Anatomia Funzionale
May 12, 2017 | Author: Agnese Valentini | Category: N/A
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ANATOMIA FUNZIONALE L. Frigerio U.O. Ostetricia e Ginecologia, Ospedali Riuniti di Bergamo
Testo articolo Bibliografia Tabelle L'incontinenza urinaria e il prolasso genitale sono le manifestazioni più importanti di un difetto specifico a carico delle strutture muscolo-fasciali e neurologiche del supporto pelvico. Prima di intraprendere qualsiasi scelta terapeutica di natura puramente empirica, di fronte ai sintomi dell'incontinenza e del prolasso, dobbiamo interrogarci sulle condizioni anatomiche e sui meccanismi che condizionano la comparsa di questa patologia. Il pavimento pelvico si colloca sul fondo della cavità addominale e chiude lo spazio imbutiforme costituito dalla pelvi ossea. L'arco tendineo è un addensamento muscolo-fasciale teso fra due punti fissi rappresentati dall'osso pubico e dalla spina ischiatica (Fig. 1). La fascia endopelvica unisce la parete vaginale anteriore all'arco tendineo, contribuendo al suo consolidamento alle pareti del bacino. Il pavimento pelvico costituisce una struttura di supporto che previene la discesa degli organi addominali e pelvici attraverso le ossa del bacino, contrastando il vettore delle forze endoaddominali. La muscolatura striata insieme alla fascia endopelvica agisce sinergicamente agli organi contenuti nel bacino per prevenire il prolasso, garantire la continenza e controllare le forze espulsive. Cambiando la posizione da supina a eretta, la pressione addominale si eleva di pochi centimetri d'acqua (con poche oscillazioni sincrone con i movimenti del diaframma). Durante la postura eretta, gli sforzi fisici, la tosse, lo starnuto o la risata, si verificano incrementi della pressione addominale che possono raggiungere o superare il valore di 100 cm di H2O. Il supporto che viene fornito dal pavimento pelvico non rappresenta in realtà un fenomeno statico, ma dipende dall'azione coordinata della muscolatura striata dei muscoli elevatori e della muscolatura liscia degli organi pelvici. Questi elementi funzionano in maniera coordinata per il controllo della continenza e della fase evacuativa dell'urina, delle feci e, per quanto riguarda l'apparato genitale, per l'espletamento del parto. Gli organi pelvici sono sospesi alle ossa del bacino grazie ad un apparato costituito da tessuto connettivale compreso tra il peritoneo e l'aponeurosi pelvica superiore comunemente definito: fascia endopelvica. Questo apparato di sospensione è sostenuto dalla fascia dei muscoli pelvici, che rappresenta la struttura capace di supportare direttamente il peso gravitazionale. L'aponeurosi interna o fascia superiore dell'elevatore si fonde, a livello dell'arco tendineo, con la fascia dell'otturatore interno, posteriormente con la fascia presacrale, anteriormente con la fascia trasversalis dell'addome e si continua con i connettivi periviscerali, in particolare con la fascia
perivaginale. Questa connessione permette la contrazione attiva della muscolatura pelvica che eleva il collo vescicale e il suo rilasciamento che ne favorisce la discesa. I muscoli elevatori, la fascia pelvica e la parete vaginale anteriore formano una base di sostegno su cui si adagia l'uretra. La pressione di chiusura uretrale supera normalmente la pressione vescicale, determinando un gradiente pressorio positivo che favorisce la continenza urinaria. L'uretra si dispone su questa specie di amaca contro cui viene compressa quando si verifica un incremento significativo della pressione addominale (Fig. 2). Quando le strutture che sostengono l'uretra si indeboliscono e divengono instabili si riduce l'effetto compressivo che occlude l'uretra allorché si verifica un incremento della pressione endopelvica. Il diaframma pelvico e quello urogenitale costituiscono un sistema muscolare complesso disposto sotto l'aponeurosi pelvica. Questo sistema di supporto dinamico esplica un'attività riflessa tonica e fasica attraverso fibre muscolari di tipo I ("scure" a contrazione rapida) e di tipo II ("chiare" a contrazione lenta) (Fig. 3). Anche durante il sonno l'attività tonica di questo sistema neuromuscolare garantisce la continenza dei visceri pelvici. Quando si verifica un improvviso incremento della pressione addominale dovuto al cambiamento della postura o ad attività fisica, si realizzano contrazioni fasiche intensificate per brevi periodi delle fibre a contrazione rapida. Durante la fase di riempimento vescicale, si verifica un aumento dell'attività dei muscoli pelvici rilevabile durante l'elettromiografia, mentre durante la minzione si osserva una riduzione dei potenziali elettromiografici, espressione del rilasciamento muscolare. L'integrazione a livello del sistema nervoso centrale permette di contrarre questi muscoli volontariamente per interrompere la minzione, per rinviare lo stimolo defecatorio e in numerose altre circostanze. Il prolasso e l'incontinenza urinaria da sforzo sono espressioni di una patologia multifattoriale correlata a fattori traumatici, distrofici o neurologici, che compromettono le strutture statiche e dinamiche del supporto pelvico. Il sistema di sospensione I visceri pelvici mantengono i reciproci rapporti anatomici e le connessioni con le ossa del bacino grazie ad un sistema di sospensione formato da una serie di pilastri di tessuto connettivale che prende il nome di fascia endopelvica. All'interno di questi addensamenti connettivali decorrono strutture vascolari che contribuiscono alla formazione dei pilastri del sistema di sospensione. La fascia endopelvica origina lungo le pareti laterali del bacino e, ancorandosi all'utero e alla porzione craniale della vagina, viene a costituire rispettivamente il parametrio e il paracolpo. Questi pilastri decorrono medialmente e in avanti fondendosi con il connettivo periviscerale del retto, della vagina e della vescica, terminando nello spazio retropubico. All'interno dei pilastri è possibile riconoscere strutture pseudolegamentose tra cui i legamenti uterosacrali e cardinali che rappresentano il sistema di ancoraggio posteriore e laterale dell'istmo uterino e della cervice.
I legamenti pubo-vescicali e vescico-uterini rappresentano la parte anteriore di questo sistema di sospensione. Questa architettura connettivale può essere paragonata ad un doppio arco i cui estremi sono la parete pelvica postero-laterale e la regione retropubica. La base è più ampia posteriormente e i due archi convergono sospendendo la vagina nel suo tratto sovradiaframmatico. I legamenti utero-sacrali sono i più craniali e rappresentano la struttura più consistente di questo sistema. È possibile isolare chirurgicamente questi pilastri attraverso l'identificazione degli spazi pelvici sottoperitoneali (spazio retropubico, spazio vescicouterino, spazi paravescicali, spazi pararettali, spazio vaginorettale, spazio presacrale). La tensione determinata dalla fissazione laterale della vagina fa sì che le pareti anteriore e posteriore di questo organo risultino in contatto tra loro, mentre la sospensione posteriore determina l'angolo pelvico della vagina che è acuto posteriormente. Questa conformazione della vagina garantisce il meccanismo occlusivo della tasca di Douglas durante gli incrementi della pressione addominale. Anche la proiezione dell'istmo cervicale sul centro fibroso del perineo consente un adeguato supporto dell'utero durante le manovre evacuative. Analogamente, il supporto dell'area cervico-trigonale della vescica trova nella vagina un supporto durante le diverse situazioni statiche e dinamiche. Il sistema di sospensione anteriore del collo vescicale e dell'uretra potrebbe risultare importante nella patogenesi dell'incontinenza urinaria da sforzo. Questo sistema comprende le strutture di supporto connesse all'arco pubico (legamenti pubouretrali anteriori, intermedi, posteriori), alla parete vaginale anteriore, all'arco tendineo dell'elevatore dell'ano, all'elevatore della vagina (arco tendineo della fascia endopelvica) e all'aponeurosi interna dei muscoli puborettali. Un'alterazione a carico del paracolpo dislocato cranialmente (I livello di De Lancey) comporta un prolasso dell'utero o della cupola (Fig. 4). Un cedimento del supporto distale della vagina (III livello di De Lancey) può determinare un'ipermobilità dell'uretra che si associa spesso alla comparsa dell'incontinenza urinaria. La continenza, in condizioni di riposo, è assicurata dai seguenti fattori: 1) normale capacità di adattamento del detrusore durante il riempimento vescicale (stabilità detrusoriale); 2) adeguato trofismo dell'epitelio uretrale in rapporto alle condizioni endocrinologiche del soggetto (stimolazione estrogenica); 3) buona vascolarizzazione subepiteliale (correlata con lo stato ormonale); 4) abbondante presenza di tessuto elastico in tutti gli strati dell'uretra; 5) integrità della muscolatura liscia uretrale e della sua innervazione; 6) normalità dello sfintere striato esterno dell'uretra che garantisce il tono, in sinergia con l'attività
dei muscoli del diaframma pelvico e urogenitale. In condizioni normali, questi fattori fanno sì che la pressione uretrale risulti maggiore della pressione endovescicale, determinando la normalità del profilo pressorio di chiusura dell'uretra. Durante lo sforzo si verificano due meccanismi capaci di aumentare la pressione di chiusura per garantire una pressione differenziale positiva. Il primo meccanismo è costituito dalla contrazione della muscolatura striata pelvica che comprime l'uretra a livello del punto di passaggio tra i due terzi prossimali ed il terzo distale dell'uretra. Il secondo meccanismo accessorio di chiusura si riferisce all'incremento della pressione di chiusura uretrale dovuto alla trasmissione della pressione addominale contemporaneamente sulla vescica e sulla parete esterna dell'uretra sovradiaframmatica. L'assenza di una normale attività riflessa della muscolatura pelvica (1), l'alterazione delle fibre muscolari striate e l'anomalia dei rapporti topografici fra uretra e pavimento pelvico, possono favorire un'abnorme apertura del collo vescicale a riposo o sotto sforzo. In questi casi si verifica la comparsa di incontinenza urinaria che non è necessariamente correlata alla presenza di un significativo prolasso urogenitale (Fig. 5b). Il mantenimento del supporto vescico-uretrale potrebbe garantire la continenza anche in presenza di una dislocazione evidente del condotto uretrale e del collo vescicale (Fig. 5c). L'alterazione della base vescicale radiologicamente evidente non sempre causa una incontinenza urinaria da sforzo, poiché i meccanismi accessori della muscolatura pelvica e i mezzi di sostegno dell'uretra, all'altezza del suo terzo medio, possono ancora garantire la continenza in condizioni critiche. Strutture dinamiche di supporto La muscolatura del pavimento pelvico comprende il diaframma urogenitale (membrana perineale) e i muscoli del diaframma pelvico. Ad eccezione dei muscoli ischiocavernosi, i muscoli del pavimento pelvico si inseriscono perifericamente sulle strutture ossee e legamentose del cingolo pelvico, mentre inferiormente, lungo la linea mediana, si inseriscono posteriormente sul rafe anococcigeo e anteriormente al centro fibroso del perineo. Il muscolo bulbocavernoso e il trasverso superficiale del perineo convergono sul centro fibroso perineale insieme al muscolo trasverso profondo e ai fasci anteriori e mediali dei muscoli puborettali. Si può comprendere così l'importanza del centro fibroso del perineo nel supporto dinamico delle pareti vaginali, della regione trigono-cervicale e dell'utero. La perdita della sua integrità anatomica può predisporre alla comparsa di prolasso vaginale o di incontinenza urinaria da sforzo per l'alterazione di delicati equilibri anatomo-funzionali delle strutture pelviche. L'elevatore dell'ano è costituito dalle due porzioni del muscolo puborettale e ileococcigeo. Il muscolo puborettale origina dall'osso pubico e circonda la vagina e il retto congiungendosi con il metamero controlaterale a livello del rafe anococcigeo, formando una specie di fionda. La contrazione volontaria di questo muscolo riduce l'angolo ano rettale posteriore, l'angolo
vaginale e l'angolo uretro vescicale posteriore, accentuando i meccanismi della continenza (Fig. 6). Lateralmente il muscolo ileococcigeo origina da una linea fibrosa disposta sulla parete pelvica (arco tendineo dell'elevatore dell'ano) e costituisce uno strato quasi orizzontale che inferiormente chiude la pelvi. La porzione superiore della vagina, così come il retto, si collocano quasi orizzontalmente al di sopra del piatto dell'elevatore. Quest'ultimo è formato dalla fusione dei muscoli pubococcigei posteriormente al retto. Il limite anteriore del punto di fusione è rappresentato dal margine dello iato genitale, immediatamente dietro al retto. Il fascio principale del muscolo puborettale fa parte del sistema dinamico di supporto e soddisfa quattro funzioni principali: 1) garantisce una opposizione al vettore di spinta addominale sul sistema di sospensione, proteggendolo da incrementi significativi di pressione; 2) eleva il centro fibroso del perineo facendolo coincidere con la regione cervico-istmica dell'utero durante gli improvvisi aumenti della pressione addominale e contribuendo alla prevenzione del prolasso uterino; 3) accentua gli angoli dei visceri pelvici nel meccanismo della continenza; 4) aumenta l'angolo vagino-pelvico prevenendo l'insorgenza dell'enterocele. Patogenesi del prolasso urogenitale Nel prolasso uterino e vaginale, il tessuto connettivo perde la capacità di mantenere gli organi pelvici nella propria sede. La fascia endopelvica perde la sua funzione di supporto per uno stiramento causato da un insulto meccanico e da una incapacità riparativa dei tessuti connettivali. Il deficit neuromuscolare del pavimento pelvico si accompagna al descensus degli organi contenuti nel bacino. In molti casi la perdita degli angoli che caratterizzano i visceri pelvici (anorettale, uretro-vescicale posteriore ed utero-vaginale) si accompagna alla comparsa del prolasso. Lo stiramento, la separazione o le alterazioni della muscolatura si associano a modificazioni nel connettivo della fascia pelvica e del perineo. Le alterazioni della muscolatura striata pelvica e perineale possono risultare come diretta conseguenza di un traumatismo o di una lesione neurologica causata da sforzi o spinte eccessive. Ne consegue una abnorme lassità del pavimento pelvico che frequentemente si associa al prolasso e all'incontinenza. Le strutture di sospensione e di sostegno dell'utero si indeboliscono in menopausa per le modificazioni endocrine e vascolari del supporto pelvico. Durante il parto, l'estremo cefalico del bambino provoca uno stiramento in basso della parete vaginale e delle fibre muscolo-fasciali dell'elevatore. Anche le strutture nervose limitrofe vengono coinvolte in questo meccanismo di stiramento e distensione che favorisce la comparsa di un insulto neurologico (Fig. 7). Nell'80% delle primigravide, dopo parto vaginale, è stata dimostrata la comparsa di un difetto
neuromuscolare e lo studio dei potenziali evocati ha evidenziato una neuropatia del pudendo che potrebbe essere correlata con l'insorgenza successiva del prolasso e dell'incontinenza (2). Anche il nucleo fibroso perineale e le strutture posteriori dello sfintere uretrale esterno possono subire insulti traumatici di entità variabile durante il parto vaginale. La perdita della corretta proiezione della regione cervico-istmica sul centro fibroso del perineo (generalmente secondaria ad un deficit delle strutture di sospensione uterosacrali) rappresenta il primo gradino del descensus uterino attraverso lo iato genitale. Uno slittamento avanti dell'utero associato all'apertura dell'angolo pelvico della vagina promuove il prolasso dell'utero e spesso un enterocele associato. Dopo isteropessi, con fissazione anteriore dell'utero, è frequente osservare la comparsa di enterocele e prolasso della parete vaginale. La tasca del Douglas è sottoposta all'effetto delle forze espulsive che favoriscono nel tempo la comparsa di enterocele. Anche la colposospensione retropubica secondo Burch può favorire la formazione di un prolasso uterino e di un rettocele vicariante poiché la parete vaginale anteriore viene spostata in avanti. Nella patogenesi del prolasso urogenitale, un ruolo molto importante viene rivestito dalle strutture muscolo-fasciali e la mancanza di un valido supporto alle strutture statiche di sospensione espone gli organi pelvici ad un effetto di sprofondamento. Biopsie dei muscoli puborettali, effettuate nel corso di interventi per prolasso, hanno dimostrato sorprendentemente che in presenza di prevedibili lesioni di tipo distrofico a carico dei muscoli è possibile trovare modificazioni strutturali di origine neurogena (3) (Fig. 8). Queste osservazioni sostengono l'ipotesi che ripetuti stress a carico del pavimento pelvico siano la causa di lesioni periferiche dell'innervazione muscolare, con conseguente miopatia neurogena e insufficienza dinamica. Studi elettromiografici compiuti su pazienti con prolasso urogenitale ed incontinenza urinaria, paragonati con gruppi di controllo, hanno confermato la presenza di tracciati indicativi per una miopatia neurogena (4). Anche gli studi dei potenziali evocati sacrali, specialmente nei casi con incontinenza urinaria da sforzo, hanno dimostrato tempi di latenza prolungati nelle risposte riflesse ad uno stimolo esterno (5). La distrofia tissutale, le lesioni delle strutture di sospensione, l'inefficienza dei sistemi muscolo fasciali di supporto insieme al deficit primario o secondario dell'innervazione muscolare pelvica, favoriscono in misura variabile la comparsa del prolasso urogenitale. Spesso coesistono deficit plurimi a carico delle strutture di supporto e di sospensione, dal momento che queste strutture sono anatomicamente e funzionalmente complementari. Gli studi istomorfometrici hanno dimostrato che il numero e la densità delle fibre muscolari striate che circondano l'uretra si riduce con l'incremento dell'età. Questo fenomeno può spiegare l'osservazione che la pressione di chiusura uretrale si riduce con l'invecchiamento del soggetto (6). Studi sulla crescita di fibroblasti della fascia pelvica in donne con prolasso genitale recidivante suggeriscono l'esistenza di un alterato rapporto fra i diversi tipi di collagene. In questi casi si verifica una sintesi eccessiva di collagene più debole di tipo III in presenza di prolasso genitourinario (7). Anomalie intrinseche del collagene potrebbero manifestarsi come carattere congenito, giustificando una familiarità nell'insorgenza del prolasso. Gli studi di Zacharin hanno documentato l'esistenza di differenze razziali, dimostrando una maggior consistenza delle strutture pelviche nelle donne cinesi (8). Altri studi enfatizzano la predisposizione al prolasso di donne affette da "Sindrome da instabilità delle giunzioni" caratterizzate da lussazione d'anca, osteoporosi, condrocalcinosi e così via. I difetti dell'innervazione muscolare e le alterazioni degli equilibri neuroendocrini vengono considerati come causa primaria del prolasso nella spina bifida e nella obesità endocrina. In questi casi il descensus genitale si verifica anche in giovane età e nelle pazienti nullipare. Le patologie
internistiche a carattere cronico e le condizioni accompagnate da prolungati e ripetuti incrementi della pressione addominale si associano frequentemente a stipsi cronica, tosse associata a pneumopatie e obesità. Molti di questi fattori possono coesistere agendo sinergicamente fra loro e determinando la comparsa del prolasso. Si deve ricordare anche l'effetto di fattori iatrogeni, dovuti ad interventi chirurgici diretti a sospendere la parete vaginale anteriore e tutte le procedure capaci di modificare i normali rapporti anatomici e topografici della vagina. Incontinenza urinaria e prolasso L'associazione fra patologia della minzione e alterazioni anatomiche della pelvi è di frequente riscontro nella pratica clinica quotidiana. La coesistenza di un'incontinenza in presenza di prolasso non deve essere considerata sulla base di una semplice e diretta dipendenza, infatti l'esistenza di un'incontinenza urinaria da sforzo implica lesioni ed alterazioni funzionali specifiche dell'apparato di sostegno e di supporto rispetto all'uretra e al collo vescicale. Talora donne con cistouretrocele di grado elevato risultano continenti. L'arco tendineo della fascia endopelvica mantiene la propria stabilità strutturale rimanendo sospeso fra i suoi punti di inserzione: l'osso pubico e la spina ischiatica. A ridosso del pube l'arco diventa una inserzione tendinea ben definita che aderisce 1 cm sopra e 1 cm a lato della linea di mezzo rispetto al bordo inferiore della sinfisi pubica. Esiste una chiara relazione fra porzione mediale del muscolo elevatore dell'ano (porzione pubococcigea), arco tendineo della fascia endopelvica e strato suburetrale della fascia endopelvica nella regione dell'uretra prossimale, che spiega la capacità di contrarsi dell'elevatore, modificando la posizione del collo vescicale (9). L'uretra è disposta con un angolo obliquo rispetto al piano orizzontale, mentre lo spazio di Retzius è disposto anteriormente e cranialmente. La fascia endopelvica e la parete vaginale si collocano posteriormente e caudalmente rispetto all'uretra. L'uretra distale si fissa all'osso pubico attraverso la membrana perineale. La parete uretrale anteriore, sopra il punto di adesione al pube, risulta esposta alle forze generate dagli incrementi pressori addominali. Lateralmente la fascia endopelvica si estende dall'arco tendineo della fascia pelvica e si dispone ad amaca sotto l'uretra. I movimenti verso il basso dell'uretra mettono in tensione il tessuto connettivo e l'arco tendineo della fascia pelvica. Separando l'arco tendineo della fascia pelvica dal pube o sezionando le connessioni fra l'arco e la fascia pelvica si favorisce l'ipermobilità uretrale, diminuendo la rigidità della fascia sottouretrale. Durante la tosse, lo starnuto o lo sforzo, l'uretra risulta compressa fra la spinta in alto delle forze pressorie addominali e la resistenza dello strato fasciale della sottostante fascia endopelvica. Se il tessuto suburetrale risulta abnormemente lasso o mobile, la compressione non è efficace, mentre diminuisce la trasmissione della pressione addominale sull'uretra. La trasmissione della pressione non dipende in termini assoluti dall'altezza ove si colloca l'uretra, poiché lo strato fasciale può risultare solido e resistente ad un livello più basso. Il difetto paravaginale si associa per lo più ad una destabilizzazione del complesso uretro-vescicale (Fig. 9). La riconnessione chirurgica della fascia sottouretrale alla parete pelvica fa sì che la pressione verso il basso sul collo vescicale lo comprima contro un'amaca di supporto che ha ritrovato la sua stabilità. Gli interventi di colposospensione retropubica e la correzione chirurgica dei difetti paravaginali, tendono a stabilizzare il supporto sottouretrale, consolidando la fascia sottouretrale alle ossa del bacino. Il supporto uretrale non costituisce l'unico elemento responsabile dell'incontinenza da sforzo. La competenza del collo vescicale insieme alla funzione uretrale svolgono un'azione essenziale ai fini della continenza (10).
La contrazione della muscolatura striata periuretrale gioca un ruolo determinante in aggiunta alla compressione passiva del supporto sottouretrale. Un incremento della pressione uretrale si verifica 250 millisecondi prima di ogni incremento pressorio endoaddominale garantendo la competenza (11). Questo dato conferma che la continenza si manifesta in vivo come un meccanismo attivo, la cui complessità coinvolge anche elementi neurologici di natura riflessa. Le donne che hanno perduto il controllo neurologico della muscolatura pelvica non potranno migliorare l'efficienza dei meccanismi della continenza con esercizi di fisioterapia. Allo stesso modo non si otterranno benefici significativi nelle pazienti dove si è verificata una vera deconnessione dei muscoli dai punti di ancoraggio. Di converso, le pazienti che hanno perduto la normale capacità di attivare inconsciamente la muscolatura pelvica con la tosse o lo sforzo possono godere di un drammatico miglioramento attraverso gli esercizi riabilitativi del pavimento pelvico. Anche le donne in grado di contrarre volontariamente i muscoli pelvici indeboliti e incapaci di mantenere la continenza possono trovare grande beneficio rinforzando la muscolatura con l'apprendimento degli esercizi volontari di contrazione isometrica. La ginnastica riabilitativa del pavimento pelvico rappresenta un elemento terapeutico importante accanto alla terapia medica e chirurgica dei disturbi del supporto pelvico. La conoscenza dell'anatomia e della fisiologia delle strutture pelviche rappresenta una premessa irrinunciabile per la diagnosi e la terapia del prolasso e dell'incontinenza urinaria femminile.
ANATOMIA FUNZIONALE L. Frigerio U.O. Ostetricia e Ginecologia, Ospedali Riuniti di Bergamo
Testo articolo Bibliografia Tabelle Fig. 1 Muscoli elevatori dell’ano e Arco Tendineo dell’Elevatore (Netter FH. The CIBA collection. Reproductive System. New York: CIBA Publications 1970;2:94-5)
Fig. 2 L’uretra durante sforzo è compressa fra parete addominale e fascia pelvica (DeLancey JOL. Stress urinary incontinence: where are we now, where should we go? Am J Obstet Gynecol 1996;175:311-9)
Fig. 3 Fibre atrofiche e ipertrofiche del muscolo pubo-rettale di aspetto tondeggiante e di tipologia definita. "Fibre scure" a conduzione lenta (I tipo) e "fibre chiare" a conduzione rapida (II tipo). Reazione istoenzimatica per ATPasi Ca dipendente (Ferrari AG, Frigerio LG. Il muscolo Pubo-rettale nel prolasso genitale femminile. Workshop Ginecologia e Ostetricia. Monduzzi 1986;2-3)
Fig. 4 Il cedimento del supporto craniale (I livello) favorisce l’abbassamento dell’utero. Il cedimento del supporto intermedio (II livello) provoca la comparsa di cistocele e/o rettocele. Un’alterazione del supporto distale (III livello) favorisce l’ipermobilità uretrale.
Fig. 5 A) Supporto vescico-uretrale normale B) Cedimento sistema muscolo-fasciale sottouretrale che favorisce l’incontinenza urinaria da sforzo C) Prolasso vescicale senza cedimento del supporto vescico-uretrale (DeLancey JOL. Am J Obstet Gynecol 1994;170:1713-20)
Fig. 6 Visione perineale dei muscoli pelvici: a) M. Pubo-rettale; b) Rafe ano-coccigeo (Netter FH. The CIBA collection. Reproductive System. New York: CIBA Publications 1970;2:94-5)
Fig. Durante il periodo espulsivo si verifica lo stiramento in basso della vagina e dei tessuti limitrofi
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Fig. 8 Sezione trasversale di un nervo del M. Pubo-rettale con anisometria dei diametri assonali nel prolasso genitale (Ferrari AG, Frigerio LG. Il muscolo pubo-rettale nel prolasso genitale femminile. Workshop Ginecologia e Ostetricia. Monduzzi 1986;2-3)
Fig. 9 Visione retropubica del difetto paravaginale con evidente diastasi dell’arco tendineo dell’elevatore (linea bianca segnata da frecce a sinistra) rispetto all’arco tendineo della fascia endopelvica (linea chiara segnata da frecce mediali a destra) (DeLancey JOL. Am J Obstet Gynecol 1996;175:311-9
PATOGENESI DEI DIFETTI DEL PAVIMENTO PELVICO T. Maggino • P. Zola* • G.C. CerrUti* • L. Campagna*
* Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostetriche, Università Torino U.O. Ostetricia e Ginecologia, Ospedale di Mirano (VE)
Testo articolo Bibliografia Tabelle Introduzione I difetti del pavimento pelvico possono essere distinti in funzionali e anatomici; in particolare si definiscono funzionali i disturbi o difetti legati alla capacità della vescica e del retto di controllare la minzione e la defecazione, e anatomici i difetti o alterazioni della topografia delle strutture anatomiche quali il dislocamento al di fuori della loro sede naturale del viscere uterino e della mucosa vaginale e/o rettale associati o meno a disturbi funzionali. La prevalenza di questa patologia è rilevante soprattutto nella 5a e 6a decade con valori molto variabili tra il 15 e il 35% a seconda delle serie riportate in letteratura. Questa ampia variabilità è da imputarsi alla notevole gradualità del fenomeno e alla conseguente soggettività sia della paziente nel riferire il sintomo che del medico nel ricercalo. In altri termini un'incontinenza saltuaria può passare inosservata o non essere segnalata al medico, mentre un prolasso utero-vaginale totale è generalmente riferito; dal momento però che oltre il 60% della patologia è rappresentata da quadri iniziali o a scarso impatto clinico, le reali dimensioni del problema sono di difficile rilevazione e probabilmente sottostimate. I difetti del pavimento pelvico sono da considerarsi un insieme di quadri clinici non necessariamente tra loro correlati e che non evolvono sistematicamente in gradi crescenti di
gravità. I difetti funzionali I disturbi funzionali sono da correlare ad un'alterazione dei sistemi di controllo della statica pelvica e, in particolare, dei sistemi di controllo del meccanismo riempimento/svuotamento della vescica. Pur rifacendoci al capitolo sull'Anatomia Funzionale presente in questo Volume, ci pare opportuno richiamare le strutture in gioco per meglio comprendere la patogenesi del fenomeno. La corretta statica vescicale e pelvica è conservata da un duplice sistema che possiamo definire di sospensione e sostegno la cui integrità è necessaria per garantire la funzionalità della struttura. In particolare nel sistema di sospensione si riconosce una fascia vescicale che ancora la vescica all'ombelico cranialmente e al pavimento pelvico caudalmente. Inoltre i ligamenti pubo-vescicali o pilastri vescicali anteriori, a struttura prevalentemente muscolare, solidarizzano in modo elastico la vescica con la superficie posteriore del pube. Posteriormente i ligamenti utero-vescicali, a struttura prevalentemente vascolare, interconnettono la vescica con il collo dell'utero; mentre i ligamenti laterali si connettono alla fascia pelvica laterale. Il sistema di sostegno è costituito dalle strutture muscolari del diaframma pelvico, in particolare il muscolo elevatore interno dell'ano che ne costituisce lo strato interno. La corretta disposizione degli organi situati all'interno della pelvi gioca un ruolo di sostegno, in modo passivo ma senza dubbio rilevante. In posizione ortostatica infatti, la vescica riposa sulla vagina sostenuta a sua volta dal centro tendineo del perineo, mentre il retto è sostenuto dal coccige e dai muscoli e ligamenti rettococcigei. Con il sistema che garantisce la statica vescicale e pelvica si integra un sistema neuro-muscolare che controlla il sistema di chiusura del collo vescicale e che vede un'integrazione del sistema autonomo e volontario. In particolare, l'innervazione vescicale ha una componente sensitiva e motoria la cui integrità e integrazione garantisce il meccanismo di continenza e svuotamento. La continenza infatti è garantita da un gradiente pressorio a favore del versante uretrale rispetto alla pressione endovescicale. La patogenesi dell'incontinenza urinaria può essere di tre tipi: sfinteriale, detrusoriale o mista. Incontinenza da disfunzione sfinterica: è una perdita involontaria di urina durante gli aumenti di pressione addominale in assenza di simultanea attività detrusoriale. Il corretto funzionamento del meccanismo sfinteriale è garantito da tre fattori: effetto sigillante della mucosa uretrale, competenza sia del collo vescicale e che dello sfintere uretrale. La mucosa uretrale contiene nella propria tonaca un ricco plesso vascolare, simile al corpo spongioso maschile, estrogeno dipendente. Gli estrogeni mantengono il trofismo della mucosa, aumentando al tempo stesso il flusso ematico nel plesso sottomucoso. I due meccanismi combinati aumentano l'effetto occludente dell'uretra. Il collo vescicale è costituito da fibre che si dispongono intorno alla porzione anteriore del collo vescicale dando luogo ad una fionda muscolare detta fionda o anello detrusoriale. La sua chiusura è garantita dalla disposizione spiraliforme delle cellule muscolari lisce e dalla presenza di cellule contenenti elastina. Lo sfintere striato dell'uretra si compone di due porzioni: lo sfintere parauretrale, costituito da
fibre muscolari a lenta contrazione, e lo sfintere peri-uretrale, costituito da fibre a contrazione rapida. Il primo è deputato al mantenimento del tono uretrale a riposo mentre il secondo garantisce la continenza attiva in caso di aumenti pressori addominali. In base alle alterazioni anatomico-funzionali di questi tre fattori si distinguono tre tipi di incontinenza da disfunzione sfinterica: incontinenza da sforzo genuina: determinata da incompetenza del collo vescicale e dalla dislocazione anatomica di questo e dell'uretra con conseguente alterata trasmissione della pressione endoaddominale all'uretra; insufficienza sfinterica: determinata da perdita delle resistenza uretrali per deficit dei meccanismi sfinteriali prossimale e distale; instabilità uretrale: determinata da rilasciamento non inibito dell'uretra. Incontinenza urinaria da disfunzione detrusoriale (urge incontinence): è una perdita involontaria di urina per l'insorgenza di contrazioni detrusoriali involontarie e non volontariamente sopprimibili su base neurogena (iperreflessia detrusoriale) o non neurogena (instabilità o iperattività detrusoriale). Per determinare la fuga d'urina è comunque necessaria la presenza di un'associata disfunzione della componente sfinteriale; infatti un meccanismo uretrale distale intrinseco ed estrinseco valido dovrebbe essere in grado di opporsi ad un aumento pressorio vescicale conseguente alla contrazione detrusoriale instabile. Incontinenza urinaria mista: si realizza quando iperattività detrusoriale e deficit sfinteriale di diverso tipo coesistono. Un accenno a parte merita l'overflow incontinence (incontinenza urinaria da rigurgito), provocata dalla ritenzione cronica d'urina, imputabile nella donna soprattutto a disfunzione detrusoriale (vista l'eccezionalità di ostruzioni cervico-uretrali, più frequenti nel sesso maschile) su base neurogena (diabete, spondilosi lombare), farmacologica o piogena. I difetti anatomici La dislocazione del viscere uterino verso il basso fino alla sua esteriorizzazione al di fuori della rima vulvare associata o meno con la discesa della parete vaginale anteriore e posteriore, è definita prolasso genitale e viene classificata in gradi crescenti di gravità (da I al IV) per descrivere la minore o maggiore alterazione dei rapporti dell'apparato genitale con gli organi e le strutture pelviche. Analogamente a quanto già descritto nella patogenesi dei difetti funzionali, alla base del prolasso vi è uno squilibrio tra la pressione endoaddominale e le strutture anatomiche che sostengono i visceri pelvici. In particolare distinguiamo l'insufficienza del sistema di sostegno, cioè del piano muscolo fasciale che costituisce il pavimento pelvico; il rilasciamento del sistema di sospensione costituito dalle strutture ligamentoso-vascolari (per esempio ligamenti cardinali e utero-sacrali) e le modificazioni della posizione dell'utero. Con l'insufficienza del sistema di sostegno si riduce il meccanismo di sostegno sia attivo che passivo dell'apparato genitale, con conseguente difficoltà a controbilanciare sia a riposo che soprattutto sotto sforzo la pressione endoaddominale. Il rilasciamento del sistema di sospensione rende difficile l'azione vicariante delle strutture ligamentose nei confronti della ridotta capacità di sostegno del pavimento pelvico. L'ispessimento dei ligamenti indotta dall'anomala trazione non è in grado infatti di supplire a lungo e a
compensare alla riduzione della capacità di resistenza del pavimento pelvico e di conseguenza di contrastare efficacemente l'alterazione della topografia degli organi genitali e di quelli viciniori (vescica e retto). Le modificazioni della posizione dell'utero sono spesso conseguenza dei primi due fattori e ad essi correlati, con causali nell'instaurarsi del prolasso. Tali modificazioni di posizione comportano uno squilibrio nel gioco delle forze endoaddominali. La corretta statica pelvica e di conseguenza la sua funzionalità, è la risultante di forze vettoriali contrapposte, costituite dalla forza del torchio addominale e della forza di gravità, che incidono in direzione caudale a cui si contrappone la resistenza del pavimento pelvico e la tensione dei ligamenti sospensori. La perdita di massa muscolare e la contemporanea diminuzione del tono dei muscoli elevatori, struttura portante del pavimento pelvico, determinano inoltre un'accentuata obliquità del pavimento stesso con un incremento delle dimensioni dello jatus urogenitale con diastasi dei fasci pubo-rettali. Dal momento che l'utero o la vagina scendono al di sotto della loro posizione "normale", sono sottoposti a un carico costante da parte delle strutture addominali, con conseguente allungamento e stiramento delle strutture tendinee. La risultante di questa situazione è una diminuzione di efficacia delle strutture ligamentose stesse non solo per il danno in sé, ma anche per l'impossibilità di tali strutture di attuare un efficace processo di autoriparazione. La patogenesi del prolasso genitale va ricercata in numerosi fattori causali che sono riportati in modo schematico di seguito, ma che nella maggior parte dei quadri clinici interagiscono tra loro contribuendo a definire la condizione disfunzionale finale. In particolare distinguiamo i fattori generali acquisiti quali patologie croniche o modi di vita che comportano un costante aumento di pressione addominale. In particolare si segnala l'obesità, la stipsi ostinata, la bronchite cronica o comunque una patologia bronco-polmonare protratta, caratterizzata da tosse persistente. Non va poi trascurata la patologia relativa all'attività lavorativa od a attività sportiva pesante. Vi sono poi dei fattori generali congeniti legati ad alterazioni biochimiche delle fibre collagene (maggior presenza di fibre collagene di tipo III meno resistenti rispetto a quelle di tipo I). Se consideriamo i fattori locali, quelli congeniti sono piuttosto rari e sono rappresentati dal dolico-Douglas, da alterazioni congenite dell'innervazione dei muscoli elevatori (spesso associata a spina bifida), deficit della componente connettivale del pavimento pelvico (associato a atrofia vescicale), brevità congenita della vagina, differenze tra diversi ceppi di popolazione. Decisamente più importanti sono i fattori locali acquisiti; in genere danno esito ad una fibrosi del pavimento pelvico con conseguente compromissione della funzionalità dinamica. I fattori locali legati ai precedenti ostetrici hanno un ruolo rilevante nell'insorgenza dei problemi uro-ginecologici, sia in fase precoce che tardiva. Le lesioni possono essere sia anatomiche che funzionali e si possono far risalire alle modalità di monitoraggio del travaglio di parto e alle procedure di assistenza al parto, in particolare durante la gestione del periodo espulsivo. In questa fase infatti la parte presentata del feto si confronta con la parte caudale del canale da parto e, in particolare, con le strutture del pavimento pelvico. Le contrazioni uterine e il torchio addominale spingono la parte presentata attraverso lo jatus urogenitale con conseguente stiramento accentuato delle sue strutture muscolari e tendinee. In particolare si può verificare: stiramento abnorme delle strutture perineali con microlesioni; distorsioni e successiva fibrosi riparativa dei ventri muscolari degli elevatori, con conseguente deficit della loro contrattilità; allungamento patologico delle strutture fibro-ligamentose. Le lesioni a carico dell'elevatore dell'ano possono prodursi sia per trauma diretto sui ventri
muscolari che per disinserzione dal pube del muscolo pubo-coccigeo. Il distacco del ventre muscolare comporta la sua incapacità a contrarsi ed a costituire il piano di appoggio per i visceri pelvici. In tale situazione, sotto la spinta della pressione addominale, il diaframma pelvico in parte disinserito dal pube assume un orientamento obliquo verso il basso. Di conseguenza si verifica un abbassamento del pavimento pelvico, una riduzione della sua capacità di appoggio/sostegno e un allargamento dello jatus genitale attraverso cui, sotto sforzo, si insinua la parete vaginale anteriore, con conseguente dislocazione in basso della vescica. L'aumento del diametro antero-posteriore dello jatus fa sì che l'utero, normalmente appoggiato sul piano muscolare, venga a trovarsi privo di sostegno e sia mantenuto in sede solo dal sistema di sospensione. Come abbiamo già accennato sopra, il sistema di sospensione tende a cedere col tempo essendo sottoposto ad un continuo sforzo di contenimento per contrastare la pressione endoaddominale. Il risultato finale è l'allungamento dei legamenti, la graduale perdita di elasticità con la conseguente trasformazione in fasci fibrosi e il prolassamento del viscere uterino al di fuori della rima vulvare. I difetti del pavimento pelvico legati al parto riconoscono vari fattori eziologici: materni: sforzo espulsivo prima della dilatazione completa, distanza ano-vulvare < 2 cm, ipoplasia dei genitali esterni, ipertonia degli elevatori; fetali: presentazioni anomale, microsomia, distocia di spalle, gemellarità; iatrogeni: scorretta assistenza ostetrica perineale durante il periodo espulsivo, episiotomia inadeguata per modalità di sede, estensione e tempistica; scorretto disimpegno delle spalle; inadeguata riparazione delle lacerazioni; parto operativo (per esempio applicazione di forcipe o ventosa); assistenza al parto podalico con incongrue manovre di estrazione. Accanto ai danni anatomici è stata anche ipotizzata l'origine neurogenica dei difetti del pavimento pelvico: si è infatti pensato che la gestione del parto vaginale mediante spinte e trazioni non completamente corrette e coordinate con la fisiologica evoluzione del travaglio, soprattutto nella sua parte finale, possono indurre un danno a carico del nervo pudendo, come rilevato da numerosi studi elettromiografici. Alcuni Autori infatti hanno dimostrato come le donne con un travaglio prolungato vadano incontro a una maggior incidenza di patologia neurogena a carico del distretto pudendo, fenomeno che non si è riscontrato in pazienti sottoposte a taglio cesareo. Questi dati vanno considerati con estrema prudenza considerato il fatto che non disponiamo di studi clinici disegnati ad hoc, ma ci basiamo su dati retrospettivi. In queste serie di pazienti che presentano intorno alla 5a -6a decade un difetto del pavimento pelvico riconducibile a un danno neurogeno, si è ipotizzato che durante il travaglio e il parto si sia prodotto un danno a carico del nervo pudendo irrilevante dal punto di vista clinico e che sia evoluto con l'età e i processi di invecchiamento. Il deficit estrogenico, soprattutto dopo la menopausa, comporta un'importante perdita di fibre collagene ed elastiche. La menopausa influenza negativamente, sempre attraverso la carenza estrogenica, anche i supporti connettivali dell'uretra, con la conseguente riduzione della massima pressione di chiusura uretrale (diminuzione media del 30%). Infine l'età associata spesso a riduzione dell'attività fisica possono determinare una riduzione percentuale ed una ipotrofia delle fibre fasiche del muscolo elevatore dell'ano. Patogenesi dei difetti fasciali I difetti specifici della fascia pelvica, sia anteriormente che posteriormente, possono essere: laterale, mediano e trasversale (o sopra vaginale). Il difetto laterale è conseguente al distacco della fascia dell'arco tendineo dell'elevatore dell'ano che decorre dalla spina ischiatica al pube, anteriormente, ed alla membrana perineale, posteriormente. Anteriormente il difetto laterale può essere distinto in difetto parauretrale e paravescicale. Il difetto mediano è alla base di un'ernia che
si sviluppa sulla linea mediana della fascia pubocervicale anteriormente e, rispettivamente, della fascia rettovaginale, posteriormente. Il difetto trasversale è alla base di un'ernia che si sviluppa in sede sopra-vaginale anteriormente e posteriormente alla cervice uterina (nello spazio del fornice vaginale anteriore e/o posteriore) per distacco della fascia pubocervicale e, rispettivamente, rettovaginale dall'anello fasciale pericervicale (9) (10). I difetti della fascia pelvica sono generalmente singoli, in presenza di un prolasso genitale di 1° e 2° grado, mentre sono combinati in un prolasso genitale di 3°-4° grado. Uretrocistocele Nell'eziopatogenesi del colpocele anteriore (uretrocistocele) e dell'ipermobilità della giunzione vescico-uretrale (GVU), rientra un indebolimento dei ligamenti uretropelvici o una rottura del loro attacco alla parete laterale della pelvi; la maggior parte delle donne con stress incontinence dovuta ad ipermobilità uretrale, e non ad insufficienza sfinteriale intrinseca, hanno associato un cistocele. Il cistocele può essere dovuto a due differenti difetti del supporto vaginale anteriore nella regione della base vescicale: A) il difetto laterale in cui si verifica una perdita o un'attenuazione nell'attacco laterale (paravaginale) della fascia pubocervicale e del ligamento vescicopelvico all'arco tendineo della fascia pelvica; B) difetto centrale risultante dalla separazione della fascia pubocervicale dalla cervice e dai ligamenti cardinali lungo la linea mediana, permettendo l'erniazione della base vescicale attraverso la parete vaginale anteriore (11) (Fig. 1). Prolasso uterino e della volta vaginale L'isterocele è il risultato dall'indebolimento del complesso ligamentoso cardinale-uterosacrale, che raramente si presenta in modo isolato. Dopo l'isterectomia può permanere un indebolimento nel complesso dei ligamenti cardinaliuterosacrali che a sua volta potrà essere causa di voltocele (prolasso della cupola vaginale). Enterocele È l'erniazione del peritoneo che riveste lo sfondato del Douglas attraverso il fornice vaginale posteriore in presenza dell'utero (elitrocele), o attraverso il retto (edrocele). L'enterocele può essere abitato, generalmente, da anse del piccolo intestino. Quando l'enterocele si associa al prolasso uterino, enterocele da trazione, si colloca posteriormente all'utero e si estende nello spazio rettouterino. L'enterocele successivo all'isterectomia, da pulsione, si verifica in seguito alla separazione e al danneggiamento intraoperatorio dei ligamenti cardinali-uterosacrali. Rettocele L'erniazione intravaginale del retto avviene attraverso un assottigliamento del setto rettovaginale ma è anche facilitato dalla rotazione in basso e posteriormente che la vagina subisce quando vi sia un rilassamento della piattaforma dell'elevatore dell'ano. Questo comporta una conformazione concava, anziché orizzontale, dell'elevatore dell'ano ed un allargamento dello iato genitale per cui la vagina perde quell'angolo aperto posteriormente presente nella sua porzione intermedia e l'orientamento orizzontale della metà prossimale. In questo modo il profilo vaginale posteriore si verticalizza permettendo al retto di formare il colpocele posteriore (Figg. 2-3). Lassità perineale Nelle donne che presentano danni nel diaframma urogenitale e nel corpo perineale l'introito vaginale è allargato, la distanza tra l'uretra e la forchetta è aumentata. Vi possono essere vari gradi di compromissione di queste strutture fino alla scomparsa della normale architettura perineale con un estremo avvicinamento della forchetta vulvare al margine anale. Nei casi di
prolassi genitali severi con importanti compromissioni del supporto vaginale anteriore e posteriore, sono generalmente indebolite anche la fasce pre- e pararettale, il setto rettovaginale e la muscolatura perineale. Stipsi ed incontinenza anale nei difetti del pavimento pelvico Molte patologie degli organi pelvici e della muscolatura del pavimento pelvico possono associarsi in varie misure ed in tempi evolutivi diversi ad incontinenza fecale o d'altro lato a stipsi per meccanismi che interferiscono con il normale mantenimento della continenza o che consentono la defecazione. I principali fattori implicati nella funzionalità ano-rettale sono muscolari e neurologici (Tab. I). Tra i fattori muscolari va menzionata l'attività del muscolo pubo-rettale. L'arco muscolare che esso tende attorno ai visceri pelvici contraendosi, esercita un'azione contenitiva diretta di tipo sfinterico ed una indiretta, mediata dall'accentuazione degli angoli uretro-vescicali, vagino-pelvico ed anorettale (12). Molti Autori concordano nell'attribuire il ruolo principale nel mantenimento della continenza proprio alla fionda del pubo-rettale (12) (13). L'angolo ano-rettale diventa più acuto durante la contrazione muscolare pelvica e scompare durante la defecazione. Quanto più acuto è quest'angolo, tanto minore è la forza necessaria a bloccare il passaggio delle feci. Incontinenza fecale Il carattere clinico più evidente in tale condizione è la flaccidità della muscolatura sfinteriale con allungamento del muscolo pubo-rettale ed angolo ano-rettale abolito. La patogenesi è prevalentemente legata a traumi ostetrici (14) (assistenza ostetrica inadeguata in periodo espulsivo, macrosomia fetale, parti ravvicinate, lacerazioni perineali non riconosciute o non corrette adeguatamente). I traumi ostetrici possono creare una situazione da denervazione del pubo-rettale sia per trauma diretto che per lesione dei nervi pudendi. Altre cause possono essere determinate da: interventi correttivi per fistola anale soprattutto quando la lesione interessi la fionda del puborettale; emorroidectomia estesa per conseguente perdita del meccanismo di controllo sensoriale e chiusura incompleta del canale anale; il prolasso rettale per gli stessi motivi. Stipsi Nella maggior parte dei casi ha origine da errori dietetici o è manifestazione di una sindrome da colon irritabile. Una volta escluse le cause sistemiche di stipsi, le alterazioni endocrine e le alterazioni intestinali neurologiche, è necessario esaminare le cause di possibile ostacolo all'evacuazione da cause proctologiche e da alterazioni della statica pelvica. L'intussuscezione rettale ed il prolasso del retto sono associate frequentemente a stipsi con necessità di eccessivo ponzamento. Il rettocele, nelle donne multipare, può essere causa di ostruzione fecale. In tale condizione la causa è ravvisabile nel difetto del setto retto-vaginale che rende prominente il retto in vagina (colpocele posteriore). Importanti rettoceli rendono impossibile l'evacuazione del retto senza
mettere in atto manovre digitali per aiutare la defecazione. In generale si può concludere che nella genesi di disturbi proctologici in presenza di un'alterazione della statica pelvica vi sia una dissinergia della muscolatura pelvica (12). Ciò produce primariamente un eccessivo sforzo alla defecazione che, se prolungato, peggiora la condizione iniziale anche attraverso un danno neurologico degli sfinteri con ipotonia muscolare.
PATOGENESI DEI DIFETTI DEL PAVIMENTO PELVICO T. Maggino • P. Zola* • G.C. CerrUti* • L. Campagna* * Dipartimento di Discipline Ginecologiche e Ostetriche, Università Torino U.O. Ostetricia e Ginecologia, Ospedale di Mirano (VE)
Testo articolo Bibliografia Tabelle Fig. Difetti del supporto vaginale anteriore
1
Fig. Angolo vaginale posteriore
2
Fig. Rettocele
3
Tab. Fattori della continenza e funzionalità ano-rettale (da G. Dodi (12))
I
ANAMNESI E SEMEIOTICA CLINICA R. Milani • S. Salvatore • M. Soligo Divisione di Ginecologia Chirurgica, Azienda Ospedaliera "S. Gerardo" di Monza, Ospedale Bassini, Università di Milano Bicocca
Testo articolo Bibliografia Tabelle Come per la gran parte delle patologie, anche nel caso dell'incontinenza e del prolasso genitale è cruciale eseguire un'accurata anamnesi. Sebbene queste due condizioni si presentino spesso in associazione, per motivi espositivi e didattici riteniamo più utile in questo capitolo trattare separatamente le modalità di inquadramento anamnestico e, in seguito, unitamente l'esame obiettivo pelvico. Incontinenza urinaria Anamnesi Dovrebbe a sua volta dividersi in: Anamnesi medica Sono poche le condizioni mediche che causano di per sé incontinenza, anche se molte possono peggiorare problemi già esistenti. In una paziente uroginecologica dovrebbero sempre essere indagate le seguenti condizioni:
una patologia respiratoria cronica, che peggiora l'incontinenza da sforzo; l'insufficienza cardiaca con edema periferico che potrebbe portare ad una ridistribuzione dei volumi durante la notte, causando nicturia e persino enuresi notturna; l'ipertensione arteriosa è una condizione comune che per sé stessa non causa incontinenza urinaria; tuttavia, molti dei farmaci utilizzati nel suo trattamento potrebbero interferire con la funzione vescicale o uretrale (ad esempio i diuretici); la stitichezza cronica, che potrebbe portare a frequenza, urgenza, difficoltà minzionali o
persino overflow incontinence dovuti ad effetti pressori sulla vescica; un'anamnesi positiva per incontinenza fecale assieme ad incontinenza urinaria suggerisce una possibile causa neurologica per entrambi i sintomi. Poco comune è la presenza di altri evidenti sintomi neurologici; se presenti dovrebbero essere attentamente annotati e si dovrebbe eseguire una completa valutazione neurologica da parte di uno specialista. Non è raro per donne con sclerosi multipla presentarsi inizialmente al ginecologo o all'urologo in quanto affette da incontinenza con o senza altri deficit neurologici; un diabete mellito scompensato può essere la causa di frequenza urinaria dovuta a poliuria, mentre la glicosuria predispone ad infezioni del tratto urinario. Il diabete presente da lungo tempo può portare a vescica neurologica e a difficoltà minzionali; una breve valutazione dello stato mentale della paziente escluderà un'alterazione mentale o un importante disordine psichiatrico che potrebbero portare ad un inappropriato modello minzionale; pregressi disturbi urologici; traumi e chirurgia addomino-pelvica; patologie neurologiche (con coinvolgimento sia centrale sia periferico, compresi episodi cerebro-vascolari); assunzione di farmaci (ad es. diuretici, calcio-antagonisti, antidepressivi ecc.).
Anamnesi ostetrico-ginecologica Per concludere si dovrà raccogliere una dettagliata anamnesi ostetrico-ginecologica comprendente:
parità e modalità di parto (peso del neonato, parti distocici); sintomi da concomitanti patologie ginecologiche (fibromi e masse pelviche); disturbi da prolasso spesso associati ad incontinenza urinaria o difficoltà minzionali; stato ormonale della paziente.
Anamnesi sociale È una parte importante dell'anamnesi che purtroppo viene talvolta dimenticata dal clinico. L'impatto dell'incontinenza sul lavoro, la famiglia e la vita sessuale di una donna può essere drammatica. L'imbarazzo può portare la donna a relegarsi in casa e a non essere più in grado di coinvolgersi nel mondo del lavoro. L'incontinenza coitale può portare alla paura dell'atto sessuale e quindi a problemi coniugali. Anamnesi uroginecologica Nell'ambito dell'inquadramento dell'incontinenza urinaria, è importante ricordare che una buona percentuale di donne affette da questo problema non lo riferisce spontaneamente, e ne parla solo se interrogata specificamente (e ciò risulta ancora più vero nel caso in cui si tratti di incontinenza anale). Questa situazione non è da porre in relazione alla severità del sintomo, quanto all'imbarazzo nel rivelare una situazione molto intima che spesso mina l'autostima della donna. Di estrema importanza è quindi l'utilizzo di questionari prestrutturati che comprendano tutti i sintomi uroginecologici classificati secondo la più recente standardizzazione dell'International Continence Society (ICS) (1), come di seguito riportati. Sintomi della fase di riempimento vescicale:
frequenza diurna aumentata: è riferito come sintomo dalle pazienti che ritengono di urinare troppo spesso durante il giorno; nicturia: rappresenta la necessità di svegliarsi una o più volte a notte per il desiderio di urinare; urgenza: è l'improvviso desiderio di urinare che è difficile da posporre; incontinenza urinaria: è rappresentata da qualsiasi perdita di urina; incontinenza urinaria da sforzo: è la perdita involontaria di urina durante lo sforzo o
l'esercizio fisico, durante lo starnuto o la tosse; incontinenza urinaria da urgenza: è la perdita involontaria di urina accompagnata o immediatamente preceduta da urgenza; incontinenza urinaria mista: è la perdita involontaria di urina associata con l'urgenza e che si verifica anche in occasione dello sforzo o dell'esercizio fisico, dello starnuto e della tosse; enuresi: significa qualsiasi perdita involontaria di urina. Se questo termine viene usato per indicare l'incontinenza durante il sonno, dovrebbe sempre essere qualificata con l'aggettivo "notturna"; enuresi notturna: è la perdita di urina che avviene durante il sonno; incontinenza urinaria continua: è la continua perdita; altri tipi di incontinenza: potrebbero essere legati a specifiche situazioni, per es. durante i rapporti sessuali; sensazione vescicale: può essere definita, durante la raccolta anamnestica, da 5 categorie: 1) normale: la donna è consapevole del riempimento vescicale e si verifica una crescente sensazione di ripienezza fino al forte desiderio di urinare; 2) aumentata: la donna avverte un precoce e persistente desiderio di urinare; 3) ridotta: la donna è consapevole del riempimento vescicale ma non sente un definito desiderio di urinare; 4) assente: la donna non riferisce la sensazione di riempimento vescicale o il desiderio di urinare; 5) non-specifica: la donna non riferisce specifiche sensazioni vescicali ma può percepire il riempimento vescicale come una sensazione di pienezza addominale, sintomi vegetativi o spastici.
Sintomi della fase di svuotamento vescicale:
flusso lento: è riportato dalla paziente come una propria sensazione di ridotto flusso urinario, confrontato con quanto avveniva di solito in passato o quanto avviene ad altri soggetti; splitting or spraying: flusso di urina interrotto a spray; flusso intermittente (intermittenza): è il termine usato quando la paziente descrive un flusso urinario che si interrompe e riparte, in una o più occasioni, durante la minzione; esitazione: è il termine usato quando una paziente descrive difficoltà nell'iniziare la minzione con un ritardo nell'inizio del flusso una volta che si è pronti ad urinare; spinta: per urinare descrive lo sforzo muscolare usato o per iniziare o per mantenere o per aumentare il flusso urinario; sgocciolamento terminale: è il termine usato quando un individuo descrive una parte finale prolungata della minzione, quando il flusso diventa goccia a goccia.
Sintomi della fase postminzionale:
sensazione di incompleto svuotamento: è un termine autoesplicativo che sta ad indicare la sensazione di persistente pienezza vescicale dopo la minzione; gocciolamento postminzionale: è il termine usato per descrivere una perdita involontaria di urina immediatamente dopo la fine della minzione, di solito nel momento in cui una donna si alza dalla toilette.
Sintomi associati ai rapporti sessuali Dispareunia, secchezza vaginale e incontinenza, sono tra i sintomi che una donna può descrivere durante o subito dopo un rapporto sessuale. Questi sintomi dovrebbero essere descritti nella maniera più esaustiva possibile. Sintomi dolorosi del tratto genitale e delle basse vie urinarie Il dolore, il fastidio e la pressione fanno parte di uno spettro di sensazioni anomale riferite dalle pazienti. Il dolore produce un grandissimo impatto sulla paziente e può essere correlato al
riempimento o allo svuotamento vescicale, può essere riferito dopo la minzione o può essere continuo. Il dolore dovrebbe anche essere caratterizzato in base al tipo, la frequenza, la durata, fattori precipitanti e di sollievo e dalla localizzazione in base alla seguente classificazione:
dolore vescicale: è riferito in sede sovrapubica o retropubica, di solito aumenta con il riempimento vescicale e può persistere dopo la minzione; dolore uretrale: viene riferito ed indicato specificamente a partenza uretrale dalla paziente; dolore vulvare: è riferito a livello ed attorno ai genitali esterni; dolore vaginale: è riferito internamente, sopra l'introito; dolore perineale: è riferito nella donna tra la parte posteriore della forchetta e l'ano; dolore pelvico: è peggio definito rispetto alle condizioni precedenti, è chiaramente legato al ciclo minzionale o alla funzione intestinale e non è localizzato ad un singolo specifico organo pelvico.
Prolasso genitale Introduzione Nella pratica ginecologica quotidiana il riscontro di un prolasso genitale è una condizione estremamente comune, presente in circa il 50% di donne che hanno partorito per via vaginale. Di queste solo il 10-20% è sintomatico (2). Anamnesi Oltre ad un'anamnesi generale ostetrico-ginecologica come quella descritta in precedenza, dovrebbero essere poste domande specifiche inerenti a disordini del connettivo, pregressi interventi pelvici (3) (4), la presenza di sintomi urinari e/o anali e la funzione sessuale. La Tabella I mostra la prevalenza dei sintomi maggiormente associati al prolasso. Particolare attenzione si dovrebbe porre all'impatto di questa condizione sulla qualità di vita soprattutto per la scelta del trattamento. Il body mass index (kg/m2) dovrebbe sempre essere annotato. Esame Obiettivo Sulla base della raccolta anamnestica, si dovrà quindi personalizzare l'esame obiettivo, che dovrà quindi includere, oltre alla comune valutazione ginecologica, una valutazione generale relativa a:
stato mentale: valutazione della memoria (presente e passata), orientamento, comprensione, cultura generale; destrezza manuale e mobilità: per l'individuazione di pazienti autosufficienti; valutazione dei nervi cranici: ha scarsa rilevanza eccetto nei casi di lesione cerebrale nota o disturbo neurologico generalizzato (ad es. neurite ottica associata a nistagmo orizzontale o verticale in caso di sclerosi multipla); funzione cerebellare: test di coordinazione dito-naso e tallone-tibia controlaterale; valutazione della forza muscolare: valutazione del trofismo muscolare, fascicolazioni, spasticità e rigidità della muscolatura scheletrica. La forza muscolare viene valutata facendo compiere alla paziente movimenti contro una resistenza e opponendo resistenza durante l'esecuzione degli stessi; valutazione dei riflessi osteo-tendinei (ROT): la loro evocazione è indice di integrità dei segmenti spinali e delle funzioni sopra segmentali. Nelle lesioni sopranucleari si manifesta iperriflessia dei ROT. In pazienti con lesione della cauda equina e neuropatia periferica i ROT sono invece spesso diminuiti o completamente assenti. Lo sfregamento della pianta
del piede evoca normalmente una flessione plantare delle dita (segno di Babinski); una risposta anomala (segno di Babinski positivo) produce una dorsiflessione delle dita e indica un'interruzione del tratto cortico-spinale; valutazione della funzione sensitiva: le vie spinali da testare sono il tratto spino-talamico laterale (dolore, temperatura), le colonne posteriori (posizione, vibrazione, sfioramento), il tratto spino-talamico anteriore (sfregamento). Queste valutazioni devono essere riferite ad una mappa sensitiva di dermatomeri che sono aree cutanee innervate da un nervo sensitivo proveniente da una singola radice nervosa; valutazione dell'integrità del midollo sacrale: i segmenti da S2 a S4 contengono importanti neuroni coinvolti nel meccanismo della minzione.
Lo sfintere anale esterno (m. striato) è rappresentativo dell'integrità del pavimento pelvico; di questo si valuta il tono muscolare mediante esplorazione digitale e contrazione volontaria dello stesso. Una vescica o un'ampolla rettale replete possono interferire con il riflesso sfinterico, pur non influenzando il tono muscolare. La presenza di una contrazione volontaria indica integrità di innervazione del pavimento pelvico sia segmentale che sopra-sacrale. Un tono conservato in assenza di contrazione volontaria depone per una lesione soprasacrale, mentre una sua diminuzione indica un'anomalia dei nervi sacrali o periferici. I riflessi dello sfintere anale, del m. bulbocavernoso, della tosse, determinano una contrazione riflessa del pavimento pelvico. Toccando la cute lateralmente all'ano si evoca il riflesso anale, mentre la sollecitazione del clitoride evoca la contrazione dei muscoli bulbocavernoso e ischiocavernoso. L'evocazione di questi riflessi è indice di integrità midollare (segmenti lombari e sacrali). La valutazione ginecologica dovrebbe includere l'ispezione: particolare attenzione dovrebbe essere posta a segni di pregressi interventi (cicatrici addominali o perineali), trofismo cutaneo e mucoso, beanza vulvare, corpo perineale compromesso o evidente prolasso. È inoltre importante poter oggettivare la presenza di incontinenza urinaria facendo eseguire alla paziente, in condizioni di ripienezza vescicale, ripetuti colpi di tosse o la manovra di Valsalva (Fig. 1). In maniera più standardizzata questa manovra prende il nome di Stress Test, di cui sono state proposte diverse varianti (6)-(13). In caso di prolasso l'incontinenza urinaria da sforzo può essere mascherata fino al 59% dei casi (14); in questi casi è consigliabile eseguire uno Stress Test con un pessario o un tampone inserito in vagina (14) (15). Per facilitare l'ispezione dei genitali interni è utile l'utilizzo dello speculum di Sim, oppure la valva posteriore di uno speculum vaginale. La pinza di Baden può aiutare nell'identificare specifici difetti fasciali, che possono essere distinti anteriormente e posteriormente in trasversi, laterali e mediani, sebbene la loro rilevanza clinica sia ancora controversa (Fig. 2). Se la parte prolassata può essere ridotta completamente, sia anteriormente sia posteriormente, con una pinza di Baden orientata verso le spine ischiatiche, questo indica un difetto paravaginale (laterale). Un altro segno del difetto laterale è la persistenza delle pliche vaginali trasversali sotto Valsalva. Se si eleva solo da un lato il solco vaginale, è possibile differenziare i difetti paravaginali bilaterali e unilaterali. I difetti mediani (longitudinali) o superiori (trasversi) possono essere valutati in caso di persistenza di un descensus. Un prolasso dovrebbe sempre essere valutato sotto Valsalva massimale (Figg. 3-5). In queste condizioni è anche importante verificare il grado di discesa del perineo, che è considerato clinicamente rilevante quando maggiore di 4 cm, essendo associato a disordini di defecazione (16). Risulta ancora controverso se visitare una donna con prolasso in posizione litotomica o ortostatica possa portare a diverse conclusioni. Tuttavia è possibile riscontrare un maggior numero di prolassi quando si esamina la donna in posizione ortostatica (17)-(19). È utile a volte l'utilizzo di uno specchio per avere la conferma da parte della paziente che il prolasso riscontrato in quel momento corrisponda a quello che lamenta quotidianamente. Si dovrebbe inoltre valutare la presenza di disordini del connettivo e di ipermobilità articolare ( 20) (21). La porzione superiore della vagina è ancorata alla parete pelvica e al sacro. Il paracolpo e i legamenti uterosacrali sospendono questa parte della vagina. Una lesione a questo livello (I livello di De Lancey) produce un'eversione vaginale (e/o un culdocele). Questi difetti di solito avvengono in diverse combinazioni tra loro, causando una notevole diversità clinica dei problemi legati
nell'insieme al prolasso degli organi pelvici. Sistemi di classificazione del prolasso genitale Diversi sistemi di valutazione del prolasso sono stati proposti negli anni passati. Tuttavia, dopo oltre 20 anni di elaborazione e validazione (22)-(25), l'ICS ha finalmente adottato un documento di standardizzazione sulla quantificazione del prolasso degli organi pelvici (POPQ) (Fig. 6). Nel 1996 lo stesso documento è stato accettato anche dalla Society of Gynaecologic Surgeons e dall'American Urogynaecologic Society. Il Comitato dell'ICS ha disegnato un sistema di score quantitativo del sito specifico, identificando 6 punti definiti della parete vaginale (2 anteriori, 2 posteriori, 2 apicali), considerando la loro relazione con un punto fisso, l'imene, misurato in centimetri. Un valore numerico negativo viene assegnato se il sito misurato è localizzato sopra o prossimalmente al piatto imenale, un numero positivo viene assegnato al sito posto al di sotto o distalmente all'imene, essendo quest'ultimo lo zero di riferimento. Tre misure ulteriori vengono calcolate come valori assoluti: lo iato genitale, il corpo perineale e la lunghezza vaginale totale. Una griglia 3 x 3 viene di solito utilizzata per annotare le misurazioni (Fig. 6). Alla fine viene assegnato uno stage in relazione alla parte più protrudente del prolasso, come illustrato nella Tabella II. Il sistema di valutazione del prolasso dell'ICS è al momento quello raccomandabile per pubblicazioni scientifiche a causa della sua ottima riproducibilità. Tra gli altri sistemi di gradazione del prolasso è da ricordare l'Half Way System (26) - proposto nel 1968 da Baden and Walker. Con questo sistema il prolasso viene valutato durante manovra di Valsala massimale. Ciascun segmento vaginale che scende al di sotto dell'asse che idealmente divide in due porzioni uguali la vagina (e identificato come passante per le spine ischiatiche) viene considerato anormale. In questo sistema vengono considerati l'uretra, la vescica, la cervice (o la cupola vaginale), il cul-de-sac ed il retto. La Tabella III illustra le caratteristiche dei diversi gradi. Esame bimanuale: durante l'esame bimanuale è importante verificare la presenza di prolasso di uno specifico compartimento vaginale visualizzato all'ispezione, l'eventuale presenza di ristagno post-minzionale (specialmente in presenza di un cistocele di 3° o 4° grado, che hanno un'associazione urodinamicamente dimostrata con problemi ostruttivi nel 58% dei casi (27) e di diverticoli a livello uretrale). Inoltre si deve sempre valutare la mobilità della giunzione uretrovescicale, specialmente quando si pensa, per quella determinata paziente, ad un intervento chirurgico anti-incontinenza. A tal fine è possibile l'ausilio di un test, chiamato Q-tip. Questo consiste nell'introduzione, in posizione litotomica, di un Q-tip sterile di cotone nell'uretra a livello del collo vescicale; usando un goniometro ortopedico si misura l'angolo tra il Q-tip ed il piano orizzontale chiedendo alla paziente di spingere con forza. Il movimento rotatorio del collo vescicale attorno la sinfisi pubica causa lo spostamento del Q-tip in senso craniale. Normalmente questo angolo è tra 0°-15°; nei pazienti con incontinenza urodinamica da sforzo (USI) l'angolo aumenta di 20 gradi o più (range 50°-60°): questo fornisce l'evidenza oggettiva di un'ipermobilità del collo vescicale. Il test è considerato positivo quando l'angolo sotto sforzo è maggiore di 30° sul piano orizzontale. Non tutti i pazienti con Q-tip test positivo hanno USI; questo indica che il Q-tip test non è correlato in modo specifico alla diagnosi (28)-(36). L'esame bimanuale si esegue per determinare le dimensioni dei genitali interni: vagina, utero e ovaie. È anche importante riconoscere la presenza di un elongatio colli. Posteriormente, un esame digitale rettale è utile per verificare il coinvolgimento rettale (o del piccolo intestino in caso di enterocele abitato), il tono dello sfintere (sia a riposo che in contrazione) e verificare la presenza di fecalomi o masse rettali. È inoltre fondamentale nell'esame fisico considerare la funzione della muscolatura pelvica
mediante: 1) una valutazione della capacità della paziente di contrarre e rilassare selettivamente la muscolatura pelvica (ad esempio eseguendo una contrazione senza l'utilizzo dei muscoli addominali e viceversa); 2) la misurazione della forza della contrazione. Spesso le donne attivano erroneamente altri muscoli: è piuttosto comune verificare, durante una richiesta di contrazione della muscolatura pelvica, una concomitante contrazione dei muscoli addominali, dei glutei e degli adduttori delle cosce, oppure durante l'esecuzione di una manovra di Valsala, il trattenere il respiro o una respirazione forzata. Queste condizioni devono sempre essere annotate quando si valuta la funzionalità dei muscoli pelvici. Quest'ultima può essere quantitativamente definita dal tono a riposo e dalla forza di una contrazione volontaria o riflessa come forte, debole o assente o da un sistema di gradazione validato (come ad esempio quello di Oxford con una scala da 1 a 5). Una contrazione della muscolatura pelvica può essere valutata all'ispezione, dalla palpazione o mediante elettromiografia o perineometria. I fattori da considerare includono la forza, la durata della contrazione, la ripetibilità e la simmetria (37).
ANAMNESI E SEMEIOTICA CLINICA R. Milani • S. Salvatore • M. Soligo Divisione di Ginecologia Chirurgica, Azienda Ospedaliera "S. Gerardo" di Monza, Ospedale Bassini, Università di Milano Bicocca
Testo articolo Bibliografia Tabelle Tab. I Prevalenza in percentuale dei sintomi maggiormente associati a prolasso genitale (da Addison et al. 1988 (5)) Sintomi
Prevalenza (%)
Senso di protrusione
> 90
Pressione
> 90
Coito difficile
37
Difficoltà minzionali
33
Incontinenza urinaria
33
Difficoltà nel camminare
25
Difficoltà nella defecazione
25
Dolore pelvico
17
Frequenza urinaria/urgenza
14
Nausea
10
Dolore lombare
10
Irritazione mucosa
10
Fig. Dimostrazione della fuga di urina sotto colpo di tosse in corso di esame obiettivo
1
Fig. Strumenti per la valutazione clinica del prolasso genitale: valva di Sim e pinza di Baden
2
Fig. 3 Valutazione clinica del colpocele anteriore mediante valva di Sim e Pinza di Baden: difetto laterale
Fig. 4 Valutazione clinica del colpocele anteriore mediante valva di Sim e pinza di Baden: fornice anteriore annullato per la presenza di un difetto fasciale trasversale alto
Fig. 5 Valutazione clinica del colpocele posteriore mediante valva di Sim e Pinza di Baden: difetto fasciale mediano
Fig. 6 Sei siti vaginali (Aa, Ba, C, D, Bp, Ap), lo iato genitale (gh), il corpo perineale (pb), la lunghezza totale vaginale (tvl) vengono usati nel sistema di valutazione di prolasso dell’ICS
Tab. ICS Sistema di staging ordinale del prolasso degli organi pelvici Stage 0
Punti Aa, Ap, Ba, & Bp sono tutti a –3 cm e o il punto C o D sono a < – (X – 2) cm
Stage I
I criteri per lo Stage 0 non sono soddisfatti e la parte più protrudente del prolasso è < –1
Stage II
La parte più protrudente del prolasso è > –1 ma < –1
Stage III
La parte più protrudente del prolasso è > +1 cm ma < +(X – 2) cm
Stage IV
La parte più protrudente del prolasso è > +(X – 2) cm
II
X = lunghezza vaginale totale in centimetri negli Stage 0, III, e IV
Tab. Sistema di valutazione del prolasso Half Way System Grado 0
Non vi è parte protrudente al di sotto dell’asse che passa per le spine ischiatiche
Grado I
Parte protrudente tra l’asse che passa per le spine ischiatiche e l’imene
Grado II
Parte protrudente che arriva all’imene
III
Grado III
Parte protrudente a metà strada oltre l’imene
Grado IV
Parte protrudente completamente al di fuori dell’imene
SEMEIOTICA STRUMENTALE S. Schönauer • P.S. Anastasio • S. Epifani • M. Cocca • A. Sassanelli • M.M. Schönauer • G. Arcidiacono* Clinica Ostetrica e Ginecologica I, Università di Bari; * Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università di Pisa
Testo articolo Bibliografia Tabelle La consapevolezza che l'incontinenza urinaria può essere un evento interno alla sintomatologia del prolasso degli organi pelvici e, nel contempo, il risultato di differenti disfunzioni vescico-uretrali, dà ragione del fatto che molti esperti concordano sulla necessità, soprattutto prima di una qualunque terapia chirurgica, di aggiungere valutazioni strumentali alla diagnosi clinica per quanto accurata e sostenuta da test ancillari non invasivi. Nella Tabella I sono riportate le condizioni che, secondo le raccomandazioni finali della 2nd International Consultation on Incontinence (ICI) (1), richiedono un approfondimento diagnostico strumentale che consiste sostanzialmente in un'integrazione di differenti metodiche: indagini urodinamiche; imaging della pelvi e del basso tratto urinario con differenti modalità; esami endoscopici. Non vi è, però, una univoca identificazione delle indicazioni, dei tempi e delle modalità di questa integrazione. Scopo di questa trattazione è di valutare queste metodiche alla luce degli sviluppi della tecnologia e dei progressi nella comprensione della fisiopatologia del prolasso genitale e dell'incontinenza urinaria, privilegiando il valore clinico delle informazioni che da esse provengono. Indagini urodinamiche Con il termine urodinamica indichiamo "una valutazione funzionale del basso tratto urinario che ha il fine di fornire spiegazioni fisiopatologiche obiettive per sintomi e/o disfunzioni dell'apparato urinario basso ed alto" (2). Lo studio urodinamico, in realtà, comprende una serie di test che dovrebbero essere selezionati per rispondere a specifici quesiti e per esplorare specifiche funzioni. Nelle pazienti che presentano il sintomo o il segno di incontinenza, l'esame urodinamico si pone i seguenti obiettivi: identificare o escludere le cause di incontinenza e definirne il peso relativo nella singola paziente;
ottenere informazioni su altri aspetti della disfunzione del basso tratto urinario; predire l'esito di un determinato trattamento, ivi compresi gli effetti indesiderati.
Benché pochi dati provino che l'urodinamica riesca a raggiungere questi obiettivi, essa viene considerata da molti di importanza cruciale nella valutazione della donna incontinente (3). Ciò è spiegabile tenendo conto che l'urodinamica è la sola metodica che esplora e, quindi, può descrivere la funzione o la disfunzione; per questo rappresenta il punto di riferimento per le altre. D'altro lato per molte variabili urodinamiche è difficile definire valori chiari di normalità ed anormalità poiché il sintomo incontinenza è il risultato di uno spettro complesso di alterazioni anatomiche e funzionali che può produrre confondimento. In presenza di incontinenza le indagini più importanti sono quelle tese a dimostrare le condizioni in cui l'incontinenza stessa si verifica: la cistomanometria, l'urodinamica ambulatoriale, la misurazione delle pressioni uretrali e del leak point pressure, sono esami finalizzati a questo obiettivo. L'uroflussometria e lo studio pressione flusso (P/F), che studiano la fase di svuotamento vescicale, rappresentano esempi di indagini che contribuiscono a definire il quadro generale in cui il sintomo si verifica e quindi il trattamento più adeguato. Prima di valutare i singoli esami urodinamici è importante ricordare che la loro esecuzione deve rispettare alcune semplici regole:
l'osservatore deve essere consapevole che le misurazioni urodinamiche sono assai suscettibili ad artefatti e che è sua responsabilità identificarli ed eliminarli prontamente; la descrizione dei metodi utilizzati e delle condizioni di studio è essenziale. È fondamentale attenersi agli standard indicati dall'ICS per quanto riguarda l'esecuzione, la refertazione (4), la terminologia (5), seguendo le regole della cosiddetta good urodynamic practice (6); durante gli esami bisogna garantire alla paziente attenzione piena, rispetto della persona e una buona comunicazione, accertandosi di comprendere bene e di farsi ben comprendere.
Cistomanometria multicanale La centralità di questa indagine nel processo diagnostico è dimostrata dal fatto che l'ICS, abbandonando il termine incontinenza da sforzo genuina, definisce come incontinenza da sforzo urodinamica "la perdita involontaria di urine durante un aumento della pressione addominale, in assenza di contrazioni del detrusore, osservata nel corso di una cistomanometria di riempimento" (5). L'esame consiste nella misurazione continua della relazione pressione-volume all'interno della vescica, con l'obiettivo di definire la sensibilità, l'attività del detrusore, la compliance vescicale e la capacità vescicale. La metodica prevede la misurazione contemporanea della pressione vescicale e di quella addominale. La sottrazione elettronica di quest'ultima permette di calcolare la pressione detrusoriale, che è quella con l'importanza clinica maggiore. La registrazione contemporanea della pressione uretrale permetterà di eseguire una uretrocistomanometria. I trasduttori di pressione utilizzati in urodinamica sono di due tipi: esterni, collegati mediante tubi pieni di liquido alle sonde vescicali, rettali o vaginali oppure interni montati su un catetere (microtip). Entrambi funzionano con il meccanismo dello strain gauge. Il riempimento vescicale viene eseguito con fisiologica sterile a temperatura ambiente o corporea, attraverso una pompa peristaltica che rende costante il flusso di riempimento. Non viene più utilizzata, ed il suo uso non è raccomandato, la CO2 come mezzo di distensione vescicale. La velocità di infusione non viene più suddivisa in lenta, media e veloce, bensì in fisiologica o non fisiologica, a seconda che sia inferiore o superiore a quella massima prevista calcolata in base al
peso corporeo della paziente. Un catetere a doppio o triplo lume di Ch < 8 consente l'infusione e la registrazione delle pressioni vescicali o vescico-uretrali. La pressione addominale viene registrata con una sonda a palloncino posizionata nel retto o in vagina. Quando si utilizzano i trasduttori esterni questi vanno azzerati alla pressione atmosferica assicurandosi che siano posizionati all'altezza del punto convenzionale di riferimento che è il margine superiore della sinfisi pubica, prima di connetterli al catetere o alla sonda rettale. Il riempimento vescicale deve iniziare sempre a vescica vuota, con la paziente in posizione supina o, preferibilmente, seduta. Al fine di migliorare la sensibilità dell'esame (7), il soggetto viene istruito a comunicare le sue sensazioni senza inibire volontariamente la minzione, né cercare di urinare. Verranno definiti: la prima sensazione di riempimento vescicale, il primo desiderio minzionale (minzione dilazionabile in caso di necessità), il forte desiderio di mingere (assente il timore di perdere urina), l'urgenza (presenza di dolore o timore di perdere urina). Parte importante dell'esame è costituita dall'esecuzione di manovre provocative atte a dimostrare un'incontinenza da sforzo urodinamica o ad evidenziare l'iperattività del detrusore. Queste manovre consistono nello:
eseguire l'esame in ortostasi; eseguire colpi di tosse ripetuti; cambiare posizione; lavarsi le mani; sentire il rumore di acqua corrente; attendere seduta sulla comoda a vescica piena per 1 minuto.
Allo stato non sono determinati valori "normali" di volumi e pressioni per le diverse sensazioni, né per la capacità. Per gli adulti si considera normale una capacità vescicale di 300-600 ml. Il termine di vescica ipersensibile, frequentemente utilizzato, identifica la condizione per la quale il primo stimolo minzionale viene avvertito a meno di 100 ml di riempimento, persiste, aumenta e limita la capacità cistometrica a meno di 250 ml. L'attività del detrusore durante il riempimento può essere normale o iperattiva. L'iperattività detrusoriale consiste nell'osservazione della comparsa spontanea o provocata di contrazioni involontarie del detrusore. Non viene più definito un limite minimo di ampiezza delle contrazioni, in precedenza posto a 15 cm H2O, anche se va esclusa con grande attenzione la possibilità di artefatti in presenza di aumenti pressori contenuti entro 5 cm H2O. Si distinguono un'iperattività fasica, caratterizzata da contrazioni con una forma d'onda caratteristica ed un'iperattività terminale in cui è presente una contrazione singola, involontaria, non sopprimibile del detrusore che avviene alla capacità cistometrica ed esita in perdita di urina e svuotamento vescicale. La compliance descrive il rapporto tra variazioni del volume di riempimento vescicale e variazioni corrispondenti della pressione detrusoriale. L'ICS raccomanda di calcolarla tenendo conto di almeno 2 punti standard: 1) la pressione detrusoriale all'inizio del riempimento ed il volume corrispondente (di solito 0); 2) la pressione detrusoriale ed il corrispondente volume al raggiungimento della capacità cistometrica. Non è definito un valore soglia discriminante, ma sono stati suggeriti come limite inferiore della norma valori compresi tra 12,5-30 ml/cm H2O.
Nella Figura 1 sono mostrate le curve della pressione detrusoriale nel normale e nelle condizioni patologiche menzionate. L'incontinenza da sforzo urodinamica si dimostra, nel corso della cistomanometria, chiedendo alla paziente di tossire e di eseguire la manovra di Valsalva. A paziente seduta è utile usare il flussometro come registratore delle fughe di urina; mentre a paziente in ortostasi, è meglio utilizzare come rilevatori della perdita di urina dei fazzolettini di carta appoggiati al meato uretrale esterno. Tale accorgimento è utile alla diagnosi e può essere meno imbarazzante per la paziente rispetto all'ispezione visiva diretta. L'osservazione, invece, di fughe di urina determinate da contrazioni involontarie del detrusore, spontanee o provocate, verrà definita incontinenza da iperattività detrusoriale. Valutazione della funzione uretrale Un meccanismo di chiusura uretrale normale, durante il riempimento vescicale, mantiene una pressione intrauretrale superiore a quella intravescicale, anche in presenza di aumenti della pressione addominale. Questo meccanismo è definito incompetente quando permette il passaggio di urine in assenza di una contrazione detrusoriale. Diversamente dalla precedentemente definita incontinenza da sforzo urodinamica, sarà definita come incontinenza da rilasciamento uretrale quella dovuta ad una diminuzione della pressione uretrale in assenza di iperattività del detrusore o di aumenti della pressione addominale. Nel corso di una uretrocistomanometria questa inappropriato decremento della pressione uretrale.
condizione
verrà
riconosciuta
come
un
Profilo pressorio uretrale Il profilo pressorio uretrale è il grafico ottenuto misurando la pressione endoluminale per tutta la lunghezza dell'uretra. Questa misurazione può essere eseguita a riposo o sotto colpi di tosse. È necessaria la contemporanea misurazione della pressione vescicale onde sottrarla a quella uretrale e potere calcolare la pressione di chiusura. Le metodiche più comunemente usate per la misurazione sono i profili a perfusione e quelli ottenuti con microtrasduttore. I risultati delle differenti misurazioni sono diversi e non sono ben riproducibili. La perfusione avviene utilizzando una pompa pneumo-idraulica che garantisce un flusso costante evitando artefatti oppure collegando una pompa peristaltica ad una camera di smorzamento, infondendo a velocità costante (preferibilmente 2 ml/minuto) ed estraendo il catetere anch'esso a velocità costante (1 mm/secondo) per mezzo di un retrattore meccanico o elettrico cui è collegato. Il catetere deve avere Ch < 10 e 2-8 fori di perfusione laterali posti a 5 cm dalla punta. Ciò che in realtà il trasduttore misura è la pressione necessaria ad allontanare l'uretra, altrimenti chiusa, e permettere al liquido di perfusione di fuoriuscire dai fori laterali del catetere. Artefatti possono essere determinati modificando i parametri della velocità di infusione o della velocità di retrazione. È buona regola accertarsi della riproducibilità del dato ripetendo l'esame almeno 2 volte. Dopo il profilo statico si esegue un profilo dinamico, invitando la paziente a tossire ripetutamente durante la retrazione del catetere. Il profilo uretrale con trasduttori si avvale dell'uso di 2 trasduttori di pressione miniaturizzati e
montati su piccoli cateteri flessibili uno all'estremità e l'altro a 5 cm di distanza. Le modalità di esecuzione dell'esame ed i parametri registrati sono gli stessi del profilo a perfusione ma la pressione misurata è quella esercitata dalla parete uretrale sul trasduttore. A fronte di una maggiore accuratezza delle misurazioni, che consente di registrare le brusche variazioni pressorie del profilo dinamico, i trasduttori presentano, in maniera più marcata, artefatti rotazionali, legati al variabile orientamento del microtrasduttore lungo la circonferenza dell'uretra, che non sempre vengono evitati orientandoli lateralmente. Nella Figura 2 viene mostrato lo schema del profilo pressorio statico. I principali parametri valutati nel profilo uretrale sono:
pressione uretrale massima (PUM): è la massima pressione del profilo; si osserva di solito al terzo medio o nel segmento distale dell'uretra ed è esercitata sia dalla muscolatura liscia uretrale che dai muscoli striati del pavimento pelvico; essa tende a diminuire con l'avanzare dell'età (da valori di 70-95 cm H2O all'età di 30 anni si passa a valori di 55-70 cm H2O a 60 anni); pressione uretrale massima di chiusura (MUCP): è la massima differenza tra le pressioni uretrale e vescicale; per il mantenimento della continenza essa deve rimanere positiva. I valori normali nelle donne si aggirano intorno a 40-70 +/- 5%; lunghezza funzionale del profilo (LF): è la lunghezza dell'uretra in corrispondenza della quale la pressione uretrale supera quella vescicale; normalmente è di circa 3 cm; rapporto di trasmissione della pressione ("pressure trasmission ratio" o PTR); è il rapporto percentuale tra l'incremento pressorio uretrale sotto sforzo ed il simultaneo incremento pressorio endovescicale; normalmente dovrebbe essere prossimo al 100% (> 90%), ma non esistono precisi valori soglia; un difetto della trasmissione degli aumenti di pressione addominale all'uretra è indicativo di incompetenza uretrale.
Alcuni apparecchi di urodinamica sono dotati di software per calcolare automaticamente l'area di continenza ed il carico di lavoro che essa può sopportare. Il valore diagnostico del profilo uretrale resta limitato perché i suoi risultati a riposo e sotto sforzo sono fortemente influenzati da fattori biologici e metodologici tali che esso non riesce a discriminare tra loro gruppi diversi di pazienti. Esso sembrava poter avere un ruolo nell'identificazione di un gruppo di pazienti a maggior rischio di insuccesso chirurgico caratterizzato dalla cosiddetta "uretra a bassa pressione" (MUCP < 20 cm H2O), ma il risultato di studi retrospettivi e prospettici randomizzati (8) ha negato questa possibilità. È possibile che il test abbia un ruolo nella diagnosi di una condizione ancora scarsamente definita come l'insufficienza sfinterica intrinseca (ISD) dell'uretra. Mantenendo il catetere di misurazione fermo nel punto di massima chiusura uretrale, perfondendo e misurando in continuo la pressione per alcuni minuti si può dimostrare, in maniera diversa dalla uretrocistomanometria, l'esistenza di inappropriato rilasciamento uretrale. Leak point pressure Viene definito Abdominal Leak Point Pressure (ALPP) il valore assoluto minimo di pressione intravescicale al quale si verifica la perdita di urine, sotto sforzo, in assenza di una contrazione del detrusore. La tecnica originale, messa a punto da McGuire (9), prevedeva la misurazione dell'ALPP nel corso di un esame videourodinamico, su una paziente in ortostasi, avendo posizionato un catetere a triplo lume Ch10 che consentiva la misurazione della pressione uretrale nel punto di massima pressione uretrale e l'infusione di mezzo di contrasto. Ad un volume di 250 cc si invitava la paziente ad aumentare progressivamente e gradualmente la pressione intraddominale con il Valsalva, riservando i colpi di tosse ai casi di mancata evidenziazione dell'incontinenza. In
concomitanza con l'eventuale fuga di mezzo di contrasto, si registrava la pressione intravescicale più bassa che è l'ALPP. Il test può essere eseguito al di fuori di questo contesto, in un normale esame urodinamico. In questo caso è importante standardizzare tutti i parametri che possono influenzare la misurazione:
posizione della paziente; tipo e calibro del catetere vescicale (Ch 6-8); riempimento vescicale (200-300 ml); tipo di ALPP misurato (vescicale, rettale o vaginale); modalità di rilevazione delle fughe di urina.
Il test sarà riproducibile solo se il metodo di rilevazione sarà mantenuto costante. Per migliorare l'accuratezza dell'indagine è opportuno ripetere l'esame più di una volta. Il colorare la soluzione instillata in vescica può contribuire ad aumentare la sensibilità dell'esame. Talora quando neanche i colpi di tosse evidenziano l'incontinenza, ci si può adattare a rimuovere il catetere vescicale e misurare solo la pressione addominale. L'incapacità della paziente a produrre significativi aumenti di pressione, condiziona il valore diagnostico dell'esame. Nel senso opposto, valori falsamente elevati possono essere determinati da contrazioni volontarie dello sfintere striato dell'uretra o, come vedremo più oltre, da prolassi di grado ≥ 3. Nonostante queste limitazioni, l'ALPP è un test interessante perché offre una misura diretta del contributo dell'uretra alla continenza e permette un orientamento diagnostico funzionale. Utilizzando la metodologia proposta da McGuire, valori di ALPP > 90 cm H2O suggeriscono che l'incontinenza urinaria da sforzo sia correlata ad ipermobilità, mentre valori < 60 cm H2O suggeriscono una ISD; valori compresi tra 60-90 cm H2O rappresentano la zona grigia. Questi valori andranno validati nei laboratori di urodinamica in funzione del metodo di rilevazione scelto. Uroflussometria È un esame semplice, non invasivo e relativamente poco costoso teso ad evidenziare, o escludere, l'esistenza di un disturbo dello svuotamento ed inferirne, se possibile, la causa. Un trasduttore di flusso misura il volume di urina emesso nell'unità di tempo dalla paziente mentre minge seduta su di una comoda, opportunamente modificata, in condizioni di riservatezza e senza eccessive interferenze ambientali. Per la validità dell'esame è opportuno:
informare la donna della opportunità di "urinare come a casa"; evitare che sia preceduto da un cateterismo; avere un volume minto non inferiore a 150-200 ml e nel contempo evitare sovradistensioni vescicali; misurare accuratamente il residuo post-minzionale subito dopo la fine dell'uroflussometria.
I flussimetri moderni misurano e mostrano in automatico le variabili da considerare: flusso massimo (Q max), volume minto, tempo di minzione, flusso medio, tempo al flusso massimo. La lettura elettronica impone che si eliminino gli artefatti (fluttuazioni di durata < 2") prima di procedere alla valutazione. Da un punto di vista clinico i parametri significativi sono il flusso massimo e la valutazione della morfologia del tracciato. Nelle donne un flusso massimo < 15 ml/sec è considerato anomalo. La morfologia del tracciato può essere continua o intermittente. Nel grafico di un flusso continuo
possiamo riconoscere differenti morfologie che vengono esemplificate nella Figura 3: "a campana" (l'unica veramente normale), fluttuante con molteplici picchi, piatta a "plateau" o con fase discendente allungata. La misurazione del flusso massimo non è sufficiente a discriminare fra pazienti ostruite e non, ma in presenza di un volume minto e di un flusso massimo normali ed in assenza di un residuo post minzionale, è assai improbabile che vi sia una ostruzione infravescicale o una ipoattività del detrusore. Per contro un flusso massimo basso con o senza residuo può essere segno di un significativo problema di svuotamento: l'ostruzione cervico uretrale è rara nelle donne ma almeno il 30% delle donne ostruite presenta incontinenza e una inadeguata contrazione del detrusore può essere correlata a fenomeni di invecchiamento o ad un ampio cistocele. La coesistenza di un flusso massimo basso e di una morfologia del tracciato a "plateau" rinforza il sospetto di ostruzione, ma la diagnosi di certezza può essere posta solo con uno studio P/F. La dimostrazione dell'esistenza di un'ostruzione cervico-uretrale o di un'ipoattività detrusoriale può condizionare la proposta terapeutica chirurgica specie nelle donne incontinenti con prolasso severo. Studio pressione-flusso Consiste nella misurazione contemporanea contestualmente all'uroflussometria.
della
pressione
vescicale
ed
addominale
Al fine di limitare gli artefatti dipendenti dall'esame e dalle circostanze in cui si svolge è opportuno che:
le condizioni ambientali siano le stesse indicate per l'uroflussometria; siano disponibili precedenti tracciati flussimetrici liberi per valutare la rappresentatività del flusso attuale oggetto di esame; l'osservatore valuti personalmente i dati grezzi di flusso e di pressione, eliminando dalla valutazione artefatti e valori inaffidabili; si eseguano colpi di tosse all'inizio ed alla fine dell'esame per assicurarsi il posizionamento corretto dei rilevatori delle pressioni.
I parametri nello studio P/F di attuale interesse sono:
pressione detrusoriale massima (P det. max): il massimo valore di pressione detrusoriale durante la fase minzionale; pressione detrusoriale al flusso massimo (P det. Q max): pressione registrata al picco di flusso. Occorrerà tenere presente che la registrazione del flusso, a causa del tempo necessario all'urina per raggiungere il flussometro, è ritardata di circa 1" rispetto all'evento pressorio; gli indici uroflussimetrici già descritti ed in particolare il flusso massimo.
Alte pressioni detrusoriali associate a bassi valori di flusso suggeriscono un'ostruzione cervicouretrale, mentre basse pressioni e bassi flussi sono indicativi di un'ipoattività del detrusore. Nel sesso femminile il quadro è complicato dal fatto che 1/3 circa delle donne minge per rilasciamento dell'uretra e del piano perineale senza una significativa contrazione del detrusore. I nomogrammi sinora sviluppati per classificare l'ostruzione non sono validati nel sesso femminile. Sono recenti (10) i tentativi di definire urodinamicamente l'ostruzione utilizzando diversi valori di cut-off di diverse variabili. Il tentativo più recente di Blaivas e Groutz (11) prende in considerazione la pressione detrusoriale massima misurata durante lo studio P/F, ed il flusso max registrato nel corso di ripetute uroflussometrie libere. In tale studio le pazienti con pressione detrusoriale massima > 57 cm H2O sono classificate come severamente o moderatamente ostruite, quelle con valori < 57 cm H2O erano non ostruite o lievemente ostruite in funzione del
flusso max. Il nomogramma sviluppato da questi Autori è dimostrato nella Figura 4. Si discute sulla possibilità che la dimostrazione di uno svuotamento difettoso possa predire una prolungata ritenzione postoperatoria ed aiutarci nel counselling della paziente. Non è dimostrato che uno studio P/F sia più affidabile dell'uroflussometria nella definizione e predizione di questo rischio. Restano in attesa di conferma alcune evidenze che dimostrano un eccesso di fallimenti delle sling suburetrali nei soggetti che preoperatoriamente svuotano mediante Valsalva, mentre pressioni detrusoriali di apertura e di chiusura più alte si misurerebbero nelle donne in cui la chirurgia antiincontinenza ha successo rispetto a quelle in cui la chirurgia fallisce. Urodinamica ambulatoriale (Holter vescico uretrale) L'urodinamica ambulatoriale consiste nella registrazione, al di fuori dell'ambulatorio di urodinamica, delle pressioni vescicale ed addominale durante le normali attività quotidiane. Vengono utilizzati cateteri con microtrasduttori collegati ad un piccolo computer indossato dalla paziente che è libera di muoversi. Rispetto all'urodinamica convenzionale, l'urodinamica ambulatoriale ha il vantaggio di utilizzare un sistema di riempimento naturale e fisiologico della vescica e di riprodurre le attività e le situazioni in cui i soggetti sperimentano i propri sintomi. Le pazienti devono tenere un diario minzionale, di introduzione di liquidi, e segnalare eventi ritenuti significativi (minzione, urgenza, fuga di urina, ecc.) premendo alcuni marcatori posti sull'apparecchio. Gli aspetti tecnici della registrazione e il controllo di qualità dell'esame sono particolarmente importanti a causa dei possibili artefatti legati allo spostamento o alla "compressione" dei cateteri. Occorre fare riferimento alle raccomandazioni ICS (12). Si tratta di un esame di seconda istanza, da riservare a quelle persone i cui sintomi non sono evidenziati o spiegati dall'urodinamica convenzionale. In particolare, l'urodinamica ambulatoriale ha permesso di dimostrare in un 10-30% di pazienti con sintomi da iperattività vescicale, un quadro di iperattività detrusoriale non evidenziato dall'urodinamica convenzionale. Per contro se non si registra la pressione uretrale posizionando il trasduttore al punto di massima chiusura e/o non si utilizzano altri metodi per evidenziare la perdita di urina (sistemi termosensibili, conduttanza), la sensibilità diagnostica per l'incontinenza da sforzo può essere modesta. Video-eco-urodinamica Consiste nella combinazione di una cistomanometria di riempimento e di uno studio P/F con la visualizzazione radiologica del basso tratto urinario. A lungo considerata metodica di riferimento per la ricchezza di informazioni che riesce a fornire, viene oggi messa in discussione perché la sua stessa complessità è fonte di errore e di artefatti. Il suo uso va riservato a pazienti con patologia neurologica o con storie complesse di disfunzione minzionale e/o incontinenze recidive. L'ecourodinamica è possibile utilizzando la sonda rettale o quella introitale. I limiti consistono nella necessità che la sonda ecografica sia a contatto diretto con la paziente e sulla impossibilità di avere un'immagine globale della vescica e dell'uretra. Diagnosticare l'insufficienza sfinterica intrinseca L'incompetenza uretrale può essere determinata dall'ipermobilità, dall'ISD o, più probabilmente, da
una combinazione di queste due componenti. Non vi è accordo sul modo migliore per valutare l'ISD, la sua stessa definizione cambia a seconda del metodo utilizzato. La diagnosi strumentale viene posta:
sulla base di un profilo pressorio: MUCP < 30 cm H2O se si utilizzano i cateteri a perfusione; MUCP < 20 cm H2O se si utilizzano i cateteri microtip; sulla base di un ALPP < 60 cm H2O.
Come noto, il profilo pressorio uretrale non dà informazioni sulla mobilità quindi valuta una ISD a riposo e condivide con l'ALPP problemi di standardizzazione. L'interpretazione di quest'ultimo è fortemente empirica e la corrispondenza tra valori elevati di ALPP ed ipermobilità sembra artificiosa. La videourodinamica, basata sull'osservazione della mobilità (13), distingue:
tipo I: fuga di urina in presenza di lieve (< 2 cm) discesa della base vescicale rispetto al bordo superiore della sinfisi pubica; tipo II: fuga di urina in occasione dello sforzo con discesa della base vescicale > 2 cm; tipo IIa: solo durante lo sforzo; tipo IIb: anche a riposo; tipo III: collo vescicale ed uretra aperti a riposo con o senza discesa della base vescicale.
Tipo I e III rappresenterebbero gradi differenti di ISD. Allo stato, quindi, la diagnosi di incontinenza urinaria da ISD è clinica, basata sull'anamnesi (storia di pregressa chirurgia, gravità dei sintomi) e sull'esame obiettivo (perdita di urina a vescica "vuota", per aumenti di pressione bassissimi). Prolasso avanzato degli organi pelvici ed urodinamica In considerazione dell'elevata prevalenza di sintomi complessi, di età avanzata, di disturbi di svuotamento, di incontinenza da sforzo, della presenza di ISD sino al 50% dei casi (14), le donne con prolasso avanzato costituiscono un gruppo in cui lo studio funzionale è di grande interesse e contemporaneamente reso difficile dalla distorsione anatomica. Pazienti con alterazioni del supporto pelvico e descensus della parete anteriore possono presentare un'insufficiente stabilizzazione dell'uretra e conseguente incontinenza da sforzo. Il peggioramento del prolasso può produrre un miglioramento o la scomparsa dei sintomi attraverso la compressione e l'inginocchiamento dell'uretra. La correzione chirurgica del prolasso può determinare la ricomparsa dell'incontinenza da sforzo. Questa incontinenza da sforzo mascherata e la possibile iperattività detrusoriale associata, possono essere dimostrati da una cistomanometria e da uno Stress Test eseguiti dopo una riduzione del prolasso. Questa riduzione è ottenibile con differenti mezzi: pessario, tamponamento vaginale, valva di Sims. Usando quest'ultima è fondamentale evitare le trazioni verso il basso che determinerebbero una discesa iatrogena della base vescicale. Nelle stesse condizioni di prolasso ridotto, vanno eseguiti il profilo pressorio uretrale e la determinazione dell'ALPP per evitare che la distorsione anatomica e la dispersione delle forze determino misurazioni falsamente alte, impedendo il riconoscimento di una ISD. Uroflussometria e studio P/F vanno condotti in condizioni fisiologiche per definire la presenza ed il tipo di difetto di svuotamento. Non è chiaro se eseguire questi studi posizionando un pessario aiuti a predire gli effetti della
chirurgia. Imaging La visualizzazione, con mezzi e tecnologie differenti, della vescica, dell'uretra e dei rapporti tra loro e con gli organi e le strutture pelviche, nella misura in cui identifica specifiche alterazioni anatomiche, è stata sinora ritenuta utile ai fini della pianificazione terapeutica chirugicaricostruttiva e non a quelli della diagnosi di condizione. Le metodiche principali di imaging sono: la cistouretrografia minzionale, l'ecografia del basso tratto urinario e del pavimento pelvico e la RMN. Cistouretrografia minzionale Prevede l'introduzione lenta (20 ml/min) in vescica di mezzo di contrasto iodato, idrosolubile, evitando sovradistensioni vescicali (250-300 ml). La morfologia vescico-uretrale viene valutata sulla base di radiogrammi in proiezione latero-laterale a riposo, sotto sforzo, in ortostasi e, durante la minzione, con la paziente in più fisiologica posizione seduta. La Figura 5 mostra i diversi parametri che possono essere valutati quantitativamente:
angolo uretrovescicale posteriore: angolo tra asse uretrale e trigono; valori sino a 115° sono considerati normali; inclinazione uretrale: angolo formato tra asse uretrale ed un piano verticale; il valore di 45° discrimina tra I e II tipo di Green; angolo uretropelvico: angolo misurato, durante la minzione, tra una linea che unisce il meato uretrale interno al ginocchio dell'uretra e la linea che unisce la faccia posteriore della sinfisi pubica con il margine inferiore del forame otturatorio. Valori inferiori a 70° sono significativi di descensus vescicale; la distanza sinfisi-meato è la misurazione a riposo della distanza sull'orizzontale tra sinfisi e meato uretrale interno. Valori inferiori a 20 mm sono significativi per descensus.
I difetti di sospensione sono valutati secondo i criteri classici di Olesen (15):
difetto anteriore: scomparsa del labbro anteriore del collo vescicale e spostamento, consensuale, all'indietro del labbro posteriore. Sono differenziabili tre gradi del difetto a seconda che esso sia dimostrabile solo sotto sforzo (I grado), anche a riposo (II grado) o vi sia inversione della morfologia (III grado); difetto posteriore: labbro anteriore conservato, collo vescicale chiuso, spostamento verso il basso dell'intera area cervico-uretrale. Sono distinguibili tre gradi seguendo gli stessi criteri indicati per il difetto anteriore; trigonocele: sono coinvolti solo il trigono e la parte posteriore della vescica; difetti misti: combinazione dei quadri morfologici precedenti.
La Figura 6 mostra schematicamente gli aspetti fondamentali dei primi due difetti. Ecografia del basso tratto urinario e del pavimento pelvico La diffusione, disponibilità ed accessibilità della strumentazione, l'assenza di radiazioni ionizzanti e di mezzi di contrasto, la possibilità di standardizzare l'indagine e di avere informazioni su altri organi pelvici, nonché la dimostrata buona corrispondenza con i risultati della cistouretrografia, la stanno rendendo, sempre più, indagine morfologica di prima scelta. Ovviamente sonde ecografiche diverse daranno immagini differenti ed avranno indicazioni differenti. Dobbiamo distinguere una:
ecografia transvaginale: sonda da 5-7,5 MHz, interferisce con l'anatomia e la funzione dell'uretra e del collo vescicale; permette la valutazione dei muscoli elevatori dell'ano in tutta la loro estensione permettendo misure di ampiezza più precise rispetto all'approccio perineale, la misurazione dello spessore della parete vescicale, la ricostruzione tridimensionale dell'uretra; ecografia rettale: sonda da 5-7,5 MHz; invasiva, non influenza i parametri urodinamici in corso di cistometria; utile nella diagnosi di enterocele; ecografia perineale: sonda curva da 3,5-5 MHz poggiata sul perineo permette la valutazione del prolasso ed il suo grading. Possibile la distinzione tra enterocele e rettocele alto sulla base dell'individuazione di una linea ipoecogena che separa il retto dalla matassa enterica oppure dall'individuazione del piano di scorrimento sulle immagini in movimento (16); ecografia introitale: sonda settoriale vaginale da 5-7,5 MHz posizionata tra le piccole labbra. Valuta l'uretra, la base ed il collo vescicali nella loro relazione con la parete vaginale anteriore ed il tratto anteriore della pelvi.
L'indagine deve essere condotta in maniera standardizzata: riempimento vescicale di 300 ml, paziente in posizione supina e con le gambe lievemente abdotte: la posizione del collo vescicale si modifica di poco nelle diverse posizioni mentre la mobilità vescico-uretrale è massima, ovviamente, in ortostasi. La manovra provocativa preferita è quella di Valsalva perché, diversamente dalla tosse, non stimola contrazioni riflesse del pavimento pelvico. L'orientamento delle immagini consigliato prevede la riproduzione ponendo a destra le strutture ventrali ed in alto quelle craniali (17). I parametri qualitativi da valutare sono: presenza o assenza di funneling, mobilità assente o marcata dell'uretra, mobilità assente, verticale o rotazionale della base vescicale. I parametri quantitativi più importanti da misurare sono l'angolo uretrovescicale b e la posizione dell'orifizio uretrale interno. L'angolo uretrovescicale è quello fra l'asse uretrale ed almeno 1/3 della base vescicale vicina al collo vescicale. La determinazione della posizione dell'orifizio uretrale interno è possibile con due tecniche. La tecnica di Schaer (18) è basata sulla visualizzazione dell'osso pubico e sulla definizione di una linea di riferimento: la linea centrale della sinfisi: asse x. Perpendicolarmente a questo, al margine inferiore della sinfisi, si costruisce l'asse y. Dx è la distanza tra l'asse y ed il collo vescicale, Dy la distanza tra il collo e l'asse x. La tecnica di Creighton (19) misura un solo angolo ed una sola distanza: la distanza tra collo vescicale e bordo inferiore della sinfisi pubica e l'angolo tra questa linea e la linea centrale della sinfisi. Le due tecniche sono dimostrate nella Figura 7. Lo spessore dello sfintere striato si misura sulle sezioni traverse, mentre il volume dello sfintere uretrale è calcolato utilizzando una tecnica di sezioni progressive in scansioni trasversali. Usando la sonda transvaginale è abbastanza semplice, a vescica vuota (= 50 ml), misurare lo spessore della parete vescicale, perpendicolarmente alla mucosa, a livello delle sezioni più spesse del trigono, della cupola e della parete anteriore. Khullar et al. (20) hanno dimostrato che la misurazione dello spessore medio della parete vescicale è in grado di discriminare le donne con incontinenza da sforzo da quelle con iperattività del detrusore. Queste ultime hanno uno spessore medio della parete costantemente > 5 mm. Per contro la presenza di uno spessore < 3-5 mm ha un elevatissimo potere predittivo per l'assenza di iperattività detrusoriale (21).
Questa associazione, in donne documentatamente senza ostruzione, ha suscitato grande interesse e studi di conferma. Lo stesso gruppo (22) ha dimostrato, con l'imaging sonografico tridimensionale, che il volume dello sfintere striato dell'uretra delle donne con incontinenza da sforzo è significativamente inferiore a quello delle donne continenti. Se questi studi saranno confermati e si dimostreranno riproducibili anche al di fuori del contesto di ricerca clinica, verrà superata la convinzione che le indagini morfologiche non servono a classificare l'incontinenza ma solo ad aiutare a comprendere l'associazione tra anatomia e funzione. Considerando l'importanza che le più recenti ricerche fisiopatologiche (23) stanno dando alla relazione tra uretra e mobilità vaginale, non sfuggirà di comprendere il possibile ruolo centrale della metodica sonografica in un prossimo futuro. RMN La capacità della RMN di fornire informazioni dettagliate e multiplanari su tutti gli organi e strutture presenti nella pelvi, permette una valutazione estremamente accurata delle alterazioni del pavimento pelvico senza uso di radiazioni ionizzanti, mezzi di contrasto e senza necessità di preparazione intestinale. Le immagini possono essere acquisite mediante una bobina tradizionale o vaginale. Lo sviluppo della tecnologia ultra rapida di acquisizione delle immagini permette di avere una valutazione completa e dinamica in 10-15 minuti. La RMN statica e dinamica (24) (25), insieme alle ricostruzioni tridimensionali, ha migliorato la conoscenza dell'anatomia:
l'ampiezza media dello iato degli elevatori, misurato al livello del legamento uretrale traverso, nella popolazione femminile sana è di circa 4 cm ed è un dato abbastanza costante (26); nelle donne continenti il piatto degli elevatori decorre parallelo alla linea pubo-coccigea; in volontarie sane la base vescicale, a riposo, è posta al di sopra della linea pubo-coccigea lungo la quale, invece, è posta la giunzione anorettale; durante la contrazione dei muscoli pelvici si ha un movimento verso l'alto variabile da 1 a 21 mm che, sorprendentemente, coinvolge anche il coccige.
Al fine di utilizzare la capacita di valutazione globale, caratteristica della RMN, è stata proposta una classificazione del prolasso avendo come punto fisso di riferimento la linea pubococcigea (PCL). L'ampiezza dello iato degli elevatori è misurata come distanza tra pube e muscolo pubococcigeo (linea H). Lo iato è formato dal muscolo pubo rettale che circonda uretra vagina e retto. La discesa del piatto degli elevatori rispetto alla PCL descrive il descensus del pavimento pelvico (linea M). Nella popolazione normale, sotto sforzo, lo iato misura meno di 6 cm, la linea M non scende oltre 2 cm al di sotto della PCL e tutti gli organi sono al disopra della linea H (27). La mancanza di un'ampia disponibilità della RMN dinamica in ortostasi, impedisce di valutare bene l'effetto della forza di gravità (28) (29). Da un punto di vista clinico il contributo principale della RMN è costituito dalla diagnosi dell'enterocele, la cui diagnosi in presenza di altri significativi prolassi può essere mancata, e la cui diagnosi differenziale da un rettocele alto non essere immediata. Questa metodica di grande fascino non è, allo stato, proponibile per l'uso clinico routinario. Esami endoscopici
Nel passato, molti Autori hanno sostenuto l'uso routinario dell'uretrocistoscopia nella valutazione dell'incontinenza urinaria, ritenendo possibile derivare dall'osservazione del collo vescicale e dell'uretra, a riposo e sotto sforzo, utili informazioni sulla funzione (30). Si riteneva possibile individuare aspetti tipici dell'incontinenza da sforzo pura, dell'ISD ed anche dell'iperattività detrusoriale (31). La sensibilità di questa metodica si è dimostrata insufficiente rispetto alla valutazione radiologica ed urodinamica. Mundy (32) ha escluso il valore diagnostico dell'endoscopia in pazienti con dimostrata iperattività del detrusore, riservando una qualche utilità nell'approfondimento diagnostico dell'aumentata sensibilità vescicale. Attualmente, quindi, le indicazioni ed un esame endoscopico nel work up diagnostico sono limitati a:
valutazione di casi di incontinenza da urgenza con coesistente microematuria al fine di escludere patologie concomitanti quali cistite interstiziale e neoplasie vescicali; nella valutazione dell'incontinenza recidiva o di casi in cui si sospetti una componente iatrogena nella genesi della condizione in esame; nella valutazione delle fistole vescico-vaginali e dell'incontinenza urinaria extrauretrale.
Conclusioni Secondo alcuni Autori studi semplici e poco invasivi hanno la stessa sensibilità e specificità di quelli urodinamici complessi nel dimostrare l'incontinenza da sforzo urodinamica e quindi sarebbero vantaggiosi in termini di costo (33). Diokno et al. (34) hanno dimostrato che il sintomo incontinenza urinaria da sforzo quando è dominante, in assenza di precedente chirurgia, di residuo post minzionale, di prolasso di grado 4, in presenza di uno Stress Test positivo e di ipermobilità uretrale, ha una specificità del 100% che rende superflua qualunque ulteriore valutazione. In realtà in altre esperienze tale specificità scende all'80% ed in ogni caso queste pazienti con incontinenza da sforzo isolata rappresentano meno del 10% delle donne che chiedono una valutazione specialistica. Nella valutazione dei costi, poi, non è stato valutato il rapporto costo/benefici in relazione agli esiti della terapia che, in definitiva, sono, insieme alla soddisfazione della paziente, l'unico parametro rilevante. Quindi nella grande maggioranza delle pazienti e prima della chirurgia, resta l'indicazione ad utilizzare le metodiche descritte nell'integrazione tra loro più opportuna per ogni singolo caso.
SEMEIOTICA STRUMENTALE S. Schönauer • P.S. Anastasio • S. Epifani • M. Cocca • A. Sassanelli • M.M. Schönauer • G. Arcidiacono*
Clinica Ostetrica e Ginecologica I, Università di Bari; * Clinica Ostetrica e Ginecologica, Università di Pisa
Testo articolo Bibliografia Tabelle Tab. I Raccomandazioni finali della 2nd International Consultation on Incontinence: condizioni la cui presenza rappresenta un’indicazione all’esecuzione di indagini diagnostiche strumentali
Incontinenza urinaria recidiva o persistente dopo chirurgia Incontinenza urinaria associata a: o 1. dolore o 2. ematuria o 3. infezioni recidivanti o 4. chirurgia pelvica radicale o 5. radioterapia sulla pelvi Comorbidità neurologiche accertate o presunte Prolasso genitale significativo Residuo postminzionale significativo Sospetto di fistola Fallimento dei trattamenti conservativi comportamentali, riabilitativi e/o farmacologici Massa pelvica
Fig. 1 Curve della pressione detrusoriale in caso di: a) condizione normale; b) bassa compliance; c) iperattività fasica inibita; d) iperattività terminale incoercibile
Fig. Parametri del profilo pressorio uretrale statico
2
Fig. Tracciati uroflussimetrici: a) normale; b) "a plateau"; c) fluttuante
3
Fig. Definizione urodinamica di ostruzione nel sesso femminile secondo Blaivas-Groutz, mod. 11
4
Fig. Definizione dei parametri quantitativi misurabili in una cistografia minzionale
5
Fig. Difetti di sospensione del collo vescicale. Schematizzazione dei principali aspetti radiologici
6
Fig. 7 Definizione sonografica della posizione del meato uretrale interno sec. Schaer (I) e sec. Creighton (II)
LA TERAPIA CHIRURIGICA DELL'INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO A. Ferrari • R. Vigano • S. Filippis • L. Gandini • M. Carnelli • D. Bornaghi
Cattedra Universitaria di Ostetricia e Ginecologia, Ospedale "San Raffaele", Milano
Testo articolo Bibliografia Introduzione L'incontinenza urinaria da sforzo è definita come una perdita involontaria di urina in concomitanza con un aumento della pressione endoaddominale, in assenza di una contrazione detrusoriale. Negli Stati Uniti d'America si stima una prevalenza di tale patologia nella popolazione femminile pari al 50%, con costi annui di circa 10 miliardi di dollari. L'eziopatogenesi dell'incontinenza urinaria da sforzo può essere ricondotta sia ad un'ipermobilità dell'uretra, sia ad un deficit sfinterico intrinseco uretrale; i due difetti possono presentarsi separatamente o coesistere nella stessa paziente. La terapia chirurgica dell'incontinenza urinaria da sforzo ha come scopo la creazione di un supporto a livello del collo vescicale, in modo da eliminare l'ipermobilità uretrale ed aumentare le resistenze a livello dell'uretra media. Sono descritti in letteratura oltre 200 diversi interventi chirurgici per la correzione dell'incontinenza urinaria da sforzo, con percentuali di successo riportate tra il 40 ed il 95%, a dimostrazione del fatto che la procedura chirurgica "ideale" deve essere ancora messa a punto. Gli interventi chirurgici si possono dividere in tre categorie: chirurgia vaginale, uretropessi retropubica, posizionamento di sling sottouretrali. Solo in casi selezionati possono essere indicate altre tecniche quali l'infiltrazione periuretrale di sostanze eterologhe o l'utilizzo di sfinteri artificiali. Vaginal repair: colporraffia anteriore e plicatura periuretrale secondo Kelly e Nichols L'approccio vaginale alla correzione dell'incontinenza urinaria da sforzo ha il vantaggio di essere tecnicamente più semplice dell'approccio retropubico, con tempi di ospedalizzazione più brevi e convalescenza più rapida. La tecnica proposta da Nichols e Kelly prevede l'esecuzione di una colpotomia longitudinale anteriore; la vescica viene quindi scollata dalla parete vaginale anteriore in direzione mediolaterale, isolando la fascia vescicovaginale o i suoi residui; i margini mediali della fascia vengono poi suturati sulla linea mediana con punti staccati. Tale plicatura dei tessuti di supporto sottouretrali e quindi dei legamenti pubouretrali, permette l'elevazione del collo vescicale e la riduzione dell'angolo di inclinazione dell'asse uretrale, fino a creare un angolo posteriore tra uretra e vescica di circa 90°. La mucosa vaginale viene poi suturata con punti staccati, mentre, se è contemporaneamente presente un cistocele, si possono recentare i margini vaginali ridondanti riducendo il prolasso. Nella stessa seduta chirurgica è inoltre possibile praticare la correzione del rettocele eventualmente presente o eseguire la colpoisterectomia. La gestione postoperatoria prevede la rimozione del catetere vescicale, posizionato durante l'intervento chirurgico, in terza o quarta giornata; la paziente viene poi invitata a mingere spontaneamente, con misurazione del residuo postminzionale. Per quanto concerne gli esiti, i risultati a breve termine sono sovrapponibili a quelli della colposospensione, mentre a medio e a lungo termine le percentuali di successo decrescono. Varie casistiche riportano percentuali di successo dopo 5 anni pari all'84, 55, 37% (Peters 1980, Van Geelen 1988, Bergman 1995) (1). Le complicanze sono solitamente minime: raramente si verificano lesioni vescicali o uretrali intraoperatorie; il fallimento della correzione può essere legato ad un'insufficiente dissezione della fascia vescicovaginale; la ritenzione urinaria postoperatoria è infrequente e legata al contrario ad un'ipercorrezione. Visti i risultati non ottimali nei follow-up a lungo termine e la bassissima percentuale di complicanze, la colporrafia anteriore viene indicata come la più idonea nelle pazienti con incontinenza urinaria di grado moderato, soprattutto in concomitanza con un cistocele sintomatico e nelle pazienti con elevato rischio operatorio.
Colposospensione secondo Burch La colposospensione secondo Burch è stata originariamente descritta dallo stesso Autore nel 1961. La tecnica prevede l'elevazione del collo vescicale e la sutura del tessuto paravaginale al legamento ileopettineo di Cooper. La paziente ideale per questo tipo di intervento presenta un'incontinenza urinaria dovuta ad ipermobilità della giunzione uretrovescicale, con funzione intrinseca dell'uretra conservata. La sospensione del tessuto paravaginale al legamento ileopettineo stabilizza infatti l'uretra e ricolloca la giunzione uretrovescicale in sede retropubica, in modo che l'uretra stessa venga compressa dalla base vescicale contro la superficie posteriore della sinfisi pubica durante gli aumenti della pressione endoaddominale. È quindi evidente come la presenza di una giunzione uretrovescicale fissa rappresenti una controindicazione all'intervento, dato che la colposospensione non potrà determinare un'ulteriore elevazione del collo vescicale (2). La colposospensione secondo Burch si esegue attraverso un accesso laparotomico mediante un'incisione trasversale sovrapubica o longitudinale mediana, in modo da accedere allo spazio del Retzius, fino ad isolare i legamenti ileopettinei; vengono quindi applicate suture con filo non riassorbibile sulla parete vaginale anteriore, parallelamente all'uretra, a livello della giunzione e dell'uretra prossimale; i capi liberi delle suture vengono poi ancorati al legamento ileopettineo ipsilaterale. La più frequente complicanza intraoperatoria è data dal sanguinamento del plesso venoso retropubico: di solito viene controllato tramite compressione, elettrocoagulazione o posizionamento di suture emostatiche; in caso di emostatasi difficoltosa è consigliabile posizionare in sede un drenaggio da rimuovere dopo circa 48-72 ore. Il catetere vescicale viene lasciato normalmente in sede per 48 ore, dopodiché la paziente viene invitata a mingere spontaneamente. La colposospensione secondo Burch è l'intervento di riferimento per la cura dell'incontinenza urinaria da sforzo. Visti gli ottimi esiti anche nei follow-up a lungo termine (3): attualmente la Tension Free Vaginal Tape (TVT) sembra l'unica alternativa in grado di insidiare il primato della Burch. Le percentuali di cura oggettive si aggirano attorno al 90% nelle pazienti con incontinenza da sforzo pura, mentre nei casi di incontinenza mista la percentuale di successo scende al 70%; i follow-up a lungo termine indicano un mantenimento della continenza a 12 anni dall'intervento nel 70% dei casi. Per quanto concerne le complicanze, i disturbi di svuotamento si verificano nel 10% dei casi (227%) e sono secondari ad una ipercorrezione della giunzione uretro-vescicale; solamente nell'1% dei casi può instaurarsi una ritenzione urinaria cronica di difficile gestione. Un'instabilità detrusoriale de novo, anch'essa conseguente ad un'ostruzione uretrale metachirurgica, può manifestarsi nel 17% (0-20%) dei casi (4), tuttavia solo la metà di queste pazienti risulta sintomatica. La modificazione dell'asse vaginale dovuta alla colposospensione può predisporre allo sviluppo di un prolasso vaginale, più precisamente di un entero-rettocele che si manifesta nel 5-10% delle pazienti con follow-up oltre i 5 anni. Interventi laparoscopici Il primo intervento laparoscopico per il trattamento chirurgico dell'incontinenza urinaria da sforzo (IUS) è stato proposto nel 1991 da Vancaille ed in seguito diversi Autori hanno messo a punto ed utilizzato differenti tecniche di sospensione del collo vescicale. Il classico intervento laparoscopico per la correzione dell'incontinenza da sforzo è la colposospensione secondo Burch (5). La colposospensione secondo Burch laparoscopica si propone come un intervento minimamente invasivo, con un ridotto traumatismo tissutale e tempi di ospedalizzazione più brevi. La colposospensione può essere eseguita attraverso un approccio transperitoneale o extraperitoneale, anche in relazione all'eventuale presenza di patologie endoaddominali; peraltro non sono attualmente disponibili studi che confrontino le due tecniche. L'approccio extraperitoneale risulta preferibile in quanto di più facile esecuzione, con un'ottima esposizione del Retzius. Vengono
utilizzati tre accessi, in modo da identificare bilateralmente le strutture anatomiche di riferimento: il legamento di Cooper, il canale otturatorio col nervo omonimo, la white line, le pareti vaginali laterali e la giunzione vescicouretrale. Lateralizzando la vescica si isola la parete vaginale a livello della giunzione vescicouretrale e si esegue la colposospensione utilizzando fili di sutura non riassorbibili, oppure interponendo una mesh di materiale eterologo. Dopo aver posizionato i punti di sospensione, può essere indicato verificare l'integrità delle pareti della vescica mediante cistoscopia. Per quanto riguarda gli esiti chirurgici, i pochi dati presenti in letteratura appaiono spesso discordanti e le casistiche riportate sono quasi sempre numericamente poco significative. La colposospensione laparoscopica sembra avere un rischio di fallimento maggiore di quasi il 10% rispetto al classico approccio laparotomico in follow-up superiore ai 18 mesi. Secondo diversi Autori ciò può dipendere dal fatto che, utilizzando una tecnica minimamente invasiva, la mobilizzazione precoce della paziente può causare la sollecitazione dei punti di sutura con compromissione del processo di cicatrizzazione. Sembra peraltro che l'utilizzo di un maggior numero di punti di sutura migliori l'outcome chirurgico (6). Ciò che si evince dalla letteratura è che, mentre nei follow-up a breve termine la percentuale di successo utilizzando la laparoscopia può essere sovrapponibile a quella dell'approccio laparotomico, nei controlli a lungo termine questa decresce più velocemente per la laparoscopia: in follow-up superiori a 30 mesi la percentuale di cura risulta dell'80% per la Burch laparotomica e del 60% per l'approccio laparoscopico (7). In generale i vantaggi dell'approccio laparoscopico rispetto alla Burch laparotomica sembrano essere un'ospedalizzazione più breve, un minor dolore postoperatorio, una minore perdita ematica intraoperatoria ed una necessità di cateterizzazione vescicale postoperatoria più breve (8). Dai dati presenti in letteratura non si evidenzia una maggior incidenza di urgency postoperatoria, disturbi di svuotamento o comparsa di instabilità detrusoriale de novo. L'approccio laparoscopico non ha ancora un ruolo ben definito nel trattamento dell'incontinenza urinaria da sforzo; sarebbero necessari studi randomizzati più ampi con follow-up a lungo temine ed una maggior uniformità di metodi e tecniche per consentire un più significativo confronto. Tecniche di sling sottouretrali Il concetto di sling utilizzata come supporto uretrale è stato introdotto nel 1907 da Von Giordano. Negli anni più recenti le sling sottouretrali hanno consentito di ottenere i migliori risultati chirurgici nella cura dell'incontinenza urinaria da sforzo, paragonabili a quelli della colposospensione secondo Burch. Classicamente le sling sono state utilizzate come terapia dell'incontinenza urinaria di tipo III, associata ad un deficit sfinterico intrinseco, più frequente nelle pazienti anziane o con incontinenza urinaria recidiva dopo chirurgia correttiva. Queste donne presentano all'esame urodinamico una bassa pressione di chiusura uretrale (< 20 cm d'acqua), un'uretra quasi fissa e sono a maggior rischio di recidiva dopo chirurgia classica. Questa tipologia di pazienti si differenzia da quella candidata alla colposospensione secondo Burch, che presenta invece un'ipermobilità uretrale senza deficit sfinterico intrinseco; attualmente, la distinzione tra queste due classi di pazienti e la relativa differente indicazione chirurgica viene messa in discussione dall'avvento della TVT, in quanto entrambe le tipologie di difetto sembrano poter beneficiare della tecnica Tension Free, con esiti sovrapponibili. Lo scopo della sling sottouretrale è quello di elevare il collo vescicale, sostenere e comprimere la base della vescica aumentando le resistenze al flusso urinario. Nel corso degli anni sono stati proposti ed utilizzati diversi materiali, autologhi (fascia dei muscoli retti, fascia lata, legamento rotondo, dura madre, parete vaginale), eterologhi (derma porcino, fascia lata) e sintetici (Mersilene, Gore-Tex, Marlex). Questa ampia varietà di materiali utilizzati, associata alle possibili varianti tecniche, produce altrettanti differenti risultati in termini di successi e di complicanze. I materiali autologhi in generale hanno il vantaggio di non causare rigetto e presentano una bassa incidenza di erosioni uretrali; sono però associati ad un maggior dolore postoperatorio e a tempi chirurgici più lunghi, legati alla necessità di isolare e preparare la sling. L'utilizzo di sling ottenute da donatore può invece causare reazioni di rigetto; timori sono inoltre stati espressi in merito alla
trasmissione di agenti infettivi. I materiali sintetici sembrano invece garantire una maggior durata nel tempo, sono sterili, biocompatibili, non cancerogeni e privi di biocomponenti, tuttavia determinano secondo la letteratura una maggiore incidenza di infezioni, erosioni o fenomeni di estrusione della benderella attraverso la mucosa vaginale (9). Sono state descritte diverse varianti chirurgiche di sling pubovaginale. Un approccio totalmente transaddominale prevede l'esecuzione di un'incisione sovrapubica, con scollamento dello spazio del Retzius e creazione di un tunnel sottouretrale attraverso cui viene fatta passare la sling: questa tecnica presenta lo svantaggio di poter causare danni vescicali o uretrali ed è quindi stata abbandonata. L'approccio più comunemente utilizzato prevede l'utilizzo della via addomino-vaginale, che permette la visualizzazione diretta del collo vescicale attraverso l'incisione vaginale, mentre l'incisione addominale consente l'accesso allo spazio del Retzius. Tramite l'incisione vaginale vengono esposti il collo vescicale e l'uretra prossimale e, superato il diaframma urogenitale, si giunge allo spazio del Retzius. Introducendo un filo pilota dal basso verso l'alto, a cui viene fissata la sling, la benderella viene trascinata in sede sottouretrale: in questo modo si ottiene l'elevazione della giunzione uretrovescicale. Il controllo cistoscopico eseguito in questa fase assicura l'integrità della mucosa vescicale. I due apici della sling possono essere fissati in altro modo alla fascia dei retti, evitando di esercitare una trazione eccessiva. Una particolare variante di questa tecnica è la cosiddetta "sling vaginale triangolare" (10), in cui si utilizza un'amaca triangolare di parete vaginale per la sospensione uretrovescicale; il lembo di parete vaginale viene poi ricoperto suturando la mucosa residua della parete vaginale anteriore. Un'altra alternativa tecnica prevede la sospensione della sling tramite ancorette metalliche inserite nella faccia posteriore dell'osso pubico, cosiddetta "bone anchor sling". Le percentuali di successo delle sling pubovaginali sono generalmente buone, ma dipendono dal materiale e dalla variante chirurgica utilizzata. Le casistiche più favorevoli riportano una percentuale di cura pari al 93% con follow-up medio di 22 mesi, utilizzando la fascia dei retti; altri Autori riferiscono successi tra l'82 ed il 95% sempre con follow-up a lungo termine. Le casistiche relative a sling di materiale sintetico riportano invece percentuali di successo tra il 71 e l'88%. Le percentuali di cura per la sling vaginale triangolare è pari al 70-100% con follow-up ad 1 anno. Accanto a questi risultati favorevoli, esistono anche studi che riportano recidive di incontinenza urinaria dopo sling pari al 37%, attribuendo tale fallimento alla frammentazione della fascia cadaverica utilizzata. La principale complicanza associata all'intervento di sling pubovaginale è certamente la ritenzione urinaria: la sua incidenza sembra essere superiore dell'80% se confrontata con gli altri interventi anti-incontinenza (11), ed è dovuta ad un'eccessiva tensione esercitata sulla sling. Dal 2 al 12% delle pazienti sottoposte ad intervento di sling sottouretrale necessita di cateterismo per oltre 4 settimane dall'intervento. Nella maggior parte dei casi, comunque, il problema è destinato a risolversi, mentre nel 3% dei casi è necessaria la correzione chirurgica. Un'altra complicanza piuttosto frequente è l'instabilità detrusoriale de novo, che si manifesta nel 20% dei casi: essa viene di solito gestita in maniera soddisfacente con un trattamento medico conservativo. È tuttavia importante sottolineare come, nei due terzi delle pazienti affette da urge incontinence preoperatoria, si possa ottenere la risoluzione dei sintomi dopo l'intervento di sling sottouretrale. L'erosione vaginale o uretrale della sling si manifesta più spesso con l'utilizzo di materiale sintetico, con un'incidenza riportata fino al 23%. Essa sembra dipendere da una sovrainfezione secondaria della sling o dalla sua eccessiva tensione. I sintomi riportati sono dolore vaginale o uretrale, sanguinamento o abbondanti secrezioni, infezioni ricorrenti del basso tratto urinario. Una particolare complicanza legata all'utilizzo di sling di parete vaginale è la formazione di cisti epiteliali da inclusione.
Una temibile conseguenza legata specificamente all'utilizzo di elementi di sospensione transpubici è infine l'osteite o osteomielite, riportata nel 5% dei casi. Tension Free Vaginal Tape Questa tecnica chirurgica è stata introdotta da Ulmsten nel 1996, sulla scorta di dati elaborati da Petros e dallo stesso Ulmsten tra il 1980 e il 1990: la cosiddetta "teoria integrale" proposta dai due Autori enfatizza la centralità dei legamenti pubo-uretrali nel meccanismo della continenza urinaria e la procedura chirurgica proposta ha lo specifico scopo di ricostruire l'integrità di tali strutture. Si tratta di una tecnica rivoluzionaria in quanto al contrario delle chirurgie descritte in precedenza, che prevedevano la correzione del difetto anatomico a livello del collo vescicale, il nuovo approccio della TVT ripristina il supporto a livello dell'uretra media, quindi in una sede distale rispetto alla giunzione vescico-uretrale, rinforzando i legamenti pubo-uretrali posteriori e la parete vaginale anteriore sottouretrale senza tensione. La tecnica "tension free" infatti prevede che la rete di polipropilene (Prolene mesh) utilizzata non venga fissata con alcun punto di ancoraggio a nessuna struttura anatomica, al contrario di quanto previsto per gli interventi più datati. In questo modo non è modificata la mobilità uretrale, come confermato con studi di imaging quali l'ecografia pelvica e la risonanza magnetica dinamica (12). La non interferenza con la mobilità del collo vescicale è all'origine della scarsa incidenza di disturbi di svuotamento postoperatori; il fatto che la TVT non modifichi inoltre l'asse vaginale, non aumenta il rischio di sviluppare un prolasso vaginale, come avviene al contrario con tecniche quali la colposospensione secondo Burch. Un ulteriore innegabile vantaggio della TVT è dato dal fatto che si tratta di una tecnica minimamente invasiva: il tempo chirurgico varia, nelle casistiche mondiali, da 25 a 40 minuti e l'ospedalizzazione è limitata ad una sola giornata postoperatoria nella maggior parte delle pazienti. Questa tecnica chirurgica prevede l'utilizzo di un particolare strumento di metallo, detto "ago di Ulmsten", a cui è collegato un nastro di maglia in polipropilene, largo circa 1 cm. Viene eseguita una colpotomia sagittale di circa 1,5 cm poco al di sotto del meato uretrale esterno ed in seguito due piccole dissezioni parauretrali, che permettono l'introduzione della punta dell'ago. Contemporaneamente vengono praticate due piccole incisioni speculari sulla cute dell'addome immediatamente sopra la sinfisi pubica. L'ago viene fatto passare in regione parauretrale, penetrando il diaframma urogenitale e mantenendolo in stretto contatto con la parte posteriore dell'osso pubico, in modo da ridurre al minimo il rischio di danneggiare strutture anatomiche della regione inguinale e della parete pelvica laterale. L'ago viene poi guidato verso l'alto fino ad attraversare la piccola incisione addominale precedentemente eseguita, quindi la procedura viene ripetuta sul lato opposto, fino ad accompagnare il nastro non teso sotto la parte centrale dell'uretra. Dopo ciascuno dei due passaggi con l'ago, viene eseguito un controllo cistoscopico, per verificare l'integrità della parete vescicale. Un'altra delle caratteristiche peculiari della TVT è che, durante l'esecuzione dell'intervento, viene richiesta una partecipazione attiva della paziente: infatti, una volta posizionata la benderella in sede sottouretrale, la vescica è riempita con 300 ml di soluzione salina e l'operatore invita la paziente a tossire ripetutamente; è così possibile calibrare la posizione della mesh fino a quando la perdita visibile di urina sia limitata a non più di una o due gocce: in questo modo si assicura il recupero della continenza, evitando di creare problemi ostruttivi. La necessità di una collaborazione attiva della paziente durante l'intervento implica che l'anestesia utilizzata sia locale o al più loco-regionale. Diverse alternative sono state proposte nel tempo da vari Autori, sebbene l'intervento originale di Ulmsten prevedesse l'infiltrazione con anestetici locali (prilocaina ed adrenalina) a livello retropubico e parauretrale. Attualmente la tecnica maggiormente utilizzata è l'anestesia spinale che, sebbene gravata dalle complicanze peraltro rare che le sono proprie, garantisce un'ottima copertura antalgica senza inficiare la capacità della paziente di eseguire la manovra di Valsalva. Per quanto concerne le percentuali di successo, le review più recenti, che prendono in considerazione studi con almeno 12 mesi di follow-up (12-36 mesi), indicano una percentuale di cura oggettiva pari all'88%, con il 9% di pazienti migliorate e un tasso di fallimenti pari al 6%. Il 96% delle pazienti dichiara di essere soddisfatto o molto soddisfatto dall'intervento (13); il tempo medio di ripresa delle normali attività quotidiane e lavorative risulta di 2-4 settimane, in confronto
alle 8-16 settimane dopo una procedura di colposopsensione. Diversi lavori in merito al trattamento dell'incontinenza urinaria mista indicano una risoluzione dei sintomi da urgenza nel 25-60% dei casi. Per quanto riguarda invece l'associazione della TVT con altre procedure chirurgiche quali la chirurgia tradizionale per la correzione del prolasso uterovaginale, al momento attuale sono disponibili solo pochi lavori: sebbene le percentuali di cura sembrino essere sovrapponibili, sono tuttavia maggiori quelle relative alle complicanze soprattutto di tipo ostruttivo. Nonostante i brillanti risultati e la tecnica apparentemente semplice, la TVT può essere causa di complicanze in gran parte dipendenti da errori di selezione delle pazienti, da variazioni personali della tecnica chirurgica originale o da scarsa preparazione dell'operatore. La complicanza più frequente è la perforazione accidentale della parete vescicale, con un'incidenza media del 5,4% (023%), in genere a carico della parete anterolaterale della vescica, che si verifica più frequentemente in presenza di esiti cicatriziali del Retzius (pregresso intervento) o se la vescica non è completamente vuota. È di fondamentale importanza che la lesione venga immediatamente riconosciuta durante il tempo cistoscopico: è quindi sufficiente riposizionare la benderella e mantenere in sede il Foley per 3-5 giorni, associando una terapia antibiotica adeguata. L'emorragia intraoperatoria (considerata come perdita ematica > 300 ml) si verifica raramente (2-3% dei casi) e si tratta di solito di un sanguinamento retropubico, che si risolve con il tamponamento bimanuale e la distensione vescicale. Anche l'ematoma pelvico è un'evenienza rara (1-3%) e può svilupparsi a carico dello spazio di Retzius o, meno comunemente, a carico del grande labbro; in genere si risolve spontaneamente. Più frequenti sono i disturbi minzionali postoperatori: l'incidenza di urgency de novo va dal 2 al 15%; le infezioni delle vie urinarie ricorrenti si verificano nel 4-12% dei casi; in questo caso sono fondamentali la profilassi antibiotica preoperatoria e l'asepsi intraoperatoria. La dispareunia postoperatoria è riportata nel 3% delle operate, ma nella maggior parte delle pazienti il disturbo tende a risolversi entro tre mesi dall'intervento. La ritenzione urinaria con necessità di cateterizzazione temporanea si verifica nell'1,5-10% dei casi ed è di solito dovuta ad un'eccessiva tensione della benderella: solo in rari casi si verifica la necessità di dilatazione meccanica uretrale con mobilizzazione precoce della benderella o addirittura di sezione chirurgica della stessa. È bene sottolineare come dopo intervento di TVT la grande maggioranza delle pazienti sia in grado di urinare spontaneamente dopo 4-6 ore dall'intervento (tranne che in caso di utilizzo di anestesia spinale, situazione in cui il catetere vescicale viene normalmente rimosso in prima giornata postoperatoria), senza necessità di cateterizzazione uretrale e con residui postminzionali negativi. Una complicanza rarissima, ma potenzialmente grave, è il danno vascolare: sono segnalate in letteratura lesioni a carico dei vasi epigastrici, otturatori, iliaci, femorali; elementi di rischio sono l'orientamento laterale dell'ago di Ulmsten e un'eccessiva flessione delle cosce della paziente sul bacino. La terapia in questi casi è ovviamente una laparotomia d'urgenza. Altre rare complicanze sono le lesioni intestinali (casi isolati), le perforazioni uretrali e la lesione di fibre nervose (nervo otturatorio). Può verificarsi con frequenza bassa la mancata cicatrizzazione vaginale e il fenomeno sembra legato ad una troppo precoce ripresa dell'attività sessuale. La terapia consiste nella risutura della colpotomia. In conclusione la TVT appare come una tecnica minimamente invasiva, con bassi rischi perioperatori, breve periodo di ospedalizzazione e rapida ripresa delle normali attività quotidiane; le percentuali di successo sono ottimali, pari o addirittura superiori alla colposospensione secondo Burch, che resta l'intervento di confronto. Al momento attuale non sono disponibili follow-up a lungo termine, che saranno necessari per stabilire la durata e la stabilità nel tempo di questi brillanti esiti chirurgici. Bulking agents Gli agenti iniettivi periuretrali sono stati introdotti sin dagli anni '40 (14). Il razionale della tecnica consiste nell'aumentare la coaptazione dell'uretra senza determinarne l'ostruzione. Sono stati
utilizzati numerosi materiali quali il collagene bovino, il grasso autologo, la cartilagine, l'acido ialuronico, il Teflon, il silicone e numerosi altri sono attualmente oggetto di studio: non è ancora stato messo a punto il materiale "ideale", che dovrebbe essere biocompatibile, ipoallergenico e non immunogenico. La paziente candidata a tale tipo di intervento è di età avanzata, con incontinenza urinaria da stress recidiva, di solito affetta da insufficienza sfinterica più che da incontinenza da ipermobilità uretrale (incontinenza di tipo III); la presenza di incontinenza mista con diagnosi cistomanometrica di instabilità detrusoriale è da alcuni Autori considerata una controindicazione all'intervento. La tecnica prevede l'iniezione trans-uretrale o peri-uretrale della sostanza scelta, di solito a livello dell'uretra media, in quantità definita in relazione al tipo di bulking agent utilizzato. Le complicanze sono minime e comprendono reazioni allergiche, reazioni da corpo estraneo, formazione di raccolte ascessuali; peraltro in letteratura è riportato un caso di embolia polmonare non fatale dopo iniezione periuretrale di grasso autologo (15). Il Teflon è stato utilizzato a partire dal 1964: i risultati a breve termine erano brillanti, mentre a soli 3 anni dall'intervento le percentuali di cura scendevano al 18-53%. L'effetto collaterale principale era la migrazione di microparticelle a livello di linfonodi, rene, polmone, cervello, con reazione granulomatosa cronica da corpo estraneo (16): ciò era dovuto al diametro delle particelle di Teflon (< 65 millimicron), che ne permetteva la fagocitosi da parte dei macrofagi e la successiva migrazione extrauretrale. Attualmente il Teflon iniettivo (Urethrin) è composto da particelle di diametro > 65 millimicron. Un analogo fenomeno di migrazione linfonodale è stato osservato utilizzando particelle di carbonio (Durasphere), peraltro ottenendo deludenti percentuali di pazienti continenti ad un anno dall'iniezione (solo il 33%). L'utilizzo di grasso autologo prevede il prelievo di 15-20 cc di grasso dall'addome mediante liposuzione e la sua successiva iniezione in sede periuretrale. Si tratta di una sostanza biocompatibile che non dà luogo a reazioni allergiche o di rigetto. Lo svantaggio principale riguarda la variabilità di riassorbimento, che rende imprevedibile il periodo di sopravvivenza delle cellule adipose iniettate in sede: la percentuale di successo ad un anno è di circa il 50%. Il collagene utilizzato come bulking agent è di origine bovina (Contigen): richiede che la paziente venga sottoposta ad un test cutaneo 4 settimane prima dell'iniezione, per escludere fenomeni di allergia, che si manifesta nell'1-3% dei casi. Se il test risulta negativo, una quantità tra gli 8 e i 30 cc di collagene viene iniettata per via endouretrale o periuretrale. In media sono necessarie almeno 2 applicazioni per raggiungere un grado soddisfacente di continenza. La percentuale di successi scende gradualmente dal 72% ad un anno, fino al 57% a due anni ed al 45% a 3 anni dall'intervento. Il silicone iniettivo (Macroplastique) è composto di particelle di 162 millimicron di diametro, dimensione che ne impedisce la fagocitosi. La percentuale di pazienti che necessita di reiniezione è pari al 10%. Risultati incoraggianti riportano una percentuale di continenza ad un anno pari al 92%. Recentemente è stata proposta l'iniezione di micropalloncini contenenti soluzione fisiologica o materiali in stato di gel, biocompatibili e non riassorbibili, con il 79% di successi riportati (17). Il ruolo degli agenti iniettivi periuretrali resta ancora da definire: fondamentale è la selezione della paziente ed un counselling esaustivo, che valuti i vantaggi di un intervento mini-invasivo rispetto al rischio di recidiva dell'incontinenza. Sono inoltre necessari studi a lungo termine per definire l'agente iniettivo ideale. Gli sfinteri artificiali L'utilizzo di tale approccio chirurgico nella correzione dell'incontinenza urinaria femminile è attualmente limitato a casi altamente selezionati: l'indicazione al posizionamento di uno sfintere artificiale è di solito più comune nei pazienti di sesso maschile (18). In una recente review su una
casistica relativa a 459 pazienti, la percentuale di successo era compresa tra il 68 ed il 100%. Tuttavia la percentuale di complicanze risultava elevata con un'incidenza di erosione pari al 7-29% ed una necessità di reintervento in circa il 50% dei casi (19): tali fattori limitano nella donna l'indicazione all'utilizzo di sfinteri artificiali. Conclusioni La chirurgia ha sempre ricoperto un ruolo terapeutico fondamentale nel trattamento dell'incontinenza urinaria da sforzo femminile. La ricerca è orientata a sviluppare tecniche chirurgiche minimamente invasive, che garantiscano brevi periodi di ricovero, morbilità intra e post-operatoria ridotte, veloci tempi di recupero post-operatorio, insieme con un'elevata efficacia terapeutica che si mantenga nel tempo. Sebbene tutte queste caratteristiche descrivano un intervento chirurgico "ideale" e non ancora esistente, la tecnica TVT è quella che attualmente più si avvicina a questo modello, pare pertanto potenzialmente in grado di sostituire tutte le tecniche standard sinora adottate.
LA TERAPIA DEL PROLASSO E. Imparato • G. Baudino Struttura di Ginecologia e Ostetricia, IRCCS "S. Matteo", Pavia
Testo articolo Bibliografia Tabelle Introduzione La chirurgia ginecologica inizia probabilmente come chirurgia del prolasso genitale. Alcuni episodi aneddotici sono presenti in documenti dell'antichità, mentre la descrizione dettagliata di casi clinici riferiti a donne sopravvissute dopo isterectomia vaginale per prolasso risale al XVI secolo. Solo all'inizio del XIX secolo, tuttavia, l'intervento viene descritto e sistematizzato. Contemporaneamente viene proposto uno strumentario chirurgico dedicato. Le conoscenze fisiopatologiche del deficit di supporto sono, in quel periodo, fantasiose e approssimative da un lato, ma sorprendentemente intuitive e per certi versi attuali dall'altro. In sostanza l'intervento è demolitivo prevedendo o l'amputazione cervicale o l'isterectomia come terapia del prolasso uterino e ampie colpectomie per la risoluzione del prolasso vaginale. L'unico tempo ricostruttivo è la miorrafia posteriore del muscolo elevatore, che sopravvive, ancorché discussa, nella pratica attuale. Fino alla fine degli anni '70 prevale in Italia e in Europa una mentalità chirurgica demolitiva in cui l'obliterazione o la stenosi del canale vaginale costituiscono spesso l'obiettivo chirurgico e vengono considerati un buon risultato clinico in termini di prevenzione delle recidive. Le casistiche di quell'epoca riportano infatti risultati di guarigione intorno all'80-90%. Successivamente lo sforzo di offrire alle pazienti il benessere globale dopo l'intervento, in termini di funzione sessuale e di sollievo da ciò che oggi viene denominato "disfunzione pelvica", cioè il corteo di sintomi urinari, retto-anali, sessuali legati al malfunzionamento dei serbatoi pelvici e dei loro apparati sfinterici, ha aperto un orizzonte amplissimo di conoscenze e di proposte terapeutiche, anche non chirurgiche, impensabili fino a trenta anni fa. D'altra parte Te Linde osservava che nonostante la medicina abbia compiuto passi da gigante nell'ultimo secolo, ogni onesto chirurgo che si occupi di chirurgia del prolasso genitale non possa ritenersi completamente soddisfatto del proprio operato. Attualmente il progredire delle conoscenze in ambito fisiopatologico e anatomico ha introdotto importanti innovazioni nella chirurgia ricostruttiva pelvica. Allo stesso tempo la disponibilità di biomateriali e di tecniche chirurgiche mini-invasive sembra aprire un nuovo capitolo in questo settore. Molte rimangono tuttavia le questioni aperte: prima tra tutte la valutazione del rapporto
costi/benefici delle varie soluzioni proposte e la definizione di linee-guida per la terapia chirurgica della disfunzione pelvica. Via addominale Segmento anteriore Il ginecologo ha iniziato a concepire l'approccio sovrapubico nella riparazione del colpocele anteriore dalla descrizione della colposospensione retropubica per la correzione dell'incontinenza urinaria da sforzo (IUS) descritta da John Burch nel 1961. Fu soprattutto la scuola londinese del King's College di Sir Stuart Stanton e di Linda Cardozo a proporre l'estensione posteriore della sospensione della fascia pubocervicale al legamento ileopettineo per correggere il colpocele anteriore associato a IUS. I risultati di questa metodica riportano un indice di cura della IUS a lungo termine dell'87% e una cura del colpocele > 90%. Una serie di quattro o cinque punti per lato, dal collo vescicale verso la spina ischiatica, viene descritta nella procedura originale. Viene segnalato un rischio aumentato di coinvolgere nelle suture il tratto iuxta-vescicale dell'uretere pelvico. È noto che, al pari della colposospensione classica, vi è un rischio di comparsa ex-novo o di aggravamento di un colpocele posteriore nel 12-18% dei casi. Uno studio italiano prospettico non randomizzato (4) ha messo in evidenza, tuttavia, che un terzo delle pazienti sottoposte a questa procedura, affette da colpocele anteriore di terzo grado, manifestano recidiva anatomica anteriore a breve termine, pur mantenendo elevati indici di cura per la IUS. Indipendentemente dalle inevitabili differenze di tecnica in uso nei diversi Centri, la mancanza di una rigorosa standardizzazione terminologica e del riferimento a sistemi classificativi omogenei, rende conto della differenza dei risultati. La nostra convinzione, basata anche sull'esperienza personale, è che il deficit di supporto di grado elevato (≥ 3 secondo la classificazione Half Way System) non può essere corretto per via sovrapubica. Negli anni 1985-1987 Macer (22) descrisse la colpotomia anteriore a cuneo con apice verso il collo vescicale e base verso la volta vaginale per ridurre l'ampiezza del colpocele. I risultati, comparabili con quelli descritti per la colposospensione, sembrano riproducibili. L'intervento di Macer, tuttavia, perse presto interesse in quanto non rispettoso dei moderni concetti di fisiopatologia del deficit fasciale (difetto paravaginale), allontanando i solchi vaginali laterali dalla parete pelvica e aggravando la lesione primitiva. La colposacropessia indiretta è forse la tecnica più impiegata nella riparazione dei difetti centrali del profilo vaginale per via addominale. Per molto tempo la sutura della volta vaginale o del margine posteriore dell'istmo uterino al legamento longitudinale del promontorio sacrale, è stata considerata ottimale per la cura del difetto centrale. Il problema principale legato alla procedura è la scarsa cura del colpocele anteriore e posteriore e dei difetti distali. Più recentemente è stato proposto il posizionamento dei margini inferiori delle protesi rispettivamente in corrispondenza della giunzione cervico-uretrale anteriormente e a livello dell'apice del corpo perineale posteriormente. In una nostra ampia revisione delle casistiche relative a oltre 4.000 soggetti trattati con colposacropessia addominale o colposacrospinosopessia vaginale, non sono state evidenziate differenze significative tra le procedure per quanto riguarda gli indici di cura della riparazione anteriore che vengono riportati intorno all'89-92%. La complicanza più frequente dopo colposacropessia indiretta è la persistenza o la comparsa ex-novo di IUS (15-50%). Verso la metà degli anni '80 Cullen Richardson propose una tecnica di riparazione retropubica della IUS suturando il solco vaginale laterale all'arco tendineo della fascia pelvica, recuperando la procedura originale di George White (1909) e di Figurnov (1948) descritte per via vaginale. L'intervento dimostrò più tardi di essere meno efficace della colposospensione secondo Burch nella cura della IUS. La procedura venne tuttavia proposta per la riparazione dei difetti di supporto anteriore da distacco laterale della fascia endopelvica. Nessuno studio clinico è stato effettuato per saggiare l'efficacia di questa procedura rispetto alla chirurgia vaginale tradizionale (colporrafia anteriore), tuttavia l'esperienza clinica suggerisce che la riparazione paravaginale addominale ripristina l'anatomia in caso di colpocele anteriore da difetto laterale di lieve entità. Quest'ultimo non costituisce, di per sé, indicazione chirurgica se non associato a IUS, la quale, tuttavia, non è curata adeguatamente da questa procedura. In caso di colpocele anteriore di grado elevato è dimostrata l'esistenza di difetti fasciali multipli associati, soprattutto laterali, centrali e trasversali. Pertanto sembra che la riparazione selettiva del difetto laterale non possa razionalmente ridurre il
rischio di recidiva del deficit legato alla persistenza di altri siti lesionali della fascia endopelvica. Nello studio randomizzato di Benson (3) la riparazione paravaginale addominale è risultata superiore alla stessa procedura eseguita per via vaginale. Verso la fine degli anni '90 Bob Shull (38) propose una modifica dell'intervento di Richardson per migliorare l'indice di cura della IUS. Le tre suture parauretrali venivano ancorate ai legamenti ileopettinei, dopo essere state trafisse all'arco tendineo lateralmente. La modifica si è dimostrata efficace. Riteniamo quindi che oggi la riparazione paravaginale addominale possa essere eseguita con la modifica di Shull in caso di colpocele anteriore da distacco laterale associato a IUS o come tempo complementare in corso di colposacropessia. Non riteniamo tuttavia che possa essere proposta come terapia di prima linea, in mancanza di dati che ne comprovino l'efficacia rispetto ad altre procedure. Teoricamente la riparazione del difetto trasversale è possibile suturando il margine craniale della fascia pubocervicale al margine craniale del setto rettovaginale e assicurando queste strutture ai legamenti utero-sacrali. Tuttavia nessuno studio clinico ha valutato la metodica per via addominale. La sutura delle fasce è raccomandata da molti Autori come profilassi del difetto di supporto centrale in corso di isterectomia addominale. Indicazioni Mancano, in sostanza, evidenze sulla superiorità di una tecnica chirurgica o di una via d'accesso rispetto ad un'altra. Lo stesso studio di Benson confronta lo stesso intervento per la ricostruzione anteriore (paravaginal repair) associato a due diverse tecniche per la terapia del difetto di supporto centrale che notoriamente espongono in modo diverso il segmento anteriore al vettore di spinta addominale. La retroversione dell'asse vaginale ottenuta con la colposospensione sacrospinosa è a rischio per la persistenza o la recidiva di colpocele anteriore e comporta un'attesa di recidiva anatomica anteriore elevata in caso di riparazione laterale senza supporto centrale, in quanto amplia l'area di esposizione al vettore. Lo studio ci appare viziato da un bias anatomofunzionale decisivo. È noto che l'interferenza delle linee di tensione tra i diversi segmenti del profilo vaginale, introdotta dagli interventi ricostruttivi, può esporre ad esiti anatomici insoddisfacenti. Alcuni Autori consigliano l'intervento di colposacropessia addominale come terapia di prima linea del difetto del segmento centrale e associano per la riparazione anteriore interventi di sospensione anteriore o laterale (1) (33). Rispetto alla via vaginale, il vantaggio principale riportato è la buona conservazione della funzione sessuale. La chirurgia vaginale, secondo gli stessi Autori, potrebbe avere indicazione primaria nelle pazienti molto anziane, obese, multioperate per via addominale o con esiti di malattia infiammatoria pelvica e ad elevato rischio operatorio. Non va dimenticato, comunque, che circa il 22-25% delle pazienti operate per via addominale necessitano di una chirurgia vaginale complementare contemporanea. Altri Autori (9) (11) ritengono esista una via elettiva trans-vaginale, motivata dalla bassa morbilità intra-operatoria e post-operatoria a breve termine e consigliano di riservare la via addominale solo a soggetti con indicazioni primarie alla via addominale (patologia maligna, utero fisso o di volume non aggredibile per via vaginale, patologia annessiale). A nostro parere la via vaginale è quasi sempre perseguibile, a bassa morbilità, associata a ottimi indici di cura anatomici e funzionali. La dispareunia ex-novo post-operatoria ha, nella nostra esperienza, una prevalenza del 2-5%. Certezze La chirurgia addominale per la riparazione del segmento anteriore è ben documentata in letteratura. I risultati sono probabilmente riferiti a colpocele anteriore di grado medio o mediograve (score 2-3) sintomatico o associato a IUS o associato a difetti del segmento centrale e posteriore. Gli indici di cura a lungo termine sono buoni (> 90%) per quanto riguarda la colposospensione retropubica e per la colposacropessia laparotomica con impiego di materiale eterologo applicato estesamente alla fascia pubocervicale. Gli interventi che prevedono la colpectomia anteriore sono considerati obsoleti. La riparazione paravaginale per via addominale trova indicazione come intervento complementare per la correzione di un colpocele anteriore di
grado da lieve a medio nel contesto di una chirurgia ricostruttiva complessa. Controversie In linea di principio non sempre è possibile riparare per via addominale la totalità dei difetti di supporto del pavimento pelvico. Tuttavia alcuni lavori riportano risultati complessivamente migliori per la chirurgia trans-addominale rispetto a quella eseguita per via vaginale. Ne consegue che Scuole e Centri diversi esprimano orientamenti diversi. A nostro parere non esistono evidenze scientifiche che identifichino una tecnica primaria per il trattamento del colpocele anteriore. La comparsa di disfunzione sessuale è più elevata dopo chirurgia vaginale. La comparsa di IUS denovo o recidiva è diversa nelle varie casistiche e dipendente da diversi fattori non standardizzati negli studi: il metodo diagnostico, l'epidemiologia, la gravità e la fisiopatologia dell'incontinenza, le tecniche utilizzate per la cura del sintomo sono spesso riportati in modo ambiguo. La morbilità intra-operatoria, post-operatoria precoce e tardiva è diversa tra approccio vaginale e addominale, ma sembra comportare differenze qualitative piuttosto che quantitative. In particolare tempo operatorio, perdita ematica, degenza ospedaliera e costi di degenza sono a vantaggio della via vaginale. Infezioni del basso tratto urinario, tempo di permanenza del catetere, tempo di ripresa minzionale, cura della IUS e tasso di seconda chirurgia, sono a vantaggio della via addominale. Prospettive L'avvento della chirurgia laparoscopica ha convertito quasi completamente le indicazioni alla chirurgia addominale aperta, che rimane comunque prioritaria quando l'indicazione all'intervento viene posta principalmente per patologie particolari richiedenti la laparotomia. La riduzione della morbilità e l'accorciamento della degenza media sono considerati vantaggi insostituibili, propri della mini-invasività della chirurgia laparoscopica. Per questo motivo le procedure che richiedono la laparotomia sembrano poco proponibili, se non in via di abbandono. Emerge tuttavia che gli innegabili vantaggi legati alla chirurgia laparoscopica sono in parte inficiati dal lungo training chirurgico necessario a formare l'operatore, dai costi legati al consumo intra-operatorio di strumentario dedicato e dal maggiore tempo di occupazione della sala operatoria. Inoltre solo pochi centri, attualmente, possono offrire un trattamento adeguato dei deficit di supporto e della disfunzione pelvica per via esclusivamente laparoscopica. Osservazioni sull'outcome a lungo termine sembrano indicare infine che la laparoscopia offra indici di cura inferiori alla chirurgia ricostruttiva laparotomica. Per quanto riguarda la chirurgia di sostituzione eterologa o mediante impiego di materiali biologici e da allo-trapianto, sembra che questi ultimi consentano una riduzione della morbilità legata a infezione, reazione da corpo estraneo, erosione vaginale, espulsione del materiale, formazione di sieromi, a fronte di un costo di mercato più elevato. È possibile che una spinta innovativa possa provenire dalle ricerche nel settore del bio-engeneering, con la messa a punto di materiali eterologhi biocompatibili ad elevata porosità, semi assorbibili o completamente assorbibili, ad intreccio senza nodi e in monofilamento. Tali caratteristiche sono segnalate come requisiti di un possibile materiale ideale che minimizzi la reazione da corpo estraneo, la colonizzazione batterica e favorisca la proliferazione fibroblastica senza comportare restringimento del materiale stesso. Segmento centrale Gli interventi di ventrofissazione della volta vaginale sono stati abbandonati per l'alto tasso di recidiva e per l'elevata comparsa ex-novo di enterocele. Tutte le procedure che comportano una anteroversione dell'asse vaginale e un ampliamento del cavo di Douglas sarebbero oggi interpretati come malpractice. Attualmente l'unico intervento efficace e documentato per la riparazione trans-addominale del difetto centrale del profilo vaginale è la colposacropessia indiretta. Come si è già anticipato, gli studi metanalitici non forniscono l'evidenza che la procedura sia più efficace di altri interventi eseguiti per via vaginale (6). Lo studio randomizzato di Benson ha evidenziato vantaggi significativi per la via addominale per quanto riguarda le recidive anatomiche anteriori e la morbilità a carico del basso tratto urinario, ma non ha messo in evidenza differenze tra gli indici di cura del difetto di supporto centrale. L'impiego di materiale eterologo di sintesi comporta una
morbilità propria riportata dal 2 al 30%. Il politetrafluoroetilene si è dimostrato il materiale più a rischio di complicanze, il mersilene quello più associato a reazioni da corpo estraneo. Il polipropilene rimane oggi il materiale più impiegato nella pratica clinica. I materiali di derivazione animale (estratto acellulare purificato di derma suino e di sottomucosa intestinale suina) sembrano comportare un rischio minimo di complicanze grazie alla loro elevata biocompatibilità. Il pericardio bovino e i materiali da allo-trapianto (derma e fascia lata cadaverica) non sono ancora stati impiegati per la colposacropessia addominale. La fissazione delle protesi mediante punti di sutura, spirali o clips metalliche o assorbibili sembra rispondere a preferenze individuali. Non sono stati messi in evidenza finora relazioni tra il materiale impiegato o la tecnica di fissazione e gli esiti anatomici. Per quanto riguarda la morbilità a carico del segmento anteriore, del basso tratto urinario o legata all'impiego di materiale eterologo, si veda quanto detto a proposito del segmento anteriore. Un utilizzo più ampio dell'approccio addominale è stato descritto per la profilassi dei deficit di supporto centrale e posteriore in corso di isterectomia addominale. Baden e Walker propongono, per la sutura della volta vaginale, la sequenza: legamento utero-sacrale, margine posteriore della volta, paracolpo, margine anteriore della volta. La sutura contribuisce a fissare la volta vaginale e a ridurne l'ampiezza. Per la sutura della porzione centrale della volta gli stessi Autori descrivono l'identificazione dei setti vaginali e, separatamente, della componente epitelio-muscolare della parete vaginale. I setti vaginali vanno compresi nella sutura della volta vaginale. Una serie progressiva di suture in senso cranio-caudale assicura successivamente la parete della cuffia vaginale posteriormente ai legamenti utero-sacrali. In tema di chirurgia profilattica la procedura di obliterazione del cavo di Douglas, secondo Moschowiz o secondo Halban, è consolidata da tempo. La prima ha lo svantaggio di esporre a recidive per deiscenza della sutura circolare, di essere a rischio per occlusione intestinale per strozzamento ileale nella neo-porta erniaria e di danneggiare o dislocare l'uretere pelvico. La seconda è stata recentemente riproposta per via vaginale dalla Scuola tedesca con il termine di "colposacropessia vaginale". Sono descritti casi di sierocele pelvico post-operatorio. Certezze La colposacropessia addominale laparotomica o laparoscopica rappresenta una buona opzione terapeutica per la riparazione del difetto centrale rappresentato dal prolasso della volta vaginale dopo isterectomia. Mediamente gli indici di cura riportati vanno dall'85 al 94%. Tassi di cura inferiori vengono riferiti a carico dei segmenti vaginali anteriore e posteriore. Il vantaggio principale della procedura consiste nella buona conservazione della funzione sessuale, mentre l'inconveniente più frequentemente associato è la scarsa cura della IUS clinica e latente. Il limite dell'intervento è rappresentato dall'inaccessibilità al tratto distale del segmento posteriore. L'avvento della TVT ha introdotto un concetto completamente nuovo nella chirurgia funzionale e ricostruttiva. Ha sostituito l'obiettivo dell'elevazione e della sospensione delle strutture anatomiche con quello del supporto compatibile con la normale mobilità viscerale e sufficiente ad offrire un piano di arresto durante gli aumenti della pressione addominale. Ciò ha avuto una tremenda ricaduta su tutta la chirurgia ricostruttiva, creando le premesse per ovviare agli inconvenienti ostruttivi per quanto riguarda la chirurgia uretrale e i rischi di complicanze per quanto riguarda la chirurgia protesica in generale. Non va dimenticato infatti che ogni sutura sottoposta a tensione genera il possibile circuito: ischemia-necrosi-infezione e/o mancata cicatrizzazione che, nella chirurgia autologa costituisce la patogenesi più frequente delle recidive e, in chirurgia eterologa, è causa delle complicanze più comuni (erosione, esposizione, infezione, espulsione) che in passato venivano attribuite al meccanismo del "rigetto". In modo simile la tecnica "tension-free" è oggi tassativamente applicata anche e soprattutto in caso di colposacropessia indiretta. Controversie Un capitolo controverso riguarda l'opportunità di procedere sistematicamente all'isterectomia in corso di riparazione del difetto centrale. L'apposizione di materiale sintetico alla sutura della volta vaginale non è risultato un fattore di rischio per infezioni della protesi. Tuttavia la scuola francese da circa quindici anni ha proposto un intervento protesico conservatore, mettendo in discussione l'utilità dell'isterectomia, nel contesto di un intervento di sostituzione eterologa globale. Recentemente altri centri in Italia hanno perseguito lo stesso razionale per via vaginale. Allo stesso modo viene proposta da alcuni Autori l'isterectomia sub-totale. Mancano dati per discutere
efficacia delle procedure, vantaggi, riduzione della morbilità e rischi riguardo alla conservazione parziale o totale dell'utero in corso di colposacropessia. Prospettive Arnaud Wattiez è il pioniere della chirurgia ricostruttiva del pavimento pelvico per via laparoscopica. In tempi recenti ha modificato la tecnica di colposacropessia inserendola in un contesto di ricostruzione fasciale e muscolare globale. Tenendo fermo l'ancoraggio distale delle protesi, Wattiez consiglia di fissarle non solo ai setti vaginali, ma di assicurare il margine laterale della protesi anteriore anche al pilastro vescicale omolaterale e al ventre del muscolo puborettale. Similmente la rete posteriore va assicurata ai legamenti utero-sacrali e ancora al muscolo puborettale. L'obliterazione del cavo di Douglas e la miorrafia dorsale dell'elevatore possono essere eseguite a completamento della ricostruzione. Il margine craniale della rete viene, come di consueto, fissato in modo lasso al promontorio sacrale, anche se, secondo il parere dell'Autore, questa fase non è probabilmente indispensabile per garantire i buoni esiti dell'intervento. Liu ha fornito un importante contributo alla chirurgia ricostruttiva laparoscopica. L'Autore riporta un indice di cura a 5 anni dell'85% con una metodica conservativa originale per il prolasso dell'utero. Previa identificazione del decorso dell'uretere pelvico, esegue una o più suture per lato che comprendono il muscolo puborettale, il legamento utero-sacrale e la cuffia vaginale posteriormente. La procedura richiede, a volte, l'amputazione cervicale per via vaginale e/o la colporrafia posteriore transvaginale. Riteniamo che queste procedure non siano ancora validate da studi clinici controllati o da follow-up a lungo termine. Non sembra infine che questo tipo di chirurgia sia facilmente riproducibile. Segmento posteriore In ambito ginecologico la cura del colpocele posteriore è tradizionalmente transvaginale. In caso di approccio laparotomico è stata descritta la possibilità di eseguire la tecnica così detta di McCall addominale o inversa. Viene eseguita una colpectomia posteriore a cuneo, con apice distale, e uno o più punti di sutura secondo McCall con la sequenza: parete vaginale posteriore da un lato, legamento utero-sacrale omolaterale, sierosa del retto-sigma, legamento utero-sacrale controlaterale, parete vaginale posteriore dal lato opposto. Per via laparoscopica l'ancoraggio del margine distale della protesi a livello dell'apice del corpo perineale e la possibilità di eseguire una miorrafia dorsale del muscolo elevatore, garantiscono di poter trattare quasi integralmente il segmento posteriore, tranne i difetti propri del perineo. Valgono tuttavia le perplessità già espresse a proposito nel paragrafo sul segmento centrale. Certezze Il trattamento addominale dei difetti del segmento posteriore rappresenta, a nostro parere, un trattamento obbligato in casi in cui non è perseguibile la via vaginale, o una fase dell'intervento laparoscopico nell'ambito di una chirurgia riparativa complessa. In letteratura sono riportate complicanze coloproctologiche quali incontinenza anale e urgenza alla defecazione dopo sospensione protesica posteriore. L'accesso addominale rende ovviamente più complesso il trattamento mini-invasivo della IUS o l'esecuzione di un approccio transanale nella paziente affetta da disfunzione pelvica posteriore. Controversie Esiste oggi un ampio dibattito interdisciplinare sul trattamento del rettocele sintomatico. La scarsa letteratura di pertinenza ginecologica sull'argomento è eterogenea, ma riporta una prevalenza elevata del sintomo defecazione ostruita associata a colpocele posteriore (47% nella nostra esperienza) e un indice di cura poco soddisfacente del sintomo con la chirurgia esclusivamente transvaginale (42% nella nostra esperienza). Al contrario la letteratura coloproctologica è ricchissima di serie cliniche trattate con la chirurgia transanale con indici di cura mediamente superiori all'80%. La migliore comprensione della patogenesi della disfunzione posteriore implica che una considerevole quota di pazienti possano essere candidate a chirurgia transanale complementare, con una naturale limitazione alle indicazioni addominali per il trattamento del
colpocele posteriore sintomatico. Prospettive Riteniamo che, date le limitazioni esposte nei paragrafi precedenti, l'approccio addominale ai difetti del segmento posteriore non riscuota attualmente interesse sufficiente a promuovere innovazioni o ricerca clinica. Via vaginale Generalità Appare evidente che la chirurgia ricostruttiva dei difetti del pavimento pelvico è in via di evoluzione e l'apporto delle nuove biotecnologie e di nuovi materiali protesici che promuovono la crescita di nuovo tessuto connettivo di supporto, potrebbe radicalmente cambiare i criteri di scelta di strategia chirurgica. Nella nostra opinione questa soluzione "facile" è del massimo interesse ma è tuttavia discutibile: 1) i risultati clinici della cura dell'incontinenza (80% di cura e 10% di miglioramento) sembrano comparabili con quelli della chirurgia sovrapubica o della chirurgia vaginale che provveda al restauro dell'amaca fasciale sottouretrale; 2) l'uso di materiale protesico in chirurgia vaginale contaminata non è da considerare privo di rischi, anche se i nuovi materiali a maggiore porosità e fibre ben delineate riduce il rischio delle infezioni che in chirurgia pulita è circa dell'1%; 3) la posizione finale della protesi non è sempre quella che ci aspettiamo: possono verificarsi migrazioni, erosioni ed espulsioni. Noi pensiamo quindi che potremo certamente giovarci dell'apporto delle nuove biotecnologie quando le pazienti siano selezionate con rigidi criteri, ma riteniamo anche che una ricostruzione anatomica del connettivo pelvico sia molto importante per assicurare risultati ottimali. La chirurgia fasciale deve ancora essere non solo meglio conosciuta ma anche correttamente eseguita in casi selezionati da un completo percorso diagnostico, che può favorire scelte integrate di riparazione chirurgica. Il nostro percorso verso la chirurgia fasciale integrale si è svolto attraverso diversi stadi, dapprima con l'acquisizione di tecniche chirurgiche aggiornate facenti riferimento costante all'anatomia fasciale, per poi intuire la necessità, in caso di isterectomia ma anche in caso di chirurgia conservativa nei confronti dell'utero, di riferirsi alla condizione di normalità anatomica che non lascia porte erniarie aperte. Chiariamo subito questo concetto che ci sembra fondamentale: come vedremo dalla descrizione della fascia pelvica, sia pur trattata nei diversi segmenti di appartenenza, esiste nella donna sana una convergenza dell'inserzione fasciale verso l'istmo uterino, anteriormente con l'inserzione della parte pubocervicale della fascia pelvica a livello del setto sopravaginale, posteriormente a livello del peritoneo del Douglas-istmo uterino e, lateralmente, a livello del complesso legamentoso uterosacrali-cardinali (Fig. 2). Segmento anteriore La via vaginale è, a nostro parere, la via elettiva per il trattamento del prolasso uro-retto-genitale. La colporrafia anteriore è stata, e per larga parte è ancora, il trattamento standard del deficit di supporto anteriore. Attualmente questo tipo di chirurgia rappresenta il più empirico degli approcci, ma è considerato semplice, riproducibile, a bassa morbilità ed efficace. Tradizionalmente esistono due modalità di preparazione degli spazi peri-viscerali: la dissezione dello spazio vescico-vaginale, tra fascia pubocervicale e avventizia vescicale, e la preparazione dello spazio setto-vaginale tra fascia pubocervicale e parete epitelio-muscolare della vagina. Nel primo caso la procedura ricostruttiva consente di plicare medialmente la parete muscolo-avventiziale della base vescicale e di escidere la parete vaginale a tutto spessore, fascia pubocervicale compresa, come
raccomandato da D.H. Nichols. Nel secondo caso la plicatura interessa la fascia pubocervicale con escissione dei lembi epiteliali della vagina. Concettualmente non vi è grande differenza tra le due tecniche. Tuttavia, come si vedrà per la tecnica utilizzata presso il nostro centro, la preparazione dello spazio setto-vaginale consente di identificare strutture anatomiche essenziali per la riparazione anteriore. Con la comparsa dell'evidenza del danno da distacco laterale della fascia pubocervicale dalla parete pelvica, la colporrafia mediana anteriore ha smesso di essere considerata una procedura standard. Conserva però il proprio razionale in presenza di deficit centrale. In questo caso una vera e propria lacerazione o perdita di sostanza centrale non è mai stata evidenziata nelle nostre osservazioni. È verosimile che, se il danno si è verificato, la guarigione dello stesso sia avvenuta in modo simile a quanto avviene in caso di laparocele: la sostituzione della fascia originale con connettivo di riparazione più sottile, con conservazione della continuità tissutale, ma perdita della capacità di supporto. La chirurgia riparativa dei singoli difetti, isolati o associati, è senza dubbio razionale, affascinante e gode di credito in diversi Paesi. Dobbiamo altresì riportare che, utilizzando la procedura di Scuola austriaca in vigore nel nostro centro, che non prevede la riparazione dei singoli siti lesionali, la tipologia del difetto si comporta come variabile indipendente nell'analisi delle recidive. In altre parole non vi è correlazione tra i difetti pre e post-operatori. L'unico dato significativo è la scomparsa dei difetti anteriori multipli evidenti prima della chirurgia e la comparsa, nel 13% dei casi, di difetti singoli, laterali mono o bilaterali e centrali, indipendentemente dalla situazione pre-operatoria. Alla fine degli anni '80 ebbe inizio la nostra esperienza con la chirurgia ricostruttiva della fascia pubocervicale basata sull'anatomia e tecnica chirurgica di J. Lahodny (20) (21). Ci apparve subito interessante il concetto di sostituzione della fascia pubocervicale deteriorata con una nuova amaca fasciale che, come vedremo più oltre, si ricava spingendo la dissezione molto più lateralmente rispetto all'esecuzione di una cistopessi classica ed utilizzando strutture fasciali praticamente sempre integre al di sopra delle quali si riposizionerà la fascia pubocervicale sfiancata. Ulteriormente interessante ci apparve l'annullamento della diastasi dei fasci puborettali dell'elevatore con la tecnica descritta dall'Autore. Con la paziente in posizione litotomica vaginale dopo incisione della parete vaginale e scollamento laterale, la fascia pubo-cervicale si evidenzia come una entità unica che ricopre la vescica ma con alcune particolarità che ispirano una chirurgia particolarmente efficace nella riparazione dei difetti della fascia stessa. Questa ricopre la base vescicale e l'uretra con la quale è in stretta connessione e si inserisce lateralmente dapprima sul solco vaginale con un ispessimento che contiene i vasi vescicali inferiori (la lamina vasorum) e più lateralmente si connette con la white line recando nel suo contesto i vasi vescicali superiori. Nel tratto tra le lamine vasorum e la connessione con la pelvi al livello delle linee bianche (lamina membranacea), la fascia giace sull'aponeurosi dell'elevatore. Le due lamine si dipartono l'una dal margine inferiore dell'uretra e l'altra dal margine superiore. La prima termina nel pilastro vescicale, la seconda sulla spina ischiatica. Il tratto di vescica tra le due lamine, triangolare, rappresenta la pars intermedia della vescica e la fascia è ivi sdoppiata in due foglietti, con interposto tessuto adiposo denso il che conferisce notevole robustezza a questo tratto fasciale adatto come un cuscino ad assorbire i traumi pressori. La particolare resistenza è simile a quella di un tubo cavo che è meno facilmente flessibile di un filo di ferro con lo stesso diametro complessivo di metallo. L'utilizzazione di queste strutture laterali che con la sutura delle lamine vasorum si portano al di sotto della vescica e della sua fascia pubocervicale, determina un eccellente supporto a questi organi, restaurando il profilo vaginale anteriore (Figg. 3, 4) in modo perfetto anche quando vi è una profonda alterazione legata ad un cistocele di grado elevato (12). Il punto dove la parete vaginale laterale incrocia l'elevatore è importante non solo per distaccare le lamine vasorum ma anche per la separazione del muscolo puborettale dalla branca pubica ascendente, permettendo la miorrafia ventrale occludente lo iato urogenitale associato con il cistocele. Dopo il distacco delle lamine vasorum e lo scollamento laterale fino all'arco tendineo della fascia pelvica, il dito esploratore può palpare la fascia che termina nella linea bianca. Spostando il dito
verso l'uretra si può apprezzare il legamento pubouretrale posteriore molto resistente e non elastico. L'anatomia chirurgica appena descritta è stata controllata in vivo in corso di cistectomia radicale per neoplasia. Incisa la vagina e scollata la mucosa dalla fascia pubocervicale, separate la lamina vasorum dal solco vaginale e liberata la pars intermedia della vescica, abbiamo posto delle clips di metallo sul decorso della lamina vasorum e sistemato un batuffolino di garza nello spazio tra parte intermedia della vescica ed aponeurosi dell'elevatore risuturando poi la vagina. Durante la laparotomia si è preparato lo spazio del Retzius ed isolata la fascia endopelvica al livello della white line. Aprendo la fascia a questo livello è apparso il batuffolo lasciato in situ per via vaginale e si sono poste altre clips lungo l'intero percorso della lamina membranacea (punto di attacco della fascia alla pelvi) fino alla spina ischiatica ottenendo il completo distacco dell'organo dalla parete pelvica. La visione del pezzo operatorio ha permesso di riconoscere quindi due anelli di sospensione vescicale, a mezzo delle lamine descritte, che permettono l'assorbimento della pressione addominale scaricandola dal bassofondo vescicale verso l'alto sulle lamine vasorum e quindi sulla white line attraverso le lamine membranacee (10). La dissezione che permette di evidenziare queste strutture in corso di chirurgia vaginale non determina di regola sanguinamento. Raramente riscontriamo danni sulla fascia che ricopre la parte intermedia della vescica. Se sono presenti lacerazioni esse rappresentano la conseguenza di una cattiva dissezione e vengono comunque riparate dal distacco del muscolo puborettale e dalla miorrafia ventrale. A metà degli anni '90 alcuni Autori proposero l'impiego di reti sintetiche (Marlex, Prolene) interposte nello spazio vescico-vaginale o setto-vaginale anteriore per la terapia del colpocele anteriore, traendo spunto dai successi della chirurgia protesica per la cura delle ernie della parete addominale. Il tipo di materiale, la sagoma della protesi, il modo e l'opportunità di ancoraggio della stessa sono ancora estremamente variabili e non codificati. Attualmente sembrano prevalere le tecniche transvaginali: da un lato la tecnica "tension-free" che non prevede suture di fissazione e dall'altro la tecnica di ancoraggio della protesi agli ATFP come nella riparazione paravaginale. Si tratta di suggerimenti affascinanti, di cui non conosciamo ancora né gli esiti anatomici a lungo termine, né le complicanze tardive. Riteniamo che al momento attuale questo tipo di chirurgia abbia significato solo nell'ambito di studi clinici o nel trattamento di casi complessi, affetti da multirecidiva o ad alto rischio di recidiva. La possibilità di combinare la chirurgia sostitutiva eterologa con interventi mini-invasivi per IUS (TVT) sembra aprire un nuovo capitolo nella terapia chirurgica delle disfunzioni pelviche. Certezze La riparazione transvaginale rappresenta il metodo più diffuso per la correzione del colpocele anteriore. La colporrafia tradizionale è ancora considerata da molti il gold standard di trattamento. I limiti della metodica riguardano l'indice di cura della IUS, riportato intorno al 60%, la fragilità della ricostruzione in caso di associazione con la colposospensione sacrospinosa della volta vaginale, il rischio di recidiva da mancata riparazione laterale. A nostro parere la colporrafia secondo Lahodny si è dimostrata soddisfacente anche in questi casi e rappresenta la tecnica di prima linea nel trattamento dei difetti anteriori. Controversie La riparazione paravaginale della fascia pubocervicale, resa popolare da Shull, ha suscitato grande interesse in Europa negli ultimi dieci anni. A fronte di un razionale convincente la metodica è risultata non semplice e poco riproducibile. La necessità di procedure o riparazioni multiple a carico del segmento anteriore per ottenere la riparazione integrale dei difetti, comporta difficoltà che non sembrano proporzionate ai risultati ottenuti. Studi clinici non controllati di gruppi italiani non hanno ottenuto risultati altrettanto incoraggianti di quelli riportati da Bob Shull. L'indice di cura della IUS non si è dimostrato superiore a quello della colporrafia tradizionale. L'avvento della TVT ha promosso rapidamente l'integrazione di questa metodica nella chirurgia ricostruttiva per deficit
di supporto associato a IUS. In questa situazione la cura della IUS clinica e latente si è dimostrata superiore alle metodiche tradizionali, con un aumento non trascurabile della morbilità ostruttiva, oltre a quella propria del materiale protesico. Alcuni centri propongono, per questi motivi, di dilazionare la chirurgia anti-incontinenza rispetto a quella ricostruttiva, sia per ridurre al minimo la quota di chirurgia richiesta per IUS, sia per ridurre la morbilità associata. Prospettive L'utilizzo di materiali eterologhi sintetici biocompatibili, di materiali di derivazione animale o di materiale da allo-trapianto, sta rapidamente diffondendosi in molti Paesi d'Europa. Le conoscenze riguardo a queste metodiche hanno ancora bisogno di essere affinate. Recentemente sono comparsi in letteratura studi clinici che si propongono di valutare l'outcome anatomo-funzionale di interventi ricostruttivi mediante impiego di materiali eterologhi di sintesi o di derivazione animale. Dalle prime osservazioni emerge come la recidiva anatomica risulti pressoché assente nei risultati a breve termine, a fronte di un aumento non trascurabile della morbilità, rappresentata soprattutto da infezioni del materiale protesico, necessità di espianto, erosione, dolore cronico, dispareunia. Problemi aperti rimangono inoltre il trattamento delle disfunzioni associate e il rapporto globale costi/benefici dell'impiego del materiale protesico in questo tipo di chirurgia. Il buon successo del materiale eterologo nella riparazione dei difetti della parete addominale ha trasmesso entusiasmo per l'impiego nella chirurgia ricostruttiva pelvica in ginecologia, tuttavia è necessario valutarne il razionale d'applicazione. Accessi misti U. Bologna ha descritto una tecnica vaginale che prevede la dissezione di due benderelle di vagina e fascia dal fornice anteriore all'uretra posteriore, dove vengono lasciate inserite. Le strisce di tessuto vengono poi trasposte attraverso due tunnel para-uretrali attraverso lo spazio prevescicale e suturate alle aponeurosi della parete addominale. L'intervento ha avuto seguito soprattutto in Francia, dove diversi Autori hanno riportato ottimi risultati anatomici. La cura associata della IUS clinica e latente a breve termine è tra le più elevate riportate in letteratura. La comprensione che il restauro anatomico fosse superiore con l'approccio vaginale rispetto alla chirurgia addominale di sospensione e la cura della IUS, al contrario, fosse migliore con la via sovrapubica, ha fatto intraprendere ad alcune scuole l'associazione tra le due vie per conseguire risultati anatomo-funzionali ottimali. La chirurgia di escissione per via vaginale ha confermato i buoni risultati anatomici noti per la via vaginale esclusiva, tuttavia l'approccio misto ha messo in evidenza una maggior morbilità, e di conseguenza criteri di inclusione più limitati, una maggior comparsa post-operatoria di difetti del segmento posteriore, una cura della IUS inferiore alla via sovrapubica esclusiva, il manifestarsi di turbe dello svuotamento vescicale e di infezioni urinarie ricorrenti con frequenza superiore agli esiti delle due vie intraprese separatamente. Attualmente la chirurgia mista non sembra essere un'opzione che goda di ampi consensi. Segmento centrale Per via vaginale sono state descritte e documentate almeno cinque tecniche ricostruttive, tutte accreditate di soddisfacenti esiti anatomici: la sospensione sacrospinosa, la sospensione alla fascia ileococcigea, la sospensione alla fascia endopelvica secondo la scuola della Mayo Clinic, la sospensione sec. McCall con le sue varianti e la sospensione o fissazione all'aponeurosi del muscolo pubo-rettale con la variante nota come "dorsal myorraphy". Qui viene considerata solo la sospensione sacrospinosa per motivi di consistenza numerica delle casistiche. L'intervento descritto da Sederl, diffuso in Europa da Richter e Albright (33) e in USA da Nichols (29) è accreditato da indici di cura ottimali (> 80%). I problemi principali legati alla metodica riguardano una significativa comparsa ex novo o recidiva di difetti di supporto a carico del segmento anteriore, soprattutto se viene associata una riparazione paravaginale o una sospensione ad ago e un rischio aumentato di comparsa di IUS de novo. Sono inoltre documentati incidenti vascolari e neurologici poco frequenti, ma di grave entità. Per altre considerazioni sulla procedura si veda anche il paragrafo "Via addominale". Il confronto tra sospensione sacrospinosa e
sospensione secondo McCall non sembra mettere in evidenza vantaggi significativi tra le due procedure. In letteratura viene generalmente riportato che la chirurgia transvaginale "tradizionale" è gravata da un rischio di indurre disfunzione sessuale nel 20-25% dei soggetti trattati. La tecnica che abbiamo messo a punto di recente per la riparazione del segmento centrale del profilo vaginale è incentrata sulla necessità di non lasciare come precedentemente detto porte erniarie aperte. Ciò potrebbe verificarsi nelle seguenti condizioni: a) presenza di un culdocele: il setto retto-vaginale è sfiancato al suo apice o distaccato dalla sua inserzione (elitrocele); b) presenza di difetto trasversale della fascia pubocervicale con distacco del setto sopravaginale. I due difetti possono coesistere o essere presenti singolarmente. In queste condizioni se si esegue l'isterectomia vaginale al momento della sutura della cupola, le due fasce anteriore e posteriore rimangono escluse dalla sutura o entrambe o una sola mantenendo uno iato aperto. Se l'utero viene lasciato in situ senza curare il difetto presente questo permane anteriormente come posteriormente. La normale connessione dei setti vaginali con l'anello connettivale pericervicale risulta alterato soprattutto in caso di prolasso della volta vaginale post-isterectomia, causata proprio dal mancato ricongiungimento della fascia anteriore e posteriore in sede centropelvica. Alcuni dettagli di tecnica aiuteranno a comprendere meglio la filosofia della "ricostruzione fasciale integrale" in uso nel nostro centro. Dopo l'isterectomia si procede all'isolamento dei margini craniali dei setti vaginali (fascia pubocervicale e setto rettovaginale), che vengono inglobati in una sutura per lato con questa sequenza: parete vaginale antero-laterale, fascia pubo-cervicale, peritoneo anteriore, legamento utero-sacrale, peritoneo posteriore, setto retto-vaginale parete vaginale postero-laterale (Figg. da 6 a 9, sutura di McCall, modificata). Chiusura della cavità peritoneale, sintesi definitiva dei setti vaginali (10). Eventuale colpectomia posteriore a "V" in corrispondenza della volta. In caso venisse repertato un sacco enterocelico, questo verrà isolato ed escisso, sia a livello del cavo di Douglas che della plica vescico-uterina. In caso di pregressa isterectomia potranno essere utilizzate le seguenti tecniche:
volta vaginale di score H.W.S. 2: apertura della volta al termine della colpectomia posteriore come descritto da Nichols, accesso alla cavità peritoneale, isolamento dei setti vaginali e posizionamento di due suture centrali, una craniale ed una più caudale, con VICRYL 1, con la seguente sequenza: legamento utero-sacrale sinistro, sierosa pre-rettale, legamento utero-sacrale destro (sutura di McCall interna), eventuale escissione del sacco enterocelico e chiusura della cavità addominale. Nel caso non sia possibile accedere alla cavità addominale, i legamenti utero-sacrali verranno repertati per via extraperitoneale. I margini caudali dei setti vengono suturati tra loro mediante i capi liberi delle suture di McCall interne e quelli della sutura peritoneale. Sutura orizzontale della volta a punti staccati; volta vaginale di score H.W.S. > 2: l'intervento di elezione è la sospensione della volta vaginale al legamento sacrospinoso destro con due suture a lento riassorbimento. In casi selezionati eseguiamo la fissazione sacrospinosa bilaterale indiretta mediante interposizione di materiale eterologo sagomato a T. La colpotomia d'accesso potrà essere la stessa descritta nel paragrafo precedente, oppure un'incisione a "T" con braccio orizzontale in corrispondenza della cicatrice della pregressa isterectomia. I setti vaginali verranno suturati tra loro, ma non ancorati ad altre strutture di sostegno. Le due braccia della protesi sono ancorate ai legamenti sacrospinoso e centralmente solidarizzati alla cupola vaginale. I margini laterali della protesi vengono ancorate all'aponeurosi del muscolo ileo-coccigeo, il margine caudale all'apice del corpo perineale. La chiusura della cavità addominale e il trattamento dell'enterocele seguiranno le stesse modalità descritte in precedenza. Al termine di questa opzione la volta viene suturata in senso longitudinale.
Risultati I risultati complessivi a breve termine riguardanti una serie limitata di pazienti sono più che soddisfacenti considerando che gli insuccessi nel passato riguardavano prevalentemente il profilo centrale e posteriore. Attualmente in una casistica di 43 pazienti operate, 20 hanno superato il controllo ad un anno senza che si siano evidenziate recidive anatomiche o disfunzionali. I risultati sul profilo anteriore si sono mantenuti eccellenti malgrado la necessità di una nuova learning curve nella nuova sede operativa precedente l'attuale, con un 86% di risultati anatomo-funzionali positivi. Nella casistica di chirurgia integrale ricostruttiva più recente riferita alle 43 pazienti di cui sopra, il tasso di cura complessivo ad un anno per i tre segmenti interessati è praticamente del 100%. Occorre naturalmente un follow-up di maggior durata per la valutazione definitiva ma sembra abbastanza evidente che la filosofia di approccio integrale può essere premiante come si intravede anche dal recente lavoro di Shull (36) sui risultati ottenuti con tecnica sovrapponibile. Certezze Non è possibile identificare un gold standard di trattamento. La colposospensione sacrospinosa è stata a lungo considerata la tecnica più efficace per il trattamento transvaginale del prolasso della volta vaginale. I potenziali rischi correlati all'intervento, la retroversione dell'asse vaginale e la dispareunia ne hanno ridotto l'impiego. Riteniamo che la fissazione sacrospinosa mantenga un ruolo importante nel trattamento del prolasso della volta vaginale di grado elevato o dopo recidiva di altre procedure. In corso di isterectomia sembrano efficaci tutte le tecniche che prevedono l'ancoraggio della volta vaginale ai legamenti utero-sacrali o a porzioni della fascia endopelvica. Controversie Il punto di maggiore controversia riguarda probabilmente l'opportunità di procedere sistematicamente all'isterectomia. Nel nostro centro valutiamo l'eventualità di conservare l'utero nelle pazienti di età < 40 anni e > 70 anni, previa negatività dell'istologia endometriale, o quando la donna ne faccia specifica richiesta, in assenza di patologia genitale diversa dal deficit di supporto. Eseguiamo elettivamente la sospensione sacrospinosa mono o bilaterale all'istmo uterino, posteriormente, dopo aver ripristinato, se necessario, la continuità fasciale tra margine craniale del setto retto-vaginale e l'istmo stesso. Prospettive Papa Petros ha proposto l'impiego del dispositivo IVS (Intra Vaginal Sling), ideato per la terapia mini-invasiva della IUS, per la procedura di sospensione della volta vaginale denominata ICS (Infra Coccigeal Sling). Dopo aver preparato le fosse pararettali bilateralmente, per via percutanea, viene posizionato il nastro di prolene con tecnica tension-free. La porzione centrale del nastro viene suturata al corion vaginale. Pur essendo teoricamente a rischio per lesioni rettali intra-operatorie, la tecnica sta riscuotendo entusiasmo presso numerosi centri. Rispetto alla sospensione sacrospinosa è stata valutata più semplice, meno rischiosa, senza introdurre distorsioni dell'asse vaginale. La Dorsal Myorraphy consiste in un unico punto di sutura che, dopo colpotomia posteriore e preparazione delle fosse para-rettali, comprende la parete vaginale da un lato in prossimità della volta, il pilastro rettale e il muscolo puborettale omolaterale, l'avventizia del retto, muscolo e pilastro dal lato opposto e parete vaginale. Sembra di notare che la chirurgia del segmento centrale si stia muovendo verso metodiche semplici e riproducibili, di cui tuttavia non è ancora nota l'efficacia a lungo termine e la morbilità associata. Segmento posteriore La colporrafia posteriore associata a miorrafia dorsale del muscolo elevatore è, probabilmente, l'intervento più antico nella storia della chirurgia vaginale. In una nostra ampia revisione critica dei risultati della ricostruzione anatomica posteriore, la metodica è sempre risultata descritta nei casi trattati, anche in associazione a procedure moderne o innovative utilizzate per il trattamento degli altri segmenti. Una chirurgia di escissione vaginale viene proposta da Nichols negli anni '70 come terapia dei danni da deficit di supporto del setto retto-vaginale. Milley e Nichols (27) chiarirono bene le inserzioni inferiore e superiore del setto stesso a livello rispettivamente del corpo perineale
e a livello del peritoneo del cavo di Douglas verso l'istmo uterino e il complesso legamenti cardinali-uterosacrali. La chirurgia di riparazione, muovendo dal razionale di Baden e Walker, ha trovato nei contributi di Richardson una diffusione definitiva anche in Europa con la descrizione della topografia dei siti lesionali della fascia posteriore e, in particolare, la possibilità di suturare il margine laterale del setto retto-vaginale all'aponeurosi del muscolo ileococcigeo (posterior with line) in caso di difetto laterale. Nella nostra esperienza le lesioni più frequenti del setto sono quelle trasversali al terzo inferiore della vagina con rettocele basso ed il distacco superiore dai legamenti uterosacrali e cardinali con conseguente rettocele medio o alto associato a culdocele (Fig. 5). Le lesioni longitudinali ed i distacchi laterali sono nella nostra esperienza meno frequenti. Noi pensiamo che si debba fare una distinzione tra culdocele ed elitrocele. II culdocele è legato a nostro avviso ad un Douglas ampio, con setto retto-vaginale presente ma indebolito laddove nell'elitrocele è presente discontinuazione del setto retto-vaginale dall'istmo uterino e dal Douglas ed anse intestinali protrudono tra parete vaginale e setto retto-vaginale. Ricordiamo che la protrusione di anse tra setto retto-vaginale e parete rettale prende il nome di edrocele. Per la sospensione vaginale e addominale si veda quanto detto nel paragrafo "Segmento Centrale". Qui preme sottolineare soprattutto la possibilità di confronto tra una chirurgia transvaginale nelle proposte delle varie Scuole e la chirurgia transanale oggi, di esclusiva competenza colo-rettale. Molta attenzione finora è stata posta dal ginecologo al problema della disfunzione uretro-vescicale, ma non altrettanto alle turbe della funzione retto-anale. In particolare il sintomo defecazione ostruita (DO), che compare frequentemente nelle pazienti affette da disfunzione pelvica, è stata poco studiata in ambito ginecologico. La letteratura ginecologica in questo settore è scarsa e controversa. Da un lato Mellgren et al. (24) in uno studio prospettico non controllato riportano indici di cura della DO superiori all'80% con la chirurgia transvaginale tradizionale, d'altra parte il gruppo di Stanton segnala il peggioramento complessivo della funzione ano-rettale dopo chirurgia transvaginale. In una serie personale di 83 pazienti con follow-up di 5 anni e trattate con colpoperineoplastica secondo Nichols, la cura della DO è risultata del 42,4%. La letteratura colonproctologica ha segnalato diverse ipotesi patogenetiche del rettocele, individuando la sede anatomica del danno primitivo nel contesto della sottomucosa rettale (Block), della parete muscolare liscia (Sarle), del setto retto-vaginale (Kubchandani), o nella diastasi della porzione dorsale dei muscoli puborettali (Shepayack). Tutti gli Autori citati riportano serie cliniche con un indice di cura della DO > 80%. Sembra che la cura anatomica del segmento posteriore non sia sufficiente a curare il sintomo DO. Alcuni eventi patogenetici diversi da rettocele possono contribuire alla comparsa della DO (prolasso mucoso occulto, intussuscezione retto-anale, sigmoidocele, aumento della compliance rettale, riduzione della sensibilità, anismo, alterazioni del transito, qualità delle feci). Lo studio della funzione ano-rettale pre-operatoria, la selezione delle indicazioni chirurgiche e la possibilità di trattare consensualmente per via transanale cause di DO concomitanti al rettocele, aprono oggi un nuovo settore di ricerca e di comportamento. Da segnalare la possibilità di eseguire una prolassectomia mucosa per via transanale, comprendendo anche la parete muscolare a tutto spessore, con una suturatrice meccanica. L'intervento mini-invasivo sembra conseguire ottimi risultati sia anatomici che funzionali. La chirurgia transanale, indicata solo nei casi di rettoceli bassi (massimo 6-7 cm dalla rima anale) sintomatici (senso di peso perineale, DO) non controindica altri interventi chirurgici per via vaginale eseguiti su segmenti diversi del profilo vaginale e sembra modificare parametri funzionali (sensibilità, compliance, motilità riflessa) del tratto ano-rettale, non coinvolti dalla chirurgia vaginale. Infine la chirurgia protesica è oggetto di studi clinici con gli stessi punti di interesse e i limiti esposti per il segmento anteriore. Esperienza personale
Tecnica operatoria Escidiamo una losanga di tessuto cutaneo-mucoso dal corpo perineale verso la parte alta della vagina isolando il setto retto-vaginale. Introducendo il dito indice della mano sinistra, suturiamo eventuali lacerazioni trasversali o longitudinali e ricolleghiamo il limite superiore del setto rettovaginale alla fascia pubocervicale preventivamente isolata dalla parete vaginale anteriore, coinvolgendo nelle suture i legamenti uterosacrali e le pareti vaginali anteriore e posteriore. In assenza di tessuti robusti utilizziamo materiale protesico a copertura delle aree prive di rivestimento fasciale. Naturalmente vengono effettuati gli interventi complementari richiesti dai difetti presenti. L'intervento viene completato con miorrafia dell'elevatore dorsale e perineorrafia. La tecnica di riparazione suesposta per il profilo posteriore, in parte basata sulle ricerche di Richardson e sulla tecnica di dissezione di Nichols, rappresenta una metodica sicura che migliora i sintomi accusati dalla paziente ed in quasi tutti i casi garantisce migliori risultati della classica rettopessi. I nostri risultati anatomici pregressi, per quel che riguarda i difetti isolati del setto rettovaginale, mostrano un tasso di cura a 5 anni del 92,7%. Il ripristino anatomico nella maggioranza dei casi è completo. Ci sembra molto importante la bassa incidenza di dispareunia postoperatoria. Solo il 2% delle pazienti infatti accusa un dolore ai rapporti "de novo". La considerazione che solo il 42,4% delle pazienti è curata per il sintomo "defecazione ostruita", ci ha indotti in presenza di questo sintomo ad esplorare la possibilità di presenza di prolasso mucoso del retto che richiede una contemporanea riparazione transvaginale e transanale. I risultati preliminari appaiono incoraggianti in una piccola serie di pazienti con defecazione ostruita e rettocele. Certezze Il segmento posteriore è quello accreditato di indici di cura più elevati in letteratura. In queste serie viene riportata la riparazione eseguita tramite colporrafia posteriore, miorrafia posteriore dell'elevatore e plastica del diaframma urogenitale. In ambiente coloproctologico la miorrafia posteriore con accesso trans-perineale è la tecnica di prima scelta per la terapia del rettocele alto. Nella nostra esperienza la miorrafia dorsale, eseguita ad almeno 5 cm cranialmente rispetto all'introito vaginale, rappresenta una delle soluzioni più solide e a basso rischio nella riparazione posteriore. Controversie La comparsa di dispareunia post-operatoria (7) (15) e la scarsa cura dei sintomi ano-rettali associati hanno ridotto la diffusione della miorrafia dorsale del muscolo puborettale. Nichols per primo raccomandava di non comprendere nelle suture il tessuto muscolare del pavimento pelvico. Analogamente a quanto accaduto per la fascia pubocervicale, alcuni centri hanno intrapreso una chirurgia esclusivamente fasciale del setto retto-vaginale. I risultati, con i limiti degli studi non controllati, dimostrano una riduzione della dispareunia, una cura dell'anatomia sovrapponibile a quello della chirurgia tradizionale, ma un impatto poco favorevole sui sintomi ano-rettali. Dal punto di vista della riparazione anatomica è verosimile che la chirurgia transvaginale abbia il vantaggio di consentire la ricostruzione di tutti i difetti del profilo vaginale e, in particolare, la correzione del rettocele alto e di un enterocele eventualmente associato. L'utilizzo della miorrafia del muscolo elevatore induce disfunzione sessuale in un numero non trascurabile di pazienti, senza comportare probabilmente una riduzione significativa delle recidive anatomiche rispetto alla chirurgia di riparazione fasciale. Quest'ultima, pur essendo poco rappresentata in letteratura, sembra infatti consentire buoni risultati anatomici senza indurre disfunzione sessuale. La chirurgia transvaginale sembra avere un impatto poco significativo sui sintomi ano-rettali,
indipendentemente dalla tecnica utilizzata. Prospettive La chirurgia transanale ha come indicazione elettiva la riparazione del rettocele basso di piccole dimensioni, associato a turbe della defecazione. I risultati riportati dimostrano una buona regressione dei sintomi. Recentemente, Longo ha introdotto una tecnica di resezione rettale transanale mediante impiego di suturatrice meccanica circolare, con buoni risultati anatomofunzionali. La tecnica ha il suo razionale nella terapia della soluzione di continuo dello strato muscolare della parete rettale e del prolasso mucoso occulto associato. Negli ultimi anni la definizione di una patologia intrinseca del connettivo fasciale, ha promosso l'impiego di materiali di derivazione sintetica o biologica per la riparazione dei deficit di supporto pelvico. I risultati conseguiti con queste metodiche comportano mediamente un indice di cura anatomica superiore a quello delle tecniche tradizionali a fronte di un aumento della morbilità. Per la cura primaria del rettocele è verosimile che la chirurgia transvaginale conservi la propria attualità grazie alla semplicità di esecuzione, riproducibilità e bassa morbilità. La chirurgia transanale sembra avere il miglior impatto sui sintomi ano-rettali. La chirurgia combinata transvaginale e transanale rappresenta un'opzione interessante ma implica l'acquisizione di competenze multidisciplinari. La tecnica descritta da Longo, confinata per ora in ambito coloproctologico, necessita di studi più ampi. Le recidive Il trattamento delle recidive del difetto di supporto pelvico è uno degli argomenti più controversi e poco definiti della letteratura ginecologica. L'esame delle patogenesi nota dei difetti di supporto mette in evidenza eventi patogenetici multipli, ognuno riconducibile a fattori eziologici diversi e ad espressione variabile, condizionati probabilmente da elementi genetici ed ambientali non ancora definiti. L'insufficienza e la complessità di queste conoscenze è forse la causa principale della mancanza di una proposta terapeutica semplice ed efficace. È importante riconoscere preoperatoriamente il numero, il tipo e la gravità dei difetti di supporto per pianificare il tipo di chirurgia. L'esperienza dell'operatore, il tipo di pregressa chirurgia, le turbe funzionali associate, la qualità intrinseca dei tessuti, la lunghezza ed il calibro vaginale, l'età della donna sono le variabili principali che possono modificare la scelta del materiale di sutura e di supporto da impiegare, la tecnica e la via d'accesso da utilizzare. La recidiva o la comparsa ex novo di disfunzione pelvica associata a recidiva anatomica rappresenta in genere, quando presente, l'indicazione principale dell'intervento e merita un workup diagnostico specifico e diversificato caso per caso. Opzioni terapeutiche Ogni caso può avere storia a sé stante e, di fatto, merita un'analisi del cedimento dei siti di supporto in relazione al pregresso trattamento. Possiamo diversificare le seguenti principali situazioni cliniche: recidiva dopo chirurgia conservativa (ad esempio, operazione di cistopessi e rettopessi classica). In genere viene eseguito come primo tempo l'isterectomia. L'asportazione dell'utero, tuttavia, non è più considerata d'obbligo, soprattutto nella donna al di sotto dei 40 o al di sopra dei 70 anni. In questi casi in alternativa alle tecniche tradizionali di riparazione del segmento centrale dopo isterectomia (sospensione sacrospinosa della volta vaginale, culdoplastica secondo McCall, sospensione prespinosa) proponiamo la sospensione dell'istmo uterino al legamento sacrospinoso ed il ricongiungimento dei setti distaccati all'istmo uterino. In caso d'isterectomia, invece, eseguiamo la sutura dei margini craniali dei setti vaginali anteriore e posteriore unitamente ai margini vaginali per la cura del difetto trasversale e la prevenzione dell'ernia del cavo del Douglas
come già riferito. Nel caso in cui sia indicata solo la riparazione dei segmenti centrale e posteriore, è possibile ancorare il margine superiore del setto rettovaginale alle suture del complesso legamenti cardinali-uterosacrali e alle suture di McCall interne. Noi chiamiamo questo tipo di chirurgia "chirurgia fasciale integrale" a significare la completa sintesi dei vari elementi fasciali volta a chiudere lo iato pelvico ed a restituire al gioco della pressione endoaddominale un pavimento pelvico senza "finestre" erniarie.
LA TERAPIA DEL PROLASSO E. Imparato • G. Baudino Struttura di Ginecologia e Ostetricia, IRCCS "S. Matteo", Pavia
Testo articolo Bibliografia Tabelle Fig. 1 Paravaginal repair: sutura della fascia endopelvica alla white line (da Baden WF, Walker T. Surgical Repair of Vaginal Difects. Philadelphia: J.B. Lippincott Co. 1992)
Fig. 2 In nero è ben visibile la confluenza dei singoli foglietti fasciali sull’anello pericervicale (da Nichols DH, Randall CL. Vaginal Surgery. Fourth Edition. Williams & Wikins 1989)
Fig. Sutura delle lamine vasorum
3
Fig. Effetto della sutura
4
Fig. Sutura di lacerazione trasversale del setto retto vaginale
Figg. Sutura di vagina, setto retto vaginale e legamento uterosacrale
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6-7
Figg. Inclusione nella sutura di fascia pubocervicale e parete vaginale anteriore
8-9
TERAPIA CHIRURGICA DEL PROLASSO ASSOCIATO AD INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO M. Moscarini • M. Di Stefano Università di Roma "La Sapienza", II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Ostetricia e Ginecologia, Policlinico "Sant'Andrea"
Testo articolo Bibliografia Tabelle Introduzione Il prolasso genitale e l'incontinenza urinaria da sforzo, rappresentano l'espressione di alterazioni anatomo-funzionali, sia congenite che acquisite, delle strutture fasciali, muscolari e nervose del pavimento pelvico. Il National Center for Health Statics ha stimato in 400.000 le procedure chirurgiche eseguite annualmente per il trattamento dei disordini dei supporti pelvici (1). Il 40,1% di queste procedure interessano il compartimento vaginale anteriore, il 15,6% il compartimento vaginale anteriore e posteriore, il 18% tutti i compartimenti (anteriore, medio e posteriore). L'incontinenza urinaria è solo una delle manifestazioni del prolasso pelvico che richiede un trattamento contemporaneo agli altri disordini strutturali pelvici per evitare ricorrenze o scarsi risultati terapeutici (2) (3). Da sempre la chirurgia è considerata il gold standard nel trattamento del prolasso genitale e incontinenza urinaria femminile. L'obiettivo chirurgico è quello di restaurare sia un sostegno coordinato delle strutture che partecipano all'equilibrio anatomo-funzionale pelvico, sia di ristabilire la continenza urinaria. A tal fine è necessaria una adeguata conoscenza di quelle componenti altamente specializzate responsabili dell'unità funzionale del pavimento pelvico che, in un sistema integrato dinamico, producono gli effetti del sostegno pelvico e della continenza urinaria. Iter terapeutico La scelta sul tipo di chirurgia da adottare per la correzione del prolasso degli organi pelvici e/o dell'incontinenza urinaria è una delle più difficili sfide che si trova ad affrontare il chirurgo che si interessa di uroginecologia e pavimento pelvico. Le procedure adottate per ogni caso non sono mai singole, poiché dirette alla riparazione di differenti tipi di difetti e patologie associate, tali da richiedere approcci estremamente diversificati in cui gioca un ruolo importante l'esperienza acquisita dal singolo operatore. Rimane quindi ancora valido il concetto secondo il quale una volta selezionato il paziente da indirizzare alla chirurgia, bisogna operare una scelta rigorosa e scientifica sul tipo di intervento più appropriato per quel tipo di paziente. I disturbi più frequenti lamentati sono causati dalla protrusione dei visceri pelvici e dai sintomi urinari. Un gran numero di donne affette da questa patologia, frequentemente riportano all'anamnesi sintomi di incontinenza urinaria scomparsa con l'aggravarsi del prolasso, dovuto al fenomeno del ripiegamento uretrale (Kinking effect), ampiamente descritto in letteratura. Tale fenomeno che può associarsi ad una pressione di chiusura uretrale bassa o normale, richiede la messa in atto di test diagnostici di slatentizzazione, realizzabili attraverso l'uso di pessari, tamponi montati (4) ecc. Sintomi del basso apparato urinario che possono associarsi a un prolasso genitale sono sintomi di urgenza, frequenza, nicturia, minzione ostruita. La selezione delle pazienti deve passare attraverso la raccolta dei dati anamnestici in grado di fornire informazioni sui fattori di rischio, oltre che su un meticoloso esame fisico, che include una valutazione anatomo-funzionale di tutte le strutture in esame; inoltre, non da ultimo, un'adeguata valutazione neurologica. Tra le indagini strumentali l'urodinamica e l'esame ecografico pelvi-perineale e renale vengono da noi considerati esami routinari, particolare attenzione ed importanza viene dato all'esame urodinamico soprattutto in presenza di sintomi del basso apparato urinario o di recidiva di incontinenza e prolasso (4) (5). Non è da trascurare attraverso esami come la defecografia, la manometria ano-rettale, l'ecografia transanale, lo studio elettrofisiologico di latenza del nervo
pudendo, in pazienti che riferiscono sintomi anorettali (incontinenza fecale e/o prolasso rettale). Estremamente importante è l'informazione data alle pazienti circa: il tipo di chirurgia, complicanze, esiti funzionali a breve e lungo termine, recidive, soprattutto nel caso di pazienti anziane o nell'utilizzo di materiali sintetici. In queste ultime due condizioni l'alto rischio dovuto a problematiche cliniche e di biocompatibilità impongono condotte prudenti basate, non solo sull'esperienza e preferenza del chirurgo, ma anche sulle scelte informate della paziente. Molteplici fattori possono influenzare l'esito della chirurgia ricostruttiva per incontinenza e prolasso: stato ormonale, obesità, attività lavorativa, attività sportiva, malattie croniche polmonari, stipsi, fumo, denervazione pelvica, esposizione a radiazioni per malattie neoplastiche, esiti cicatriziali da pregressi interventi in caso di recidive. Un ruolo importante è da attribuire alla struttura quali-quantitativa del connettivo pelvico che gioca un ruolo predominante nella patologia, in modo particolare in pazienti con forte familiarità per prolasso e SUI ( stress urinary incontinence) e in quelle sottoposte a reintervento per recidiva (6)-(8) (Tab. I). Obiettivi principali della chirurgia pelvica ricostruttiva per incontinenza e prolasso Nella chirurgia ricostruttiva pelvica sono stati individuati sei obiettivi perseguibili: restituzione e mantenimento della funzione urinaria e/o fecale, riposizione anatomica delle strutture pelviche, mantenimento di una normale funzione sessuale, correzione di coesistenti patologie pelviche, eliminazione di sintomi anormali, ottenimento di risultati duraturi (9), prevenzione dell'acquisizione o dell'espressione di nuovi difetti nei supporti pelvici o di nuovi problemi viscerali o sessuali, prevenzione sul bisogno di nuovi interventi ricostruttivi per incontinenza e prolasso (10) (Tab. II). Una valutazione su larga scala relativa all'isterectomia evidenzia come il 70-80% delle stesse vengono eseguite attraverso un approccio addominale (11), la sola eccezione si ha nel prolasso utero-vaginale dove la via vaginale è normalmente preferita (12). In presenza di prolasso urogenitale, isterectomia e correzione chirurgica dell'incontinenza urinaria da sforzo impongono scelte non sempre condivisibili sulla via da seguire. Da sempre lo sforzo dei chirurghi è stato quello di conciliare il vantaggio di tecniche vaginali per il prolasso, in termini di correzione dei difetti pelvici e minore aggressività (13), con soluzioni correttive vaginali o miste per l'incontinenza urinaria. Purtroppo l'approccio vaginale della SUI ha dato risultati che si sono dimostrati sempre inferiori rispetto a quelli ottenuti con tecniche eseguite per via addominale. I trattamenti chirurgici della SUI e dei prolassi, sono stati di volta in volta profondamente influenzati dall'acquisizione di nuove conoscenze, relative all'anatomia funzionale del pavimento pelvico e ai meccanismi della continenza urinaria, che hanno portato all'adozione di innumerevoli soluzioni il più delle volte sperimentali e con effetti a lungo termine spesso deludenti. Il crescente interesse per il settore uroginecologico e del pavimento pelvico, supportato dalle previsioni su tale problematiche nel prossimo futuro, è testimoniata dalla notevole mole di lavori pubblicati. Tuttavia da una valutazione attenta si evince la complessità della patologia in esame e la difficoltà, propria della chirurgia funzionale. Tante soluzioni, spesso declamate come ottimali, nel tempo sono finite nel dimenticatoio; tanto che di esse si è persa ogni traccia in letteratura. Negli interventi vaginali per prolasso urogenitale il tempo dell'isterectomia, ormai ben codificato, può essere considerato "un tempo propedeutico" alla correzione dei difetti pelvici e al ripristino della continenza. Estremamente importante è l'attenzione con cui vengono preparate e individuate quelle strutture che potranno costituire un buon supporto per ancorare la vagina e ridurre nello stesso tempo lo hiatus del diaframma pelvico. Asportato l'utero, estremamente importante è la riparazione di un eventuale elitrocele eseguita attraverso una riduzione del "cul de sac" peritoneale e l'aggancio della vagina ai legamenti utero sacrali secondo tecnica di McCall. Ugualmente importante l'aggancio della vagina alle altre strutture legamentose "legamenti infundibulo-pelvici e rotondi". La realizzazione di adeguati sostegni vaginali ha lo scopo di prevenire il descensus della cupola vaginale. Difetti anatomici della parete vaginale anteriore Ipermobilità del collo vescicale e dell'uretra prossimale è solo una delle manifestazioni del prolasso
della parete vaginale anteriore. Gli studi di Richardson (14) e più recentemente quelli di De Lancey (15) hanno permesso una migliore comprensione dei rapporti tra organi endopelvici e strutture connettivo-ligamentose della fascia endopelvica in chiave anatomo-funzionale. Richardson identifica 4 aree in cui la fascia pubo-cervicale può subire danni con la relativa comparsa di uretrocistocele:
nel difetto paravaginale la fascia pubocervicale risulta staccata nel punto di inserzione alla fascia del muscolo otturatore interno, tale condizione si associa spesso alla comparsa di SUI; nel difetto trasversale il distacco della fascia pubocervicale avviene nel punto di inserzione alla fascia pericervicale con frequente comparsa di cistocele da distensione; nel difetto centrale si ha una rottura della fascia nella zona centrale a cui segue la perdita dell'angolo uretro-vescicale con comparsa di SUI; nel difetto del legamento pubo-uretrale si assiste a una dislocazione dell'uretra sotto la sinfisi con conseguente SUI.
Non vi è univoco accordo nella valutazione clinica dei difetti fasciali. Inoltre, la discrepanza, rinvenuta nel confronto fra valutazione clinica preoperatoria e intraoperatoria dei difetti della parete anteriore (16) (17), ha ribadito l'importanza e la necessità della valutazione clinica intraoperatoria. In presenza di un cistocele associato a uretrocele e SUI, vengono adottati interventi eseguiti per via vaginale, addominale, addomino-vaginale o laparoscopici, che riducono o sollevano la fascia pubo-cervicale riposizionando la parete vaginale anteriore in sede anatomica e che correggono l'incontinenza urinaria. La scelta sulla via da seguire dipende dal grado di descensus della parete vaginale anteriore, dal grado della SUI, dall'età, condizioni cliniche e aspettative della paziente, dalla patologia uterina associata. Terapia chirurgica Cercheremo di affrontare il complesso problema della terapia chirurgica del prolasso genitale associato a incontinenza urinaria, seguendo l'evoluzione storica delle tecniche chirurgiche adottate per la SUI, con particolare riferimento al trattamento del descensus della parete vaginale anteriore, facendo alcuni cenni su alcune delle problematiche legate a tali interventi. Le tecniche chirurgiche proposte per la SUI e prolasso genitale hanno subito notevoli modifiche in accordo con le acquisizioni fisiopatologiche del problema. La prima procedura proposta da Kelly nel 1911 prevedeva una colporrafia anteriore con plicatura dell'uretra (18), tale tecnica nel 1937 è stata ripresa e modificata da Kennedy. Più di recente la duplicatura periuretrale secondo Kelly è stata sostituita dalla uretropessi secondo Nichols. Tali tecniche, il cui scopo è originariamente quello di fornire attraverso un approccio vaginale un sostegno al descensus vescicale, danno risultati sulla continenza strettamente dipendenti dalla gravità del prolasso e dalla durata dei follow-up. Infatti le percentuali di guarigione nella cura di uretrocistoceli di I grado che sono del 96%, scendono al 30-40% in quelli di II grado (19), e a valori dall'84 al 37% a 5 anni (20). In considerazione degli scarsi risultati ottenuti sull'incontinenza questi interventi vengono spesso eseguiti in associazione ad altre tecniche. La colporrafia anteriore, associata alla plicatura secondo Kelly, è stata la procedura più comune per la riparazione del cistocele: efficace nel cistocele da difetto centrale, non è però in grado di riparare il difetto vescicale laterale, l'ipermobilità uretrale e la patologica separazione dei legamenti cardinali (21). Un ulteriore sviluppo nella terapia chirurgica della SUI si ebbe nel 1949 con l'intervento di Marshall-Marchetti-Krantz (M-M-K) , cui seguirono la procedura di Burch nel 1961 e la tecnica del Paravaginal repair descritta da Richardson nel 1976. L'elemento che contraddistingue le prime due tecniche eseguite per via addominale è sicuramente il mantenimento dei risultati nel tempo, tanto che ancora oggi la colposospensione retropubica secondo Burch viene considerata il gold standard nella cura della SUI, con risultati superiori all'80% tra 5 e 10 anni e compresi tra il 55-69% a 1020 anni (20). Il principio della colposospensione secondo Burch è il sollevamento retropubico della regione cervico uretrale. Nonostante i buoni risultati sull'incontinenza, l'approccio sovrapubico, non viene da tutti condiviso a causa delle potenziali complicanze (effetto ostruente, instabilità vescicale
ecc.), degli scarsi risultati nella cura dei prolassi della parete anteriore (prevalentemente da deficit centrale e laterale) (21) e della possibilità di destabilizzazione del pavimento pelvico. La modificazione dell'asse vaginale prodotta con la Burch è un reale fattore di rischio per prolasso post-operatorio (22). Inoltre, in presenza di prolasso, sono necessarie tecniche correttive in associazione alla colposospensione (22), eseguibili per via addominale (Tab. IIIb) e che possono richiedere la necessità di un approccio combinato addomino-vaginale (23) (24). Burch per primo ha riportato che la fissazione ventrale della vagina predispone la donna allo sviluppo dell'enterocele (25) soprattutto in presenza di un danno delle strutture pelviche. Un ulteriore passo in avanti si ebbe con l'introduzione di tecniche transvaginali; nel 1959 Pereyra descrisse la prima "Transvaginal Bladder Neck Suspension" gettando le basi per ulteriori modifiche eseguite da Stamey, Raz, Gittes e Loughlin e altre ancora. Tutte queste tecniche, note come mininvasive, hanno come scopo il sollevamento della regione cervico-uretrale in presenza di ipermobilità uretrale. Differiscono tra di loro per estensione della dissezione periuretrale, uso di materiali, localizzazione e numero di suture usate per supportare i tessuti periuretrali, tipo di aghi ( 26). Tra le modifiche che hanno ottenuto maggiore popolarità ricordiamo la variante di Stamey e quella proposta da Raz nel 1981. Nell'intervento di Raz si possono individuare due principali peculiarità: l'ampio scollamento dello spazio del Retzius e il posizionamento di una tripla elicoide in prolene lateralmente al collo vescicale al fine di dare maggiore solidità e durata alla sospensione. Una variante di questa tecnica descritta sempre da Raz nel 1989 è la "four corner needle suspension" che, secondo l'autore, è in grado di correggere sia la SUI che cistoceli di grado elevato (27). Nonostante i buoni risultati ottenuti a breve termine, anche di questa tecnica si sono perse le tracce per gli effetti non ottimali a medio e lungo termine. Il fine delle sospensioni ad ago è quello di ottenere la sospensione del collo vescicale attraverso un approccio vaginale mini-invasivo. Di fronte a buoni risultati a follow-up brevi del 70-80% si passa a percentuali di cura del 43% a 5 anni fino ad arrivare al 6% a 10 anni (28). Diversi fattori preoperatori sono stati indagati, ma non si sono dimostrati validi come predittivi a lungo termine; l'insuccesso di tali sospensioni è stato attribuito al cedimento delle strutture di ancoraggio periuretrali che hanno vanificato anche tentativi di tecniche di ancoraggio all'osso. Il principio secondo il quale le procedure di colposospensione e le "Bladder Neck Suspension" sollevano il collo vescicale, ma non forniscono un addizionale supporto suburetrale, ha portato all'introduzione delle tecniche di sling e al delinearsi dell'importanza dell'uretra nei meccanismi della continenza urinaria. Le sling dovrebbero avere la capacità sia di riposizionare la vescica che di provvedere a rinforzare i meccanismi di supporto suburetrali; nate inizialmente per il trattamento dell'incontinenza urinaria da insufficienza sfinterica uretrale, sono state estese alle incontinenze di tipo I e II, risolvendo così anche situazioni caratterizzate da ipermobilità uretrale. Differenti materiali sono stati utilizzati per costruire lo sling quali: parete vaginale anteriore, muscolo e fascia autologa (fascia lata, fascia dei retti, muscolo gracile), fascia cadaverica e sostanze sintetiche come mesh in nylon e polipropilene. Raz nel 1989 ha presentato la sling vaginale che utilizza un lembo di parete vaginale anteriore per il trattamento dell'incontinenza urinaria di II e III tipo (29). Uno degli interventi di sling più usato è stato lo sling pubo-vaginale di McGuire (e successive modifiche) che utilizza, per confezionare lo sling, la fascia dei retti. Elemento importante è la possibilità, in presenza di prolasso, di associare ad essa altre procedure vaginali correttive, quali quelle per la riparazione di cistocele, rettocele, isterectomia, prolasso della volta vaginale, uretrolisi. Nel 1997, l'American Urologic Association and the Female Stress Urinary Incontinence Clinical Guidelines Panel, ha affermato che le procedure di sling e quelle di sospensione retropubica sono i più efficaci trattamenti chirurgici dell'incontinenza urinaria femminile (30). Nello stesso rapporto
viene riportato che mentre le sospensioni retropubiche e le sling hanno una percentuale di cura rispettivamente dell'84 e 85%, le bladder neck suspension solo del 67%. Si conclude nello stesso rapporto che le procedure più efficaci sono gravate da maggiore morbilità. Le principali complicanze di tali interventi sono da ascrivere principalmente all'eccessiva tensione data allo sling dall'operatore. Esse consistono in instabilità detrusoriale, riportata nell'11% delle sospensioni retropubiche e nel 7% delle sling; ritenzione urinaria prolungata (> 4 settimane) presente nel 5% delle sospensioni retropubiche e nell'8% delle sling, erosione uretrale in caso di materiali sintetici. L'estensione della pubo-vaginal sling a pazienti con cistoceli di III e IV grado ha aggravato il rischio di ritenzione urinaria. Per ridurre questo ulteriore inconveniente alcuni Autori consigliano il posizionamento dello sling e la correzione del descensus anteriore attraverso 2 accessi separati, allo scopo di ridurre la fibrosi data dalla sling (31). L'ipotesi dell'amaca di De Lancey, proposta per descrivere la patofisiologia della SUI (32), definisce come soluzione terapeutica la ricostruzione delle strutture di supporto dell'uretra invece del sollevamento o riposizionamento della stessa (33). Ulmstein et al. nel 1996, partendo da questa ipotesi, hanno descritto un'ulteriore evoluzione della sling suburetrale (34), attraverso l'introduzione della tecnica TVT. Tale procedura è basata su una nuova teoria secondo cui il punto più importante di chiusura uretrale è nell'uretra media e non nel collo vescicale, per cui la SUI sarebbe conseguente alla perdita del supporto dell'uretra media attraverso i legamenti pubo-uretrali, parete vaginale anteriore e alla perdita della funzione di inserzione del muscolo pubo-coccigeo (35). L'intervento proposto da Ulmstein e approvato recentemente dalla Food and Drug Administration Americana, differisce per diversi aspetti dalle sling convenzionali. I più importanti componenti della procedura TVT sono: minima dissezione vaginale, uso di uno specifico nastro in prolene, tensione libera intorno all'uretra media, nessuna fissazione dello sling, intervento eseguibile in anestesia locale. Uno dei vantaggi più importanti di questa tecnica, che ancora però necessita di verifiche nel tempo, è la possibilità per il chirurgo di trattare, attraverso un unico approccio vaginale, l'incontinenza urinaria e il prolasso nelle sue varie espressioni e gradi (36) (37), con possibilità di superamento di alcune di quelle difficoltà precedentemente descritte nei casi di prolasso associato a incontinenza urinaria. I follow-up a 5 anni nella terapia della SUI mostrano percentuali di cura dell'84,7%, in assenza di problemi di rigetto del materiale o difficoltà di svuotamento (38). Tuttavia la metodica presenta un numero di complicanze, alcune delle quali gravi: lesioni vascolari nel 3,5%, sanguinamenti significativi (> 200 cc) nel 16%, ritenzione duratura (> 7 giorni) nello 0,6-6%, ematomi retropubici nello 0,8%, infezioni vaginali nello 0,8% (39). Tale tecnica che a 5 anni sembrerebbe reggere bene al confronto con la Burch nel trattamento della SUI, si presta anche molto bene all'associazione con altri tipi di riparazioni vaginali usate nel trattamento del prolasso. Inoltre, non agendo sui meccanismi di continenza attraverso un'azione di sollevamento, non influenza la statica del pavimento pelvico, alla cui ricostruzione possono provvedere altri procedimenti riparativi (Tab. IIIa). Sulla scia della TVT sono state introdotte altre soluzioni che, partendo dalle stesse intuizioni di Ulmstein, differiscono dalla TVT per caratteristiche dei dispositivi e dei materiali usati: IVS (intravaginal sling plastic sec. Von Teobald), sistema URETEX, UROTAPE, ed altre ancora. Recentemente, visti i progressi ottenuti nella correzione chirurgica delle ernie addominali, sono state introdotte, in associazione e non alla TVT, mesch sintetiche nella chirurgia ricostruttiva pelvica, in modo particolare nella riparazione transvaginale del cistocele. L'uso delle reti, oltre a fornire un supporto addizionale alla vescica con risultati duraturi nei confronti della parete vaginale anteriore, ha lo scopo di stabilizzare l'intera struttura pelvica riducendo la possibilità di prolasso della volta vaginale. Nonostante i buoni risultati ottenuti nella cura dei cistoceli, anche in termini di semplificazione di tecnica chirurgica, tempi di intervento, assenza di necessità di tecniche addizionali, non bisogna trascurare le complicanze proprie dei materiali sintetici, che ribadiscono la necessità di restringere l'utilizzo a casi selezionati,
sconsigliandone un uso routinario. Per quanto riguarda l'approccio laparoscopico alla Burch, possiamo dire che questa tecnica presenta buoni risultati a breve termine, con risultati contradditori però, sulle percentuali di cura a 3 anni rispetto alle colposospensioni aperte (40) (41). Attualmente i dati a disposizione indicherebbero una minore efficacia a lungo termine rispetto alla Burch laparotomia (42). Il numero di complicazioni legate alla via laparoscopica nella cura del prolasso e SUI, così come i tempi dell'intervento i costi e le complicanze, sono strettamente dipendenti dall'esperienza dell'operatore e dal numero di procedure eseguite; quindi un ruolo critico spetta al tempo di apprendimento della tecnica (42) (43). Di fronte alla necessità di introdurre procedure sempre meno invasive, che diano buoni risultati e con curve di apprendimento inferiori, riteniamo che l'introduzione delle sling di ultima generazione, unitamente alla maggiore predisposizione dei chirurghi ginecologi alla via vaginale, probabilmente porteranno ad una riduzione dell'approccio laparoscopico nella cura della SUI associata a prolasso. Conclusioni La relazione tra le strutture di supporto degli organi pelvici e la loro funzione sono estremamente complesse e non ancora completamente conosciute. Il prolasso genitale e l'incontinenza urinaria da sforzo, rappresentano l'espressione di alterazioni anatomo-funzionali, sia congenite che acquisite, delle strutture fasciali, muscolari e nervose del pavimento pelvico. Per anni le donne hanno subìto le conseguenze disabilitanti di tali patologia e i medici hanno proposto strategie di trattamento. La scelta sul tipo di chirurgia da adottare per la correzione del prolasso degli organi pelvici associato a incontinenza urinaria è una delle più difficili sfide che si trova ad affrontare il chirurgo che si interessa di uroginecologia e pavimento pelvico. Oltre a problemi eminentemente diagnostici, relativi al tipo e grado di incontinenza, al tipo, grado e associazione di danni funzionali e strutturali rinvenibili nei settori anteriore, medio e posteriore del pavimento pelvico, si aggiunge la scelta non facile sul tipo di tecniche più idonee per il trattamento della SUI e del prolasso in grado di perseguire un obiettivo comune, anatomico e funzionale. La scelta sulle procedure è inoltre subordinata alla decisione circa un approccio: vaginale, transaddominale o laparoscopico del problema. Tutti questi elementi, la cui elaborazione è affidata all'esperienza e cultura del chirurgo, detteranno la scelta sulla strategia da seguire, scelta che deve in ogni caso essere condivisa a pieno dalla paziente, nel rispetto delle sue aspettative e condizioni cliniche. Quando incontinenza urinaria latente o manifesta si associa a prolasso è necessario il trattamento di entrambi. In questi casi è estremamente importante la conoscenza delle varie tecniche, della loro efficacia e dei loro effetti per prevenire azioni destabilizzanti che si esprimono con l'acquisizione di nuovi difetti in grado di ripercuotersi sia sul prolasso che sull'incontinenza. La maggior parte delle donne con difetti apicali o prolasso uterino e associati difetti pelvici e SUI possono essere trattate efficacemente sia per via vaginale che per via addominale. Un approccio vaginale può fornire buoni risultati ed essere adeguato per la maggior parte delle pazienti e in modo particolare per quelle anziane e poco attive. I vantaggi della via vaginale rispetto alla via addominale sono numerosi e comprendono: possibilità di riparare ogni tipo di difetto pelvico, diminuzione di dolore post-operatorio, rapida ripresa della funzione intestinale, breve ospedalizzazione. Per pazienti in cui il prolasso genitale e la SUI si verificano in giovane età come espressione di debolezza dei tessuti, e quindi in donne che per attività lavorativa e fisica sono ad alto rischio di recidiva, si potrebbe optare per un approccio addominale o addomino-vaginale che, a spese di una maggiore invasività, fornisce risultati più sicuri. Altre situazioni in cui è generalmente preferito un approccio addominale sono: deformità ossee che rendono impossibile un intervento vaginale, presenza di patologie intra-addominali che richiedono intervento, estrofia
vescicale, donne con prolasso e SUI che desiderano future gravidanze, brevità vaginale. Se venisse confermata nel tempo l'efficacia delle sling di ultima generazione per il trattamento della SUI nei confronti della colposospensione retropubica, l'approccio vaginale sarebbe la migliore soluzione per il prolasso associato a incontinenza urinaria da sforzo.
TERAPIA CHIRURGICA DEL PROLASSO ASSOCIATO AD INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO M. Moscarini • M. Di Stefano Università di Roma "La Sapienza", II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Ostetricia e Ginecologia, Policlinico "Sant'Andrea"
Testo articolo Bibliografia Tabelle Tab. Chirurgia ricostruttiva pelvica per incontinenza e prolasso: fattori di rischio
Qualità connettivo pelvico Stato ormonale Obesità Attività lavorativa Stipsi Fumo Denervazione pelvica Terapia radiante
Esiti cicatriziali da pregresso intervento
Tab. Obiettivi principali della chirurgia pelvica ricostruttiva per incontinenza e prolasso
Tab.
Restituzione e mantenimento della funzione urinaria e/o fecale Riposizione anatomica delle strutture pelviche Mantenimento di una normale funzione sessuale Correzione di coesistenti patologie pelviche Eliminazione di sintomi anormali Risultati duraturi Prevenzione dell’acquisizione o dell’espressione di nuovi difetti nei supporti pelvici o di nuovi problemi viscerali e sessuali
Prevenzione sul bisogno di nuovi interventi ricostruttivi per prolasso e SUI
I
II
III
Interventi ricostruttivi per prolasso VIA VAGINALE (a)
VIA ADDOMINALE (b)
Enterocele
Enterocele
Culdoplastica sec. McCall
Moschcowitz
Moschcowitz
Halban
Semplice chiusura del peritoneo Volta vaginale
Volta vaginale
Sospensione ai L. utero-sacrali
Sospensione ai L. utero-sacrali
Miorrafia alta degli elevatori
Colposacropessia
Sospensione al L. sacrospinoso Sospensione al L. prespinoso Sospensione della cupola vaginale con IVS Descensus vaginale anteriore
Descensus vaginale anteriore
Colporrafia anteriore
Abdominal paravaginal repair
Four corner suspension
Abdominal cistocele repair
Vaginal paravaginal repair Riposizione del cistocele con rete protesica (TCR) Riposizione del cistocele con pelvicol Rettocele Miorrafia alta degli elevatori Ricostruzione fasciale e perineale Correzione transanale tecnica Stappler
del
rettocele
con
LA TERAPIA DELLE RECIDIVE M. Cervigni • F. Natale Unità di Urologia Ginecologica, Ospedale "S. Carlo", IDI, Roma
Testo articolo Bibliografia Tabelle Introduzione L'incontinenza urinaria di ogni grado colpisce il sesso femminile di ogni età, ed è il problema più frequente di ogni altra malattia cronica, come l'ipertensione, la depressione o il diabete ( 1). In letteratura la prevalenza dell'incontinenza urinaria femminile si stima che vari dal 9 al 74% ( 2). Considerando che l'incontinenza colpisce donne, giovani o anziane, ancora in piena attività fisica, si può ben comprendere la misura dell'impatto sociale dell'incontinenza urinaria sull'attività quotidiana della donna (3) e possiamo comprendere il crescente interesse nei trattamenti chirurgici dell'Incontinenza Urinaria da Sforzo (IUS). Fisiopatologia della IUS IUS con ipermobilità dell'uretra In una donna continente durante gli sforzi o gli aumenti di pressione addominale, la continenza è garantita dalle strutture uretrali e parauretrali quali: l'apparato sfinterico uretrale muscolare liscio e striato, il ricco plesso mucoso e sottomucoso delle pareti dell'uretra, l'elasticità intrinseca, l'apparato muscolare striato parauretrale ed i muscoli pubococcigei. Allorquando si verifica una dislocazione verso il basso dell'uretra prossimale al di fuori del regime pressorio endoaddominale, l'aumento di tale pressione si trasmetterà principalmente sulla vescica e in misura minore sull'uretra. Tale sproporzione di forze determina un gradiente pressorio negativo uretro-vescicale che l'azione contenitrice dello sfintere striato esterno dell'uretra ed il tono dei muscoli bulbocavernosi non riescono più a contrastare e si verifica pertanto la fuoriuscita accidentale di urina. Pertanto la discesa e la mobilità dell'uretra e del collo vescicale sotto sforzo sono considerati come un fattore eziologico importante dell'incompetenza sfinterica uretrale. Il difetto anatomico di base sembra essere la perdita di integrità dell'attacco muscolo-fasciale vaginale che sostiene il collo vescicale e l'uretra prossimale in una posizione retropubica. Disfunzione Sfinterica Intrinseca McGuire et al. nel 1980 (4) pubblicarono un lavoro sulla classificazione della IUS che doveva segnare una pietra miliare nell'inquadramento dei disturbi sfinterici. Definirono infatti oltre all'incontinenza di 1° e 2° tipo (classicamente legata all'ipermobilità uretrale e del collo vescicale), anche un'incontinenza più severa definita come: tipo 3. Questa categoria è rappresentata da pazienti con grave perdita di urina, in cui è presente una Disfunzione Sfinterica Intrinseca secondaria a: traumi, lesioni congenite, chirurgia radicale pelvica, terapia radiante o pregressa chirurgia anti-incontinenza. L'incontinenza di tipo 3 è presente nel 10% della popolazione "sana", nel 30% nelle pazienti sottoposte ad un primo intervento chirurgico anti-incontinenza e ben nel 70% delle pazienti plurioperate per IUS (5). Queste pazienti rappresentano pertanto un arduo problema, la cui risoluzione richiede un trattamento specifico che deve essere affrontato mediante una chirurgia mirata. L'identificazione clinica di questo gruppo di pazienti è pertanto estremamente importante, infatti è molto alto in questi soggetti il tasso di fallimento degli interventi di sospensione uretrale tradizionale (6). Successivamente Blaivas ed Olsson (7) nel 1988 correlando la IUS alla situazione anatomopelvica, in uno studio videourodinamico combinato, hanno inquadrato ancor meglio questo gruppo di pazienti, proponendo una classificazione in 3 categorie:
tipo I: perdita del supporto posteriore del collo e della base vescicale con conservazione del supporto uretrale; tipo II: perdita del supporto dell'uretra del collo e della base vescicale; tipo III: diminuzione della pressione di chiusura uretrale intrinseca con o senza perdita del supporto.
Attualmente in letteratura IUS di tipo III e ISD sono concetti sovrapponibili, anche se esistono differenze anatomo-cliniche. I presupposti fisiopatologici affinché si verifichi una ISD sono legati al fatto che l'uretra non funziona più come uno sfintere e non può mantenere un'adeguata pressione di chiusura sia a riposo, sia durante un minimo sforzo e ciò è correlato anche al ridotto effetto sfinterico mucoso. Inoltre la muscolatura sia liscia che striata, coinvolta nella chiusura dell'uretra, può divenire estremamente lassa oppure la parete uretrale può risultare rigida o fibrotica. Tali meccanismi determinano pertanto un difetto di collabimento del lume uretrale, che spiega i reperti radiologici del collo vescicale aperto anche a riposo. L'uretra e il collo vescicale si presentano in questi casi fissi, in posizione alta retropubica, ma talvolta anche parzialmente mobili. Ed in effetti attualmente, la netta distinzione tra incontinenza di tipo I-II con ipermobilità uretrale ed incontinenza di tipo III da ISD con uretra fissa, ha un valore più classificativo che clinico. La 2nd International Consultation on Incontinence tenutasi a Parigi nel 2001 ha infatti stabilito che il concetto di divisione netta tra ipermobilità e ISD sta evolvendo da "una netta dicotomia ad un continuum" (8). Ghoniem ha recentemente proposto una nuova classificazione dell'ISD basandosi su reperti videourodinamici e sulle misurazioni pressorie delle fughe urinarie (Valsalva Leak Point Pressure VLPP). Sono stati identificati 3 sottotipi con 3 differenti opzioni terapeutiche (9) (Tab. I). Tutti e tre i sottotipi hanno una pressione uretrale di chiusura < 10 cm H2O; e basandosi su questi dati le opzioni terapeutiche variano da un sottotipo ad un altro (Tab. II). Come lavorano le tecniche per la correzione della IUS Molte teorie sono state proposte per spiegare come i trattamenti chirurgici riescano a curare le pazienti affette da IUS. In caso di uretra ipermobile con un intatto meccanismo sfinterico, l'energia endoaddominale spinge l'uretra in basso piuttosto che comprimerne il lume, dislocandola dalla sua normale posizione anatomica e causando così una fuga urinaria. Gli interventi di sospensione del collo vescicale (MMK, Burch, Pereyra-Raz, ecc.), sollevando la parete vaginale anteriore ed indirettamente l'uretra, determinano una base solida su cui l'uretra è compressa durante gli aumenti pressori improvvisi endoaddominali e tale compressione determina un aumento dinamico della pressione di chiusura uretrale piuttosto che una mobilità. Nel caso di uretra fissa con bassa pressione di chiusura, si effettuano invece interventi endoscopici di infiltrazione para o intrauretrale. Inizialmente si è postulato che alla base del funzionamento della terapia iniettiva vi fosse la creazione di un'ostruzione allo svuotamento vescicale (10). Successivamente Monga et al. hanno dimostrato che nelle pazienti trattate con successo con sostanze iniettabili non è dimostrabile un miglioramento della percentuale di trasmissione nel primo quarto dell'uretra; suggeriscono pertanto che il posizionamento di tali sostanze a livello del collo vescicale e dell'uretra prossimale prevenga l'apertura del collo vescicale sotto sforzo (11). In caso di ISD associato ad ipermobilità vengono utilizzati invece interventi di sling uretrale. A tutt'oggi però non è ancora chiaro il meccanismo di azione di questo intervento, nonostante gli ormai indiscussi risultati clinici. Inizialmente si era ritenuto che tale intervento agisse comprimendo l'uretra e causando quindi una parziale ostruzione, responsabile dei disturbi minzionali che spesso si evidenziano nel post-operatorio. Nel tempo si è evidenziato invece come la creazione di un'ostruzione a livello cervico-uretrale non sia necessaria al fine del successo chirurgico, e che il fine di tale trattamento non sia quello di incrementare la pressione uretrale a riposo ma quello di creare un saldo supporto dove l'uretra possa essere compressa in seguito agli incrementi della pressione addominale. La tendenza attuale è pertanto quella di ridurre la tensione applicata intraoperatoriamente alla sling, cosa che ha condotto ad una più bassa incidenza di complicanze post-operatorie quali sintomi ostruttivi ed instabilità detrusoriale "de novo". Nella descrizione originale della tecnica di sling proposta da Aldridge, il meccanismo di azione sembrava essere attivo. Poiché la benderella era fissata all'aponeurosi dei retti dell'addome, quest'ultima tende a muoversi con essa; pertanto quando la pressione addominale aumenta, la parete addominale si muove verso il basso e la sling viene stirata verso l'alto, con secondario
incremento della pressione addominale (12). DeLancey (13) ha invece evidenziato che il principale supporto all'uretra è fornito dai legamenti pubouretrali e dalla fascia endopelvica e che l'integrità di tali strutture assicura un'efficiente trasmissione all'uretra della pressione addominale. Pertanto è stato postulato che la sling, invece di sollevare e comprimere l'uretra sotto sforzo, costituisca una resistenza passiva ed un sopporto, anche se la profilometria uretrale non subisce modificazioni sia nei valori massimi di chiusura che nella lunghezza funzionale. Né il collo vescicale incompetente viene trasformato in uno competente (un comune falso concetto). Si osserva solo un incremento del rapporto di trasmissione durante le manovre provocative e verosimilmente questo fenomeno avviene nella parte distale dell'uretra (14). Perché recidivano gli interventi per IUS Un intervento per la cura della IUS che determina guarigione, ripristina una normale anatomia, ma probabilmente non restaura la funzione uretrale. Infatti un risultato chirurgico positivo, probabilmente necessita di una certa riserva funzionale uretrale. Il fallimento della chirurgia per la IUS può essere definito come: IUS persistente, IUS recidiva, instabilità detrusoriale de novo, ostruzione o ritenzione urinaria, disturbi irritativi, dolore postoperatorio. Questi fallimenti avvengono per ogni tipo di intervento chirurgico e possono essere correlati a 4 cause principali: 1. fallimento 2. fallimento 3. inappropriata selezione 4. fallimento dovuto a complicanze post-operatorie.
anatomico; funzionale; delle
pazienti;
Fallimento anatomico Nelle recidive il difetto anatomico o non è mai stato corretto, o recidiva dopo un certo periodo di corretto supporto. Il cattivo posizionamento delle suture troppo distali o troppo laterali o i deboli tessuti di ancoraggio vaginale, sono tra le cause principali. Ma vi può essere anche il classico fenomeno del "pull-through" che determina un decubito dei fili di ancoraggio con successiva ricomparsa del difetto anatomico. Un'altra causa può essere l'utilizzo di materiali di sutura inappropriati (fili riassorbibili), ovvero della rottura degli stessi per una precoce mobilizzazione della pazienti che determina un improvviso aumento pressorio intraddominale. Fallimento funzionale In presenza di un'anatomia ripristinata, la persistenza o la ricomparsa della IUS può essere dovuta ad un malposizionamento dei fili di sospensione talvolta troppo prossimali all'uretra, che fissano il collo vescicale in una posizione aperta. Talvolta invece le suture possono essere troppo vicine al collo vescicale ed all'uretra, e ciò determina un'intensa reazione fibrotica che può trasformare il condotto uretrale in un cannello di pipa, la cosiddetta frozen o pipe-stem uretra. Ciò determina un incompleto collabimento del lume con conseguente IUS grave da ISD. Ma vi può essere associato a questo anche una sindrome ostruttiva. Il mancato riconoscimento di questa fibrosi o il fallimento della lisi di queste aderenze in pazienti che hanno già subito un pregresso intervento, è un'ulteriore causa di fallimento funzionale con conseguente ISD, pur in presenza di un'anatomia conservata. Ostergard et al. osservò in un gruppo di 48 donne affette da ISD, che il tasso di guarigione dopo un intervento di sling uretrale, era in relazione al grado di mobilità dell'uretra. Infatti mentre il 93% delle donne con ipermobilità uretrale (angolo = 30° rispetto alla linea orizzontale) risultarono guarite, solo nel 20% delle donne con uretra fissa si ottenne un risultato positivo (15). La persistenza di IUS in presenza di una corretta anatomia è usualmente indicativa di un certo grado di ISD, assai spesso secondaria ad una atrofia post-operatoria della mucosa uretrale e/o del tessuto spugnoso della sottomucosa e/o della muscolare. In caso di persistente perdita urinaria, nonostante il ripristino anatomico si dovrebbe considerare infine la possibilità di una fistola vescico
o uretro-vaginale iatrogena. Inappropriata selezione delle pazienti Un'appropriata selezione della pazienti è ovviamente il presupposto fondamentale per il successo di ogni trattamento chirurgico. Il principale obiettivo diagnostico è differenziare la IUS pura da una forma di instabilità detrusoriale, che talvolta può confondere il quadro clinico. Ma va anche focalizzata l'esatta natura del danno sfinterico per evidenziare in una paziente affetta da IUS con ipermobilità uretrale il grado di ISD presente (Tab. I). Le pazienti con sintomatologia mista, da sforzo e da urgenza/frequenza, risolvono i sintomi irritativi nel 50% circa dei casi (4). Vi sono anche altre condizioni che possono essere confuse con la IUS e che possono condurre ad un'inopportuna selezione delle pazienti, quali: diverticoli dell'uretra, sbocchi ectopici dell'uretere, calcoli vescicali, incontinenza da overflow secondaria ad un deficit neurologico latente. Complicanze post-operatorie Se i fili di ancoraggio sono posizionati troppo distali o vicini all'uretra o addirittura trapassano il lume stesso, possono determinare formazione di calcoli od ostruzione. Anche la formazione di un ematoma può causare sintomi ostruttivi. Nella maggioranza dei casi il fenomeno è temporaneo e può essere gestito mediante cateterismo intermittente; se il problema persiste occorre reintervenire mediante una uretrolisi che può risolvere il problema nel 60-70% dei casi (17). Inquadramento clinico delle pazienti con IUS recidiva Storia clinica Le pazienti riferiscono all'anamnesi una storia clinica di grave perdita urinaria provocata dalla minima attività fisica ed, assai spesso, associata a sintomi irritativi quali: urgenza, frequenza, urge incontinence o nicturia. Può essere altresì presente, nelle pazienti plurirecidive, una sindrome disurica dovuta ad una fibrosi dell'uretra e del collo vescicale. È importante valutare l'entità del problema mediante l'uso di una carta minzionale. Esame fisico Profilo vaginale In queste pazienti in genere non vi è descensus della parete vaginale anteriore (score di Baden: 01) che invece si presenta assai spesso rigida e con ridotta compliance. Sono talvolta presenti fenomeni cicatriziali o granulomi, quale esito di pregressi punti di ancoraggio. Q-tip test L'uretra prossimale ed il collo vescicale presentano assai spesso, un'assenza di mobilità o addirittura una rigidità legate ai fenomeni di fibrosi pericervicale e periuretrale. Vi sono però dei soggetti in cui può coesistere un modico grado di mobilità dell'uretra (10°/30°), pur presentando i segni fisiopatologici della tipo III (basso UPP e VLPP, beanza cervicale e dell'uretra prossimale ad una valutazione radiologica o ecografica). Le terapie saranno ovviamente diversificate a seconda del grado di ipermobilità associata (Tab. II). Pad & Stress test Anche se non sono test patognomonici per l'identificazione di quest'affezione, pur tuttavia sono importanti per quantizzare la perdita urinaria (che è sempre nei punteggi medio-alti dello score). Indagini strumentali
Urodinamica La valutazione della funzionalità vescicale e sfinterica è uno degli esami cardini per lo studio di queste pazienti. La cistomanometria oltre a valutare il comportamento vescicale in fase di riempimento, per evidenziare un'instabilità detrusoriale (sovente associata), può mostrare una riduzione della sensibilità propriocettiva, indice indiretto di un danneggiamento alle vie afferenti sensitive. In fase di svuotamento si possono osservare (paradossalmente) dei segni di ostruzione cervico-uretrale con presenza di un alto residuo urinario, dovuto sia ad una ridotta apertura del collo vescicale, per fenomeni di sclerosi, che ad una ipocontrattilità detrusoriale secondaria ai pregressi traumi chirurgici. La profilometria uretrale mostra una marcata ipotonia con valori inferiori o uguali a 20 cm H2O con scomparsa del rapporto di trasmissione. Il VLPP può essere compreso tra 0 e 60 cm H2O di pressione intra-addominale in caso di grave deficit sfinterico (tipo III), tra 60 e 90 cm H2O in caso di ipermobilità associata a ridotta funzionalità sfinterica (tipo II), maggiore di 90 cm H2O in caso di ipermobilità (tipo I o II) (18). La Video-Urodinamica rappresenta il gold standard per la valutazione delle pazienti con incontinenza di tipo III o recidiva: infatti è possibile visualizzare con essa contemporaneamente i cambiamenti nella posizione dell'uretra e della pressione endoluminale durante gli incrementi pressori addominali. Endoscopia L'endoscopia permette di valutare lo stato dell'uretra e del collo vescicale oltre che evidenziare l'integrità della mucosa, la funzionalità degli ureteri e l'eventuale presenza di corpi estranei (fili o calcoli) all'interno della vescica. L'aspetto più caratteristico è quello di una uretra sclerotica e rigida con collo beante al passaggio dello strumento: la cosiddetta frozen o pipe-stem uretra. Talvolta è possibile notare una marcata ipotonia dello strato sottomucoso uretrale che si mostra ondulante al passaggio del liquido di perfusione dello strumento (floating effect). Diagnostica per immagini La cistografia minzionale (CUM) o più recentemente l'ecografia transrettale o transperineale, forniscono una valutazione morfologica del complesso vescico-uretrale che può essere integrato allo studio urodinamico (Video-UDM), ma che già di per sé fornisce utili indicazioni sulla mobilità della regione cervico-uretrale e sulla sua beanza a riposo e sotto sforzo. Uno studio ecografico dell'alta via escretrice deve essere sempre associato per escludere la presenza di ureteroidronefrosi secondarie a pregresse chirurgie. Opzioni terapeutiche Il razionale chirurgico fino a poco tempo or sono prevedeva nella IUS di tipo I e II, interventi che ripristinassero l'anatomia dell'area cervico-uretrale riducendo la mobilità uretrale, mentre nel tipo III interventi volti ad aumentare le resistenze periferiche e talvolta a migliorarne anche il supporto anatomico. Nel caso di pazienti con ISD ma con rigidità dell'uretra e/o fissità del collo vescicale, andrebbero effettuati interventi di infiltrazione endoscopica o in seconda alternativa di sling uretrale previa uretrolisi. In pazienti con ISD ma con ipermobilità associata si dovrebbero praticare invece interventi di sling uretrale. Le pazienti con uretre fortemente neuropatiche e con gravi insufficienze sfinteriche, dovrebbero essere sottoposte ad un impianto di sfintere artificiale (AUS). L'Associazione Americana di Urologia (AUA), ha proposto recentemente delle linee guida per il trattamento della IUS, dopo aver fatto una revisione su un vasto numero di pazienti (oltre 2.000) seguiti per più di 4 anni e trattati mediante 4 tecniche principali (sospensioni retropubiche, sospensioni con ago, colporrafie anteriori, slings). Ha evidenziato come la sospensione retropubica e le slings siano gli unici 2 interventi che diano risultati duraturi nel tempo e raccomanda pertanto questi 2 interventi come quelli più affidabili ed addirittura consiglia le slings anche per i casi di IUS con ipermobilità tipo I, II (19). Trattamenti chirurgici Slings Le procedure di sling, pur con diverse modificazioni, sono usate da quasi 100 anni nella cura
dell'incontinenza urinaria. Sono infatti state descritte una varietà di tecniche che prevedono l'uso di numerosi materiali, ma tutte hanno in comune l'utilizzo di una benderella che viene fatta passare sotto l'uretra e il collo vescicale e che viene ancorata anteriormente, in genere a livello della parete addominale o dei legamenti di Cooper o più recentemente a livello dell'arcata pubica mediante ancorette. Selezione delle pazienti Tradizionalmente gli interventi di sling sono utilizzati nelle donne già precedentemente sottoposte ad uno o più interventi per la cura dell'incontinenza e con un difetto intrinseco della funzionalità sfinterica. Nonostante le ultime linee guida dell'AUA, la maggior parte degli Autori sostiene infatti che, in relazione alla maggiore incidenza di complicanze rispetto alla chirurgia tradizionale retropubica ed alla potenziale denervazione sullo sfintere uretrale, le sling dovrebbero essere utilizzate solo come chirurgia secondaria. Tipo di materiale I materiali usati possono essere di tipo biologico (autologo o eterologo: fascia, dura madre, derma, collagene, vagina) o di tipo sintetico (Silastic, Mersilene, Marlex, Gore-Tex). Le percentuali di guarigione nelle varie casistiche nazionali ed internazionali variano dal 61 al 98%, con una media del 75% nei follow-up a lungo termine (20). Ad una lettura più attenta delle casistiche ci si accorge però che pur se praticate su campioni molto ampi hanno un'ampia selezione delle pazienti (sono incluse anche pazienti mai operate), rendendo pertanto taluni studi poco attendibili. Ai brillanti risultati sul ripristino della continenza corrisponde però una non trascurabile percentuale di effetti collaterali, che rendono queste procedure praticabili da chirurghi con una notevole esperienza in chirurgia pelvica. Le tre più temibili complicanze sono: 1) fistole od erosioni che possono arrivare fino al 20% nel caso di materiali sintetici; 2) ostruzione che può protrarsi talvolta fino ad oltre un mese nel 30% degli studi riportati; 3) instabilità "de novo" presente in circa il 10%. Materiali biologici Vaginal wall sling. Con questa tecnica, viene utilizzato un patch di mucosa vaginale che viene fissato alla parete addominale mediante lunghe suture, utilizzando l'ago di Stamey, allo scopo di sollevare il collo vescicale. Il patch può essere dissecato oppure può essere lasciato in sito e ricoperto da un flap di parete vaginale residua. La scelta di utilizzare tale materiale si spiega con la maggiore flessibilità di tale supporto rispetto agli altri materiali sintetici o fasciali, con risultati sovrapponibili. Fascia lata autologa. Tale tecnica fu proposta da Price già nel 1933 ed è stata utilizzata in numerosi studi (21). Tale tecnica prevede l'utilizzo di una striscia, lunga circa 18-20 cm di fascia lata, ottenuta mediante una piccola incisione al di sotto del condilo femorale laterale. Non è chiaro se tale flap costituisca un substrato per la formazione di tessuto fibroso o sopravviva intatto. Fallimenti precoci di tale tecnica sembrano però attribuibili alla necrosi parziale della fascia. I vantaggi sono rappresentati dal fatto che tale struttura fasciale è più spessa e più forte dell'aponeurosi dei retti dell'addome e che c'è minore possibilità di sviluppo di un'ernia incisionale. Questa tecnica non è comunque priva di complicanze, le principali delle quali sono: la formazione di ematomi, l'infezione della ferita chirurgica ed il dolore post-operatorio. È anche possibile che si determini un danno al nervo cutaneo laterale della coscia con secondaria nevralgia. Fascia lata cadaverica. La fascia lata cadaverica è utilizzata in sostituzione della fascia lata autologa, essendo in grado di assicurare i medesimi risultati, in assenza delle complicanze correlate all'autodonazione. Per ridurre il rischio di infezioni virali e di rigetto, il materiale viene sterilizzato e processato in modo da renderlo simile ad una rete fibrosa acellulare, infatti il rischio di trasmissione di HIV con tale metodica è stato stimato di 1 a 8 milioni. Né alcun tipo di rigetto è stato descritto in letteratura. Derma porcino. Anche il derma porcino può essere utilizzato per le sling eterologhe, dopo essere stato sottoposto ad un processo di preservazione e sterilizzazione che rendono il tessuto non
immunogenico. Non esistono però a tutt'oggi lavori che descrivano i risultati a lungo termine di tale tecnica. Lyodura. Anche la dura madre liofilizzata omologa (Lyodura) è stata utilizzata come materiale per confezionare sling con risultati sovrapponibili a quelli delle altre sling con materiale biologico. Materiali sintetici Quando usarli? L'uso di materiali sintetici nel confezionamento di una sling dovrebbe essere considerato in pazienti con una meiopragia del tessuto connettivo, come in soggetti con grave prolasso degli organi pelvici o in donne già sottoposte a ripetuti interventi per via addominale, in cui la forza del tessuto fasciale è stata ridotta in seguito a ripetute ferite e cicatrizzazioni. Le controindicazioni all'utilizzo dei materiali sintetici sono: una storia di pregressi rigetti di sostanze sintetiche e la presenza di una lesione uretrale iatrogena pregressa in corso di posizionamento di sling. Le controindicazioni relative sono: un'anamnesi positiva per allergie multiple ed una mucosa vaginale eccessivamente sottile per ipoestrogenismo. Quali materiali? Le caratteristiche ideali di un materiale sintetico dovrebbero essere le seguenti: dovrebbe essere fisicamente e chimicamente inerte, permanente e non bio-degradabile, non carcinogenetico, sufficientemente forte da fornire un buon supporto per l'uretra nel tempo e facilmente fabbricabile e sterilizzabile. I principali materiali sintetici non assorbibili che sono utilizzati nel confezionamento del sling sono: il Mersilene, il Prolene, il Marlex, il Teflon e il Silastic. Recentemente si stanno mettendo a punto materiali sintetici assorbibili (polyglactin mesh) allo scopo di evitare i possibili rischi a lungo termine dell'uso di tali materiali, prima tra tutti l'erosione. I risultati sull'uso di tali materiali sono incoraggianti, ma mancano a tutt'oggi risultati a lungo termine. Mersilene. Questo materiale multifilamento è stato utilizzato per la prima volta per il confezionamento di una pubo-vaginal sling da Muir nel 1968 e da allora numerosi Autori hanno riferito in letteratura risultati molto incoraggianti che vanno dal 73 al 96% (Tab. III). Le principali complicanze dell'uso di tale materiale sono: erosioni, formazioni di ascessi, ritenzione urinaria o comunque disturbi di svuotamento, secondari all'eccessiva tensione della sling. Marlex. Il Marlex è un materiale monofilamento utilizzato per la prima volta da Morgan et al. nel 1970. Da allora numerosi centri hanno utilizzato questa tecnica con percentuali soggettive di cura che vanno dal 79 al 100% (Tab. IV). Gore-tex. L'uso del Gore-tex fu proposto per la prima volta da Horbach nel 1988, che ha utilizzato un approccio combinato addominovaginale per il posizionamento di una sling ancorata all'aponeurosi della fascia dei retti. Da allora numerosi lavori sono stati riportati in letteratura, con percentuali di successo che variano dal 73 all'85%. Nel tentativo di ridurre le complicanze legate all'uso dei materiali sintetici (principalmente infezione, erosione, rigetti), si è tentato di ridurre la quantità di materiale utilizzato, sostituendo la tradizionali sling lunghe (Strip sling - Tab. V) con le cosiddette patch sling (Tab. VI). Silastic. Stanton et al. hanno proposto l'uso del Silastic con un approccio addominale, creando un tunnel sottouretrale per il passaggio della sling, che viene poi ancorata al legamento ileopettineo. Il razionale dell'utilizzo di tale biomateriale risiede nella minima reazione tissutale da esso indotta, che rende più facile, se necessario, la revisione o la rimozione della sling. I dati di letteratura sono riportati nella Tabella VII. Protegen. Si tratta di una sling sintetica rivestita di collagene, utilizzata in passato per le protesi vascolari. Anche se teoricamente si sarebbero dovuti attendere dal suo impiego chiari vantaggi, i dati in letteratura parlano di erosioni che arrivano al 50%, per cui tale materiale è stato recentemente tolto dal commercio. Bone anchors. La tecnica descritta da Kovac e Cruikshank (22) prevede l'aggancio della rete di
Mersilene all'osso pubico utilizzando delle ancorette metalliche. Tali ancorette possono essere utilizzate anche con altro tipo di sling sintetiche, autologhe o omologhe. È stata riportata in letteratura la possibilità di osteomieliti legate all'uso di tali ancorette. Tension-free Vaginal Tape. Questa tecnica si basa sulla cosiddetta "teoria integrale", postulata nel 1990 da Ulmsten e Petros che affermavano che la IUS deriva da un danneggiamento dei legamenti pubouretrali, situati a livello dell'uretra media e non invece da un'alterazione del collo vescicale (23). Lo scopo di tale tecnica è quello di rinforzare i legamenti pubouretrali ed assicurare così un'adeguata stabilizzazione dell'uretra media subito dietro all'osso pubico, consentendo simultaneamente un rinforzo dell'amaca vaginale sottouretrale e la sua connessione ai muscoli pubococcigei. A tal scopo si utilizza una rete di Prolene che viene collocata a livello della uretra media, e con l'ausilio di aghi curvi si trasferiscono gli estremi della rete nell'area sovrapubica. Per regolare la tensione sotto l'uretra, la tecnica si attua in anestesia locale o periferica, modulando la tensione della sling "tension free", mentre la paziente tossisce a vescica piena. Ciò può evitare un eccessivo sollevamento dell'uretra, con secondari disturbi di svuotamento. Esistono pochi studi per l'utilizzo di questa tecnica nell'incontinenza urinaria recidiva o da ISD. In una serie di 25 pazienti, con un follow-up di 3 anni, la percentuale di successo era dell'84%, mentre tutte le restanti pazienti erano migliorate (24). Uno studio prospettico a lungo termine fu effettuato in 34 donne affette da IUS recidiva. Dopo un follow-up medio di 4 anni, 28 pazienti (82%) risultarono guarite, 3 (9%) migliorarono significativamente e l'operazione fallì in 3 casi (9%). Non si sono verificate complicanze pre o post-operatorie, né disturbi minzionali (25). Un altro studio prospettico a lungo termine (media 4 anni) è stato effettuato in 49 donne con ISD. L'età media era di 66 anni (± 11). 36 pazienti (74%) risultarono guarite, 6 (12%) migliorarono significativamente, in 7 pazienti (14%) non si osservò alcun risultato. La maggioranza dei fallimenti si verificò in donne di età > 70 anni e con pressione di chiusura uretrale < 10 cm H2O. Avvennero complicanze trascurabili e tutte le pazienti con bassa pressione di chiusura e con uretra fissa sembrano costituire un gruppo a rischio: pertanto è sconsigliato questo tipo di chirurgia (26). Hilton e Ward hanno pubblicato i dati relativi ad una serie di 50 donne, il 40% delle quali erano state sottoposte ad almeno un intervento per la cura dell'incontinenza urinaria (27). Essi riferiscono una percentuale di cura del 75% nell'incontinenza recidiva, anche se 4 donne svilupparono nel lungo periodo disturbi minzionali che richiesero l'asportazione del tape. Complicanze Le più importanti complicanze che possono manifestarsi in seguito all'attuazione di interventi di sling sono: l'ostruzione cervico-uretrale, l'instabilità detrusoriale e l'erosione. Gli interventi di sling sottouretrale sono infatti considerati i più ostruttivi tra gli interventi antiincontinenza, con un'incidenza di ritenzione che varia dal 2,2 al 16%, e con una percentuale di pazienti di 1,5-7,8% che richiede la rimozione della sling a lungo termine ( 28). Recentemente è stata riconosciuta l'importanza della tensione applicata alla sling e la nuova tendenza è quella di posizionare la sling con minore o addirittura in assenza di tensione: ciò può ridurre l'incidenza di disturbi minzionali. Quando nel post-operatorio si verifica ostruzione, può essere utile effettuare una dilatazione uretrale che può produrre un temporaneo miglioramento dei sintomi ma, nel tempo può peggiorare l'ostruzione inducendo una fibrosi periuretrale (29). La resezione transuretrale o l'incisione del collo vescicale non sono consigliate in quanto la causa dell'ostruzione è extrauretrale. È stato pertanto proposto da McGuire et al. un intervento di uretrolisi trans-vaginale allo scopo di tagliare la sling (30). Gonheim e Elgamasy hanno invece proposto un'incisione della porzione sottouretrale della sling, usando un patch di epitelio vaginale a riunire le due estremità (31). Infine Brubaker ha proposto di liberare l'estremo addominale della sling creando un plug fasciale che può essere risuturato al di sotto della fascia dei retti, dopo aver aggiustato la tensione della sling (32). L'incidenza post-operatoria di sintomi irritativi (urgency e/o urge incontinence) varia in letteratura dal 3 al 30%; mentre l'incidenza di instabilità detrusoriale "de novo" è di circa il 7% (19). Tali fenomeni sono da ricondursi in parte ad una preesistente iperattività detrusoriale non diagnosticata preoperatoriamente ed in parte alla inevitabile denervazione che consegue alla dissezione chirurgica. Ma anche l'eccessivo sollevamento del collo vescicale, l'eccessiva tensione della sling e l'irritazione del collo vescicale da parte di materiali sintetici giocano un ruolo non
meno importante. È infatti significativo che uno degli studi che riferisce la più elevata incidenza di instabilità "de novo" (33%) utilizza sling in Gore-tex. Le erosioni sono invece esclusivamente correlate all'utilizzo di materiale sintetico, presumibilmente in relazione ad un processo infiammatorio cronico che causa erosione a livello vaginale o uretrale, formazione di ascessi o fistole. In particolare il Gore-tex sembra maggiormente associato a tale complicanza, in relazione alle piccole dimensioni dei pori che pur consentendo l'ingresso dei batteri, non permettono l'ingresso dei macrofagi dell'ospite, favorendo un'infezione cronica ( Tab. VIII). Agenti Iniettabili La sostanza ideale per il trattamento endoscopico della IUS recidiva o da ISD, dovrebbe essere facilmente iniettabile e in grado di mantenere il suo volume nel tempo, non dovrebbe interferire con eventuali successivi trattamenti e dovrebbe essere biocompatibile, non antigenica, non carcinogenetica e non dovrebbe migrare. In realtà una sostanza con tali caratteristiche non esiste. Varie sono le sostanze usate: biologiche (collagene, grasso autologo, cartilagine auricolare) e sintetiche (Teflon, Silicone, Durasphere). Le più usate rimangono il Collagene ed il Silicone. La via di somministrazione può essere retrograda o, più comunemente, anterograda nel tessuto periuretrale intorno al collo vescicale ed all'uretra prossimale. L'approccio può essere transuretrale o peri-uretrale. Nel primo caso si utilizza un cistoscopio con ottica O° e si esegue una infiltrazione alle ore 4 ed alle ore 8, fino a realizzare una completa chiusura del collo vescicale e dell'uretra prossimale. Collagene Il gax-Collagen è una sospensione altamente purificata e stabilizzata di collagene bovino in soluzione salina. Ciò rende questo tipo di collagene resistente all'azione della collagenasi prodotta dai fibroblasti; pertanto viene riassorbito piuttosto lentamente. Non causa reazioni infiammatorie, né formazione di granulomi e non migra. È comunque degradata con il tempo ed è sostituito da collagene dell'ospite. Silicone Il silicone è utilizzato sotto forma di particelle solide di polidimetilsilossano, sospese in un gel di trasporto che viene assorbito dal sistema reticoloendoteliale ed eliminato con le urine. Poiché il 99% delle particelle ha un diametro compreso tra 100 e 450 mm, la possibilità di migrazione a distanza è bassa. Sebbene è stata dimostrata nel sito di iniezione una reazione infiammatoria, costituita da istiociti e cellule giganti, non è stata mai descritta alcuna formazione di granulomi. I risultati delle sostanze più comunemente usate sono riportati nella Tabella IX. Complicanze Le complicanze delle infiltrazioni endoscopiche intra e postoperatorie sono minime e pertanto nelle pazienti con incontinenza di tipo III e con assenza di mobilità del collo, le sostanze iniettabili si impongono come trattamento di 1a scelta, anche per la possibilità di poter reintervenire successivamente, essendo minimo il trauma chirurgico in tessuti già ampiamente compromessi. I trattamenti endoscopici costituiscono inoltre una valida opzione nelle donne che desiderano evitare le complicanze associate alla chirurgia maggiore. Infatti l'assenza di morbidità associata a tale terapia, fa ritenere che essa dovrebbe essere paragonata più alle terapie conservative, come la terapia riabilitativa, piuttosto che a quelle chirurgiche. Interventi per via retropubica Symmonds e Lee (34) proposero una variante della Marshall-Marchetti-Krantz in cui, nei casi di IUS recidiva, si apriva il collo vescicale per un più esatto posizionamento dei fili di sospensione. Per
determinare un effetto ostruente i punti erano poi incrociati ed ancorati in prossimità della cartilagine della sinfisi pubica. Gli Autori parlano di percentuali di guarigione intorno al 90% in pazienti recidive, pur se mancano chiare indicazioni ai criteri di inclusione delle pazienti, né specificano il tipo di incontinenza. Sfintere artificiale Nelle donne con uretre neuropatiche e notevole beanza del collo, il trattamento ideale deve determinare un incremento pressorio mediante compressione su tutta la circonferenza uretrale piuttosto che sulla parete posteriore come avviene comunemente con la sling. Lo sfintere artificiale (AUS) è attualmente proposto come trattamento di scelta nelle incontinenze urinarie nel maschio. Schreiter (35) ha presentato una vasta casistica (123 casi) di impianti sfinterici in donne affette da GSI di tipo 3. L'86% risulta guarita a 2 anni, ma nel 48,2% dei casi si è dovuta effettuare una o più revisioni dello sfintere a causa di infezioni o erosioni. Costa et al. ha recentemente proposto l'uso dell'AUS in un vasto gruppo di pazienti (207) con ISD e test di Marshall negativo, il tasso di guarigione è risultato dell'81%, associato ad un 25% di lesioni intraoperatorie, 6% di erosioni e 3% di revisioni (36). Conclusioni Il ripristino della continenza urinaria, rappresenta oggi una delle sfide più impegnative della scienza medica, visto il crescente interesse della opinione pubblica e dei media al benessere ed alla qualità di vita della donna. Le nuove acquisizioni in campo diagnostico e terapeutico ed il prepotente ingresso della chirurgia mininvasiva, ha rivoluzionato i trattamenti chirurgici nei casi di incontinenza urinaria primaria. La IUS recidiva necessita viceversa ancora oggi, di un maggior approfondimento diagnostico oltre che di un più cauto atteggiamento terapeutico, vista la molteplicità dell'eziopatogenesi. Il trend attuale nel trattamento dei difetti sfinterici di qualsiasi natura è quello di effettuare degli interventi di sling, vista l'efficacia a lungo termine. Infatti questi trattamenti, in mani esperte, producono un eccellente tasso di guarigione ed il tipo di materiale probabilmente non interferisce sui risultati. L'unico aspetto controverso è il tasso relativamente alto di complicanze. Tuttavia l'incidenza di disturbi di svuotamento e l'instabilità de novo, possono essere ridotti evitando un'eccessiva tensione: infatti è sempre più evidente che la compressione uretrale e l'ostruzione non sono determinanti per la guarigione. Si deve però considerare anche un'adeguata "dinamica" uretrale e, pertanto, laddove è possibile si deve sempre optare per rimobilizzare l'uretra ed il collo vescicale mediante un'adeguata uretrolisi; invece di apporre un ulteriore elemento di ostacolo al funzionamento vescico-sfinterico, che la donna, soprattutto in età geriatrica, paga nel tempo pesantemente. Le sostanze iniettabili possono rappresentare certamente una forma accettabile di trattamento, pur se con risultati degradanti nel tempo, in donne che desiderino evitare le complicanze della chirurgia maggiore.
LA TERAPIA DELLE RECIDIVE M. Cervigni • F. Natale Unità di Urologia Ginecologica, Ospedale "S. Carlo", IDI, Roma
Testo articolo Bibliografia Tabelle Tab. Classificazione dell’insufficienza sfinterica intrinseca (ISD)
I
ISD-A
sottile perdita urodinamica della funzione uretrale di chiusura, comune nelle donne anziane; è comune l’ipermobilità uretrale; diagnosticata solo con VideoUrodinamica
ISD-B
collo vescicale aperto con forma a becco (beak-shaped); si può evidenziare un lieve grado di mobilità sotto sforzo
ISD-C
uretra a "cannello di pipa" (pipe-stem) in posizione fissa; incontinenza severa; storia clinica suggestiva (chirurgia pelvica o radiante ecc.)
Tab. Insufficienza sfinterica intrinseca (ISD) – Opzioni terapeutiche
II
ISD-A
il trattamento iniziale può essere medico, nei casi di fallimento infiltrazioni endoscopiche
ISD-B
sling pubo-vaginale, perché corregge l’ISD e l’ipermobilità uretrale
ISD-C
uretrolisi e rimozione del pregresso intervento, quindi sling. Infiltrazione endoscopica solo in casi selezionati
Tab. Sling con Mersilene
III
Autore
Pats
F-U
% guarigione
Complicazioni
Moir ’68
71
2-24 m
83 (sogg)
–
Nichols ’73
22
1-2 aa
95 (sogg)
–
Kersey ’83
105
6 m – 5 aa
84 (sogg)
Fistola v-v erosioni (3)
(2),
Iosif ’85
44
3-11 aa
73 (sogg)
Ritenzione ascessi (2)
(7),
Kersey ’88
100
6 m-5 aa
78 (sogg)
Iperattività detrusoriale (23%)
Guner ’94
24
24 m
96 (sogg)
Urge incontinence (4,2%)
Young ’95
110
13 m
95 (sogg)
Erosioni (2)
93 (ogg)
Disturbi minzionali (3)
Tab. Sling con Marlex
IV
Autore
Pats
F-U
% guarigione
Complicazioni
Morgan ’70
20
3-23 m
100 (sogg)
Ostruzione (1), fistola v-v (1)
Bryans ’79
69
5-8 aa
79 (sogg)
Disf. minzionali (15), erosioni vaginali (4)
Hilton e Stanton 10 ’83
3m
80 (sogg)
–
Morgan ’85
208
5 aa
77 (sogg)
Erosioni uretrali (12), ritenzioni (14)
Drutz ’90
65
5 aa
95 (sogg)
Erosioni vaginali (4), erosione uretrale (1)
Morgan ’96
88
-
85 (sogg)
Ritenz. instab. detrusoriale (16,7%)
70 (sogg)
(2),
Tab. Standard strip sling
V
Autore
Pats
F-U
% guarigione
Complicazioni
Horbach ’88
13
3-18 m
85 (sogg)
Ritenzione (1) ID persistente (50%) ID "de (73%)
Summitt ’92
45
6m
82 (sogg)
novo"
Erosione (5) Ostruzione (2) ID persistente (71%) ID "de (12,2%)
novo"
Bent ’93
115
6 m-5 aa
-
Rigetto (21)
Weinberger ’95
62
12 m
73 (sogg)
Erosioni (22)
vaginali
IS persistente (48%) ID "de (33%)
novo"
Tab. Patch Sling
VI
Autore
Pats
F-U
% guarigione
Complicazioni
Ogundipe ’92
8
6m
100 (sogg)
Ascessi, inst. detr. persistente (75%) Inst. "de (66%)
Norris ’96
122
6m
88 (sogg)
Erosioni
novo" vaginali
(5) Disfunzioni minzionali (6) Inst. persistente (49%) Inst. "de (32%) Yamada ’98
39
5 aa
84 (sogg)
novo"
Infezioni (1)
Tab. Silastic
VII
Autore
Pats
F-U
% guarigione
Complicazioni
Stanton ’85
30
3-12 m
83 (sogg)
Ritenzione (4), Fistola v-v (1), inst. persistente (10%) Inst. "de (67%)
Chin ’85
88
3 m-5 aa
71 (sogg)
novo"
Disturbi minzionali (4), erosioni (10) Inst. pesistente (70%), inst. "de novo" (28%)
Korda ’89
54
4-30 m
77 (sogg)
Ritenzione (15)
Korda ’90
67
4-30 m
81 (sogg)
Ritenzione (16), inst. persistente (61,5%) Inst. "de (3,7%)
novo"
Tab. Complicanze dei sintetici
VIII
Complicanze
Mersilene
Marlex
Standard Gore-tex
Patch tex
Fistole
1,9-3,3
0-5
-
-
1,9-3,3
Erosioni vaginali
1,8-2,8
6,2-7,2
11,1-16,1
2,6-4,0
0-9,3
Erosioni uretrali
-
1,5-5,8
-
-
0-1,9
Disfunzioni minzionali
2,7-15,8
2,3-21,7
4,4-7,7
4,9
9,3-23,9
Instabilità persistente
4,2-23
16,7
48-77
49-75
61,5-100
Instabilità "de novo" -
7,3
11-33
32-66
3,7-67
Rimozione/revisione 1,8-15,9
2,9-11,5
15,4-35,5
2,6-9
13,3-31,5
Tab.
Gore- Silastic
IX
Risultati iniettabili Autori
Sostanza
Tipo di IUS F-U (mesi)
Guarite %
Migliorate
Stricker ’93 50
Collagene
ISD
11
42
40
Koelbl ’98
Silicone
ISD
12
59
–
Eckford ’91 25
Collagene
–
3
64
16
O’Connell ’95
42
Collagene
ISD
1-2
45
18
Henalla ’00
10
Silicone
I/II
3
74
–
Winters ’95 50
Collagene
ISD
> 12
96
–
McGuire ’94 137
Collagene
ISD
> 12
46
34
Faerber ’96 12
Collagene
I
10,3
83
17
Monga ’95
Collagene
3 (N = 59)
46
40
12 (N = 54) 40
37
24 (N = 29) 48
20
2
80
–
36
60
–
Hidar ’00
Paz.
32
60
25
Silicone
ISD
Herschorn ’97
181
Collagene
I/II/III
22
23
52
Smith ’97
94
Collagene
III
14
38,3
28,7
Pannek ’01
13
Durasphere ISD
12
33
–
Swami ’97
107
Collagene
–
24
25
40
Cross ’98
103
Collagene
III
18
74
20
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