoli dell’asbesto e placche asbestosiche sono frequenti nei pts con mesotelioma. Alcuni studi hanno rilevato la presenza di DNA di SV40 (simian virus 40) nel 60-80% dei casi. Non è noto se questo sia coinvolto nella patogenesi del mesotelioma.

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Lesione diffusa che si estende ampiamente nella cavità pleurica ed è associato a cospicui versamenti pleurici. Il polmone interessato è avvolto da uno spesso strato di tessuto tumorale soffice, gelatinoso, grigiastro. Tipo epitelioide. Cellule cuboidi, colonnari o appiattite formanti strutture tubulari o papillari simili all’adenocarcinoma. Il mesotelioma epitelioide può essere difficile da differenziare dall’adenocarcinoma polmonare. Mesotelioma: colorazione positiva del mucopolisaccaride acido, mancanza di colorazione per CEA e per gli altri antigeni glicoproteici epiteliali, forte colorazione per le proteine di cheratina con accentuazione della colorazione perinucleare, colorazione positiva per la calretinina, per la citochina 5/6, la mesotelina e la trombomodulina. Alla microscopia elettronica: lunghi microvilli; assenza di corpi lamellari e microvilli corti. Il gold standard per la diagnosi è la microscopia elettronica. Tipo sarcomatoide. Aspetto di un sarcoma a cellule fusate (simile al fibrosarcoma). Tipo misto. Dolore toracico, dispnea, versamenti pleurici ricorrenti. Fibrosi da asbestosi concomitante nel 20% dei pts. Invasione polmonare, ai linfonodi ilari e infine al fegato ed altri organi a distanza. Il 50% muore entro 12 mesi. Pochi sopravvivono più di 2 anni. La pneumonectomia, CT, RT, sembra in alcuni casi migliorare la prognosi. I mesoteliomi originano anche nel peritoneo, pericardio, tonaca vaginale. I mesoteliomi peritoneali sono correlati ad elevata esposizione all’asbesto. Il 50% presentano anche fibrosi polmonare. La malattia rimane spesso localizzata ma porta a morte per invasione ed ostruzione intestinale e cachessia.

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Anatomia Patologica

LA MAMMELLA

Patologia infiammatoria, fibrocistica, proliferativa benigna epiteliale e stromale, carcinoma

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ANATOMIA E FISIOLOGIA MAMMARIA Negli esseri umani le due ghiandole mammarie sono collocate a livello dei quadranti superiori della parete toracica, sul muscolo grande pettorale; la mammella origina dalla cresta mammaria, che va dalla spalla all’inguine (detta anche linea del latte) sulla quale è possibile talvolta il riscontro di residui vestigiali di capezzoli o mammelle sovrannumerarie (politelia, polimastia). La mammella è composta da epitelio specializzato e stroma, da cui originano lesioni benigne e maligne dell’organo. Da 6 a 10 sistemi duttali principali drenano al capezzolo; a livello dell’orifizio del dotto è spesso possibile osservare un tappo di cheratina. L’epitelio pavimentoso pluristratificato cheratinizzante cutaneo si continua in epitelio cubico bistratificato nei dotti. La cute della regione areolare è intensamente pigmentata e sostenuta da muscolo liscio. Le diramazioni dei grandi dotti conducono alla fine all’unità terminale duttulo-lobulare (unità funzionale). Questa è costituita da una porzione di dotto terminale che si divide in duttuli a fondo cieco circondati da connettivo lobulare, sul quale agiscono ormoni estrogeni. Nella mammella normale, i dotti e i lobuli sono rivestiti da due tipi di cellule: - uno strato basso e discontinuo di cellule contenenti miofilamenti (cellule mioepiteliali) che giace sulla membrana basale; - uno strato di cellule epiteliali che riveste i lumi. Le cellule luminali del dotto terminale e del lobulo (ma non quelle che rivestono il sistema dei grandi dotti) producono il latte. La maggior parte dello stroma della mammella consiste di tessuto connettivo fibroso denso misto a tessuto adiposo (stroma interlobulare); i lobuli sono racchiusi in un delicato stroma mixoide, responsivo agli ormoni e specifico della mammella, che contiene linfociti sparsi (stroma intralobulare). In età fertile la mammella è costituita da una serie di lobi abbastanza autonomi disposti radialmente attorno al capezzolo (17-18). Il dotto segmentario a cui fa capo ogni lobo drena nel seno galattoforo a livello del capezzolo; il lobo è l’unità anatomica. La gran parte della mammella è costituita da tessuto adiposo: la quota mammaria è del 25-30% e diminuisce nelle età avanzate (nella donna giovane la mammografia è poco sensibile per l’elevata densità diffusa del tessuto). La mammella è un organo particolare, non pienamente formato alla nascita, subisce cambiamenti ciclici durante la vita riproduttiva e comincia a involvere già molto prima della menopausa. La mammella prepubere, nei maschi e nelle femmine, consiste di grandi sistemi duttali che si concludono nei dotti terminali con minima formazione di lobuli. Nelle donne, all’epoca del menarca, i dotti terminali danno origine ai lobuli e lo stroma interlobulare aumenta di volume; la relativa povertà di tessuto adiposo fa apparire la mammella come nettamente radiodensa. Nella prima metà del ciclo mestruale (fase follicolare) i lobuli sono relativamente quiescenti; dopo l’ovulazione (estrogeni e progesterone elevati) le cellule proliferano e c’è vacuolizzazione delle cellule epiteliali; lo stroma intralobulare diventa notevolmente edematoso (tensione e dolore premestruale) al termine della fase luteinica. La mestruazione è seguita da apoptosi delle cellule epiteliali, scomparsa dell’edema stromale e riduzione delle dimensioni dei lobuli. È solo con la gravidanza che la mammella raggiunge il suo completo sviluppo: i lobuli aumentano di numero e dimensioni con conseguente inversione del rapporto stroma/epitelio e alla fine della gravidanza la mammella è composta quasi interamente da lobuli separati solo da una quantità relativamente scarsa di stroma; le ghiandole dermiche dell’areola (tubercoli di Montgomery) diventano più evidenti e contribuiscono alla lubrificazione del capezzolo. Dal terzo trimestre, vacuoli secretori di materiale lipidico sono osservabili dentro le cellule epiteliali delle unità terminali duttulo-lobulari, ma la produzione di latte è inibita dagli elevati livelli di progesterone. Subito dopo il parto, la mammella produce colostro (molto proteico) che si modifica in latte (che contiene più grassi e calorie) entro i primi 10 giorni non appena si riducono i livelli di progesterone. Il latte materno fornisce nutrimento e protezione immunologica (IgA) al neonato, tanto che anche in varie forme di immunodeficienze congenite, come l’agammaglobulinemia legata al sesso (s. di Bruton), il neonato è protetto dalle infezioni ricorrenti per i primi 5-6 mesi di vita. Concluso l’allattamento, i lobuli regrediscono e si atrofizzano e le dimensioni della mammella si riducono marcatamente, ma senza mai raggiungere una totale regressione. Dopo il terzo decennio i lobuli e il loro stroma specializzato iniziano

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ad involvere; nella donna anziana i lobuli possono raramente anche scomparire, reliquando in un quadro che ricorda la mammella maschile. Lo stroma fibroso radiodenso della mammella giovane è progressivamente sostituito da tessuto adiposo radiotrasparente. MANIFESTAZIONI CLINICHE DI MALATTIA DELLA MAMMELLA I sintomi più comuni riportati dalle donne a carico della mammella sono il dolore, un nodulo palpabile o una secrezione dal capezzolo. Il DOLORE (mastodinia/mastalgia) è il più comune sintomo della mammella e può essere ciclico o non ciclico; il dolore diffuso ciclico non ha correlazioni patologiche e i trattamenti più efficaci sono quelli che agiscono sui livelli ormonali. Il dolore non ciclico è invece generalmente localizzato ad un punto preciso della mammella e può essere dovuto a: - rottura di cisti - traumi, infezioni - spesso non è identificabile una lesione specifica Le masse dolenti sono generalmente benigne: solo il 10% dei carcinomi mammari si presenta con dolore. I NODULI PALPABILI EVIDENTI sono il secondo più comune sintomo mammario e devono essere differenziati dalla normale nodularità della mammella; una massa che diviene palpabile ha raggiunto almeno 2 cm di diametro. La probabilità che un nodulo palpabile abbia origine maligna aumenta con l’età della paziente. La FUORIUSCITA DI SECRETO DAL CAPEZZOLO è meno frequente, ma è un sintomo non trascurabile quando spontanea e unilaterale. La galattorrea si associa ad aumentata prolattinemia, ipotiroidismo e sindromi endocrine anovulatorie; il secreto lattescente non è associato a neoplasie maligne. I secreti emorragici o sierosi sono in genere associati a lesioni benigne, ma non esclusivamente. Il rischio di una lesione maligna associata a secreto aumenta con l’età. Oltre i 60 anni una secrezione è associata a carcinoma nel 30% dei casi. Lo screening mammografico ha senso solo oltre i 40 anni. I segni mammografici principali di un carcinoma della mammella sono gli addensamenti e le calcificazioni: - ADDENSAMENTI. La mammografia può evidenziare le lesioni prima che diventino palpabili come masse radiologicamente più dense del tessuto circostante. - CALCIFICAZIONE. Le calcificazioni sono associate a materiale secretorio, a residui secretori e a stroma ialinizzato. Le calcificazioni associate a neoplasia maligna sono comunemente piccole, irregolari, numerose e raggruppate, o lineari e ramificate. IL CDIS è la più comune neoplasia associata a calcificazioni. Le calcificazioni benigne sono usualmente associate a gruppi di cisti apocrine, fibroadenomi ialinizzati e adenosi sclerosante. PATOLOGIA INFIAMMATORIA Rare. Si manifestano spesso come tumefazioni dolorose eritematose durante la fase acuta; nei successivi stadi di guarigione le zone interessate diventano insensibili e talora residuano cicatrici palpabili come nodulo. Marcatori dell’infiammazione sono istiociti, macrofagi (CD68+). MASTITE ACUTA

Quasi tutti i casi si verificano durante l’allattamento (soprattutto il primo mese). Durante le prime settimane di allattamento la mammella è vulnerabile alle infezioni batteriche a causa dello sviluppo di ragadi e fissurazioni sui capezzoli; da questa porta di ingresso penetra più frequentemente lo S. aureus o meno frequentemente gli streptococchi. Le donne si presentano con una mammella eritematosa e dolente, spesso febbre; all’inizio è colpito solo un sistema duttale o un settore della mammella, ma se non trattata può propagarsi all’intera mammella. Le infezioni stafilococciche tendono a provocare un’area di infiammazione acuta localizzata che può evolvere verso la formazione di ascessi singoli/multipli; le infezioni streptococciche tendono invece a provocare un’infiammazione diffusa che alla fine interessa l’intera mammella.

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Il tessuto mammario può essere necrotico ed è infilitrato da neutrofili. Antibioticoterapia.

MASTITE PERIDUTTALE

Condizione nota anche come “ascesso subareolare ricorrente”, “metaplasia squamosa dei dotti galattofori”, “malattia di Zuska”. Le donne (ma anche uomini) si presentano con una massa subareolare dolente eritematosa che di solito viene clinicamente considerata un processo infettivo. Più del 90% sono fumatrici. Generalmente pazienti giovani; non associata all’allattamento o all’età. Nei casi ricorrenti si può formare un tragitto fistoloso sotto le fibre muscolari lisce del capezzolo, che si apre sulla cute al margine areolare. Molte donne hanno una retrazione del capezzolo secondaria a fibrosi e lesioni cicatriziali. Si è pensato che il deficit di vit. A associato al fumo o le sostanze tossiche presenti nel fumo di tabacco modifichino la differenziazione dell’epitelio duttale. Epitelio squamoso cheratinizzante che si estende a una profondità anormale negli orifizi dei dotti galattofori. La cheratina è intrappolata nel sistema duttale e causa dilatazione e, alla fine, rottura del dotto. Un’intensa risposta infiammatoria cronica e granulomatosa si sviluppa in risposta alla cheratina così riversata nei tessuti periduttali. Rimozione chirurgica del dotto e del tratto fistoloso. ECTASIA DUTTALE MAMMARIA

Infiammazione non batterica associata ad un ristagno di secreti mammari nei dotti galattofori; la dilatazione e rottura dei dotti causa fenomeni reattivi circostanti. Tra la V/VI decade, spesso in donne multipare; non associata al fumo di sigaretta. Massa palpabile periareolare mal definita, talvolta con retrazione cutanea, spesso accompagnate da secrezioni bianche e dense dal capezzolo. Dolore/eritema sono rari. Dilatazione dei dotti, secrezione mammaria viscosa, marcata reazione infiammatoria granulomatosa periduttale e interstiziale. I dotti dilatati vengono riempiti da detriti granulari che contengono macrofagi carichi di lipidi (istiociti schiumosi o galattofagi); l’infiammazione peri/interduttale è caratterizzata da un infiltrato ricco di macrofagi e linfociti/plasmacellule. La fibrosi può infine provocare retrazione cutanea e del capezzolo, con indurimento del tessuto mammario, simulando un carcinoma. STEATONECROSI (TRAUMATICA)

Si può presentare come una massa palpabile non dolente, un ispessimento cutaneo o una retrazione, un addensamento mammografico o calcificazioni. È una lesione rara e innocua. La maggior parte delle donne riferisce traumi/interventi chirurgici recenti. Macroscopicamente la lesione può consistere in emorragia nelle prime fasi e più tardi in necrosi centrale colliquativa del grasso; diventa poi un nodulo solido poco definito di tessuto bianco/grigiastro contenente piccoli focolai di detriti emorragici o di aspetto gessoso. Il focolaio centrale di adipociti necrotici è inizialmente circondato da macrofagi e neutrofili; nei giorni successivi viene circondato da fibroblasti, aumentata vascolarizzazione e un infiltrato linfocitario istiocitario. In seguito compaiono cellule giganti da corpo estraneo, calcificazioni ed emosiderina; infine il focolaio è sostituito da tessuto cicatriziale. MASTOPATIA LINFOCITICA (LOBULITE LINFOCITICA SCLEROSANTE, LOBULITE LINFOCITARIA)

Singoli/multipli noduli duri palpabili. In alcuni casi i noduli sono bilaterali. Lesioni molto dure, da cui può essere difficile ottenere tessuto con l’agoaspirato. Macroscopicamente esse mostrano uno stroma ricco di collagene che circonda lobuli e dotti atrofici; la membrana basale epiteliale è spesso ispessita. Molti linfociti attorno ad epitelio e vasi; nel tempo i linfociti vengono sostituiti (sclerosante). Molto comune nelle donne con diabete di tipo I o con malattia tiroidea autoimmune; si è ipotizzato che si tratti di una malattia autoimmune della mammella. Il solo significato clinico è la sua distinzione da un carcinoma. MASTITE GRANULOMATOSA

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I granulomi della mammella sono causati da un’ampia varietà di rare condizioni. Malattie granulomatose sistemiche (Wegener, sarcoidosi) possono interessare la mammella. Infezioni micobatteriche e fungine si verificano in pazienti gravemente immunodepressi o nel contesto di una protesi mammaria o di un piercing al capezzolo. Relativamente più frequente la perdita di materiale intraprotesico con formazione di granulomi da corpo estraneo dovuti al silicone. La mastite granulomatosa lobulare è una rara malattia mammaria caratterizzata da granulomi che interessano l’epitelio lobulare: ne sono affette solo le donne che hanno avuto figli e si è ipotizzato che sia una reazione da ipersensibilità mediata da precedenti alterazioni dell’epitelio lobulare nel corso dell’allattamento.

LESIONI EPITELIALI BENIGNE Divise in tre gruppi in base al rischio di sviluppare un carcinoma della mammella: 1. lesioni non proliferative della mammella (modificazioni fibrocistiche); 2. malattia proliferativa della mammella; 3. iperplasia atipica.

Lesioni non proliferative della mammella (modificazioni fibrocistiche, mastopatia fibrocistica) Miscellanea di alterazioni della mammella femminile definite modificazioni fibrocistiche: - mammella irregolarmente nodulare alla palpazione; - modificazioni morfologiche benigne; - non aumentano il rischio di carcinoma; Possono giungere all’attenzione clinica quando simulino un carcinoma producendo micronodularità palpabili, addensamento o calcificazioni mammografiche o secrezioni dal capezzolo. In genere l’affezione è multifocale e bilaterale. Le aree possono avere un diffuso e mal definito incremento di consistenza, così come una discreta nodularità che può nascondere altre lesioni. Le cisti sono la causa più frequente di massa palpabile. Vi sono 3 principali modelli di alterazione morfologica:

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CISTI,

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FIBROSI;

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ADENOSI;

spesso con epitelio apocrino; piccole cisti si formano dalla dilatazione/distensione dei lobuli; quando i lobuli cistici confluiscono si formano cisti più grandi; le cisti non ancora aperte sono marrone – blu (cisti blu) a causa del contenuto torbido semitrasparente. Sono delimitate da un epitelio piatto atrofico o da cellule apocrine che hanno abbondante citoplasma granuloso eosinofilo con nuclei rotondi simili all’epitelio apocrino delle ghiandole sudoripare; comuni le calcificazioni. Latte calcifico: calcificazioni delle grandi cisti che all’RX paiono rivestire la parte inferiore delle cisti. Le cisti hanno dimensioni da 1 a 5 cm e sono rivestite da epitelio da cubico a cilindrico (ampie cellule poligonali con citoplasma granulare abbondante eosinofilo, nuclei piccoli). È una metaplasia apocrina. le cisti frequentemente si rompono e liberano contenuto nello stroma adiacente; l’infiammazione cronica e le cicatrici fibrose che ne risultano contribuiscono all’aumento della consistenza mammaria alla palpazione. definita come un aumento del numero di acini per lobulo; una normale adenosi fisiologica si verifica diffusamente nella mammella della gravida. Nelle donne non gravide l’adenosi si può presentare come modificazione focale: acini spesso aumentati di volume (adenosi dei dotti terminali) e non distorti (a differenza dell’adenosi sclerosante); occasionali calcificazioni nel lume.

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Molto probabilmente si tratta di uno spettro variabile di caratteristiche istologiche che possono essere osservate in mammelle normali.

Malattia proliferativa della mammella senza atipie Più comunemente osservate come addensamenti mammografici, calcificazioni o riscontrate incidentalmente in biopsie mammarie. L’iperplasia epiteliale in genere non dà luogo a masse palpabili. Più dell’80% dei papillomi dei grandi dotti si presenta con secrezione dal capezzolo. Un papilloma grande può andare incontro a infarto spontaneo, probabilmente a causa della torsione del peduncolo vascolare, causando secrezione ematica; la secrezione non ematica dipende probabilmente dal rilascio intermittente delle normali secrezioni mammarie o dall’irritazione del dotto da parte del papilloma. I papillomi piccoli si sviluppano in profondità. Questo gruppo di alterazioni è caratterizzato da proliferazioni dell’epitelio duttale e/o dello stroma senza anomalie cellulari suggestive di neoplasia maligna. Sono incluse in questa categoria: 1. IPERPLASIA EPITELIALE MODERATA O FLORIDA; 2. ADENOSI SCLEROSANTE; 3. LESIONI SCLEROSANTI COMPLESSE; 4. PAPILLOMI;

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IPERPLASIA EPITELIALE;

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ADENOSI SCLEROSANTE;

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LESIONE SCLEROSANTE COMPLESSA

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PAPILLOMI;

nella mammella normale sono presenti, al di sopra della membrana basale, solo le cellule mioepiteliali e un singolo strato di cellule luminali; l’iperplasia epiteliale è definita dalla presenza di più di due strati epiteliali; l’iperplasia può essere da moderata a florida quando vi siano più di 4 strati cellulari. L’epitelio proliferante spesso comprende le cellule luminali e mioepiteliali e riempie e distende i dotti e i lobuli. Presenti lumi irregolari e fenestrazioni alla periferia delle masse cellulari. meno comune dell’iperplasia epiteliale, compare in età fertile e può simulare radiologicamente un carcinoma. Ha una consistenza particolare perché insieme alla componente epiteliale prolifera anche la componente fibrosa; la consistenza è lignea, simile a quella del carcinoma. La normale disposizione lobulare è conservata, gli acini sono compressi/deformati al centro della lesione e dilatati alla periferia. Le cellule mioepiteliali sono di solito abbondanti; talora la fibrosi stromale può comprimere i lumi tanto da creare la comparsa di cordoni solidi o doppie file di cellule disposte dentro uno stroma denso (mima fortemente l’aspetto di un carcinoma invasivo); le calcificazioni sono frequenti all’interno dei lumi degli acini. La diagnosi di lesione benigna si fa per la presenza di un doppio strato epiteliale e per la presenza di elementi mioepiteliali oltre che per il fatto che la topografia è conservata. Può però associarsi al CLIS. (cicatrice radiale, radial scar); le cicatrici radiali sono lesioni stellate caratterizzate da un agglomerato centrale di ghiandole intrappolate in uno stroma ialinizzato; tali lesioni possono mimare carcinomi invasivi irregolari alla mammografia o all’esame macroscopico. Il termine cicatrice si riferisce all’aspetto morfologico, dato che queste lesioni non sono associati a traumi pregressi. Il termine “lesione sclerosante complessa” comprende anche le lesioni correlate con componenti di adenosi sclerosante, papillomi e iperplasia epiteliale. L’età mediana è di 55 anni in donne post-menopausa; è costituita da tessuto fibroso con proliferazione di duttuli con microcisti; materiale fibroso amorfo (DD’ carcinoma tubulare). i papillomi sono composti da assi fibrovascolari con ramificazioni multiple, ognuna avente un asse di tessuto connettivo rivestito da cellule luminali e mioepiteliali. La crescita si verifica all’interno di dotti dilatati; l’iperplasia epiteliale e la differenziazione apocrina sono frequenti. I papillomi dei grandi dotti sono abitualmente solitari e situati nei seni galattofori del capezzolo. Quelli dei piccoli dotti sono frequentemente multipli e situati in profondità dentro il sistema duttale.

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Malattia proliferativa della mammella con atipie Comprende l’iperplasia duttale atipica (ADH) e l’iperplasia lobulare atipica (ALH). L’ADH è presente nel 517% delle biopsie eseguite per calcificazioni e meno frequentemente in quelle per addensamenti o masse palpabili. L’iperplasia atipica è una proliferazione cellulare somigliante al CDIS o al CLIS molto piccolo. L’ADH è caratterizzata dalla sua somiglianza istologica al CDIS, comprendendo una popolazione cellulare monomorfa (cellule posizionate regolarmente e lumi rotondi). Tali lesioni sono tuttavia limitate in estensione e le cellule non riescono a riempire completamente più di due spazi duttali. L’ALH si riferisce ad una proliferazione di cellule identiche al CLIS, ma le cellule riempiono o distendono meno del 50% degli acini all’interno di un lobulo; può anche estendersi nei dotti (rischio più elevato di carcinoma). LESIONI BENIGNE E RISCHIO DI CARCINOMA

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Rischio minimo: fibrosi, alterazioni cistiche, metaplasia apocrina, adenosi sclerosante, iperplasia lieve; Rischio poco aumentato (1,5-2 x): iperplasia, papillomatosi duttale; Rischio significativamente aumentato (5 x): iperplasia atipica duttale/lobulare con interessamento dei dotti;

Una storia familiare aumenta il rischio in tutte le categorie. Nelle donne con alterazioni fibrocistiche, il 50% sono proliferative; atipie nel 5% di queste. Il 15% delle iperplasie atipiche sviluppa carcinoma. Entrambi le mammelle hanno uguale rischio. TUMORI BENIGNI STROMALI ED EPITELIALI PIU COMUNI FIBROADENOMA

È il più comune tumore benigno della mammella femminile. Si presenta a qualunque età durante il periodo riproduttivo (++ 20-30 anni). Frequentemente multiplo e bilaterale; massa palpabile. Si pensa insorga sotto un aumento dello stimolo estrogenico; è un tumore dello stroma dei lobuli. Responsivo agli ormoni e un modesto aumento nelle dimensioni può verificarsi durante la fase tardiva di ciascun ciclo mestruale. Lo stroma diventa densamente ialinizzato e può calcificare: le calcificazioni grandi e lobulare (a pop-corn) hanno un caratteristico aspetto mammografico, ma piccole calcificazioni possono richiedere una biopsia per escludere il carcinoma. I fibroadenomi crescono come noduli sferici abitualmente ben circoscritti e mobili rispetto al circostante parenchima mammario. Variano nelle dimensioni da meno di 1 cm a grossi tumori che possono sostituire gran parte della mammella. Macroscopicamente sono noduli ben circoscritti, elastici e bianco-grigiastri. Sporgono attraverso i tessuti circostanti e spesso contengono spazi simili a fessure. Lo stroma è delicato, cellulare e spesso mixoide (somiglia allo stroma intralobulare). La proliferazione libera fattori di crescita per la componente epiteliale, che quindi non è clonale. Quasi la metà delle donne che ha ricevuto ciclosporina A sviluppa fibroadenomi multipli e bilaterali. Non ha evoluzione maligna, ma è predittivo di un rischio lievemente aumentato di carcinoma. Raramente, in un fibroadenoma può crescere un carcinoma lobulare. TUMORE FILLOIDE

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Come il fibroadenoma, origina dallo stroma intralobulare. La maggior parte si presenta tra i 50-60 anni. La maggior parte si presenta come masse palpabili. Il termine “cistosarcoma filloide” è a volte utilizzato per queste lesioni, tuttavia il termine tumore filloide è preferibile (la maggior parte di essi si comporta in maniera benigna e la maggior parte non sono cistici). I tumori variano da pochi cm a lesioni massive dell’intera mammella. Le lesioni più grandi spesso hanno protrusioni polipoidi (filloidi). Si distinguono dai più frequenti fibroadenomi sulla base della cellularità, dell’indice mitotico, del pleomorfismo nucleare, dell’eccessiva crescita della quota stromale, dei bordi infiltranti. Le lesioni di basso grado ricordano i fibroadenomi, ma con aumento della cellularità e delle figure mitotiche. Non raramente recidivano con un più alto grado. Devono essere escissi con ampi margini di exeresi o con mastectomia per evitare l’alta frequenze di recidive locali. Le metastasi linfonodali ascellari sono rare. Ne esiste una variante maligna (sarcoma filloide). PAPILLOMA INTRADUTTALE

Epiteliale. Donne anziane Crescita papillare neoplastica nel lume di un dotto; lesione in genere solitaria che si localizza nei dotti galattofori.  Perdite ematiche/sierose dal capezzolo, presenza di un piccolo tumore subareolare di pochi mm di diametro, retrazione del capezzolo. In genere hanno < 1 cm di diametro e formano ramificazioni che crescono in un dotto dilatato o in una cisti. Deve essere differenziato dal carcinoma papillare, che non ha componente mioepiteliale. Necessaria completa rimozione chirurgica del sistema duttale per evitare le recidive locali. I papillomi intraduttali multipli recidivano più spesso e sono associati ad aumentato rischio di sviluppo di carcinoma. ADENOMA DEL CAPEZZOLO

Simile al carcinoma. 40-50 anni: compare in età menopausale. È una grossa proliferazione epiteliale costituita da papillomi nei dotti e iperplasia epiteliale florida immediatamente sotto al capezzolo. Può associarsi o precorrere un tumore maligno nella porzione profonda della mammella. CARCINOMA DELLA MAMMELLA È la più comune neoplasia maligna della mammella e il cancro della mammella è la più comune neoplasia maligna nelle donne. Si calcola che una donna abbia 1/8 di possibilità di sviluppare nella vita un carcinoma della mammella. Epidemiologia A partire dai primi anni ’80 fu introdotto lo screening mammografico e attualmente il 60-80% delle donne di età appropriata è sottoposto a tale indagine. Lo screening ha comportato un aumento dell’identificazione dei piccoli carcinomi invasivi e dei carcinomi in situ. Attualmente si calcola che il 20% delle donne affette da carcinoma della mammella. In Italia è interessata una donna su 15, con circa 24000 nuovi casi all’anno. Fattori di rischio

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ETÀ:

superiore a 50 anni (77%); l’età media alla diagnosi è di 64 anni; prima degli 11 anni (aumento rischio del 20%); anche la menopausa tardiva aumenta il rischio, ma questo non è stato quantificato; ETÀ DEL PRIMO PARTO A TERMINE: donne nullipare o con più di 35 anni al momento della prima gravidanza a termine hanno un rischio doppio rispetto a donne con prima gravidanza a meno di 20 anni; ETÀ DEL MENARCA:

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PARENTI DI PRIMO GRADO CON CARCINOMA DELLA MAMMELLA:

aumenta il rischio, ma la maggior parte delle donne con storia familiare non sviluppa carcinoma della mammella e la maggior parte delle donne con carcinoma della mammella non ha storia familiare positiva; BIOPSIA DELLA MAMMELLA: aumento del rischio associato con precedenti biopsie mostranti iperplasia atipica; RAZZA: incidenza più bassa nell’etnia afroamericana, ma le donne di questo gruppo si presentano più spesso in stadio avanzato; FATTORI ADDIZIONALI NON BEN QUANTIFICATI:  ESPOSIZIONE AGLI ESTROGENI: la terapia sostitutiva ormonale postmenopausale aumenta lievemente il rischio di carcinoma della mammella; i contraccettivi orali no (anzi, riducono il rischio di carcinoma ovarico);  ESPOSIZIONE A RADIAZIONI IONIZZANTI: radioterapia a mantellina per LH entro i 20 anni (ma non ad età maggiori) hanno rischio del 20-30% di sviluppare un carcinoma della mammella da 10-30 anni dopo la terapia;  CARCINOMA DELLA MAMMELLA CONTROLATERALE:  CARCINOMA DELL’ENDOMETRIO  INFLUENZE GEOGRAFICHE: USA ed Europa hanno incidenza 4-7 volte più elevata che in altri paesi;  DIETA: grassi alimentari, alcol; riduzione del rischio legata all’aumento dell’assunzione di beta-carotene;  OBESITÀ: sintesi di estrogeni nei depositi di tessuto adiposo;  ATTIVITÀ FISICA RIDUCE IL RISCHIO IN PREMENOPAUSA;



ALLATTAMENTO

AL

SENO

RIDUCE

IL

RISCHIO

IN

MODO

PROPORZIONALE

AL

TEMPO

DI

ALLATTAMENTO;

 

SINDROME DI COWDEN, SINDROME DI LI FRAUMENI, ATASSIA/TELEANGECTASIA TOSSINE AMBIENTALI

Eziologia e Patogenesi Distinguiamo casi sporadici e casi ereditari.

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CASI EREDITARI:

circa il 25% dei carcinomi familiari (3% di tutti i carcinomi della mammella) può essere attribuito a due geni autosomici dominanti altamente penetranti: BRCA1 (17q21) e BRCA2 (13q12.3). I carcinomi della mammella associati a BRCA1 sono più frequentemente poco differenziati, hanno un pattern di accrescimento di tipo sinciziale con margini espansivi, un infiltrato linfocitario e non esprimono recettori ormonali o iperesprimono Her2/neu (recettore per EGF). I carcinomi associati a BRCA2 non hanno un aspetto morfologico caratteristico. La predisposizione genetica dovuta ad altri geni noti è molto meno frequente (< 10% dei carcinomi ereditari della mammella); i geni in causa sono: p53, PTEN, LKB1, ATM (portatori di atassia-teleangectasia). Tutti questi geni considerati nel loro insieme lasciano ancora almeno 2/3 del rischio familiare inspiegato. CASI SPORADICI: esposizione ormonale, età menarca/menopausa, anamnesi riproduttiva e allattamento al seno. La maggior parte di queste neoplasie si sviluppa nelle donne dopo la menopausa e iperesprime i recettori per gli estrogeni, che di per sé hanno almeno due ruoli principali nello sviluppo del carcinoma mammario:  i metaboliti degli estrogeni possono causare mutazioni o generare radicali liberi dannosi per il DNA;  stimolano la proliferazione delle lesioni precancerose, così come dei carcinomi. Un significativo sottogruppo di carcinomi è negativo per l’espressione di recettori estrogenici e quindi molti altri fattori sono probabilmente in causa.

Meccanismi di cancerogenesi

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Un modello generale per la cancerogenesi ipotizza che una cellula normale debba acquisire 7 nuove proprietà, compresa l’instabilità genetica, per divenire maligna. Per esempio, le modificazioni nel recettore per gli estrogeni e del recettore EGF, ras o Her2/neu possono causare un’autosufficienza nei segnali di crescita. Le prime modificazioni proliferative potrebbero quindi essere legate all’elusione dei segnali di inibizione della crescita, inibizione dell’apoptosi e autosufficienza nei segnali di crescita. L’instabilità genetica sotto forma di LOH sembra essere un cambiamento più tardivo. Nella maggior parte dei casi le lesioni in situ sono strettamente somiglianti al carcinoma invasivo associato. I carcinomi della mammella generalmente non dedifferenziano con il passare del tempo. Lo stadio finale della cancerogenesi (passaggio da “in situ” a invasivo) è il meno noto; specifiche funzioni geniche necessarie per l’invasione sono risultate difficili da identificare. Classificazione del carcinoma della mammella Quasi tutti i tumori maligni della mammella sono adenocarcinoma (95%). Sono suddivisi in carcinomi in situ e carcinomi invasivi. Il carcinoma in situ è una proliferazione di cellule neoplastiche limitata ai dotti e ai lobuli della membrana basale. Carcinomi in situ (15-30%): - CDIS (carcinoma duttale in situ), 80% - CLIS (carcinoma lobulare in situ), 20% - Carcinoma papillare intraduttale. Carcinomi invasivi (70-85%): - NAS – scirroso, 79% - Carcinoma lobulare invasivo, 10% - Carcinoma midollare, 2% - Carcinoma colloide (mucinoso), 2% - Carcinoma tubulare, 6% - Morbo di Paget. La mammella sinistra è più colpita della mammella destra e i quadranti più colpiti sono i superoesterni. Bilateralità nel 4% casi. I tumori possono insorgere in strutture duttali (90%) o lobulari (10%). Possono essere infiltranti o meno, a seconda che abbiano o non superato la membrana basale.

Carcinoma “in situ” CARCINOMA DUTTALE IN SITU (O INTRADUTTALE)

Classificazione lesioni proliferative intraduttali - iperplasia duttale usuale (UDH) - atipia epiteliale piatta (DIN1a) - iperplasia duttale atipica (DIN1b) - DCIS grado 1 (DIN1c) - DCIS grado 2 (DIN2) - DCIS grado 3 (DIN3) Incidenza rapidamente aumentata negli ultimi 2 decenni; da meno del 5% al 15-30% di tutti i carcinomi dopo l’introduzione dello screening mammografico. Massa non sempre palpabile. Il CDIS mostra frequentemente calcificazioni che seguono il decorso dei dotti; consiste di una popolazione di cellule neoplastiche limitata ai dotti e ai lobuli della membrana basale; le cellule mioepiteliali sono conservate, ma possono essere ridotte di numero. È una proliferazione clonale che interessa generalmente un singolo sistema duttale. I dotti appaiono come cordoni solidi di cellule anaplastiche.

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Storicamente suddiviso in 5 sottotipi istologici:

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comedocarcinoma: ( aspetto a pasta dentifricia dopo spremitura). È il carcinoma più atipico, che più facilmente diventa invasivo. Può essere unicentrico, multicentrico (> 4 cm), multifocale (< 4 cm), continuo. Può esservi cancerizzazione dei lobuli. Proliferazione solida di cellule pleomorfe con atipie nucleari marcate e necrosi centrale; i frammenti dei nuclei necrotici calcificano (microcalcificazioni a grappolo o lineari e ramificate); la fibrosi periduttale concentrica e la flogosi cronica sono frequenti.

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CDIS non comedonico: popolazione di cellule neoplastiche monomorfe, con grado nucleare variabile;  solido: riempie completamente i dotti interessati;  cribriforme: gli spazi ghiandolari neoformati sono uniformemente distribuiti, con forma regolare (a setaccio);  papillare: cresce in formazioni papillari con asse fibrovascolare, senza cellule mioepiteliali;  micropapillare: caratterizzato da protrusioni a forma di stalattiti senza asse fibrovascolare che formano complesse strutture intraduttali.

Macroscopicamente possono osservarsi aree di necrosi puntiformi, simili ai comedoni dell’acne. Lesioni per lo più unicentriche; l’asportazione linfonodale è inutile. Terapia: per tumori piccoli/non palpabili, la terapia è conservativa: quadrantectomia o lumpectomy; dissezione ascellare inutile. RT utile per forme comedoniche. MALATTIA DI PAGET DEL CAPEZZOLO

In quanto espressione di un sottostante carcinoma intraduttale, la malattia di Paget verrà qui trattata anche se l’infiltrazione della cute pone questa tipologia tumorale al confine con le forme francamente invasive. Rara manifestazione di carcinoma della mammella (1-2% dei casi) e si presenta come una reazione eritematosa unilaterale del capezzolo con una crosta scura. Il prurito è un sintomo comune e la lesione può essere scambiata per eczema; le cellule neoplastiche maligne (cellule di Paget) si estendono dal CDIS dentro il sistema duttale sino alla cute del capezzolo senza mai superare la membrana basale. Le cellule tumorali interrompono la barriera epiteliale e questo comporta fuoriuscito di fluido dal capezzolo; le cellule di Paget sono facilmente evidenziabili con una biopsia del capezzolo o esame citologico del secreto. Una massa palpabile è presente nel 50-60% dei casi. Circa il 95% dei casi della malattia di Paget ha un carcinoma invasivo o in situ sottostante. I carcinomi sono scarsamente differenziati e caratterizzati da iperespressione di Her2/neu; la produzione da parte dei cheratinociti di heregulina-alfa, che agisce attraverso il recettore di Her2/neu, può giocare un ruolo patogenetico. Prognosi favorevole; necessaria l’asportazione del capezzolo. CARCINOMA LOBULARE IN SITU

Il CLIS è riscontrato sempre incidentalmente in biopsie effettuate per altri motivi (lesioni fibrocistiche); non si associa infatti né a calcificazioni, né ad una reazione stromale che possa formare un addensamento. 1-6% di tutti i carcinomi; indipendente dallo screening mammografico. Più comune nelle giovani donne prima della menopausa (o prossime ad essa). Le cellule del CLIS e del CLI sono identiche ed entrambi non esprimono la e-caderina, proteina transmembrana responsabile dell’adesione delle cellule epiteliali. La perdita di espressione dell’e-caderina correla con la caratteristiche presenza di singole cellule non aderenti. Cellule molto omogenee che prediligono il lobulo; i duttuli terminali sono occupati da cellule; il precursore di questo tumore è l’iperplasia lobulare atipica (ALH). Non si palpa mai e non ha microcalcificazioni. Non interessa solo i lobuli, ma si estende lungo i dotti; estensione pagetoide o a sandwich tra epitelio e mioepitelio.

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Le cellule anomale dell’iperplasia lobulare atipica (ALH), del CLIS e del CLI sono identiche: piccole cellule che hanno nuclei ovali/rotondi con piccoli nucleoli e che sono poco adese le une alle altre; cellule ad anello con castone contenenti mucina sono spesso presenti. Il CLIS solo raramente distorce la sottostante architettura e gli acini coinvolti restano riconoscibili come lobuli. Per lo più multicentrico, spesso interessa anche la mammella controlaterale (30-40%). Quasi sempre esprime recettori per estrogeni e progesterone. Non c’è iperespressione di Her2/neu. Il carcinoma invasivo si sviluppa nel 25-35% dei casi entro 20 anni. (1% all’anno). Rischio 7-9x rispetto alla popolazione generale.

Carcinoma invasivo (infiltrante) Si presenta quasi sempre come nodulo palpabile (nelle donne giovani o anziane non sottoposte a screening). Quando diventa palpabile, oltre la metà delle pazienti ha metastasi linfonodali ascellari. I carcinomi più grandi possono aderire alla parete toracica oppure causare retrazione alla cute. I vasi linfatici possono essere infiltrati e bloccare il drenaggio cutaneo, causando linfedema e ispessimento cutaneo, pelle a buccia d’arancia (aderenza della cute alla mammella per mezzo del legamento di Cooper). Il termine “carcinoma infiammatorio” si riferisce all’aspetto clinico di un carcinoma che permea i vasi linfatici del derma, presentandosi come mammella eritematosa e ingrandita; il sottostante carcinoma di solito infiltra diffusamente senza formare un nodulo palpabile. La diagnosi è posta sui dati clinici e non è in relazione con un istotipo specifico. CARCINOMA DUTTALE INFILTRANTE (NAS, NON A TIPO SPECIALE)

Comprende la maggior parte dei carcinomi (70-80%); all’esame macroscopico sono duri e hanno margini irregolari; nel centro del carcinoma appaiono piccoli focolai puntiformi o strie giallastre di stroma elastotico e, occasionalmente, piccoli foci di calcificazione. Massa mal delimitata di consistenza dura. Sulla superficie di sezione il tumore è infiltrante e retratto e ha una componente sclerotica; spesso focolai di necrosi e talora calcificazioni. Aspetto a cicatrice raggiata (dd’ radial scar) a margini irregolari. Strie gessose. È presente un caratteristico suono stridulo al taglio o al grattamento. Questi carcinomi mostrano ampio spettro di aspetti; i tumori ben differenziati consistono di tubuli rivestiti da cellule con minime atipie e occasionalmente può essere difficile distinguerli da lesioni sclerosanti benigne; esprimono i recettori ormonali. Altri sono composti da lamine anastomotiche di cellule pleomorfe e raramente esprimono recettori ormonali. La maggior parte si trova tra questi due estremi e produce un marcato incremento dello stroma fibroso denso (reazione desmoplastica) che dà alla lesione una consistenza dura alla palpazione e sostituisce il tessuto adiposo, causando addensamento mammografico (carcinoma scirroso). La diffusione può dare pelle a buccia d’arancia, retrazione del capezzolo, fissazione alla parete toracica. Un tumore che infiltra cute/piani profondi è stadiato come stadio IV. Valutare la linfoinvasione (alla periferia). Valutare recettori estrogenici e Her2/neu. Se recettori estrogenici presenti, segno positivo; se presenti anche recettori progestinici, ancora più positivo: terapia antiestrogenica: tamoxifene. Per tumori Her2/neu positivi  terapia con Herceptin. Grading: G1: cellule ben differenziate (prognosi a 10 anni, 85%); G2: lumi meno evidenti, ammassi di tubuli (60%); G3: necrosi, massa informe, cellule anaplastiche (15%). CARCINOMA LOBULARE INVASIVO

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Si presenta come nodulo o addensamento mammografico. Circa ¼ dei casi ha un quadro di invasione diffuso senza desmoplasia e può provocare solo aree vagamente ispessite. Anche le metastasi possono essere difficilmente rilevabili in questo tipo di invasione diffusa. Tendenza alla multicentricità. Hanno una più alta incidenza di bilateralità rispetto agli altri. Macroscopicamente la maggior parte dei tumori sono solidi/duri o con consistenza gommosa, con margini irregolari; occasionalmente il tessuto mammario può apparire diffusamente ispessito e non può essere identificata una lesione tumorale definita. La caratteristica istologica tipica del carcinoma lobulare è il quadro di singole cellule tumorali infiltranti a fila indiana o in piccoli gruppi, dispersi in piccoli tubuli; le cellule hanno le stesse caratteristiche citologiche del CLIS e mancano di coesione; sono comuni le cellule ad anello con castone. Talora aspetto ad “occhio di bue”, targettoide, quando circondano acidi o dotti normali. Non crea massa. Non ci sono microcalcificazioni; spesso diagnosi tardiva. I CLI ben differenziati sono diploidi, esprimono recettori ormonali e raramente Her2/neu. I CLI scarsamente differenziati sono di solito aneuploidi, mancano di recettori ormonali e possono esprimere Her2/neu3. La maggior parte dei CLI mostra una perdita sul cromosoma 16 (16q22.1) che comprende un gruppo di 8 geni responsabili dell’adesione cellulare, compresi la e-caderina e la beta-catenina. Il gene nel cromosoma opposto è inattivato, metilato o ipoespresso per alterazioni del promotore (modificazioni presenti anche nel CLIS). Alla mammografia: alterazione tra tessuto fibroso/adiposo; tumore molto metastatizzante. Metastasi diverse dagli altri carcinomi della mammella: peritoneo, retroperitoneo, leptomeningi (meningite carcinomatosa), tratto gastrointestinale, ovaie, utero. Più raramente polmoni, pleura. CARCINOMA MIDOLLARE

Massa ben circoscritta. Può essere confuso radiologicamente e clinicamente con un fibroadenoma. Consistenza molle, periferia molto regolare, non crea reazione fibrosa. Espressione in eccesso di molecole di adesione; non metastatizza quasi mai. Non hanno la marcata desmoplasia del carcinoma NST e sono meno duri alla palpazione e al taglio. Il tumore ha consistenza soffice e carnosa (simile al midollo) ed è ben circoscritto, con scarso stroma. Caratterizzato da: - lamine solide, simil sinciziali, occupanti più del 75% del tumore, di grandi cellule pleomorfe con nuclei prominenti e frequenti mitosi; - infiltrato linfoplasmacellulare da moderato a marcato, circostante e all’interno del tumore; - bordi espansivi non infiltranti. Tutti i carcinomi midollari sono poco differenziati. Hanno una prognosi lievemente migliore rispetto ai NST. Non si osserva espressione di Her2/neu; metastasi linfonodali sono infrequenti e raramente multiple. La crescita è di tipo sinciziale. Prognosi molto buona anche se recettori ormonali assenti. Tra le donne portatrici di BRCA1, il 13% dei carcinomi è di questo tipo. CARCINOMA MUCINOSO (COLLOIDE)

Donne anziane; può accrescersi in molti anni. Raro. Muco intra/extracellulare. Estremamente soffice, con consistenza e aspetto gelatinoso grigio – bluastro a limiti indistinti e periferia espansiva non infiltrante; due quadri possibili: 1. le cellule tumorali si presentano come gruppi e piccole isole all’interno di grandi laghi di mucina basofila che dissociano lo stroma; 2. cellule che crescono secondo una disposizione ghiandolare, il cui lume contiene muco. I carcinomi mucinosi sono diploidi e la maggioranza esprime recettori ormonali. La prognosi è leggermente migliore dei NST. L’ipermetilazione del promotore di BRCA1 non associata a mutazione germinale è presente nel 55% casi. No metastasi. Prognosi buona. 3

Magrini dice che ha sempre il recettore per gli estrogeni. Cfr.

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CARCINOMA TUBULARE

Aumentati in frequenza negli ultimi anni. Sono tipicamente individuati come densità mammografiche irregolari. Le pts hanno oltre 40 anni; sono multifocali nella stessa mammella nel 10-56% casi e bilaterali nel 9-38% casi. Presentazione ambigua; < 1 cm; stellariforme (simile a radial scar). Sono formati esclusivamente da tubuli ben formati, talvolta confusi con lesioni benigne sclerosanti; è però assente lo strato di cellule mioepiteliali e le cellule tumorali sono in diretto contatto con lo stroma. Estroflessioni citoplasmatiche intraluminali sono tipiche e possono essere presenti calcificazioni entro i lumi. Frequentemente presente un CLIS o un CDIS. La maggioranza esprime recettori ormonali e sono diploidi; per definizione ben differenziato. Metastasi ascellari < 10% (più frequenti nei foci multipli). Praticamente le metastasi sono improbabili. Eccellente prognosi. STADIAZIONE E PROGNOSI

Il fattore prognostico principale è la diffusione metastatica ai linfonodi ascellari (più frequente) e mammari interni (meno frequente). I linfonodi ascellari sono disposti in 3 livelli: I. lateralmente al margine del muscolo piccolo pettorale; II. tra grande e piccolo pettorale; III. al di sopra del margine mediale del piccolo pettorale. I linfonodi di Rotter (o interpettorali) si trovano tra i due muscoli pettorali; i primi interessati sono i più vicini (I) e solo più tardi gli altri. Il terzo livello implica una grave prognosi. Importanti il numero e la sede. In genere l’ascella contiene circa 30 linfonodi. III livello: adesi all’avventizia della succlavia. Impossibile trovare linfonodi I indenni e II interessati. Se avviene questo (rarissimo)  skip metastasi. La sopravvivenza a 10 anni a linfonodi indenni è dell’80% (solo chirurgia): viene eliminata la massa: lumpectomy o viene eliminato il quadrante (quadrantectomia). Fino a 3 linfonodi: dimezza la prognosi e cambia la terapia: soprattutto CT e chirurgia. > 10 linfonodi: la prospettiva scende enormemente. Le metastasi seguono le vie linfatiche; arrivano al linfonodo attraverso i linfatici afferenti e il seno marginale. Metastasi massiva significa che tutto il linfonodo è interessato; submassiva che è interessata metà o un terzo. Micrometastasi: < 2 mm. Nel linfonodo normale non ci sono cellule positive alle citocheratine; se le troviamo: metastasi a singole cellule (CLI) che non hanno le caderine.

 Stadiazione TNM del carcinoma della mammella (WHO) Tis T1 T2 T3 T4

Tumore in situ < 2 cm 2-5 cm > 5 cm interessamento di cute o piani posteriori / carcinoma infiammatorio

N0 N1 N2 N3

no linfonodi linfonodi ascellari mobili ascellari fissi linfonodi mammari interni

STADIO

0 I II III IV

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

PROGNOSI

(A 5

ANNI)

TIS N0 M0 92% T1 N0 M0 87% T2 N1 M0 / T3 N0 M0 75% T3 N1 M0 / T1-3 N2 M0 / T1-3 N3 M0 / T4 46% T1-4 N0-3 M1 13% (la guarigione è impossibile ma si può cronicizzare la malattia per qualche tempo)

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 Stadiazione AJCC del carcinoma della mammella PROGNOSI

(A 5

ANNI)

STADIO

DISTRIBUZIONE DELLA MALATTIA

0 1 2 3

CDIS o CLIS 92% fino a 2 cm senza coinvolgimento LN 87% fino a 5 cm e fino a 3 LN ascellari / > 5 cm senza LN 75% fino a 5 cm e 4 o più LN ascellari / > 5cm con LN / LN omolaterali mammari interni / cute 46%

4

ogni carcinoma con metastasi a distanza

13%

Linfonodo sentinella: concetto per cui se il linfonodo più vicino è indenne, anche gli altri sono indenni. Come si individua? - gamma-camera; si inietta 24 ore prima del tecnezio e si valuta la radioattività; il chirurgo asporta il linfonodi più radioattivo; - blu di metilene iniettato prossimamente al tumore, massaggio mammario, apertura a finestra e si cerca il linfonodo che ha captato più colorante. Il patologo lo valuta e indica l’escissione. È una metodica valida per i T1: i più grandi hanno più probabilità di metastasi ascellari. Il linfonodo sentinella: - permette di risparmiare la toilette completa del cavo ascellare; - permette di evitare il linfedema; - permette di evitare traumi dei tronchi nervosi - il fatto che il patologo studi un solo linfonodo, gli permette l’applicazione di studi e metodiche più fini, costose e sensibili. Oltre ai linfatici, le cellule tumorali prendono anche la via dei vasi: azygos, cava, atrio dx, ventricolo  polmone e diffusione sistemica. Vena mammaria interna  vena innominata. Sedi classiche di metastasi: ossa, coste, vertebre; polmone, fegato, cute. Il CLI  cervice, ovaio, corpo uterino, meningi. Vanno nell’organo in cui trovano l’habitat migliore (homing). Se nel midollo (BOM) trovo cellule positive per il recettore estrogenico, vengono dalla mammella. Fattori prognostici principali: - TNM - TIPO ISTOLOGICO - CAPACITÀ DI DIVIDERSI DELLE CELLULE - RECETTORI ORMONALI - INDICI DI PROLIFERAZIONE - MITOSI (KI67/MIB1) - CELLULE IN FASE S (CON LA CITOMETRIA A FLUSSO) - RECETTORI ESTROGENICI (NUCLEARI): l’estrogeno condiziona la sintesi di altre proteine, ad esempio i recettori di superficie stimolabili dai fattori di crescita. Anticorpo sulla sezione, legato a cromogeno che va a legarsi alla proteina. Tumore con recettore: più simile alla mammella normale, ben differenziato; decorso più favorevole.  prospettive terapeutiche con il tamoxifene che blocca i recettori estrogenici; - RECETTORE PER IL PROGESTERONE (NUCLEI): se presente, la prognosi è più favorevole. Se sono presenti entrambi i recettori, ottima garanzia di risposta alla terapia ormonale. Altri fattori: - oncogene c-erb/Her2: se positivo, è possibile bloccarlo con herceptin (positivo nei tumori più anaplastici); sovraespresso in ¼ dei tumori: prognosi pessima;

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CD34: marcatore endoteliale di cellule staminali emopoietiche; p53: mutazione p53  accumulo nucleare della proteina p53; ha emivita molto maggiore della p53 normale, che normalmente non è identificabile; sindrome di Li-Fraumeni: p53 che non funziona; neoplasie multiorgano (mammella, ovaio etc.) vascolarizzazione: quanti più fattori angiogenetici producono, tanto più rapidamente crescono: farmaci antiangiogenetici (talidomide).

In futuro attraverso il profilo genico sarà probabilmente possibile una “classificazione genica dei tumori”. Sistema dei microchips (microarray): in ogni pozzetto viene messo un DNA che condiziona una certa proteina. Si mettono migliaia di geni sul microchip; si aggiunge RNA estratto dall’organo normale e viene colorato (es verde). Tra questo RNA e quello delle fossette c’è ibridizzazione se l’RNA esprime porta quel gene. Prendiamo RNA organo del paziente malato e lo coloriamo in rosso. Se prevale il verde il gene mutato è evidentemente poco espresso; la risultante sarà: - rosso: gene espresso; - nero: poco espresso; - verde: non espresso. Ki67: proteina nucleare che compare quando la cellula è in divisione: fase di sintesi. La diagnosi di carcinoma della mammella non è un’emergenza medica: le donne hanno il tempo sufficiente per compiere scelte informate fra le molte possibilità di trattamento.

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Anatomia Patologica

TRATTO GASTROINTESTINAL E

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ESOFAGO Anomalie congenite, disturbi della motilità, varici, esofagiti, tumori

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ANATOMIA E FISIOLOGIA ESOFAGEA L’esofago si sviluppa dalla porzione craniale dell’intestino anteriore ed è riconoscibile dopo la terza settimana di gestazione; l’esofago normale è un tubo muscolare cavo particolarmente distensibile che si estende dalla faringe, a partire dall’epiglottide, all’incirca a livello della vertebra C6, fino alla giunzione gastroesofagea (T11-12). Misura 10-11 cm nel neonato e arriva a 25 cm nell’adulto. In endoscopia si usa dire che l’esofago va da una distanza di 15 cm dagli incisivi, fino a 40 cm dagli stessi. Il lume si restringe in diversi punti: a livello della cartilagine cricoide, accanto all’arco aortico all’incrocio con il bronco principale sinistro e l’atrio sinistro, nel punto di passaggio attraverso il diaframma. I valori pressori nel lume sono negativi, ma due zone ad alta pressione sono presenti anche a riposo: una porzione di 3 cm dell’esofago prossimale a livello del muscolo cricofaringeo (sfintere esofageo superiore, SES); una porzione di 2-4 cm prossimale alla giunzione esofago-gastrica, detta sfintere esofageo inferiore (SEI). Entrambi gli sfinteri sono funzionali; non esiste alcun repere anatomico che distingua queste regioni. La parete dell’esofago è costituita da una mucosa, sottomucosa, muscolare propria e un’avventizia (struttura comune a tutto il tubo digerente). La mucosa ha una superficie liscia e rosea, con tre componenti: uno strato epiteliale squamoso stratificato non cheratinizzante, una lamina propria e una muscularis mucosae: questa è un esile strato di fibre muscolari lisce orientate longitudinalmente. La sottomucosa è composta da connettivo lasso contenente vasi ematici, linfatici, leucociti sparsi, fibre nervose (plesso sottomucoso di Meissner) e ghiandole sottomucose. Nell’esofago sono presenti ghiandole sottomucose, collegate al lume esofageo da dotti tappezzati da epitelio squamoso; sono sparse nell’intero esofago con densità maggiore nelle porzioni superiore e inferiore. La tonaca muscolare propria è costituita di due strati di muscolatura liscia: circolare interno e longitudinale esterno, con l’interposizione del plesso mioenterico di Auerbach; la muscolare dei 6-8 cm prossimali contiene fibre muscolari striate del muscolo cricofaringeo. In netto contrasto con il resto del TGI, l’esofago è quasi del tutto privo di rivestimento sieroso; solo piccole porzioni intraaddominali ne dispongono. L’esofago toracico è circondato da una fascia che si addensa attorno al viscere, formando una struttura simile a una guaina. Nel mediastino superiore l’esofago è sostenuto da questa fascia, che forma una guaina simile attorno alle strutture adiacenti, vasi, albero tracheobronchiale. Questo intimo rapporto e l’assenza di sierosa permettono una rapida ed estesa disseminazione dei processi patologici esofagei nel mediastino posteriore.

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L’esofago convoglia il cibo ed i liquidi dalla faringe allo stomaco, previene la diffusione passiva di sostanze dagli alimenti al sangue ed evita il reflusso gastrico nelle porzioni prossimali del tubo digerente. Queste funzioni richiedono un’attività motoria coordinata molto complessa. Il controllo del SEI è essenziale per la funzione esofagea; il tono dello sfintere previene il reflusso del contenuto gastrico, sottoposto ad una pressione positiva (intraaddominale). Il rilasciamento del SEI è dovuto all’attivazione di neuroni inibenti non-adrenergici – non-colinergici. Varie sostanze chimiche sono in grado di ridurre (NO, VIP) o aumentare il tono del SEI. I sintomi di malattia esofagea sono pochi e poco specifici: pirosi, disfagia, dolore, ematemesi. La pirosi è un dolore urente retrosternale che consegue al rigurgito di contenuto gastrico o gastroduodenale nell’esofago. La disfagia è un sintomo: è la percezione di mancata progressione del bolo alimentare. Dolore ed ematemesi sono in particolare associati ad infiammazione o ulcerazione della mucosa. ANOMALIE CONGENITE

Atresia e fistole Si tratta di difetti infrequenti di sviluppo dell’esofago incompatibili con la vita. L’assenza (agenesia) dell’esofago è rarissima. Più comuni l’atresia (non pervietà) e la formazione di fistole. Nell’atresia una porzione dell’esofago non è canalizzata, con una tasca prossimale a fondo cieco collegata alla faringe e una tasca distale comunicante con lo stomaco. È localizzata generalmente in corrispondenza della biforcazione tracheale e spesso associata ad una fistola che collega la tasca superiore / inferiore con una diramazione bronchiale o con la trachea. Frequente l’aspirazione che porta a soffocamento, le polmoniti, gli squilibri idroelettrolitici.

Pliche mucose, anelli, stenosi Le pliche mucose sono formate da protrusioni mucosali nel lume esofageo; hanno una forma semilunare, sono eccentriche e preferenzialmente si localizzano nell’esofago superiore. Le membrane sono formate da mucosa e stroma sottomucoso vascolarizzato. Congenite o associate ad esofagite da reflusso di lunga durata o ancora a GVHD o dermatiti bollose. L’associazione membrane dell’esofago superiore + glossite + cheilosi è nota come sindrome di PatersonBrown-Kelly, o di Plummer-Vinson e comporta un aumento del rischio di carcinoma esofageo postcricoideo. Gli anelli sono diaframmi concentrici che protrudono nel lume dell’esofago distale. Quelli al di sopra della giunzione squamocolonnare sono detti anelli A, mentre in corrispondenza della giunzione sono detti anelli di Schatzki o anelli B. Le pliche e gli anelli sono più frequenti nelle donne oltre i 40 anni e si manifestano con disfagia episodica. Il dolore è infrequente. Le stenosi esofagee sono costituite da un ispessimento fibroso della parete (sottomucosa) con atrofia della tonaca muscolare propria; l’epitelio è sottile e talvolta ulcerato. Sono generalmente esiti cicatriziali di gravi lesioni esofagee (radiazioni, caustici, sclerosi sistemica, MRGE). Si presentano in età adulta con disfagia progressiva, inizialmente per i cibi solidi e poi per tutti gli alimenti. ACALASIA “Incapacità a rilasciarsi”. Tre principali anomalie: - aperistalsi; - parziale / incompleto rilasciamento del SEI al passaggio dell’onda peristaltica; - incremento del tono del SEI a riposo. Si ritiene possa coinvolgere una disfunzione dei neuroni inibitori dell’esofago distale contenenti VIP e NO. Alterazioni degenerative dell’innervazione neurale intrinseca dell’esofago o del vago o del nucleo motore dorsale del vago possono essere presenti.

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L’acalasia secondaria può insorgere nella malattia di Chagas ove il Trypanosoma cruzi causa distruzione dei plessi nervosi dell’esofago, del duodeno, del colon e dell’uretere. Nella maggior parte dei casi l’eziologia è incerta. Nell’acalasia primitiva vi è una progressiva dilatazione dell’esofago al di sopra del SEI; la parete può essere di spessore normale, ipertrofica (muscolare) o diminuito per la dilatazione. I gangli mioenterici sono assenti nel corpo dell’esofago; la mucosa può essere inalterata (non rare infiammazione e ulcere sopra il SEI). Si manifesta in giovani adulti con disfagia progressiva con rigurgiti notturni e aspirazioni di cibo non digerito. Il pericolo di carcinoma squamocellulare (5% dei pazienti) è aumentato in età precoce rispetto alla popolazione generale. Si possono associare un’esofagite da candida, diverticoli esofagei inferiori, polmonite ab ingestis e ostruzioni respiratorie. ERNIA IATALE Caratterizzata dalla separazione dei pilastri diaframmatici e dall’ampliamento dello spazio tra gli strati muscolari dei pilastri e la parete dell’esofago. Se ne riconoscono due varianti: - assiale (da scivolamento) - non assiale (da rotazione, paraesofagea). Nel 95% si tratta di ernie assiali. La protrusione dello stomaco al di sopra del diaframma determina una dilatazione a campana delimitata dallo iato diaframmatico. Nelle paraesofagee una porzione della grande curvatura entra nel torace attraverso il forame dilatato. La causa è sconosciuta. Le ernie iatali coinvolgono l’1-20% dei soggetti adulti, con un’incidenza che aumenta con l’età. Solo il 9% degli adulti con ernia da scivolamento è affetto da pirosi retrosternale e rigurgito di succhi gastrici in bocca. Questi sintomi sono attribuibili ad incontinenza del SEI e accentuati da posizioni che favoriscono il reflusso, dall’obesità, da sostanze che riducono il tono dello SEI. In entrambi i tipi si possono formare ulcere sanguinanti e perforazioni. Le paraesofagee si possono ostruire o strozzare (trattamento chirurgico d’urgenza). DIVERTICOLI Sono estroflessioni a sacca del canale alimentare formati da tutti gli strati della parete viscerale (diverticoli veri). I diverticoli falsi sono invece costituiti solo da mucosa e sottomucosa. I diverticoli veri in genere vengono scoperti in età avanzata e possono svilupparsi in tre regioni dell’esofago: - diverticolo di Zenker (faringoesofageo); - diverticoli da trazione (parabronchiali); - diverticoli epifrenici. I disturbi della motilità cricofaringea possono determinare lo sviluppo del diverticolo di Zenker; processi cicatriziali derivanti da linfoadeniti mediastiniche possono causare una trazione sulla parete esofagea, dando origine ai diverticoli dell’esofago medio. I diverticoli epifrenici potrebbero esser dovuti a scoordinata peristalsi ed ipotonia del SEI. I diverticoli di Zenker possono raggiungere molti centimetri e contenere quantità rilevanti di cibo. Si possono osservare una massa cervicale (generalmente a sinistra), disfagia, rigurgito di cibo, ruminazione; un rischio temibile è la polmonite ab ingestis per aspirazione. I diverticoli dell’esofago medio sono asintomatici. Quelli epifrenici possono causare notevoli rigurgiti notturni. LACERAZIONI (S DI MALLORY-WEISS) Le lacerazioni longitudinali dell’esofago a livello del cardias o della giunzione gastroesofagea si ritiene conseguano a vomito intenso. Si riscontrano negli alcolisti e sono attribuibili a vomito eccessivo nel contesto di uno stupor da alcol. Le lacerazioni lineari irregolari sono orientate lungo l’asse esofageo, con una lunghezza di mm – cm; si trovano a cavallo della giunzione gastroesofagea o nella mucosa gastrica prossimale. Possono coinvolgere la sola mucosa o perforare la parete. Il quadro istologico riflette una aspecifica risposta infiammatoria ad un trauma con emorragia recente.

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Alla base del 5-10% delle emorragie del TGI superiore. Il sanguinamento non è abbondante e si autolimita; talora un’ematemesi importante richiede procedure più invasive (tamponamento con palloncino). La rara evenienza di rottura esofagea è detta sindrome di Boerhaave e rappresenta un evento molto temibile. VARICI ESOFAGEE L’ipertensione portale grave o di lunga durata provoca la formazione di circoli collaterali attraverso le comunicazioni portosistemiche. I circoli collaterali esofagei inferiori si sviluppano quando il flusso è deviato attraverso le vene coronarie stomaciche nelle vene del plesso esofageo subepiteliale / sottomucoso, quindi nelle vene azygos e nel circolo sistemico. I vasi venosi si dilatano (varici). Le varici si sviluppano nel 90% dei pts con cirrosi epatica e sono maggiormente associati a cirrosi alcolica. La schistosomiasi epatica è la seconda causa al mondo di sanguinamento da varici. Le varici sono vene dilatate e tortuose situate prevalentemente nella sottomucosa dell’esofago distale e dello stomaco prossimale. Ciò determina protrusione della mucosa nel lume. In caso di varici integre la mucosa sovrastante può essere normale; essa è tuttavia spesso erosa e infiammata a causa della sua posizione particolarmente esposta. La rottura delle varici provoca una notevole emorragia endoluminale, soffusioni emorragiche nella parete dell’esofago; la mucosa appare ulcerata e necrotica. La metà dei decessi in pts con cirrosi in fase avanzata è causata da varici. Alcuni muoiono come diretta conseguenza dell’emorragia, altri a causa del coma epatico scatenato dalla stessa. Le varici causano meno della metà di tutti gli episodi di ematemesi considerati in generale. L’emorragia non si arresta spontaneamente e di solito è necessaria l’iniezione endoscopica di farmaci trombizzanti (scleroterapia) o l’utilizzo di una sonda di Blackmore (tamponamento con palloncino). Il 4050% muore al primo episodio; tra i sopravvissuti si verificano nuovi episodi molto di frequente.

ESOFAGITE DA REFLUSSO Infiammazione della mucosa esofagea. Per parlare di malattia da reflusso bastano i sintomi senza esofagite documentata, mentre per definizione l’esofagite è un processo istopatologico non ascrivibile ai suoi sintomi. Il reflusso del contenuto gastrico nell’esofago inferiore è la causa più importante di esofagite. Vari fattori scatenanti: - riduzione dell’efficacia dei meccanismi antireflusso (tono del SEI ridotto); - ernia iatale da scivolamento; - detersione inadeguata di materiale rigurgitato in esofago; - svuotamento gastrico ritardato; - aumento del volume gastrico; - riduzione della capacità riparativa della mucosa esofagea per esposizione protratta a succhi gastrici. L’azione dei succhi gastrici è determinante per lo sviluppo delle lesioni; in casi gravi si associa a reflusso biliare. Le alterazioni anatomiche dipendono dalla durata dell’azione chimica irritativa; nell’esofagite da reflusso non complicata sono caratteristici: - cellule infiammatorie nell’epitelio squamoso (granulociti e linfociti); - iperplasia dello strato basale; - allungamento delle papille della lamina propria; l’infiltrato intraepiteliale è un segno precoce che si verifica anche in assenza di iperplasia basale. Generalmente limitata agli adulti oltre i 40 anni. Si manifesta con pirosi, rigurgito di materiale acido; ematemesi o melena sono meno frequenti. Talora compaiono intensi attacchi di dolore toracico. Conseguenze: ulcerazione, stenosi, metaplasia (esofago di Barrett). Ispessimento strato basale e formazione di elementi immaturi. Ki67/Mib1; nell’epitelio normale è positivo per il 5-6%; in condizioni patologiche arriva in prossimità dello strato superficiale. Notevole allungamento delle papille intraepiteliali che arrivano in prossimità degli elementi piatti. Presenza di eosinofili (non si sa perché)

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che hanno valore diagnostico. Infiltrato di neutrofili. L’endoscopia è positiva solo in un terzo dei soggetti sintomatici; può essere effettuata pHmetria delle 24 ore o ancora tentare una diagnosi ex adiuvantibus con inibitori della pompa protonica (omeprazolo). ESOFAGO DI BARRETT Metaplasia cilindrica dell’esofago distale (in senso stretto si tratta di una metaplasia intestinale). È una complicanza del reflusso di lunga durata. È il fattore di rischio singolo più importante per lo sviluppo dell’adenocarcinoma esofageo. L’epitelio squamoso distale è sostituito da epitelio cilindrico in risposta a prolungati stimoli lesivi. Devono essere soddisfatti due requisiti: - evidenza endoscopica di epitelio cilindrico al di sopra della giunzione esofago-gastrica; - evidenza istologica di metaplasia intestinale nei campioni bioptici ottenuti dall’epitelio cilindrico. È ulteriormente suddiviso in: - tipo a segmento lungo (oltre 3 cm dalla giunzione esofago-gastrica); - a segmento corto (si estende cranialmente per meno di 3 cm dalla giunzione). Il concetto di metaplasia intestinale non è preciso, in quanto mancano veri e propri enterociti assorbenti; mescolate alle cellule caliciformi si trovano invece cellule cilindriche con caratteristiche ultrastrutturali sia secretorie sia di assorbimento, fenomeno unico nel tubo digerente. La mucosa dell’EB è vellutata e di colore rosso ed è localizzata tra l’epitelio rosa pallido squamoso esofageo e la mucosa gastrica rigogliosa e di colore marrone chiaro. Può formare linguole o chiazze che si estendono al di sopra della giunzione o costituire una fascia circonferenziale larga e irregolare che disloca cranialmente la giunzione squamocolonnare. Istologicamente l’epitelio squamoso è sostituito da epitelio cilindrico metaplastico comprendente epitelio di superficie e ghiandole mucose. La mucosa metaplastica può contenere solo cellule gastriche superficiali e ghiandolari mucosecernenti, rendendo difficile la diagnosi differenziale con un’ernia iatale. La presenza si cellule caliciformi rende la diagnosi di EB inequivocabile. Fondamentale il riconoscimento di un’eventuale displasia, che si riconosce per la presenza di anomalie citologiche e architetturali nell’epitelio cilindrico, con nuclei grandi e ipercromatici e scomparsa dello stroma fra ghiandole adiacenti. 40-60 anni alla diagnosi; spt caucasici maschi. La sequela più temibile è l’adenocarcinoma. Stretta sorveglianza e trattamento chirurgico delle displasia di alto grado.

ESOFAGITI INFETTIVE E CHIMICHE L’infiammazione esofagea può avere altre cause: - INGESTIONE IRRITANTI (ALCOLI, ACIDI, ALCALI, LIQUIDI MOLTO CALDI); - TABAGISMO; - TERAPIE CITOTOSSICHE (ANTINEOPLASTICI); - INFEZIONI A SEGUITO DI SETTICEMIA O VIREMIA (HSV, CMV); - INFEZIONI MICOTICHE IN IMMUNODEPRESSI; - UREMIA; - RADIOTERAPIA; - GVHD; - MALATTIE AUTOIMMUNI O DERMATITI BOLLOSE (PEMFIGOIDE, EPIDERMOLISI BOLLOSA). Le caratteristiche variano in funzione della causa. In fase grave tutte mostrano necrosi superficiale, tessuto di granulazione e infine fibrosi. Nella candidosi l’esofago è ricoperto da pseudomembrane aderenti grigio – biancastre. Gli herpesvirus causano ulcere a stampo. Le caratteristiche inclusioni nucleari erpetiche sono osservabili in cellule in degenerazione ai margini dell’ulcera. I batteri sono responsabili di una minoranza di casi con invasione della lamina propria e necrosi dell’epitelio squamoso. Le lesioni indotte da sostanza chimiche variano da eritema lieve a sfaldamento della mucosa e necrosi transparietale esofagea. L’irradiazione dell’esofago porta a marcata proliferazione intimale e restringimento del lume dei vasi

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sottomucosi e intramurali. La GVHD porta ad apoptosi delle cellule basali, separazione epitelio / lamina propria e atrofia della lamina propria. TUMORI BENIGNI La maggior parte ha origine mesenchimale a sede intramurale. I leiomiomi sono più frequenti; si possono riscontrare anche fibromi, lipomi, emangiomi, neurofibromi e linfangiomi. I polipi della mucosa sono composti da tessuto fibroso, vascolare, adiposo, coperti da mucosa integra e definiti polipi fibrovascolari. I papillomi squamosi sono lesioni sessili con un core centrale di tessuto connettivo e una mucosa iperplastica papillare con rivestimento squamoso. I papillomi associati ad HPV sono definiti condilomi. Raramente si trova una massa mesenchimale granuleggiante e infiammata, detta polipo infiammatorio o anche pseudotumore infiammatorio. TUMORI MALIGNI I carcinomi dell’esofago sono ai primi posti dei decessi per cancro. Restano asintomatici per gran parte delle fasi iniziali e vengono scoperti in fase avanzata; con rare eccezioni hanno origine dallo strato epiteliale. L’incidenza dei carcinomi squamocellulari va diminuendo a vantaggio degli adenocarcinomi. Nei paesi occidentali le due incidenze sono comparabili. I carcinomi squamocellulari rappresentano comunque il 90% dei carcinomi esofagei in ambito mondiale. Rappresentano circa il 10% delle neoplasie del TGI; hanno prognosi infausta); squamosi > adenocarcinoma. CARCINOMA SQUAMOCELLULARE

Soggetti adulti > 50 anni. M:F=2-20:1. Picchi di incidenza in Iran, Sudafrica, Cina centrale, Brasile meridionale (100/100000/anno). Negli USA 2,8/100000, specialmente maschi adulti, con un rapporto di 4:1. I neri sono a rischio più elevato. M>F. Iran, Cina, Veneto. Fattori carenziali, alcol, fumo, esofagite cronica, acalasia; 50% terzo medio, 30% terzo inferiore, 20% terzo superiore. - in situ - early - avanzato polipoide - ulcerato - diffusamente infiltrante (invasione strutture mediastino). Ha spiccata tendenza linfoinvasiva e allo sviluppo tangenziale rispetto al lume e si propaga nei linfatici intramurali. L’esofago tende a fistolizzare verso la trachea; nel mediastino può causare una mediastinite settica purulenta spesso letale (si tratta di carcinomi ben differenziati dal punto di vista istologico. < 5% sono carcinomi a piccole cellule indifferenziati simili a quelli del polmone con alto grado di malignità. Ruolo di fattori alimentari e ambientali che spiegano le forti differenze epidemiologiche. -

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FATTORI DIETETICI

A,C, RIBOFLAVINA, TIAMINA, PIRIDOSSINA

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DEFICIT VITAMINE

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ASSUNZIONE BEVANDE BOLLENTI

DEFICIT DI OLIGOELEMENTI (ZINCO, MOLIBDENO) CONTAMINAZIONE FUNGINA DEGLI ALIMENTI ELEVATO CONTENUTO DI NITRITI E NITROSAMINE MASTICAZIONE DI BETEL

STILE DI VITA

CONSUMO ALCOL TABAGISMO

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AMBIENTE URBANO

PATOLOGIE ESOFAGEE ESOFAGITE DI LUNGA DURATA ACALASIA S PLUMMER

– VINSON (DEFICIT FERRO)

FATTORI GENETICI PREDISPONENTI

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M CELIACO DISPLASIA ECTODERMICA EPIDERMOLISI BOLLOSA PREDISPOSIZIONE RAZZIALE (NERI:CAUCASICI

= 4:1)

La maggior parte dei carcinomi nei paesi occidentali è correlata all’alcol e al tabagismo. Alcune bevande alcoliche contengono altri cancerogeni (idrocarburi aromatici, oli combustibili, nitrosamine). Nei paesi ad elevata incidenza si riscontra spesso il DNA del papillomavirus umano. Mutazioni di p53 sono riscontrabili in oltre la metà dei casi. L’esofagite determina un aumento del turnover cellulare e quindi una più elevata sensibilità ad agenti mutageni. Il tumore inizia come lesione in situ (intraepiteliale). Il 20% è localizzato nel terzo superiore, il 50% nel terzo medio e il 30% nel terzo inferiore. Le lesioni iniziali sono piccole, grigio – biancastre, a placca o rilevate; in mesi/anni diventano masse tumorali che possono abbracciare l’intero lume del viscere. Tre quadri morfologici: 1. forma esofitica (una lesione polipoide protrude nel lume); 60% 2. forma piatta (lesione infiltrativa intramurale che restringe il lume); 15% 3. forma ulcerata (lesione necrotica ed escavata che si approfonda interessando le strutture circostanti, comprese le vie respiratorie, l’aorta, il mediastino e il pericardio). Carcinoma superficiale: limitato allo strato epiteliale o che invade superficialmente la lamina propria o la sottomucosa. La maggior parte sono ben / moderatamente differenziati. Esistono numerose varianti istologiche, tra cui: il carcinoma verrucoso, il carcinoma a cellule fusate, il carcinoma basaloide. La maggior parte dei tumori sintomatici ha grandi dimensioni. La ricca rete linfatica della sottomucosa facilita un’estesa diffusione e spesso si osservano ammassi intramurali di cellule tumorali a distanza. Precoce l’invasione mediastinica. Ha un esordio insidioso. Provoca gradualmente disfagia solo in fase avanzata; i soggetti si adattano inconsciamente alla disfagia privilegiando cibi liquidi. Si verifica calo ponderale e debilitazione significativa; il primo sintomo allarmante può essere l’aspirazione di cibo attraverso una fistola tracheoesofagea. Le recidive postchirurgiche sono molto frequenti; la presenza di metastasi linfonodali riduce significativamente la sopravvivenza.

ADENOCARCINOMA

Tumore maligno epiteliale con differenziazione ghiandolare. L’incidenza è andata aumentando negli ultimi decenni, in particolare in soggetti caucasici di sesso maschile. La maggior parte dei casi origina da una metaplasia (esofago di Barrett). Rappresenta più del 50% dei carcinomi del terzo inferiore. Difficile distinzione dai carcinomi cardiali. Fenotipo simile all’adenocarcinoma gastrico. Non in rapporto con H. pylori. Rapporto con MRGE, bianchi > neri. Rapporto con Barrett  displasia (p53 iperespresso). Sopravvivenza < 15% a cinque anni (>50% se diagnosi precoce). Persone con reflusso ricorrente sintomatico hanno un rischio maggiore di sviluppare adenocarcinoma esofageo e cardiale, ma non di carcinoma squamocellulare. L’incidenza di adenocarcinoma è aumentata nelle passate due decadi più di quella di qualunque altro tumore. Caratteristiche comuni all’adenocarcinoma esofageo e cardiale: - elevato rapporto M/F - incidenza più elevata fra bianchi e nelle classi sociali più elevate

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assenza di correlazione con infezione da H. pylori

Il rischio è più elevato in fumatori abituali. Il rischio non sembra essere correlato al consumo di alcol. L’esofago di Barrett è associato a MRGE e EB può evolvere verso displasia ed adenocarcinoma. Il rischio di evoluzione è legato alla presenza di metaplasia intestinale. Displasia ed adenocarcinoma si accompagnano ad un progressivo accumulo di alterazioni genetiche. Cardite e metaplasia intestinale cardiale si associano ad infezione da H. pylori e non correlano con MRGE. Non esistono markers affidabili per distinguere adenocarcinomi esofagei / cardiali. Pts con esofago di Barrett hanno un rischio del 10% di sviluppare adenocarcinoma; l’obesità e il fumo sono altri fattori di rischio, mentre l’ingestione di alcol sembra non aumentare il rischio. La patogenesi è un processo a tappe di lunga durata che implica numerose alterazioni genetiche; la displasia è una tappa cruciale del processo; nell’epitelio displastico si riscontra iperespressione di p53 e aumento delle cellule proliferanti. Presenti anomalie cromosomiche (amplificazione cromosoma 4) nella displasia di grado elevata. Con il passaggio a carcinoma si può avere traslocazione nucleare della beta-catenina e amplificazione del c-erbB2. Abitualmente localizzati nell’esofago distale, possono invadere il cardia; possono formare chiazze e poi rilevarsi, presentare un aspetto infiltrante o ulcerativo. La maggior parte ha un’architettura ghiandolare, è mucosecernente; più raramente sono presenti come cellule ad anello con castone di tipo gastrico diffusamente infiltrati o hanno i caratteri del tumore a piccole cellule scarsamente differenziato. Gli adenocarcinomi da EB insorgono oltre i 40 anni (media 50-60). Più frequente nei maschi bianchi. I pazienti ricorrono al medico per disfagia, calo ponderale, ematemesi, dolore toracico. La prognosi è infausta, a meno che la resezione sia avvenuta in fase molto precoce (invasione della sola mucosa). La regressione o l’ablazione dell’EB non annulla il rischio di adenocarcinoma.

STOMACO

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Anomalie congenite, gastrite, malattia ulcerativa peptica, tumori

ANATOMIA E FISIOLOGIA GASTRICA Lo stomaco ha origine dalla porzione distale dell’intestino primitivo anteriore. È un organo sacciforme con una capienza di 1200-1500 mL che può dilatarsi fino a contenere 3000 mL. La concavità destra interna è detta piccola curvatura, mentre la convessità sinistra esterna è detta grande curvatura. Un angolo lungo la piccola curvatura, detto angulus segna il punto in cui lo stomaco si restringe prima di connettersi al duodeno. Lo stomaco è ricoperto dal peritoneo; un’ampia piega peritoneale, il grande omento, si estende dalla grande curvatura al colon trasverso. Il piccolo omento si compone del legamento epato-gastrico ed epato-duodenale. Lo stomaco è suddiviso in 5 regioni anatomiche: - il cardias è la porzione stretta e conica immediatamente a valle della giunzione gastroesofagea; - il fondo è la parte prossimale cupoliforme supero – laterale rispetto alla giunzione (la bolla gastrica radiologica); - il corpo giunge fino all’angulus; - la porzione a valle dell’angulus è l’antro, separato dal duodeno dalla muscolatura dello - sfintere pilorico.

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La parete è costituita da una mucosa, sottomucosa, muscolare propria e da una sierosa. La superficie interna mostra pliche grossolane. La trama della mucosa è costellata da foveole gastriche in cui sboccano le ghiandole della mucosa. L’intera superficie mucosa dello stomaco si rinnova ogni 2-6 giorni. Le ghiandole gastriche sono diverse in funzione della regione anatomica: - GHIANDOLE CARDIALI (solo cellule mucosecernenti); - GHIANDOLE OSSINTICHE (fondo e corpo e contengono cellule parietali, principali ed endocrine); - GHIANDOLE ANTRALI O PILORICHE (contengono cellule mucosecernenti ed endocrine). Contengono i seguenti tipi cellulari: - Le cellule mucose secernono muco e pepsinogeno II; - Le cellule mucose del colletto (corpo e fondo) secernono muco e pepsinogeno I/II; - Le cellule parietali sono intensamente eosinofile (mitocondri) e hanno vescicole a ridosso del sistema canalicolare che contengono H/K-ATP-asi che pompa idrogeno nel lume in scambio con ioni K+. Le cellule parietali producono anche fattore intrinseco, che lega la vit. B12 nel duodeno. Sono cellule chiare. - Le cellule principali sono responsabili della secrezione di enzimi proteolitici (pepsinogeno I/II) e sono riconoscibili per il loro citoplasma basofilo. Sono cellule scure. - Le cellule endocrine, il cui citoplasma contiene piccoli granuli intensamente eosinofili nella zona basale della cellula; la maggior parte delle cellule endocrine dell’antro producono gastrina (cellule G); nel corpo producono istamina, che si lega ai recettori H2 sulle cellule parietali per aumentare la produzione acida (cellule ECL). Cellule D (somatostatina). Cellule X (endotelina). La secrezione dell’acido cloridrico è organizzata in tre fasi: 1. fase cefalica: stimolata da vista, gusto, olfatto, deglutizione del cibo; mediata dall’attività vagale; 2. fase gastrica: implica stimolazione dei tensocettori parietali; mediata da impulsi vagali, coinvolge anche il rilascio di gastrina dalle cellule G antrali; 3. fase intestinale: inizia quando il pasto proteico giunge nel tenue prossimale; coinvolge molti polipeptidi oltre alla gastrina. Tutti i segnali convergono sulle cellule parietali per attivare la pompa protonica: - acetilcolina: stimola le cellule parietali attraverso recettori muscarinici M3; - gastrina: attiva un recettore gastrico producendo un aumento del calcio citosolico; - istamina: si lega ai recettori H2. Protezione della mucosa La concentrazione endoluminale di ioni H+ è 3 milioni di volte maggiore di quella del sangue e dei tessuti. La barriera mucosa protegge la mucosa gastrica dall’autodigestione ed è costituita da: - secrezione di muco; - secrezione di bicarbonato; - barriera epiteliale ad elevato turnover; - vascolarizzazione della mucosa; - sintesi di prostaglandine: la produzione di prostaglandidne influisce su molte componenti della barriera difensiva mucosale; favoriscono la produzione di muco e bicarbonati e inibiscono la secrezione acida delle cellule parietali; la PGE e la PGI migliorano il flusso ematico, vasodilatando. Quando la barriera mucosa è lesa, la barriera anatomica costituita dalla muscularis mucosae limita i danni. Le cellule endocrine della mucosa producono anche ormoni che regolano la crescita: la ghrelina è un ormone della crescita di recente identificazione coinvolto anche nella regolazione dell’appetito; STENOSI PILORICA La stenosi pilorica ipertrofica congenita è una patologia neonatale che colpisce maggiormente i maschi e si riscontra in 1/300-900 nati vivi. Esiste una familiarità multifattoriale; può verificarsi associata alla sindrome

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di Turner, alla trisomia 18 e all’atresia esofagea. La peristalsi è visibile ed è presente una massa palpabile solida in regione pilorica. La tonaca muscolare è ipertrofica/iperplastica. La resezione chirurgica è risolutiva. La stenosi acquisita degli adulti è una complicanza della gastrite antrale o dell’ulcera peptica; le cause più infauste sono i carcinomi della regione pilorica, i linfomi e i carcinomi del pancreas. GASTRITE Definita come l’infiammazione della mucosa istologicamente documentata; l’infiammazione può essere prevalentemente acuta, con infiltrazione di neutrofili, o cronica, con predominanza di linfociti/plasmacellule e associata ad atrofia e metaplasia intestinale. La presenza di sintomi dispeptici non è sufficiente per definire una gastrite. GASTRITI/GASTROPATIE INFETTIVE

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H. PYLORI H. HEILMANII TREPONEMA PALLIDUM CANDIDA MICOBATTERI CMV HERPESVIRUS HISTOPLASMA GIARDIA LAMBLIA

NON INFETTIVE

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AUTOIMMUNE DA FANS REFLUSSO BILIARE M DI CROHN CITOSTATICI RADIAZIONI CORPI ESTRANEI ENTEROPATIA DA GLUTINE MALATTIE VASCOLARI

STRONGILOIDES

GASTRITE ACUTA Processo infiammatorio acuto della mucosa, spesso di natura transitoria. L’infiammazione può essere accompagnata da emorragia intramucosa e sfaldamento della mucosa superficiale (erosione mucosa). Frequentemente associata a: - USO DI FANS; - ALCOL; - TABAGISMO; - TRATTAMENTO CON CITOSTATICI; - UREMIA; - INFEZIONI SISTEMICHE; - STRESS INTENSO; - ISCHEMIA, SHOCK; - USO DI ACIDI/ALCALI A SCOPO SUICIDA; - ESPOSIZIONE A RADIAZIONI IONIZZANTI; - TRAUMA MECCANICO; - GASTRECTOMIA DISTALE. I meccanismi alla base dell’infiammazione sono: - aumento secrezione acida e riduzione del tampone bicarbonato; - riduzione del flusso ematico; - distruzione dello strato aderente di muco; - danno epiteliale diretto; il danno ischemico peggiora gli effetti della retrodiffusione degli ioni idrogeno; il rigurgito di acidi biliari e lisolecitine e la sintesi inadeguata di prostaglandine possono avere un ruolo nel danno alla mucosa. Una notevole percentuale di pazienti ha una gastrite idiopatica non associata a fattori scatenanti noti.

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Nelle forme lievi la lamina propria presenta solo edema moderato e lieve congestione vascolare; la superficie epiteliale è intatta e si osservano neutrofili sparsi tra le cellule epiteliali superficiali; la presenza di neutrofili al di sopra della membrana basale denota la presenza di un’infiammazione acuta; in caso di danno più grave si sviluppano erosioni ed emorragie; il termine erosione descrive la perdita di epitelio di superficie con una risultante soluzione di continuo che non va oltre la muscularis mucosae. La presenza contemporanea di erosioni ed emorragie è definita gastrite acuta erosivo-emorragica; il processo è comunque superficiale e raramente interessa l’intero spessore della mucosa. La gastrite acuta può essere asintomatica, causare dolore epigastrico, nausea, vomito, emorragia franca (ematemesi o melena). Fino al 25% dei pts che assumono ASA quotidianamente sviluppa una gastrite acuta.

GASTRITE CRONICA Alterazioni infiammatorie croniche della mucosa che conducono ad atrofia della mucosa e a metaplasia intestinale generalmente in assenza di erosioni. Può assumere i caratteri della displasia e costituire la base di sviluppo di carcinomi. Le principali associazioni eziologiche: - infezione cronica da H. pylori - patologie immunologiche (gastrite autoimmune); - alcol, fumo; - postumi di interventi chirurgici; - patologie della motilità e meccaniche (occlusioni, bezoari, atonia gastrica); - radiazioni; - malattie granulomatose (m di Crohn); - amiloidosi; - GVHD; - Uremia. HELICOBACTER PYLORI Il nesso con la gastrite cronica è stato scoperto nel 1983; il batterio era denominato Campylobacter pyloridis; l’efficacia degli antibiotici ha rivoluzionato la gestione della gastrite cronica e dell’ulcera peptica, attualmente considerate alla stregua di una malattia infettiva. Hp è presente nel 90% dei pts con gastrite cronica antrale; l’infezione sembra sia contratta nell’infanzia e persista per decenni; le vie oro-orale e oro-fecale sembrano le più probabili per il contagio. Le persone infette hanno un rischio aumentato di sviluppare ulcera peptica, cancro gastrico e linfoma gastrico della zona marginale. Hp è un bastoncino ricurvo gram- non sporigeno di 3,5 x 0,5 micron. L’adattamento all’ambiente gastrico gli è permesso da: - motilità - elaborazione di ureasi; - espressione di adesine (BabA) che aumenta il legame alle cellule che presentano l’antigene di gruppo 0 (cfr. perché allora il cancro è più frequente nel gruppo A?); - espressione di tossine batteriche (CagA e VacA). Attraverso la tossina GHE (cfr.) interferisce con i processi di fosforilazione delle proteine che presiedono alla trasduzione del segnale intracellulare; produce lesioni citotossiche che ledono le giunzioni intercellulari e riducono notevolmente la funzione di barriera dell’epitelio; la retrodiffusione idrogenionica determina così un ulteriore danno diretto. Il batterio evoca inoltre vari tipi di risposta infiammatoria: - Th1 (IL1, IL12) che attiva la produzione di citochine citotossiche e richiama macrofagi (IFN-gamma e TNF-alfa); - Th2, con la produzione di citochine inibitorie (IL10) e stimolo alla produzione di anticorpi. L’attività dei macrofagi e delle cellule dendritiche amplifica la flogosi; le IgG fissano il complemento e determinano un danno con richiamo di neutrofili. La flogosi coinvolge quindi neutrofili, macrofagi, eosinofili.

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IL6 e IL8 sono in grado di attivare i neutrofili e quindi condizionano l’attività della gastrite (che è definita appunto dalla presenza di neutrofili). Nella gastrite attiva c’è anche un aumento di neutrofili periferici ed aumento di rischio di ulcera e cancro: è importante definire se la gastrite è attiva o meno. Nelle gastriti non atrofiche, il processo coinvolge solo gli strati superficiali con risposta delle ghiandole acido – peptiche; nella gastrite atrofica tutta la mucosa è colpita, ghiandole comprese. Quando è presente atrofia, spesso si associa metaplasia intestinale, con aumento del rischio di carcinoma; i linfociti distruggono le cellule parietali e inducono una proliferazione compensatoria che coinvolge però solo le cellule mucose (non le cellule parietali o principali). Il principale autoantigene nella gastrite cronica atrofica da Hp è la pompa protonica. Anticorpi contro questa proteina si trovano nel 25% dei pts con Hp e nel 100% dei pts con gastrite autoimmune. - Pts con Hp e auto-Ab (anti-ATP-asi e anti-canalicolari)  il 60% ha atrofia; - Pts con Hp senza auto-Ab  solo il 13% ha atrofia. Il batterio causa gastrite sia stimolando la produzione di citochine proinfiammatorie sia danneggiando direttamente le cellule epiteliali. La gastrite può presentarsi in due modi: - GASTRITE A PREDOMINANZA ANTRALE: elevata produzione di acido ed alto rischio di esitare in ulcera duodenale; - PANGASTRITE: seguita da atrofia multifocale (gastrite atrofica multifocale) con secrezione acida ridotta e maggior rischio di sviluppare un adenocarcinoma. L’IL1-beta è un efficace inibitore dell’acidità gastrica; i pazienti che ne producono in grande quantità in risposta all’infezione da Hp tendono a sviluppare una pangastrite, mentre i pazienti che ne producono meno tendono a sviluppare una gastrite antrale. Per la diagnosi: - urea breath test; - test sierologici (sensibili ma non specifici e non adatti per indicare una gastrite, ma solo un contatto con il batterio); - identificazione Hp nelle biopsie gastriche. I pazienti spesso migliorano in seguito a terapia antibiotica e con inibitori della pompa protonica. Oltre all’Hp anche Helicobacter heilmannii (cani, gatti, primati) che causa gastriti lievi. ASSOCIAZIONE GASTRITE CRONICA E MALATTIE GASTRICHE

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STOMACO NORMALE;

il rischio di ulcera e carcinoma a 10 anni è inferiore all’1%; GASTRITE DELL’ANTRO O PANGASTRITE NON ATROFICA; il rischio a 10 anni di sviluppare un’ulcera è del 1030%; il rischio di carcinoma aumenta solo lievemente; GASTRITE ANTRALE O PANGASTRITE CON ATROFIA DELL’ANTRO; alto rischio di ulcera gastrica e di carcinoma (soprattutto antrale); ridotto il rischio di ulcera duodenale. PANGASTRITE CON ATROFIA DEL CORPO; ipocloridria spiccata; rischio minimo di ulcera duodenale, medio rischio di ulcera gastrica prossimale, alto rischio di carcinoma (atrofia, metaplasia). GASTRITE DEL CORPO CON SEVERA ATROFIA; alto rischio di anemia perniciosa; rischio mediamente elevato di cancro e carcinoide (proliferazione a basso grado di malignità di cellule producenti istamina che sono poste in un circuito di feedback con l’acidità gastrica: se l’acidità si riduce, la gastrina aumenta e stimola le cellule ECL alla produzione di istamina; le ECL possono andare incontro a neoplasia da iperstimolazione cronica. Il rischio di ulcera, sia gastrica che duodenale, è praticamente nullo (niente acido, niente ulcera).

GASTRITE AUTOIMMUNE Copre meno del 10% dei casi di gastrite cronica. Dovuta alla presenza di auto-Ab diretti contro componenti delle cellule parietali delle ghiandole gastriche, inclusi anticorpi contro la pompa protonica, il recettore per la gastrina e il fattore intrinseco. Nei casi più gravi si perde anche la produzione di fattore intrinseco, con manifestazioni cliniche di anemia perniciosa. Il rischio di sviluppare carcinomi gastrici e carcinoidi è significativamente aumentato. La gastrite cronica può interessare diverse zone dello stomaco. La gastrite autoimmune è caratterizzata da lesioni diffuse del corpo-fondo, con interessamento antrale minore o assente (le cellule parietali sono il

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bersaglio). Le gastriti da agenti ambientali (Hp) tendono ad interessare la mucosa antrale da sola o unitamente a quella del corpo-fondo (pangastrite). Le alterazioni istologiche sono simili indipendentemente dalla sede e causa: infiltrato infiammatorio con linfociti e plasmacellule nella lamina propria; l’infiammazione attiva comporta la presenza di neutrofili nello spessore epiteliale. Spesso di osservano aggregati linfoidi intramucosi, talora con centro germinativo; altri aspetti caratteristici: - alterazioni rigenerative; proliferazione epiteliale in risposta al danno subito; le mitosi nel colletto delle ghiandole gastriche sono aumentate; le cellule epiteliali della superficie mucosa e delle ghiandole hanno nuclei grandi e ipercromatici e un maggior rapporto nucleare; - metaplasia; la mucosa antrale, del corpo e fundica può essere sostituita parzialmente da cellule metaplastiche intestinali, cilindriche assorbenti o caliciformi; - atrofia; in seguito al depauperamento delle strutture ghiandolari; spesso associata a gastrite autoimmune e a pangastrite da Hp; nella gastrite autoimmune atrofica e in quella trattata con IPP compare iperplasia delle cellule G che producono gastrina in risposa all’ipocloridria; - displasia; il perdurare della gastrite porta ad alterazioni citologiche (forma, dimensione, orientamento) e nucleari. Può diventare così grave da costituire un carcinoma in situ. Hp si localizza nello strato superficiale di muco e tra i microvilli delle cellule epiteliali. Possono anche tappezzare la superficie luminale delle cellule epiteliali. Hp è assente nelle aree di metaplasia intestinale, ma può colonizzare le aree di metaplasia pilorica nel duodeno infiammato e la mucosa di tipo gastrico dell’EB. La gastrite cronica è paucisintomatica. Nausea, vomito, disturbi epigastrici. Ipocloridria se danni alle cellule parietali e atrofia corpo-fundica. Il 10% dei pazienti con anticorpi anti cellule parietali sviluppa anemia perniciosa conclamata; la maggior parte dei pazienti con ulcera peptica duodenale o gastrica ha un’infezione da Hp. Il rischio a lungo termine di cancro gastrico per i pazienti con gastrite autoimmune è del 2-4%, assai più elevato di quello della popolazione normale.

FORME PARTICOLARI DI GASTRITE La gastrite eosinofila è una patologia idiopatica caratterizzata da intenso infiltrato eosinofilo della mucosa, della parete muscolare o di tutti gli strati della parete gastrica; di solito a localizzazione antrale o pilorica; interessa tipicamente le donne di mezza età con dolore addominale. Spesso associata ad eosinofilia periferica. La gastroenteropatia allergica è una patologia pediatrica che può produrre diarrea, vomito e deficit della crescita. La gastrite linfocitaria è una patologia in cui un fitto infiltrato linfocitario pervade lo strato epiteliale della superficie mucosa e delle foveole gastriche e la lamina propria; i linfociti intraepiteliali sono esclusivamente T, spt CD8+. Provoca sintomi generici, dolore, nausea, vomito. Il 45-60% è associato a m celiaca. La gastrite granulomatosa con granulomi epitelioidi intramucosi si associa a m di Crohn, sarcoidosi, infezioni, tubercolosi, histoplasmosi, vasculite sistemica o reazione da corpo estraneo. Necessario escludere queste patologie. La condizione idiopatica è relativamente benigna, associata ad irrigidimento e restringimento dell’antro. GVHD produce un lieve infiltrato linfocitario nella lamina propria ed apoptosi delle cellule epiteliali ghiandolari (specie mucose del colletto). La gastropatia reattiva comprende un gruppo di patologie che possono presentarsi istologicamente con: - iperplasia foveolare con perdita di mucina; - edema e iperemia della mucosa; - presenza di fibre muscolari lisce nella lamina propria tra le ghiandole. Tipica è l’assenza di infiammazione attiva (granulocitaria neutrofila). Esiste un nesso causale con il danno chimico da inibizione della COX o da reflusso biliare e con traumi mucosi da prolasso (ectasia vascolare dell’antro gastrico). ULCERA PEPTICA

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Un’ulcera è una soluzione di continuo della mucosa che, attraversando la muscularis mucosae, si approfonda fino alla sottomucosa ed oltre. Nelle erosioni il danno è invece contenuto nella mucosa e la muscularis mucosae è integra. L’ulcera peptica è una lesione che può interessare qualunque zona del tubo digerente esposta all’aggressione del succo clorido-peptico; è un’affezione cronica/recidivante; è una lesione solitaria di diametro inferiore a 4 cm localizzata in ordine decrescente di frequenza in: - DUODENO (prima porzione del bulbo, ove l’acidità non è ancora neutralizzata); - STOMACO (spt antro); - GIUNZIONE GASTROESOFAGEA nel contesto di una MRGE; - a livello di una GASTRODIGIUNOSTOMIA; - duodeno, stomaco, digiuno in pts con sindrome di ZOLLINGER-ELLISON; - DIVERTICOLO DI MECKEL contenente mucosa gastrica ectopica e nelle sue vicinanze.

Cause di ulcerazione e meccanismi di difesa contro l’ulcerazione peptica. Schema di un’ulcera peptica non perforata che mostro lo strato di necrosi (N), infiammazione (I), tessuto di granulazione (G), cicatrizzazione (S), andando dalla superficie luminale alla parete muscolare.

La probabilità a vita di sviluppare un’ulcera peptica è del 10% per i maschi e 4% per le femmine. È una lesione recidivante che si manifesta spesso senza evidenza di fattori scatenanti. Dopo settimane / mesi di fase attiva può guarire con/senza terapia. La tendenza allo sviluppo di nuove ulcere rimane. L’ulcera peptica è il prodotto di uno squilibrio tra le difese della mucosa gastroduodenale e degli agenti lesivi, con particolare riguardo all’acido cloridrico e alla pepsina. L’iperacidità non è però un fattore necessario (minoranza di pazienti con ulcera duodenale; rara nell’ulcera gastrica). Ruolo di H pylori Hp induce un’intensa risposta infiammatoria e immunitaria, citochine proinfiammatorie (IL1, IL6, TNF, IL8). Necrosi e prodotti del genoma batterico sono coinvolti nel danno delle cellule epiteliali e nell’induzione dell’infiammazione. Hp secerne ureasi che scinde l’urea e forma composti tossici come il cloruro di ammonio e monocloramina. Il microrganismo elabora una fosfolipasi che lede le cellule epiteliali superficiali; le proteasi lisano i complessi glicoproteici del muco gastrico, aumentando la permeabilità della superficie gastrica. Hp aumenta la secrezione acida e compromette la produzione di bicarbonato duodenale (metaplasia gastrica nella prima porzione del duodeno). Molti prodotti proteici di Hp sono immunogeni; un fattore

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batterico di attivazione delle piastrine determina trombosi dei capillari superficiali. Un lipopolisaccaride e altri antigeni attirano le cellule infiammatorie verso la mucosa; il danno sembra permettere la diffusione di nutrienti attraverso la superficie, nutrendo così il batterio. Oltre l’80% dei pts con ulcera duodenale è infettato da ceppi CagA+. Il CagA regola la produzione della tossina VacA. La tossina VacA ha un effetto vacuolante ed è un trasportatore passivo di urea che aumenta la permeabilità epiteliale all’urea. Nel mondo solo il 10-20% dei soggetti infettati da Hp sviluppa un’ulcera peptica. Altri agenti causali L’uso cronico di FANS sopprime la sintesi mucosa di prostaglandine; a ciò l’acido acetilsalicilico somma un’azione irritante diretta. Il ruolo dell’ipercloridria è noto, come attestano i casi di s di Zollinger-Ellison. Il fumo di sigaretta compromette il flusso ematico e i meccanismi di riparazione della mucosa. Un uso prolungato di corticosteroidi ad alte dosi induce ulcere. Anche lo svuotamento gastrico troppo rapido può essere alla base dell’ulcera duodenale. I fattori genetici non sembrano avere un ruolo importante. Almeno il 98% delle ulcere peptiche è localizzato nello stomaco o nella prima porzione del duodeno, con un rapporto di circa 1:4. La parete anteriore del duodeno è più colpita e nello stomaco è preferenzialmente coinvolta la piccola curvatura. Le ulcere croniche hanno un aspetto macroscopico costante e diagnostico; le lesioni piccole ( % di invasione linfonodale T2 invadono la parete ma non arrivano alla sierosa (T2a se arriva alla sierosa ma non la supera) T3 invasione della sierosa (prognosi negativa) N0 N1 N2 N3

no linfonodi interessati < 6 linfonodi interessati 7-14 linfonodi interessati > 15 linfonodi interessati

 Classificazione endoscopica TIPO 1: TIPO 2: TIPO 3:

/ PROTRUDENTE (2a = leggermente rilevato; 2b = piatto; 2c = leggermente incavato) ESCAVATO / ULCERATO POLIPOIDE PIATTO

LINFOMA GASTRICO Il 5% di tutte le neoplasie maligne dello stomaco. Quasi tutti i linfomi sono linfomi a cellule B del MALT (maltomi) che originano dalle cellule marginali degli aggregati follicolari situati in profondità (la mucosa è integra). Raramente i linfociti penetrano nell’epitelio: questa evenienza può verificarsi, ma comunque molto raramente, con i linfociti TCD8+. Nel maltoma invece i linfociti B penetrano nell’epitelio e lo aggrediscono. La maggior parte dei linfomi gastrici (> 80%) è associata all’infezione da Hp e spesso queste neoplasie mostrano regressione con la terapia antibiotica. I tumori che non rispondono agli antibiotici contengono trisomia del cromosoma 3 o t(11;18). Questa unisce il gene AP2 con il gene MLT del cr 18; la proteina di fusione sembra inibire l’apoptosi, ma il suo contributo allo sviluppo del linfoma non è definito. Coinvolgono di norma la mucosa o la porzione superficiale della sottomucosa; nei linfomi MALT si trova un infiltrato linfocitario monomorfo nella lamina propria che circonda le ghiandole gastriche. Queste vanno incontro a distruzione (lesione linfoepiteliale). Usualmente non esprimono CD5, CD10 né CD23. TUMORI STROMALI GASTROINTESTINALI (GIST) Nello stomaco possono insorgere neoplasie mesenchimali. I GIST originano dalle cellule interstiziali di Cajal che controllano la peristalsi gastrointestinale. Questi sono reattivi per il c-kit nel 95% dei casi e per il CD34 nel 70%. Possono essere suddivisi su base morfologica nei tipi fusiforme ed epitelioide. Raramente GIST gastrici possono far parte di sindromi come la triade di Carney: GIST gastrico, paraganglioma, condroma polmonare; o la neurofibromatosi di tipo I. La superficie di taglio è color ocra e non ha aspetto fascicolato (come i leiomiomi); la consistenza è morbida o lievemente aumentata e spesso si associa emorragia. Può risultare costituito da cellule fusate, da cellule

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epitelioidi o da un misto dei due tipi. La maggior parte ha una discreta cellularità. La maggior parte delle cellule esprime c-kit (CD117) dimostrabile all’immunoistochimica. Il c-kit e il PDGFRa hanno entrambi attività tirosin-kinasica e attivano simili vie intracellulari. Le mutazioni di questi recettori portano alla loro attivazione costitutiva con conseguente innesco della cascata di eventi a valle che esita in uno stimolo alla proliferazione. STI571 (imatinib mesilato) viene utilizzato con successo.

INTESTINO TENUE E COLON Anomalie congenite, enterocoliti, sindromi da malassorbimento, malattia infiammatoria idiopatica, malattie vascolari, malattia diverticolare,

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occlusione, tumori; appendice e peritoneo

ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’INTESTINO L’intestino tenue, nell’uomo adulto, è lungo circa 6 m, il colon 1,5 m. I primi 25 cm di intestino tenue sono retroperitoneali e costituiscono il duodeno. Il digiuno segna l’ingresso del tenue nella cavità peritoneale, collocazione che il viscere mantiene fino al suo termine, a livello della valvola ileo-ciecale, ove l’ileo sbocca nel colon. Per digiuno si intende arbitrariamente il terzo prossimale della porzione intraperitoneale dell’intestino tenue. Il colon è suddiviso in cieco, ascendente, trasverso e discendente; il colon sigmoide inizia in corrispondenza del bordo del bacino e curva nella cavità peritoneale, divenendo retto a livello di S3. A metà dei suoi 15 cm di lunghezza, il retto attraversa i pilastri dei muscoli perineali, divenendo extraperitoneale; la flessione del peritoneo crea un recesso detto cavo del Douglas. Vascolarizzazione L’apporto arterioso dalla porzione prossimale del digiuno alla flessura epatica del colon è di pertinenza dell’arteria mesenterica superiore; l’arteria mesenterica inferiore vascolarizza il resto del colon fino al retto. Ogni arteria si dirama progressivamente e sviluppa ricche anastomosi; numerose collaterali connettono il circolo mesenterico a quello celiaco. Le vie linfatiche ricalcano quelle ematiche. La porzione superiore del retto è irrorata dalla branca emorroidaria superiore dell’arteria mesenterica inferiore. La porzione inferiore dalle branche emorroidarie delle arterie iliaca interna e pudenda interna (rami aortici). Un letto capillare anastomotico connette questi due sistemi: costituisce quindi un collegamento venoso portosistemico. Il colon, nelle sue porzioni ascendente e discendente è retroperitoneale. Mucosa L’aspetto più caratteristico del tenue è il suo rivestimento mucoso disseminato da numerosi villi. L’asse del villo è costituito da una propaggine di lamina propria con vasi ematici e linfatici; tra le basi dei villi vi sono le cripte di Lieberkuehn che contengono il comparto staminale epiteliale e si approfondano fino alla muscularis mucosae. Nei soggetti normali il rapporto tra l’altezza dei villi e la profondità delle cripte è circa di 4:1. Nella sottomucosa duodenale si trovano numerose ghiandole sottomucose: le ghiandole di Brunner. Queste secernono ioni bicarbonato, glicoproteine e pepsinogeno II e sono indistinguibili dalle ghiandole mucose del piloro. L’epitelio di superficie dei VILLI contiene 3 tipi di cellule: - cellule cilindriche assorbenti con superficie luminale microvillare (orletto a spazzola); - cellule caliciformi secernenti mucina; - cellule endocrine. Nelle CRIPTE: - cellule staminali; - cellule caliciformi;

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cellule endocrine; cellule di Paneth. Le cellule di Paneth anno granuli apicali eosinofili e contengono varie proteine antimicrobiche (defensine, lisozima). I villi della mucosa del tenue sono la sede della digestione terminale e dell’assorbimento degli alimenti ad opera delle cellule cilindriche assorbenti. Le cripte secernono ioni, acqua, IgA e peptidi antimicrobici e sono la sede della proliferazione e del turnover cellulare epiteliale. Le cellule mucose producono un rivestimento di muco che protegge l’epitelio di superficie e fornisce un microambiente ideale per l’assorbimento delle sostanza nutritive (unstirred layer). Sulla superficie delle cellule epiteliali sono presenti recettori per la captazione di micromolecole (FI-B12 nell’ileo, ad esempio).  Nel colon le cripte sono uniformemente distanziate e distribuite e parallele; il fondo delle cripte poggia sulla muscularis mucosae; ogni assenza di parallelismo tra le cripte ed ogni distacco dal normale appoggio sulla muscularis è da considerare patologico. Uniforme distribuzione delle cellule caliciformi lungo le cripte, salvo che in superficie e sul fondo. Le cellule di Paneth sono limitate al cieco. È presente un infiltrato di linfociti, plasmacellule, macrofagi e rari granulociti (spt eosinofili) più cospicuo nel cieco. Follicoli linfoidi basali sono normali (dd’ con infilitrato infiammatorio nodulare). Emorragie stromali in assenza di altre lesioni ed ispessimento della muscularis mucosae sono di regola artefattuali. La funzione del colon è quella di recuperare acqua ed elettroliti dal lume intestinale. La mucosa del colon non ha villi ed è piatta, costellata da cripte tubulari rettilinee che si approfondano fino alla muscularis mucosae. La mucosa intestinale è colonizzata da una flora batterica (E. coli, Proteus, Enterobacter, Serratia, Klebsiella). La proliferazione cellulare è limitata alle cripte; nel tenue le cellule impiegano 96-144 ore per fuoriuscire dalle cripte, giungere all’apice dei villi e sfaldarsi, con rinnovamento totale dell’epitelio ogni 4-6 giorni. Il ricambio epiteliale del colon richiede 3-8 giorni. Un’eterogenea popolazione di cellule endocrine sparsa fra le cellule dei villi e delle cripte è formata da elementi che producono sostanze regolatorie per la motilità e l’attività secretoria del tubo digerente; i granuli sono rilasciati dalla superficie basolaterale, senza alcuna secrezione apicale. Il sistema immunitario intestinale deve equilibrare la tolleranza verso gli elementi nutritivi con la difesa ad agenti potenzialmente dannosi. Tutto il tenue e il colon sono disseminati di noduli di tessuto linfoide sia all’interno della mucosa, sia tra mucosa e sottomucosa. I noduli deformano l’epitelio; nell’ileo formano strutture visibili a occhio nudo dette placche di Peyer. L’epitelio che li ricopre contiene cellule assorbenti e cellule M (membranose). Tramite un processo di transcitosi, le cellule M veicolano macromolecole antigeniche intatte dal lume alle cellule sottoepiteliali presentanti l’antigene (macrofagi, cellule dendritiche). Linfociti T sono presenti nello spessore dell’epitelio superficiale (linfociti intraepiteliali) e comprendono cellule CD8+; la lamina propria contiene cellule Th CD4+, cellule B attivate e plasmacellule. Le IgA vengono liberate direttamente nel lume intestinale, passando per transcitosi attraverso gli enterociti.

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Funzione neuromuscolare La peristalsi del tenue mescola il chimo e massimizza il contatto dei nutrienti con la mucosa; essa è regolata da un controllo neurale intrinseco (plessi mioenterico e sottomucoso) ed estrinseco (innervazione autonomica). Il plesso sottomucoso si dirama alla base della sottomucosa, mentre il plesso mioenterico si trova tra i due strati muscolari (circolare interno / longitudinale esterno) della muscolare propria. ATRESIA E STENOSI L’occlusione intestinale congenita è rara, ma molto grave; può presentarsi a qualunque livello. L’interessamento duodenale è il più comune; seguono digiuno e ileo, mentre il colon non è praticamente mai coinvolto. L’occlusione può essere completa (atresia) o incompleta (stenosi); le stenosi sono causate da un restringimento di un segmento o da un diaframma perforato. L’intussuscezione (invaginazione a telescopio di un segmento nell’altro), così come accidenti vascolari intrauterini, sembrano verificarsi al completo sviluppo intrauterino intestinale. La mancata canalizzazione del diaframma cloacale porta all’ano imperforato (mancata perforazione del proctodeo). DIVERTICOLO DI MECKEL

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La mancata involuzione del dotto onfalomesenterico che connette il lume dell’intestino al sacco vitellino (dotto vitellino), causa la persistenza di una formazione detta diverticolo di Meckel, che si inserisce sul versante antimesenterico dell’intestino, in genere entro gli 85 cm a monte della valvola ileocecale. È un diverticolo vero e il suo aspetto varia da una piccola tasca ad un lungo segmento intestinale a fondo cieco (fino a 6 cm). Possono essere rivestiti da normale mucosa intestinale, ma in circa metà dei casi si riscontrano isole eterotopiche di mucosa gastrica e/o tessuto pancreatico. Interessano il 2% della popolazione generale e restano per lo più asintomatici. Possono produrre enterorragia o quadri clinici simulanti un’appendicite acuta in seguito ad ulcere peptiche del tenue limitrofo a mucosa gastrica ectopica. MEGACOLON AGANGLIARE CONGENITO (M DI HIRSCHPRUNG) La malattia di Hirschprung è determinata dall’agangliosi di un tratto di intestino. L’anomalo arresto della migrazione neurale o la morte prematura delle cellule gangliari in un punto a monte dell’ano, determinano insorgenza del megacolon congenito. Si forma un segmento intestinale privo del plesso di Meissner e di Auerbach la cui lunghezza dipende dall’entità del blocco della migrazione. La perdita della coordinazione nervosa enterica porta ad occlusione funzionale e dilatazione prossimale al segmento colpito. Il segmento dilatato non è sede di anomalie gangliari. La porzione a valle, di aspetto normale, è deficitaria di gangli nervosi. Il 50% dei casi familiari e il 15% di quelli sporadici consegue a mutazioni del gene Ret, che compromettono l’attività chinasica del recettore da esso codificato. Assenza di cellule gangliari e di gangli nella tonaca muscolare propria e nella sottomucosa dei segmenti colpiti. Il retto è sempre colpito, mentre è variabile l’interessamento del colon a monte. La maggior parte dei casi coinvolge solo retto e sigma (malattia a segmento corto); nel 20% il coinvolgimento è a segmento lungo (raro l’interessamento dell’intero colon). Prossimalmente al segmento agangliare si riscontra dilatazione). Con il tempo la porzione innervata prossimale può raggiungere anche i 15-20 cm di diametro (megacolon). La parete si assottiglia molto e può rompersi, in genere nei pressi del cieco. Possono comparire infiammazione ed ulcere stercoracee. Si riscontra in 1/5000 nati vivi. M:F=4:1. Il 10% insorge in pts con sindrome di Down. Si manifesta generalmente subito dopo la nascita per mancata emissione del meconio, cui segue stipsi occlusiva. Due complicanze a rischio di vita: enterocolite e peritonite da perforazione colica. Il megacolon acquisito può verificarsi a qualunque età e può dipendere da: - m di Chagas; - occlusione organica (stenosi, neoplasie); - megacolon tossico (RCU, Crohn); - disturbi psicosomatici funzionali. DIARREA E DISSENTERIA Un adulto assume circa 2L di liquidi al giorno cui si aggiungono 1L di saliva, 2L di succhi gastrici, 1L di bile, 2L di succo pancreatico e 1L di secrezioni intestinali. L’intestino riceve giornalmente 9L di liquidi ed evacua meno di 200g di feci costituite per il 60-80% di acqua. La maggior parte dei pts percepisce come diarrea un aumento della massa fecale, della loro fluidità o della frequenza di evacuazione; in casi gravi si possono evacuare oltre 14 L di liquidi al giorno. La diarrea è spesso associata a dolore, pressante impulso all’evacuazione, fastidio perianale e incontinenza. Una diarrea dolorosa ed emorragica con scarso volume evacuato è detta dissenteria. DIARREA SECRETORIA

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INFETTIVA DIRETTA INFETTIVA MEDIATA DA ENTEROTOSSINE NEOPLASTICA ECCESSIVO USO DI LASSATIVI

DIARREA OSMOTICA

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(secrezione isotonica di liquidi che persiste durante il digiuno)

(eccessivo gradiente osmotico dei composti intraluminali; si attenua con il digiuno)

DEFICIT DI DISACCARIDASI

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TERAPIA CON LATTULOSIO DETERSIONE INTESTINALE PER PROCEDURE DIAGNOSTICHE ANTIACIDI MALASSORBIMENTO PRIMITIVO DI ACIDI BILIARI

MALATTIE ESSUDATIVE

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INFIAMMAZIONE INTESTINALE IDIOPATICA TIFLITE (COLITE NEUTROPENICA)

MALASSORBIMENTO

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(la distruzione della mucosa con feci purulente e sanguinolente; persiste a digiuno)

INFETTIVA

(feci voluminose, grasse, con aumento dell’osmolarità)

DEFICIT DELLA DIGESTIONE ENDOLUMINALE ANOMALIE PRIMITIVE DELLE CELLULE MUCOSE RIDUZIONE DELLA SUPERFICIE ASSORBENTE OSTRUZIONE LINFATICA INFETTIVA

ALTERATA MOTILITÀ

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RIDOTTO TEMPO DI TRANSITO RIDOTTA MOTILITÀ

ENTEROCOLITI INFETTIVE Le malattie intestinali ad eziologia batterica sono caratterizzate da diarrea e talvolta ulcerazioni e infiammazione del tenue e del colon. Le enterocoliti infettive sono un problema di proporzioni rilevanti nel mondo: la metà di tutti i decessi prima dei 5 anni su scala mondiale è dovuta a queste patologie. Le infezioni sono dovute principalmente a cibo e acqua contaminati. La diarrea infettiva acuta è causata molto spesso da virus enterici, ma moltissimi patogeni possono provocare diarrea, in base all’ambiente, alla nutrizione, allo stato immunitario dell’ospite. Nel 40-50% dei casi l’agente specifico non può essere isolato. Gastroenteriti virali Si stima che quelle da rotavirus siano le più frequenti al mondo con un milione di decessi all’anno al mondo. A questo virus si deve il 25-65% delle diarree gravi dei neonati e dei bambini. Il rotavirus distrugge in modo selettivo gli enterociti maturi, senza infettare le cellule delle cripte. Anche alcuni sierotipi di adenovirus sono responsabili comunemente di diarrea nei bambini; provocano diarrea e vomito per 7-10 giorni. I calicivirus (classici tipo Sapporo / tipo Norwalk) sono responsabili di gastroenterite epidemica non batterica correlata al cibo in tutte le fasce d’età, con incubazione di 1-2 giorni e 12-60 ore di nausea, vomito, diarrea acquosa. Gli astrovirus colpiscono i bambini e sono ubiquitari. I coronavirus e i torovirus sono talvolta implicati. La mucosa del tenue mostra villi accorciati e infiltrazione linfocitaria della lamina propria; si possono evidenziare vacuolizzazione e perdita dei microvilli dell’orletto a spazzola nelle cellule epiteliali di superficie con cripte ipertrofiche. Al me si possono visualizzare le particelle virali nell’epitelio. Gastroenteriti batteriche Esistono numerosi meccanismi patogenetici: - ingestione di tossine preformate; - infezione da parte di organismi enterotossigeni; - infezione da parte di microrganismi enteroinvasivi. Le proprietà principali dei batteri patogeni sono: - la capacità di aderire alle cellule epiteliali della mucosa e di replicarsi; - la capacità di elaborare enterotossine; - l’invasività tissutale. Lo spettro morfologico delle enteriti batteriche è ampio. Diarree devastanti, perfino mortali possono verificarsi in assenza di lesioni significative, come nel caso del colera. Generalmente sono presenti lesioni istologiche anche molto caratteristiche, come nel caso delle coliti pseudomembranose da C. difficile. La maggior parte delle infezioni batteriche produce un quadro morfologicamente aspecifico, costituito da lesioni non caratteristiche dell’epitelio superficiale, diminuzione della maturazione delle cellule epiteliali e aumento della loro attività mitotica, iperemia ed edema della lamina propria e un variabile infiltrato granulocitario neutrofilo nell’epitelio e nella lamina propria.

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SHIGELLA: colpisce soprattutto il colon distale, con iperemia, edema e ingrandimento dei noduli linfoidi; entro 24 ore l’infiammazione acuta con erosione provoca la formazione di un essudato purulento, dapprima a chiazze separate, poi confluente e compaiono ulcerazioni irregolari; SALMONELLA: colpisce ileo e colon con congestione vascolare e infiltrato mononucleato; l’interessamento delle placche di Peyer provoca rigonfiamento, congestione, ulcere lineari; nell’ileo terminale le placche possono arrivare a un diametro di 8 cm e i linfonodi mesenterici drenati si ingrandiscono notevolmente; si formano ulcere ovoidali con asse maggiore parallelo all’asse dell’ileo. Al mo si osservano macrofagi carichi di batteri, globuli rossi e detriti nucleari, linfociti e plasmacellule, neutrofili. La milza è aumentata di volume, con polpa rossa uniformemente pallida, obliterazione del disegno follicolare; il fegato mostra foci sparsi di necrosi parenchimale, con aggregati di fagociti mononucleati detti noduli tifoidi. CAMPYLOBACTER JEJUNI: infezioni che possono interessare dal digiuno all’ano. Nel tenue si osserva una diminuzione del rapporto villi/cripte; ulcere multiple superficiali, infiammazione della mucosa ed essudato purulento; nel colon possono essere presenti ascessi criptici e ulcerazioni (simil RCU); YERSINIA ENTEROCOLITICA e Y. PSEUDOTUBERCULOSIS: colpiscono ileo, appendice, colon; causano emorragia e ulcerazione mucosale, ispessimento della parete, iperplasia linfoide e linfonodale con granulomi necrotizzanti e diffusione sistemica (peritonite, faringite, pericardite). VIBRIO CHOLERAE: colpisce il tenue, soprattutto prossimale. La mucosa rimane intatta con depauperamento del muco delle cripte; C. PERFRIGENS E C. DIFFICILE: quadro simile al colera con parziale danno epiteliale; la colite pseudomembranosa da C. difficile deve il suo nome alle placche di detriti necrotici, materiale fibrinopurulento e muco che aderiscono alla mucosa danneggiata del colon; non sono vere membrane (non hanno epitelio); la formazione di pseudomembrane non è peculiare di questa colite. E. COLI ENTEROPATOGENO: ETEC (enterotossigeno), EHEC (enteroemorragico), EIEC (enteroinvasivo), EPEC (enteropatogeno). Il sierotipo più diffuso in nord america è EHEC 0157:H7; questi batteri producono una tossina simil-Shiga che danneggia endotelio ed epitelio. Oltre a dolore e diarrea alcuni pts possono sviluppare una sindrome emolitico-uremica.

Sindrome da sovraccrescita batterica (sindrome del piccolo intestino contaminato) Fondamentale per l’omeostasi batterica intestinale è la normale motilità che spinge i batteri a valle prima che possano aderire alla mucosa e proliferare; riduzione dell’acidità gastrica, i deficit immunologici e le alterazioni della motilità che causano stasi possono portare a un’anomala proliferazione di batteri nel tenue. La popolazione è mista. I sintomi sono diarrea cronica, dolore, malassorbimento e calo ponderale. Enterocoliti parassitarie Colpiscono oltre la metà della popolazione mondiale in forme croniche o ricorrenti. Il tenue può albergare fino a 20 specie di parassiti, inclusi nematodi, cestodi, trematodi e protozoi. NEMATODI Ascaris lumbricoides. Colpisce oltre un miliardo di soggetti al mondo. Le larve di Strongiloides vivono nel terreno contaminato da feci e invadono l’organismo attraverso la cute integra. Enterobius vermicularis non invade i tessuti dell’ospite, ma vive il suo intero ciclo nell’intestino dell’ospite. AMEBIASI Entamoeba histolytica è un protozoo che causa dissenteria e si diffonde per via feco-orale. Le cisti dell’ameba sono costituite da 4 nuclei circondati da una parete di chitina; sono resistenti ai succhi gastrici. Le cisti ingerite colonizzano la superficie delle cellule epiteliali mucose del colon; il metronidazolo è il farmaco più efficace e attacca la piruvato ossidoreduttasi, critico per la fermentazione del microrganismo. L’amebiasi colpisce il cieco e il colon ascendente seguiti da sigma, retto, appendice. Nei casi gravi è interessato l’intero colon. Le amebe possono sembrare macrofagi per le loro dimensioni e vacuoli; il nucleo è però più piccolo e ha un grande cariosoma; le amebe attraversano l’epitelio delle cripte e si annidano nella sottomucosa provocando una reazione granulocitaria neutrofila. Non sono in grado di superare la muscolare propria e diffondono pertanto lateralmente formando ulcere a fiasco con un collo stretto e una base larga con scarse cellule infiammatorie ed estesa necrosi colliquativa. La mucosa tra le ulcere è spesso normale. I parassiti

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possono penetrare nei vasi splenici e giungere al fegato creando ascessi talora numerosi che possono anche eccedere i 10 cm. L’ascesso epatico amebico è circondato da scarsa infiammazione e rivestito da fibrina. Questi ascessi sono talvolta pieni di materiale color cioccolato, inodore e pastoso (emorragico). GIARDIASI L’infezione da Giardia lamblia è la parassitosi più frequente nell’uomo. La giardia è un protozoo intestinale che si diffonde attraverso acqua e cibo contaminato da feci. L’infezione può essere subclinica o causare diarrea acuta/cronica, steatorrea o stipsi. Essendo le cisti resistenti al cloro, si può contrarre il parassita dalle acque di reti pubbliche non filtrate. Diversamente dall’ameba, i trofozoiti hanno 2 nuclei, sono flagellati, albergano nel duodeno, aderiscono alle cellule epiteliali intestinali senza invaderle e provocano così diarrea più che dissenteria. La giardia non secerne tossine ma produce una proteina di superficie simile ad alcune tossine di serpente che causano diarrea. L’immunità anticorpale è importante nella resistenza alla giardia (l’infezione è frequente in soggetti con agammaglobulinemia o deficit di IgA). Negli strisci di feci i trofozoiti appaiono piriformi e binucleati; le biopsie duodenali spesso pullulano di trofozoiti falciformi ancorati alla superficie delle cellule epiteliali del villo per mezzo del loro disco di attacco concavo. Non invade la mucosa. La morfologia del tenue può apparire normale. I villi sono spesso tozzi con lamina propria infiltrata da cellule infiammatorie e l’orletto a spazzola delle cellule assorbenti superficiali è irregolare. Talvolta si aggiunge ad una sostanziale atrofia dei villi, come accade nella fase atrofica del m celiaco. COLITI Informazioni ottenibili con biopsia: - tipo di colite - grado di attività - estensione e distribuzione topografica - complicanze displastiche e neoplastiche ALTRE FORME INFIAMMATORIE Colite collagena e linfocitaria 3-20 scariche di diarrea acquosa al giorno. Crampi addominali. Forte associazione con malattie autoimmuni. Malattia del colon con depositi di collagene immediatamente al di sotto della superficie epiteliale. La colite linfocitaria presenta un infiltrato intraepiteliale preminente di linfociti. M=F. Colite neutropenica (tiflite) Tiflite un tempo stava ad indicare gravi infiammazioni acute/croniche della regione cieco-appendicolare, probabilmente esito di appendiciti non trattate. Oggi si riferisce a distruzione infiammatoria acuta della mucosa del cieco in soggetti neutropenici che mette a repentaglio la vita. Ulcera solitaria del retto Patologia infiammatoria da disfunzione muscolare ano-rettale, in particolare la compromissione del rilasciamento dello sfintere ano-rettale, possono creare un angolo acuto della parte rettale anteriore; ne consegue abrasione della mucosa rettale con successiva formazione di un’ulcera ovoidale circondata da mucosa infiammata e spesso anche di uno pseudopolipo infiammatorio. Spesso associata a parziale prolasso mucoso rettale. Triade: rettorragia + perdite di muco anali + ulcere superficiali della parete anteriore del retto. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO Il malassorbimento è caratterizzato da insufficiente assorbimento di grassi, vitamine liposolubili e non, proteine, carboidrati, elettroliti, acqua. Il sintomi più comune è la diarrea cronica con steatorrea. alla base del malassorbimento vi è l’alterazione di almeno una delle seguenti funzioni digestive: - digestione endoluminale; - digestione terminale;

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- trasporto transepiteliale; le conseguenze possono essere a carico di molti organi: TGI (diarrea), apparato emopoietico (anemia sideropenica, megaloblastica), sistema muscoloscheletrico (osteopenia e tetania ipocalcemica), sistema endocrino (amenorrea, impotenza e sterilità, iperparatiroidismo secondario), cute (porpora, petecchie, edema, dermatiti, ipercheratosi), sistema nervoso (deficit vit. A e B12). La steatorrea si associa a meteorismo, calo ponderale, borborigmi e riduzione della massa muscolare. Le patologie che causano malassorbimento più frequentemente sono riportate nella seguente tabella; le principali sono m celiaco, insufficienza pancreatica e m di Crohn. DIFETTOSA DIGESTIONE ENDOLUMINALE

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DI GRASSI E PROTEINE

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SOLUBILIZZAZIONE DEL GRASSO PER DIFETTOSA SECREZIONE BILIARE

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insufficienza pancreatica (pancreatite, fibrosi cistica) s di Zollinger-Ellison con inattivazione enzimi pancreatici disfunzioni o resezioni ileali con ridotta captazione di sali biliari sospensione del flusso biliare per occlusioni o disfunzione epatica

PREASSORBIMENTO DELLE SOSTANZE NUTRITIVE O ALTERAZIONI DA CONTAMINAZIONE BATTERICA

ALTERAZIONI PRIMITIVE DELLE CELLULE MUCOSE

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DEFICIT DI DIGESTIONE TERMINALE

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deficit di disaccaridasi intolleranza al lattosio sovraccrescita batterica con lesioni dell’orletto a spazzola

DIFETTOSO TRASPORTO EPITELIALE

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abetalipoproteinemia malassorbimento primitivo degli acidi biliari

RIDOTTA SUPERFICIE DELL’INTESTINO TENUE

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ENTEROPATIA DA GLUTINE M DI CROHN

OSTRUZIONE LINFATICA

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LINFOMA TUBERCOLOSI O LINFOADENITE TUBERCOLARE

INFEZIONI

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ENTERITE ACUTA INFETTIVA PARASSITI SPRUE TROPICALE M DI WHIPPLE

CAUSE IATROGENE

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GASTRECTOMIA SUBTOTALE/TOTALE SINDROME DELL’INTESTINO CORTO (DA RESEZIONE ESTESA) RESEZIONE ILEALE DISTALE BYPASS ILEALE

Morbo Celiaco Definito anche sprue celiaca o enteropatia da glutine. È una malattia cronica con caratteristiche lesioni della mucosa del tenue e deficit di assorbimento che migliora eliminando dalla dieta la gliadina dei cereali. Colpisce soggetti di razza caucasica. È stata descritta oltre un secolo fa, ma solo negli anni ’40 è stato evidenziato il nesso patogenetico con il glutine.

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Il disturbo primario del morbo celiaco è l’intolleranza al glutine (componente alcolsolubile, gliadina). La malattia si manifesta con una reazione infiammatoria cronica mediata da linfociti T con una componente autoimmune risultante dalla perdita della tolleranza al glutine. La patogenesi è incentrata sulla relazione tra genetica predisponente, risposta immunitaria e fattori ambientali. La mucosa esposta al glutine accumula linfociti T CD8+ intraepiteliali e numerosi CD4+ nella lamina propria sensibilizzati alla gliadina. Il HLA-DQ2/DQ8 sono praticamente costanti. La gliadina viene deamidata dalla transglutaminasi e i peptidi gliadinici si legano agli HLA-DQ2/8; i linfociti T rispondono a molecole prodotte dalle cellule epiteliali in risposta al danno subito. Le cellule epiteliali secernono IL15 che attiva i linfociti T e aumenta il rischio di sviluppo di linfoma. La mucosa può apparire piatta, mammellonata o normale; le biopsie dimostrano un’enterite diffusa con atrofia dei villi; l’epitelio mostra degenerazione vacuolare, perdita dell’orletto a spazzola, e aumento dei linfociti intraepiteliali. La lamina propria mostra un aumento di plasmacellule, linfociti, macrofagi, eosinofili e mastociti. Queste alterazioni sono più marcate nel terzo prossimale dell’intestino tenue (il duodeno e il digiuno prossimale sono esposti a concentrazioni più elevate di glutine). L’istologia mostra ritorno alla normalità dopo un periodo variabile di dieta priva di glutine. Il quadro clinico comprende: diarrea, flatulenza, calo ponderale, affaticabilità. Manifestazioni extraintestinali: dermatite erpetiforme di Duhring; disturbi neurologici. Ab circolanti - anti gliadina - anti endomisio - anti transglutaminasi. Diagnosi: - documentazione clinica del malassorbimento; - dimostrazione bioptica delle caratteristiche lesioni dell’intestino tenue; - inequivocabile miglioramento istologico dopo deprivazione di glutine. La maggior parte dei pts che segue la dieta rimane indefinitamente in buona salute. Esiste un rischio a lungo termine di tumori maligni, inclusi i LNH (linfoma T enteropatico), l’adenocarcinoma del tenue e il carcinoma squamocellulare dell’esofago (50-100x).

Sprue tropicale (post – infettiva) Insorge quasi esclusivamente in persone che sono state ai tropici. Frequente nei Caraibi, nell’Africa centrale, nell’India, nel sudest asiatico e in parti dell’america centrale e meridionale. Le alterazioni sono variabili; a differenza della celiachia, le lesioni sono omogeneamente distribuite lungo tutto il tenue; i pts hanno deficit di folati e B12 (alterazioni megaloblastiche delle cellule epiteliali intestinali).

M di Whipple Rara patologia causata da Tropheryma whippelii. Si manifesta con danni all’intestino, alle articolazioni, al SNC. Descritta per la prima volta come lipodistrofia intestinale da George Whipple nel 1907. T. whippelii è un actinomicete gram+ che prolifera all’interno dei macrofagi. La caratteristica distintiva è un’obliterazione o infarcimento della lamina propria del tenue da parte di macrofagi rigonfi che contengono granuli PAS+ diastasi resistenti (che sono lisosomi infarciti di batteri). L’infarcimento macrofagico dei villi conferisce alla mucosa un aspetto irregolare; l’edema della mucosa ispessisce la parete; i linfonodi mesenterici sono coinvolti da questa proliferazione macrofagico, associata a dilatazione linfatica su base ostruttiva; il blocco dei linfatici è ritenuto responsabile della deposizione di lipidi nei villi intestinali (“lipodistrofia intestinale”). La m di Whipple si osserva in individui caucasici, nella 4-5^ decade, 10x nel sesso maschile, spesso in aree rurali. Generalmente la malattia inizia come artropatia; la risposta al trattamento antibiotico è in genere buona, ma in alcuni pazienti il decorso è protratto e refrattario.

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Deficit di disaccaridasi (lattasi) Le disaccaridasi sono localizzate sulla membrana apicale delle cellule assorbenti dei villi. Il deficit congenito di lattasi è molto raro, mentre quello acquisito è frequente specie nei pellerossa e negli afroamericani. In caso di deficit ereditario un malassorbimento si manifesta con l’inizio dell’alimentazione con il latte; i neonati hanno evacuazioni violente di feci acquose e schiumo associate a meteorismo. Nell’adulto si sviluppa come malattia acquisita a volte in associazione ad enterite batterica / virale. Non esistono alterazioni cellulari della mucosa né istologiche né ultrastrutturali.

Abetalipoproteinemia Incapacità di sintetizzare l’apolipoproteina B; autosomica recessiva. Comporta difetti di sintesi e rilascio delle lipoproteine dalle cellule intestinali. Ne consegue accumulo di trigliceridi all’interno degli enterociti che formano vacuoli lipidici evidenti al mo spt dopo colorazioni speciali per grassi. Nel plasma sono completamente assenti tutte le proteine contenenti l’apolipoproteina B: chilomicroni, VLDL e LDL. Impossibilità di assorbire alcuni acidi grassi essenziali, con anomalie delle membrane cellulari  acantocitosi eritrocitaria (burr cell). La malattia si manifesta in età infantile con diarrea, steatorrea, ritardo di crescita. MALATTIA INFIAMMATORIA INTESTINALE IDIOPATICA (IBD) Due entità: il m di Crohn e la rettocolite ulcerosa. La IBD è frequente nei paesi sviluppati. L’incidenza annuale è di 310/100000/anno. MC e RCU sono malattie infiammatorie croniche recidivanti a eziologia ignota; il MC può colpire dall’esofago all’ano, ma interessa generalmente l’ileo terminale e il colon. La RCU è limitata al colon e al retto. Entrambi causano manifestazioni extraintestinali. Nell’IBD compaiono due anomalie fondamentali: - una forte risposta immunitaria contro la normale flora batterica; - difetti nella funzione epiteliale di barriera. Anomala risposta immunitaria a organismi normalmente commensali in soggetti predisposti? Nel 15% dei pts c’è familiarità; degne di nota le associazioni con gli aplotipi HLA-DR1 / DQw5 (MC). Negli individui con RCU è più elevato l’HLA-DR2. Probabile un’alterazione dell’immunoregolazione dovuta a molteplici meccanismi. I batteri potrebbero esacerbare le reazioni immunitarie fornendo antigeni e inducendo costimolatori e citochine in grado di contribuire all’attivazione dei linfociti T. I difetti della barriera intestinale potrebbero permettere l’accesso al tessuto linfoide mucosale da parte della flora del lume intestinale, con conseguente innesco di una risposta immunitaria. 1- Linfociti T, in particolare CD4+, sembrano i principali indiziati nella patogenesi dell’MC e RCU e le lesioni osservate sono verosimilmente causate da tali cellule e dai loro prodotti; 2- MC sembra essere il risultato di un’ipersensibilità ritardata causata dai T linfociti h1 responsabili di IFN-gamma; la natura dell’infiltrato (granulomi) è compatibile con una risposta Th1; 3- I modelli animali sembrano indicare che nella RCU sia presente una risposta Th2 atipica (senza IL4). I p-ANCA sono positivi nel 75% dei pts con RCU e nell’11% di quelli con MC.  IBD, categorie diagnostiche:

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malattia infiammatoria cronica idiopatica NAS; rettocolite ulcerosa (compatibilità); m di Crohn (compatibilità); colite indeterminata.

Caratteristiche macroscopiche differenziali nelle IBD CARATTERISTICA DISTRIBUZIONE INTERESSAMENTO RETTALE ILEO TERMINALE SUPERFICIE MUCOSA ATROFIA MUCOSALE SIEROSA INTERESSAMENTO COLICO STENOSI FISTOLE PERFORAZIONI LIBERE PSEUDOPOLIPI LESIONI ORALI RISCHIO DI CANCRO INTERESSAMENTO ANALE

MALATTIA DI CROHN

segmentaria 40-50% ispessito, ulcerato, stenotico ulcere aftose, lineari, fessure acciottolato minima aderenze spt a destra, discontinuo frequenti enteroenteriche, enterocutanee rare + frequenti +/frequente

COLITE ULCEROSA

diffusa, continua con il retto > 90% backwash ileitis nel 10% dei casi granulare, emorragica, ulcere marcata di regola normale spt a sinistra, continuo rare rare in megacolon tossico +++ rare + < 25%

Caratteristiche macroscopiche differenziali nelle IBD CARATTERISTICA

MALATTIA DI CROHN

INFIAMMAZIONE

transmurale segmentaria scarsa marcato scarsi, focali conservate rara > 50%

IPEREMIA EDEMA CRIPTITE

/ ASCESSI CRIPTICI

MUCINE CITOPLASMATICHE METAPLASIA A CELL . PANETH GRANULOMI AGGREGATI LINFOIDI IPERPLASIA NEURALE FISSURAZIONI LESIONI ANALI

frequenti frequente

COLITE ULCEROSA

mucosa/sottomucosa diffusa prominente minimo frequenti, diffusi deplezione frequente assenti rari rara

frequenti granulomi

assenti infiammazione aspecifica

 Il rischio di cancro nelle IBD aumenta se la diagnosi è fatta in giovane età, se l’estensione della malattia è ampia, lunga durata di malattia.  Campionamento bioptico nelle IBD Sono raccomandate biopsie a intervalli di 10 cm per tutta la lunghezza dell’intestino; biopsia su ogni lesione sospetta (stenosi, rilevatezza). MORBO DI CROHN

Descritto da Ginsburg e Oppenheimer nel 1932 come ileite terminale; definito poi enterite regionale. I casi con prevalente interessamento colico hanno portato alla definizione di colite granulomatosa. Il MC pienamente sviluppato è caratterizzato da: 1- interessamento tipicamente transmurale di zone nettamente delimitate di intestino da parte di un processo infiammatorio con danno della mucosa; 2- presenza di granulomi non necrotizzanti; 3- fissurazioni con formazione di fistole. Il MC è diffuso in tutto il mondo. 3/100000/anno negli USA. Più elevata in UK e scandinavia. Può manifestarsi ad ogni età con picco in 2-3^ decade e in 6-7^ decade. Le femmine sono leggermente più colpite. Il fumo è un forte fattore di rischio.

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Nei segmenti colpiti la sierosa è granulare, grigiastra, opaca e spesso il grasso mesenterico aderisce alla superficie intestinale (grasso rampicante); il mesentere è ispessito, edematoso, talvolta fibrotico. La parete intestinale è gommosa e ispessita per l’edema, l’infiammazione, la fibrosi e l’ipertrofia della muscolare propria. Il lume è quasi sempre stenotico. Stenosi meno gravi si verificano anche nel colon. Demarcazione netta tra segmenti colpiti e indenni (lesioni a salto). Un segno caratteristico iniziale sono le ulcere focali della mucosa simili alle afte del cavo orale, l’edema e la perdita della normale trama mucosa. Con il progredire le ulcere confluiscono in ulcere lineari serpiginose orientate lungo l’asse intestinale. Tra queste residua mucosa risparmiata (aspetto ad acciottolato). Tra le pliche si formano strette fissurazioni. Si possono formare fistole con visceri aderenti, cute, recesso peritoneale. Si possono osservare perforazioni libere o ascessi localizzati. Le lesioni istologiche caratteristiche sono: - infiammazione della mucosa; infiltrazione focale di neutrofili epiteliali; con il progredire della malattia infiltrano cripte isolate; - danno cronico della mucosa; la mucosa può andare incontro a metaplasia con formazione di ghiandole di tipo gastrico antrale (metaplasia pilorica) o alla comparsa di cellule di Paneth nel colon distale (metaplasia a cellule di Paneth); - ulcerazione; esito usuale delle forme attive/gravi di IBD; - infiammazione transmurale; aggregati di tessuto linfoide sparsi in tutta la parete intestinale; - granulomi non necrotizzanti; in circa 50% casi si formano granulomi simil-sarcoidi in tutti gli strati del viscere, anche in zone in cui la malattia non è attiva; - altre alterazioni della parete; muscularis mucosae spesso appare duplicata, ispessita, irregolare; fibrosi della mucosa, sottomucosa, muscolare propria, con formazione di stenosi. La malattia inizia con attacchi lievi di diarrea intermittente, febbre, dolore addominale, intervallati a periodi asintomatici di settimane o mesi. Le perdite di sangue nelle feci possono causare anemia. Un’emorragia importante è rara. In 1/5 dei pts l’esordio è più netto con dolore acuto nel quadrante destro, febbre, diarrea che possono simulare una perforazione acuta o una appendicite acuta. Nel decorso possono insorgere complicanze da stenosi cicatriziale (occlusione) in particolare nell’ileo terminale e fistole che mettono in comunicazione il viscere colpito con altre anse intestinali, la vescica, la vagina, la cute perianale o un recesso peritoneale. L’esteso interessamento ileale può causare una massiccia perdita di albumina, malassorbimento generalizzato e specifico (B12), anemia megaloblastica, malassorbimento di sali biliari e steatorrea. Manifestazioni extraintestinali: poliartrite migrante, sacroileite, spondilite anchilosante, eritema nodoso, pioderma gangrenoso e ippocratismo digitale. Si può avere CSP ma non così spesso come nella RCU. Aumento di incidenza di carcinomi gastrointestinali (5-6x). Il rischio di cancro è comunque molto inferiore rispetto a quello presente nell’RCU cronica.

 Caratteristiche diagnostiche del morbo di Crohn -

assenza di eziologia nota frequente coinvolgimento di ileo distale / colon retto spesso risparmiato possibile interessamento di tutto il TGI distribuzione focale segmentaria infiammazione transmurale ulcerazioni fibrosi / stenosi fessure e fistole in 2/3 casi granulomi simil sarcoidi nel 50% casi

RETTOCOLITE ULCEROSA

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Patologia ulcerativa infiammatoria limitata al colon che, eccettuati casi più gravi interessa solo mucosa e sottomucosa. Si estende senza discontinuità a partire dal retto in senso prossimale; i granulomi sono assenti. È universalmente diffusa. Negli USA l’incidenza è 4-12/100000/anno, più frequente tra i bianchi e tra le donne. Il fumo sembra un fattore protettivo; esordio tra 20-25 anni, ma anche in tutte le altre età. La RCU è più frequente tra i non fumatori. Gli ex fumatori hanno un rischio maggiore rispetto a chi non ha mai fumato. La RCU interessa il retto e può estendersi in senso retrogrado; nei casi gravi coinvolge l’intero colon (pancolite). A differenza dell’MC è una patologia non discontinua che non dà luogo a lesioni a salto. Nel 10% può coesistere un interessamento dell’ileo distale (ileite da reflusso). L’ileite è comunque contenuta entro 25 cm dalla valvola ileo-ciecale. L’appendice può essere coinvolta sia nell’MC che nell’RCU. In forma conclamata  ampie e diffuse ulcerazioni della mucosa del colon. Isole protrudenti di mucosa rigenerante formano i cosiddetti pseudopolipi; spesso i margini di ulcere adiacenti si fondono creando gallerie ricoperte da sottili ponti di mucosa. In fase di remissione una progressiva atrofia della mucosa determina un appiattimento della superficie luminale e un assottigliamento della mucosa stessa. Nella RCU non c’è ispessimento della parete e la sua superficie sierosa è normale. Solo nei casi più gravi un danno tossico alla muscolare propria e ai plessi nervosi porta ad una perdita totale della funzione neuromuscolare  dilatazione gangrenosa del colon: megacolon tossico. Danno mucoso cronico e ulcerazioni. Neutrofili infiltrano l’epitelio e possono formare raccolte nel lume delle cripte (ascessi criptici); non si rilevano granulomi, anche se la rottura degli ascessi criptici può indurre una reazione da corpo estraneo della lamina propria. In un secondo tempo compaiono ulcerazioni che arrivano alla sottomucosa; il cratere si riempie di tessuto di granulazione e l’epitelio mucoso si rigenera. Rimangono fibrosi sottomucosa e atrofia della mucosa. Atipie nucleari possono essere presenti nella mucosa del colon. La displasia può essere di basso/alto grado; i pts di età avanzata rischiano inoltre di sviluppare adenomi sporadici. Malattia ricorrente con crisi di diarrea mucoematica che possono durare giorni, settimane, mesi e poi scomparire, recidivando dopo mesi o anni. Nella maggior parte dei casi i primi sintomi sono una diarrea ematica con filamenti di muco, dolore nei quadranti inferiori dell’addome e crampi risolti con la defecazione. Fattori che scatenano le recidive possono essere stress psicofisici o batteri endoluminali. La perforazione è potenzialmente letale. Prognosi dipende da: - gravità della malattia attiva; - durata della malattia attiva. Il 30% subisce una colectomia entro 3 anni dall’esordio. La complicanza più temibile è il carcinoma. Insorge da una displasia multifocale e può essere mascherato dalla malattia di base.

 Caratteristiche istologiche della RCU FASE ATTIVA

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congestione vascolare deplezione mucine cripte: ascessi criptici erosioni, ulcere neutrofili plasmocitosi basale

FASE DI RISOLUZIONE

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riduzione congestione

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riduzione infiltrato riduzione ascessi plasmocitosi basale rigenerazione basale aumento mucine

FASE DI REMISSIONE

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atrofia ramificazione cripte accorciamento cripte

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trasformazione villosa metaplasia (pilorica, a cell di Paneth) iperplasia linfatica lieve aumento cell mononucleate polipi filiformi iperplasia cellule endocrine

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 Caratteristiche diagnostiche della RCU -

assenza di eziologia nota retto sempre interessato (>90%) malattia limitata al colon – retto possibile interessamento appendice non lesioni altre sedi TGI (eccetto backwash ileitis) pattern diffuso (non lesioni a salto) lesione di mucosa e sottomucosa interessamento tonache profonde in megacolon no fistole assenza di granulomi epitelioidi MALATTIA INTESTINALE ISCHEMICA

L’occlusione acuta di una delle tre arterie più importanti (celiaca, mesenterica superiore/inferiore) può provocare l’infarto di alcuni metri di intestino. Se l’occlusione è lenta e progressiva possono esserci solo lievi conseguenze, grazie alle abbondanti connessioni anastomotiche; la gravità è variabile da: 1. infarti transmurali; 2. infarti intramurali (mucosa e sottomucosa); 3. infarti mucosi (contenuti al di sopra della muscularis mucosae). Le condizioni predisponenti all’ischemia sono: - trombosi arteriosa: grave aterosclerosi, vasculite sistemica, aneurisma dissecante, procedure angiografiche, chirurgia dell’aorta, ipercoagulabilità; - embolia arteriosa: vegetazioni cardiache, procedure angiografiche, emboli ateromasici di origine aortica; - trombosi venosa: stati di ipercoagulabilità, cirrosi, tumori invasivi, traumi addominali; - ischemia non occlusiva: insufficienza cardiaca, shock, farmaci vasocostrittori. - Radiazioni, volvoli, stenosi, amiloidosi, diabete mellito, ernie. L’occlusione embolica coinvolge in genere i rami dell’arteria mesenterica superiore. Due fasi di danno ischemico: - danno iniziale ipossico; - danno secondario da riperfusione. Infarti transmurali L’infarto del tenue interessa un notevole segmento del viscere. La flessura splenica del colon è una zona critica per le ischemie perché al confine tra il territorio di irrorazione dell’art. mesenterica superiore e inferiore. L’infarto appare emorragico (il sangue riperfonde la zona lesionata). Nelle prime fasi l’intestino è molto congesto, brunastro, con foci di ecchimosi nella sottosierosa e nella sottomucosa. La parete diventa edematosa, ispessita, gommosa ed emorragica. Nel lume è in genere presente muco sanguinolento o sangue. Nelle occlusioni arteriose la demarcazione è netta, mentre in quelle venose l’area di cianosi sfuma gradualmente nell’adiacente intestino normale. Infarti mucosi e intramurali Possono interessare qualunque livello. Le zone colpite appaiono rosso scuro o porpora, per l’accumulo endoluminale di materiale emorragico; sulla sierosa non ci sono emorragia né essudato infiammatorio. All’apertura dell’intestino la mucosa è ispessita per l’edema e l’emorragia, fenomeni che si possono estendere anche alla sottomucosa e alla muscolare propria. L’infiammazione è assente e vi può essere solo una lieve vasodilatazione. Se la necrosi mucosa è completa, lo sfaldamento epiteliale mette a nudo la lamina propria. Lungo i margini delle zone colpite è evidente infiammazione secondaria. Ischemia cronica

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Si possono sviluppare infiammazione mucosa e ulcerazioni che simulano l’aspetto delle enterocoliti non vascolari acute e delle IBD. L’infiammazione cronica della sottomucosa può formare stenosi. Le stenosi del colon sono frequenti nella flessura splenica. L’infarto intestinale è raro, ma molto grave, con un tasso di mortalità del 50-75%, dovuto a rapida perforazione. Dolore addominale improvviso e marcato. Talvolta nausea, diarrea ematica / melena. In poche ore può verificarsi un collasso cardiocircolatorio. I rumori peristaltici diminuiscono o scompaiono e si ha rigidità spastica della muscolatura addominale. Se non occlusiva, l’ischemia può determinare solo disturbi aspecifici, diarrea ematica intermittente. Le vasculiti che colpiscono l’intestino maggiormente sono la PAN, la s di Schoenlein-Henoch e la granulomatosi di Wegener. L’amiloidosi spesso coinvolge i vasi mesenterici. ANGIODISPLASIA Patologia non neoplastica caratterizzata da dilatazioni vascolari malformative; sono presenti dilatazioni tortuose dei vasi sanguigni della mucosa e della sottomucosa, in particolare nel cieco e nel colon destro. Sono più frequenti dopo la sesta decade. Questo tipo di lesioni è responsabile del 20% delle emorragie significative del basso intestino; possono essere perdite croniche/intermittenti o acute e importanti. La parete di queste strutture vascolari è spesso sottile e poco resistente, fatto che spiega la loro propensione al sanguinamento. Probabilmente la patogenesi è connessa con i meccanismi peristaltici che portano ad occlusione delle vene che vanno dalla sottomucosa alla tonaca muscolare e quindi a dilatazione dei vasi sovrastanti. La tensione parietale è maggiore nel cieco, a causa del suo elevato diametro (legge di Laplace) e quindi questo segmento è più coinvolto. EMORROIDI Le emorroidi sono dilatazioni varicose dei plessi venosi anale e perianale; lesioni comuni che colpiscono il 5% della popolazione generale e si sviluppano probabilmente in seguito ad ipertensione venosa dei plessi interessati, fenomeno che può essere primitivamente connesso agli aumenti pressori endoluminali (stipsi), con difficoltoso drenaggio venoso per blocchi meccanici (gravidanza) o ad ipertensione portale (in questo modo i plessi emorroidari forniscono uno shunt portosistemico). Le emorroidi esterne sono varicosità venose situate al di sotto della linea anorettale; quelle del plesso emorroidario superiore sono invece dette emorroidi interne; trattasi di varici sottomucose a parete sottile che protrudono sollevando la mucosa anale – rettale. Nelle parti esterne tende a svilupparsi una trombosi che con il tempo va incontro a ricanalizzazione. Possono comparire ulcerazioni, ragadi e infarto da strozzamento. MALATTIA DIVERTICOLARE Un diverticolo è un’invaginazione che si estroflette dal tratto gastrointestinale, ricoperta da mucosa e comunicante con il lume del viscere. I diverticoli congeniti, il cui prototipo è rappresentato dal diverticolo di Meckel, sono costituiti da tutti gli strati della parete (diverticoli veri), mentre i diverticoli acquisiti (pseudodiverticoli) hanno una tonaca muscolare sottile o assente. La sede più frequente è di gran lunga il colon sinistro, con una predilezione per il sigma. I rari diverticoli multipli della parete del digiuno o dell’ileo si verificano in seguito ad anomalie della parete muscolare o dei plessi nervosi enterici. Il termine malattia diverticolare si riferisce a estroflessioni sacciformi acquisite costituite da mucosa e sottomucosa a localizzazione colica; i diverticoli colici sono rari nelle persone con meno di 30 anni, ma oltre i 60 anni la loro prevalenza nei paesi occidentali può arrivare al 50%. Di solito sono multipli e la condizione è definita diverticolosi. Qualora la loro presenza si accompagni ad infiammazione, si parla di diverticolite. La maggior parte dei diverticoli del colon è costituita da piccole estroflessioni sacciformi di 0,5-1 cm e localizzate nel sigma. Tendono ad insorgere lungo le tenie coliche e sono elastici, compressibili e facilmente svuotabili del loro contenuto fecale. La loro parete è sottile, composta da una mucosa atrofica, una

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sottomucosa compressa e una muscolare pressoché assente. La loro obliterazione o perforazione determina una flogosi e possibile fistolizzazione nel grasso pericolico adiacente. Con il tempo, flogosi ripetute possono determinare una importante fibrosi con stenosi del lume e una sintomatologia simile a quella di un carcinoma del colon. La patogenesi è probabilmente connessa ad un’alterazione dell’equilibrio tra pressione endoluminale e spessore della parete; da un lato sono necessarie aree di debolezza della parete sulle quali può agire, dall’altro un aumento della pressione endoluminale. La motilità del colon è caratterizzata da contrazioni propulsive e non propulsive; queste ultime attività segmentanti formano concamerazioni ad elevato spessore endoluminale. Nella maggior parte dei soggetti questi eventi avvengono senza sintomi per tutta la vita. Nel 20% dei casi compaiono crampi o dolore sordo all’addome inferiore, stipsi, distensione addominale e sensazione di evacuazione insufficiente. Occasionalmente si producono piccole perdite ematiche. È ancora dibattuto il ruolo delle diete ricche di fibre nella prevenzione della malattia diverticolare; nel soggetto sintomatico possono da un lato ridurre la sintomatologia, dall’altro peggiorare la malattia. OCCLUSIONE INTESTINALE Una occlusione è possibile ad ogni livello del TGI, ma la sede più frequente è il tenue, dato anche il suo diametro inferiore. Quattro patologie sono alla base dell’80% delle occlusioni: ernie, aderenze, intussuscezioni, volvoli; infarti e tumori causano solo il 10% delle occlusioni. L’occlusione intestinale si manifesta come addome acuto, con dolore addominale, rigidità della parete, distensione addominale, chiusura dell’alvo a feci e gas, livelli idroaerei alla radiografia.

 Principali cause di occlusione intestinale CAUSE MECCANICHE

          

ADERENZE

  

ILEO PARALITICO

ERNIE VOLVOLO INTUSSUSCEZIONE TUMORI STENOSI INFIAMMATORIE CALCOLI BILIARI, COPROLITI, CORPI ESTRANEI STENOSI CONGENITE; ATRESIA BRIGLIE CONGENITE MECONIO DENSO IN MUCOVISCIDOSI ANO IMPERFORATO

PSEUDO-OCCLUSIONI CAUSE VASCOLARI: INFARTO INTESTINALE MIOPATIE E NEUROPATIE (HIRSCHPRUNG)

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1- ERNIE Per ernia si intende la protrusione di un viscere ricoperto da un sacco erniario, attraverso un orifizio anatomicamente preformato (porta erniaria) in uno spazio che non è di sua pertinenza. Una protrusione di visceri addominali attraverso orifizi non naturali (suture, cicatrici, ferite) è detto invece laparocele. Più frequentemente il viscere erniato è un’ansa intestinale del tenue, anche se è possibile un’erniazione di qualunque viscere, colon e omento. La stasi e l’edema determinano un aumento del volume dell’ansa erniata che può venire ad essere incarcerata. L’ernia può essere inizialmente riducibile con manovre manuali di riposizionamento entro l’originaria cavità di pertinenza (generalmente addome) e divenire in seguito irriducibile manualmente; le complicanze di un’ernia possono avere un’insorgenza acuta o cronica e sono: 1. incarceramento (irriducibilità, spesso con formazione di aderenze); 2. strozzamento (ischemia da compressione vascolare; porta a necrosi); 3. perforazione. 2- ADERENZE Qualunque ne sia la causa scatenante (intervento chirurgico, infezioni, irritazione chimica), una peritonite può dar luogo allo sviluppo di ponti fibrosi (aderenze) tra il viscere coinvolto e la parete o altri segmenti di viscere. Talvolta queste aderenze formano anse chiuse in cui possono rimanere intrappolati altri segmenti intestinali (ernia interna). Le conseguenze di questo evento sono sovrapponibili a quelle delle ernie esterne. 3- INTUSSUSCEZIONE Questa evenienza si verifica quando un segmento intestinale, spinto da un’onda peristaltica scivola a telescopio entro un segmento immediatamente a valle; il segmento invaginato viene quindi sospinto sempre più nel segmento distale dalla peristalsi, trascinando con sé il proprio mesentere. Alcuni casi sono associati a rotavirus. Negli adulti la maggior parte dei casi è dovuta a tumori o altre masse intraluminali. 4- VOLVOLO La torsione completa di un segmento intestinale sul proprio asse ortogonale mesenterico provoca occlusione intestinale e infarto. Questo evento si verifica principalmente nel sigma, cieco, tenue, stomaco e, raramente, colon trasverso. TUMORI DELL’INTESTINO TENUE È una rara sede di neoplasie primitive, nonostante la ricchezza di cellule proliferanti e la sua lunghezza; rappresenta il 75% della lunghezza del TGI. Sono comunque più frequenti i tumori benigni. Tra i tumori maligni vi sono adenocarcinomi, carcinoidi, linfomi, sarcomi.

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Adenomi La maggior parte degli adenomi insorge nella zona dell’ampolla di Vater; più frequenti tra 30-60 anni; provocano comparsa di sangue occulto nelle feci e più raramente occlusione. L’ampolla è ingrandita e vellutata. Spesso il tumore si estende oltre l’ampolla e l’exeresi che vuole essere radicale richiede una duodenocefalopancreatectomia. Adenocarinoma Sono più frequenti nel duodeno, tra 40-70 anni. Hanno un aspetto anulare o polipoide esofitico; possono provocare un ittero ostruttivo specie se coinvolgono l’ampolla di Vater. Esordiscono generalmente con addome acuto da occlusione intestinale, crampi, nausea, vomito e calo ponderale. Un fattore di rischio importante è il morbo di Crohn, così come il morbo celiaco, la FAP, l’HNPCC, la sindrome di Peutz-Jeghers. TUMORI DEL COLON – RETTO La grande varietà di lesioni non tumorali e tumorali benigne del colon viene raggruppata sotto il termine collettivo di polipi. Un polipo è una massa che protrude nel lume dell’intestino; generalmente insorgono tutti come lesioni sessili; alcuni poi subiscono trazioni tali da portare alla formazione di un peduncolo (polipi peduncolati). Alcuni polipi derivati da lesioni maturative o dovuti ad iperplasia da reazione ad una flogosi (polipi iperplastici) sono non neoplastici. I polipi che derivano da una proliferazione displastica epiteliale sono definiti polipi adenomatosi o adenomi; questi rappresentano vere lesioni neoplastiche e sono precursori dei carcinomi.

POLIPI NON NEOPLASTICI

Possono essere infiammatori, iperplastici, amartomatosi e linfoidi. Il 90% dei polipi del grosso intestino è iperplastico. Sono presenti il oltre la metà dei soggetti con più di 60 anni e vengono per lo più scoperti casualmente. I polipi infiammatori sono isole di mucosa infiammata rigenerante circondate da ulcerazioni che si riscontrano generalmente in pts con gravi lesioni IBD attive. POLIPI IPERPLASTICI

Sono piccoli polipi epiteliali con diametro inferiore a 5 mm che appaiono come rilievi emisferici e lisci della mucosa. Sono il più delle volte multipli, localizzati nel sigma e nel retto. Sono composti da ghiandole e cripte ben sviluppate, con evidente differenziazione caliciforme o assorbente. L’epitelio desquama lentamente e la superficie si invagina per il sovraffollamento. Il tipico piccolo polipo iperplastico è considerato praticamente privo di potenziale maligno. POLIPI AMARTOMATOSI

Focali malformazioni dell’epitelio e della lamina propria. Insorgono in bambini di età inferiore a 5 anni come lesioni sporadiche. Lesioni isolate negli adulti sono definite polipi da ritenzione. L’80% di questi polipi è nel retto. I polipi giovanili sono spesso grandi (2-3 cm), tondi, lisci, con peduncoli lunghi fino a 2 cm. I polipi da ritenzione sono in genere più piccoli. Contengono numerose ghiandole dilatate a formare cisti; la superficie è infiammata, spesso congesta o ulcerata. Non hanno potenziale maligno, se non nella rara sindrome detta poliposi giovanile, autosomica dominante. POLIPI DI PEUTZ-JEGHERS

Sono polipi amartomatosi che interessano l’epitelio mucoso, la lamina propria e la muscularis mucosae. Possono insorgere numerose nella sindrome di Peutz-Jeghers: questa rara sindrome a trasmissione autosomico-dominante è caratterizzata da numerosi polipi amartomatosi nel TGI, pigmentazione melanica mucocutanea attorno alle labbra, sulla mucosa orale, sul volto, sui genitali e sulle superfici palmari. L’intussuscezione è una complicanza frequente che può anche causare la morte.

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Pur non avendo un intrinseco potenziale maligno, i pts hanno un rischio aumentato di sviluppare carcinomi pancreatici, mammari, polmonari, ovarici, uterini. L’anomalia genetica è una mutazione del gene STK11 (LKB1) localizzato sul cromosoma 19 che codifica per una serina – treonina chinasi. SINDROME DI COWDEN

Autosomica dominante. Caratterizzata da numerosi amartomi presenti in organi derivati da tutti e tre i foglietti embrionali. Le localizzazioni più frequenti sono intestinali e mucocutanee. Le lesioni non hanno potenziale maligno intrinseco, ma la sindrome predispone ad un aumentato rischio di carcinoma tiroideo e mammario. Causata da una mutazione germ-line del gene PTEN, sul cromosoma 10. SINDROME DI CRONKHITE-CANADA

Patologia non ereditaria caratterizzata dalla presenza di polipi amartomatosi gastrointestinali e anomalie ectodermiche (atrofia ungueale, iperpigmentazione cutanea, alopecia). Eziologia sconosciuta.

ADENOMI

Gli adenomi (polipi adenomatosi) sono neoplasie intraepiteliali che si manifestano come piccole lesioni peduncolate o lesioni più grandi, generalmente sessili. Mostrano una certa familiarità. Sono suddivisi in tre sottotipi sulla base dell’architettura epiteliale:

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-

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adenomi tubulari; l’epitelio contiene ghiandole tubulari; architettura tubulare eccede il 75%; sono i più frequenti; spt nel colon (meno frequenti nei pressi dell’ampolla di Vater; raramente eccedono i 2,5 cm; il peduncolo è composto da tessuto fibromuscolare e ricoperto da mucosa non neoplastica normale. Gli adenomi sono costituiti da ghiandole rivestite di epitelio neoplastico con cellule cilindriche con nuclei ipercromatici. In quelli più benigni è presente una separazione ordinata tra le ghiandole (lamina propria), mentre quelli più maligni contengono zone di displasia di grado elevato (carcinoma intramucoso). adenomi villosi; l’epitelio contiene estroflessioni villose; architettura villosa eccede il 50%; sono i più grandi e pericolosi polipi epiteliali; tendono a colpire soggetti più anziani e a localizzarsi nel sigma o nel retto. Sono sessili, grandi fino a 10 cm, aspetto vellutato o a cavolfiore. È un’estroflessione arborescente e villosa della mucosa ricoperta da un epitelio cilindrico displastico. adenomi tubulovillosi; un misto delle due forme precedenti. Il rischio di sviluppo di un carcinoma invasivo è proporzionale alla quota villosa presente.

Tutte le lesioni adenomatose sono il risultato di una displasia proliferativa epiteliale che può essere di basso grado o di alto grado (carcinoma in situ). Si stima che un adenoma impieghi circa 10 anni per raddoppiare di dimensioni. Gli adenomi tubulari sono in genere più piccoli e peduncolati, mentre quelli villosi tendono ad essere grandi e sessili. Il rischio di un adenoma di contenere foci di trasformazione maligna è connesso a tre criteri principali: 1. 2. 3.

DIMENSIONI DEL POLIPO; ARCHITETTURA ISTOLOGICA; GRADO DI DISPLASIA EPITELIALE.

Il carcinoma è raro negli adenomi tubulari inferiori a 1 cm di diametro. Il rischio di cancro è elevato negli adenomi villosi sessili di diametro > 4 cm; la displasia grave, quando presente, si riscontra spesso nelle zone villose. Queste considerazioni possono però essere fuorvianti, in quanto non assolute. È inoltre opportuno ricordare che non tutti gli adenomi appaiono macroscopicamente come polipi: alcuni, definiti “adenomi piatti” possono essere identificati solo istologicamente.

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La RIMOZIONE ENDOSCOPICA di un adenoma peduncolato può essere considerata una terapia adeguata quando siano presenti tre condizioni istologiche: 1- L’ADENOCARCINOMA È SUPERFICIALE E NON RAGGIUNGE IL MARGINA DI RESEZIONE ALLA BASE DEL PEDUNCOLO; 2- NON VI È INVASIONE DEI VASI LINFATICI E/O EMATICI; 3- LA NEOPLASIA NON È SCARSAMENTE DIFFERENZIATA. In ogni caso, il solo trattamento adeguato per un adenoma è la completa escissione. POLIPOSI ADENOMATOSA FAMILIARE (FAP)

La FAP è l’archetipo delle sindromi poliposiche adenomatose; è provocata da mutazioni del gene APC (adenomatous polyposis coli) localizzato in 5q21. La stessa mutazione può provocare differenti manifestazioni cliniche; a seconda della presentazione si distinguono: -

FAP classica; FAP attenuata; Sindrome di Gardner; Sindrome di Turcot;

Nella FAP classica i pazienti tipicamente sviluppano da 500 a 2500 adenomi del colon che tappezzano la superficie mucosa. Per la diagnosi di FAP classica è necessaria la presenza di almeno 100 polipi. La maggior parte dei polipi sono istologicamente adenomi tubulari. Nella FAP attenuata i pazienti hanno meno polipi (in media 30) per la maggior parte collocati nel colon prossimale; il rischio di carcinoma è del 50%. I pazienti con sindrome di Gardner mostrano una poliposi identica alla FAP classica, combinata con osteomi numerosi (mandibolari, cranici, delle ossa lunghe), cisti epidermiche e fibromatosi; meno frequenti le anomalie della dentatura, carcinomi tiroidei e duodenali. La sindrome di Turcot è caratterizzata dall’associazione di poliposi adenomatosa del colon e tumori del sistema nervoso centrale. I pazienti sviluppano medulloblastomi cerebrali (se è mutato il gene APC) o glioblastomi (mutazione geni associati alla HNPCC. SINDROME NON POLIPOSICA DEL CARCINOMA COLORETTALE EREDITARIO (HNPCC)

Cfr. via carcinogenetica dell’instabilità microsatellitare. Sindrome ereditaria autosomica dominante, descritta da Henry Lynch. Caratterizzata da un rischio elevato di sviluppare carcinomi colorettali ed extraintestinali, specie dell’endometrio. Gli adenomi sono presenti precocemente in numero non elevato. La caratteristica patogenetica è una mutazione a carico dei geni connessi con la stabilità dei microsatelliti. La malattia è connessa con alterazione dei geni di riparazione del mismatch del DNA. Gli adenomi si formano con una frequenza pari a quella della popolazione generale, ma acquisiscono mutazioni ad una velocità molto maggiore.

Carcinogenesi colorettale Attualmente si ritiene che esistano due vie di sviluppo del carcinoma colico patogeneticamente distinte dovute ad un accumulo di mutazioni multiple. VIA DELL ’APC/BETA-CATENINA

Si verifica attraverso una serie di fasi molecolari che hanno un corrispettivo morfologico identificabile. Vi è inizialmente una proliferazione localizzata dell’epitelio colico, seguita dalla formazione di piccoli adenomi che si ingrandiscono progressivamente, con displasia sempre più marcata dell’epitelio ed infine, carcinoma. Si parla di sequenza adenoma – carcinoma. La sequenza è la seguente (sempre ricordando che è sufficiente l’accumulo di queste mutazioni e l’ordine della sequenza di eventi non è irrinunciabile):

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1. perdita del gene APC; gene localizzato in 5q21; concetto di primo colpo postulato da Knudson nel

2. 3. 4. 5.

1970; la perdita di questo gene è ritenuta il primo passo nella formazione degli adenomi. Il prodotto del gene agisce regolando i livelli di beta-catenina; in caso di mutazioni dell’APC, la beta-catenina si accumula nel citoplasma ed è traslocata nel nucleo legandosi ad una famiglia di fattori proteici di trascrizione chiamata T-cell factor o Lymphoid enhancer Factor. I complessi catenina-TCF attivano numerosi geni, tra cui C-MYC e la CICLINA D1, che controllano il ciclo cellulare. Pertanto, l’assenza del gene APC porta a deficit dell’adesione cellulare e eccessiva attività proliferativa. Mutazioni dell’APC sono presenti nell’80% dei carcinomi sporadici. mutazione del K-RAS; K-RAS è l’oncogene più frequentemente attivato negli adenomi e nei carcinomi del colon. perdita delle SMAD; le SMAD 2 e 4 sono coinvolte nella via di segnalazione del TGF e la perdita di SMAD4 ha un effetto oncogeno gastrointestinale. perdita della p53; perdite di 17q sono rare negli adenomi, ma presenti nel 70-80% dei carcinomi del colon. attivazione della telomerasi; la maggior parte degli adenomi non mostra attività telomerasica, diversamente da quanto accade nella maggior parte dei carcinomi. La telomerasi è un complesso enzimatico ribonucleoproteico che ha il suo substrato nella trascrittasi inversa dei telomeri; è importante per il mantenimento dell’immortalità cellulare.

VIA DELL ’INSTABILITÀ DEI MICROSATELLITI

La seconda via è caratterizzata da lesioni genetiche nei geni riparatori degli errori di allineamento (mismatch) del DNA. È implicata nel 10-15% dei carcinomi colorettali sporadici e nella HNPCC. Si verifica anche in questa via un accumulo di mutazioni, ma i geni sono diversi e, soprattutto, non esiste un corrispettivo istologico che definisca lo stadio molecolare della progressione. Mutazioni germ-line in uno qualunque dei 5 geni responsabili della stabilità dei microsatelliti sono responsabili della sindrome HNPCC. I geni sono hMSH2, hMLH1, MSH6, hPMS1, hPMS2. I pazienti con HNPCC ereditano un allele mutato di uno di questi geni e acquisiscono una LOH che coinvolge l’allele funzionante (questo per motivi sconosciuti). Le mutazioni che coinvolgono i microsatelliti divengono così fino a 1000 volte più frequenti; alcune sequenze si trovano in regioni codificanti o regolatorie per i geni che controllano la crescita cellulare. I carcinomi derivanti da questa via tendono ad essere localizzati nel colon prossimale e ad avere un aspetto istologico mucinoso e un’abbondante infiltrazione linfocitaria.

CARCINOMA DEL COLON

– RETTO

Adenocarcinomi per il 98%. Picco di incidenze tra 60-79 anni. Meno del 20% si verifica prima dei 50 anni. Lieve prevalenza maschile (1,2:1). Fattori soprattutto dietetici sono chiamati in causa. L’obesità e l’inattività fisica sono chiamati in causa. - eccesso di calorie alimentari introdotte; - basso contenuto di fibre vegetali non assorbibili; - alto contenuto di carboidrati raffinati; - assunzione carni rosse; - ridotta assunzione micronutrienti protettivi. Poche fibre  massa fecale ridotta  aumento del tempo di transito fecale, alterazione flora intestinale  aumento di prodotti tossici nelle feci  prolungato contatto con la mucosa colica; il colesterolo aumenta la sintesi di acidi biliari che a loro volta possono essere convertiti in sostanze potenzialmente cancerogene dai batteri intestinali. Le diete ricche di prodotti raffinati contengono inoltre meno vitamine A, C, E. L’uso dell’aspirina e di altri FANS sembra avere un effetto protettivo; il meccanismo si basa probabilmente sull’inibizione della COX2 che è iperespresso nell’epitelio neoplastico e sembra regolare l’angiogenesi.

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La distribuzione è la seguente: cieco e ascendente 22%, colon trasverso 11%, discendente 6%, retto – sigma 55%, altri siti 6%. Il 99% è singolo. Nella maggior parte dei casi sono sporadici. Iniziano come lesioni in situ ed evolvono con modalità morfologiche diverse. I tumori del colon prossimale si accrescono come masse polipoidi esofitiche; l’occlusione è rara per l’ampio lume; i carcinomi del colon distale hanno più frequentemente una forma anulare stenosante (aspetto radiologico a torsolo di mela); la lesione è dura, a margini rilevati e policiclici, centralmente ulcerata. Con il tempo entrambe le forme infiltrano la parete e coinvolgono la sottosierosa e la sierosa, che assumono un aspetto increspato. La caratteristiche microscopiche sono simili nei due casi; si va da cellule cilindriche simili a quelle adenomatose a masse anaplastiche indifferenziate. L’invasione muscolare evoca una risposta desmoplastica stromale importante. Molti tumori producono mucina che viene secreta nell’interstizio e disseca la parete, favorendo la diffusione della neoplasia e peggiora la prognosi. Nel 10% foci di differenziazione endocrina; in altri casi aspetto ad anello con castone; una terza varietà è il carcinoma indifferenziato a piccole cellule, che produce sostanze bioattive. Alcuni tumori del colon distale contengono foci di differenziazione squamosa (carcinomi adenosquamosi). I tumori associati ad HNPCC sono scarsamente differenziati e ricchi di mucina. Il CCR è asintomatico per anni. I sintomi sono insidiosi; quelli del cieco e del colon destro si manifestano con astenia, debolezza ed anemia sideropenica; sono voluminose lesioni facilmente sanguinanti e non stenosanti; le neoplasie che originano nella porzione sinistra causano la presenza di sangue occulto, alterazioni dell’alvo e crampi nel quadrante inferiore sinistro dell’addome. Ogni anemia sideropenica in un soggetto di sesso maschile e di età avanzata deve essere considerata fino a prova contraria segno della presenza di uno stillicidio gastrointestinale da neoplasia. Astenia, malessere e calo ponderale hanno un significato prognostico negativo. Nel 25% dei pazienti la malattia è diffusa e la chirurgia non può essere risolutiva. I carcinomi della regione anale (squamosi) sono localmente invasivi e metastatizzano ai linfonodi e a distanza. Il fattore prognostico più importante è costituito dallo stadio. Un sistema molto utilizzato in passato era quello di Astler – Coller del 1954, una modifica della classificazione di Dukes. Attualmente si utilizza il TNM dell’AJCC.

 Classificazione in stadi del carcinoma del colon – retto (Dukes, mod. da Astler e Coller, 1954) STADIO

DEFINIZIONE

A B1 B2 C1 linfonodali C2 D

il il il il

carcinoma è limitato alla mucosa carcinoma raggiunge la tonaca muscolare ma non la supera carcinoma infiltra e supera la tonaca muscolare carcinoma raggiunge la tonaca muscolare, ma non la supera; presenti metastasi

il carcinoma supera la tonaca muscolare e sono presenti metastasi linfonodali il carcinoma invade organi vicini o vi è disseminazione neoplastica o metastasi a distanza

 Classificazione TNM del carcinoma del colon – retto Tis T1 T2 T3 T4

carcinoma in situ (displasia di alto grado o carcinoma intramucoso) invade la sottomucosa invade la tonaca muscolare propria ma non la supera sconfina oltre la muscolare propria invadendo la sottosierosa tumore che infiltra la sierosa viscerale o invade altri organi/strutture

Nx N0

linfonodi regionali non valutabili linfonodi regionali liberi da metastasi

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N1 N2

metastasi in 1-3 linfonodi regionali metastasi in 4 o più linfonodi regionali

M0 M1

no metastasi a distanza metastasi a distanza

 Fattori prognostici del carcinoma colon – retto -

STADIO COINVOLGIMENTO DEL MARGINE CIRCONFERENZIALE NUMERO DI LINFONODI CAMPIONATI

>6

MICROMETASTASI INVASIONE VENOSA RISPOSTA ALLA CHEMIOTERAPIA

TUMORI CARCINOIDI

Il termine carcinoide fu usato la prima volta da Oberndorfer nel 1907, intendendo una lesione simile ad un carcinoma ma con un decorso clinico più blando. Derivano dalle cellule endocrine presenti nell’organo di insorgenza (polmone, TGI, pancreas). Le cellule endocrine della mucosa producono ormoni con un ruolo importante nella fisiologia intestinale. La grande maggioranza dei carcinoidi insorge nell’intestino. Compaiono a qualunque età con picco di incidenza nella VI decade. La classificazione dei carcinoidi è controversa. Il carcinoide rappresenta probabilmente l’estremo ben differenziato delle neoplasie neuroendocrine; all’estremo opposto troviamo il carcinoma a piccole cellule. I tumori carcinoidi possono essere limitati alla mucosa/sottomucosa o avere un comportamento maligno con metastasi linfonodali ed epatiche. La tendenza alla malignità è correlata alla sede di origine, all’invasione locale, alla necrosi, all’attività mitotica. Il carcinoide dell’appendice e del retto raramente metastatizzano. Al contrario il 90% di quelli dell’ileo, dello stomaco, del colon che abbiano infiltrato la muscolare propria ha già invaso il fegato. L’appendice è la sede più comune dei carcinoidi gastrointestinale, seguita dal tenue, retto, stomaco, colon. Nell’appendice i carcinoidi causano tumori dell’apice obliteranti il lume. La mucosa può essere integra o ulcerata, mentre sul versante opposto può infiltrare la parete fino ad invadere il mesentere. Le metastasi viscerali, se presenti, sono piccoli noduli sparsi. Il carcinoide del retto e dell’appendice non metastatizzano quasi mai. Le cellule neoplastiche possono formare isole, trabecole, ghiandole o disporsi diffusamente a tappeto; sono cellule monomorfe con poco citoplasma eosinofilo granulare e nucleo tondo/ovoidale con fini granuli di cromatina. Raramente si osserva una morfologia che ricorda i microcitomi polmonari o la presenza di corpi psammomatosi (carcinoma papillare della tiroide). Gran parte dei carcinoidi contiene cromogranina A, sinaptofisina ed NSE. Con tecniche immunoistochimiche possono essere occasionalmente identificati alcuni ormoni specifici. Solo raramente provocano sintomi locali di occlusione. Molti sono asintomatici e scoperti casualmente. Quelli gastrici e pancreatici possono liberare i loro prodotti nel circolo sistemico direttamente e produrre una sindrome di Zollinger-Ellison (gastrina), s di Cushing (ACTH), iperinsulinismo (insulina). In alcuni casi possono essere minori di 1 cm e difficili da evidenziare. Sindrome da carcinoide: si presenta nell’1% dei pts affetti da carcinoide e nel 20% di quelli con metastasi diffuse. Eccesso di serotonina (5 idrossitriptamina, 5HT) nel sangue e urine. La serotonina è degradata nel fegato ad acido 5-indoloacetico; in questi casi, affinché si manifesti la sindrome, devono essere presenti metastasi epatiche che impediscano l’inattivazione della serotonina. Per contro la sindrome da carcinoide extraintestinale si verifica anche in assenza di metastasi epatiche. Caratterizzata da: - disturbi vasomotori; quasi tutti i pazienti

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 vampate cutanee  cianosi ipermotilità intestinale; quasi tutti i pazienti  diarrea  crampi  nausea  vomito crisi broncospastiche; un terzo dei pazienti  tosse  sibili  dispnea epatomegalia; alcuni pazienti  fegato con superficie nodulare e metastasi fibrosi sistemica;  coinvolgimento cardiaco (ispessimento e stenosi polmonare e tricuspide);  fibrosi endocardica (spt ventricolo dx)  fibrosi retroperitoneale / pelvica. TUMORI MESENCHIMALI

Possono insorgere lungo tutto il tratto gastrointestinale. I lipomi mostrano una propensione per la sottomucosa intestinale. A livello della valvola ileociecale si può osservare ipertrofia lipomatosa. I leiomiomi e i leiomiosarcomi originano dal muscolo liscio. I GIST sono caratterizzati da immunoreattività per il c-kit; il tenue è il secondo sito di origine di questi tumori dopo lo stomaco. Possono colpire entrambi i sessi a qualsiasi età. Lipomi: noduli inferiori ai 4 cm che insorgono nella sottomucosa o nella tonaca muscolare propria. Leiomiosarcomi: grandi masse intramurali che alla fine protrudono verso il lume ulcerandosi. Nel GIST esiste una relazione tra grandi dimensioni ed elevata attività mitotica da un lato e decorso clinico dall’altro; talvolta anche un GIST molto piccolo può mostrare un comportamento clinico maligno. La maggior parte dei tumori mesenchimali è asintomatica. Le lesioni benigne sono facilmente resecabili; anche le lesioni maligne hanno caratteristiche espansive. Nel caso del leiomiosarcoma il 50-60% sopravvive a 5 anni. TUMORI DEL CANALE ANALE

Il canale anale è diviso in tre zone: la porzione superiore, intermedia, inferiore. Comprendono una forma basaloide, il carcinoma squamocellulare e l’adenocarcinoma. Il carcinoma basaloide è costituito da cellule immature dello strato basale dell’epitelio squamoso stratificato. Possono verificarsi occasionalmente in forma pura o come componente di un tumore squamocellulare o di un adenocarcinoma. Il carcinoma squamocellulare puro è associato all’infezione da HPV cronica. Alcuni rari casi sono correlati a immunosoppressione (trapianti e AIDS). L’infezione cronica da HPV provoca lesioni precancerose, come il condiloma acuminato e il carcinoma in situ. Raramente nel canale anale possono insorgere altri tumori (m di Paget, melanomi, microcitomi).

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APPENDICE

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ANATOMIA NORMALE L’appendice è un residuo ipotrofico del cieco primitivo. È lunga in media 6-7 cm e ha un meso costituito da un’estensione del mesentere dell’adiacente ileo. Ha una mucosa di tipo colico. Caratteristico dell’organo è l’abbondante tessuto linfoide della mucosa e sottomucosa che nei soggetti giovani forma uno strato di follicoli con centri germinativi. Questo tessuto linfoide si atrofizza con gli anni e scompare in età avanzata. L’appendice è vascolarizzata dall’arteria appendicolare, un ramo dell’arteria ileocolica, ramo terminale della mesenterica superiore. (cfr!!!). APPENDICITE ACUTA L’infiammazione appendicolare è associata ad occlusione nel 50-80% dei casi, di solito dovuta ad un coprolita e meno comunemente ad un calcolo biliare, a un tumore, a un ammasso di vermi (ossiuri). La continua secrezione di mucina nel viscere ostruito determina un progressivo incremento della pressione endoluminale, fino a causare la compressione delle vene drenanti e a causare una lesione ischemica che favorisce la proliferazione batterica determinando un edema infiammatorio e un essudato che aggravano ulteriormente la compromissione dell’apporto ematico. Nelle fasi più precoci si può osservare solo uno scarso infiltrato neutrofilo della mucosa, sottomucosa, muscolare propria; i vasi sottosierosi sono congesti e circondati da un modesto infiltrato di neutrofili. L’infiammazione rende la sierosa opaca rossastra e granulare.  appendicite acuta in fase precoce In uno stadio più tardivo un abbondante essudato neutrofilo dà luogo ad una reazione fibrinopurulenta sierosale con formazione di un ascesso  appendicite acuta purulenta L’ulteriore compromissione determina aree di ulcerazione verdastra ed emorragica della mucosa e necrosi intramurale gangrenosa che si estende alla sierosa  appendicite acuta gangrenosa; questa è rapidamente seguita da rottura e peritonite acuta. Riscontro di un infiltrato granulocitario neutrofilo nella tonaca muscolare propria  diagnosi. Nella mucosa potrebbero essere dovuti a drenaggio di essudati intestinali non appendicolari. Malattia degli adolescenti / giovani adulti; può insorgere in ogni fascia di età. Il rischio nella vita è del 7%. I sintomi sono: dolore periombelicale e poi in fossa iliaca dx, nausea, vomito, dolorabilità addominale, febbre moderata, leucocitosi con conta dei WBC di 15000-20000 / mm3. MUCOCELE Mucocele descrive una appendice dilatata da accumulo intraluminale di mucina. La causa può andare da una appendice ostruita con mucina addensata al cistoadenoma mucinoso, fino al carcinoma mucinosecernente. In questo ultimo caso può esserci invasione della parete e disseminazione peritoneale. Nel mucocele l’accumulo di muco da occlusione causa rigonfiamento dell’appendice, che assume una forma globosa; infine la distensione induce atrofia delle cellule mucinose in grado di arrestarne la secrezione. Raramente responsabile dell’ipersecrezione è un focolaio di epitelio iperplastico mucinosecernente; raramente il mucocele si rompe spargendo muco (innocuo) nella cavità peritoneale. L’esame istologico del muco da cistoadenoma mucinoso non mostra cellule maligne; il cistoadenocarcinoma mucinoso ha una frequenza cinque volte inferiore a quella del cistoadenoma. Lo pseudomixoma peritonei è un infarcimento addominale di mucina addensata o semisolida; può essere tenuto sotto controllo per anni con bonifiche chirurgiche, ma la sua prognosi è infausta.

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PERITONEO

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PERITONITE La peritonite può essere causata da un’infezione batterica o da un’irritazione chimica. Le cause più comuni sono: modici spandimenti di bile o enzimi pancreatici (peritonite sterile); perforazione o rottura delle vie biliari; pancreatite acuta emorragica; interventi chirurgici (reazione a materiale estraneo come il talco); patologie ginecologiche (sangue liberato che può irritare la sierosa), rottura di cisti dermoidi (evoca una reazione granulomatosa peritoneale. Infezioni La peritonite batterica è quasi sempre dovuta alla diffusione da un viscere cavo o alla rottura di un viscere. Le cause più comuni sono l’appendicite, l’ulcera peptica perforata, la colecistite, la diverticolite, lo strozzamento di anse intestinali, la salpingite acuta, i traumi, la dialisi peritoneale. Più spesso E. coli, streptococchi, stafilococco aureo, enterococchi, gram- e Clostridium perfrigens. Le infezioni ginecologiche possono determinare peritonite da gonococco e clamidia. Una peritonite batterica spontanea (PBS) può svilupparsi in assenza di una fonte di contaminazione: si verifica in genere in bambini con sindrome nefrosica, tra gli adulti cirrotici con ascite. In genere sostenuta da coli e pneumococchi (patogenesi ematogena?). La sierosa mostra alterazioni che dipendono dalla durata della peritonite. A 2-4 ore la superficie peritoneale diventa opaca; un piccolo accumulo di liquido. Più tardi l’essudato diventa cremoso o francamente purulento. In alcuni casi può essere molto denso (pts disidratati); il volume dell’essudato è molto variabile. L’infiammazione è neutrofila, con essudato fibrinopurulento. La guarigione può avvenire: - con riassorbimento dell’essudato senza fibrosi residua; - con ascessi isolati residui; - con organizzazione e formazione di aderenze fibrose. TUMORI Sono tutti maligni. Quelli primitivi sono detti mesoteliomi. Prognosi infausta. Il mesotelioma peritoneale è correlato a esposizione ad asbesto in più dell’80% dei casi. Istologia = mesotelioma pleurico. Il tumore desmoplastico a piccole cellule rotonde origina nel peritoneo; la patogenesi non è chiara (traslocazione t(11;22) con fusione tra i geni EWS/WT1). I tumori secondari sono invece più frequenti.

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Anatomia Patologica

FEGATO e VIE BILIARI

Clinica e istopatologia delle epatopatie; epatiti infettive e autoimmuni; epatopatia alcolica; malattie metaboliche; malattie delle vie biliari

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intraepatiche; disordini circolatori; lesioni nodulari e tumorali; malattie della colecisti e delle vie biliari extraepatiche

FEGATO

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ANATOMIA E FISIOLOGIA EPATICA Il fegato e il tratto biliare occupano il quadrante superiore destro dell’addome (ipocondrio destro, dal V spazio intercostale ad appena sotto il margine costale). Il fegato può esser visto come una stazione di transito posta tra la circolazione splancnica in toto e la circolazione sistemica; si colloca inoltre al centro del circolo enteroepatico, in quanto produttore della bile. Esso viene così a trovarsi in un doppio rapporto con il canale alimentare ed il sangue: come una grande ghiandola esocrina determina l’escrezione biliare di molteplici sostanze tossiche e/o necessarie alla fisiologia dell’assorbimento e come una grande ghiandola endocrina rilascia nella circolazione sistemica nutrienti e sostanze opportunamente modificate in base a molteplici parametri di feedback; per le sue notevoli funzioni viene quindi a collocarsi tra gli organi che pongono l’organismo in relazione con l’ambiente esterno e ne determinano l’omeostasi (come il polmone e il rene). Il fegato: - mantiene l’omeostasi metabolica dell’organismo - metabolizza e sintetizza proteine, carboidrati e lipidi - rimuove tossine provenienti dal circolo splancnico e sistemico - espelle nella bile prodotti di scarto endogeni e xenobiotici tossici. I lobi funzionali destro e sinistro sono definiti dalla distribuzione dei due assi portali destro e sinistro; lo spartiacque corrisponde ad un piano che passa nella fossa cistica e nel solco della vena cava inferiore. In chirurgia il fegato è suddiviso in 8 segmenti funzionali, dove il primo è il lobo caudato; ogni segmento ha un peduncolo biliare e vascolare e un drenaggio venoso unici e indipendenti. Il peso normale del fegato è 1400-1600g (2% del peso corporeo totale); ha un flusso corrispondente al 25% della gittata cardiaca, proveniente dalla vena porta e dall’arteria epatica attraverso la porta hepatis. Il sangue è raccolto da ramificazioni della vena epatica, che fuoriesce dalla porta posteriore del fegato e sfocia dell’adiacente vena cava inferiore. Microarchitettura Il fegato è stato suddiviso anatomicamente in lobuli esagonali di 1-2 mm di diametro orientati attorno alle vene epatiche terminali, con i tratti portali alla periferia del lobulo. Gli epatociti nelle vicinanze della parte terminale della vena epatica sono detti centrolobulari, mentre quelli vicini alla ramificazione portale sono detti periportali.

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La struttura epatica considerata però in base all’apporto ematico (spazi portali centrali) rivela un’architettura acinare (forma pressoché triangolare), con la base formata da venule fenestrate di origine portale che si estendono al di fuori degli spazi portali; nell’acino il parenchima è suddiviso in 3 zone: la 1 è la più vicina all’apporto vascolare, mentre la zona 3 è quella più vicina al drenaggio venoso (come in figura). Il parenchima epatico è organizzato in piani di epatociti cribriformi e anastomizzati, visibili in sezioni microscopiche come cordoni di cellule; esiste un orientamento radiale dei cordoni attorno alla vena epatica terminale. Le cellule uninucleate diploidi tendono ad essere la regola, anche se con l’età compaiono molte cellule binucleate con cariotipo fino all’octaploidia. Tra i cordoni di epatociti vi sono i sinusoidi vascolari: il sangue attraversa i sinusoidi e sbocca nella vena epatica attraverso orifizi nella parete venosa. Gli epatociti sono pertanto irrorati su due lati da sangue ben miscelato proveniente dalla vena porta e dall’arteria epatica, fatto che li colloca tra le cellule più riccamente perfuse dell’organismo (l’ischemia dell’organo e rara se si eccettuano le vasculiti (PAN) e le reazioni da trapianto). I sinusoidi sono rivestiti da cellule endoteliali discontinue fenestrate, che demarcano lo spazio extrasinusoidale di Disse in cui protrudono i microvilli epatocitari. Numerose cellule di Kupffer sono adese alla faccia luminale delle cellule endoteliali; nello spazio di Disse si ritrovano cellule perisinusoidali stellate (di Ito), contenenti grassi, che svolgono un ruolo nel metabolismo e nell’immagazzinamento della vitamina A e vengono trasformate in miofibroblasti produttori di collagene durante le flogosi epatiche. Tra epatociti contigui sono presenti i canalicoli biliari, formati da solchi nella membrana plasmatica di cellule prospicienti e separati dallo spazio vascolare da giunzioni serrate. I miofilamenti che circondano i canalicoli favoriscono il movimento del secreto biliare; questi canali drenano nei canali di Hering nella regione periportale; il liquido biliare è convogliato nei dotti biliari terminali. CARATTERISTICHE GENERALI DELLE EPATOPATIE Le enormi riserve funzionali del fegato mascherano l’impatto clinico delle forme precoci di danno epatico; con la progressione del danno, le alterazioni della funzionalità epatica diventano evidenti e minacciose per la vita; la patologia epatica è un processo insidioso in cui i sintomi di scompenso epatico possono manifestarsi settimane, mesi, anni dopo l’inizio del danno. Tra le epatopatie croniche si annoverano in ordine decrescente quelle prodotte da HCV, alcol, steatosi non alcolica, HBV. Le epatopatie croniche rappresentano l’ottava causa di morte.

MODALITÀ DI DANNO EPATICO Il fegato ha un repertorio limitato di risposte al danno:

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E ACCUMULO INTRACELLULARE: insulto tossico/immunologico può causare il rigonfiamento degli epatociti; se moderato esso è reversibile, mentre se diventa grave, gli epatociti presentano organelli citoplasmatici irregolarmente ammassati e ampi spazi vuoti (degenerazione balloniforme); la ritenzione biliare può produrre aspetti schiumosi negli epatociti (degenerazione schiumosa); l’accumulo di trigliceridi negli epatociti è noto come steatosi (microvescicolare se presentano piccole gocce senza dislocazione nucleare, macrovescicolare se una grande goccia singola disloca il nucleo). DEGENERAZIONE

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NECROSI E APOPTOSI: qualsiasi danno epatico significativo può causare necrosi degli epatociti. Nella necrosi ischemica coagulativa le cellule appaiono poco colorate, mummificate, con nuclei lisati; nella morte cellulare per apoptosi gli epatociti si contraggono fino a formare cellule raggrinzite. La necrosi litica (rottura osmotica degli epatociti) è l’esito della degenerazione balloniforme. Spesso la necrosi ha distribuzione zonale: più evidente in zona 3 (centrolobulare). Le forme di necrosi intermedia e periportale sono rare (eclampsia). La necrosi può anche essere presente focalmente nei lobuli o all’interfaccia tra parenchima periportale e tratti portali infiammati (epatite dell’interfaccia). L’estensione di lobuli contigui può essere porto-portale, porto-centrale, centro-centrale (necrosi a ponte).

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INFIAMMAZIONE: il danno epatico associato ad un infiltrato di cellule infiammatorie è definito epatite. I macrofagi fagocitato i frammenti cellulari apoptotici in poche ore, dando vita a gruppi di cellule infiammatorie: l’identificazione di epatociti apoptotici indica una distruzione epatocitaria molto recente.

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RIGENERAZIONE: risposta alla resezione tissutale o alla morte cellulare. Si riscontra in tutte le malattie epatiche fuorché nella malattia epatica fulminante. La proliferazione epatocellulare è caratterizzata da mitosi, ispessimento dei cordoni epatocitari; i duttuli biliari rappresentano il compartimento staminale che prolifera, dando luogo alla cosiddetta reazione duttulare.

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FIBROSI: il tessuto fibroso si forma in risposta alla flogosi o al danno tossico diretto. Causa un danno epatico irreversibile, anche se l’irreversibilità della fibrosi è stata recentemente messa in discussione; la deposizione di collagene ha gravi conseguenze sul flusso ematico attraverso l’organo e sulla funzionalità degli epatociti; nelle fasi iniziali la fibrosi si può sviluppare attorno ai tratti portali, alla vena epatica terminale o nello spazio di Disse. Perdurando la fibrosi, il fegato viene suddiviso in noduli di epatociti proliferanti, circondati da tessuto cicatriziale, è la cirrosi.

INSUFFICIENZA EPATICA È la più grave conseguenza clinica di una epatopatia. Spesso è il punto di arrivo di un progressivo danno epatico; la perdita della capacità funzionale del fegato deve essere almeno dell’80-90%. In molti casi l’equilibrio viene spostato verso lo scompenso da patologie intercorrenti: emorragia gastrointestinale, squilibri elettrolitici, infezioni sistemiche, stress gravi. Il trapianto è l’unica opzione terapeutica. Le alterazioni morfologiche che determinano insufficienza epatica si classificano in 3 categorie:

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NECROSI EPATICA MASSIVA:

spesso indotta da farmaci o sostanze tossiche (paracetamolo, alotano, antitubercolari, IMAO, CCl4, Amanita Phalloides. Il danno può essere diretto o immunomediato; EPATOPATIE CRONICHE: è la via più comune ed è il punto di arrivo dell’epatite cronica che esita in cirrosi. INSUFFICIENZA EPATICA SENZA NECROSI EVIDENTE: gli epatociti possono essere vitali ma non funzionanti (sindrome di Reye, tossicità da tetracicline, steatosi acuta gravidica).

L’ittero è costante; l’ipoalbuminemia e l’iperammoniemia sono estremamente preoccupanti e spesso presenti. Il fetor hepaticus è un caratteristico odore del corpo, dell’alito (muffa, acido – dolciastro, di frutta marcia) che si verifica occasionalmente ed è correlato alla formazione di mercaptani. L’alterazione del metabolismo degli estrogeni può causare angiomi stellati (caratteristicamente presenti solo nel distretto di drenaggio della cava superiore), eritema palmare. L’angioma è costituito da un’alteria pulsante dilatata da cui si diramano piccoli vasi. Nel maschio ipogonadismo e ginecomastia. I pazienti sono particolarmente sensibili all’insufficienza multiorgano; compaiono coagulopatie (riduzione fattori II, VII, IX, X). L’assorbimento intestinale di sangue (emorragie gastrointestinali) aumenta il carico metabolico sul fegato.

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L’encefalopatia epatica, si manifesta con disturbi della coscienza variabili fino al coma; i segni neurologici associati comprendono rigidità, iperreflessia, asterixis (movimenti rapidi non ritmici di flesso – estensione della testa e delle estremità, meglio osservati quando le braccia sono mantenute in estensione con i polsi dorsiflessi. È considerata un disturbo della trasmissione nervosa a carico del SNC e neuromuscolare e sembra associata all’ammoniemia elevata che promuove l’edema cerebrale generalizzato. Nel cervello compaiono però reazioni minime, come l’edema e la reazione astrocitaria che di per sé sono reversibili se viene corretta la causa di base. La sindrome epatorenale è un’insufficienza renale nei pazienti con grave patologia epatica cronica in cui non si osservano cause intrinseche renali di disfunzione renale. Si presenta con ritenzione di sodio, alterazioni dell’eliminazione dell’acqua e una riduzione della perfusione renale e della velocità di filtrazione glomerulare. L’esordio è con riduzione della diuresi associata ad aumento della creatininemia. La prognosi è infausta e spesso la situazione diventa rapidamente ingravescente. Solo il trapianto può essere risolutivo.

CIRROSI La cirrosi (WHO) è un’entità anatomoclinica che si caratteristica istologicamente per presenza di necrosi epatocellulare, rigenerazione nodulare e fibrosi diffusa che determina l’alterazione: - dell’architettura lobulare; - della vascolarizzazione; con sintomatologia variabile, ma caratteristica. Tra le prime 10 cause di morte nei paesi occidentali. I principali fattori sono l’abuso di alcol e le epatiti virali; altre cause comprendono le patologie biliari e il sovraccarico di ferro. Nel caso non sia possibile stabilire una causa (cirrosi avanzata in cui l’anamnesi e i dati di laboratorio non dicono nulla di preciso) si parla di cirrosi criptogenetica (10-15%). La cirrosi è un processo dinamico bifasico dominato da fibrosi parenchimale progressiva, grave distorsione dell’architettura lobulare: - danno  necrosi - risposta  fibrosi (mediatori fibrogenici: infiammazione cronica con produzione di TNFα/β, IL1 e PDGF; citochine prodotte da cellule endogene danneggiate come macrofagi, endotelio, epatociti e cellule dei duttuli biliari; stimolazione diretta delle cellule stellate da parte di tossine. LA CIRROSI È DEFINITA DA 3 CARATTERISTICHE: 1- SETTI FIBROSI: setti fibrosi a ponte sotto forma di delicate briglie o ampie cicatrici che collegano i tratti portali l’uno all’altro e i tratti portali con le vene epatiche terminali; 2- NODULI PARENCHIMALI: contengono epatociti proliferanti circondati da fibrosi con diametro variabile da molto piccolo (< 3 mm  micronoduli) a grande diversi centimetri (macronoduli). 3- SOVVERTIMENTO DELL’INTERA ARCHITETTURA EPATICA Il danno parenchimale e la conseguente fibrosi sono diffusi e si estendono a tutto il fegato; la formazione dei noduli è un requisito diagnostico e riflette il bilancio tra attività rigenerativa e fibrosi costrittiva; l’architettura vascolare viene riorganizzata con formazione di interconnessioni anomale tra vasi in entrata e in uscita dall’organo (shunt portosistemico parziale). La fibrosi è l’aspetto chiave del danno epatico progressivo. La regressione è molto improbabile, anche se il fegato contiene grandi quantità di metalloproteasi e collagenasi in grado di degradare la matrice extracellulare. I termini distintivi micronodulare/macronodulare non devono essere usati come classificazione primaria, anche se nei casi di cirrosi alcolica l’aspetto è

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inizialmente micronodulare e solo successivamente i noduli aumentano di dimensione, mentre la cirrosi postvirale è caratteristicamente macronodulare. Classificazione eziologica: - da epatopatia alcolica - da epatite virale - malattie delle vie biliari - emocromatosi primitiva - m di Wilson - deficit AAT - cirrosi criptogenetica

60-70% 10% 5-10% 5% rara rara 10-15%

Una fibrosi grave può manifestarsi anche in seguito ad una cronica cardiopatia congestizia (cirrosi cardiaca). Dopo l’esclusione di tutte le cause note di cirrosi, rimane una grossa quota di cirrosi ad eziologia ignota. Molti di questi casi sono dovuti ad una mancata diagnosi di steatosi epatica non alcolica. Nel soggetto normale il collagene interstiziale I/III sono concentrati nei tratti portali e intorno alle vene centrali, con occasionali fasci nello spazio di Disse. Il collagene (reticolina) che si trova lungo gli epatociti è composto da sottili tralci di collagene IV nello spazio di Disse. Nella cirrosi il collagene I/III si deposita nel lobulo, creando tralci sottili o spessi; vasi neoformati all’interno dei setti connettono le strutture vascolari portali con le vene epatiche terminali, dando vita ad uno shunt portosistemico; vi è perdita di fenestrazione degli endoteli sinusali, che diventano simili ad un canale; la secrezione epatocellulare di proteine è notevolmente ridotta. La fonte principale dell’eccesso di collagene è costituito dalle cellule perisinusoidali stellate che si trovano nello spazio di Disse; sebbene normalmente queste cellule fungano da deposito per lipidi e vitamina A, nel corso della cirrosi vanno incontro ad attivazione, un processo che comprende: - una forte attività mitotica; - il passaggio dallo stato di riposo con fenotipo di lipocito ad un fenotipo di miofibroblasto transizionale; - aumentata capacità di sintesi e secrezione di matrice extracellulare. Sono soprattutto le citochine prodotte da cellule di Kupffer e altri macrofagi a stimolare le cellule perisinusoidali alla mitosi. Stimoli all’attivazione della cellula perisinusoidale: - infiammazione cronica e produzione citochine (TNF e linfotossina e IL1); - produzione citochine da parte di cellule endogene attivate (TGF, PDGF, prodotti di perossidazione lipidica); - distruzione della matrice extracellulare; - stimolazione diretta da parte di tossine. L’acquisizione di miofibrille da parte delle cellule stellate aumenta inoltre la resistenza vascolare interna del parenchima del fegato. Questi miofibroblasti restringono i canali vascolari sinusoidali. Gli epatociti rimanenti sono stimolati alla rigenerazione e proliferano come noduli sferici entro i limiti dei setti fibrosi. Il risultato finale è un fegato fibrotico nodulare in cui l’apporto ematico agli epatociti è gravemente compromesso, come lo è la capacità degli epatociti di secernere sostanze nel plasma. Tutte le forme di cirrosi possono essere clinicamente silenti; quando sono sintomatiche portano a manifestazioni aspecifiche: anoressia, calo ponderale, osteoporosi. Può svilupparsi una forma incipiente/conclamata di insufficienza epatica che può ESSERSPE precipitata da infezioni/emorragie intestinali. Alterazioni del flusso polmonare possono determinare una grave ipossiemia (sindrome epato - polmonare). Il meccanismo finale di molti decessi per cirrosi è: - insufficienza epatica terminale; - infezioni/sepsi;

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massive emorragie gastrointestinali; sviluppo di carcinoma epatocellulare.

La cirrosi, associata all’ipertensione portale e a insufficienza epatica incipiente, produce un quadro extraepatico piuttosto caratteristico, costituito da: - SPLENOMEGALIA MODERATA (1000-1200 g) - VARICI ESOFAGO/GASTRICHE - EMORROIDI: edema ed emorragie puntiformi - SCLEROSI ED ATROFIA PANCREATICA per la stasi portale - EDEMA E CONGESTIONE POLMONARE, VERSAMENTO PLEURICO - OSTEOPOROSI da ridotto assorbimento vitamina D - IPOTROFIA TESTICOLARE RIDUZIONE DELLA SPERMATOGENESI - IPERTROFIA MAMMARIA / GINECOMASTIA KNODELL MODIFICATO DA ISHAK (Journal of Hepatology 1995; 22:696-699) Identifica la presenza ed entità delle lesioni fibrotiche che conducono ad alterazione dell’architettura lobulare del fegato, fino alla cirrosi. STAGING SECONDO

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fibrosi assente fibrosi di I grado fibrosi di II grado fibrosi di III grado (ponti porto-portali) fibrosi di IV grado (ponti porto-centrali) fibrosi di V grado (cirrosi incompleta) fibrosi di VI grado (cirrosi certa)

IPERTENSIONE PORTALE L’aumento delle resistenze al flusso portale può derivare da cause: - pre – epatiche - intraepatiche - post – epatiche Le principali condizioni pre – epatiche sono la trombosi ostruttiva e il restringimento della vena porta prima del suo ingresso nel fegato. Le principali cause post – epatiche sono l’insufficienza cardiaca destra grave, la pericardite costrittiva e l’ostruzione all’efflusso della vena epatica. La causa intraepatica dominante è la cirrosi, responsabile della maggior parte dei casi; meno frequenti la schistosomiasi, la massiccia degenerazione grassa, patologie granulomatose come sarcoidosi e tubercolosi miliare, l’iperplasia nodulare rigenerativa. L’ipertensione portale nella cirrosi risulta dall’aumento delle resistenze al flusso portale a livello dei sinusoidi e dalla compressione delle vene epatiche terminali dovuta a cicatrizzazione perivenulare e noduli espansivi parenchimali. Le anastomosi portocavali contribuiscono inoltre ad aumentare le pressioni di flusso nel circolo intraepatico. Le quattro principali conseguenze cliniche sono: -

ASCITE FORMAZIONE DI SHUNT VENOSI PORTO SISTEMICI SPLENOMEGALIA CONGESTIZIA ENCEFALOPATIA EPATICA

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ASCITE

Raccolta di liquido in eccesso nella cavità peritoneale; minime quantità sono rilevabili con indagini ecografiche, mentre diventa clinicamente obiettivabile dopo un accumulo di almeno 500 mL di liquido. Può raggiungere anche molti litri. Si tratta in genere di un fluido sieroso con meno di 3 g/dL di proteine (albumina) e con concentrazioni di glucosio, sodio e potassio simili a quelle ematiche. A lungo andare l’ascite può provocare idrotorace (soprattutto a destra). La patogenesi coinvolge i seguenti meccanismi: - ipertensione sinusoidale (convoglia il fluido nello spazio di Disse); - percolazione di linfa epatica nella cavità peritoneale; un dotto toracico normale porta circa 800-1000 mL/die di linfa; nella cirrosi il flusso linfatico epatico può avvicinarsi ai 20 L/die. - Perdita di liquidi intestinali: l’ipertensione portale determina anche un aumento della pressione di perfusione nei capillari intestinali, con malassorbimento; - Ritenzione renale di sodio e acqua dovuta a ipoaldosteronismo secondario; - Shunt portosistemici: si sviluppano by-pass dove la circolazione portale e sistemica condividono letti capillati comuni: plessi emorroidari, vene esofagee attraverso la coronaria stomacica, il retroperitoneo e il legamento falciforme del fegato che interessa la parete periombelicale addominale: vene dilatate che si diramano dall’ombelico al margine costale (caput medusae). SPLENOMEGALIA

Dovuta a congestione di lunga durata. Il grado di ingrandimento è variabile, fino a 1000g e può non essere correlato ad altri segni di ipertensione portale; può determinare ipersplenismo con citopenia.

ITTERO E COLESTASI Ittero: Sindrome clinica caratterizzata da colorazione giallastra delle sclere e della cute che si verifica quando la bilirubinemia supera i 2,0-2,5 mg/dL. La colestasi può esserne la causa, ma la causa può essere un’altra (emolisi etc.). Se associato a colestasi si presentano anche le altre manifestazioni tipiche delle sindromi colestatiche. La bile assolve a due funzioni principali: - emulsione di grassi nel lume intestinali (sali biliari, lecitina) - eliminazione dei prodotti sistemici di scarto La bile costituisce la via primaria per l’eliminazione di bilirubina, colesterolo e xenobiotici non sufficientemente idrofili da essere eliminati con le urine. La formazione della bile richiede epatociti funzionanti, in quanto fenomeno attivo. Bilirubina

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La bilirubina è il prodotto terminale della degradazione del gruppo eme; la maggior parte della produzione giornaliera (0,2-0,3 g) deriva dal catabolismo di eritrociti invecchiati da parte del sistema RE (milza, fegato, midollo osseo). La maggior parte della bilirubina rimanente è data dal ricambio di eme-preteine e dalla distruzione precoce di eritrociti nel midollo osseo (eritropoiesi inefficace). L’eme – ossigenasi ossida il gruppo eme a biliverdina (fase 1) che può essere ridotta dalla bilirubina – reduttasi a bilirubina. La bilirubina che si forma al di fuori dal fegato viene legata all’albumina sierica, in quanto insolubile in soluzione acquosa (fase 2); una frazione molto piccola libera nel plasma può aumentare nella malattia emolitica grave o quando l’albumina non è disponibile per il legame. La captazione è mediata da trasportatori nella membrana sinusale (fase 3); coniugazione con una o due molecole di acido glucuronico da parte della UDP-glucuronil-transferasi (UGT1A1, fase 4)  Escrezione di bilirubina glucuronidata idrosolubile e non tossica attraverso la bile. La maggior parte della bilirubina coniugata che perviene all’intestino, viene deconiugata e degradata a urobilinogeno (incolore)  fase 5. Questo viene in gran parte eliminato con le feci; il 20% circa viene riassorbito nell’ileo e nel colon, riportato al fegato e rapidamente eliminato con la bile. Una piccola quantità che sfugge al circolo enteroepatico viene escreta nell’urina. In caso di prolungata iperbilirubinemia coniugata, una frazione di bilirubina coniugata può legarsi all’albumina con legame covalente (frazione δ). Nel soggetto normale adulto la bilirubinemia è 0,3-1,2 mg/dL. Livelli di 30-40 mg/dL possono comparire nelle patologie gravi; l’ittero compare quando l’equilibrio produzione – perdita è disturbato da uno o più dei seguenti meccanismi: 1- eccessiva produzione di bilirubina; 2- ridotta captazione da parte dell’epatocita; 3- ridotta coniugazione; 4- ridotta escrezione epatocellulare; 5- ridotta secrezione biliare intra/extraepatica. In rari casi una mancanza genetica di UGT1A1 porta a sindrome di Crigler-Najar di tipo 1 l’enzima è assente; nella CNS di tipo 2 l’attività enzimatica è molto ridotta e l’enzima può formare solo bilirubina monoglicuronidata. La s di Gilbert è comune, benigna ed eterogenea, che si presenta con lieve iperbilirubinemia fluttuante; la principale causa è una riduzione della glicuronidazione epatica fino al 30% dei livelli normali; nella maggior parte dei pazienti si ritrovano due basi azotate aggiuntive (TA) nel TATA-box della regione 5’ del promotore, con riduzione dell’espressione di UGT1A1. La s di Dubin-Johnson dipende da una carenza ereditaria nell’escrezione epatocellulare della bilirubina glicuronidata attraverso la membrana canalicolare. La s di Rotor è una rara forma sintomatica di iperbilirubinemia coniugata con difetti multipli nella captazione ed escrezione. Il fegato non è pigmentato. I pazienti presentano ittero a fronte di una vita normale. Acidi biliari I principali acidi biliari umani sono: - acido colico - acido chenodesossicolico I loro sali coniugati con taurina o glicina agiscono come detergenti; il loro ruolo fisiologico primario è quello di solubilizzare i lipidi insolubili secreti dagli epatociti nella bile e di solubilizzare i lipidi di origine alimentare presenti nel lume intestinale. I principali lipidi secreti sono le lecitine (fosfatidilcolina), molto idrofobiche. Queste sostanze aumentano la limitata capacità di solubilizzare il colesterolo dei sali biliari nella bile. Il 10-20% dei sali biliari secreti è deconiugato nell’intestino per azione dei batteri; il 95% degli acidi biliari secreti viene riassorbito principalmente attraverso l’azione di un cotrasportatore di Na – acidi biliari nella membrana apicale degli enterociti ileali e ritorna al fegato attraverso il sangue portale per captazione, riconiugazione con taurina o glicina e risecrezione.

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La circolazione enteroepatica fornisce un efficiente meccanismo per il mantenimento del pool endogeno di acidi biliari. La perdita fecale (0,2-0,6 g/die) è corretta dalla quotidiana sintesi ex novo dal colesterolo, meccanismo che rappresenta la principale valvola di escrezione del colesterolo endogeno. *** Colestasi: ritenzione sistemica di sostanze normalmente eliminate con la bile; determina l’aumento della concentrazione ematica di molte sostanze dannose (bilirubina, colesterolo, acidi biliari); determina malassorbimento per riduzione dell’emulsione biliare dei grassi intestinali, comprese le vitamine A, D, E, K. La disfunzione colestatica può a sua volta presentarsi con ittero o in alternativa con prurito (acidi biliari nel plasma). Xantomi cutanei possono comparire per deposizione di lipidi e colesterolo; elevata concentrazione sierica di ALP, un enzima presente nell’epitelio del dotto biliare e nella membrana canalicolare degli epatociti, rilasciato in circolo per l’azione detergente degli acidi biliari ritenuti. γ−GT è rilasciato in circolo. L’accumulo di pigmento biliare nel parenchima epatico è comune sia alla colestasi ostruttiva sia a quella non ostruttiva; strutture allungate di colore verde-marrone sono visibili nei duttuli biliari dilatati; gocciole di pigmento sono presenti anche negli epatociti, potendo portare a degenerazione schiumosa. L’ostruzione biliare provoca dilatazione a monte dei dotti biliari; la stasi biliare e la pressione inducono reazione duttulare; i duttuli labirintici riassorbono i sali biliari. La colestasi prolungata porta anche a dissoluzione degli epatociti per azione dei detergenti che danno luogo a laghi di bile, pieni di detriti e pigmenti. Se non trattata, l’ostruzione determina fibrosi del tratto portale. Alla fine si può manifestare una cirrosi biliare con fegato colorato di bile. Esiste pertanto urgenza nel porre una corretta diagnosi eziologica. Esistono casi di colestasi intraepatica familiare: - colestasi intraepatica ricorrente benigna (BRIC); - colestasi intraepatica familiare progressiva 1 (PFIC1); - sindrome di Byler; - colestasi intraepatica familiare progressiva 2 (PFIC2); - colestasi intraepatica familiare progressiva 3 (PFIC3).

EPATITI VIRALI Il termine epatite virale viene riservato all’infezione del fegato causata da un gruppo di virus con particolare tropismo per il fegato stesso; altre infezioni virali sistemiche possono colpire il fegato: - mononucleosi infettiva; - CMV; - febbre gialla. Più raramente nei bambini e immunodepressi il fegato può essere coinvolto da adenovirus, rubulavirus, herpesvirus o enterovirus. I virus epatotropi provocano quadri patologici sovrapposti. Epatite acuta, criteri istopatologici CRITERI DIAGNOSTICI MAGGIORI

-

tutti gli spazi portali presentano infiltrato linfocitario di grado moderato/marcato, necrosi focale litica / acidofila in tutte le zone, ma soprattutto zona acinare 3, infiltrati infiammatori lobulari

CRITERI DIAGNOSTICI MINORI

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architettura lobulare conservata,

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spillover linfocitario ma non piecemeal necrosis (necrosi della lamina limitante epatocitaria), corpi di Councilman (epatociti in apoptosi), apoptosi, colestasi, degenerazione balloniforme, iperplasia cellule di Kupffer

Epatite cronica, criteri istopatologici CRITERI DIAGNOSTICI MAGGIORI

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focalità delle lesioni, infiammazione portale / periportale, infiammazione e necrosi lobulare, fibrosi

CRITERI DIAGNOSTICI MINORI

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lesioni duttali e colestasi epatociti idropici e rigenerativi iperplasia cellule di Kupffer

Virus dell’epatite A – HAV Picornavirus - 27 nm; non capsulato, icosaedrico. RNA singola catena pol+. 1 genotipo. Trasmissione oro-feco-orale. Zone endemiche con scarse condizioni sociosanitarie (Africa, Asia, America Latina; in Italia è più frequente al sud in giovani maschi tra 15-24 anni (trasmissione sessuale in aumento). In casi di elevata viremia può essere possibile una trasmissione parenterale. Incubazione di 15-50 giorni, generalmente causa un’epatite virale acuta autolimitantesi con formazione di anticorpi protettivi. Virus dell’epatite B – HBV Hepadnavirus – DNA a parziale doppia elica. 42 nm, capsulato. 7 genotipi (A-G). Zone endemiche: Asia, Africa, America Latina; trasmissione verticale parenterale (perinatale) o orizzontale (contatto interumano, attraverso tutti i liquidi biologici. Incubazione 60-180 giorni; può causare una epatite acuta e cronicizzare oppure risolversi. Il virus è presente in tutti i liquidi biologici e non nelle feci. Clinicamente può dare: - epatite fulminante con necrosi epatica massiva; - epatite acuta; - epatite cronica non progressiva; - epatite cronica progressiva (cirrosi); - stato asintomatico di carrier con o senza malattia progressiva subclinica. - Può esservi sovrainfezione da HDV. Virus dell’epatite C – HCV Hepacivirus, Flaviviridae – RNA a singola elica a pol+. Genoma ad alto grado di variabilità; enorme grado di mutanti (quasispecie); sfugge alla clearance linfocitaria; generalmente l’infezione acuta è asintomatica e cronicizza nella maggior parte dei casi. Clinica: - epatite cronica persistente con progressione a cirrosi (85%); l’infezione è presente nel 50% dei soggetti con cirrosi e HCC. Virus dell’epatite D (delta) È un virus difettivo che codifica per l’antigene D. Può infettare o coinfettare pazienti HbsAg+. RNA. 3 genotipi. Coinfezione acuta per contatto con siero infetto da HBV e HDV o superinfezione di un carrier HDV positivo. Virus dell’epatite E Calicivirus – 27 nm, rotondo. Non capsulato. RNA singola catena pol+. 4 genotipi.

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Sindromi Clinico – Patologiche In seguito all’infezione da virus epatitici è possibile la manifestazione di uno dei seguenti quadri clinici: 1.

INFEZIONE ASINTOMATICA ACUTA CON GUARIGIONE

2.

EPATITE ACUTA SINTOMATICA CON GUARIGIONE ITTERICA

/

ANITTERICA

(acuta classica / subclinica,

colestatica, fibrosante (in pts immunocompromessi)) 3. 4.

EPATITE FULMINANTE EPATITE CRONICA CON O SENZA EVOLUZIONE CIRROTICA

Ogni virus epatotropo può causare infezioni sintomatiche o asintomatiche; HCV è noto per le infezioni croniche; con rare eccezioni l’HAV e HEV non causano epatiti croniche. Altre cause infettive/non infettive possono determinare manifestazioni cliniche essenzialmente identiche. 1. INFEZIONE ASINTOMATICA ACUTA CON GUARIGIONE Pts identificati solo sulla base di aminotransferasi minimamente elevate o dopo il fatto, per la presenza di anticorpi antivirali. Caratteristica precipua di HCV, anche se in questo caso il recupero e l’eradicazione del virus non sono affatto comuni. 2. INFEZIONE SINTOMATICA ACUTA CON GUARIGIONE Qualsiasi virus epatotropo può causare epatite virale acuta sintomatica, sebbene ciò non sia comune nell’infezione acuta da HCV. La malattia è più o meno la stessa e può essere divisa in quattro fasi: 1. un periodo di incubazione 2. una fase sintomatica preitterica 3. una fase sintomatica itterica 4. convalescenza Il picco di infettività si verifica negli ultimi giorni di incubazione asintomatica e nei primi giorni di sintomi acuti. La fase preitterica è caratterizzata da sintomi aspecifici: malessere, affaticabilità, nausea, perdita dell’appetito, calo ponderale, febbre, cefalea, dolori muscolari, articolari, addominali e diarrea sono incostanti. Alti livelli sierici di aminotransferasi; l’esame obiettivo evidenzia una lieve epatomegalia dolorabile; l’ittero è prevalentemente causato da iperbilirubinemia coniugata e quindi si accompagna all’emissione di urine scure (bilirubina coniugata) e feci ipocoliche o acoliche. La ritenzione di acidi biliari può causare un fastidioso prurito. Il tempo di Quick è aumentato e compare ipergammaglobulinemia. La ALP è lievemente aumentata. In alcune settimane l’ittero scompare e inizia la convalescenza. La guarigione è tipicamente annunciata da una forte risposta T-linfocitaria citotossica. 3. EPATITE CRONICA Definita quando per più di 6 mesi siano presenti segni clinici, biochimici e sierologici di malattia epatica continua o recidivante, con infiammazione e necrosi istologicamente documentate. Sebbene i virus siano responsabili della maggior parte dei casi, esistono altre cause di epatite cronica (alcolismo cronico, Wilson, deficit AAT, farmaci, autoimmunità). In tutti i casi di epatite cronica, l’eziologia è il più importante parametro per definire la probabilità di evoluzione in cirrosi. I soggetti con alterata immunità sono particolarmente soggetti a diventare portatori cronici.

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Il sintomo più frequente è l’astenia; meno frequentemente perdita dell’appetito e lievi crisi di ittero. Tra i rilievi obiettivabili: gli angiomi stellati e l’eritema palmare, l’epatomegalia lieve e raramente splenomegalia. Il tempo di Quick può essere aumentato e può esservi una ipergammaglobulinemia, iperbilirubinemia e, raramente, aumento dei livelli di ALP. In caso di HBV e HCV può svilupparsi malattia da immunocomplessi dovuta alla presenza di complessi circolanti Ag/Ab sotto forma di vasculite (frequente la crioglobulinemia nell’infezione da virus C: 35%) e glomerulonefriti autoimmuni.

Istopatologia Gli epatociti infettati da HBV possono presentare un citoplasma pieno di sfere e tubuli di HBsAg che determinano la presenza di un citoplasma eosinofilo e finemente granulare (epatociti a vetro smerigliato). Un fegato infettato da HCV mostra aggregati linfoidi nei tratti portali e steatosi macrovescicolare nelle regioni focali sottolobulari, che deve essere distinta dall’estesa steatosi panlobulare microvescicolare di molte forme di epatite tossica (alcol indotta). Epatite acuta. Degenerazione balloniforme, con citoplasma vuoto e resti eosinofili sparsi di organelli citoplasmatici. Incostante è la colestasi, con tappi di bile nei canalicoli e pigmentazione marrone degli epatociti; sono possibili 2 quadri di morte cellulare dell’epatocita (rottura membrane cellulare e citolisi; apoptosi). L’apoptosi è più comune ed è causata da linfociti T citotossici antivirali. Gli epatociti si contraggono, diventano intensamente eosinofili e presentano nuclei frammentati; nei casi gravi la necrosi confluente degli epatociti può portare a una necrosi a ponte. L’infiammazione è una caratteristica costante e preminente di epatite acuta. Le cellule Kupffer vanno incontro ad iperplasia e ipertrofia e sono ripiene di pigmenti di lipofuscina. Gli spazi portali sono infiltrati da una miscela di cellule infiammatorie che può disperdersi nel parenchima adiacente, causando necrosi periportale; questa epatite dell’interfaccia può causarsi sia nell’epatite acuta che in quella cronica. Gli epiteli del dotto biliare possono diventare reattivi e proliferare a formare strutture scarsamente definite (reazione duttulare). Epatite cronica. Il grading valuta l’attività necroinfiammatoria, variabile in base alla progressione della malattia e all’intervento terapeutico. Lo staging valuta la fibrosi e la diffusione del danno irreversibile epatico. Nelle forme lievi l’infiammazione è limitata ai tratti portali e consiste in linfociti, macrofagi, occasionalmente plasmacellule e raramente granulociti. Caratteristica del danno epatico irreversibile è la deposizione di tessuto fibroso; inizialmente solo nei tratti portali, poi la fibrosi diventa periportale ed è seguita dalla formazione di setti tra i lobuli (fibrosi stabilizzata). La continua perdita di epatociti e la fibrosi sfociano nella cirrosi, con setti fibrosi e noduli di epatociti di dimensioni variabili proliferanti separati da cicatrici per lo più estese. Storicamente denominata cirrosi postnecrotica. La morfologia del fegato cirrotico allo stadio terminale non è utile per determinare le cause della lesione epatica. 4. EPATITE FULMINANTE Si definisce un’epatite fulminante quando la progressione dall’esordio di sintomi all’encefalopatia da insufficienza epatica impiega meno di 2-3 settimane di tempo. Circa il 12% dei casi è virale (HBV o raramente HAV). I farmaci e le intossicazioni chimiche costituiscono gran parte dei restanti casi, agendo come epatotossine dirette o con un danno immunomediato. Coinvolti soprattutto paracetamolo, isoniazide e antidepressivi IMAO, alotano, metil-dopa. Micotossine da Amanita phalloides. La distribuzione della distruzione del fegato è incostante. Può essere interessato anche l’intero fegato con perdite massicce di sostanza (si può ridurre fino a 500-700 g); il fegato diventa flaccido e la capsula raggrinzisce. In sezione le aree necrotiche sono rosso scuro, molli, screziate di bile. L’infiammazione può

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essere molto scarsa; solo dopo alcuni giorni, se il pt sopravvive, si innesca un abbondante processo di fagocitosi; se il pt sopravvive per oltre una settimana, gli epatociti e i dotti possono mostrare un’attività rigenerativa secondaria. Una popolazione quiescente di staminali prolifera generando una popolazione di piccole cellule con un elevato rapporto nucleo/citoplasma, le cosiddette cellule “ovali”, frapposte agli epatociti superstiti. Nella necrosi zonale centrolobulare causata da epatotossine dirette l’architettura del parenchima resta intatta. Una cicatrizzazione fibrosa può verificarsi in pt con decorso protratto. Può presentarsi con ittero, encefalopatia e fetor hepaticus, ma mancano le stigmate dell’epatopatia cronica (ginecomastia, angiomi stellati). Complicanze extraepatiche comprendono coagulopatie ed emorragie, instabilità cardiovascolare, insufficienza renale, ARDS, squilibri elettrolitici e dell’equilibrio acido base e sepsi. Il tasso di mortalità globale è del 25-90%. EPATITI INFETTIVE NON VIRALI Un certo numero di batteri può infettare direttamente il fegato: S. aureus, S. typhi, T. pallidum. I batteri possono in alternativa proliferare in un albero biliare compromesso da un’ostruzione completa / parziale. La composizione batterica rispecchia in questo caso la composizione intestinale ed il quadro è definito colangite ascendente. Le infezioni parassitarie e da elminti interessano frequentemente il fegato. Malaria, schistosomiasi, strongiloidosi, criptosporidiosi, leishmaniosi, echinococcosi e infezioni da elminti (Fasciola hepatica etc.). Una forma particolare di infezione è l’ascesso epatico (ameba, echinococco, piogeni). Gli ascessi epatici insorgono come lesioni solitarie / multiple di pochi millimetri fino a molti centimetri. Le caratteristiche macro/microscopiche sono quelle di qualunque ascesso4. In rare occasioni, l’ascesso sottodiaframmatico, in particolare quello amebico, può farsi strada nella cavità toracica provocando un empiema o un ascesso polmonare. La rottura di ascessi epatici sottocapsulari può inoltre provocare peritonite o ascessi peritoneali localizzati. L’ascesso si associa a febbre, dolore all’ipocondrio destro ed epatomegalia dolorabile. L’ostruzione biliare extraepatica può provocare ittero. Necessario il drenaggio chirurgico in molti casi. EPATITE AUTOIMMUNE L’epatite autoimmune è una forma di epatite cronica che può avere un decorso molto variabile, da asintomatico a molto grave; le principali caratteristiche sono: - PREVALENZA FEMMINILE - ASSENZA DI MARCATORI SIEROLOGICI VIRALI - IPERGAMMAGLOBULINEMIA - AUTOANTICORPI A TITOLO ELEVATO NELL’80% DEI CASI (ANA, SMA, ANTI-LKM) - NEGATIVITÀ AMA (ANTICORPI ANTI-MITOCONDRIALI). Spesso sono presenti altre forme di autoimmunità (AR, Hashimoto, Sjoegren). Si distinguono due sottotipi; il sottotipo 1 è ANA/SMA+, il sottotipo 2 è anti-LKM1+. Si osservano tutti gli aspetti istologici delle epatiti croniche ma generalmente con una maggiore caratterizzazione plasmacellulare dell’infiltrato. In alcuni pazienti si può associare una colangite autoimmune. Generalmente la mortalità è elevata sia a breve termine per l’epatite fulminante che può talvolta manifestarsi, sia per la progressione in cirrosi che rappresenta spesso un fenomeno ad insorgenza relativamente rapida. La malattia risponde alla terapia con immunosoppressori; nei casi gravi il trapianto è l’unica opzione terapeutica. DANNO EPATICO DA FARMACI 4

L’ascesso è generalmente formato da batteri commensali di zone adiacenti dell’organismo. il pus degli ascessi è incolore, con un odore fetido (anaerobi) e la suppurazione è spesso poco delimitata. In altri casi ricordano molto le normali lesioni da piogeni.

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DANNO EPATOCELLULARE

ESEMPI

DEGENERAZIONE MICROVESCICOLARE GRASSA

TETRACICLINE, SALICILATI, ETANOLO

DEGENERAZIONE MACROVESCICOLARE GRASSA

ETANOLO, METOTREXATE, AMIODARONE

NECROSI CENTROLOBULARE

PARACETAMOLO, ALOTANO, RIFAMPICINA

NECROSI DIFFUSA O MASSIVA EPATITE ACUTE FIBROSI

/ CRONICA

/ CIRROSI

ALOTANO, ISONIAZIDE, METILDOPA, PARACETAMOLO METILDOPA, ISONIAZIDE, FENITOINA ETANOLO, METOTREXATE, AMIODARONE

GRANULOMI

SULFAMIDICI, METILDOPA, ALLOPURINOLO

COLESTASI

CLORPROMAZINA, ERITROMICINA, CONTRACCETTIVI

EPATOPATIA ALCOLICA L’epatopatia alcolica si configura come un’affezione cronica con aspetti di steatosi, epatite, fibrosi progressiva, cirrosi e marcata alterazione della perfusione vascolare. Il consumo cronico di alcol ha diversi effetti negativi sul metabolismo; di maggiore impatto sono le varie forme di malattia epatica alcol-correlata, riassumibili in: - STEATOSI EPATICA - EPATITE ALCOLICA - CIRROSI Queste alterazioni non sempre rappresentano un continuum di alterazioni. Steatosi epatica. L’assunzione di alcol, anche modesta, determina la deposizione di piccole gocce di trigliceridi (microvescicole) negli epatociti; l’assunzione cronica determina la formazione di macrovescicole che dislocano il nucleo ed occupano gran parte del citoplasma degli epatociti. L’alterazione è inizialmente centrolobulare e si diffonde poi nell’organo; il fegato grasso è un organo grande (4-6 Kg), giallastro e untuoso; inizialmente la fibrosi è scarsa / assente, ma se l’assunzione di alcol persiste inizia come deposizione attorno alle diramazioni della vena epatica. Epatite alcolica. È caratterizzata da: - RIGONFIAMENTO E NECROSI DEGLI EPATOCITI; il rigonfiamento deriva dall’accumulo di grasso e acqua in foci singoli o disseminati di epatociti; - CORPI DI MALLORY; inclusioni citoplasmatiche eosinofile negli epatociti degenerati che si accumulano come matasse aggrovigliate di filamenti di citocheratina e altre proteine. - REAZIONE NEUTROFILA; i neutrofili permeano il lobulo e si accumulano attorno agli epatociti degenerati, in particolare quelli che presentano corpi di Mallory; anche linfociti e macrofagi invadono il parenchima. - FIBROSI; preminente attivazione delle cellule stellate perisinusoidali e dei fibroblasti portali; prevalentemente perisinusoidale e perivenulare e frammenta il parenchima. Cirrosi alcolica. L’evoluzione è generalmente lenta e insidiosa. All’inizio, il fegato cirrotico è giallo-bruno, grasso e ingrossato, di peso superiore ai 2 Kg; nell’arco di anni si trasforma in un organo scuro, raggrinzito, non grasso e con un peso nettamente inferiore. L’attività rigenerativa epatocitaria genera inizialmente dei micronoduli che possono poi aumentare di volume, con aspetto “a testa di chiodo”. La necrosi ischemica e l’obliterazione fibrosa dei noduli creano infine vaste aree di tessuto cicatriziale pallido e duro (“cirrosi di Laennec”).

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Patogenesi e clinica. Benché non esista una quantità giornaliera di alcol “sicura” e raccomandabile, tale da non poter in alcun modo essere dannosa per il fegato, il limite oltre il quale il danno epatico cronico diventa costante sembra essere di 80g alcol, che rappresentano comunque un limite molto elevato. L’epidemiologia rivela però che solo il 10-15% degli alcolisti sviluppa, presto o tardi, una cirrosi. La steatosi deriva da un aumento della sintesi di lipidi e da un aumento relativo di coenzimi ridotti, aumentato catabolismo periferico dei lipidi e alterata secrezione di lipoproteine. La riduzione dei livelli di glutatione determina inoltre particolare suscettibilità agli stress ossidativi e l’induzione del citocromo P450 fa sì che aumenti la quantità di metaboliti tossici prodotti da farmaci e xenobiotici. L’alcol e l’acetaldeide determinano un danno diretto delle membrane e perossidazione lipidica oltre che una alterazione strutturale delle proteine cellulari con la produzione di nuovi epitopi. Due particolari conseguenze dirette dell’alcol, sono inoltre il rilascio intestinale di endotossine batteriche (che di per sé determina uno stimolo alla flogosi epatica!) ed il rilascio di endoteline che stimolano la contrattilità delle cellule sinusoidali di Ito. MALATTIE METABOLICHE EPATICHE

STEATOSI EPATICA NON ALCOLICA E STEATOEPATITE NON ALCOLICA (NAFLD, NASH) La steatosi epatica non alcolica è una condizione simile alla steatosi alcolica, ma compare in soggetti che non sono forti bevitori. F=M; forte correlazioni con l’obesità, dislipidemia, insulinemia, insulino-resistenza e diabete di tipo II. La NAFLD è la più probabile spiegazione di ipertransaminasemia documentata nel 24% della popolazione adulta. Il fegato è steatosico, con accumulo di grandi e piccole vescicole di grasso all’interno degli epatociti. Si va da un estremo in cui mancano infiammazione e necrosi, alla steatoepatite (NASH), una forma intermedia di danno epatico in cui la biopsia mostra steatosi, infiammazione multifocale del parenchima, corpi di Mallory, morte degli epatociti e fibrosi sinusoidale; la cirrosi può comparire dopo anni di progressione subclinica e processi ripetuti di flogosi. I pts sono in gran parte asintomatici, con anomalie evidenti solo agli esami ematochimici. Sembra che il 1030% dei pts con NAFLD sviluppi nel tempo una cirrosi; la NAFLD sembra la causa più comune di cirrosi criptogenetica. Dieta ed esercizio fisico sono un utile ausilio terapeutico.

EMOCROMATOSI Malattia caratterizzata da disregolazione del omeostasi del ferro intracellulare negli enterociti, con inappropriato assorbimento del ferro e accumulo a livello di fegato, cuore, pancreas, etc. L’essere umano non ha una via escretoria apposita per il ferro; l’emocromatosi origina pertanto o da un difetto genetico che ne determina iperassorbimento o dalla somministrazione eccessiva di ferro, soprattutto parenterale. L’emocromatosi ereditaria (primitiva) è una malattia autosomica recessiva; le forme acquisite sono dette emocromatosi secondarie. Il ferro totale dell’organismo varia da 2-6 g nell’adulto sano; circa 0,5 sono nel fegato (98% negli epatociti). Nell’emocromatosi ereditaria, l’accumulo di ferro può superare i 50 g, di cui oltre un terzo si accumula nel fegato. Le caratteristiche dell’emocromatosi ereditaria conclamata sono: - CIRROSI MICRONODULARE - DIABETE MELLITO - IPERPIGMENTAZIONE CUTANEA L’accumulo di ferro dura tutta la vita e i primi sintomi compaiono generalmente dopo i 40 anni; il gene dell’emocromatosi (6p21.3, HFE) codifica per una molecola che regola l’assorbimento intestinale del ferro alimentare; la più comune mutazione di HFE è una sostituzione cisteina – tirosina dell’amminoacido 282

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(C282Y) che inattiva questa proteina di 343 aminoacidi. Associata all’aplotipo HLA-A3. (mutazione H63D ??) Predominante nei maschi (5-7:1) con una presentazione clinica più precoce; la fisiologica perdita di ferro nelle donne ne ritarda l’accumulo. La frequenza della mutazione dei bianchi caucasici è del 6-9%. La frequenza di omozigosi è dello 0,45% (1/220)  è una delle più comuni malattie genetiche umane. In questa malattia è persa la regolazione dell’assorbimento intestinale di ferro che porta all’accumulo di 0,51,0 g di ferro nell’organismo all’anno. Si manifesta clinicamente dopo un accumulo di 20 g di ferro. HFE  superficie basolaterali delle cellule epiteliali delle piccole cripte intestinali (spt duodeno); HFE si complessa con TFR impedendo il legame della transferrina (atto alla captazione del ferro da parte di queste cellule!). HFE mutante perde l’effetto facilitante sulla captazione del ferro TFR-dipendente, diminuendo il pool regolatore nelle cellule criptiche (il pool regolatore di ferro diminuisce!). Il ferro circolante in eccesso sembra avere un effetto tossico diretto: 1. per perossidazione lipidica 2. per stimolo alla formazione di collagene 3. per interazione con i radicali liberi e il DNA Le cause più comuni di emocromatosi secondaria sono le anemie emolitiche con eritropoiesi inefficace. L’eccesso di ferro può essere causato anche dalle trasfusioni; queste portano a emosiderosi sistemica, con danno solo in casi estremi. La cirrosi alcolica è spesso associata ad un modesto incremento di ferro colorabile intraepatico (redistribuzione del ferro alcol – indotta). Siderosi Bantu: simile all’emocromatosi ereditaria, si riscontra nell’africa subsahariana, come risultato dell’ingestione di bevande alcoliche fermentate in grandi contenitori di ferro. Le alterazioni morfologiche dell’emocromatosi ereditaria sono caratterizzate da: - deposito di emosiderina in fegato, pancreas, miocardio, ipofisi, surreni, tiroidi e paratiroidi, articolazioni, cute (reazione istologica al blu di prussia); - cirrosi; - fibrosi pancreatica. Nel fegato il ferro diventa evidente prima come granuli di emosiderina (giallo oro) nel citoplasma degli epatociti periportali, che si colorano con il blu di prussia in blu; con l’aumento del carico il lobulo è alterato e si pigmenta l’epitelio del dotto biliare e le cellule di Kupffer. Il ferro è un’epatotossina diretta e l’infiammazione è assente. In questa fase il fegato è color marrone cioccolato, denso e lievemente ingrandito. Lentamente si sviluppano setti fibrosi che portano a cirrosi micronodulare in un fegato intensamente pigmentato. La determinazione biochimica della concentrazione tissutale di ferro nel tessuto non fissato è lo standard per quantificare il ferro epatico. Nei soggetti normali questo valore è < 1000 µg/g di peso secco di tessuto. I pts con emocromatosi ereditaria presentano oltre 10000 µg/g. Concentrazioni superiori a 22000 µg/g sono associate a fibrosi – cirrosi. Il pancreas diventa intensamente pigmentato; mostra diffusa fibrosi interstiziale e si può notare una certa atrofia parenchimale. L’emosiderina è visibile sia nelle cellule acinari che insulari Il cuore è ingrandito e con granuli di emosiderina nel tessuto (colorazione marrone lucente dell’organo). L’iperpigmentazione è dovuta in parte all’accumulo di ferro nei macrofagi dermici, ma soprattutto alla iperproduzione di melanina. La cute diventa color grigio – ardesia. Si possono anche sviluppare sinoviti acute. Si produce una poliartrite invalidante da pirofosfato di calcio (pseudogotta); i testicoli possono essere atrofici, ma non sono generalmente pigmentati. Clinica: - EPATOMEGALIA - DOLORE ADDOMINALE - PIGMENTAZIONE CUTANEA (AREE FOTOESPOSTE IN PARTICOLARE) - ALTERATA OMEOSTASI GLICEMICA / DIABETE MELLITO PER DISTRUZIONE INSULE PANCREATICHE - INSUFFICIENZA CARDIACA - ARTRITE ATIPICA.

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La classica triade può non svilupparsi fino agli stadi terminali della malattia. La morte può essere causata dalla cirrosi o dalla cardiopatia. Il rischio di HCC è 200 volte maggiore che nella popolazione generale e il trattamento chelante non ne elimina il rischio. Può essere diagnosticata prima del danno irreversibile (transferrinemia, ferritinemia, sideremia, agobiopsia epatica).

MALATTIA DI WILSON Malattia autosomica recessiva caratterizzata dall’accumulo di rame in molti tessuti e organi (fegato, cervello e occhio). Il 40-60% del rame ingerito giornalmente viene assorbito (stomaco, duodeno) e trasportato al fegato legato all’albumina; il rame viene assorbito dagli epatociti, dove è incorporato da un’alfa2 globulina sintetizzata dal reticolo endoplasmatico per formare ceruloplasmina, poi secreta nel plasma. La ceruloplasmina contiene il 90-95% del rame plasmatico; il suo ruolo biologico è probabilmente quello di regolare lo stato di ossidazione del ferro; la forma desialilata (invecchiata) viene endocitata dal fegato, degradata dai lisosomi e il suo rame escreto nella bile; questa via di degradazione – escrezione è la principale via di eliminazione del rame; il rame totale nel corpo è di 50-150 mg. Il gene codifica per ATP7b ed è localizzato sul cromosoma 13; codifica per un’ATP-asi transmembrana che trasporta il rame localizzata sulla membrana canalicolare dell’epatocita. L’alterazione del legame porta all’accumulo epatico di rame, causando danni tossici al fegato, attraverso la formazione di radicali liberi catalizzata dal rame. In genere le manifestazioni cliniche si manifestano intorno ai 5 anni: il rame non legato alla ceruloplasmina si riversa in circolo, causando emolisi e modificazioni patologiche in altri siti come cervello, cornee, reni, ossa, articolazioni, paratiroidi. Le alterazioni epatiche sono variabili. La degenerazione grassa può essere lieve – moderata, con nuclei vacuolati e anche necrosi focale degli epatociti. Un’epatite acuta può mimare un’epatite virale (ma è accompagnata da degenerazione grassa); l’epatite cronica mostra infiammazione moderata – grave e una necrosi epatocitaria con il particolare aspetto di steatosi macrovescicolare, nuclei epatocellulari vacuolati e corpi di Mallory. Con la progressione si sviluppa cirrosi; la necrosi epatica massiva è rara e indistinguibile da quella virale – tossica. Il deposito dell’eccesso di rame può essere dimostrato con particolari colorazioni (rodanina e orceina per le proteine associate). Rame epatico > 250 µg per grammo di peso secco. Nel cervello il danno tossico interessa

principalmente i gangli della base (putamen  atrofia e cavitazione); molti pazienti sviluppano anelli di Keyser-Fleischer (depositi verde – marrone nella membrana di Descemet nel limbo della cornea). La presentazione più comune è una patologia epatica acuta / cronica; negli altri casi le manifestazioni sono neuropsichiatriche, come modificazioni del comportamento, psicosi franca o parkinsonismo. La diagnosi biochimica si basa su riduzione della ceruloplasmina, aumento del contenuto epatico di rame, incremento dell’escrezione urinaria di rame; gli anelli di KF confermano la diagnosi. La terapia chelante a lungo termine con D-penicillamina modifica il decorso; il trapianto di fegato è necessario in caso di cirrosi avanzata o epatite fulminante.

DEFICIT DI α1 – ANTI – TRIPSINA (AAT) Malattia autosomica recessiva caratterizzata da livelli sierici abnormemente bassi di AAT. L’AAT inibisce normalmente alcune proteasi (elastasi, catepsina G e proteinasi 3) rilasciate dai neutrofili nelle sedi di infiammazione. Il deficit provoca la comparsa di enfisema polmonare e provoca patologie epatiche nei neonati e nei giovani adulti, con un meccanismo diverso: l’AAT è una piccola glicoproteina plasmatica sintetizzata dagli epatociti; ne esistono almeno 75 forme; il genotipo più comune è PiMM (90% dei soggetti); la più comune variante patologica è la PiZZ che determina livelli di AAT pari al 10% del normale. Questi soggetti hanno un elevato rischio di manifestare la malattia clinica. Solo il 10% degli individui PiZZ sviluppa la malattia epatica; tale sottogruppo presenta ritardi nel processo di degradazione proteica del sistema RE; l’AAT patologica accumulata non è tossica di per sé ma

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per l’intensa risposta di autofagocitosi stimolata all’interno degli epatociti, come via alternativa di degradazione, probabilmente attraverso l’autofagocitosi dei mitocondri. La malattia epatica è caratterizzata da inclusioni citoplasmatiche globulari rotonde od ovalari eosinofile negli epatociti, PAS+ e diastasi resistenti. Le sindromi epatiche correlate alla presenza di PiZZ sono molto varie e vanno dall’epatite neonatale con/senza colestasi e fibrosi alla cirrosi infantile, a un’epatite cronica infiammatoria subclinica. Nella maggior parte dei casi il solo aspetto caratteristico della malattia epatica è dato dai globuli PAS+; raramente sono presenti degenerazione grassa e corpi di Mallory. Un carcinoma epatocellulare si sviluppa nel 2-3% dei pazienti con PiZZ, generalmente in un contesto di cirrosi.

COLESTASI NEONATALE (ITTERO NEONATALE) La colestasi neonatale è una prolungata iperbilirubinemia coniugata che colpisce 1/2500 nati vivi; le possibili cause sono: - atresia biliare primitiva - epatiti neonatali Non si tratta di patologie specifiche, né di forme tipicamente infiammatorie; il riscontro di colestasi neonatale deve pertanto indurre ad un’accurata ricerca della causa sottostante infettiva, tossica, metabolica; escluse tutte le cause note, si parla di epatite neonatale idiopatica. Si manifesta con: - ittero - urine scure - feci ipocoliche / acoliche - epatomegalia La biopsia epatica permette di distinguere un’epatite neonatale da una colangiopatia identificabile. Le caratteristiche morfologiche sono: - disorganizzazione lobulare con necrosi epatocellulare focale; - trasformazione panlobulare a cellule giganti degli epatociti e formazione di rosette di epatociti a disposizione radiale; - preminente colestasi epatocellulare e canalicolare; - infiltrazione mononucleata lieve nelle aree portali - modificazioni reattive nelle cellule di Kupffer - emopoiesi extramidollare Possono essere presenti quadri di interessamento duttale e fibrosi dei tratti portali che rendono difficile la diagnosi differenziale con colangiopatie ostruttive. PRINCIPALI CAUSE DI COLESTASI NEONATALE

-

OSTRUZIONE DEL DOTTO BILIARE

 -

-

-

atresia biliare extraepatica

INFEZIONI NEONATALI

   

cytomegalovirus sepsi batterica infezione del tratto urinario sifilide

 

farmaci nutrizione parenterale

TOSSICHE

MALATTIE METABOLICHE



tirosinemia

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-

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m di Niemann – Pick galattosemia vie di sintesi difettose degli acidi biliari deficit AAT fibrosi cistica

  

shock / ipoperfusione cirrosi dei bambini indiani sindrome di Alagille (scarsità dei dotti biliari)

MISCELLANEA

EPATITE NEONATALE IDIOPATICA

MALATTIE DELLE VIE BILIARI INTRAEPATICHE

CIRROSI BILIARE PRIMITIVA Malattia colestatica del fegato, cronica, progressiva e spesso letale, caratterizzata da distruzione dei dotti biliari intraepatici, infiammazione portale e cicatrizzazione, con sviluppo di cirrosi e insufficienza epatica. La caratteristica della malattia è una distruzione infiammatoria non suppurativa dei dotti biliari intraepatici di media grandezza; la cirrosi compare dopo molti anni dall’instaurarsi della patologia che non si configura da subito con un quadro di cirrosi. F:M = 6:1; donne di mezza età (40-50 anni). L’esordio è insidioso, spesso con prurito (l’ittero è un fenomeno tardivo), epatomegalia; xantomi e xantelasmi (da ritenzione sistemica di colesterolo). In due o più decenni si sviluppano insufficienza epatica, ipertensione portale ed emorragie da varici ed encefalopatia epatica. ALP elevata e colesterolemia elevata. Nel 90% pts sono presenti anticorpi AMA (contro la subunità E2 del complesso piruvato-deidrogenasi mitocondriale). Evidenze indicano un’attivazione autoimmunitaria (aberrante espressione MHC-II sulle cellule epiteliali del dotto biliare e accumulo di linfociti T autoreattivi intorno ai dotti biliari. Frequente associazione con altre patologie autoimmuni (AR, Sjoegren, tiroiditi, glomerulonefriti, malattia celiaca). Si tratta di una malattia focale variabile che presenta diversi aspetti in diverse porzioni del fegato; nella fase precirrotica, i tratti portali sono infiltrati da densi accumuli di linfociti, macrofagi, plasmacellule e occasionalmente eosinofili; i dotti biliari terminali vanno incontro a distruzione progressiva con reazione duttulare. Vi è colestasi generalizzata del parenchima. La stasi biliare conferisce al fegato un colore verdastro; il peso del fegato è leggermente ridotto.

COLANGITE SCLEROSANTE PRIMITIVA La colangite sclerosante primitiva è caratterizzata da infiammazione e fibrosi obliterante dei dotti biliari intraepatici ed extraepatici, con dilatazione dei segmenti conservati. L’aspetto radiologico con mezzo di contrasto baritato è quello di un albero biliare a “corona di rosario”. Si osserva frequentemente in associazione a IBD, in particolare la rettocolite ulcerosa (presente nel 70% dei casi di CSP). M:F=2:1, tra la terza – quinta decade di vita. La patogenesi sembra mediata da citochine infiammatorie di origine macrofagica, seguita dall’infiltrazione di cellule T nello stroma immediatamente circostante ai dotti biliari. Si tratta di una colangite fibrosante dei dotti biliari con infiltrato linfocitario, progressiva atrofia dell’epitelio del dotto biliare e obliterazione del lume. La fibrosi periduttale concentrica intorno ai dotti colpiti (“a bulbo di cipolla”) è seguita dalla loro scomparsa, che residua in una solida cicatrice fibrosa cordoniforme. Con il progredire della malattia il fegato diventa marcatamente colestatico e cirrotico, con un quadro praticamente uguale a quello della CBP. Diversamente dalla CBP, gli autoanticorpi sono presenti in meno del 10% dei pazienti; l’esordio è generalmente segnato da un persistente aumento dei livelli di ALP.

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ANOMALIE DELL’ALBERO BILIARE (COMPRESE LE CISTI EPATICHE)

Gruppo eterogeneo di lesioni in cui l’anomalia principale è data dall’alterata architettura dell’albero biliare intraepatico. Sono state descritte quattro lesioni distinte:

1. Complessi di von Meyenburg; piccoli grappoli di dotti biliari leggermente dilatati all’interno degli spazi portali, immersi in uno stroma fibroso; sono microamartomi dei dotti biliari e di solito non contengono materiale pigmentato. 2. Malattia policistica del fegato; fegato con molteplici lesioni cistiche (anche centinaia) rivestite da epitelio biliare cuboide o appiattito e contengono un fluido paglierino; non sono in comunicazione con l’albero biliare e non contengono materiale pigmentato. 3. Fibrosi epatica congenita; gli spazi portali sono ingranditi da bande di collagene grandi e irregolari che formano setti e dividono il fegato in isole irregolari; dotti biliari di aspetto anomalo e numero variabile sono immersi nel tessuto fibroso e i dotti biliari restanti sono distribuiti lungo i setti margina. 4. Malattia di Caroli; i dotti biliari maggiori intraepatici sono dilatati in modo segmentario e possono contenere bile densa; di solito associata a fibrosi epatica congenita. Nella malattia di Alagille, dovuta ad una mutazione del gene Jagged1 (20p) i dotti biliari degli spazi portali sono assenti. Si associa a facies caratteristica, con anomalie cardiovascolari e vertebrali. DISORDINI CIRCOLATORI

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1- ALTERAZIONI DEL FLUSSO EMATICO VERSO IL FEGATO

a.

COMPROMISSIONE DELL’ARTERIA EPATICA:

la doppia circolazione epatica rende l’infarto epatico un evento assai raro e peculiare; trombosi/compressioni dell’arteria epatica, neoplasie, PAN, sepsi possono produrre un infarto localizzato (anemico e bruno chiaro) o talora emorragico a causa di soffusioni di sangue portale. L’interruzione del ramo epatico principale, se il fegato è peraltro normale, non sempre genera necrosi ischemica; il flusso arterioso retrogrado è in genere sufficiente, unito al supporto portale, a sostenere il fabbisogno dell’organo. La sola eccezione è la trombosi dell’arteria epatica nel fegato trapiantato, che generalmente porta alla perdita dell’organo. b. OSTRUZIONE E TROMBOSI DELLA VENA PORTA: il blocco extraepatico della vena porta può essere un evento ben tollerato o catastrofico; spesso porta a dolore addominale ed ascite refrattaria; l’ostacolo acuto all’efflusso venoso intestinale può causare infarto intestinale. L’ostruzione della vena porta extraepatica può originare da: 1. SINDROME DI BANTI: occlusione subclinica della vena porta che si manifesta dopo anni con ascite ed emorragia da varici; 2. PILEFLEBITE: da sepsi intra-addominale; 3. DISORDINI TROMBOFILICI: come la trombosi post-operatoria; 4. TRAUMI; 5. PANCREATITE, che innesca una trombosi della vena splenica. La trombosi di un ramo della vena porta intraepatica acuta non provoca infarto ischemico, ma colorazione rosso – bluastra, indicata come “infarto di Zahn”: non compare necrosi, ma solo una grave atrofia epatocellulare e marcata emostasi nei sinusoidi distesi. L’ipertensione portale idiopatica è una condizione cronica generalmente ad andamento blando, di ostacolato afflusso venoso portale ed ipertensione portale non cirrotica. Può essere associata ad ipercoagulabilità. Si manifesta con sclerosi epato-portale a causa della densa fibrosi degli spazi portali intraepatici. 2- ALTERAZIONI DEL FLUSSO EMATICO ATTRAVERSO IL FEGATO

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La più comune causa di ostruzione al flusso ematico intraepatico è la cirrosi. Inoltre, l’occlusione fisica dei sinusoidi si verifica in un ristretto gruppo di malattie: la drepanocitosi (anemia falciforme), la coagulazione intravascolare disseminata (DIC), l’eclampsia e la disseminazione di cellule neoplastiche.

a.

Queste condizioni rappresentano un continuum morfologico. L’insufficienza cardiaca destra porta alla congestione passiva del fegato; il fegato è ingrandito, cianotico, teso; con il tempo, gli epatociti centrolobulari diventano atrofici. L’insufficienza cardiaca sinistra e lo shock determinano ipoperfusione e necrosi centrolobulare; il fegato assume un aspetto chiazzato e variegato, noto come “fegato a noce moscata”. Meno comune è la sclerosi cardiaca, con fibrosi centrolobulare. Storicamente alterazioni di questo tipo sono state denominate cirrosi cardiaca, anche se raramente vi è una cirrosi istologicamente documentabile. b. PELIOSI EPATICA: Rara condizione di dilatazione sinusoidale primitiva; associata all’assunzione di steroidi anabolizzanti, contraccettivi orali e danazolo. Le lesioni scompaiono alla sospensione del trattamento farmacologico. CONGESTIONE

PASSIVA

E

NECROSI

CENTROLOBULARE:

3- OSTRUZIONE AL DEFLUSSO VENOSO EPATICO a. TROMBOSI DELLA VENA EPATICA / VENA CAVA INFERIORE: L’ostruzione trombotica di una singola vena epatica è clinicamente silente; l’ostruzione di due o più vene epatiche principali produce ingrandimento epatico, dolore, ascite (sindrome di Budd – Chiari). La trombosi della vena epatica è associata a malattie mieloproliferative, ipercoagulabilità ereditarie, sindrome Ab anti PL, emoglobinuria parossistica notturna, neoplasie intraaddominali (spt epatocarcinoma). Il 10% circa dei casi è di origine idiopatica. La trombosi della cava inferiore epatica (epato – cavopatia obliterante). Il fegato appare rosso purpureo e rigonfio, con capsula tesa; il parenchima interessato presenta grave congestione centrolobulare e necrosi; quando la trombosi si sviluppa lentamente compare fibrosi centrolobulare. La trombosi della cava guarisce con diaframma membranoso incompleto, a differenza della trombosi delle vene epatiche. Le forme croniche sono meno letali (ipertrofia del lobo caudato). b. MALATTIA VENO – OCCLUSIVA (SINDROME DA OSTRUZIONE SINUSALE): descritta nei bevitori giamaicani di the verde, contenente alcaloidi. Si manifesta nelle settimane immediatamente successive al trapianto di midollo osseo: 25% di tutti i riceventi di allo-BMT, con una mortalità di oltre il 30%. La diagnosi è posta su dati clinici: epatomegalia, ascite, crescita ponderale e ittero, a causa del rischio della biopsia in questi pazienti. Obliterazione dei rami delle vene epatiche; nella malattia acuta compare una straordinaria congestione centrolobulare con necrosi epatocellulare e accumulo di macrofagi carichi di emosiderina; con il progredire, l’obliterazione si identifica con colorazioni connettivali. Quando cronicizza/guarisce, può essere presente una densa fibrosi perivenulare, con obliterazione venulare spesso completa. Origina probabilmente da danni tossici sulla parete sinusale che producono detriti che vanno a danneggiare ed ostruire le venule distalmente.

NODULI E TUMORI BENIGNI Lesioni nodulari del fegato: 1. TUMORI E LESIONI PSEUDOTUMORALI EPATOCITARIE A. CISTI B. IPERPLASIA NODULARE RIGENERATIVA

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2.

3.

C.

IPERPLASIA NODULARE FOCALE

D.

ADENOMA EPATOCELLULARE

E.

CARCINOMA EPATOCELLULARE

F.

EPATOBLASTOMA

TUMORI E LESIONI PSEUDOTUMORALI DEI DOTTI BILIARI A.

AMARTOMA DEI DOTTI BILIARI (C. VON

MEYENBURG)

B.

ADENOMA COLANGIOCELLULARE

C.

CISTOADENOMA DEI DOTTI BILIARI

D.

ADENOCARCINOMA DEI DOTTI (COLANGIOCARCINOMA)

E.

CISTOADENOCARCINOMA DEI DOTTI BILIARI

TUMORI E LESIONI PSEUDOTUMORALI CONNETTIVALI A.

EMANGIOMA

B.

LINFANGIOMA

C.

EMANGIOENDOTELIOMA

D.

LEIOMIOMA

E.

SARCOMA

Le masse epatiche possono giungere all’attenzione perché determinano tensione o fastidio epigastrico o anche essere rivelate da esami di routine.

CISTI EPATICA Lesione uniloculare tappezzata da epitelio semplice cuboidale, circondata da tessuto epatico normale; 80% interessa il sesso femminile; nel fegato policistico associazione con multipli amartomi dei dotti biliari. Malattia epatobiliare fibropolicistica: cisti epatiche con fibrosi epatica congenita e cisti del coledoco; adulti cisti epatiche talora associate a rene policistico (vedi tabella a pag. 19). Pazienti con rene policistico hanno maggiore predisposizione all’insorgenza del colangiocarcinoma. La parete di una cisti semplice è composta da un sottile strato di tessuto fibroso; tipico epitelio cuboidale: raramente può essere colonnare o squamoso.

IPERPLASIA NODULARE Nel fegato non cirrotico possono svilupparsi noduli epatocitari iperplastici singoli / multipli. Due di queste condizioni sono: - iperplasia nodulare focale - iperplasia nodulare rigenerativa L’iperplasia nodulare focale (NFH): lesione pseudotumorale legata a malformazione vascolare o alterato flusso circolatorio. Appare come un nodulo ben demarcato, senza capsula (dd’ adenoma), che può raggiungere 15 cm di diametro; ha colore più chiaro rispetto al fegato circostante, giallastro. Si osserva una cicatrice centrale depressa e stellata, grigiastra, da cui si irradiano setti fibrosi verso la periferia. La cicatrice centrale contiene vasi arteriosi con iperplasia fibromuscolare e restringimenti del lume; il setti presentano foci di intenso infiltrato linfocitario e proliferazione duttale (dd’ adenoma). Il parenchima tra i setti mostra epatociti normali ma a lamine piatte ispessite (rigenerazione). Più frequente nelle donne. Non comune; donne giovani, III/IV decade. Asintomatico (80%), solitario. Contraccettivi? Caratteristiche distintive: - vaso arterioso centrifugo, reperto angiografico RMN; - iperplasia con evidente cicatrice stellata centrale; - bande di fibrosi mimanti una cirrosi macronodulare. L’iperplasia nodulare rigenerativa interessa tutto il fegato con noduli sferici senza fibrosi. Necessarie colorazioni per la reticolina per apprezzare le modificazioni nell’architettura epatocellulare. Diffusa nodularità del fegato non associata a fibrosi, con aspetto macroscopico simil cirrotico. Spesso asintomatica, può determinare ipertensione portale. Probabilmente dovuta ad alterazioni vascolari dei rami portali intraepatici. Talvolta associata ad AR, s Felty, policitemia vera, LES, mielofibrosi e mieloma.

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Noduli multipli con sovvertimento strutturale; dd’ con cirrosi o metastasi carcinomatose. Epatociti intranodulari sono più pallidi degli epatociti compressi tra i noduli.

TUMORI BENIGNI La forma più comune è l’emangioma cavernoso, un tumore dei vasi sanguigni che si presenta come nodulo rosso – bluastro ben demarcato, molle, generalmente con diametro inferiore ai 2 cm, spesso localizzato immediatamente sotto la capsula. Il suo significato è quello di non essere confuso con un tumore metastatico; non devono essere eseguite biopsie percutanee alla cieca su di esso. Frequente reperto incidentale: 1% autopsie. Solitamente asintomatico. 15% sintomi da compressione per presenza di emangiomi giganti talora multipli. Frequenti fibrosi e cicatrizzazione della lesione. Ampi spazi vascolari tappezzati da endoteli appiattiti. Le neoplasie benigne epatocitarie sono gli adenomi epatocellulari (tumore benigno composto esclusivamente da epatociti) che tendono a manifestarsi in donne giovani (30-40 anni) che hanno utilizzato contraccettivi orali; generalmente regrediscono con la sospensione del farmaco. Raro. Possibili adenomi multipli connessi con l’uso di steroidi anabolizzanti. Clinica: massa sintomatica / dolore al quadrante superiore destro / emoperitoneo da rottura. Massa voluminosa di 10 o più cm di diametro, solitamente singola a superficie variegata e capsulata. Cordoni e trabecole doppie / triple di epatociti monomorfi, simili agli epatociti normali. Possibile, ma RARA l’evoluzione in HCC. Privo di triadi portali e vene centrali, manca la connessione con le strutture biliari. Rischio di confonderli con HCC; gli adenomi sottocapsulari tendono a rompersi provocando gravi emorragie intraperitoneali; raramente possono nascondere un HCC. Sono noduli pallidi giallo – brunastri spesso tinti di bile localizzabili ovunque nel fegato, ma spesso al di sotto della capsula; possono raggiungere i 30 cm; generalmente ben capsulati. Gli adenomi colangiocellulari sono un reperto raro, spesso incidentale. Solitamente singolo nodulo tondeggiante di 0,5 – 1 cm. Proliferazione di dotti monomorfi rivestiti di epitelio biliare eutipico. Frequente presenza di evidente membrana basale periduttale. Frequente infiltrato linfogranulocitario stromale. Il cistoadenoma epatobiliare è una rara lesione. Cisti loculare di diametro 7 – 25 cm. Si può osservare un tipico stroma mesenchimale simile allo stroma ovarico. Esclusivamente nel sesso femminile. Superficie interna liscia con possibili formazioni vegetanti polipoidi. Possibile trasformazione maligna. TUMORI MALIGNI Il fegato e il polmone sono gli organi maggiormente sede di metastasi carcinomatose. I carcinomi primitivi del fegato sono relativamente rari nel nord america ed europa occidentale. I tumori maligni primitivi degli epatociti sono detti carcinoma epatocellulare (HCC). Molto meno frequenti i carcinomi del dotto biliare (colangiocarcinoma). CARCINOMA EPATOCELLULARE Neoplasia maligna che origina dagli epatociti, dei quali conserva le caratteristiche morfologiche e le proprietà funzionali. Rappresenta il 5,4 % circa dei tumori. Il maggior numero di casi si osserva in Asia e Africa. L’incidenza è circa di 5/100000 in America ed Europa del Nord; nei paesi del mediterraneo arriva a 15/100000. I neri sono 3 volte più colpiti dei caucasici e i maschi sono 1,5-3 volte più colpiti delle donne. Oltre l’85% si verifica in paesi con HBV endemico: la trasmissione verticale al neonato fa sì che il tumore si sviluppi nell’età adulta (rischio 200x). Nei paesi occidentali, la cirrosi è presente in più del 90% dei casi di HCC (l’età media di

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questi pazienti è di oltre 5 anni più elevata). Raro prima dei 60 anni di età  aumento della prevalenza virus indotta (HCV). 3 associazioni eziologiche principali con infezione HBV / HCV, alcolismo cronico e contaminanti alimentari (aflatossine). Altre condizioni di rischio comprendono la tirosinemia e l’emocromatosi ereditaria. Virus, ormoni, alcol, alimentazione interagiscono con lo sviluppo di HCC. La patologia che con maggior probabilità dà luogo ad HCC è la tirosinemia ereditaria, condizione rarissima in cui quasi il 40% dei pts sviluppa HCC. Lo sviluppo di cirrosi è importante ma non essenziale. Fattori predisponenti: - cirrosi - iperplasia adenomatosa - virosi epatotrope - displasia epatocitaria (a grandi/piccole cellule) - somministrazione di ossido di torio (Thorotrast, mezzo di contrasto angiografico un tempo in uso) - assunzione estroprogestinici - deficit AAT - tirosinemia - atassia / teleangectasia - contaminazione cibi con aflatossina - schistosomiasi Vaste ricerche epidemiologiche correlano l’infezione cronica da HBV / HCV con il cancro del fegato. I ripetuti cicli di flogosi / necrosi / infiammazione sono alla base dello stimolo proliferativo delle cellule che diventeranno neoplastiche. Displasia epatocitaria può derivare da mutazioni puntiformi di geni cellulari selezionati, LOH nei geni oncosoppressori, espressione costitutiva HGF e TGF-alfa. L’accumulo di mutazioni può alla fine trasformare gli epatociti. L’instabilità genomica è più probabile in presenza dell’integrazione dell’HBV-DNA che determina delezioni, traslocazioni e duplicazioni cromosomiche. Il genoma di HBV codifica per la proteina X, attivatore della trascrizione di molti geni. L’aflatossina può legarsi al DNA con legami covalenti, causando mutazione nei protooncogeni e geni oncosoppressori (p53). Macroscopicamente il HCC può assumere l’aspetto di: - una massa unifocale, generalmente grande; - noduli multifocali, di dimensioni variabili, ampiamente distribuiti; - un cancro diffusamente infiltrante che invade l’intero fegato. Sono noduli verde – giallastri di consistenza molle, spesso necrotici, con satelliti neoplastici adiacenti. Frequente trombosi neoplastica della vena porta. In ognuno di questi casi si può manifestare epatomegalia. I carcinomi sono più chiari del fegato circostante e talora assumono un colore verde, quando composti da epatociti più differenziati secernenti bile. Tutti i tipi hanno una propensione ad invadere i vasi  estese metastasi intraepatiche. Il HCC varia da lesioni ben differenziate a lesioni anaplastiche scarsamente differenziate. Nei tumori più differenziati, le cellule di origine epatocitaria sono disposte sia in pattern trabecolare che acinare / pseudoghiandolare. Una variante distintiva è il carcinoma fibrolamellare che compare in giovani adulti M=F, 20-40 anni, non associato a HBV o cirrosi. Ha prognosi migliore. È un tumore isolato, duro – scirroso con bande fibrose che lo attraversano. Composto da cellule poligonali ben differenziate che si dispongono in nidi / cordoni separati da lamelle parallele di densi fasci di collagene. Classificazione macroscopica Eggel liver study group of Japan: - tipo 1: nodulare - tipo 2: nodulare con crescita extranodale - tipo 3: nodulare confluente - tipo 4: polinodulare

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- tipo 5:

massivo

Correlazione tipo macroscopico – metastatizzazione intra/extraepatica. - tipo 1: metastasi intraepatiche 28%; trombosi neoplastiche 28%; metastasi linfonodali 14%; metastasi ematiche 14%; - tipo 2: 93%, 72%, 15%, 47%; - tipo 3/4: 100%, 40%, 70%, 70%; - tipo 5: 98%, 83%, 38%, 75%. Correlazione tipo macroscopico – sopravvivenza in HCC operati: - 1: due anni 90%; 4 anni 70%; 6 anni 60%; - 2: 75%, 30%, 30%; - 5: 60%, 30%, 20%. Grading di Edmondson - G1: struttura microtrabecolare; cellule simili ad epatocita eutipico; - G2: struttura microtrabecolare; cellule moderatamente atipiche; - G3: struttura pseudoghiandolare o solida; cellule poligonali poco differenziate - G4: struttura variabile: cordoni / filiere o cellule isolate poco differenziate polimorfe di grande taglia. HCC: varianti clinico-patologiche - HCC fibrolamellare; età adulto-giovanile; fegato non cirrotico; possibile origine da iperplasia nodulare focale; prognosi migliore (sopr. 56%); - HCC con sclerosi; forma massiva, decorso aggressivo, exitus 6 mesi; 70% ipercalcemia / ipofosfatemia; Il HCC diffonde nel fegato ampiamente per contiguità. L’invasione venosa (vene epatiche) dà luogo a metastatizzazione a distanza. Le metastasi al polmone compaiono in fase avanzata. Rapida diffusione attraverso il sistema venoso portale, via intraepatica, polmone. Diffusione vene sovraepatiche, vena cava, atrio destro; invasione albero biliare, diaframma, linfonodi regionali. Metastasi per via ematica: surrene, ossa. Le manifestazioni cliniche sono poco specifiche. Dolore ai quadranti superiori dell’addome, malessere, astenia, calo ponderale, ripienezza addominale. In molti casi il fegato è ingrossato e palpabile con irregolarità e nodularità di ampie proporzioni, che consentono di differenziare il quadro dalla cirrosi. Nel 50-75% dei pts sono elevati i livelli sierici di α−fetoproteina (AFP). Per i piccoli tumori sono sicuramente più sensibili le tecniche di imaging ecografico, angiografico, TC e RM. L’evoluzione naturale del tumore è quella di invadere diffusamente la massa epatica e metastatizzare, in genere soprattutto ai polmoni e poi ad altre sedi. In generale la morte avviene per: - cachessia - emorragia GI / da varici esofagee - insufficienza epatica con coma epatico - rottura del tumore con emorragia fatale (raro). La variante fibrolamellare ha un decorso più favorevole; origina in giovani adulti sani ed è spesso suscettibile di exeresi curativa.

EPATOBLASTOMA È il più comune tumore epatico maligno dell’età pediatrica (< 3 anni età). Solitamente associato a malattie dismetaboliche (tirosinemia e glicogenosi di tipo 1). Massa voluminosa fino a 20 cm di diametro, superficie

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variegata. Può essere epiteliale puro o epiteliale – mesenchimale. Due tipi di epitelio: fetale / embrionale. Mesenchima di tipo osteoide / condroide o elementi fusati indifferenziati. Frequenti foci di emopoiesi extramidollare.

COLANGIOCARCINOMA Neoplasia maligna dell’albero biliare che origina dai dotti biliari intraepatici. Raro. 0,6/100000. M:F=1:2. Nessuna associazione con la cirrosi epatica. Le condizioni di rischio comprendono: - preesistente patologia biliare (amartomi, dilatazioni; infestazione da Chlonorchis, steroidi, litiasi) - malattia congenita fibropolicistica; - esposizione pregressa al Thorotras (ossido di torio), utilizzato in passato per la colangiografia; - colangite sclerosante primitiva. Originano nel fegato non cirrotico e possono seguire gli spazi portali intraepatici, creando una massa tumorale arboriforme, all’interno di una parte del fegato. Possono anche formare masse nodulari. La caratteristica principale è l’invasione massiva vascolare e linfatica che produce estesa diffusione intraepatica. La maggior parte sono adenocarcinomi sclerosanti moderatamente differenziati con strutture tubulo – ghiandolari rivestite da cellule cuboidali / piatte polimorfe anche nella stessa ghiandola. Sono neoplasie marcatamente desmoplastiche. CEA ed EMA+, KER 7++. Il tumore è solido e granuloso, raramente screziato di bile, perché l’epitelio differenziato dei dotti non è in grado di sintetizzare la bile. Si possono osservare varianti miste; si riconoscono 3 forme: - masse tumorali separate di HCC e colangiocarcinoma nello stesso fegato; - tumori di collisione in cui masse di HCC e colangiocarcinoma presentano un’interfaccia; - neoplasie in cui elementi di HCC e colangiocarcinoma sono intimamente legati a livello microscopico. Le varianti miste sono comunque rare. Al taglio ha un aspetto lardaceo. Le metastasi a polmone, ossa, surreni, cervello e altre sedi, si osservano nella metà dei casi, così come le metastasi ai linfonodi regionali. Si tratta di un tumore non diagnosticato fino a quando non abbia dato luogo ad una massa epatica sintomatica o abbia ostruito il flusso biliare (fase terminale). L’esito è infausto. La sopravvivenza a 2 anni è del 13%. L’intervallo medio di tempo tra la diagnosi e la morte è di 6 mesi. ANGIOSARCOMA Più frequente tumore maligno mesenchimale, spesso associato a fattori chimici, radiazioni. Può coesistere con cirrosi; spesso ha configurazione multinodulare. Endoteli atipici, pleomorfi, delimitanti sinusoidi o configuranti aree solide TUMORI METASTATICI Molto più frequenti del tumore primitivo. Spesso mammella, polmone e colon; qualunque neoplasia può però diffondere al fegato, comprese leucemie e linfomi. Si osservano tipicamente noduli multipli spesso causanti epatomegalia. I noduli crescono superando le capacità di vascolarizzazione, dando luogo a necrosi centrale e ombelicazione della superficie epatica.

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VIE BILIARI

ANATOMIA

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Il fegato secerne fino ad un litro di bile al giorno, che nella fase post – prandiale viene immagazzinata nella colecisti, che nell’adulto ha una capacità di circa 50 mL. A differenza del resto del tratto gastrointestinale, la colecisti manca di una muscularis mucosae e di una sottomucosa e presenta esclusivamente un rivestimento mucoso costituito da un monostrato di cellule colonnari, uno strato fibromuscolare, uno strato di grasso sottosieroso con arterie, vene, linfatici e paragangli e un rivestimento peritoneale che cessa nel punto i contatto tra la colecisti e la fossa cistica. Nel collo della colecisti le pliche mucose si uniscono a formare le valvole spirali di Heister che si estendono nel dotto cistico e aiutano a ritenere la bile. Piccole invaginazioni sacciformi della mucosa possono penetrare nel contesto della parete muscolare: seni di Rokitansky – Aschoff. La confluenza dell’albero biliare è il coledoco, che decorre nella testa del pancreas per circa 2 cm, prima di versare il proprio contenuto nel lume duodenale attraverso l’ampolla di Vater. Nel 60-70% dei soggetti, il dotto pancreatico principale confluisce nel coledoco per drenare in un canale comune; nel resto degli individui i due dotti non si uniscono. Sparse nell’albero biliare intra / extraepatico si trovano le ghiandole sottomucose mucino – secernenti, che diventano prominenti vicino alla parte terminale del coledoco. La colecisti può essere congenitamente assente o duplicata. Localizzazioni aberranti si osservano nel 5-10% della popolazione. Il fondo ripiegato è detto aspetto a berretto frigio. L’atresia biliare ed il restringimento dei dotti biliari rappresentano lo spettro delle malformazioni epatobiliari. COLELITIASI Colpisce il 10-20% della popolazione adulta nei paesi occidentali. La grande maggioranza delle calcolosi è silente e la maggior parte dei soggetti non ha dolore di origine biliare o complicanze della litiasi cronica. L’80% è rappresentato da calcoli di colesterolo (cristalli di monoidrato di colesterolo). I restanti sono composti soprattutto da bilirubinato di calcio (calcoli pigmentati). Fattori di rischio I calcoli di colesterolo sono più frequenti nelle nazioni industrializzate e più rari nei paesi in via di sviluppo. La prevalenza aumenta durante la vita; la prevalenza nelle donne caucasiche è doppia rispetto a quella negli uomini; sembra svolga un ruolo importante anche l’ipersecrezione di colesterolo. L’influenza degli estrogeni (contraccettivi, gravidanza) stimola l’attività dell’HMG-CoA-reduttasi e stimola l’espressione epatica di recettori per le lipoproteine; risultano aumentate sia la captazione che la biosintesi del colesterolo. Il clofibrato riduce la colesterolemia aumentando l’attività dell’HMG-CoA-reduttasi e diminuisce la conversione del colesterolo ad acidi biliari, riducendo l’attività della colesterolo-7-alfa-idrossilasi; causa perciò un’eccessiva secrezione biliare di colesterolo. Anche l’obesità o un rapido calo ponderale possono indurre un forte aumento della secrezione biliare di colesterolo. Le stasi della colecisti (neurogena, ormonale), creano un ambiente favorevole alla formazione di calcoli. La storia familiare risulta predittiva per un rischio aumentato, così come alterazioni metaboliche congenite che riducono la sintesi di sali biliari o generano un aumento dei livelli sierici / biliari di colesterolo, come il deficit dei recettori delle lipoproteine (sindromi iperlipidemiche). Malattie associate ad aumento di bilirubina non coniugata nella bile (sindromi emolitiche, gravi disfunzioni ileali e contaminazione batterica dell’albero biliare). Il colesterolo viene solubilizzato nella bile mediante aggregazione con sali biliari idrosolubili e dalle lecitine insolubili, che agiscono come detergenti. Quando la concentrazione di colesterolo supera la capacità detergente ed emulsionante della bile, questo condensa in un processo di nucleazione in cristalli solidi di colesterolo monoidrato. La formazione dei calcoli di colesterolo si verifica per la presenza simultanea di: 1. bile sovrasatura; 2. ipomotilità della colecisti; 3. nucleazione accelerata del colesterolo nella bile; 4. ipersecrezione mucosa cistica intrappola i cristalli in calcoli. La sovrasaturazione del colesterolo nella bile è il risultato dell’ipersecrezione epatocellulare di colesterolo. Una quantità abbondante di colesterolo libero è tossica per la colecisti, perché penetra la parete e supera la

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capacità mucosa di detossificarlo esterificandolo; ne consegue ipomotilità della colecisti (stasi muscolare con ridotta responsività alla CCK). La composizione relativa biliare può essere alterata a favore delle proteine pro-nucleanti. Alcune malattie sovrapposte possono ridurre ulteriormente lo svuotamento cistico: ipoglicemia prolungata, gravidanza, rapida perdita di peso, NPT, lesioni del midollo spinale. I calcoli pigmentati sono miscele complesse di sali di calcio inorganici e bilirubina; la bilirubina non coniugata è normalmente minoritaria, ma aumenta quando un’infezione porta al rilascio di beta-glicuronidasi batterica, che idrolizza il legame di coniugazione della bilirubina. Infezioni delle vie biliari (E. coli, Ascaris lumbricoides, Opisthorchis sinensis) aumentano la probabilità di formazione di questi calcoli. I calcoli di colesterolo originano esclusivamente nella colecisti e sono composti da colesterolo puro in concentrazione del 50% circa; i calcoli di colesterolo puro al 100% sono rari e di colore giallo chiaro, tondi/ovoidali e hanno una superficie esterna dura e finemente granulare che in sezione mostra cristalli lucidi a raggiera. Spesso multipli, arrivano a misurare diversi cm di diametro. La superficie può essere sfaccettata per stretta apposizione. Se composti prevalentemente da colesterolo sono radiotrasparenti, mentre nel 10-20% dei casi sono radiopachi (carbonato di calcio). I calcoli pigmentati vengono classificati come neri e marroni. Quelli con pigmento nero si osservano in colecisti con bile sterile e i calcoli di colore marrone si osservano nei dotti intra/extraepatici infetti. I calcoli neri contengono polimeri ossidati di sali di calcio e di bilirubina non coniugata; minori quantità di carbonato di calcio, fosfato di calcio e glicoproteine mucinose, oltre ad una modica presenza di cristalli di colesterolo monoidrato. I calcoli marroni contengono sali di calcio puro di bilirubina non coniugata, glicoproteine mucinose, colesterolo, palmitato e stearato di calcio. Sono generalmente (50-75%) radiopachi. La litiasi può essere asintomatica per decenni. Solo l’1-3% all’anno dei pazienti diventa sintomatico. Tra i sintomi spicca il dolore biliare, spasmodico, a colica (natura ostruttiva); complicanze più gravi comprendono empiema, perforazione, fistole, colangite, pancreatite, colestasi ostruttiva. I calcoli piccoli e la sabbia biliare sono più pericolosi. Occasionalmente un calcolo voluminoso può erodere un’ansa intestinale, determinando ostruzione intestinale (ileo biliare). Aumento del rischio di carcinoma della colecisti. COLECISTITE L’infiammazione della colecisti può essere acuta, cronica o cronica con riacutizzazione. Quasi sempre associata alla litiasi biliare. Colecistite acuta La colecistite litiasica è favorita da un’ostruzione del collo del dotto cistico. È la principale complicanza della litiasi biliare. La colecistite alitiasica si verifica generalmente nel paziente con gravi patologie: stato postoperatorio dopo chirurgia maggiore, traumi gravi, ustioni gravi, sindrome da insufficienza multiorgano, sepsi, iperalimentazione endovenosa prolungata, puerperio. La colecistite acuta litiasica è dovuta alla stimolazione chimica della colecisti ostruita. La fosfolipasi della mucosa idrolizza le lecitine biliari a lisolecitine tossiche; lo strato glicoproteico che riveste la mucosa viene danneggiato ed espone l’epitelio all’azione detergente diretta dei sali biliari. Le prostaglandine rilasciate dalla colecisti distesa contribuiscono alla flogosi parietale. Compare discinesia della colecisti, dilatazione ed aumento della pressione intraluminale, con compromissione del flusso ematico della mucosa. Questi eventi avvengono in assenza di infezioni batteriche che possono però sopraggiungere in una seconda fase. La colecistite acuta alitiasica è il risultato di un’ischemia; l’arteria cistica è un’arteria terminale priva di circoli collaterali. Altri fattori che contribuiscono sono: disidratazione, trasfusioni multiple, stasi della colecisti, accumulo di microcristalli di colesterolo, bile spessa che ostruisce il dotto cistico, infiammazione / edema della parete. Nella colecistite acuta, la colecisti è aumentata di volume, distesa, rosso lucente o chiazzata da violacea a nero-verdastra. La sierosa è coperta da depositi di fibrina e talvolta anche da essudato suppurativo. Se litiasica, un calcolo ostruttivo è generalmente presente nel collo della colecisti o nel dotto cistico. La colecisti

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si riempie di bile opaca o torbida, che può contenere grandi quantità di fibrina, pus, sangue. Se l’essudato è costituito esclusivamente da pus, parliamo di empiema della colecisti. Nei casi gravi la colecisti appare come un organo nero necrotico (colecistite gangrenosa). Sintomi: dolore nel quadrante superiore destro o epigastrio, febbre lieve, anoressia, tachicardia, sudorazione, nausea, vomito. L’addome superiore è teso. Spesso non c’è ittero. Lieve/moderata leucocitosi, lieve aumento della ALP. Può manifestarsi in modo repentino e costituire un’emergenza chirurgica o con sintomi lievi autolimitantisi. I sintomi di colecistite acuta alitiasica sono più insidiosi; in pazienti compromessi può essere fatale per le frequenti perforazioni / necrosi dell’organo. L’invasione di clostridi può causare una colecistite acuta enfisematosa. Colecistite cronica In molti casi si sviluppa senza attacchi precedenti. Si associa a colelitiasi nel 90% dei casi. Una sovrasaturazione della bile predispone all’infiammazione cronica. L’ostruzione all’efflusso non è un requisito. I sintomi sono simili a quelli delle forme acute e vanno dalla colica biliare ad un vago dolore all’ipocondrio destro a un fastidio epigastrico. La sierosa è solitamente liscia e lucida; la parete è variabilmente ispessita, di colore grigio-bianco e più rigida del normale. Il lume contiene una bile chiara verde-giallastra, mucoide e calcoli. La mucosa è conservata. Il grado di infiammazione è variabile. Nei casi più lievi si osservano linfociti sparsi, plasmacellule e macrofagi; nei casi avanzati compare una marcata fibrosi sottoepiteliale e sottosierosa. I seni di RokitanskyAschoff possono essere molto prominenti. Raramente un’estesa calcificazione distrofica della parete porta alla cosiddetta colecisti a porcellana, associata ad un aumento di rischio di neoplasie. La colecisti xantogranulomatosa è una rara condizione in cui la colecisti è rimpicciolita, nodulare, infiammata, con focolai di necrosi ed emorragia. Una colecisti atrofica e cronicamente ostruita può contenere una secrezione chiara (idrope della colecisti). Sintomi: crisi ricorrenti di dolore colico/fisso a livello epigastrico o del quadrante superiore destro, a cui si associano nausea, vomito, intolleranza per cibi grassi. ATRESIA BILIARE Uno dei principali contributi alla colestasi neonatale. Presente in circa 1/10000 nati vivi. L’atresia biliare è la completa ostruzione del lume dell’albero biliare extraepatico nei primi tre mesi di vita. Si conoscono due forme principali: - forma fetale (fino al 20% casi), associata ad altre anomalie: malrotazione visceri addominali, interruzione della vena cava inferiore, polisplenia, patologie congenite cardiache. - Forma perinatale (molto più comune); il sistema biliare normale viene distrutto dopo la nascita: infezioni virali da rotavirus e reovirus; proposta multiassociazione di processi in cui il danno tossico / virale porta alla distruzione dell’albero biliare. Infiammazione e stenosi fibrosante del dotto epatico, infiammazione periduttale dei dotti biliari intraepatici e progressiva distruzione del sistema biliare intraepatico. Proliferazione dei duttuli biliari, edema del tratto portale, fibrosi / colestasi parenchimale. Si può sviluppare cirrosi entro 3-6 mesi dalla nascita. Quando la malattia è limitata al coledoco (tipo 1) o ai dotti epatobiliari (tipo 2) con pervietà dei rami prossimali, può essere corretta chirurgicamente. Il 90% presenta atresia biliare di tipo 3, in cui vi è anche ostruzione dei dotti superiormente all’ilo epatico. Clinica: colestasi neonatale; progressione dell’emissione di feci da normali ad acoliche con il procedere della malattia. La bilirubina è 6-12 mg/dL con livelli lievemente elevati di AST, ALT e ALP. Trapianto di fegato è generalmente l’unica opzione attuabile (tipo 3).

CISTI DEL COLEDOCO

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Congenite dilatazioni del coledoco che si presentano in bambini con meno di 10 anni. Ittero / dolore addominale ricorrente, tipico delle coliche biliari. La cisti predispone a calcoli, stenosi e restringimenti, pancreatite e ostruzioni biliari intraepatiche.

LESIONI BENIGNE Gli adenomi sono classificati come: - tubulari; - papillari; - tubulo-papillari. I polipi infiammatori sono proiezioni di mucosa sessile, con uno stroma superficiale infiltrato da cellule dell’infiammazione cronica e macrofagi ricchi di lipidi . L’adenomiosi della colecisTi è caratterizzata da iperplasia della muscularis che contiene ghiandole intramurali iperplastiche. CARCINOMA DELLA COLECISTI Leggermente più comune nelle donne, insorge in genere nella settima decade di vita. Diagnosticato generalmente in fase avanzata, la media della sopravvivenza a cinque anni è dell’1%. Una colelitiasi è presente nel 60-90% dei casi. Presentano due tipi di accrescimento: infiltrante ed esofitico. Il tipo infiltrante è più frequente e di solito assume l’aspetto di un’area scarsamente definita di ispessimento e indurimento della parete della colecisti. Profonde ulcerazioni possono creare tragitti fistolosi o penetrazione diretta degli organi viciniori. Si tratta di tumori scirrosi a consistenza elevata. Il tipo esofitico si presenta come una massa irregolare a forma di cavolfiore che cresce nel lume ed invade la parete. Trattasi primariamente di adenocarcinomi con diverso grado di differenziazione (alcuni più differenziati hanno architettura papillare). Il 5% sono carcinomi squamosi o adenosquamosi. Netta minoranza di istotipi mesenchimali. Sono neoplasie che si estendono ad invadere il fegato, il dotto cistico, i linfonodi dell’ilo epatico. Il peritoneo e il polmone sono sedi comuni di disseminazione. I sintomi sono insidiosi; dolore addominale, ittero, anoressia, nausea, vomito. CARCINOMA DEI DOTTI BILIARI EXTRAEPATICI Sono tumori inusuali. Estremamente insidiosi, producono ittero ingravescente. Insorgono in soggetti anziani, più frequentemente negli uomini. Un sottogruppo è dato da tumori che originano dalle immediate vicinanze dell’ampolla di Vater. Al momento della diagnosi, questi tumori sono generalmente piccole lesioni; la maggior parte sono noduli grigi e solidi all’interno della parete del dotto biliare. La maggior parte dei tumori del dotto biliare sono adenocarcinomi mucinosecernenti o non mucinosecernenti. Abbondante stroma fibroso. Le neoplasie del coledoco tra la giunzione del dotto cistico e la confluenza dei due dotti epatici sono detti tumori di Klatskin. Questi sono degni di nota per il lento accrescimento e marcate caratteristiche sclerosanti e l’infrequente metastatizzazione a distanza. L’ittero è dovuto ad ostruzione, preceduto da decolorazione delle feci, nausea, vomito, calo ponderale. L’epatomegalia è frequente e la colecisti è palpabile nel 25% dei casi. La sopravvivenza media è di 6-18 mesi.

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Anatomia Patologica

IL PANCREAS

Anomalie congenite, pancreatite, cisti non neoplastiche, neoplasie; patologia del pancreas endocrino

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ANATOMIA E FISIOLOGIA PANCREATICA Il pancreas svolge importanti funzioni endocrine ed esocrine. Il pancreas dell’adulto è un organo retroperitoneale orientato in senso trasversale, che si estende dalla C duodenale fino all’ilo della milza. È lungo in media 20 cm e pesa 90g. I vasi adiacenti possono essere presi come riferimento per distinguere tre porzioni: la testa, il corpo, la coda. Il sistema dei dotti pancreatici è estremamente variabile; il dotto pancreatico principale (dotto di Wirsung) il più delle volte drena a livello della papilla di Vater, mentre il dotto pancreatico accessorio (di Santorini) generalmente si apre nel duodeno a livello di una papilla più piccola separata posta circa 2 cm più in alto della papilla duodenale maggiore. In molti individui il dotto principale si anastomizza con il coledoco in prossimità della papilla di Vater, dando origine all’ampolla di Vater. Embriologicamente deriva dalla fusione degli abbozzi endodermici dorsale e ventrale dell’intestino primitivo; intorno alla VII settimana di gestazione gli abbozzi pancreatici ruotano e si fondono per formare una singola ghiandola. La maggior parte del pancreas deriva dall’abbozzo primitivo dorsale. È un complesso organo lobulato con una componente endocrina e una esocrina; la componente esocrina della ghiandola che produce gli enzimi digestivi costituisce l’85% del pancreas. La componente endocrina è composta da circa un milione di gruppi cellulari, le isole di Langerhans; le isole hanno un peso complessivo di 1,5-2g ed ogni isola misura 100-200 micron; compaiono tra la 9-11^ settimana. L’espressione della neurogenina 3 indica nel pancreas primitivo le cellule che differenzieranno in cellule insulari. Le cellule delle isole secernono insulina (cellule beta), glucagone (cellule alfa), somatostatina (cellule delta), polipeptide pancreatico (cellule PP), VIP (cellule D1), serotonina (cellule enterocromaffini). Il pancreas esocrino è costituito da cellule acinari che producono gli enzimi digestivi e da una serie di duttuli e dotti che convogliano le secrezioni nel duodeno. La porzione basale di queste cellule è intensamente basofila e possiede un abbondante reticolo endoplasmatico; il complesso di Golgi è ben sviluppato. Le secrezioni vengono trasportate al duodeno da un sistema di dotti talora anastomizzati. Le cellule epiteliali dei dotti partecipano attivamente alla secrezione pancreatica. Le cellule dei dotti esprimono la CFTR, che ha un ruolo significativo nel danno da fibrosi cistica. Ogni giorno il pancreas secerne circa 2-2,5 L di succo pancreatico che contiene bicarbonati, enzimi e proenzimi digestivi. La regolazione della secrezione coinvolge ACh, CCK, secretina. La secretina stimola la secrezione di acqua e bicarbonati dai dotti, mentre la CCK promuove la liberazione dei proenzimi digestivi (tripsinogeno, chimotripsinogeno, procarbossipeptidasi, proelastasi, chininogeno, fosfolipasi) dalle cellule acinari. Gli enzimi rimangono inattivi finché non giungono nel lume duodenale, dove vengono attivati dall’enteropeptidasi. L’amilasi e la lipasi non necessitano di attivazione e vengono secrete in forma attiva.

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PANCREAS ESOCRINO

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ANOMALIE CONGENITE Agenesia Raramente il pancreas può essere completamente assente (agenesia). È una condizione generalmente associata a gravi e diffuse malformazioni incompatibili con la vita. Mutazione del gene IPF1 sul cromosoma 13q. Pancreas divisum È la malformazione più comune (3-10%). È un’anomalia dovuta ad un difetto di fusione del sistema di dotti fetali dorsale e ventrale. In questa malformazione la maggior parte del pancreas drena attraverso i dotti dorsali alla papilla minore. Il dotto di Wirsung è molto corto (1-2 cm) e drena solo una piccola porzione della testa del pancreas attraverso la papilla di Vater. Particolare predisposizione alla pancreatite cronica. Pancreas anulare È una patologia rara. Si sviluppa quando una parte dell’abbozzo ventrale diventa fissa mentre l’altra parte si sviluppa attorno al duodeno. Quando questa parte dell’abbozzo ventrale si fonde con la testa del pancreas si forma un collare di tessuto pancreatico normale che circonda la seconda porzione duodenale. Pancreas ectopico Tessuto pancreatico a localizzazione aberrante o ectopico si riscontra nel 2% delle autopsie di routine. Le sedi più frequenti sono lo stomaco, duodeno, digiuno, diverticolo di Meckel e ileo. Da pochi mm ad alcuni cm localizzati nella sottomucosa. PANCREATITE ACUTA Gruppo di lesioni reversibili caratterizzate da infiammazione del pancreas che, a seconda della gravità, variano dall’edema e steatonecrosi alla necrosi parenchimale con emorragia severa. È una malattia comune; 10-20/100000/anno. Nei paesi occidentali si associa a: - malattie del tratto biliare; - etilismo. Il rapporto M:F=1:3 (patologie biliari) e 6:1 nel gruppo con etilismo. Cause meno comuni sono: - ostruzione del sistema duttale pancreatico (colelitiasi, tumori periampollari, pancreas divisum, coledococele, sabbia biliare, parassitosi); - farmaci (diuretici tiazidici, azatioprina, estrogeni, sulfamidici, furosemide, metildopa, pentamidina, procainamide); - infezioni da virus della parotite, Coxsackie e Mycoplasma pneumoniae; - disordini metabolici (ipertrigliceridemia, iperparatiroidismo, altri stati di ipercalcemia); - ischemia acuta da trombosi vascolare, embolismo, vasculite, shock; - traumi; - alterazioni ereditarie nei geni che codificano per gli enzimi pancreatici e i loro inibitori. Il 10-20% dei pts non presenta alcuna associazione con patologie note. La pancreatite ereditaria è una malattia autosomica dominante con penetranza dell’80%, caratterizzata da attacchi ricorrenti di pancreatite grave che compaiono nell’infanzia (gene PRSS1, tripsinogeno cationico). Inibitore della serina proteasi (Kazal tipo 1, SPINK1); il gene spink codifica per un inibitore della tripsina che aiuta a prevenire l’autodigestione pancreatica. La morfologia varia da forme con una banale infiammazione ed edema a forme con necrosi grave ed emorragia. Le alterazioni di base sono il danno vascolare, la steatonecrosi prodotta dagli enzimi lipolitici, una reazione infiammatoria acuta, la distruzione proteolitica del parenchima pancreatico, la distruzione dei vasi

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sanguigni. Nella forma più lieve, la pancreatite acuta interstiziale, le alterazioni si limitano all’edema interstiziale e a focale area di steatonecrosi a carico del parenchima e del tessuto adiposo peripancreatico. Una forma più severa, la pancreatite acuta necrotizzante, mostra necrosi del tessuto pancreatico che interessa la componente acinare e duttale e le isole. Macroscopicamente il pancreas mostra zone emorragiche rosso – nerastre frammiste ad aree di steatonecrosi giallo – biancastre e calcifiche. Focolai di steatonecrosi possono essere riscontrati anche nei depositi adiposi extrapancreatici come l’omento e il mesentere e anche nel sottocute. La cavità peritoneale contiene un liquido sieroso scuro e torbido in cui possono essere identificati globuli di grasso. Nella forma più grave, la pancreatite emorragica, un’estesa necrosi parenchimale si accompagna ad emorragia intraparenchimale diffusa. Il ruolo più importante è attribuito alla tripsina; attivata, questa è in grado di attivare altri proenzimi. L’attivazione del tripsinogeno è un evento fondamentale della patogenesi; i meccanismi di attivazione non sono completamente noti: prove a favore di 3 possibili vie: - ostruzione del dotto pancreatico; incuneamento di calcolo, sabbia biliare nella regione dell’ampolla di Vater che fa aumentare la pressione intraduttale pancreatica. Blocco del flusso duttale che favorisce l’accumulo di un fluido interstiziale ricco di enzimi. La lipasi è secreta in forma attiva  steatonecrosi locale. I miofibroblasti e i leucociti rilasciano citochine proinfiammatorie; edema interstiziale. - danno primario delle cellule acinari; virus, farmaci, traumi. - trasporto intracellulare difettoso di proenzimi all’interno delle cellule acinari; Il meccanismo patogenetico dell’alcol resta sconosciuto. Il dolore addominale è il sintomo cardine della pancreatite acuta; il sospetto è confermato dagli alti livelli plasmatici di amilasi e lipasi (più specifico) e dall’esclusione di un quadro di addome acuto chirurgico. La pancreatite acuta conclamata è un’emergenza medica di primaria importanza. Il dolore è costante, intenso, spesso riferito al dorso, a cintura. Altri segni sistemici: - leucocitosi; - emolisi; - DIC; - Sequestro di liquidi; - ARDS; - Steatonecrosi diffusa. Si può inoltre verificare collasso cardiovascolare e necrosi tubulare acuta renale. La glicosuria si osserva nel 10%. L’ipocalcemia da precipitazione nelle aree di steatonecrosi è un segno negativo. Messa a riposo del pancreas: terapia di supporto e sospensione alimentazione. Molti hanno un pieno recupero. 5% mortalità a 1 settimana. ARDS e IRA sono complicanze gravi. Sequele: ascessi pancreatici sterili, pseudocisti pancreatiche. PANCREATITE CRONICA Patologia caratterizzata da flogosi del pancreas con distruzione del parenchima esocrino, fibrosi, distruzione della componente endocrina della ghiandola. La prevalenza è difficile da stimare. La causa più frequente è l’etilismo cronico in maschi di mezza età. Altre cause meno comuni comprendono: ostruzione cronica del dotto pancreatico da pseudocisti, calcoli, neoplasie, p divisum; pancreatite tropicale (Africa, Asia) addebitata a malnutrizione; p ereditaria da presenza di mutazioni geni PRSS1 o SPINK1; p cronica idiopatica (mutazione CFTR). Nei pts con p idiopatica cronica da mutazioni di CFTR, le altre manifestazioni della fibrosi cistica sono assenti e la concentrazioni di cloruri nel sudore è normale. Le mutazioni CFTR sono diverse da quelle della fibrosi cistica in questi casi. Quattro ipotesi proposte: 1. ostruzione duttale da concrezioni; alcuni degli agenti scatenanti responsabili della pancreatite, come l’alcol, aumentano la concentrazione proteica del succo pancreatico; all’interno dei dotti queste proteine formano tappi; 2. tossico-metabolica; le tossine, alcol e suoi metaboliti, possono esercitare un effetto tossico diretto;

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3. stress ossidativo; stress alcol indotto che può generare radicali liberi e ossidazione dei lipidi di membrana e attivazione di fattori di trascrizione NF-kB e AP1.

4. necrosi-fibrosi; la pancreatite acuta può innescare una sequenza caratterizzata da esito in fibrosi, distorsione duttale e alterazioni secretorie. I pazienti con ripetuti episodi di pancreatite acuta sviluppano quasi tutti una p cronica, suggerendo che la tripsina attivata di per sé possa causare una pancreatite cronica. Fibrosi parenchimale, riduzione del numero e delle dimensioni degli acini con relativo risparmio delle isole di Langerhans e da dilatazione di grado variabile dei dotti; infiltrato infiammatorio cronico che circonda lobuli e dotti. I dotti appaiono frequentemente dilatati, con tappi proteici al loro interno; la perdita delle strutture acinari è costante. Le isole di Langerhans risparmiate restano intrappolate nel tessuto sclerotico e possono fondersi e apparire ingrandite; il pancreas è di consistenza dura, talvolta con dotti molto dilatati ed evidenti concrezioni calcifiche. La pancreatite cronica può presentarsi in molte forme diverse; può essere associata con attacchi ricorrenti di dolore lieve o persistente a localizzazione dorsale/addominale. Può essere completamente silente fino allo sviluppo di insufficienza pancreatica e diabete mellito da distruzione delle isole di Langerhans. Le crisi possono essere scatenate da abuso di alcol, pasti abbondanti, uso di oppiacei o altri farmaci che aumentano il tono dello sfintere di Oddi. Durante la crisi dolorosa possono comparire febbre e un aumento lieve – moderato dell’amilasemia. Quando la malattia persiste, la distruzione delle cellule acinari può mascherare questi indici diagnostici. Calo ponderale ed edema ipoalbuminemico da malassorbimento sono elementi che possono orientare la diagnosi. Mortalità del 50% a 20 anni per grave insufficienza pancreatica. Le pseudocisti si sviluppano nel 10% dei casi. CISTI NON NEOPLASTICHE In genere se benigne sono uniloculari; le multiloculari sono più spesso neoplastiche. Cisti congenite Sviluppo anomalo dei dotti pancreatici. Nella malattia policistica coesistono cisti renali, epatiche e pancreatiche. Sono rivestite da epitelio cuboidale di tipo duttale o da uno strato cellulare di epitelio completamente atrofico. Sono ripiene di liquido chiaro – torbido e racchiuse in una capsula. Nella malattia di Von Hippel – Lindau si osservano neoplasie vascolari a carico di retina, cervelletto, tronco cerebrale, cisti anche neoplastiche di fegato, rene, pancreas. Pseudocisti Sono raccolte localizzate di materiale necrotico – emorragico ricco di enzimi pancreatici. Queste cisti mancano di un epitelio (pseudo) di rivestimento e sono responsabili del 75% delle forme cistiche pancreatiche. Di solito originano dopo un episodio di pancreatite acuta, spesso nel quadro di una pancreatite alcolica, ma anche i traumi possono causarle. Sono solitarie e possono essere situate all’interno del parenchima o più comunemente adese alla superficie della ghiandola con interessamento dei tessuti peripancreatici. Derivano dal drenaggio di aree di steatonecrosi pancreatica rivestite da tessuto fibroso. Core emorragico ricco di enzimi pancreatici. Possono variare da 2 a 30 cm di diametro e spesso interessano il piccolo omento o il retroperitoneo. Talvolta sottodiaframmatiche. NEOPLASIE CISTICHE Solo il 5-15% di tutte le cisti pancreatiche ha natura neoplastica. Le neoplasie cistiche costituiscono meno del 5% di tutte le neoplasie pancreatiche. Il cistoadenoma sieroso è una neoplasia cistica benigna costituita da cellule cuboidali basse che rivestono una cavità contenente un liquido paglierino. I cistoadenomi sierosi sono quasi sempre benigni e la resezione chirurgica e risolutiva. Il tumore cistico mucinoso colpisce quasi sempre le donne e può essere benigno o maligno; origina nel corpo – coda e si presenta come massa non dolente a lento accrescimento. L’unico modo per distinguere la forma benigna dal cistoadenocarcinoma è l’esame istologico dopo pancreasectomia distale. Il cistoadenoma mucinoso benigno è privo di atipie,

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mentre il tumore cistico mucinoso borderline mostra atipie senza invasione tissutale. Il cistoadenoma mucinoso maligno è un carcinoma maligno. CARCINOMA DEL PANCREAS L’adenocarcinoma duttale infiltrante del pancreas è la 4^ causa di morte per cancro negli USA (polmone, colon, mammella). Lesioni preneoplastiche Neoplasie pancreatiche intraepiteliali (PanIN)  carcinoma invasivo. 1. la distribuzione delle PanIN è correlata a quella del carcinoma invasivo; 2. le PanIN compaiono spesso nel parenchima adiacente ad un carcinoma infiltrante. 3. le alterazioni genetiche delle PanIN sono simili a quelle dei carcinomi invasivi; 4. le cellule epiteliali delle PanIN presentano notevole accorciamento dei telomeri. Cancerogenesi molecolare K-ras: cromosoma 12p; è l’oncogene più frequentemente alterato nel carcinoma del pancreas. È attivato da mutazioni puntiformi nell’80% dei carcinomi pancreatici che compromettono l’attività GTPasica del prodotto di k-ras con produzione di una proteina costituzionalmente attivata. p16: è l’oncosoppressore più frequentemente inattivato. SMAD4: il gene oncosoppressore è attivato nel 50% casi. La perdita di SMAD4 abolisce 2 importanti sistemi di controllo della popolazione cellulare. Codifica per una molecola recettoriale del TGF. Esso promuove l’apoptosi. p53: oncosoppressore; inattivato nel 50-70% casi. Il prodotto del gene lega il DNA e induce l’apoptosi, normalmente. Anomalie della metilazione: silenziamento trascrizionale di alcuni geni. Epidemiologia Anziani. 60-80 anni. Più frequente nei neri e negli ebrei. Il fattore ambientale con maggiore influenza è il fumo (2x); implicata un’alimentazione ricca di grassi. Insorge con maggiore frequenza in soggetti affetti da pancreatite cronica. Il fumo e l’alcol possono essere alla base di questa associazione. Familiarità. Istologia e morfologia Il 60% insorge a livello della testa della ghiandola, il 15% nel corpo e il 5% nella coda. Nel 20% interessa l’intero organo in maniera diffusa. Il carcinoma del pancreas è una massa scarsamente definita, dura, stellata, bianco-grigiastra. I carcinomi sono in maggioranza adenocarcinomi duttali che ricordano in qualche modo il normale epitelio duttale. È altamente invasivo e interessa un’intensa reazione fibroblastica desmoplastica. I carcinomi della testa possono ostruire il coledoco distale. Marcata dilatazione dell’albero biliare e ittero in circa il 50% dei casi. Invadono lo spazio retroperitoneale, intrappolano le strutture nervose adiacenti, la milza, i surreni, la colonna vertebrale, il colon trasverso, lo stomaco. Le metastasi a distanza interessano ossa, polmoni. Nidi di cellule con un pattern di crescita marcatamente infiltrante. Anche l’invasione linfatica è frequente. Le ghiandole maligne sono piccole, irregolari, rivestite da cellule cuboidali o colonnari anaplastiche. Le neoplasie ben differenziate sono l’eccezione. Adenocarcinoma duttale Margini sfumati, difficile valutare il diametro. Massa dura bianco – grigiastra. Localmente infiltrante; estensione alla parete duodenale nel 25% dei tumori della testa. Se avanzato è ambigua la sede di origine (pancreas, ampolla…). Ghiandole individuali circondate da stroma; architettura conservata con marcata atipia e diffusa desmoplasia.

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Carcinoma adenosquamoso Componente maligna del tipo squamoso e ghiandolare. Raro. M:F=2:1, 65 anni. Prognosi pessima (6 mesi). Accanto alle strutture ghiandolari ci sono isolotti di differenziazione squamosa. Carcinoma indifferenziato 7% delle neoplasie maligne non endocrine. Varianti: anaplastico, a cellule giganti osteclastiche, sarcomatoide, carcinosarcoma. Interessa coda, corpo. M>F. Carcinoma colloide (mucinoso, non cistico, muconodulare) Composto per 80% da cellule epiteliali atipiche in laghi di mucina extracellulare con componente muconodulare invasiva di 1 cm o più. Origina dal tumore mucinoso papillare intraduttale. 61 anni. ++ alla testa. Invasione perineurale e metastasi linfonodali. Ectasie dei dotti. Non comunica con strutture duttali. Dimensioni maggiori e prognosi migliore dell’adenocarcinoma duttale. 57% a 5 anni. Laghi di muco su cui galleggiano le cellule tumorali; la mucina è prodotta da cellule caliciformi intestinali, inibisce la proliferazione cellulare. Tumore ben demarcato, scarsa proliferazione, eccesso di muco con azione antitumorale. Un tumore simile è presente nella mammella. Consistente, soffice, diametro 5 cm. Cellule molto atipiche in laghi di muco, aspetti cribriformi, piccoli tubuli. Carcinoma acinoso Maligno. Crescita ben demarcata. Struttura istologica che ricorda gli acini normali; costituito da cellule acinose neoplastiche; struttura trabecolare o solida. 1-2% dei carcinomi del pancreas. 60-69 anni. 85% maschi. 10% sindrome da ipersecrezione di lipasi (steatonecrosi sottocutanea, poliartralgie, occasionale eosinofilia, endocardite trombotica non batterica); 50% metastasi alla diagnosi (fegato, ln regionali). 10% sopravvive a 5 anni. Ben circoscritto, elastico, con setti fibrosi, grande (diametro 11 cm); per lo più necrotico, emorragico. Scarso stroma, dd’ con carcinoma duttale.

 Stadiazione TNM T1 tumore confinato al parenchima pancreatico e non superiore ai 2 cm T2 tumore confinato al parenchima pancreatico e superiore ai 2 cm T3 tumore che supera il margine pancreatico senza invadere il tronco celiaco e la vena mesenterica superiore T4 invasione del tronco celiaco o vena mesenterica superiore (inoperabile) N

linfonodi regionali

I carcinomi del pancreas restano silenti finché non interessano le strutture adiacenti. Il dolore è il primo sintomo, anche se alla sua comparsa il dolore è in genere troppo avanzato per essere curabile. Calo ponderale, malessere, anoressia, sono segni di malattia avanzata. Sintomo d’esordio può essere metastasi a linfonodo sovraclaveare. La tromboflebite migrante (segno di Trousseau) si verifica nel 10% dei pazienti ed è dovuta alla produzione di fattori aggreganti piastrinici e procoagulanti da parte del tumore. Il decorso clinico è breve e progressivo. Meno del 20% è operabile al momento della diagnosi. I livelli sierici di molti antigeni (CEA, CA19.9) sono spesso elevati, ma questi marcatori non hanno né sensibilità né specificità sufficiente per lo screening. 50% dei T1N0M0 sopravvivono. Ci sono criteri per decidere l’operabilità: i tumore operabili devono essere T1N0M0, al massimo T2 e devono rispettare la superficie sierosa, la parete duodenale e i tessuti lassi retroperitoneali; l’operabilità dei casi infiltranti il retroperitoneo è aleatoria e dipende dal chirurgo. Prognosi: a 5 anni è del 2-4%; 90% morte entro un anno. 20% sopravvive a 5 anni se localizzato e senza metastasi. 6-10 mesi se localmente avanzato non metastatico; 3-6 mesi se metastatico. Mutazioni di k-ras sono associate a pessima prognosi. PANCREATOBLASTOMA

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Neoplasia rara che compare nei bambini di 1-15 anni. Isole squamose miste e cellule indifferenziate; altamente maligno. 1-2%. Maligno. Prognosi intermedia, migliore dell’acinoso. Distribuzione bimodale: picchi a 2 e 33 anni. M=F. Tumore dell’infanzia e giovanile. Sopravvivenza e benessere dopo CT in assenza di metastasi. Nell’adulto prognosi media di 18 mesi. Si usano gli stessi marker del carcinoma acinoso (tripsina). Cellule acinose non del tutto differenziate. Isolotti di differenziazione squamosa (corpuscoli squamoidi) circondati da piccole ghiandole.

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PANCREAS ENDOCRINO

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DIABETE MELLITO Si intende con diabete mellito un gruppo di disordini dell’omeostasi glicemica caratterizzati dal dato comune nell’iperglicemia come risultato di un deficitario o inefficiente rilascio di insulina. È una malattia molto frequente ed è una delle cause principali di insufficienza renale terminale, cecità e amputazioni. Si stima che il rischio di contrarre la patologia sia di 1/3 per i maschi e 2/5 per le donne. Una glicemia > 125 mg/dL a digiuno o glicemia > 200 mg/dL con segni e sintomi caratteristici permettono una diagnosi sicura di DM. La maggior parte dei casi rientra in due grandi classi, dette diabete mellito di tipo 1 (insulino-dipendente) e diabete mellito di tipo 2 (non insulino-dipendente), detti anche IDDM e NIDDM. Il diabete di tipo 2 rappresenta più dell’80% dei cassi complessivamente considerati. 1 distruzione delle cellule beta con deficit assoluto di insulina immunomediato o idiopatico DIABETE DI TIPO 2 insulinoresistenza con relativa insulinodeficienza DIABETE DI TIPO

ANOMALIE DELLE CELLULE INSULARI

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diabete MODY alterazioni del DNA mitocondriale

DEFICIT GENETICI DI FUNZIONE O STRUTTURA DELL’INSULINA

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mutazioni del gene dell’insulina mutazioni del recettore dell’insulina alterata conversione della proinsulina

DEFICIT DEL PANCREAS ESOCRINO

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pancreatite cronica neoplasia pancreasectomia fibrosi cistica emocromatosi

ENDOCRINOPATIE

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ipertiroidismo s Cushing acromegalia glucagonoma feocromocitoma

INFEZIONI

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CMV Coxsackie

FARMACI

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interferone alfa ormoni tiroidei glucocorticoidi agonisti beta-adrenergici inibitori delle proteasi fenitoina diuretici tiazidici

SINDROMI GENETICHE ASSOCIATE A DIABETE

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s di Down s di Klinefelter s di Turner

DIABETE MELLITO GESTAZIONALE

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Morfologia

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PANCREAS:

le lesioni sono incostanti e non diagnostiche. Più comuni alterazioni caratteristiche nel diabete di tipo 1; si riconducono ad una o più delle seguenti alterazioni:  riduzione del numero e dimensione delle isole;  infiltrato leucocitario delle isole (insulite) composto spt da linfociti T;  degranulazione delle cellule beta;  lieve riduzione della massa di cellule insulari nel diabete di tipo 2;  un aumento delle dimensioni e del numero delle isole si osserva in neonati sani nati da madre diabetica. MACROANGIOPATIA DIABETICA: accelerata aterosclerosi che porta ad infarti del miocardio, gangrena degli arti inferiori, arteriolosclerosi ialina (lesione tipica dell’ipertensione presente anche in anziani sani); MICROANGIOPATIA DIABETICA: diffuso ispessimento delle membrane basali più evidente nei capillari della cute, del muscolo scheletrico, della retina, dei glomeruli e della midollare renale. Strati concentrici di materiale ialino composto soprattutto da collagene IV. NEFROPATIA DIABETICA: tre lesioni presenti:  lesioni glomerulari: • ispessimento della membrana basale • sclerosi mesangiale: diffuso aumento della matrice mesangiale, sempre associata con l’ispessimento della membrana basale; • glomerulosclerosi nodulare: lesione caratterizzata da depositi nodulari di matrice laminare alla periferia del glomerulo; i noduli sono PAS+ e contengono cellule mesangiali intrappolate: glomerulosclerosi nodulare di Kimmestiel – Wilson; è un’importante causa di morbidità e mortalità.  lesioni vascolari renali (arteriolosclerosi);  pielonefrite (e papillite necrotizzante); infiammazione acuta/cronica del rene che inizia dall’interstizio e si propaga ai tubuli; la papillite necrotizzante è un quadro particolare molto più comune nei diabetici rispetto ai non diabetici. COMPLICANZE OCULARI: retinopatia, cataratta, glaucoma. NEUROPATIA DIABETICA. NEOPLASIE ENDOCRINE DEL PANCREAS

Rappresentano solo il 2% dei tumori dell’organo. Possono essere solitarie o multiple, benigne o maligne e possono metastatizzare ai linfonodi e al fegato. Nelle lesioni multiple possono essere presenti diversi tipi di cellule. Inequivocabili criteri di malignità sono: - metastasi ai linfonodi regionali e ad organi distanti (fegato); - invasione vascolare; - invasione massiva degli organi viciniori. Importanti anche l’indice mitotico, l’invasione del parenchima pancreatico oltre la capsula tumorale, le atipie cellulari. Gli insulinomi, i tumori endocrini più frequenti, tendono ad essere benigni; gli altri lo sono meno di frequente. Le tre sindromi cliniche più frequentemente associate sono: - iperinsulinismo; - ipergastrinemia e sindrome di Zollinger-Ellison; - neoplasie endocrine multiple.

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Sono soprattutto microadenomi. Struttura trabecolare. Sono silenti clinicamente, benigni, di pochi mm di diametro. Tumori ben differenziati. Si valutano: 1. dimensioni (se < 1 cm sono benigni di regola; se < 2 cm sono benigni o a basso grado di malignità); 2. invasione; 3. angioinvasione; 4. invasione perineurale; 5. atipie citologiche; 6. mitosi; 7. indice Ki67; 8. accumulo p53; 9. aneuploidia; per la malignità è necessaria un’invasione macroscopicamente rilevabile. SOMATOSTATINOMA

Tumore generalmente maligno; cellule D; diabete; colelitiasi, diarrea, steatorrea, ipocloridria, perdita di peso, anemia. 1% dei tumori funzionanti. Singolo, soprattutto nella testa. Più frequente nel duodeno (periampollare  no sindrome) che nel pancreas. GASTRINOMA

Maligno 70-80%. Crescita lenta, possibile lunga sopravvivenza; cellule G. Sindrome di Zollinger-Ellison, diarrea; 30% dei tumori funzionanti sono duodeno – digiunali. 60% dei tumori intestinali sono poco o nulla funzionanti. Possibile associazione con MEN1. Insorgono soprattutto nel duodeno. Se c’è una s MEN1, il gastrinoma va cercato nel duodeno, non nel pancreas. VIPOMA Maligno 55-60%. Crescita lenta; pancreas 90%, soprattutto coda; metastasi epatiche. Diarrea acquosa, ipokaliemia e disidratazione. VIP: neurotrasmettitore peptidico. Cellule a VIP e peptide histidine-methionine (PHM), precursore comune. Nel pancreas VIP, nei nervi. Non in cellule insulari. S di Werner-Morrison (WDHA) o colera pancreatico: diarrea secretoria, eccesso di perdite di potassio, ipocloridria, alcalosi, vampate, ipercalcemia, intolleranza al glucosio, tetania. WDHA associata a tumori epiteliali e neurogeni. INSULINOMA

In genere benigno, 90%. Differenziazione cellule B; grave ipoglicemia iperinsulinemica con iperinsulinemia a digiuno. Più comune tra i tumori funzionanti. È 40% dei tumori endocrini. Singolo 90%, multiplo in MEN1. Peptide amiloidogenetico IAP nello stroma. Di piccole dimensioni (< 2 cm); la sindrome clinica è evidente e conduce precocemente a diagnosi (tumore inferiore a 2 cm). MEN1: sindrome multiendocrina: - pancreas endocrino - paratiroidi - mutazione gene menina (viene meno il controllo proliferativo delle cellule endocrine) GLUCAGONOMA

80% dei tumori con sindrome sono maligni. 70% con metastasi, spt epatiche. Differenziazione cell. A. Rash cutaneo, eritema necrolitico migrante, stomatite, diabete, riduzione di peso, anemia. 8% dei tumori funzionanti; singolo. Corpo – coda. Elevate dimensioni; solo in piccola parte sono iperfunzionanti. In gran parte sono tumori a cellule A producenti glucagone e non glucagonomi. TUMORI NON FUNZIONANTI E A CELLULE

Maligno 60-100%.

PP

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Se inferiore a 3 cm, ben differenziato, prognosi favorevole. PP cellule 35%; cellule secernenti glucagone (30%); somatostatina (15%), serotonina (20%). 30-35% dei tumori endocrini. 65% hanno sintomi di massa. NB: uno solo è il tumore ben funzionante e benigno: l’insulinoma. TUMORI ENDOCRINI BEN DIFFERENZIATI DEL PANCREAS

Fattori prognostici: invasione e metastasi; diametro > 2 cm, invasione vascolare; indice di proliferazione > 2%. NEOPLASIE DEL SISTEMA ENDOCRINO DIFFUSO Cellule del sistema endocrino diffuso Non formano ghiandole microscopicamente riconoscibili. Azione endocrina e paracrina. Contengono amine, peptidi. Si trovano in tiroide (cellule C), polmone, TGI, pancreas, cute (cell. Merkel), prostata. Insieme di cellule endocrine disperse nell’ambito di vari epiteli a prevalenza esocrina. Producono amine biogene (serotonina, catecolamine) e peptidi ad attività endocrina o paracrina. Le neoplasie del sistema endocrino diffuso non sono molto frequenti, ma sono importanti diagnosi differenziali. Si ha il vantaggio di poter misurare gli ormoni in circolo. Tecniche immunoistochimiche di colorazione: - Sinaptofisina: proteina di membrana delle vescicole sinaptiche; si utilizza come marker per la colorazione; - NSE: enolasi neurono-specifica; - Cromogranina A: è oggi il marker più usato. Il PP o enteroglucagone è prodotto dai carcinoidi rettali. Quando i test immunoistochimici non funzionano si fanno test microstrutturali. Cellule ECL: l’istamina se ne va: si usano allora le proteine di associazione (cromogranina). Il TGI e il pancreas sono la sede più frequente di tumori endocrini. Le cellule ECL stanno solo nella mucosa acidopeptica dello stomaco. Nell’ileo ci sono le cellule PP. Nel colon retto e appendice, le cellule sono analoghe a quelle dell’ileo. Spesso sono tumori a basso grado di malignità. 1. 2. 3. 4. 5.

tumore endocrino ben differenziato carcinoma endocrino ben differenziato carcinoma endocrino scarsamente differenziato (carcinoma a piccole cellule) tumori misti esocrini – endocrini lesioni tumore – simili (iperplasie etc.)

Tumori ben differenziati Scarsa atipia; mitosi occasionali. Carcinoide poco differenziato con focolai necrotici, necrosi centrale degli zaffi tumorali. Frequenti recidive. Chemioterapia. Accertata la natura endocrina, ricercare le mitosi e le proteine nucleari Ki67. p53 si osserva nei carcinomi poco differenziati. Tumori poco differenziati Necrosi centrale. Solido. Atipia nucleare severa. Numerose mitosi atipiche. Si possono fare agoaspirati della massa tumorale, poi si sottopone a test immunoistochimici per i recettori della somatostatina di tipo 2. Possibile terapia con octreotide. La somatostatina e analoghi bloccano la sindrome clinica, non la proliferazione cellulare, cosa che può invece avvenire ad esempio in alcuni adenomi ipofisari (prolattinomi).

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Carcinoma ben differenziato  chirurgia, terapia citoriduttiva e/o trapianto di fegato; analoghi della somatostatina; IFN in studio. Carcinoma poco differenziato  chirurgia solo se radicale, farmaci chemioterapici.

Appendice

TUMORI NEUROENDOCRINI GASTROINTESTINALI SINDROME DA CARCINOIDE

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I tumori neuroendocrini gastrointestinali (TNE) originano dal sistema neuroendocrino diffuso del tratto gastrointestinale, costituito da cellule secernenti amine o acidi con differenti profili ormonali a seconda della loro origine. I tumori che ne derivano possono essere distinti in tumori carcinoidi e tumori endocrini del pancreas (TEP). Questi ultimi sono stati trattati nella sezione relativa al pancreas endocrino. Inizialmente classificati come tumori del sistema APUD (amine precursor uptake and decarbossilation), un gruppo che comprendeva anche i feocromocitomi, i melanomi e il carcinoma midollare della tiroide. Si riteneva che gli APUDomi derivassero embriologicamente dalla cresta neurale, ma in realtà le cellule secernenti peptidi non hanno un’origine neuroectodermica. I TNE sono in genere costituiti da monomorfi strati di piccole cellule tondeggianti con nuclei uniformi e mitosi poco frequenti. Possono essere identificate con metodiche di routine, ma principalmente sulla base della colorazione di alcune proteine strutturali comuni. Classicamente colorate con argento e quindi distinte in cellule argentaffini (assumevano l’argento e lo riducevano) e argirofile (non in grado di ridurre l’argento). Attualmente si utilizzano metodiche immunocitochimiche per rilevare marker specifici delle cellule neuroendocrine, quali le cromogranine, l’enolasi neuronospecifiche, la sinaptofisina. La cromogranina A è il marker attualmente più utilizzato. I TNE sintetizzano numerosi peptidi, fattori di crescita e amine bioattive che possono essere secrete, dando luogo a sindromi cliniche caratteristiche; la diagnosi delle sindromi cliniche si basa sulle caratteristiche cliniche della malattia e non può essere posta sulla base dei dati immunocitochimici. I tumori carcinoidi sono classificati sulla base della loro sede di origine. I tumori della porzione cefalica dell’intestino presentano un basso contenuto di serotonina (5HT), sono argentaffino- e argirofili. Occasionalmente secernono ACTH o 5HTP (5-idrossitriptofano), dando origine ad una sindrome da carcinoide atipica. I carcinoidi della porzione intermedia sono argentaffino+, presentano elevato contenuto di serotonina e frequentemente danno luogo ad una sindrome da carcinoide tipica quando metastatizzano. Secernono serotonina e tachichinine (sostanza P, neuropeptide K, sostanza K). Raramente secernono ACTH o 5HTP. I carcinoidi della porzione terminale dell’intestino (retto, colon ascendente, colon trasverso) sono argentaffino-, spesso argirofili, raramente contengono serotonina o causano la sindrome da carcinoide; raramente secernono 5HTP e ACTH. Possono dare metastasi ossee.

 Caratteristiche generali dei tumori neuroendocrini gastrointestinali (carcinoidi). 1. Marker delle cellule neuroendocrine a. le cromogranine (A, B, C) sono proteine monomeriche, acide, solubili, presenti nei grossi granuli di secrezione; b. l’enolasi neurone-specifica (NSE) è il dimero γ−γ dell’enolasi ed è un marker citosolico della differenziazione neuroendocrina; c. la sinaptofisina è una glicoproteina di membrana di 38 kDa presente nelle piccole vescicole neuronali e nei tumori neuroendocrini; 2. Similarità anatomopatologiche a. Dal punto di vista ultrastrutturale presentano granuli di secrezione densi (> 80 nm); b. Istologicamente sono simili e presentano poche mitosi e nuclei uniformi; c. Sintetizzano numerosi peptidi / amine che possono essere dimostrati immunocitochimicamente e che possono non essere secreti;

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d. Non è possibile sulla base delle caratteristiche immunocitochimiche stabilire la presenza e il tipo di sindrome clinica; e. Le classificazioni istologiche non possono predire il comportamento biologico; solo la presenza di metastasi o segni di invasività ne determina la malignità; 3. Analogie nel comportamento biologico a. Lento accrescimento (ma alcuni hanno un comportamento aggressivo); b. Secernono peptidi / amine bioattive che possono causare una sintomatologia clinica; c. In genere elevata densità di recettori della somatostatina (utile ai fini della localizzazione e del trattamento del tumore. I tumori carcinoidi possono interessare tutti i tessuti del tratto GI; 70% originano da bronchi, digiuno, ileo, retto, appendice. Probabilmente la sede appendicolare è la più comune. L’incidenza dei carcinoidi clinicamente significativi è compresa tra 7-13/milione/anno. L’incidenza di metastasi varia significativamente nelle sedi di localizzazione: - digiuno, ileo  70% metastatizza; - appendice  30%; - polmoni, bronchi  27%; - retto  14%. La presenza di metastasi epatiche è il principale fattore prognostico. Importante fattore predittivo è inoltre la dimensione del tumore. Tutti i fattori prognostici principali sono di seguito riportati.

 Fattori prognostici nei tumori neuroendocrini -

PRESENZA DI METASTASI EPATICHE ESTENSIONE DELLE METASTASI EPATICHE PRESENZA DI METASTASI LINFONODALI ENTITÀ DELL’INVASIONE SEDE TUMORE PRIMITIVO DIMENSIONI TUMORE PRIMITIVO CARATTERISTICHE ISTOLOGICHE

    

grado di differenziazione elevati indici di proliferazione elevata conta mitotica invasione vascolare o perineurale aneuploidia

-

PRESENZA DI SINDROME DA CARCINOIDE

-

RISULTATI

DEGLI

ESAMI

DI

LABORATORIO

(livelli urinari di 5HIAA, neuropeptide K plasmatico,

cromogranina A sierica) -

-

SECONDARISMI SESSO MASCHILE ETÀ AVANZATA MODALITÀ DIAGNOSI

(incidentale / sintomi).

Un’aumentata incidenza di tumori neuroendocrini è caratteristica di alcune malattie genetiche: - MEN1  patologia autosomica dominante causata da difetto dell’esone 10 nella regione 11q13 che codifica per la menina; nei pazienti affetti, si osserva fino nel 100% dei casi un iperparatiroidismo, 80% TEP non funzionale, 50-80% adenoma ipofisario, raramente carcinoidi bronchiali (8%), timici e gastrici; - Facomatosi: o Malattia di von Hippel-Lindau o Malattia di von Recklinghausen (neurofibromatosi di tipo 1)

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o

Sclerosi tuberosa (m di Bourneville)

Clinica dei TNE e sindrome da carcinoide TUMORI APPENDICOLARI.

1/200-300 appendicectomie, in genere nella coda appendicolare. Più del 90% dei casi ha dimensioni < 1 cm. La metà dei carcinoidi di dimensioni di 1-2 cm si caratterizza per la presenza di metastasi linfonodali. INTESTINO TENUE.

Carcinoidi multipli; 70-80% localizzati nell’ileo e spesso entro 60 cm dalla valvola ileocecale. Metastasi nel 70% dei casi. Danno luogo ad una marcata reazione fibrotica con conseguente possibile sintomatologia ostruttiva intestinale. Le metastasi possono essere epatiche, ossee, polmonari. I carcinoidi possono interessare anche il duodeno. Nessun tumore inferiore al cm si associa a metastasi. Sono la causa più comune di sindrome da carcinoide. RETTO.

I carcinoidi rettali sono identificati 1/2500 rettoscopie; in genere si localizzano tra i 4-13 cm al di sopra della linea dentata. Sono di piccole dimensioni e danno metastasi solo nel 5% dei casi. CARCINOIDI BRONCHIALI.

-

-

Non hanno alcuna relazione con il fumo. Suddivisi in 4 categorie: carcinoidi tipici (carcinoidi a cellule di Kulchitski I, KC-I)  prognosi eccellente carcinoidi atipici (carcinoidi neuroendocrini ben differenziati, KC-II) carcinomi neuroendocrini a cellule intermedie neuroendocarcinoma a piccole cellule (KC-III)  prognosi infausta.

CARCINOIDI GASTRICI.

1/1000 neoplasie gastriche. Sono stati identificati tre tipi di carcinoidi gastrici. Tutti originano dalle cellule ECL della mucosa. Hanno decorso benigno e nel 9-30% danno metastasi. Sono in genere multipli, di piccole dimensioni, e infiltrano solo la sottomucosa. Il terzo tipo di carcinoidi (tipo 3, sporadico) non si associa a ipergastrinemia e presenta un decorso maligno. Gli altri due tipi, associati a ipergastrinemia hanno un decorso più benigno. I carcinoidi sporadici sono in genere tumori singoli di grosse dimensioni. TUMORI CARCINOIDI NON ASSOCIATI A SINDROME DA CARCINOIDE.

Età alla diagnosi media di 63 anni per i carcinomi del tenue e 66 per quelli del retto. Nell’appendice sono riscontrati incidentalmente per appendicectomia. I carcinoidi del tenue danno dolore addominale periodico, ostruzione con ileo, invaginazione, tumefazione addominale (raro) e sanguinamento GI (non comune). I carcinoidi duodenali, gastrici e rettali sono riscontrati incidentalmente per indagini endoscopiche. I carcinoidi rettali danno melena, emorragia, stipsi, diarrea. Un terzo dei pts con carcinoide bronchiale è asintomatico. I carcinoidi timici si presentano come masse mediastiniche riscontrate ad una radiografia o TC. I carcinoidi con metastasi epatiche producono epatomegalia ed esami di funzionalità epatica pressoché nella norma. TUMORI CARCINOIDI CON SINTOMATOLOGIA SISTEMICA DA SECREZIONE DI PRODOTTI BIOLOGICAMENTE ATTIVI.

possono contenere: - gastrina - insulina - somatostatina - motilina - neurotensina - tachichinine (sostanza K, sostanza P, neuropeptide K) - glucagone

I carcinoidi

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gastrin releasing peptide (GRP) VIP PP Altri peptidi biologicamente attivi (ACTH, calcitonina, GHRH, PG, serotonina).

Queste sostanze possono essere secrete o meno, dando origine, nel primo caso, ad una sintomatologia specifica. I carcinoidi del tratto cefalico producono più frequentemente peptidi GI rispetto alla porzione intermedia dell’intestino. La s di Cushing da ACTH ectopico è frequente nei carcinoidi del tratto cefalico. La sindrome sistemica più comune è la sindrome da carcinoide. SINDROME DA CARCINOIDE.

Il flushing e la diarrea sono i due sintomi più frequenti. Il flushing ha un esordio improvviso: si presenta come un eritema violaceo o rosso intenso e interessa la parte superiore del corpo e spesso si associa a sensazione di calore e talvolta prurito, lacrimazione, edema del viso. Gli episodi possono essere precipitati dallo stress, dall’alcol, dall’esercizio fisico, da alcuni alimenti (formaggi) e sostanze (catecolamine, pentagastrina, SSRI). L’episodio può essere di breve durata (2-5 minuti) o durare anche alcune ore in fase avanzata. I flushes sono in genere associati a carcinomi della porzione intermedia dell’intestino. Nei carcinoidi bronchiali i flushes possono durare ore – giorni e si associano a salivazione intensa, lacrimazione, diaforesi, diarrea, ipotensione. Il flush dei carcinoidi gastrici è rossastro a chiazze sul viso – collo. Può essere associato a prurito ed essere provocato dal cibo. La diarrea è comune. In genere si accompagna ai flushes; solitamente è acquosa; la steatorrea è presente in gran parte dei pazienti e spesso superiore a 15 g/die (normale quantità di grassi fecali è < 7 g/die). In una quota minore il dolore addominale si associa a diarrea. La cardiopatia è associata ai processi di fibrosi che interessano l’endocardio, soprattutto a destra. Altri sintomi comprendono una sintomatologia simil-asmatica e lesioni cutanee simili alla pellagra. Fibrosi retroperitoneale con conseguente ostruzione ureterale; malattia di La Peyronie. La sindrome da carcinoide si manifesta nell’8% dei soggetti con tumore carcinoide. Si manifesta solo quando vengono raggiunti in circolo livelli elevati di prodotti di secrezione tumorale. Nel 90% dei casi questo avviene quando sono presenti metastasi epatiche (il fegato ha un ruolo inattivante); raramente la sindrome si osserva in assenza di metastasi epatiche (carcinoidi intestinali con metastasi linfonodali e massiva invasione retroperitoneale, carcinoidi pancreatici, del polmone, dell’ovaio che hanno accesso diretto alla circolazione sistemica). I carcinoidi della porzione intermedia dell’intestino producono il 70% dei casi di sindrome da carcinoide. Il resto è dovuto ai tumori cefalici. Uno dei principali prodotti di secrezione coinvolti è la serotonina, sintetizzata a partire dal triptofano; fino al 50% del triptofano introdotto con la dieta può essere utilizzato dalle cellule tumorali a tale scopo; conseguente insufficiente produzione di niacina e comparsa di lesioni cutanee simili alla pellagra. La serotonina ha numerosi effetti biologici tra cui: - stimolazione della secrezione intestinale - inibizione assorbimento intestinale - stimolazione motilità intestinale - stimolazione fibrogenesi. L’eccessiva produzione di serotonina è presente nel 90-100% dei casi di sindrome da carcinoide. Gli antagonisti del recettore della serotonina migliorano la sintomatologia nella maggior parte dei pazienti. Nei pazienti con carcinoide gastrico è probabile che sia l’istamina il principale mediatore del flushing pruriginoso a chiazze caratteristico: gli antagonisti H1 e H2 hanno un effetto soppressore. La sindrome atipica è probabilmente prodotta da elevati livelli di 5HTP che non può essere convertito a serotonina per deficit dell’enzima dopa-decarbossilasi. I livelli circolanti si serotonina sono normali, ma possono essere aumentati quelli urinari (conversione renale a serotonina del triptofano). In genere associata a carcinoidi del tratto cefalico dell’intestino.

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Una delle complicanze più pericolose è la crisi da carcinoide: fatale se non adeguatamente trattata.

Anatomia Patologica

APPARATO GENITALE FEMMINILE

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MALATTIE GESTAZIONALI E DELLA PLACENTA

EMBRIOLOGIA Le cellule germinali primordiali originano nella parete del sacco vitellino entro la IV settimana di gestazione; a partire dalla quinta/sesta, migrano verso la cresta urogenitale. L’epitelio mesodermico della crescita urogenitale prolifera fino a produrre l’epitelio e lo stroma della gonade. Un secondo componente è il dotto di Mueller; verso la VI settimana di sviluppo, l’invaginazione e la fusione dell’epitelio di rivestimento celomatico determinano la formazione del dotto di Mueller laterale o paramesonefrico. I dotti di Mueller si accrescono progressivamente per posizionarsi nella pelvi, ove si portano medialmente per fondersi con il seno urogenitale in corrispondenza del tubercolo muelleriano. Il seno urogenitale diventa infine il vestibolo degli organi genitali esterni. Normalmente le porzioni non fuse danno origine alle tube di Falloppio; le porzioni caudali fuse formano l’utero e il terzo superiore della vagina; il seno urogenitale costituisce la parte inferiore della vagina e il vestibolo. L’epitelio della vagina, della cervice e dell’apparato urinario è formato dall’induzione da parte dello stroma sottostante delle cellule basali che vanno incontro a una differenziazione in senso squamoso e uroteliale. Il fattore di inibizione muelleriano prodotto dai testicoli in via di sviluppo determina la regressione dei dotti di Mueller così che i dotti del Wolff appaiati (dotto mesonefrico) formano l’epididimo e il dotto deferente. Solitamente il dotto mesonefrico regredisce nella femmina pur persistendo nella vita adulta dei residui sotto forma di inclusioni epiteliali adiacenti alle ovaie, alle tube, all’utero. Nella cervice e nella vagina tali residui possono essere di tipo cistico e sono denominati cisti del dotto di Gardner. Molti degli eventi che contribuiscono alla formazione dei genitali risultano da segnali reciproci epitelio-stromali che portano a rimodellamento mesenchimale e alle variazioni del destino delle cellule epiteliali. ANATOMIA Durante la vita riproduttiva, le ovaie misurano 4x2,5x1,5 cm; l’ovaia si distingue in una corticale e una midollare. La corticale è formata da uno strato di cellule stromali strettamente addossate le une alle altre e un connettivo ricco di collagene relativamente acellulato. I follicoli sono presenti nella parte esterna della

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corticale. Ad ogni ciclo mestruale un follicolo diviene follicolo di Graaf e poi in corpo luteo successivamente all’ovulazione. La midollare è costituita da tessuto mesenchimale lasso e contiene residui di entrambi i dotti del Wolff e piccoli raggruppamenti di cellule epitelioidi rotonde/poligonali, disposte intorno ai vasi. Queste cellule ilari sono residui vestigiali della gonade derivati dalla sua primitiva fase ambisessuale e producono ormoni steroidei in analogia con le cellule interstiziali del testicolo. La mucosa della tuba di Falloppio è composta da numerose estroflessioni papillari (pliche), composte da: - cellule ciliate colonnari; - cellule colonnari secretorie no ciliate; - cellule intercalate (cellule secretorie inattive). L’utero varia in grandezza con l’età e la parità della donna; esso pesa circa 50g e misura 8x6x3 cm nelle donne nullipare; in seguito alle gravidanze l’utero può giungere a 70g e dopo la menopausa si riducono di peso e dimensioni. Presenta tre regioni anatomiche funzionali distinte: - la cervice; - il segmento uterino inferiore; - il corpo; la cervice è suddivisa in portio vaginale (esocervice) e in endocervice. La portio è visibile ad occhio nudo; è ricoperta da un epitelio stratificato non cheratinizzato squamoso in continuità con la volta vaginale. L’epitelio squamoso converge centralmente in una piccola apertura denominata orifizio uterino esterno. Nelle donne nullipare questo orifizio è praticamente chiuso. Appena al di sopra c’è l’endocervice (epitelio colonnare mucosecernente che si dirige verso il sottostante stroma a formare le cripte  ghiandole endocervicali). Il punto in cui l’epitelio squamoso e muelleriano colonnare si incontrano è la giunzione squamo-colonnare. La posizione della giunzione è variabile a seconda sia dell’anatomia cervicale, sia della distribuzione delle cellule di riserva basali e subcolonnari posta al di sopra di questa giunzione. Cfr  cervice uterina La porzione colonnare che viene sostituita da epitelio squamoso è definita zona di trasformazione; sotto l’influenza dell’FSH ipofisario e dell’LH si verificano lo sviluppo e la maturazione di un singolo follicolo. Dopo l’ovulazione i livelli di estrogeni salgono fino a un plateau in terza settimana; i livelli decrescono iniziando 3-4 giorni prima delle mestruazioni; il progesterone prodotto dal corpo luteo aumenta fino alla seconda metà del ciclo mestruale e cade ai livelli basali appena prima del sanguinamento mestruale. INFEZIONI Una grande varietà di microrganismi può colpire l’apparato genitale femminile. Molte sono sessualmente trasmesse. Tratto genitale inferiore Le infezioni da HSV sono frequenti e colpiscono vulva, vagina, cervice. La frequenza è aumentata negli ultimi due decenni; l’infezione da HSV2 rappresenta una delle principali malattie sessualmente trasmesse. Le lesioni iniziano 3-7 giorni dopo il contatto sessuale e consistono in numerose papule di colore rosso localizzate nella vulva che si trasformano in vescicole e ulcere. L’interessamento cervicale / vaginale provoca una grave leucorrea (secrezione) e la prima infezione produce febbre, malessere, linfoadenopatia inguinale. Le lesioni guariscono spontaneamente in 1-3 settimane. Le infezioni micotiche (candida) sono comuni. Diabete, contraccettivi e gravidanza possono favorire lo sviluppo dell’infezione, che si manifesta con chiazze biancastre. Trichomonas vaginalis è un protozoo flagellato di grandi dimensioni che si può identificare nelle secrezioni. Le infezioni possono verificarsi a qualunque età. Sono associate a perdite vaginali purulente e fastidiose; la sottostante mucosa vaginale e la cervice presenta tipicamente un aspetto di colore rosso vivo detto cervice a fragola. Il mycoplasma è responsabile di vaginite / cervicite ed è implicato nella patogenesi dell’aborto spontaneo e della corioamnioite. La gardnerella è un piccolo bacillo gram- implicato in casi di vaginite. Tratto genitale superiore – MALATTIA INFIAMMATORIA PELVICA (PID) Dolore pelvico, dolorabilità annessiale, febbre, perdite vaginali. Risulta dall’infezione da uno o più dei seguenti:

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-

gonococchi; clamidie; batteri enterici; infezioni dopo aborti, parti (fisiologici o distocici). La PID è polimicrobica in questo caso e causata da coliformi, clostridi, stafilococchi e streptococchi. Solitamente inizia nelle ghiandole del Bartolino; da ognuna di queste sedi i microrganismi possono diffondersi verso l’alto, fino ad interessare le tube e la regione tubo-ovarica. Le infezioni non gonococciche batteriche si pensa diffondano per via ascendente attraverso i linfatici o i vasi venosi, piuttosto che sulla superficie mucosa (casi traumatici, dopo chirurgia o parto). Il gonococco causa un’infiammazione ghiandolare da 2-7 giorni dopo l’introduzione del microrganismo. La malattia gonococcica è caratterizzata da una reazione suppurativa acuta con infiammazione mucosa – sottomucosa; l’endometrio è risparmiato. Coinvolte le tube ne deriva una salpingite acuta suppurativa; la sierosa tubarica diventa iperemica e ricoperta da fibrina. Le fimbrie delle salpingi sono interessate e il lume si riempie di essudato purulento che può fuoriuscire dalla porzione terminale della fimbria. Nel giro di giorni – settimane, le fimbrie possono chiudersi o diventare adese alle ovaie, fino a determinare una salpingo – ooforite. Possono verificarsi raccolte di pus all’interno della tuba (ascesso tubo – ovarico, piosalpinge). Le complicanze della PID comprendono: - peritonite; - ostruzione intestinale da aderenze tra il piccolo intestino e gli organi pelvici; - batteriemia; - infertilità (PID croniche di lunga data).

VULVA

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La vulva appare come un rilievo impari mediano, di forma piriforme, che inizia a livello della parte superiore della sinfisi pubica e si estende verso il basso lungo le branche ischio-pubiche, terminando a circa 1 centimetro dall'apertura anale. Questo rilievo, formato da un cuscinetto di cute spessa, prende il nome di monte di Venere, il quale continua in basso con due pliche cutanee pari e simmetriche dette grandi labbra. Il monte di Venere e le grandi labbra sono ricoperte da uno sviluppato apparato pilifero. Al di sotto si trovano altre due pliche cutanee interne, pari e simmetriche e prive di apparato pilifero, più sottili, dette piccole labbra, o ninfe, che si congiungono in alto in una formazione a piccolo tubercolo sporgente che è la parte ispezionabile degli organi erettili femminili, ossia corpo e glande del clitoride. La palpazione di queste formazioni alla loro base d'impianto, permette di apprezzare la sede delle parti nascoste degli organi erettili e delle formazioni ghiandolari annesse, chiamate ghiandole vestibolari. Cisti del Bartolino L’infezione acuta della ghiandola del Bartolino provoca una flogosi acuta (adenite) e può causare la formazione di un ascesso del Bartolino. Le cisti del Bartolino sono comuni, a qualsiasi età e sono causate da ostruzione del dotto del Bartolino generalmente dopo una pregressa infezione. Possono diventare estese fino a 3-5 cm di diametro. Vulvite 4 agenti infettivi possono determinare un’infiammazione: HPV, HSV2 (spt), gonococco, sifiloma primario. PATOLOGIE EPITELIALI NON NEOPLASTICHE Spettro di lesioni definito anche distrofie vulvari caratterizzato da ispessimenti della mucosa opachi, biancastri, squamosi, che si presentano con fastidio e prurito. Le placche bianche possono indicare di per sé lesioni di qualunque origine. L’aspetto macroscopico è quello di una leucoplachia, ovvero di lesioni

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biancastre depigmentate. La diagnosi differenziale è con vitiligine, psoriasi, lichen planus, carcinoma in situ, morbo di Paget, carcinoma invasivo. Si tratta di condizioni infiammatorie aspecifiche della vulva classificate secondo criteri dermatologici:

1. lichen scleroatrofico (lichen sclerosus): si manifesta con fibrosi sottoepiteliale conduce ad atrofia, fibrosi e cicatrizzazione; la pelle diviene grigio-pallida simile a pergamena; le grandi labbra sono atrofiche e l’introito vaginale è ristretto: a. atrofia dell’epidermide con scomparsa delle papille; b. degenerazione idropica delle cellule basali; c. sostituzione del derma sottoepiteliale con tessuto fibroso collagene di consistenza densa; d. infiltrato linfocitario monoclonale a banda.

2. lichen simplex cronico: caratterizzato da ispessimento epiteliale diffuso (acantosi) e da ipercheratosi. Chiamato in passato distrofia iperplastica, è una condizione aspecifica che risulta dal grattamento / sfregamento della pelle allo scopo di alleviare il prurito variamente instauratosi. a. Acantosi dell’epitelio squamoso; b. Ipercheratosi; c. Epitelio può mostrare maggiore attività mitotica in ambedue gli strati basale / spinoso, con variabile infiltrazione linfocitaria del derma. È una patologia aspecifica secondaria al prurito (dovuto ad infezioni specifiche, irritazione chimica, prurito idiopatico). Biopsia per dd’. TUMORI BENIGNI Idradenoma papillare La vulva contiene ghiandole sudoripare apocrine modificate, come la mammella. L’idradenoma papillare è identico al papilloma intraduttale mammario. Si presenta come un nodulo ben circoscritto in genere localizzato alle grandi labbra e alle pieghe interlabiali e può essere confuso clinicamente con un carcinoma a causa della sua tendenza all’ulcerazione. Condiloma Le alterazioni vulvari a crescita verrucoide si presentano in 3 forme: 1. condiloma acuminato; 2. polipi mucosi; 3. condiloma lato (luetico): piatto, umido, poco rilevato. I condilomi acuminati sono tumori benigni che hanno un aspetto macroscopico caratteristicamente verrucoso; sono frequentemente multipli e confluenti e interessano le regioni perineali, vulvare, perianale, vagina e meno comunemente la cervice. Le lesioni sono identiche a quelle perianali e peniene del maschio. Si tratta di un tumore benigno causato dal papillomavirus umano (HPV). Il sierotipo 6 (e 11) sono associati al condiloma acuminato. Escrescenze papillari multiple, sessili o peduncolate, di colore rosso, che variano da uno a diversi millimetri di diametro. Asse stromale fibrovascolare, con stroma di connettivo villoso / papillare rivestito da epitelio ipercheratosico e acantosico. Vacuolizzazione chiara delle cellule spinose (coilocitosi) caratteristica di HPV. La membrana basale è intatta e lo stroma sottostante non è invaso. I condilomi tendono a recidivare ma non evolvono in carcinomi invasivi. Vi è una stretta dipendenza virale dalla maturazione squamosa. Non sono precancerosi: i genotipi associati a carcinoma sono altri! NEOPLASIA INTRAEPITELIALE VULVARE – CARCINOMA VULVARE Il carcinoma della vulva è una neoplasia maligna rara; otto volte meno frequente del carcinoma della cervice; donne con età > 60 anni. L’85% sono carcinomi a cellule squamose. I restanti sono adenocarcinomi, basaliomi, melanomi. Possono essere divisi in due gruppi:

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1-

HPV AD ALTRO RISCHIO DI NEOPLASIA; il carcinoma progredisce attraverso uno stadio intraepiteliale (VIN = vulvar intraepitelial neoplasm); la VIN è caratterizzata da atipia nucleare epiteliale, aumento delle mitosi e mancanza di differenziazione superficiale; è frequentemente multicentrica; il 90% contiene il DNA HPV (sierotipi 16 e 18 soprattutto). Donne più giovani. 2- ASSOCIATI AD IPERPLASIA SQUAMOSA E LICHEN SCLEROATROFICO; l’eziologia di questo gruppo è poco chiara; non sono associati ad HPV; associati ad aumento di accumulo di p53. Donne più anziane. Numerose anomalie cromosimiche sono associate al carcinoma invasivo della vulva, alcune specifiche per tumori HPV+. I carcinomi squamosi HPV+ iniziano come VIN classiche: distinte lesioni color carne / pigmentate lievemente rilevate. I carcinomi associati al lichen possono svilupparsi velocemente come noduli nel contesto di un’infiammazione vulvare. I VIN possono essere ben differenziati (verrucoso) o scarsamente differenziati (basaloide). I tumori HPV- che talvolta derivano dal lichen scleroatrofico mostrano crescita invasiva con cheratinizzazione prominente. La diffusione metastatica è legata alle dimensioni del tumore, alla profondità di invasione e al coinvolgimento dei vasi linfatici. < 2 cm diametro: sopravvivenza a 5 anni del 60-80% dopo vulvectomia e linfadenectomia. Lesioni più ampie hanno prognosi < 10%. Rare varianti comprendono i carcinomi verrucosi (pattern di crescita espansivo; alla biopsia appare come un tessuto del tutto maturo; ha un basso potenziale di malignità) e i carcinomi basocellulari (cellule piccole, monomorfe, organizzate in nidi di cellule immature; molte mitosi). I VIN possono essere di grado I, II, III. ASSOCIATI AD

Il carcinoma è curabile se individuato nei primi stadi; stadiazione TNM (e lo staging FIGO). Corrispondenza tra la stadiazione FIGO (federazione italiana ginecologia e ostetricia) e la stadiazione TNM.

STADIO

DEFINIZIONE

TNM

0

Carcinoma in situ - VIN 3

Tis

IA

Tumore di Ø < 2 cm confinato a vulva e/o perineo, con T1a N0 M0 invasione stromale non superiore a 1 mm*. Assenza di metastasi linfonodali

IB

Tumore di Ø < 2 cm confinato a vulva e/o perineo, con T1b N0 M0 invasione stromale superiore a 1 mm*. Assenza di metastasi linfonodali

II

Tumore di Ø > 2 cm confinato a vulva e/o perineo, con T2 N0 M0 assenza di metastasi linfonodali

III

Tumore di qualsiasi Ø con: interessamento di 1/3 distale dell’uretra, e/o vagina e/o ano e/o metastasi ai linfonodi inguinali monolaterali

T3 N0 T3 N1 T1 N1 T2 N1 M0

IVA

Tumore che invade 1 o più delle seguenti strutture: 1/3 prossimale dell’uretra, mucosa vescicale, mucosa rettale, sinfisi pubica e/o metastasi linfonodali inguinali bilaterali

T1 N2 M0 T2 N2 M0 T3 N2 M0 T4 N0-2 M0

IVB

Metastasi a distanza, comprese le metastasi linfonodali T1-4 N0-2 M1 pelviche



M0 M0 M0

= La profondità di invasione è definita come la misura della neoplasia dalla giunzione epitelio-stromale della papilla dermica adiacente più superficiale, fino alla profondità massima di invasione.

Lo stadio è fortemente correlato con la sopravvivenza, quello linfonodale in particolare. Il trattamento dipende dallo stadio.

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MALATTIA DI PAGET DELLA VULVA Simile alla malattia di Paget della mammella. Si manifesta come un’area pruriginosa di colore rosso incrostata, nettamente demarcata, a carta geografica che compare di solito a livello delle grandi labbra. Si tratta di una neoplasia ghiandolare intraepiteliale. Simula una dermatite e coinvolge soprattutto donne anziane con lesioni plurifocali. L’aspetto microscopico è costituito da cellule neoplastiche con ampio citoplasma che si distribuiscono in un singolo strato o in piccoli gruppi nell’epidermide o nelle sue appendici; le cellule sono distinguibili per il citoplasma granulare (mucopolisaccaridi PAS+, alcian blu +); contrariamente alla malattia di Paget mammaria, le lesioni sono limitate all’epidermide, ai follicoli piliferi e alle ghiandole sudoripare adiacenti. Zaffate di cellule carcinomatose singole o sparse a piccoli gruppi (sgocciolate); molto chiare, separate dall’epitelio circostante da un alone chiaro di mucopolisaccaridi PAS+. 3 tipi a seconda dell’origine cellulare: - primario cutaneo (vulvar Paget); - secondaria a neoplasie non cutanee (anale, rettale, Skene e Bartolino); - neoplasie uroteliali pagetoidi. Dd’ con melanomi vulvari (manca l’alone chiaro).

VAGINA

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La vagina rappresenta una regione generalmente libera da localizzazioni primitive di malattie; la principale lesione primitiva grave è il raro carcinoma primitivo. VAGINITE Le principali manifestazioni sono: - dispareunia (ma più frequente per uretriti e cistiti)  coito doloroso; - leucorrea; - agenti responsabili: o gonococco (raro); o candida (perdite bianche e cremose); o trichomonas (perdite grigioverdastri abbondanti). ADENOSI VAGINALE Persistenza a livello vaginale di aree residue di epitelio muelleriano, al posto del normale epitelio squamoso, da cui possono originare neoplasie. Questo epitelio è mucinoso o tubo-endometriale. L’endometriosi, tessuto endometriale ectopico, è caratterizzato dalla presenza di ghiandole e stroma in sede ectopica. L’adenosi vaginale, come l’adenocarcinoma, ha avuto un alta incidenza in donne giovani (20 anni), figlie di donne trattate con DES, farmaco estrogeno di sintesi impiegato nel carcinoma prostatico o per ritardare il parto. Può andare incontro a - metaplasia squamosa; - iperplasia microghiandolare; - adenosi atipica; - adenocarcinoma a cellule chiare (spt). NEOPLASIA INTRAEPITELIALE VAGINALE – CARCINOMA SQUAMOSO

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Il carcinoma primitivo della vagina è molto raro (0,6/100000 donne/anno). Rappresenta l’1% dei tumori maligni dell’apparato genitale femminile. La maggior parte è associata ad HPV. Più frequenti i casi di diffusione da tumore cervicale (necessaria dd’). In genere il tumore interessa la vagina posterosuperiore, a livello della giunzione con l’esocervice. Esordisce come un’area di ispessimento epiteliale con alterazioni displastiche delle cellule epiteliali e progressione di una massa simile ad una placca che si estende in direzione centrifuga e che invade le strutture perivaginali. Giungono all’attenzione per sanguinamento irregolare o leucorrea franca. Altre volte formano fistole vescicali o rettali. ADENOCARCINOMA Molto raro. Aumentata frequenza in giovani donne le cui madri sono state trattate con dietilstilbestrolo (DES) durante la gravidanza. Meno dello 0,14% di tali donne sviluppa un carcinoma. DES: estrogeno di sintesi un tempo utilizzato anche per ridurre i sintomi della menopausa. Localizzato a livello della parete anteriore, terzo superiore della vagina e varia da 0,2 a 10 cm. Generalmente scoperti tra 15-20 anni; composti da cellule con citoplasma vacuolizzato contenente glicogeno (carcinoma a cellule chiare). Precursore probabile è l’adenosi vaginale: condizione in cui l’epitelio ghiandolare colonnare compare al di sotto di quello squamoso oppure lo sostituisce; l’adenosi si presenta con follicoli rossi che contrastano con il rosa pallido della mucosa vaginale. Insidioso. Difficile da trattare. Alto grado di malignità. Non si ha la classica conformazione seghettata tipica degli adenocarcinomi. Se non si accompagna ad adenosi  pensare a metastasi.

CERVICE UTERINA

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CERVICITE ACUTA E CRONICA Molto frequenti, con proporzioni epidemiche. Rischio di PID. All’inizio del menarca, gli estrogeni stimolano l’uptake di glicogeno da parte della mucosa squamosa vaginale. Il glicogeno fornisce un substrato per la flora vaginale endogena (streptococchi, enterococchi, escherichia coli e stafilococchi). La crescita batterica provoca una drastica riduzione del pH vaginale a cui è molto sensibile l’endocervice, che risponde andando incontro a metaplasia squamosa (differenziamento squamoso delle cellule di riserva). Questo processo è sollecitato anche da traumi e infezioni della vita riproduttiva; l’epitelio squamoso oblitera la superficie delle papille colonnari e ostruisce lo sbocco delle cripte, con successivo accumulo di muco nelle cripte profondo, fino a formare cisti mucose (nabothiane). Associazione con infiltrazione di neutrofili e mononucleati. Queste lesioni caratterizzano la cervicite cronica. Un certo grado di flogosi cervicale è riscontrabile in quasi tutte le donne multipare e in molte nullipare adulte, con scarsa rilevanza clinica. Infezioni specifiche possono produrre cerviciti acute/croniche di rilevanza clinica (herpes, gonococco, clamidia). Spongiosi intraepiteliale, edema della sottomucosa e modificazioni epiteliali e stromali. Cervicite acuta: neutrofili, erosioni,

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modificazioni riparative epiteliali. La cervicite cronica prevede infiammazione mononucleare, necrosi, tessuto di granulazione. La spongiosi epiteliale è associata a Trichomonas vaginalis. Gravi modificazioni riparative possono dar luogo a cellule atipiche che mimano lesioni precancerose. Le cellule sottoposte a riparazione sono prive del loro normale contenuto di glicogeno e possono presentare atipie nucleari. Perdite vaginali purulente o mucopurulente. Dispareunia. Spesso asintomatiche. Classificazione: - cervicite acuta specifica  solo la forma gonococcica; - cervicite acuta aspecifica  spt puerpere; (stafilococchi, streptococchi); - cervicite cronica / non specifica; - cisti da naboth: dilatazioni cistiche delle ghiandole cervicali per stenosi infiammatoria. Agenti:

-

batteri  streptococchi, stafilococchi, escherichia, gonorrea, clamidia trac., ureaplasma; protozoi  trichomonas; virus  HSV2, HPV.

Attenzione all’atipia reattiva  possibilità di reazioni di Schiller falsamente positive (mancata captazione di una soluzione iodata per la povertà in glicogeno). ECTROPION ESOCERVICALE A livello cervicale sono presenti due tipi di epitelio: squamoso esocervicale e colonnare endocervicale. Il punto in cui essi si incontrano è definito giunzione squamocolonnare. Nella donna giovane la giunzione squamocolonnare raggiunge la porzione sottostante all’ostio cervicale (trattasi di una metaplasia, non di uno spostamento meccanico reciproco dei tessuti), formando una nuova area di epitelio colonnare esposta all’ambiente vaginale (ectropion esocervicale). Nella donna adulta questo epitelio va ulteriormente incontro a metaplasia squamosa e la giunzione squamocolonnare viene così a ritrovarsi a livello dell’ostio esocervicale. POLIPI ENDOCERVICALI Sono neoformazioni a carattere infiammatorio relativamente innocue; queste neoplasie si riscontrano nel 25% delle donne adulte; il principale sintomo è il sanguinamento vaginale (spotting irregolare); la maggior parte di essi insorge a livello del canale endocervicale e varia da piccole masse fino a voluminose formazioni sessili di 5 cm che possono protrudere attraverso l’orifizio cervicale. Hanno consistenza molle, mucoide e sono composti da uno stroma lasso fibromixoide e da ghiandole cervicali mucosecernenti dilatate e talora ramificate, spesso accompagnate da flogosi e metaplasia squamosa. Il raschiamento o la resezione chirurgica sono risolutivi. NEOPLASIE DELLA CERVICE UTERINA Il virus del papilloma umano (HPV) è attualmente ritenuto il più importante agente oncogeno implicato nella tumorigenesi cervicale. Esiste un’associazione tra rischio di neoplasia e specifici sierotipi di HPV; non tutti hanno lo stesso potere oncogeno e lo stesso tropismo; solo una piccola frazione dei soggetti esposti sviluppa un carcinoma. I fattori di rischio globalmente intesi per il cancro cervicale sono i seguenti: - precoce età al primo rapporto sessuale (HPV); - molteplici rapporti sessuali (HPV); - partner maschile con molte partner precedenti (HPV); - presenza di sierotipi HPV associati a tumore; - contraccettivi orali;

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-

fumo (nicotina); infezioni genitali (clamidia); immunosoppressione (HIV); parità elevata.

Lo screening mediante striscio di Papanicolau (PAP-test) ha incrementato l’identificazione di tumori potenzialmente curabili e l’identificazione ed eradicazione di lesioni preinvasive, alcune delle quali possono potenzialmente progredire fino al cancro invasivo. Le evidenze a favore del rapporto HPV – neoplasia sono le seguenti: - HPV-DNA identificato in oltre 95% dei tumori cervicali; - Sierotipi ad alto rischio (diversi da quelli del condiloma): 16, 18, 31, 33, 35, 39, 45, 51, 52, 56, 58, 59, 68; - I geni E6/E7 del virus possono interrompere il ciclo cellulare, mediante legame con il gene RB ed alterata regolazione della ciclina E; possono interrompere l’apoptosi mediante legame con p53; indurre instabilità genomica ed alterare la regolazione della telomerasi. Gli oncogeni virali sono essenziali nel determinare l’estensione dell’emivita delle cellule epiteliali, una componente necessaria allo sviluppo tumorale.  Le infezioni da HPV sono molto comuni, soprattutto in giovani donne all’inizio del periodo di attività sessuale; hanno durata breve, sono transitorie e vanno incontro a risoluzione spontanea entro due anni. Alcuni sierotipi a superiore rischio oncogeno tendono a dare con maggiore frequenza infezioni persistenti. La persistenza dell’infezione è uno dei fattori fondamentali di insorgenza del carcinoma / displasia e si associa ad elevato rischio di sviluppare displasie gravi (30x) e carcinomi (300x). Sierotipi a basso rischio: 6, 11; sierotipi ad alto rischio: 16, 18. La prevalenza dei sierotipi varia in base alla zona geografica. La maggioranza, forse tutti, i carcinomi invasivi squamosi cervicali originano da neoplasie cervicali intraepiteliali (CIN). Non tutti i CIN progrediscono a carcinoma invasivo. I CIN possono persistere immodificati o addirittura regredire. Le CIN possono precedere il carcinoma anche di 20 anni. La gravità e l’estensione dell’atipia cellulare sono state suddivise in gradi: - CIN 1: displasia lieve (meno di un terzo dell’epitelio); - CIN 2: displasia moderata (2/3 dell’epitelio); - CIN 3: displasia grave e carcinoma in situ (intero spessore epiteliale). Oggi il sistema CIN non è più utilizzato; si preferisci il sistema di Bethesda. (vedi appendice) Lesioni squamose intraepiteliali di basso grado (LG-SIL) e di alto grado (HG-SIL). LGSIL corrisponde a CIN1, HGSIL corrisponde a CIN 2-3. LGSIL sono l’espressione di un’infezione produttiva da HPV; ci si può limitare a una cura conservativa; HGSIL sono vere e proprie neoplasie e hanno un significativo potenziale di evoluzione verso la neoplasia maligna; devono quindi essere ablate. LG-SIL

-

HG-SIL

associata a sierotipi a basso rischio di HPV espressione di infezioni produttive infezione episomica coilocitosi frequente corredo genetico diploide e poliploide proliferazione policlonale figure mitotiche atipiche infrequenti interessa il terzo basale dell’epitelio (CIN1)

Iter diagnostico delle lesioni neoplastiche della cervice. 1. citologia (testi di Papanicolau)  screening; 2. colposcopia se il PAP è +;

-

associata a sierotipi 16, 18 (alto rischio) espressione di infezioni persistenti integrazione del DNA virale coilocitosi infrequente corredo genetico aneuploide proliferazione monoclonale figure mitotiche atipiche e frequenti corrisponde a CIN2-3.

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3. biopsia. Screening del cancro cervico-vaginale: a tutt’oggi il PAP-test rappresenta il modello insuperato di screening; la citologia esfoliativa cervico-vaginale risponde a tutti i criteri necessari per l’utilizzo come screening; è stato dimostrato che: - 2 paptest/vita riducono il rischio del 40%; - eseguito ogni anno abbatte il rischio del 93%. Epidemiologia: Picco di incidenza CIN (30 anni); il picco di incidenza del carcinoma invasivo è 45 anni.

CARCINOMA INVASIVO

DELLA CERVICE

Può presentare tre aspetti morfologici macroscopici: 1. vegetante; aggetta sopra la mucosa, tipo cavolfiore (fungoide o esofitico); 2. ulcerativo; infossamento nella superficie centrale del tumore; 3. infiltrante; la meno frequente; tende a crescere infiltrando lo stroma sottostante; diffondono per contiguità, infiltrando i tessuti circostanti; in fase avanzata può infiltrare retto/vescica. Può occludere uno o tutti e due gli ureteri. Una delle più frequenti cause di morte in stadio avanzato era l’insufficienza renale postrenale. Interessamento linfonodale e metastasi tardive (polmoni, ossa, fegato). Istotipi: 1. CARCINOMA A CELLULE SQUAMOSE (95%); PRECURSORE HG-SIL O CIN3; 2. ADENOCARCINOMA; 3. FORME MISTE. Stadiazione:

0 1

CARCINOMA IN SITU

– CIN3

CARCINOMA CONFINATO ALLA CERVICE

1A 1B

carcinoma preclinico ovvero diagnosticato microscopicamente. carcinoma istologicamente invasivo confinato alla cervice.

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CARCINOMA ESTESO OLTRE LA CERVICE MA NON ALLA PARETE PELVICA; CARCINOMA CHE INTERESSA LA VAGINA MA NON IL TERZO INFERIORE

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CARCINOMA ESTESO ALLA PARETE PELVICA; NON VI È SPAZIO LIBERO TRA TUMORE E PARETE PELVICA; INTERESSA IL TERZO INFERIORE DELLA VAGINA.

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CARCINOMA ESTESO OLTRE LA PELVI O COINVOLGIMENTO DELLA MUCOSA DELLA VESCICA O DEL RETTO; CASI A DISSEMINAZIONE METASTATICA.

Si manifesta con sintomatologia da cervicite coesistente; possibile leucorrea, coito doloroso, disuria. LESIONI GHIANDOLARI DELLA CERVICE (ADENOCARCINOMA)

La diagnosi precoce è meno importante e meno possibile. Significativo problema medico; spettro di lesioni e quadri meno chiari e più difficili da rilevare. Tre classi di lesioni precursori:

1.

GHIANDOLARE: sono lesioni superficiali; non si associa ad alterazioni strutturali, ma citomorfologiche; va in dd’ con le altre perché non si sottopone ad alcuna cura; 2. DISPLASIA GHIANDOLARE ENDOCERVICALE: fase iniziale di trasformazione neoplastica ma non si cura; è una categoria con significato descrittivo; 3. ADENOCARCINOMA IN SITU; è l’unica lesione importante dal punto di vista clinico. Rappresenta l’1% dei carcinomi in situ della cervice; gli altri 99% sono carcinomi squamosi. Colpisce donne in età fertile (30 anni); 80% asintomatiche; 50% PAP-; monofocali su ghiandole e superficie; una diagnosi conclusiva è possibile con la biopsia cono; tendono a recidivare perché profonde. ATIPIA

L’architettura è comunque normale; si usano criteri di atipia citologica: 1. aumento di mitosi e apoptosi; 2. pluristratificazione; 3. etc.  dd’ con adenocarcinoma invasivo: difficile perché i criteri di differenziazione sono difficili da applicare. Il criterio più significativo per l’invasione è l’eccesso di ghiandole; vi sono poi la desmoplasia stromale (alterazioni stromali che accompagnano l’invasione), la complessità dell’architettura (ghiandole fuse, aspetto cribriforme per la mancanza di stroma), ghiandole in sede profonda (terzo interno della parete); in alcune forme non si ha reazione stromale e l’infiltrazione è fatta di ghiandole molto ben differenziate: in questo caso si parla di: 4. FORME PSEUDONEOPLASTICHE: sono forme benigne di iperplasia focale / diffusa delle ghiandole che devono essere riconosciute: a. iperplasie ghiandolari esocervicali; b. metaplasie ed ectopie delle ghiandole endocervicali.  tunnel cluster: iperplasia dell’architettura ghiandolare molto frequente e tipica di donne pluripare;  reazione di Arias-Stella: dovuta a gravidanza; aspetti ipersecretori con alterazioni citomorfologiche;  reazione deciduale: a cui va incontro lo stroma deciduale.

5.

ADENOCARCINOMA INVASIVO:

è aumentato di incidenza, a fronte di una riduzione dell’incidenza dei carcinomi squamosi; 15-20%. Stessi fattori di rischio; l’unico fattore di rischio in più è rappresentato dall’uso di contraccettivi; lo staging e la diagnosi richiedono un cono o un’isterectomia; nella forma microinvasiva si può fare ablazione circoscritta (importante da riconoscere). a. Minimal deviation – adenocarcinoma: forma ben differenziata e infrequente. Eccesso di muco vaginale (soprattutto le forme mucinose); aspetto colposcopico normale; ha una storia di invasione precoce; la biopsia deve essere a cono; molto difficile da differenziare: 1. l’atipia citologica non è diffusa; 2. difficoltà ad applicare i criteri suddetti;

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3. aspetto villo-ghiandolare con papille digitiformi; la componente invasiva è superficiale; la componente stromale è assente, soprattutto se ci sono piccole biopsie (non vanno bene); b. Adenocarcinoma mesonefrico della cervice; c. Adenocarcinoma a cellule chiare (molto aggressivo); d. Glassy-cell adenocarcinoma (molto aggressivo). 6. 7.

CARCINOMA ADENOSQUAMOSO; CARCINOMA INDIFFERENZIATO.

APPENDICE

SISTEMA

DI

BETHESDA

PER LA REFERTAZIONE DELLA CITOLOGIA CERVICO -VAGINALE

Il Sistema Bethesda (SB) per la refertazione della citologia cervico-vaginale è stato elaborato nel dicembre 1988 in un workshop organizzato dal National Cancer Insitute (NCI) al fine di stabilire una terminologia diagnostica uniforme e capace di favorire la comunicazione tra laboratorio e clinico. Il modulo per la refertazione SB comprende una diagnosi descrittiva e una valutazione dell'adeguatezza del preparato. Il SB è stato ideato per essere flessibile, cioè adattabile all'evoluzione dello screening del cancro cervicale ed ai progressi in patologia cervicale. Nell'aprile 1991 si tenne un secondo workshop per valutare l'impatto del SB nella pratica ed apportare eventuali modifiche Uno dei principali impegni di questo secondo incontro fu di stabilire precisi criteri per la terminologia diagnostica e la descrizione dell’adeguatezza del preparato. La classificazione del SB non è di tipo istogenetico: si tratta piuttosto di una nomenclatura elaborata per facilitare la suddivisione in categorie e la refertazione della diagnosi citologica. Come nel sistema dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la diagnosi è in definitiva determinata dalle cellule con maggiori anomalie, indipendentemente dal loro numero; va inoltre rilevato che la citologia cervico-vaginale non è sempre in grado di precisare la sede d'origine di un'anomalia, poiché tumori morfologicamente identici possono originarsi dalla vagina, collo uterino endometrio od ovaio. I criteri diagnostici e le descrizioni dovrebbero facilitare un impiego uniforme del SB e consentire una refertazione citologica più concordante. Va comunque rilevato che nella citopatologia cervico-vaginale l'interpretazione è in parte soggettiva ed i criteri diagnostici vanno pertanto visti in tale contesto. Alterazioni cellulari epiteliali Cellule squamose • • • • LESIONE

- Cellule squamose atipiche di incerto significato (ASCUS) - Lesione squamosa intraepiteliale di basso grado (LSIL) ; comprende: Papillomavirus umano (HPV) / displasia lieve / neoplasia cervicale intraepiteliale (CIN) 1 - Lesione intraepiteliale di grado elevato (HSIL) ; comprende: displasia moderata/displasia severa e carcinoma in situ / CIN 2 e CIN 3 - Carcinoma squamoso SQUAMOSA INTRAEPITELIALE

(SIL)

La lesione squamosa intraepiteliale comprende uno spettro di anomalie non invasive dell'epitelio cervicale, tradizionalmente classificate come condiloma piatto, displasia/carcinoma in situ e CIN ; nel SB sono suddivise in lesioni di basso ed alto grado. Le lesioni di basso grado includono le alterazioni cellulari da effetto citopatico da HPV (cosiddetta atipia coilocitica) e la displasia lieve/CIN 1. Le lesioni di alto grado includono la displasia moderata, la displasia severa e il carcinoma in situ/CIN 2-3. LSIL Criteri •

Le cellule sono isolate o riunite in lembi

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• • • • • • • • •

Le anomalie nucleari sono generalmente limitate alle cellule con citoplasma "maturo" o di tipo superficiale Il nucleo è almeno tre volte più grande di quello di una cellula intermedia normale, quindi aumenta il rapporto nucleo/citoplasma È presente una modica variazione delle dimensioni e forma del nucleo È frequente la binucleazione o multinucleazione È presente ipercromia con uniforme distribuzione della cromatina; essa può anche presentarsi degenerata o in ammassi se coesistono alterazioni citopatiche da HPV I nucleoli sono raramente presenti ed irrilevanti La membrana nucleare può essere visibile e finemente irregolare; è invece invisibile, se la cromatina è in ammassi I bordi cellulari sono ben distinti Per una diagnosi di LSIL, le cellule con evidente alone perinucleare otticamente chiaro e circondato da citoplasma denso devono presentare le anomalie nucleari già descritte; l'alone perinucleare senza anomalie del nucleo non giustifica la diagnosi di LSIL HSIL

Criteri • • •

• • • •

Le cellule sono generalmente isolate, in lembi o in aggregati sinciziali Le anomalie dei nucleo riguardano prevalentemente le cellule squamose con citoplasma "immaturo", tenue o denso e a bordi sfrangiati; talvolta, il citoplasma è "maturo" e densamente cheratinizzato L'ingrandimento del nucleo rientra nel range della LSIL, mentre si riduce l'area del citoplasma: si determina così un notevole aumento del rapporto nucleo/citoplasma; nelle cellule con rapporto nucleo/citoplasma molto elevato, l'ingrandimento del nucleo può essere Inferiore a quello della LSIL Le cellule della HSIL sono generalmente più piccole di quelle della LSIL È ben evidente l'ipercromia: la cromatina può essere a fini o grossi granuli con distribuzione uniforme I nucleoli sono generalmente assenti I bordi del nucleo sono irregolari

Note esplicative e problemi diagnostici Il termine "lesione squamosa intraepiteliale" è stato introdotto in sostituzione di quello di displasia/carcinoma in situ (CIS) e neoplasia intraepiteliale cervicale, dato che gran parte delle displasie lievi/CIN 1 regredisce e quasi la metà di quelle moderate/CIN 2 non progredisce. Anche la displasia severa/CIS/CIN 3 non sempre progredisce a carcinoma invasivo. Di certo, è più probabile che le lesioni di alto grado persistano o progrediscano rispetto a quelle di basso grado ; il loro comportamento in una data paziente è comunque del tutto imprevedibile. È stato utilizzato il termine "lesione" al posto di neoplasia per indicare l'incerto potenziale biologico in una singola paziente. Lo spettro delle anomalie citologiche di questo gruppo è stato suddiviso in due categorie, al posto di tre o quattro, per le seguenti motivazioni: 1) diversi studi hanno documentato un basso grado di riproducibilità tra diversi osservatori e all'interno di uno stesso osservatore con i sistemi convenzionali di classificazione in tre-quattro categorie ;. 2) attualmente negli USA il grado della lesione non riveste particolare importanza nella gestione delle HSIL; 3) anche se gli studi sulla storia naturale di queste lesioni non documentano differenze tra quelle di basso ed alto grado, non è possibile prevedere il comportamento biologico di ciascuna anomalia, indipendentemente dal grado. Va ribadito che la citologia cervicale è utilizzata come screening. La gestione della diagnosi di LSIL prevede un follow-up citologico o la biopsia mirata. L'HSIL esige invece un esame colposcopico e la biopsia mirata. Lo scopo è di prevenire il carcinoma invasivo nel modo più conservativo possibile. Negli ultimi anni è diventato sempre più chiaro che l'HPV è un fattore critico nella patogenesi del carcinoma squamoso cervicale. Inoltre, l'HPV-DNA è individuabile con tecniche molecolari, indipendentemente dalle alterazioni cellulari da effetto citopatico virale. Queste alterazioni morfologiche non forniscono alcun sostanziale elemento aggiuntivo e pertanto non c'è motivo di inserirle nella diagnosi di SIL. Alcuni tipi di HPV sono presenti nei 50-75% dei cancri cervicali invasivi e sono stati indicati come HPV "ad alto rischio" ; sono presenti nelle SIL sia di basso sia di alto grado, ma con frequenza significativamente maggiore nelle SIL di alto grado. Trattandosi di un continuum morfologico, i singoli aspetti della cellula non sono correlabili coi diversi tipi di HPV-DNA. Studi recenti hanno dimostrato che i criteri morfologici per distinguere la "coilocitosi" dalla CIN 1 variano da un osservatore all'altro e mancano di riproducibilità. Inoltre, entrambe le lesioni contengono gli stessi tipi di HPV ed hanno analogo comportamento clinico, per cui è giustificata la loro inclusione in un'unica categoria. Di conseguenza,

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nel SB la LSIL comprende sia alterazioni cellulari da HPV, precedentemente indicate come "coilocitosi", sia la CIN 1. L'inclusione delle alterazioni cellulari da HPV nella categoria LSIL esige criteri diagnostici rigorosi ad evitare sovrastime e trattamenti inutili in donne con alterazioni morfologiche non specifiche. La sovrastima delle alterazioni cellulari da HPV è un problema rilevante, in gran parte dovuto all'interpretazione di ogni alone citoplasmatico senza atipie nucleari come "coilocitosi" e all'uso di parametri citologici "non classici" di condiloma. I preparati con alterazioni molto lievi ed insufficienti per diagnosi di SIL rientrano nella categoria di "cellule squamose atipiche di incerto significato". I termini di "coilocitosi", "atipia coilocitica" e "atipia condilomatosa" non rientrano nella terminologia SB. Anche se gran parte delle HSIL sono contraddistinte da elevato rapporto nucleo/citoplasma, alcune presentano citoplasma più abbondante, ma con cheratinizzazione anomala. Queste cellule possono presentarsi isolate o in densi aggregati; i nuclei sono grandi e ipercromici, spesso con cromatina in ammassi. Si osservano anche variazioni delle dimensioni del nucleo (anisocariosi) e della forma cellulare (compresa la forma a fibra e a girino). A differenza del carcinoma squamoso invasivo, mancano i nucleoli e la diatesi tumorale. Queste lesioni erano in precedenza indicate come "condiloma atipico", "displasia cheratinizzante" e "displasia pleomorfica". Talvolta queste lesioni cheratinizzate sono indistinguibili da un carcinoma invasivo, soprattutto nei preparati con poche cellule anomale. In tali casi è possibile aggiungere una nota esplicativa per segnalare che nella diagnosi differenziale rientra anche il carcinoma squamoso invasivo. Anche se le lesioni squamose intraepiteliali della vagina sono indicate come LSIL e HSIL. il loro aspetto citologico e il loro comportamento non sono così ben documentati come per le corrispondenti lesioni cervicali. É quindi indispensabile la verifica istologica.

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CORPO DELL’UTERO

ANATOMIA L’utero è composto prevalentemente di muscolatura liscia (miometrio) che circonda la cavità endometriale, costituita da una mucosa formata da ghiandole endometriali e da stroma. L’utero è continuamente stimolato dagli ormoni, spogliato mensilmente della propria mucosa e occasionalmente occupato da feti. Datare l’endometrio in base al suo aspetto istologico è di aiuto per la valutazione dello stato ormonale e determinare eventualmente le cause di sanguinamento e infertilità. Il terzo basale non risponde agli steroidi

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ovarici ed è quindi preservato quando il flusso mestruale si interrompe. Dal terzo basale si verifica una rapida crescita di stroma e ghiandole (fase proliferativa) che segue allo sfaldamento mestruale. Le ghiandole sono strutture tubulari diritte rivestite da cellule colonnari regolari alte e pseudostratificate. Al momento dell’ovulazione cessa l’attività mitotica endometriale; l’endometrio postovulatorio è caratterizzato da vacuoli basali secretori sottonucleari nell’epitelio ghiandolare. Questa attività secretoria è più cospicua nella terza settimana del ciclo mestruale, quando i vacuoli basali si localizzano nella parte opposta a quella nucleare ed immettono poi in quarta settimana le secrezioni nel lume ghiandolare. Quando la secrezione è massima (18-24 giorni), le ghiandole appaiono dilatate. Entro la quarta settimana le ghiandole diventano tortuose, assumono aspetto dentellato se tagliate lungo il loro asse longitudinale (aspetto a “denti di sega”). Le modificazioni stromali in fase secretiva tardiva sono importanti per datare il ciclo endometriale e consistono nello sviluppo di arteriole spirali prominenti entro i giorni 21-22 del ciclo. Si verifica un considerevole aumento della sostanza interstiziale e dell’edema fra le cellule stromali ed è seguito in 23-24^ giornata dall’ipertrofia delle cellule stromali, con accumulo di eosinofilia citoplasmatica (modificazione pre-deciduali) e dalla ripresa delle mitosi stromali. Le modificazioni pre-deciduali interessano le cellule di tutta la parte funzionale durante i giorni 24-28 e sono accompagnate dalla presenza di neutrofili e occasionali linfociti, processo seguito dalla disgregazione della decidua funzionale e dalla fuoriuscita di sangue nello stroma che segna l’inizio dello sfaldamento mestruale. L’ovulazione è confermata dalla prominente vacuolizzazione basale delle cellule epiteliali ghiandolari, dall’esaurimento della funzione secretoria o dalle modificazioni predeciduali. DISTURBI FUNZIONALI DELL’ENDOMETRIO – MENOMETRORRAGIE DISFUNZIONALI La dinamica di crescita e sfaldamento dell’endometrio è controllata dall’aumento e caduta dei livelli di ormoni ipofisari e ovarici grazie ad un’appropriata temporizzazione del rilascio ormonale sia in quantità assoluta che relativa. Modificazioni inerenti questo meccanismo possono risultare in uno spettro di disturbi che comprende l’atrofia, le alterazioni proliferativi e l’iperplasia. Il problema più frequente è rappresentato dal sanguinamento mestruale eccessivo o dalla presenza di un sanguinamento al di fuori della fase deciduale.

 Cause di sanguinamento uterino per fascia d’età GRUPPO D’ETÀ

CAUSE

pre-pubertà adolescenza età riproduttiva

pubertà precoce di origine ipotalamo-ipofisaria / ovarica ciclo anovulatorio, malattie della coagulazione complic della gravidanza, aborto, mal trofoblastica, gravidanza ectopica, les organiche (adenomioma, leiomioma, adenomiosi, polipi, iperplasia endometriale, carcinomi), ciclo anovulatorio; sanguinamento disfunzionale ovulatorio ciclo anovulatorio, sfaldamento irregolare, carcinoma, iperplasia, polipi lesioni organiche (carcinoma, iperplasia, polipi), atrofia endometriale.

perimenopausale postmenopausale

CICLO ANOVULATORIO Nella maggior parte dei casi il sanguinamento funzionale è dovuto alla comparsa di un ciclo anovulatorio, che risulta in un prolungato ed eccessivo stimolo estrogenico senza lo sviluppo della fase progestinica postovulatoria. Meno comunemente la mancanza dell’ovulazione è il risultato di: - disturbo endocrino (mal tiroidea, disordine surrenalico, tumori ipofisi); - lesione primitiva dell’ovaio secernente - ovaio policistico - disturbo generalizzato metabolico (obesità, malnutrizione, mal croniche sistemiche). Nella maggior parte dei casi la causa non è nota. I cicli anovulatori sono parafisiologici nel periodo del menarca e perimenopausale. Le ghiandole endometriali vanno incontro a dilatazione cistica; vi può essere uno sfaldamento non previsto stromale (mestruazione anovulatoria). ENDOMETRITE

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L’endometrio e il miometrio sono relativamente resistenti alle infezioni, grazie alla barriera cervicale. L’endometrite acuta è un evento raro ed è caratterizzato da infezioni batteriche limitate che insorgono dopo il parto o l’aborto. La ritenzione di materiale ovulare è l’abituale fattore predisponente; streptococchi, stafilococchi e altri batteri. L’asportazione mediante raschiamento dei residui gestazionali ritenuti è pertanto risolutiva. L’endometrite cronica può essere legata a: - PID cronica - Ritenzione di materiale gestazionale - Pts con IUD - Pts con tubercolosi miliare o per drenaggio di una salpingite tubercolare L’antibioticoterapia è indicata, soprattutto per la prevenzione di salpingite. ENDOMETRIOSI Presenza di ghiandole endometriali e di stroma fuori dall’utero. Si osserva nelle sedi: - ovaie - legamenti uterini - setto retto-vaginale - peritoneo pelvico - cicatrici laparotomiche - vagina, vulva, appendice, ombelico (raramente). L’endometriosi che causa: - infertilità, - dismenorrea, - dolore pelvico.

Il disturbo è principalmente presente in donne in età riproduttiva (3/4 decennio) e colpisce circa il 10% delle donne. Teoria del rigurgito – impianto: la mestruazione retrograda attraverso le salpingi si verifica anche in donne normali e potrebbe essere responsabile della diffusione di tessuto endometriale nella cavità peritoneale; Teoria metaplastica: l’endometrio può derivare dall’epitelio celomatico muelleriano. Teoria della disseminazione ematica – linfatica: attraverso vene pelviche e vasi linfatici, che spiega le rare lesioni endometriosiche nei polmoni e linfonodi. I focolai di endometrio rispondono alla stimolazione ciclica estrinseca ed intrinseca con un periodico sanguinamento. Ciò produce noduli con aspetto dal rosso bluastro al giallo – marrone sulla superficie sierosa nella sede interessata. Quando la malattia è molto estesa i coaguli determinano la formazione di ampie aderenze fibrose tra le tube, le ovaie e le altre strutture con obliterazione del cavo del Douglas. Le ovaie possono divenire marcatamente deformate da grandi masse cistiche (3-5 cm di diametro) riempite con detriti ematici (cisti cioccolato). Una diagnosi istologica è giustificata se è presente stroma endometriale o epitelio muelleriano con sottostante pigmento emosiderinico.

ADENOMIOSI Presenza di tessuto endometriale nella parete uterina (miometrio). Rimane in continuità con l’endometrio; fino nel 20% degli uteri. Nidi di endometrio funzionale nel contesto del miometrio che producono aree

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cistiche – emorragiche dentro la parete uterina. Presente ipertrofia reattiva del miometrio. Inusuale il sanguinamento ciclico e una conseguente pigmentazione da emosiderina. POLIPI ENDOMETRIALI I polipi endometriali sono masse sessili di dimensioni variabili che protrudono nella cavità endometriale; possono essere singoli / multipli. Presentano diametro da 0,5 – 3 cm. Possono occasionalmente essere grandi o peduncolati e provocare sanguinamento se ulcerati o necrotici. Essi sono generalmente di due tipi istologici composti di: 1. endometrio funzionale analogo all’endometrio ciclico adiacente; 2. più comunemente iperplastico soprattutto nella varietà cistica. Raramente in polipi endometriali possono svilupparsi adenocarcinomi. I polipi sono associati alla somministrazione di tamoxifene (anti-estrogenico, terapia del carcinoma mammario). ADENOCARCINOMA DELL’ENDOMETRIO 97% di tutte le neoplasie maligne uterine. Primo per incidenza tra i tumori ginecologici; secondo per mortalità. È il più curabile delle 10 forme tumorali femminili. Età media 63, postmenopausale, raro sotto i 40 anni. L’incidenza dipende strettamente dall’età. Non può avvalersi di uno screening. Fattori di rischio: - tamoxifene - ovaio policistico - tumori della teca e della granulosa ovarici - terapia sostitutiva con estrogeni - obesità (aromatasi che aumentano i livelli di estrogeni in circolo) - diabete - ipertensione - sterilità (sono colpite soprattutto donne nubili nullipare con frequenti cicli anovulatori) - durata periodo fertile Patogenesi: ruolo importante di un’aumentata stimolazione estrogenica. Insorge frequentemente su un fondo di iperplasia endometriale (stessi fattori di rischio). Associazione significatica con carcinoma della mammella; forma tipo 2  frazione significativa (20%) non associata ad iperestrogenismo; età più avanzata, prognosi più grave, meno differenziati. Il tumore si presenta sia come polipoide ben circoscritto, sia come tumore diffuso che interessa l’intera superficie endometriale. La diffusione avviene per invasione diretta del miometrio con estensione finale alle strutture periuterine per contiguità. Occasionalmente dissemina ai linfonodi regionali, polmone, fegato, ossa. Gli adenocarcinomi sono caratterizzati da quadri ghiandolari molto simili al normale epitelio endometriale. I carcinomi sierosi papillari e i carcinomi a cellule chiari, sono ritenuti di grado 3, indipendentemente dal grado istologico; i tumori sierosi sono altamente aggressivi: presentano mutazione e accumulo di p53 nell’80% dei casi. Diagnosi In base ai sintomi: - sanguinamento o perdite ematiche vaginali postmenopausali - spotting, sanguinamento inter- o pre-mestruale - a 50 anni 10% dei sanguinamenti è tumorale; - a 80 anni 60% dei sanguinamenti è tumore. Fattori di rischio:

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eccesso di stimolo estrogenico non equilibrato da uno stimolo progestinico: paradigma delle neoplasie ormono-dipendenti. Fattori protettivi: - estro-progestinici combinati; - fumo. Associata a sindrome di Lynch nel 5-10% dei casi; in questi casi insorge in età premenopausale. È una neoplasia eterogenea. Due forme differenti dal punto di vista clinico e anatomopatologico: tipo 1 e tipo 2. Tipo 1 Oltre l’85%. Associato ad obesità. Patogenesi ormonale. Basso grado istologico. Istotipo endometrioide; insorge in un contesto di lesioni preneoplastiche diverse (iperplasia endometriale). Tipo 2 La restante percentuale. Non associato ad obesità. Nessuna relazione con gli estrogeni. Alto grado istologico; invasione profonda e metastasi; istotipo eterologo (differenziazione non endometriale); insorge in un contesto di atrofia, adenocarcinoma endometriale epiteliale; età più avanzata. Nomenclatura EIN (neoplasia endometriale intraepiteliale): 1. iperplasia endometriale 2. endometrial intra-epitelial neoplasia (EIN) 3. neoplasia endometriale oncosoppressore PTEN: è indotto dal progesterone e determina l’apoptosi delle cellule alla fine del ciclo. La delezione di PTEN causa la persistenza di cellule attraverso più cicli: è il primo passo verso la trasformazione neoplastica. Stadiazione FIGO 1998: 1 2 3 4

confinato all’endometrio endocervice fuori dall’utero fuori dalla pelvi

Prognosi: il trattamento è chirurgico; la prognosi variabile anche negli stadi iniziali. Parametri prognostici: - tipo istologico - grado di differenziazione - profondità di invasione - invasione annessi - stato nodale (se ln paraortici+, la sopravvivenza è ridotta al 36%) - età avanzata - basso livello socioeconomico - lo stato ormonale non ha importanza per la terapia Stadio: 1 2 3 4

83% a cinque anni 73% 52% 27%

Istotipo: a parità di stadio le lesioni sierose (a cellule chiare) sono più sfavorevoli; si presentano in stadio avanzato. Grado istologico

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G1 adenocarcinoma ben differenziato G2 adenocarcinoma differenziato con aree parzialmente solide (meno di 50%) G3 carcinoma prevalentemente solido o completamente indifferenziato; i carcinomi a cellule chiare sono automaticamente classificati come grado G3. Terapia Neoplasia a basso rischio: solo chirurgia: stadio 1, grado 1-2. Alto rischio: RT adiuvante; chirurgia più estesa con escissione linfonodale: stadio 2-4, sieroso o a cellule chiare. TUMORI STROMALI Divise in due categorie: 1. di derivazione muscolare (leiomiomi e varianti) 2. di derivazione dallo stroma endometriale (tessuto mesenchimale differenziato che circonda le ghiandole endometriali). Importante differenziarle perché hanno comportamento biologico e criteri di malignità differenti. Clinicamente hanno manifestazioni poco specifiche. Criteri di malignità: importantissimo

1  atipia citologica, attività mitotica, necrosi; 2  infiltrazione miometrio e invasione vascolare. Valutare: - morfologia cellulare - architettura - vascolarizzazione Ad esempio: LEIOMIOMA UTERINO (FIBROMA UTERINO)

Sono probabilmente il tumore umano più comune. Possono essere presenti fin nel 75% delle donne in età riproduttiva. Sono tumori ben circoscritti, demarcati, rotondi, di consistenza dura, grigio bianchi, di dimensioni variabili da piccoli noduli fino a grosse masse occupanti l’intera pelvi. Possono presentarsi entro il miometrio (intramurale), appena al di sotto dell’endometrio (sottomucosi) o al di sotto della sierosa (sottosierosi). Caratteristico aspetto fascicolato delle fibre muscolari lisce al taglio; proliferazione fusocellulare in fasci intrecciati. Cellule allungate con nucleo ovale e ampio citoplasma eosinofilo. Strutturazione in fasci (architettura). Vasi a spessa parete muscolare (vascolarizzazione). NODULO STROMALE

Morfologia cellulare: cellule ovoidali con nuclei rotondi, monomorfe. Architettura: pattern diffuso. Vascolarizzazione: vasi che ricordano l’endometrio intrecciati in parte spiraliformi. In casi complessi si può ricorrere a markers citochimici, ma non sono specifici e vi sono eccezioni. - derivazione muscolare  actina+, desmina+, CD10- derivazione stromale  CD10+ (indicativo di differenziazione stromale).

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TUMORI LEIOMUSCOLARI Diagnosi nella maggior parte dei casi con criteri morfologici: dimensione, margine, pattern di crescita. La malignità (comportamento biologico) si valuta con criteri microscopici: atipia citologica, indice mitotico e necrosi. Si possono utilizzare markers diversi; con un approccio multivariato si può fare diagnosi nel 99% dei casi. I criteri valgono solo per tumori a differenziazione usuale. In quelli inusuali (epitelioidi e mixoidi) non valgono gli algoritmi diagnostici succitati. Criteri di malignità considerati non valgono inoltre al di fuori dell’utero. Lo stesso leiomioma (benigno nell’utero), sarebbe classificato come leiomiosarcoma nella parete addominale. Al di fuori dell’utero i criteri sono molto più restrittivi e rigidi. Molto importante: sede, profondità, età. Classificazione anatomopatologica in base ai criteri di malignità -

lesioni benigne: (non necrosi, non atipia) LEIOMIOMA MITOTICAMENTE ATTIVO (necrosi) LEIOMIOMA ATIPICO (necrosi, atipia) STUMP (smooth muscle tumours of undetermined malignant potential): rare, di difficile caratterizzazione; casi in cui non si possono valutare correttamente i parametri;

  

LEIOMIOMA



-

lesioni maligne:



LEIOMIOSARCOMA

(necrosi, atipie, alto indice mitotico).

Si tratta in realtà di uno spettro continuo di variazioni. Attività mitotica si considerava fino a qualche tempo fa il più importante per la malignità; in realtà è sempre da interpretare in relazione agli altri due parametri. Importante il tipo di mitosi: se triple / quadruple è segno di malignità. Attenzione a mitosi senza atipia o necrosi; mitosi reattive (leiomiomi apoplettici); mitosi associate a trattamento ormonale o donne gravide. Necrosi: ve ne sono due tipi: infartuale (ialina), coagulativa. La necrosi ialina non è un parametro di malignità; è legata a sofferenza ischemica acuta (leiomioma apoplettico, infarti estesi) o cronica (ipocellularità). La vera necrosi da considerare è quella coagulativa (aspetto basofilo sporco), con scarso infiltrato infiammatorio e passaggio brusco da aree necrotiche ad aree sane. LEIOMIOMA UTERINO (FIBROMA UTERINO) È la neoplasia più frequente che esista: 30-50% delle donne in età fertile. Sede e dimensioni variabili, presentazione clinica molto variabile, sintomi in genere legati alla massa. Gli estrogeni e i contraccettivi orali ne stimolano la crescita. Si distinguono leiomiomi: - sottomucosi - intramurali - sottosierosi e si possono presentare singoli o multipli. Possibili varianti 1- Emorragie: massive; danno sintomi: leiomioma apoplettico, in donne gravide, in donne in terapia estrogenica 2- Ialini: in menopausa

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3- Idropici: lipidi in sede extracellulare 4- Mixoidi: inusuali, sospettabili di malignità extracellulare) 5- Calcificazioni 6- Decidualizzazioni 7- Leiomiomi correlati a trattamento ormonale

(mucopolisaccaridi

LEIOMIOSARCOMA LEIOMIOMA

-

multipli 3-5 cm consistenza dura (fibrosa al taglio) emorragia e necrosi infrequenti

-

singolo molto grande (>10cm) carnoso, soffice emorragia e necrosi usuali

in

sede

Leiomiomi: varianti epitelioidi, mixoidi  ingannevolmente benigne, poco cellulate, con margini espansivi. Varianti con pattern di crescita inusuale: leiomiomi dissecanti, leiomiomatosi intravenosa (spiccato venotropismo). LEIOMIOSARCOMA Rappresentano 1/3 dei sarcomi uterini, ma sono molto rari. 52 anni. Più frequente nella cervice. Diagnosi: 1- atipia (basta atipia più uno fra gli altri due) 2- necrosi 3- qualsiasi attività mitotica Metastasi: polmonari, pelviche; frequente la diffusione linfonodale. Sopravvivenza a 5 anni: 15-25%. Fattori prognostici: stadio, dimensioni.

TUMORI DELLO STROMA ENDOMETRIALE Si possono individuare fuori dall’utero (ovaie, raramente peritoneo). 1- morfologia: proliferazione di cellule rotonde monomorfe 2- architettura: reticolato reticolinico (?) 3- vascolarizzazione: numerose arteriole ramificate CD10+ (marker di differenziazione) Due forme: - benigna; - maligna (alto e basso grado, a seconda dell’attività mitotica). Criteri di malignità diversi rispetto alle neoplasie di origine vascolare: 1- presenza di margini infiltrativi (infiltrazione miometrio) 2- presenza di invasione vascolare è impossibile fare diagnosi di malignità con un curettage. Terapia  isterectomia.

NODULO STROMALE

Donne giovani, 75% in premenopausa. Talora danno sanguinamenti; generalmente piccoli; possono essere polipoidi. Frequente osservare forme di differenziazione metaplastica: una delle più caratteristiche è quella epiteliale (10%) con strutture tipo “cordoni sessuali”. Tipico colore giallastro. SARCOMA STROMALE

50% donne in premenopausa, 3-4 decade. 3 differenti pattern di crescita: - massa - infiltrazione diffusa - prevalentemente endovasale La maggior parte sono di basso grado ma attenzione! La differenziazione alto / basso grado è controversa. Ha capacità invasiva e metastatizzante (polmoni). Quelli ad alto grado non hanno una chiara area di differenziazione stromale. In quelli a basso grado è possibile trovare: ialinosi (a fuoco d’artificio, stella cadente o starburst), aspetti eosinofili, metaplasia tipo “cordoni sessuali” (citocheratina+ e inibina+), cellule schiumose.

Aspetti inusuali delle metastasi polmonari: talora cistici o neuroendocrini. È un tumore che procede con lentezza; il decesso avviene in media dopo 11 anni. Rischio di recidiva: - dimensione - grado - tipo di intervento (isterectomia +/- annessectomia). La prognosi dipende dal grado. LESIONI MISTE (MESENCHIMALI

– EPITELIALI)

Adenofibroma Adenomioma polipoide atipico Carcinosarcomi (sarcomi misti muelleriani) Adenosarcoma: aspetto sarcomatoso accompagnato da proliferazione benigna delle ghiandole endometriali. Le recidive sono soltanto sarcomatose; dd’ con sarcoma stromale (low grade) e carcinosarcoma. Tumore adenomatoide: lesione di derivazione mesoteliale benigna; se insorge nello spessore dell’utero può dare una proliferazione endometriale reattiva.

SALPINGI Salpingite: congestione, edema, essudato nel lume delle tube. Cronicizzazione: - fusione delle pliche con occlusione - piosalpinge - ascesso tubo-ovarico e peritonite circoscritta - ascessi del legamento largo - ascessi del cavo del douglas - aderenze con visceri vicini - fibrosi e stenosi occlusiva del lume - idrosalpinge.

OVAIO

Le lesioni più frequenti dell’ovaio sono le cisti funzionali e i tumori. Le infiammazioni intrinseche (ooforite) sono poco frequenti e possono associarsi a salpingite. Raramente può essere presente una patologia infiammatoria primitiva dei follicoli ovarici (ooforite autoimmune) associata a infertilità.

CISTI FOLLICOLARI E LUTEINICHE I follicoli cistici nell’ovaio sono frequentissimi. Originano nei follicoli di Graaf che non sono andati incontro a deiscenza o in follicoli rotti che si sono immediatamente richiusi. Sono cisti multiple e arrivano a 2 cm di diametro; sono piene di fluido sieroso chiaro e rivestite da una parete grigiastra traslucida; le cisti > 2 cm possono essere talvolta palpate o viste all’ecografia e provocano dolore pelvico. Se la pressione endoluminale non è stata eccessiva si può identificare il rivestimento della granulosa. Le cellule della teca esterna possono essere numerose, con citoplasma aumentato di volume e di aspetto pallido (luteinizzato). Questa alterazione può determinare un aumento della produzione di estrogeni ed alterazioni endometriali. Le cisti luteiniche sono normalmente presenti nell’ovaio; possono occasionalmente rompersi e causare reazione peritoneale. OVAIO POLICISTICO E IPERTECOSI STROMALE La sindrome della policistosi ovarica (PCOS), detta in passato malattia di Stein-Leventhal, colpisce il 3-6% delle donne in età riproduttiva. Presenza di numerosi follicoli cistici spesso associati a oligomenorrea. Pts con PCOS presentano persistente anovulazione, obesità (40%), irsutismo (40%) e raramente virilizzazione. Le ovaie sono di dimensioni aumentate (2x), di colore grigio bianco, con una corticale esterna liscia e sono ripiene di cisti sottocorticali del diametro variabile da 0,5 a 1,5 cm. L’aumento della secrezione di LH può stimolare le cellule teco – luteiniche dei follicoli, con eccessiva produzione di androgeni (androstenedione) convertiti poi in estrone; una molteplicità di enzimi biosintetici risultano poco regolati. L’ipertecosi stromale è una patologia stromale osservata dopo la menopausa; in donne più giovani può associarsi a PCOS; caratterizzata da ingrossamento uniforme dell’ovaio (fino a 7 cm) con un aspetto bianco – bruno. Coinvolgimento bilaterale. L’iperplasia teco – luteinica della gravidanza può simulare tale condizione. In risposta alle gonadotropine si verifica una proliferazione tecale con espansione della zona perifollicolare. L’iperplasia concentrica può divenire nodulare. TUMORI OVARICI Forme comuni di neoplasia femminile. 6% di tutte le neoplasie femminili. Difficile la diagnosi precoce; spesso prognosi infausta. Le neoplasie maligne coinvolgono donne di 40-65 anni. I fattori di rischio sono poco chiari: nulliparità, storia familiare, mutazioni ereditarie. La disgenesia gonadica dei bambini è associata ad un più elevato rischio. Donne tra 40-59 anni che hanno assunto contraccettivi orali o sono state sottoposte a legatura tubarica presentano un rischio ridotto. Mutazioni in entrambi i geni BRCA1/2 aumentano la suscettibilità al carcinoma ovarico. La maggior parte sono cistoadenocarcinomi sierosi. Circa il 30% esprime alti livelli di Her2/neu (Erb-b2) correlato con una prognosi sfavorevole. Mutazioni di p53 nel 50% dei carcinomi ovarici.

 Classificazione OMS, 1993 dei tumori ovarici

TUMORI DI SUPERFICIE EPITELIALI

-

/ STROMALI

TUMORI SIEROSI TUMORI MUCINOSI DI TIPO ENDOCERVICALE

/ INTESTINALE

TUMORI ENDOMETRIOIDI TUMORI A CELLULE CHIARE TUMORI A CELLULE DI TRANSIZIONE

TUMORI STROMALI E DEI CORDONI SESSUALI

-

TUMORI STROMALI A CELLULE DELLA GRANULOSA TUMORI STROMALI A CELLULE DEL SERTOLI (ANDROBLASTOMI)

-

TUMORI A CELLULE DEI CORDONI SESSUALI CON TUBULI ANNULARI GINANDROBLASTOMA TUMORI A CELLULE STEROIDEE (LIPIDICHE)

TUMORI A CELLULE GERMINALI

-

TERATOMA DISGERMINOMA TUMORI DEL SACCO VITELLINO (SENO ENDODERMICO) TUMORI A CELLULE GERMINALI MISTE

TUMORI MALIGNI NAS CARCINOMA METASTATICO NON OVARICO

I tumori dell’ovaio derivano in ultima analisi da uno dei tre componenti ovarici: - epitelio di superficie; - cellule germinali; - stroma dell’ovaio (cordoni sessuali, precursori endocrini). Gli altri sono metastatici (l’ovaio è frequente sede metastatica). I tumori maligni hanno generalmente una diffusione al di fuori dell’ovaio al momento della diagnosi. Alcuni tendono a essere bilaterali (soprattutto quelli epiteliali). Dolore, distensione addominale, sintomi urinari, gastrointestinali, dovuti a compressione da parte della neoplasia o ad invasione tumorale e il sanguinamento vaginale e addominale. Le forme benigne possono essere asintomatiche.

1I

TUMORI DELL’EPITELIO MUELLERIANO

rappresentano la maggior parte delle neoplasie ovariche primitive. Tre

principali tipologie: - tumori sierosi; - tumori endometrioidi; - tumori mucinosi. I componenti della neoplasia possono comprendere aree cistiche (cistoadenomi) o fibromatose (adenofibromi) o entrambe (cistoadenofibromi). Il rischio di malignità aumenta in funzione della quantità della componente epiteliale solida identificabile. Derivazione da trasformazione del mesotelio celomatico (uguale al mesotelio peritoneale). Dolore ai quadranti bassi addominali, pollachiuria, disuria, disturbi intestinali, pressione pelvica. Le forme maligne  perdita di peso e cachessia. Se si estendono al di fuori della capsula, una massiva ascite è comune. Il liquido ascitico è ricco di citologia significativa. I linfonodi regionali sono spesso interessati. Le metastasi coinvolgono fegato, polmone, TGI, altri siti. Metastasi controlaterali in circa la metà dei casi al momento della laparotomia e preannunciano un decorso rapidamente progressivo. Il tasso di sopravvivenza è più basso rispetto ai carcinomi cervicali / endometriali. Marcatori plasmatici: CA25.5 (carcinomi sierosi / endometrioidi), osteopontina.

TUMORI SIEROSI

Frequenti neoplasie cistiche delimitate da cellule epiteliali alte colonnari ciliate e riempite con liquido sierosi chiaro. 75% è benigno; il 25% è maligno. I cistoadenocarcinomi sierosi rappresentano il 40% di tutte le neoplasie ovariche e ne rappresentano il più frequente tumore maligno. Lesione cistica in cui l’epitelio papillare è contenuto in una piccola quantità di cisti (intracistico) oppure lesione che protrude dalla superficie ovarica; i tumori benigni presentano una parete cistica traslucida e liscia senza ispessimento o con piccole proiezioni papillari (cistoadenoma papillare). La presenza di grandi quantità di massa tumorale solida papillare, l’irregolarità della massa e l’infiltrazione o nodularità della capsula sono indicatori di malignità. La bilateralità e comune. L’epitelio di rivestimento è composto da epitelio colonnare ciliato nei tumori benigni. Calcificazioni concentriche (corpi psammomatosi) caratterizzano i tumori sierosi, ma non sono specifiche. Il comportamento biologico dipende dal grado, dalla distribuzione e dalla presenza di impianti peritoneali. Possono presentarsi anche sulla superficie ovarica; quelli non capsulati sono soggetti ad estensione peritoneale e la prognosi è correlata all’istologia e al tipo di crescita sul peritoneo. La diffusione peritoneale può manifestarsi in forma di impianti invasivi e impianti non invasivi. Gli impianti invasivi inducono desmoplasia e grandi tumefazioni addominali. Sopravvivenza in casi coinvolgenti il peritoneo può scendere al 25% a cinque anni. In tutti gli altri casi, la prognosi è generalmente buona.

TUMORI MUCINOSI

25% di tutte le neoplasie ovariche. Metà della vita adulta; rari prima della pubertà e dopo la menopausa. 80% sono benigni o borderline. I cistoadenocarcinomi mucinosi sono rari e rappresentano solo il 10% di tutti i tumori ovarici. Differiscono dalle varietà sierose per: - raro coinvolgimento della superficie - presenza di molteplici cisti - meno frequentemente bilaterali

- 5% dei cistoadenomi primitivi sono bilaterali - tendono a provocare grandi masse cistiche (fino a 25 kg!). Appaiono grossolanamente multiloculari, riempiti con liquido gelatinoso, appiccicoso, ricco di glicoproteine. I benigni mostrano un rivestimento di cellule epiteliali colonnari con mucina apicale e senza ciglia (simile all’epitelio cervicale o intestinale benigno). Un gruppo di tumori benigni origina nel contesto dell’endometriosi ed è definito: cistoadenoma mucinoso muelleriano. Il secondo gruppo più frequente comprende tumori con crescita papillare, atipia e stratificazione, simili agli adenomi tubulari o villosi dell’intestino. Complesse ghiandole nello stroma. Una condizione associata alle neoplasie mucinose è lo pseudomixoma peritonei, un tumore ovarico con estesa ascite mucinosa, impianti peritoneali e aderenze. Può portare ad ostruzione intestinale e morte. La presentazione bilaterale tipica richiede sempre l’esclusione di un’origine non ovarica.

TUMORI ENDOMETRIOIDI

Circa il 20% di tutte le neoplasie ovariche esclusa l’endometriosi. La maggior parte è costituita da carcinomi. Più rare le forme benigne (cistoadenofibromi). Si distinguono dai tumori sierosi e mucinosi per la presenza di ghiandole tubulari che hanno una stretta somiglianza con l’endometrio. Dal 15-30% sono accompagnati da carcinoma dell’endometrio. Si presentano come una combinazione di aree solide; aspetti ghiandolari con forte somiglianza a quelli endometriali; il tasso di sopravvivenza a 5 anni è del 75% per lo stadio 1.

CARCINOMI A CELLULE CHIARE

Rara forma di tumore della superficie epiteliale, caratterizzata da grosse cellule epiteliali con abbondante citoplasma chiaro. Talvolta in associazione con endometriosi o carcinoma endometrioide; si pensa originino dal dotto del Mueller e che siano varianti del carcinoma endometrioide. Nella neoplasia solida le cellule chiare sono organizzate in lamine / tubuli. Nella varietà cistica le cellule tumorali circoscrivono gli spazi. Tendono ad essere aggressivi e a diffondere fuori dall’ovaio; in questi casi la sopravvivenza a 5 anni è praticamente nulla (senza diffusione extraovarica può invece essere fino al 60%).

CISTOADENOFIBROMA

Varianti nelle quali vi è pronunciata proliferazione dello stroma fibroso al di sotto dell’epitelio colonnare. Sono tumori benigni di piccole dimensioni e multiloculari, con processi papillari semplici. Occasionalmente si osservano lesioni borderline con atipia, ma la diffusione metastatica è molto rara.

TUMORE DI

BRENNER

Rari adenofibromi nei quali la componente epiteliale è costituita da nidi di cellule transizionali simili a quelle dell’urotelio vescicale. Sono riscontrati occasionalmente nel contesto di cistoadenomi mucinosi. Possono essere solidi o cistici; sono unilaterali; variano da 1 cm a massivi tumori di 20-30 cm. Lo stroma fibroso è caratterizzato da nidi di cellule epiteliali spesso con ghiandole mucinose al centro. La maggior parte è benigna; esistono una controparte borderline (tdb proliferativo) e maligna (tdb maligno). Probabilmente rappresentano quadri alterati di differenziazione delle cellule tumorali.

2I

costituiscono il 15-20% di tutti i tumori ovarici. La maggior parte è rappresentata da teratomi cistici benigni; i rimanenti (bambine e giovani adulte) presentano una maggior incidenza di comportamento maligno. TUMORI A CELLULE GERMINALI

TERATOMI

Suddivisi in tre categorie: - maturi, benigni - immaturi, maligni - monodermici o altamente specializzati. Teratomi benigni maturi (cisti dermoidi) Conosciuti come cisti dermoidi derivate da differenziazione ectodermica di cellule totipotenti. Bilaterali nel 10%; costituiti da cisti uniloculari contenenti peli e materiale sebaceo. Alla sezione rivelano una parete sottile rivestita da un’epidermide opaca grigio – bianca rugosa. Da questa epidermide protrudono ciuffi di capelli. All’interno della parete è comune il riscontro di tessuto dentario e osseo. La parete è composta da epitelio squamoso stratificato con sottostanti ghiandole sebacee e strutture cutanee annessiali. Circa l’1% va incontro a trasformazione maligna di uno degli elementi. Origine da cellule meiotica germinale (probabilmente). Il cariotipo di tutti i teratomi benigni ovarici è 46XX; potrebbero originare da un oocito dopo la prima divisione meiotica. Teratomi monodermici o specializzati Raro gruppo di tumori (struma ovarii, carcinoidi…). Sono sempre unilaterali. Lo struma ovarii è composto di tessuto tiroideo maturo. Può avere aspetti di iperfunzionalità (ipertiroidismo). Il carcinoide può produrre serotonina e sindrome da carcinoide. Teratomi maturi maligni Rari. Differiscono dai benigni per il fatto che la componente tissutale ricorda quella fetale e non quella dell’adulto. Il tumore si riscontra in adolescenti e giovani donne (18 anni). Voluminosi, superficie esterna liscia; in sezione hanno struttura solida. Aree di necrosi / emorragia, capelli, cartilagine, osso. Rischio importante è dato dal grado istologico del tumore.

DISGERMINOMI

Considerati la controparte ovarica del seminoma testicolare. Grandi cellule vescicolari con citoplasma chiaro, confini cellulari ben definiti e nuclei regolari centrali. 2% di tutti i tumori ovarici. Metà dei tumori germinali maligni. Il 75% in 2-3^ decade. La maggior parte non ha funzionalità endocrina; un basso numero produce hCG e può contenere cellule giganti sinciziotrofoblastiche. Unilaterali 80%. Abitualmente solidi di dimensioni da piccoli noduli a grandi masse. Aspetto dal giallo bianco al grigio – rosa e sono molli e carnosi. Come nel seminoma, lo stroma è infiltrato da linfociti maturi e occasionali granulomi. Talora piccoli noduli sono presenti nella parete di un teratoma cistico altrimenti benigno. Tutti i disgerminomi sono maligni, ma il grado di atipia istologica è variabile e solo 1/3 mostra una reale aggressività. La prognosi è eccellente se il tumore non è extraovarico e non ha superato la linea mediana. Estremamente radiosensibili. TUMORI DEL SENO ENDODERMICO (TUMORI DEL SACCO VITELLINO)

Raro. È il secondo tumore maligno a cellule germinali. Deriva dalla differenziazione di cellule germinali in struttura extraembrionale del sacco vitellino. Il tumore è ricco di AFP e AAT. Costituito da una struttura pseudo-glomerulare (vaso sanguigno avvolto da cellule germinali entro uno spazio rivestito da cellule germinali).  corpo di Schiller-Duval. Simili strutture si osservano nel sacco vitellino della placenta del topo. Cospicua quantità di corpi ialini intracellulari ed extracellulari. Bambine o giovani donne con dolore addominale e massa pelvica a rapido sviluppo. I tumori sembrano interessare un singolo ovaio, ma crescono molto velocemente. Un tempo fatali, oggi la prognosi è notevolmente migliorata. CORIOCARCINOMA

Similmente al precedente, è un esempio di differenziazione extraembrionale di cellule germinali maligne. La maggior parte coesiste con altri tumori a cellule germinali; i coriocarcinomi puri sono molto rari. Le forme ovariche primitive sono aggressive e al momento della diagnosi hanno già dato estese metastasi ematiche al fegato, polmone, osso e altri visceri. Differentemente da quelli placentari, quelli ovarici non sono responsivi alla CT e sono spesso fatali.

CARCINOMA EMBRIONALE

Altamente maligno, formato da elementi embrionali primitivi. Positività CD30? Verificare.

3I

TUMORI STROMALI E DEI CORDONI SESSUALI

derivano dallo stroma ovarico che a sua volta è derivato dai

cordoni sessuali della gonade embrionale.

TUMORI A CELLULE DELLA GRANULOSA O DELLA TECA

Comprendono neoplasie ovariche composte da cellule che si differenziano nella granulosa e nella teca. Complessivamente rappresentano il 5% di tutti i tumori ovarici. I tumori a cellule della granulosa sono unilaterali (da foci microscopici a grandi masse solide cistiche). I tumori con attività ormonale appaiono di colore giallo alla superficie di taglio per la presenza di lipidi; i tecomi puri sono solidi e di consistenza dura. Le piccole cellule cuboidi – poligonali possono crescere in lamine o cordoni anastomizzati. Strutture similghiandolari piene di materiale eosinofilo possono ricordare i follicoli immaturi (corpi di Call-Exner). Potenziale capacità di elaborare grandi quantità di estrogeni; rischio di trasformazione maligna delle cellule della granulosa. Occasionalmente il tumore a cellule della granulosa produce androgeni con effetti mascolinizzanti. La previsione di malignità clinica va dal 5-25%; solitamente tumori maligni presentano un

andamento lento e le recidive locali possono essere trattate con la terapia chirurgica. Recidive nella pelvi e nell’addome possono comparire anche uno o due decenni dopo la rimozione del tumore originario. Associati ad elevati livelli di inibina, prodotta dall’ovaio stesso.

FIBROMI

– TECOMI

Tumori che insorgono nello stroma ovarico composti sia di fibroblasti, sia di cellule più rigonfie e fusiformi, con gocce lipidiche. Sono comuni e rappresentano il 4% di tutti i tumori ovarici. Poiché molti contengono una mescolanza di tali cellule, essi sono denominati fibrotecomi. I fibrotecomi dell’ovaio sono unilaterali in circa il 90% dei casi; masse sferiche solide o lievemente lobulate, incapsulate, di consistenza dura e grigio – biancastra, ricoperte da una sierosa traslucida e intatta. Dolore, massa pelvica; possono essere accompagnati da: - ascite (tumori > 6cm); raramente idrotorace al lato destro  sindrome di Meigs - sindrome del nevo basocellulare

TUMORI A CELLULE DEL SERTOLI

– LEYDIG (ANDROBLASTOMA)

Comunemente determinano mascolinizzazione o defemminilizzazione anche se alcuni possono avere effetti estrogenici. Si presentano in donne di tutte le età (2-3^ decade). L’embriogenesi di tali cellule stromali orientate in senso maschile è ignota. La superficie di taglio è solida e varia nell’aspetto dal grigio al marrone dorato; presentano tubuli composti da cellule del Sertoli o del Leydig. I tumori scarsamente differenziati hanno aspetto sarcomatoso con disposizione disordinata dei cordoni. Tali neoplasie possono determinare un blocco del normale sviluppo sessuale: atrofia mammaria, amenorrea, sterilità, alopecia.

4I

più comuni sono derivati da tumori di origine muelleriana: l’utero, le salpingi, l’ovaio controlaterale e il peritoneo pelvico. Le più comuni localizzazioni extramuelleriane sono la mammella, il colon, lo stomaco, il tratto biliare e il pancreas. In questo gruppo sono compresi i casi di pseudomixoma peritonei a derivazione appendicolare. Un classico esempio di neoplasia metastatica gastrointestinale all’ovaio è definito tumore di Krukenberg, caratterizzata da metastasi bilaterali secernenti mucina ad anello con castone, in genere di origine gastrica. TUMORI METASTATICI

MALATTIE GESTAZIONALI E DELLA PLACENTA

Le malattie della gravidanza e le condizioni patologiche della placenta sono cause importanti di morte intrauterina e perinatale, di malformazioni congenite, di ritardo di crescita intrauterina, di morte materna e di notevole morbilità per il feto e la gestante. Malattie gestazionali precoci: - aborto spontaneo - gravidanza ectopica - malattia trofoblastica gestazionale Disturbi della gravidanza tardiva: - anomalie placentari e placente gemellari - infiammazioni / infezioni - tossiemia gravidica / eclampsia ABORTO SPONTANEO Dal 10-15% delle gravidanze diagnosticate esita in aborto spontaneo (ma ci sono anche aborti più precoci). Alterazioni cromosomiche in più della metà degli aborti spontanei. Il trauma è in realtà una causa non frequente. Le infezioni da toxoplasma, mycoplasma e listeria possono essere implicate. Trombi all’interno dei vasi deciduali e nel contesto della decidua necrotica e stravasi emorragici. I villi placentari possono essere marcatamente edematosi e privi di vasi ematici. Le modificazioni subite dal feto sono molto variabili; in molti aborti possono non essere individuati prodotti fetali. Si raccomandano studi cromosomici se presenti prodotti fetali. Più frequente nel primo trimestre. - impianto adeguato con alterazioni cromosomiche - flogosi locale - PID (patologia infiammatoria tubo-ovarica infettiva) - Anomalie utero (utero bicorne) - Traumi - Infezioni - Leiomiomi sottomucosi (compromettono l’annidamento embrionale)

Perdite ematiche vaginali. Intervento prevede curettage della cavità uterina con rimozione del materiale presente nell’utero. Esame istologico del materiale abortivo posto in formalina per escludere malattia trofoblastica gestazionale (può trasformarsi in un tumore aggressivo). Istologia: materiale emorragico, decidua necrotica, cellule infiammatorie, residui embrionali, villi coriali. Studio citogenetico per valutare le anomalie genetiche. Villi coriali del I trimestre: sono vescicole rivestite dal trofoblasto all’interno da tessuto connettivo lasso. Contengono vasi  indicativo presenza embrione. Eventuali emazie fetali. GRAVIDANZA ECTOPICA Impianto del feto in qualsiasi sede al di fuori della normale localizzazione uterina. La sede più comune è all’interno delle tube (90%); altre sono le ovaie, la cavità addominale, la porzione intrauterina della tuba. Gravidanze ectopiche hanno una frequenza di 1/150. La condizione predisponente in molti casi è la PID con salpingite cronica; altri fattori sono le aderenze peritubariche (appendicite, endometriosi, leiomiomi, pregressi interventi). Il 50% si verifica in tube normali. Anche gli IUD possono aumentarne il rischio. La placenta è poco adesa alla parete della tuba; l’emorragia endotubarica può così avvenire a partire dalla parziale separazione placentare senza rottura della tuba; la gravidanza tubarica è la più comune causa di ematosalpingite e deve essere sempre sospettata quando è presente un ematoma tubarico. Più spesso il tessuto placentare rompe la tuba e causa emorragia intraperitoneale. Grave dolore addominale circa 6 settimane dopo un normale ciclo mestruale (emorragia pelvica). La pt può sviluppare shock con segni di addome acuto. MALATTIA TROFOBLASTICA GESTAZIONALE Trofoblasto: rivestimento epiteliale dei villi coriali; citotrofoblasto  primo strato che circonda i villi coriali; espanso, ispessito ai poli del villo; citoplasma chiaro, bordi netti, nucleo centrale. Sinciziotrofoblasto  circonda il citotrofoblasto nei villi coriali, ricco citoplasma, nuclei piccoli ipercromatici; no mitosi. Trofoblasto intermedio  cellule che infiltrano le pareti vasali, dimensioni intermedie; nucleo largo con pseudoinclusi; atipia  ma non sono maligne. Villi -

I trimestre: stroma lasso, rivestiti da citotrofoblasto; II trimestre: stroma più denso, cellulato; la componente mixoide lassa si riduce; aumenta il sinciziotrofoblasto, si riduce il citotrofoblasto; III trimestre: villi fibrotici, sclerosi stroma; citotrofoblasto scompare; vasi fetali proliferano.

La malattia trofoblastica gestazionale rappresentata da uno spettro di tumori e da condizioni simil-tumorali caratterizzate dalla proliferazione di tessuto trofoblastico associato alla gravidanza con progressivo potenziale di malignità. Le lesioni comprendono: - mola idatiforme completa / parziale - mola invasiva - coriocarcinoma. Utile lo studio immunoistochimico della p57: nel nucleo, inattivata nel corredo genetico paterno, è attiva nella madre. Fenomeno di imprinting genomico. Si usano Ab anti p57: se i nuclei si colorano: mola parziale (cromosomi materni con p53 attivo); se i nuclei non si colorano: mola completa.

MOLA IDATIFORME COMPLETA E PARZIALE

Caratterizzata da rigonfiamento cistico dei villi coriali, accompagnato da proliferazione trofoblastica di grado variabile. La maggior parte delle pazienti presenta nel 4-5 mese un’emorragia vaginale e un utero frequentemente di dimensioni maggiori a quelle attese. Il rischio è più elevato nelle gravide in età adolescenziale o tra i 40-50 anni. Aumento incidenza per immigrazione. Fattori di rischio: - storia personale di MTG; - due o più aborti spontanei precedenti; - fumo; - gruppo sanguigno A e AB; - ipovitaminosi A; - età paterna avanzata (ruolo degli spermatozoi). 1/1000 gravidanze negli stati uniti, 10/1000 in Indonesia. Più frequenti in sud est asiatico, medio oriente, sud america. Due tipi di mola benigna non invasiva: - mola completa: tutti / la maggior parte dei villi sono edematosi e vi è una diffusa iperplasia trofoblastica; > 90% ha quadro 46XX diploide tutti derivati dagli spermatozoi (mola androgenetica); si presume che la mola origini dalla fecondazione di un oocito che ha perso il suo corredo cromosomico da parte di un singolo spermatozoo; il restante 10% origina dalla fecondazione di tale oocita da parte di due spermatozoi (46XX, 46XY); la mola completa non presenta alcuna porzione fetale; 1% di tutte le gravidanze anormali; no embrione; non va oltre il primo trimestre; diagnosi ecografica (8-17 settimana) o diagnosi incidentale in anatomia patologica da curettage; villi con aspetto a grappolo d’uva, traslucido, gelatinoso; proliferazione circonferenziale di citotrofoblasto e sinciziotrofoblasto; non c’è ispessimento citotrofoblasto; tutto il villo è rivestito di trofoblasto iperplastico. Forma rotonda, edematosi; nello stroma ci sono cavità vuote, cisterne, non si vedono i vasi fetali. Trofoblasto intermedio è atipico (75%); può essere origine di sviluppo di un carcinoma; stroma edematoso. - mola parziale: alcuni dei villi sono edematosi, mentre gli altri mostrano solo minime variazioni; la proliferazione trofoblastica è focale; il cariotipo è triploide (69XXY) o raramente tetraploide (92XXXY). L’embrione è vitale per settimane e quindi parti fetali possono essere presenti anche in seguito all’aborto della mola. Le mole parziali sono raramente seguite da sviluppo di coriocarcinoma, contrariamente alla mola completa. 1/700 gravidanze. Ci sono le prime fasi di sviluppo embrionali, ma l’embrione non sopravvive fino al secondo trimestre (malformazioni fetali). Diagnosi incidentale su materiale abortivo. Tessuto villoso normale misto a vescicole di grandi dimensioni. Due popolazioni di villi: villi fibrotici (più piccoli) e villi voluminosi (> 1-2 mm), idropici, edematosi, con contorni indentati. Gettoni di trofoblasto nei villi; meno frequenti le cisterne; trofoblasto iperplastico: ci sono spazi vescicolari che contengono le emazie nucleate, indice che c’è stato sviluppo embrionale. La mola parziale è significativamente più probabile quando il prodotto del concepimento è diandrico, cioè quando due dei tre corredi cromosomici aploidi derivano dall’uomo (dispermia). La mola si sviluppa all’interno dell’utero (ma può presentarsi in qualsiasi sede). Una dissezione accurata del tessuto può evidenziare un piccolo sacco amniotico collassato (mola parziale); porzioni fetali sono frequenti nella mola parziale, assenti nella mole completa (a meno di una gravidanza gemellare). La mola completa viene diagnosticata e rimossa ad un’epoca gestazionale precoce. La presentazione classica è rappresentata dalla cavità uterina ripiena di una massa di consistenza delicata e friabile formata strutture simili a grappoli con pareti sottili, traslucidi, cistici, consistenti in villi rigonfi, edematosi (idropici). La mola parziale presenta idrope dei villi e anomalie strutturali solo in una parte dei villi; la proliferazione trofoblastica è minima e limitata al sinciziotrofoblasto. Al contrario, la mola completa mostra edema idropico della maggior parte dei villi coriali e l’assenza della vascolarizzazione dei villi. Tutte le mole devono essere strettamente monitorate attraverso il dosaggio sierico della hCG. Clinica Metrorragie I trimestre; precoce pre-eclampsia; ipertensione gravidica precoce (prima della 32^ settimana); ipertiroidismo; emboli trofoblastici polmonari; grosse ovaie cistiche (cisti luteiniche); dimensioni utero

aumentate nella mola completa: visibile in ecografia. Nella mola parziale le dimensioni sono normali o ridotte. Valori hCG sierici e urinari aumentano: 130000 – 778000 mU/mL nella PM e 24000 – 2000000 nella CM. hCG per monitorare il postoperatorio di donne con aborto in cui è stata riconosciuta una mola. Se i livelli permangono elevati, la gravidanza molare può diventare una neoplasia.

MOLA INVASIVA

Si definisce invasiva una mola che penetra e può perforare la parete uterina. Vi è invasione del miometrio da parte dei villi coriali idropici accompagnata da proliferazione del citotrofoblasto e del sinciziotrofoblasto. Il tumore è localmente distruttivo e può invadere il tessuto uterino e i vasi ematici; i villi idropici possono embolizzare in sedi distanti come i polmoni e il cervello ma non crescono in questi organi come vere metastasi. Il tumore si manifesta con emorragia vaginale e irregolare ingrandimento uterino. Sempre associato ad elevazione di hCG. Risponde bene a chemioterapia ma può determinare rottura uterina e richiedere isterectomia.

CORIOCARCINOMA GESTAZIONALE

Neoplasia maligna delle cellule trofoblastiche derivate da gravidanze precedenti sia normali che non. La maggior parte dei casi origina nella cavità uterina, ma anche le gravidanze ectopiche ne possono essere sedi. Rapidamente invasivo; metastatizza diffusamente, ma risponde bene alla chemioterapia. Raro. 1/20000 gravidanze; più frequente in africa; ½ da gravidanza molare. Tumore soffice carnoso, bianco – giallastro con tendenza marcata alla formazione di aree pallide di necrosi ischemica, focolai di rammollimento cistico ed emorragia estesa; è un tumore epiteliale puro che non produce villi coriali e che è costituito da anomala proliferazione del trofoblasto; a volte foci di anaplasia e mitosi atipiche. Invade il miometrio; frequentemente penetra nei vasi ematici e linfatici; può estendersi al di fuori della sierosa uterina. Emorragia, necrosi ischemica, infiammazione secondaria. Metastasi a polmoni, cervello, midollo osseo, fegato e altri organi. Non produce classicamente una grande massa voluminosa. Diviene manifesto per una perdita ematica di colore scuro e odore sgradevole.  Altamente maligno. Diagnosi: eco, TC, RM, hCG. Terapia: CT (metotrexate)  risposta completa > 90%. Coriocarcinoma intraepiteliale < 1cm. Placenta normale. Piccolo nodulo giallo; cellule identiche a quelle del coriocarcinoma. Fare esame placentare al termine della gravidanza.

TUMORE TROFOBLASTICO DEL SITO PLACENTARE

(PSTT)

Contrariamente al trofoblasto sinciziale, il trofoblasto intermedio è riscontrato nel sito di impianto e nelle membrane placentari. È composto da cellule mononucleate con abbondante citoplasma che le distingue dal sinciziotrofoblasto. Le cellule sono debolmente reattive per l’ormone lattogeno placentare umano. I trofoblasti intermedi compongono il sito trofoblastico placentare e il sito placentare residuo (nodulo della sede di impianto) e possono dare origine a tumori trofoblastici del sito placentare. I PSTT si presentano come cellule neoplastiche poligonali che infiltrano l’endometrio e il miometrio; i livelli di hCG possono essere elevati. Non sensibile alla chemioterapia. Prognosi negativa. A distanza di anni da una gravidanza normale.

ANOMALIE PLACENTARI Placente gemellari: (bicoriale biamniotica, monocorioniche diamniotiche, monocorioniche monoamniotiche); bicorioniche derivano da gemelli dizigoti; monocoriali con uno o due amnios  gemelli monozigoti con divisione in due di un singolo uovo; Placenta accreta: non si sviluppa nell’endometrio una decidua normale. Aderenza tra placenta e parete uterina; si sviluppa su cicatrice di pregresso taglio cesareo; porta a parto prematuro, soprattutto in caso di placenta previa. Assenza della decidua con aderenza placenta-miometrio. L’emorragia postpartum si verifica in seguito a mancato distacco placentare; associata a placenta previa. Placenta previa: nel post-partum emorragie perché non si rimuove la placenta che è a contatto con i vasi; trp con isterectomia. La placenta si impianta a livello del segmento uterino inferiore o del collo, con minaccia di parto pre-termine. INFIAMMAZIONE – INFEZIONE PLACENTARE Le infezioni possono colpire la placenta (placentite, villite), le membrane fetali (corioamnioite) e il cordone ombelicale (funisite). Raggiungono la placenta attraverso due vie: ascendente attraverso il canale del parto ed ematogena transplacentare. Rapporti sessuali favorenti. Il liquido amniotico è opaco, torbido, con essudato purulento e le membrane corioamniotiche infiltrate da leucociti PMN che si accompagnano a edema e congestione vasale. Villite. Classicamente TORCH (toxoplasma, rosolia, CMV, HSV).  feto normale (? Cfr). PRE-ECLAMPSIA ED ECLAMPSIA La pre-eclampsia comprende un gruppo di sintomi caratterizzati da: ipertensione, proteinuria ed edema. Si manifesta nel 6% delle gravide, spesso nell’ultimo trimestre (gestosi del terzo trimestre) e più frequentemente nelle primipare. Alcune pts sviluppano convulsioni (eclampsia). Pts con eclampsia sviluppano CID con lesioni epatiche, renali, cardiache, placentari, cerebrali. Ischemia Placentare Anomalia di placentazione che porta a ischemia. Fattori immunologici e genetici. Effetto diretto con impianto superficiale e incompleta trasformazione dei vasi deciduali in vasi adeguati alla gravidanza. Alterazione del flusso vascolare; impossibilità da parte del citotrofoblasto di assumere il fenotipo delle normali cellule endoteliali. Le lesioni caratteristiche sono dovute a trombosi delle arteriole e dei capillari in tutto l’organismo. Ipertensione Sistema renina-angiotensina e prostaglandine. Donne gravide normali sviluppano resistenza agli effetti ipertensivi dell’angiotensina; donne affette da eclampsia sviluppano tendenza all’ipertensione. Ipersensibilità all’angiotensina con riduzione della sintesi di prostaglandina da parte della placenta tossiemica. CID Gli infarti placentari sono ampi e numerosi; ematomi retroplacentari. Ischemia dei villi. Ispessimento della membrana basale trofoblastica. Necrosi fibrinoide nella parete dei vasi uterini. Le lesioni del fegato sono emorragie irregolari focali sottocapsulari e intraparenchimali; trombi di fibrina nei capillari portali con necrosi emorragica periferica. Le lesioni del rene sono variabili: glomerulari diffuse; abbondanza di fibrina nei glomeruli. Completa distruzione della corticale nei casi avanzati (necrosi corticale renale bilaterale). Il cervello può mostrare emorragia da trombosi dei piccoli vasi; così avviene anche nel cuore e nell’adenoipofisi (s. di Sheehan? Cfr!!!). La preeclampsia esordisce dopo la 32^ settimana di gravidanza, con esordio insidioso (ipertensione, edema, proteinuria). Cefalea, disturbi visivi. Induzione del parto (eventualmente dopo trattamento steroideo.

ESAME ISTOPATOLOGICO DELLA PLACENTA

La un’unità tra madre L’esame può spiegare:

placenta è funzionale e feto. placentare 1. 2. 3. 4. 5.

insuccesso di gravidanza a termine difetti di sviluppo neonatale aborti spontanei ripetuti malattie materne latenti (diabete) riscontro medico – legale (discolpare il ginecologo da un danno neurologico neonatale) 6. Apgar score negativo 7. bambini ricoverati in terapia neonatale (???) 8. malformazioni placentari (es. impianto eccentrico del funicolo) conservare le placente in congelatore per qualche settimana ed eliminarle alla dimissione di madre e figlio. Utile perché le alterazioni placentari si associano a patologie neonatali: ritardo mentale + cordone ombelicale breve, singola arteria ombelicali, corioamnioite.

Anatomia Patologica

PATOLOGIE PEDIATRICHE

Sindrome da distress respiratorio del neonato, eritroblastosi fetale, fibrosi cistica, istiocitosi a cellule di Langerhans, tumori pediatrici

CAUSE DI MORTE CORRELATE CON L’ETA < 1 ANNO

MALFORMAZIONI CONGENITE , DEFORMAZIONI , ANOMALIE CROMOSOMICHE PATOLOGIE CORRELATE ALLA PREMATURITÀ SINDROME DELLA MORTE IMPROVVISA DEL NEONATO PATOLOGIE DELLA PLACENTA, DEL CORDONE E MEMBRANE PATOLOGIE MATERNE DELLA GRAVIDANZA INSUFFICIENZA RESPIRATORIA DEL NEONATO SEPSI BATTERICA INCIDENTI MALATTIE DEL SISTEMA CIRCOLATORIO

1-4 ANNI

INCIDENTI MALFORMAZIONI CONGENITE , DEFORMAZIONI , ANOMALIE CROMOSOMICHE NEOPLASIE MALIGNE OMICIDIO MALATTIE DEL CUORE INFLUENZA E POLMONITE

5-14 ANNI

INCIDENTI NEOPLASIE MALIGNE OMICIDI MALFORMAZIONI CONGENITE , DEFORMAZIONI , ANOMALIE CROMOSOMICHE SUICIDIO MALATTIE DEL CUORE

15-24 ANNI

INCIDENTI OMICIDIO SUICIDIO NEOPLASIE MALIGNE MALATTIE DEL CUORE

INDICE DI APGAR

Il punteggio, o indice, di Apgar (ideato da Virginia Apgar), è utile a valutare la condizione fisiologica di un neonato in termini di possibilità di sopravvivenza. Il neonato è valutato ad 1 e 5 minuti. Il massimo punteggio ottenibile è 10 ed identifica la condizione migliore. Vi è stretta correlazione tra il punteggio di Apgar e la sopravvivenza del neonato a 28 giorni. Un punteggio di 0 – 1 corrisponde ad una mortalità del 50% a 28 giorni. La correlazione tra indice di Apgar e morbilità neurologica a lungo termine è invece molto labile.

 Indice di Apgar (1953) SEGNO

0

1

Frequenza cardiaca Sforzo respiratorio Buono, piange Tono muscolare Movimento attivo Risposta al catetere in narice Colore roseo

Assente Assente Ipotonia Senza risposta Blu, pallido

2 < 100

> 100 Lento, irregolare Qualche flessione

Smorfia Tosse o starnuto Corpo roseo, estremità blu Completamente

Il punteggio viene poi sommato.

SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO DEL NEONATO Le cause di insufficienza respiratoria del neonato sono molteplici (eccessiva sedazione della madre, traumatismo encefalico fetale, aspirazione di sangue o liquido amniotico e ipossia neonatale per spiralizzazione del cordone ombelicale attorno al collo). La causa più frequente è la sindrome da distress respiratorio del neonato (RDS). Questa sindrome è anche nota come malattia delle membrane ialine del neonato, per la formazione di membrane nelle vie aeree periferiche. In pazienti non trattati, le manifestazioni cliniche stereotipate includono: - neonato AGA5 pretermine - maschio - associazioni con diabete materno, parto cesareo - può essere necessaria rianimazione alla nascita - entro 30 minuti la respirazione diviene più difficile e la cianosi evidente - piccole opacità reticolo – granulari all’RX torace (vetro smerigliato) Se la terapia riesce ad evitare la morte nei primi 3-4 giorni, il bambino ha un’eccellente possibilità di recupero. L’immaturità dei polmoni è il più importante substrato di sviluppo di questa condizione. Il difetto alla base è un deficit di surfattante polmonare (costituito da dipalmitoil-fosfatidil-colina (lecitina) e in minori quantità da fosfatidil-glicerolo e da proteine associate idrofile (SP-A, SP-D) e idrofobiche (SP-B, SP-C). il surfattante è sintetizzato dagli pneumociti-II, soprattutto a partire dalla 35^ settimana di gestazione. Alla nascita il primo respiro richiede grandi pressioni per espandere i polmoni; con normali livelli di surfattante, i polmoni mantengono fino al 40% di volume residuo dopo il primo respiro. Con un deficit di surfattante i polmoni collassano. I polmoni atelettasici sono associati alla lassità della parete toracica. Le membrane fibroialine costituiscono una barriera per lo scambio gassoso (ipossiemia). L’ipossiemia compromette ulteriormente la sintesi di surfattante e si instaura un circolo vizioso. La sintesi del surfattante è modulata da cortisolo, insulina, prolattina, tiroxina. Il cortisolo induce la formazione dei lipidi e delle proteine associate al surfattante. La sintesi di surfattante può essere soppressa dall’insulinemia elevata di madri diabetiche. Il travaglio aumenta la sintesi di surfattante (il taglio cesareo pre-travaglio aumenta il rischio di RDS). 5

Sulla base del peso alla nascita, i neonati sono classificati come: AGA: appropriati per l’età gestazionale; SGA: piccoli per l’età gestazionale; LGA: grandi per l’età gestazionale.

I polmoni sono di dimensioni normali, ma solidi, privi d’aria, rosso porpora, simili al tessuto epatico e affondano nell’acqua. Gli alveoli sono poco sviluppati e collassati. Il materiale necrotico viene incorporato nelle membrane ialine eosinofile che rivestono i bronchioli respiratori, i dotti alveolari, alcuni alveoli; sono composte da fibrinogeno e fibrina misti a detriti cellulari (pneumociti-II necrotici). Queste lesioni non sono mai state riscontrate nei nati morti. Nei neonati che sopravvivono > 48h il polmone va incontro a riparazione (digestione, fagocitosi dei detriti)… Lo studio dei fosfolipidi del liquido amniotico fornisce una buona stima del livello di surfattante che riveste l’alveolo. Efficace la somministrazione profilattica di surfattante esogeno alla nascita a bambini prematuri (< 26-28 settimane). Oggi la morte per RDS acuta è rara. I corticosteroidi somministrati a madri con minaccia di parto prematuro (24-34 settimane) hanno un effetto favorente sulla produzione di surfattante. Nei casi non complicati il recupero inizia a 3-4 giorni; l’ossigenoterapia porta ad esposizione a radicali liberi che possono portare a: - fibroplasia retrolenticolare: retinopatia per alterazione dell’espressione VEGF, indotto dall’ischemia; - displasia broncopolmonare: BPD; rara nei lattanti di peso > 1200g o > 30 settimane; inizialmente descritta come iperplasia e metaplasia squamosa dell’epitelio respiratorio, ispessimento delle pareti alveolari, fibrosi peribronchiale e interstiziale. Oggi si manifesta soprattutto come ipoplasia alveolare. ENTEROCOLITE NECROTIZZANTE Malattia del prematuro con incidenza inversamente proporzionale all’età gestazionale. Si osserva in un bambino su 10 di peso inferiore a 1500 g. I sintomi si presentano con l’instaurarsi dell’alimentazione orale. L’ischemia intestinale sembra essere un fattore predisponente. Il PAF è implicato nell’aumento della permeabilità delle mucose. La distruzione della barriera mucosa consente la migrazione transluminale dei batteri intestinali portando a infiammazione, necrosi, sepsi, shock. Il decorso clinico prevede iniziali perdite ematiche, distensione addominale e collasso cardiocircolatorio. Gas nella parete intestinale (pneumatosis intestinalis). La NEC di solito coinvolge l’ileo terminale, il cieco, il colon destro. Il segmento interessato è dilatato, friabile, congesto / gangrenoso. Può esitare in perforazione intestinale e peritonite. Spesso il trattamento richiede la resezione dei segmenti interessati. La mortalità è elevata e la guarigione si associa spesso a stenosi post-NEC. ERITROBLASTOSI FETALE L’eritroblastosi è una condizione caratterizzata da raccolta di liquido edemigeno nel feto durante la crescita intrauterina. La forma più comune è sempre stata l’eritroblastosi fetale immunologica da incompatibilità Rh, ma oggi, grazie all’efficace profilassi di tale condizione, sono emerse le cause non immunologiche di eritroblastosi fetale. L’accumulo di liquido intrauterino è variabile da edema generalizzato del feto (hydrops fetalis), condizione letale, a diversi gradi di edema localizzato (versamenti pleurici isolati, versamenti peritoneali isolati, accumulo di liquido post-nucale (igroma cistico)). Eritroblastosi fetale, Malattia emolitica del neonato L’eritroblastosi fetale viene definita come malattia emolitica del neonato causata da incompatibilità di gruppo sanguigno tra la madre e il bambino. Quando il feto eredita i determinanti antigenici dei globuli rossi dal padre che sono estranei per la madre, può verificarsi una reazione immune materna, portando a malattia emolitica nel lattante. Globuli rossi fetali possono raggiungere la circolazione materna durante l’ultimo trimestre di gravidanza, quando il citotrofoblasto non è più presente come barriera, o durante il parto stesso. La madre viene così sensibilizzata ad antigeni estranei.

 L’antigene D (Rh) è il principale responsabile di questa sensibilizzazione. Fattori che influenzano la risposta immune ai globuli rossi: - la contemporanea incompatibilità ABO protegge la madre dall’immunizzazione Rh perché i GR fetali sono rapidamente ricoperti da isoemoagglutinine (anti-A, anti-B) e rimossi dalla circolazione materna; - la malattia emolitica si sviluppa soltanto quando la trasfusione placentare materno-fetale è significativa (più di 1 mL di GR Rh+) - le IgG possono attraversare la placenta, le IgM no. L’iniziale esposizione ad Rh evoca la formazione di IgM; la malattia è perciò rara alla prima gravidanza. L’incidenza dell’immunizzazione è diminuita grazie all’uso di anticorpi anti-Rh (somministrazione a 28 settimane ed entro 72 ore dal parto a madri Rh negative).  La patogenesi dell’emolisi da incompatibilità AB0 è differente; in questo caso l’incompatibilità è molto frequente (20-25% di tutte le gravidanze), ma le manifestazioni cliniche sono molto più rare. La maggior parte degli anticorpi anti-A e anti-B sono IgM e non attraversano la placenta. Inoltre, i GR fetali esprimono antigeni A e B a bassa densità e molte altre cellule esprimono gli stessi antigeni: per questo gli anticorpi eventualmente prodotti possono essere adsorbiti da altre cellule. La sindrome emolitica del neonato da incompatibilità AB0 si verifica quasi esclusivamente nei lattanti di gruppo A o B che sono nati da madri di gruppo 0. Le conseguenze dell’emolisi sono l’anemia e l’ittero. L’emopoiesi epatosplenica può essere sufficiente se l’emolisi è lieve. Se l’emolisi è grave si produce una grave anemia e un’importante iperbilirubinemia non coniugata con legame della bilirubina insolubile ai lipidi cerebrali (la barriera ematoencefalica è poco sviluppata) con il conseguente sviluppo di kernicterus o ittero nucleare. L’ischemia da ipossia (anemia) può determinare gravi danni cardiaci ed epatici e insufficienza epatica (le proteine plasmatiche possono scendere a 2,0 – 2,5 g/dL. La diminuzione della pressione oncotica e l’aumento della pressione idrostatica postcapillare, dovuta alla congestione da insufficienza cardiaca portano allo sviluppo di edemi e anasarca (eritroblastosi fetale). Eritroblastosi fetale non immunologica Le cause principali sono: - difetti cardiovascolari; - anomalie cromosomiche (trisomia 18, 21; anomalia 45X0 (Turner)); - anemia fetale (alfa-talassemia omozigote, infezione da parvovirus B19). Morfologia Nell’eritroblastosi con anemia fetale il feto e la placenta sono pallidi; epatosplenomegalia nella maggior parte dei casi. Iperplasia compensatoria eritroide del midollo osseo, con emopoiesi extramidollare (fegato, milza, rene, polmoni, cuore). Nel sangue periferico sono presenti molti precursori eritroidi (erythroblastosis fetalis). Le componenti cerebrali affette da kernicterus sono edematose e pigmentate in giallo brillante, in particolare nei gangli della base, nel talamo, nel cervelletto, nella materia grigia cerebrale e nel midollo spinale. Per avere lesioni neurali significative è necessaria una bilirubinemia superiore a 20 mg/dL. Terapia fotodinamica ed eventualmente exanguinotrasfusione.

FIBROSI CISTICA (MUCOVISCIDOSI) La fibrosi cistica è una malattia diffusa dell’epitelio di trasporto che colpisce la secrezione dei liquidi delle ghiandole esocrine e l’epitelio di rivestimento del tratto respiratorio, gastrointestinale e riproduttivo.

 La FC è un difetto monogenico che si manifesta come una malattia multisistemica; nei casi tipici i primi sintomi e segno compaiono nell’infanzia. La durata media della vita dei pts con FC è di circa 32 anni per i maschi e 28 per le femmine. Oggi non è più quindi solo una malattia pediatrica. L’infezione cronica delle vie aeree è caratteristica con bronchiectasie, insufficienza pancreatica, anomalie intestinali, delle ghiandole sudoripare e urogenitali. 1/3000 nati vivi nelle popolazioni caucasiche; 1/90000 nati vivi nelle popolazioni asiatiche delle Hawaii. Il difetto comune è la delezione di 3 bp cui consegue la perdita di una fenilalanina in posizione 508 (∆F508) della proteina CFTR (regolatore transmembrana della fibrosi cistica). Sono note però numerose altre mutazioni. CFTR: singola catena peptidica di 1480 aa e sembra funzionare sia come canale per il Cl- regolato dal cAMP, sia come regolatore di altri canali ionici. La mutazione conduce ad una degradazione intracellulare della proteina CFTR che quindi non compare nella membrana plasmatica, sua sede naturale. Questa condizione conduce ad abnorme viscosità delle secrezioni mucose, che ostruiscono gli organi cavi; si producono così quadri clinici molteplici a carico di diversi organi: infezioni polmonari ricorrenti e bronchiectasie, insufficienza pancreatica, malnutrizione, cirrosi epatica, ostruzione intestinale e sterilità maschile. È una malattia con incidenza relativamente elevata (1/3200 nati vivi): la più comune malattia genetica ad esito letale delle popolazioni caucasiche. Ha una trasmissione autosomica recessiva: gli eterozigoti (2-4%) sono asintomatici. Genetica. Nei normali dotti epiteliali i cloruri sono trasportati da canali specifici; il difetto primitivo nella fibrosi cistica è causato da un’anomala funzione della proteina del canale epiteliale del cloruro, codificata dal regolatore di conduttanza transmembrana della fibrosi cistica (CFTR), il cui gene si trova localizzato in 7q31.2. La proteina codificata da CFTR ha due domini transmembrana, due domini citoplasmatici leganti i nucleotidi e un dominio regolatore che contiene i siti di fosforilazione delle proteine chinasi A e C. I domini transmembrana formano il canale per il passaggio di cloro. L’attivazione del canale CFTR è mediata da un agonista che induce un aumento di cAMP, essenziale per l’apertura e chiusura del canale. Il CFTR regola numerosi canali ionici e processi intracellulari attraverso l’interazione con il suo dominio legante nucleotidi. La ENaC (canale epiteliale per il sodio) è inibita dalla normale funzione di CFTR: nella CF vi è marcato aumento del trasporto di sodio attraverso le membrane apicali. Le funzioni di CFTR sono tessuto-specifiche: l’impatto della mutazione è tessuto-specifico. La più importante funzione del CFTR a livello dei dotti delle ghiandole sudoripare consiste nel riassorbimento degli ioni cloruro dal lume ghiandolare e in un aumento del riassorbimento del sodio tramite l’ENaC. A livello respiratorio e intestinale, la perdita di CFTR porta alla perdita/riduzione del cloruro escreto nel lume. Il contenuto acquoso delle cellule di rivestimento delle mucose è marcatamente ridotto. La patogenesi delle complicanze respiratorie e intestinali è legata alla presenza di un fluido di superficie isotonico ma a basso volume. CFTR media il trasporto di bicarbonato ed è una proteina necessaria nelle cellule che secernono bicarbonati (dotti pancreatici). Fisiopatologia.  La FC esplica effetti diversi sul trasporto dell’acqua e degli elettroliti nei diversi epiteli. La caratteristica comune agli epiteli interessati è una alterazione del trasporto ionico.

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Polmone: l’aumento della ddp transepiteliale nell’epitelio delle vie aeree che risente di una componente relativa alla velocità del trasporto attivo degli ioni e di una componente relativa alla resistenza al trasporto ionico dell’epitelio superficiale. In corso di FC gli epiteli mostrano aumento del trasporto Na+ e riduzione della permeabilità al Cl-. Sia l’ispessimento delle mucine, sia la riduzione del liquido periciliare conducono all’incapacità di eliminare il muco attraverso la clearance

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ciliare o meccanismi flusso-dipendenti (tosse). Aumento della concentrazione di elettroliti nelle secrezioni che così inibiscono la funzione delle sostanze batteriostatiche fisiologiche. Infezioni da S. aureus e P. aeruginosa. Tratto gastrointestinale: gli effetti della FC sono molti. Nel pancreas esocrino, l’assenza del canale del Cl- della CFTR altera la funzione di uno scambiatore Cl-/HCO3- della membrana apicale; il deficit di secrezione del bicarbonato di sodio e acqua porta a ritenzione di enzimi nel pancreas e conduce alla distruzione del parenchima pancreatico. L’epitelio intestinale non è in grado di rimuovere mucine e macromolecole secrete dalle cripte; disidratazione del lume intestinale e ostruzione intestinale nel tenue e colon. Nel sistema epatobiliare vi è ritenzione cronica di bile e cirrosi biliare focale nel 25% dei casi. Ghiandole sudoripare: la quantità di sudore è normale nella porzione acinare della ghiandola, ma non sono in grado di riassorbire NaCl dal sudore lungo il dotto ghiandolare.

La maggior parte dei pazienti presenta sintomi e segni nell’infanzia. Il 15% ha ostruzione gastrointestinale (ileo da meconio) nelle prime 24 ore di vita. Altre presentazioni sono: tosse, infiltrati polmonari, ritardo di crescita. Il 7% è diagnosticato dopo i 18 anni. Il coinvolgimento del TRATTO RESPIRATORIO porta a: - sinusite cronica - polipi nasali - tosse che diventa persistente - espettorato viscoso e spesso verdastro - iperinsufflazione delle piccole vie aeree (RX), bronchiectasie (ombre ad anello): ++ lobo superiore - calo ponderale e riduzione della funzione respiratoria - progressione in insufficienza respiratoria - espettorato: H. influenzae, S. aureus  P. aeruginosa, B. cepacia, Aspergillus (il 10% dei pts presenta aspergillosi broncopolmonare allergica) - complicanze: pneumotorace, emoftoe; l’emottisi massiva può essere mortale; ippocratismo digitale; - insufficienza respiratoria terminale, cuore polmonare. Il coinvolgimento GASTROINTESTINALE porta a: - sindrome da ileo da meconio: distensione addominale, alvo chiuso alle feci, vomito, piccoli livelli idroaerei intestinali; immagini granulari (meconio); - sindrome ileo-da-meconio-equivalente: nei bambini/giovani adulti; dolore al quadrante inferiore destro, perdita di appetito, vomito, presenza di massa palpabile; - appendicite; - insufficienza pancreatica con malassorbimento, steatorrea; le cellule beta del pancreas sono risparmiate, ma la loro funzione decresce con l’età e porta a iperglicemia. Il coinvolgimento dell’APPARATO GENITOURINARIO: - pubertà tardiva; - azoospermia (obliterazione dei dotti deferenti; 95% maschi); - sterilità femminile (20% femmine). Morfologia. Le ghiandole sudoripare sono morfologicamente normali. L’85% ha alterazioni pancreatiche che vanno da accumuli di muco nei piccoli dotti con dilatazione delle ghiandole esocrine ad atrofia ghiandolare e fibrosi; le insulae rimangono immerse in uno stroma fibroadiposo. Metaplasia squamosa dell’epitelio dei dotti pancreatici a cui contribuisce l’ipovitaminosi A. Nel piccolo intestino sono presenti tappi mucosi che nei lattanti portano a ileo da meconio. Il coinvolgimento epatico prevede infiammazione portale e steatosi epatica. Si sviluppa cirrosi biliare focale con nodularità diffusa dell’intero fegato (5% pts). Ghiandole salivari hanno coinvolgimento simile a quello del pancreas con ectasia dei dotti, metaplasia squamosa, atrofia e fibrosi.

I bronchioli sono distesi da muco denso con ipertrofia delle cellule muco-secernenti. Infezioni sovrapposte possono dare bronchite cronica e bronchiectasie. L’infezione da B. cepacia può essere associata a malattia fulminante. L’assenza congenita bilaterale del deferente (CBAVD) è un rilievo frequente nei casi di sterilità. Diagnosi. Test dei cloruri nel sudore. Criteri clinici. Analisi genetica per conferma ma non per screening (le mutazioni possibili sono moltissime). ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS si veda anche quanto detto a proposito nel capitolo “emolinfopatologia” Colorazione di Cohnem (???) delle cellule epidermiche: cellule che pensò fossero di origine nervosa/recettoriale e sono invece cellule dendritiche. Cellule di Langerhans: derivano dal midollo osseo (sistema monocito-dendritico-macrofagico); possono migrare al linfonodo (paracorticale). Istiocitosi a cellule di Langerhans (LCH): studiate dal 1893. 1) Hand-Schuller-Christian disease: - esoftalmo - diabete - lesioni ossee 2) Letterer-Siwe disease: malattia sistemica. In più splenomegalia, epatomegalia, linfoadenopatia, anemia, emorragie, accumulo lipidi in macrofagi. 3) Granuloma eosinofilo dell’osso (1935), unifocale: lesione ossea con istiociti ed eosinofili. 1+2+3= istiocitosi X (1935)  Lichtenstein (???) 1961 (Birbeck): con microscopia elettronica si evidenziano nel citoplasma delle cellule di istiocitosi X delle strutture (granuli di Birbeck) tubulari, rigide, diam 34 nm, aspetto striato nella parte centrale. 1973: Nezelhof ha scoperto e definito in modo chiaro le caratteristiche di questa malattia (istiocitosi a cellule di Langerhans). 1983: viene accettato da tutti i medici. 2001: la nuova classificazione è la copia di quella del 1997: neoplasia di cellule dendritiche e istiocitarie. ISTIOCITOSI A CELLULE DI LANGERHANS Comprende disordini con comportamenti biologici molto diversi e prognosi differente. Esistono patologie che possono scatenare iperplasia reattiva delle cellule di Langerhans di tipo non neoplastico, come nei fumatori, in cui è presente una patologia istiocito-macrofagica secondaria. Tra le forme neoplastiche ve ne sono alcune che, per le loro caratteristiche, vengono definite sarcomi a cellule di Langerhans. La LCH è una proliferazione neoplastica di cellule di Langerhans (cellule a chicco di caffè) con un marcatore ultrastrutturale specifico (granuli di Birbeck) e positività per CD1a e S-100. L’incidenza è più elevata tra 1-3 anni (5/milione/anno), nei maschi di razza caucasica. Vi sono però problemi diagnostici; le lesioni ossee asintomatiche possono essere scambiate per traumatismi e le lesioni cutanee per dermatite seborroica (crosta lattea). È una malattia che colpisce anche il cane bernese! Perde il pelo, ha eczema e lesioni oculari.

Esame del midollo osseo (BOM): per valutare l’interessamento midollare (sindrome ematofagocitica: i macrofagi attivati fagocitano gli eritroblasti  grave anemia). Nei sarcomi a cellule di Langerhans, i granuli di Birbeck vengono persi. Ab monoclonali anti-Langerina (sostanza associata ai granuli). Tecniche genetiche (cromosoma X) per la clonalità. DD’: -

LCH reattiva LC sarcoma Altri disordini istiocitari (Rosai-Dorfman) Linfoma di Hodgkin Neoplasie primitive dell’osso Neoplasie metastatiche dell’osso

Sarcomi a cellule di Langerhans: molto gravi; perdono i granuli e la Langerina; cellule aggressive con frazione di crescita elevata (30-40%). Clinica LCH; 3 forma: 1. unifocale 2. multifocale unisistemica 3. multifocale multisistemica

1. Unifocale. Prognosi buona. La sede più frequentemente colpita è l’osso. Bambini di 4-10 anni (ma anche adulti). Lesioni litiche in cranio, diafisi (erosione corticale), ossa piatte (scapola, ossa del piede). Colpiti meno frequentemente cute, osso, linfonodo  è comunque sempre unifocale. Si pensa a s di Ewing, rabdomiosarcoma, tumori ossei, ma il tumore maligno dell’osso non presenta mai margini così netti e definiti! 2. Multifocale unisistemica. Bambini piccoli. Molte lesioni ossee (cranio), esoftalmo (edema, accumulo tessuti molli retroorbitari) e diabete insipido (lesioni alla sella turcica dello sfenoide); perdita di denti, otiti ricorrenti non responsive agli antibiotici e lesioni cutanee papulo-nodulari. 3. Multifocale multisistemica. Prognosi negativa, solo terapie palliative. Si può tentare il trapianto di midollo osseo. Febbre, eritrodermia, epatosplenomegalia, pancitopenia, lesioni micronodulari in polmone. Istiociti, linfociti, eosinofili nell’osso; tardivamente fibrosi (neoapposizione ossea, non più segni di malattia). La prognosi dipende dal numero di lesioni e di organi affetti. La malattia multifocale si associa a perdita di E-caderina (molecola di adesione calcio-dipendente)  prognosi < 1 anno. La terapia si avvale di chemioterapia (RT nelle lesioni unifocali), trapianto di midollo autologo o allogenico.

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