Alessandro Bergonzoni - Le Balene Restino Sedute

March 11, 2017 | Author: Sebastiano Calia | Category: N/A
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Alessandro Bergonzoni

LE BALENE RESTINO SEDUTE

1989 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

A mio padre

Alla Alla manifestazione d'affetto c'erano tanti cartelli. Il corteo si snodava fino alla certosa. Ad Alfeo chiesero dov'era il cimitero e lui indicò: «Sempre dritto fino all'incrocio dove ti muore il cane, passi un grande dispiacere e sei già arrivato». Chi andava a portare fiori sulla tomba della madre si sentiva dire dalla madre che finché non fosse morta non li avrebbe mai accettati. In cielo c'era una splendida mezza luna, un pugno di prezzemolo e tante stelle. Mi ricordo che Keplero diceva che le stelle più belle sono quelle che lasciano il loro autografo nel firmamento. Il tempo gli diede ragione. Feenkleton gli diede torto, sua sorella gli diede uno schiaffo, ma si tratta di questioni personali che non hanno niente a che vedere con l'astrologia, la geofisica e l'astronomia. Lo studio dell'energia nucleare, e alcuni approfondimenti sull'uso della luna come cappello per proteggersi dal sole, portano a credere che anche i marziani quando salutano fanno ciao con la mano. Può sembrare un fatto di poco conto ma non è così se solo si pensa alla teoria della nausea, che dice che i pianeti roteano attorno alla terra (da molto prima dell'invenzione di giro giro tondo) fino a che non si sentono male. In un certo modo si potrebbero così spiegare anche le piogge acide, i venti forti, il ciclone Piero, il meteorismo e la caducità della vita. Non è forse vero che l'atomo senza compagnia non produce energia? Non è forse vero che il polistirolo espanso ha un valore in Bumbel dieci volte maggiore dello sfondio di una vetrina in Decibel? Avete mai fatto caso a cosa resta di un uomo che fuma dentro una tanica di benzina mezza piena vicino a una fornace, senza protezione per gli occhi? Resta la parte migliore del carciofo, cioè il cuore: la tachicardica parte di un battito a cui è sottoposto un corpo con uno spropositato desiderio di esplodere. E questo creerebbe un'antinomia tale tra le stagioni da causare un dissesto idrico, se contenuto nullo, ma se lasciato a se stesso di proporzioni devastanti. Devastanti a tal punto da inondare tutto lo strato della stratosfera e la crosta della torta terrestre fino alle candeline di Greenwich, cioè a pochissimi passi luce dal primo bar che si incontra venendo dal polo nord, o dal polo sud, non fa differenza. Non fa differenza perché i poli si toccano e questo fa sì che la ionosfera si sfaldi quando sole e terra si eclissano. Ed è proprio durante le eclissi che il sole, con movimenti di estrema tenerezza, coinvolge in modo accattivante ed impudico la sessualità del nostro amato pianeta. Quindi l'uomo è geloso della terra e il sole questo lo sa e se ne approfitta nei giorni più nuvolosi, quando fa finta di avvicinarsi alla luna con un calore che illuderebbe anche un venusiano, e metterebbe delle strane idee in testa anche a una cometa ferma. Questo si può capire meglio se si pensa che l'equatore spacca in due il globo proprio nel punto più caldo del nostro pianeta, cioè Ferrara: infatti la distanza che intercorre tra l'Africa e Ferrara è doppia se non quappia della distanza che c'è tra una sperequazione e il suo contrario.

Invece, analizzando il rapporto che c'è tra i pianeti in genere e la deriva dei continenti, Paolo Lacavagna Pum Pum Pum ha avuto non pochi problemi per farsi capire su questo argomento dagli altri scienziati (certamente anche dato il suo nome). Infatti ha acquistato credibilità solo quando ha dimostrato che la deriva dei continenti altro non era che un metodo poco ortodosso ma chiaro per sapere dove saremmo andati in vacanza tra mille anni. Tutto questo per dire che il progresso alle volte ci porta per mano lungo sentieri sconosciuti, fino a lasciarci a un bivio tra futuro e passato, tra certo e incerto, tra capo e cabana, tra bene e male, tra vita e morte: ed è proprio a questo incrocio storico che io desidero avere un incidente con Dio, se non altro per sapere i rischi che copre la sua assicurazione sulla vita, per sapere di che segno è, ma soprattutto per scoprire se quello che vado a raccontare è mai accaduto o mai accadrà veramente.

Il falco talco Era maggio, il mese delle ciliegie, che si raccolgono a maggio perché quello è il mese delle ciliegie (ma non solo per questo, perché altrimenti esisterebbero anche alberi di mamme, di madonne e di lavoratori). Maggio è un mese come tanti altri, le ciliegie si raccolgono soprattutto per non farle cadere; ed è strano, perché di solito si raccoglie qualcosa quando è già caduto. Questo spiega in parte perché andassero così d'accordo l'inventore delle ciliegie e l'inventore del nòcciolo. Cominciarono con l'allenarsi fin da piccoli per diventare qualcuno, ma nessuno sapeva chi. L'odore dî cocomero che esalavano le prime ciliegie nei laboratori di maggio era anomalo, mai però come le loro esagerate dimensioni: si pensò allora di inventare il cocomero sperando in un futuro rimpicciolimento. Quando la frutta fu inventata tutta, inventarono i dolci: uomini che facevano molta tenerezza ed erano cosparsi di panna e pan di Spagna. I dolci vennero sempre serviti alla fine di ogni pasto e ciò li rendeva impazienti: allora per ingannare il tempo intingevano le dita nella marmellata e poi si mangiavano le unghie. Ma nel giro di poche ore (giro temporale più che turistico), cominciarono a star male: andarono in bagno senza leggere il cartello di avvertimento «cane alla catena», morsi sui glutei li convinsero a stare male altrove. Intanto le nuvole sui prati formavano le parole «strano ma vero». Quel mattino il sole era alto e i sette nani invidiosissimi come al solito; e non solo del sole, ma anche dei venti perché erano più di loro. All'aeroporto coperto di Orly atterrò a fatica il falco talco col suo solito polverone. Caricati male sul portapacchi dell'aereo c'erano tutti i numeri della rivista «Casa dolce casa» (l'unica rivista di arredamento pasticceria arredamento), tutti gli articoli sui sette re di Roma, le foto di Alibabà e i trentanove ladroni (uno scattava la foto), e poi lo sgà del tipo bello e la bici del tipo eletta. Pavido era l'unico addomesticatore del falco talco; uomo di imperitura vigliaccheria e di ideali di bassissima lega, viveva in un castello autostradale con il padre e la moglie del padre che lui odiava chiamare brioches. Avevano una piscina di inchiostro dove ci si tuffava nelle notti di bufera e tutt'attorno tanti lettini di carta assorbente colorata dove ci si asciugava dopo il tuffo. Soltanto gli orchestrali non potevano farvi il bagno, perché chi suona suona e chi fa il bagno fa il bagno. Questo era il diktat. Lo dico per un motivo o per l'altro, quindi totalino motivi due. Pavido la mattina alzava le braccia ma alzava anche le gambe per non farle sentire arti inferiori; poi arrivava il lattaio, che buttava il latte e non la bottiglia, quindi se non si era veloci con una cuccumina era più quello che andava perso. In compenso il giardino del castello era pieno di fior di latte, che i vicini non potevano sopportare perché vicini va bene, ma così era davvero troppo. E la pace tra gli ulivi non venne mai e perché non c'erano gli ulivi e perché il suo odio ancestrale non lasciava mai spazio al suo esser cordiale.

Ricordo che in quel periodo ci fu la più incredibile invasione di cavallette a zoppo galletto e senza ali: era una pena vederle avanzare sudate allo stremo, con quei cappellini di paglia per proteggersi dal sole che picchiava tutti quelli che ci passavano sotto. L'unico rimedio possibile sarebbe stato quello di bruciarle, ma il fuoco non era ancora stato inventato e questo precludeva il risultato. Soltanto quando una di esse, però, tirò fuori dallo zaino un pacchetto di sigarette, ci si insospettì: che qualcuno fosse più avanti negli esperimenti sul fuoco?

Rapina a Marrakech Nel porto che doveva ancora essere costruito un pullman di delfini arrivò sul molo antonelliano (che non c'era ancora) e dovette tornarsene indietro lasciando giù la guida che urlava: «Roba da matti, mai vista una disorganizzazione così!». La storia stava sentendo gli eventi. Cristoforo Colombo disse che il mondo era una sinusoide e andava operata al più presto. Salpò da Pavia alla volta di Genova dove c'era anche un porto, il che facilitava molto il viaggio per mare delle mille caravelle: la Nina, la Bixia, la Sandra, Maria, Garibalda, la Manza e tutte le altre che partirono alla fine del quattordicesimo secolo ante litteram (cioè molto prima dell'invenzione della posta). Le stive erano piene di zucchero farina uova pane wuster nuster aranciate brustulli caramelle lupini e ogni genere di sostentamento per un viaggio verso l'ignoto alla ricerca dell'impossibile. L'equipaggio era composto di uomini con la esse maiuscola, gente che credeva nell'avventura e non aveva paura della morte (a meno che non capitasse proprio a loro): il capitano Cook, Onassis, la nonna del Corsaro Nero, Mirco Nasello, Noè ed un sacco di animali. Passarono dal triangolo delle Bermude (l'unico luogo dove scompaiono i pantaloncini corti). Circumnavigarono tutto il globo terraqueo scoprendo che era diviso in tanti piccoli emisferi a gluteo, che Colombo classificò in globuli bianchi e globuli rossi. Ciò che non riuscirono a capire fu se fossero abitati e da chi. La navigazione durò ottanta giorni e una notte, fino a quando cioè un mozzo e il suo monco avvistarono qualcosa all'orizzonte e gridarono: «Fiesoleee!!!». Avevano finalmente scoperto le repubbliche marinare, tra cui Firenze. E proprio là, in un vicino cascinale, una coppia di contadini si stava sposando per la sesta volta quando, giunti al taglio della trota nuziale, quasi tutti i testimoni abbandonarono zaini, piccozze, scarponi, occhiali, gonadi, zampogne e latte in polvere, cioè caduto sulla strada non asfaltata, e cominciarono a catramarla di buona lena, convinti dagli operai del caseificio attiguo all'Hôtel TippeteTappete il cui titolare, signor Poppete-Pippete, era già proprietario di un barconeoneone lungo il lungo Arno (e scusa se è corto). Di Firenze era anche Chibbio Lomuz Torciglio Antonio (soprannominato dagli amici Chibbio Lomuz Torciglio Tonino), il quale notò che, nelle sere d'estate, nella zona di Monte Ostativo accadevano cose molto strane. Si recò in quel posto e infatti, chinandosi per raccogliere una zolla di terra, sentì uno strano rumore: aveva rotto i pantaloni proprio nel punto del cavallo, nella zona del maneggio; s'alzò e portò un campione d'orina prima alle olimpiadi dei piscioni viaggiatori, poi, per sicurezza, al suo laboratorio analisi bislacche. Nell'aria c'era davvero qualcosa di strano: il pulviscolo non era più atmosferico, il peso specifico dell'ossigeno era oltre il livello di guardia e la guardia era ingrassata di

parecchio; fece per entrare nel laboratorio quando, proprio sui gradini, vide un uomo che sembrava morto: avvicinandosi di più lesse, sulla catenina che lo sconosciuto aveva al collo, la scritta «svenuto»; cercò con tutta l'anima di rianimarlo, e con la porta di portarlo in casa, ma non ce la faceva perché era troppo pesante, allora l'altro trascinò lui dato che era sicuramente più leggero. Appena dentro, Chibbio Lomuz Torciglio Tonino lo ringraziò con grazia e pensò bene di offrirgli un bicchiere di mortadella: non lo avesse mai fatto! L'uomo si arricciò la coda e disse che non era un maiale, che nessuno gli aveva mai fatto un affronto simile, e se ne andò sbattendo la porta e sbraitando: «Non c'è più religione!». Qualcuno disse: «Allora andremo a casa un'ora prima!». Ma chi?

Violino e violenza A centosessant'anni esatti dalla morte di Pico della Mirandola nessuno si ricordava ormai più niente, nemmeno io. I mattini musicali degli gnomi nei boschi erano disturbati soltanto da boscaioli mancini che cercavano di abbattere gli alberi con l'accetta stretta nella mano destra. Sangue nella selva, si sarebbe potuta chiamare quella scena. La madre di Robin Hood con una freccia nel costato uscì di casa gridando: «Impàra l'arco, ma usalo nel parco», mentre i fratelli fuggivano con una freccia nella schiena, gridando: «Vedrai che forse ce la caveremo, forse ce la caveremo». Qualche metro più in là il capo cantiere dava ordini perentori per la costruzione della nuova città scolastica, detta la vecchia per la sua somiglianza con la precedente. Gli studenti uscivano già dai corsi di laurea, ancora mai tenuti ma interessantissimi. La facoltà di Probabilità moderne comprendeva corsi di psicologia dell'equilibrio, paura nell'affrontare a viso aperto, dispiaceri economici uno, carta canta, villan scrive le parole, Cina e forza cinetica, Roma e forza Roma, scienze delle maniere forti, risonanza iperbarica, pensieri contorti, feste con torte, e girotondo con mano nella mano; la stessa mano di donna che alzò il telefono e non ci trovò niente sotto, allora alzò la cornetta e si sentì dire che il proprio figlio era già nato e stava bene. La donna che aspettava un tram aveva una pancia grande come un capolinea, talvolta pensava di essere, talaltra di avere, e voleva coniugarsi; quella invece che partorì un sasso non era mai stata con nessuno, se non sulla strada. Il suo cuore batteva forte anche lui, ma nessuno lo sentiva, si sentiva solo il rumore che fa il mare (erano passati duemila anni e non avevano ancora scoperto il difetto). Alcune onde arrivavano in barca e siccome il mare in discesa era l'unico mare che c'era, le onde faticavano a tornare, il fondale marino non diceva una parola, la pietra dello scandalo piangeva e si vergognava, l'alga marina aveva la nausea e non poteva prendere niente per il mal di testa perché non l'aveva; solo il pesce salita girava indisturbato, mano nella mano col pesce palla che faceva il suo solito verso: «Sono stanco, voglio andare via, non ne posso più!». Cominciò a cadere una pioggerellina fine fine '800 con strani intarsi. Anche l'asilo si allagò: l'acqua e i bambini correvano per le scale, i tombini e i canguri saltavano. Un bambino alto e atesino, abituato a mettere le scarpe ai piedi della montagna, si accorse che due non bastavano, ad ogni modo riuscì a superare se stesso correndo molto veloce. Entrò nella stanza delle alluvioni proprio nel momento in cui uno specchio diceva: «Chi si è visto si è visto, io mi sono rotto». Guardando i vetri sul pavimento si accorse che era a scacchi: infatti arrivò la regina, il re si alzò, la torre cadde, il cavallo scappò, e l'alfiere fu libero. Si aprirono i giochi: gare di statura, movimento terra, rotazione pianeti, sollevamento coperchi per buoni diavoli, corsi di roccia sui pattini, gare di morsi e

rimorsi, gatta buia, gare di saluti e commiati, corsa sugli ombrelli (tra l'altro dolorosissima), cose a dispetto di altre, tiro con l'arcobaleno, corse nei sacchi di cemento, ciglia a strappo, mosca sorda, bacetto, occhi di ragazza, lecca-lecca (se è cattivo sputa-sputa), sci, gnò, vedremo, dita negli occhi, corsi di tromba per le scale, pianerottolo, allontanamento delle sofferenze, splendidi omicidi, tiro alla fine e caccia al tesoro, amore mio ti amo e spero che anche tu mi ami perché se non mi amassi sarei costretto a dirti: «Ti venisse un accidente a te ed a tutta la tua stirpe cattiva porca che sprofondasse sempre di più nei meandri della terra dove se ci sei ci resti, brutto palombaro morto, e andasse male anche lo scandaglio per recuperare i tuoi resti putridi con dentro già i vermi tutti malati irreversibili, e uno anche senza un occhio e con al posto dell'occhio il pus che ti contagiasse tutti gli altri, e ti si inquinasse anche la saliva che hai in bocca, e ti scoppiassero le scarpe più belle che hai e il pellame vario si andasse a sfracellare contro un vetro che hai già rotto due volte ed il padrone ti avesse detto: "Giuro che alla terza ti do fuoco, a te e a tutta la gente che ti conosce, anche soltanto di vista...!". Brutto moschettone agganciato male, cascassi tu, la montagna, lo scalatore e ti andassi a sfracellare a valle poi se non morissi ti si accavallassero le gambe ogni volta che pensi e ti si slegassero soltanto sott'acqua, e se non annegassi allora ti incamminassi all'imbrunire lungo un bosco di pioppi proprio alla vigilia della grande catastrofe che colpisce soltanto i pioppeti e ti salvassi solo con l'aiuto di un cannibale che ti salverebbe a patto di mangiarti per 3/4 (i più utili) e tu allora un tantinello sanguinante scappassi con le tue pollicinochiazze ematiche e incontrassi putacaso due cacciatori che da un mese non prendevano nulla e appena ti vedono ti sparassero addosso e non sicuri di averti preso bene ti tenessero fermo coi piedi e ti sparassero un'altra volta facendo uscire anche la tua anima cattiva porca. Brutto professore di ginnastica mal visto dal preside che ti vuoi licenziare se non sai tenere la classe: che tu infatti il giorno dopo non la sappia tenere e lui ti licenzi e tu te ne vada ramingo lungo un viale dove alcuni alunni ti lapidassero poi si nascondessero dietro un albero e tu arrivando a casa e guardando il diploma dell'Isef sentissi un gran nodo alla gola, cascassi indietro putacaso su quattro coltelli in piedi dritti come a immolare una vittima e ti ci infilassi inesorabilmente ma non morissi subito, anzi, guardassi il lampadario e lo vedessi ballare in maniera poco simpatica tant'è che si staccasse e s'andasse a sfracellare sui tuoi resti putridi di professore di ginnastica mal visto dal preside e da tutto il condominio che sta tirando freccette avvelenate contro un tuo manifesto di una tua foto venuta male ed a te non restasse altro che dire l'atto di dolore ma non ti riuscisse anzi venissero fuori offese al buon Dio, che ti dicesse: "Io il perdono non glielo do! Sembra che mi stia prendendo in giro". Allora tu cercassi di scusarti in francese, ma non lo sapessi, lo imparassi ma te lo dimenticassi subito, allora cercassi un vocabolario, ma non lo trovassi, o lo trovassi ma lo perdessi, proprio nel momento in cui una splendida donna nuda, bionda e francese, ti chiedesse di sposarla. E tu, il fatidico giorno, invece che dire "Qui", dicessi "Yes".»

Topo orbo, ti diciamo noi dov'è il formaggio Se posso dirlo, il tutto ci stava come il calcio sui maccheroni. Il muro della cucina infatti era tutto schizzato di sugo. L'inventore del pollo dormiva su una sedia a forma di ondolo, non aveva le scarpe ai piedi e ciò che colpiva di più è che non aveva nemmeno i piedi. Che se ne faceva allora di una scarpiera e per giunta tutta insanguinata? Forse che incenerentolito non gli entrassero più in nessuna scarpa e se li fosse tranciati? Per non saper né leggere né scrivere, cominciò a giocare a «chi tardi arriva male alloggia» e diede fuoco a tutti i letti, distrusse seggiole poltrone e divani così quando la moglie rientrò alle quattro di mattina non seppe dove andare. Da un lato questo fatto la insospettì molto, dall'altro no: totolino lati due. Ma in quell'attimo entrarono quattrocento persone: colte da uno strano stipore, si decisero ad andare a giocare a nascondino in ascensore per ore e ore finché non si persero, ognuno nascosto nei luoghi più impensati stava facendo qualcosa: chi giocava a scacchi, chi sparecchiava, chi sparecchiava la tovaglia a scacchi, chi si metteva gli scacchi nel naso, chi si scaccolava (quindi forse il termine è nato così), chi diceva al proprio cane di fare la cuccia, chi più gentile lo aiutava con assi, chiodi, bastoni, chi innaffiava le piante dei piedi ai pigmei, chi andava dal dentista perché aveva un dente che ballava, chi ci andava perché ne aveva uno che cantava, nessuno insomma stava con le mani in mano, forse soltanto uno di loro che non aveva chiuso bene un vasetto di colla, ma tutti gli altri facevano qualcosa. I fiori erano sempre sul suo davanzale: solo la margherita, che voleva cambiare nome, adesso era sui davanzali dell'anagrafe. L'inventore del pollo allora si convinse ad andare a fare il poeta in una rosticceria per cantanti soli e per giunta male accompagnati. Poi un'inserzione sul giornale cambiò la sua vita: cercavano un macellaio in una discoteca per piloti tenori alle prime armi. Ci andò; ma un po' l'amor proprio, un po' l'amore degli altri, un po' l'amor profano, un po' l'orgoglio, un po' la fame, un po' il naso aquilino, un po' l'orecchio aquilone, decise di fare il becchino in una ditta di becchime e fu proprio la titolare, la signora Beccame, che appena lo intravide disse: «Beccome! Lei un tipo così disinvoltino, perché non fa il gestore di una palestra per marinai sommergibilisti, che al momento non hanno trovato niente di meglio che far ginnastica?». «Trovarne!» rispose lui facendo un capitombolo all'indietro, mordendosi la nuca e facendo i gargarismi con le orecchie. «Ma lei è pazza, signora, lei prende Peter Pan per focaccia, e fa la comunione senza l'oste, signora se lo metta in tasca, lei confonde bordello per fornello, non si fa un'orgia con due uova, si dia una calmata, si ricordi di non confondere mai Tazio Nuvolari con Buffalo Bill.» La donna, vedendolo così concitato e triste, prese il fucile e disse: «Non t'abbattere, ci penso io». «Teppista» rispose lui. «Io ti perdono anche se dentro di me c'è un assassino che sonnecchia.» In quel momento i sordi no, ma gli altri udirono uno sparo. Lui saltò su

una moto, poi su una macchina finché ormai stanco di saltare saltò in groppa all'Orinoco e giunse al mare a poco a poco, fino a incontrare alcuni ex canottieri ora a petto nudo. Si aggrega a loro e loro subito pensano: «Uninpiù». Ma c'è bagarre in lega: chi lo vuole, chi non lo vuole, chi non sa cosa vuol dire bagarre. Insomma all'Associazione ex canottieri la situazione era carica di humus. Comunque lui si affilia: cerca dei genitori e li trova. Dopo nove mesi fa finta di rinascere, ma grande e grosso com'era tutti chiedevano come mai. Nessuno rispose, perché erano già tutti in vacanza nelle isole greche: chi era andato a Volos, famosa per il suo aeroporto, chi era andato a Schiantos, famosa per non averlo (per motivi scaramantici), chi era andato nell'isola di Cor, a visitare la parte vecchia Corfù e la parte nuova Corè. Insomma non c'era nessuno. L'estate e le cucine con il gas aperto da ore erano scoppiate. I gelatai avevano smesso di fare i gelati perché ormai non c'era più nessun gusto. Ricordo che in quattro e quattr'otto, totalino già compreso nel modo di dire, tutti scapparono con la cappa, come un camino. Ricordo anche che la Fauna diventò amica della Flora e la Flora si iscrisse al corso di giardinaccio: imparò a calpestare i bulbi, pestare le rose, tagliare gli innesti, rompere i vasi, ecc. ecc. (totalino cetera due). La cosa sconvolse questo tranquillo paese dove tutto era concesso: ai frati vecchi di portare i calzini, ai rappresentanti di concime di farla insieme ai clienti, alle spose di passare le notti in bianco, ai loro uomini no, ai Masai di farsi fotografare, alle battone tutto, ai gabbiani di uscire dalla gabbia e ai furbi di tagliarsi con le furbici (uomo avvisato tutto tagliato!). Ma soprattutto era concesso a Cimabue di dipingere i vitelli standoci sopra e va detto che per lui questo significava molto, perché lui non era certo una persona qualunque, posso dirlo senza fallo, privandomi di ogni virilità: lui non era certo un chicchessia, anzi. Al collo aveva una collana di libri e al dito un bracciale di corno di renna impazzita (impazzita un corno, sono solo un po' esaurita). D'aspetto era regale, le spalle equidistanti, cioè tutt'e due lontane dai cavalli, le dita conserte, i capelli contati, le mandibole volitive, i piedi piatti, la tavola apparecchiata correndoci sopra, lo sguardo qua e là (a seconda di cosa volesse guardare), il fianco sinistr sinistr, e il fianco destr destr, uno dué - uno dué, le strane anche ma non solo. Il collo Maurino, le guance apolidi, il manto nevoso, le braccia sode, le uova come le braccia, le orecchie d'estate a ventola, il cervello fino, il tronco nodoso, le narici abitate (gente che va, gente che viene), le gambe a x, i seni come coseni, cioè un'incognita, cioè come le gambe, gli occhi a mandorla, la bocca schiaccianoci (molti lo chiamavano frutta secca per questo). I talloni alcuni suoi, alcuni di Achille, l'ossatura scheletrica e la voce piena di se e di ma; era sempre stato comunque un uomo che si divertiva con poco, a lui bastava una sella ed era a cavallo. Giovane ma non per questo meno giovane, perché con il tempo maturano le nespole, e lui ne andava idiota, un po' come fanno i pittori quando espongono in una galleria e un camion li investe: addio pace familiare, addio tornei di bocce al caldo del pallido sole, addio caldo, addio sole, addio pallido, addio a tutti.

Da allora nemmeno la madre riuscì più a vederlo: ogni volta che lui l'andava a trovare, infatti, parlava nascosto dietro o sotto qualcosa. Per lei, lui era come un figlio. E tutti gli dicevano: «Sii mansueto, rifletti. Chi è che se stai male ti accudisce? La mamma. Chi è che se non hai bisogno di conforto ti conforta? La mamma. Chi è che se hai sete ti dice bevi? La mamma. Chi è che se piangi ti asciuga le lacrime? La mamma. Chi è che se ridi ti bagna le orecchie? La mamma. E chi è che se ti si rompe la macchina te l'aggiusta? La mamma del meccanico. Se è viva però! Comunque anche se è morta tu va' al suo funerale, con la macchina; qualcuno che te l'aggiusta ci sarà. Vuoi che un meccanico non abbia amici meccanici vivi?». Comunque quando sua madre se ne andò, lui diventò una belva; lo zoo gli passò qualcosa i primi mesi, poi dovette vivere arrangiandosi alla meglio. Infatti nessuno più gli spiegava gli arcani o gli apriva gli occhi come faceva la mamma quando lo redarguiva dicendo: «Non essere ingenuo, non credere a tutto quello che ti dicono; sappi che il miglio non è l'unità di misura dei canarini. Dài retta a me, che l'esperienza di vita mi ha insegnato tante cose: per esempio che i malati di mente vanno pazzi per certe caramelle, che Pino Daniele è il nome proprio di un albero, che fa diesis non è musica ma matematica, e cioè la somma di cinques più cinques! Abbi fiducia in te stesso! Applicati ma non inchiodarti, dài un calcio al passato ma attento a non rovesciare il minestrone, impàra a voltarti indietro nella vita, ma non lo fare mentre sei in moto, prima di un dosso, durante un sorpasso, a fari spenti, ubriaco, mentre nevica e soprattutto mentre sta sopraggiungendo un'auto dall'altra parte della strada, altrimenti ti faccio totò e lo sai che questa è una delle imitazioni che mi riescono peggio».

Tutti i nodi vanno al cinema Erano le cinque di mattina, o almeno credo con precisione. Nelle mani di alcuni prigionieri si fermò una carrozza e loro si fecero portare per ogni dove, o anche più in là (non si sa, «chi vivrà vedrà» disse il cieco in fin di vita). Attraversarono immensi campi di pomodori dove si mimetizzavano meglio le donne con i capelli rossi, che quelle con i capelli verdi nei campi di olive nere. Si vedevano sciatori marini fare a pallate con granchi e ballerini di flamenco già tutti svenuti prima di portare il nuovo show in Andalusia, dove anche i ladri sanno di poter rubare senza paura di essere scoperti perché non dormono mai sotto le lenzuola, e dove i preti che non riescono a prendere sonno dicono la messa in pigiama, indossando papusse benedette. Questa è l'Andalusia, o almeno credo con sicurezza dato che non ci sono mai andato: pare comunque che finiscano così tutti quelli che mangiano la sabbia credendo di diventare conchiglie o perle rare, o che credono che l'uomo sia cenere, torni cenere e cercano i nonni nel camino. Questi uomini sono gli stessi che una volta credevano che anche nel battito d'ali di una mucca ci fosse poesia, infatti davano del contadino a Pascoli, e mettevano nel tè piccole lime invece che limoni, gente che si riconosceva soltanto specchiandosi. Angeli che nonostante ciò non avevano un nome; città con strade dipinte in senso stretto da un lato e in senso lato dall'altro; cascate fatte senza acqua, quindi ruvidi lividi ovvii; sbucciature senza frutta, nature morte e contorni definiti ma mai mangiati. La mattina buttavano il caffelatte ai pesci nell'acquario, senza curarsi del fatto che qualcuno di loro non volesse fare colazione. Avevano case piene di angoli sfitti, spicchi di vino, chiodi piantati sui quadri, vasi che schiacciavano i fiori, padelle che rompevano le uova. E la brina di plastica si posava sulle rose di mogano, accanto a pali scansabili sotto muri parlanti con cavi mettibili, cerchi trovabili e titine incercabili. Intanto i cinesi si arrampicavano su giraffe interminabili infastidite dai cinesi che si arrampicavano sulle giraffe piene di cinesi. E ciò li portava a certe conclusioni, ma quante non si sa, quindi il totalino è pressoché impossibile (Clin li fin ti lin: molto insegnano i cinesi, basta aver voglia di tradurre). Questo comunque insegna la storia orientale: che ogni scherzo vale.

Sode il rumore di certe uova Carnevalesca era anche l'espressione di disappunto della bàlia che trovò un uovo nella culla. Chi l'aveva covato? E se non c'era più, chi l'aveva cavato? Perché il bimbo non venne mai più trovato? E come mai il ciuccio era avvelenato? Un'altra domanda attinente: Eddie Merkx aveva un figlio? Se lo aveva, gli aveva mai detto di smettere di piangere? Perché allora piangeva ancora? Forse che la voce di un padre in bicicletta dopo un po' scompare, o non conta come quella di una madre? Come avrebbe fatto lui che era orfano a disubbidire ai genitori? E' vero che il sindaco di Tortona potrebbe essere una ciliegina? E' vero o non è vero che i sordi si siedono solo quando si sentono stanchi quindi sono sempre in piedi? E' vero o non è vero che le varie e ripetute cadute di gusto fanno dire alla moglie di Gusto: «Ma Gusto, non stai più in piedi!»? E non è forse vero che chi si fa un nodo alla gola lo fa per non dimenticarsi di respirare? La vogliamo smettere con queste domande alcune delle quali anche fuori posto? Ma se la smettiamo la smettiamo per forza o perché è giusto? Ma cosa è giusto? E' forse giusto che una ragazza di 19 anni faccia la festa per i 18 e tutti le dicano «auguri bugiarda»? E' forse giusto che ti compri un materasso per farci delle tartine e la prima che assaggi t'addormenti? E' vero o non è vero che sparando su un branco di mocassini disarmati si ottiene l'effetto contrario? Non è forse vero che adoperando molto un cardellino il cardellino si stufa e se ne va? Ci siamo mai chiesti dove va? Andrà dove i cardellini li usano con più parsimonia, una tantum (totalino tantum: una). Andrà dove ci sono bambini che scelgono la madre dove vogliono nascere. Così almeno credeva Ivan quando, convintosi che non era quella giusta, uscì dall'ombelico della mamma indesiderata. Era il sesto giorno, e così com'era (né pelle né ossa), si avviò per il mondo anticipando anticipando. Quando vide un baule gli parve di aver già visto una cosa simile e si ricordò solo allora di aver dimenticato tutta la sua roba sporca nella madre che non gli piaceva più: cercò di piangere e di disperarsi, ma siccome non sapeva come si faceva inventò la tristezza e con l'amico Coccodrillo scoprì anche le lacrime. Ciccutella era la donna che conobbe un giorno di ritorno da una gita sopra ogni aspettativa (ed è proprio sopra le aspettative che si possono vedere i panorami più desiderabili). Questa donna lo convinse a crescere e lo portò a vivere con sé in un marsupio: il canguro, saputolo, inventò i salti di gioia. Sembravano tutti scemi, e nell'attesa della conferma decisero di farsene una ragione. Quel bel dì ricordo che i galli si lucidarono gli occhiali, non riuscendo a vedere il motivo di non fare pure loro le uova. Era il giorno in cui il mussello divenne l'animale per eccellenza.

Il mussello (per chi non ricorda ciò che non è mai esistito) era un animale «non»: cioè era un non coniglio, un non cavallo, ma poteva essere benissimo anche un non cane e un non rinoceronte; aveva cioè una forma diversa e basta; non riniva, non abbaiava, era cioè un piùpiù con una nifala sul safò. Ciccutella, che come si può notare amava molto tutti gli animali, era comunque una femmina tutta casa, chiesa, scuola, lattaio, fornaio, droghiere, cartolaio, e poi di nuovo casa, quindi non stava fuori sempre; sul suo volto si leggeva solo delicatezza, tenerezza, bontà poi nient'altro perché ormai aveva la faccia completamente scarabocchiata. Era tutta anima e salvadanaio, spalle a spillo, occhio avanti (corpo seguila più in fretta). Neghittosa quanto reiterata, spingeva le lumache e tirava il freno a mano alle lepri. Scapola fin sopra le spalle, decise un bel dì di sposare Ivan, che, saputa la notizia, schiacciò un pisolino, comprò un cervo, fece una partita a birilli con le carte, baciò un casellante, con un sasso s'assopì, prese carta e penna e s'addormentò di soprassalto facendo un brutto sogno. Sognò una grande distesa di verde: la gente che si rotolava nel verde, e si rialzava tutta sporca di verde perché non aveva letto il cartello «vernice fresca». Sui prati tanti tavoli, mannaie e nodini di vitello, magro, alto, biondo, ma niente sangue, solo tanto plasma e biscotti al plasma, naturalmente. In un grosso acquario un cane lupo accompagnava da un corallo all'altro una triglia cieca, mentre un insegnante urlava ad un gruppo di ragazzi con salvagente che la classe non è acqua. I cavalli, che invece che al trotto andavano al troppo, stramazzavano al suolo scaraventando lontano i fantini. Un brigante, seduto sulle proprie ginocchia, mangiava coriandoli accanto a un drago che sputava e prendeva fuoco per il ritorno di fiamma. Le gambe gli facevano giacomo-giacomo e Giacomo diceva: «Dimmi, dimmi!». Fermò un camion di rane e si fece portare da una di loro a Vigevano dove c'erano certe leggi che adesso non ci sono più. Quando il sogno finì, Ivan pensò a cosa avrebbe detto Freud se fosse stato ancora vivo. Probabilmente avrebbe detto: «Però, sono un bel po' longevo!».

L'epopea della popa Lestate era alle porte e mia sorella alla finestra. I Tedeschi erano ai confini di Apò Pullà, i Celti ai confini di Bormio, i Croati nei pressi di Noia, e gli Ottentotti sempre più vicini al centinaio. Mario Francia era sindaco di Rimini, rettore dell'Istituto per non udenti «Comecome?» e in quel periodo stava pedinando un sasso. L'Emilia confinava a turno con il Molise, il Perù, Fiesole e Giacarta; la Valle dei Re e la Costa del Sol erano note località tempio della musica. In Svezia era stata inventata da poco l'automobile con parabrezza graduato; chi portava gli occhiali, guidando poteva non usarli perché i vetri dell'auto erano una lente. Questo però creò non pochi problemi agli altri passeggeri che vedevano tutto stradimensionato o sproporzionato: pedoni grandezza orso, semafori come querce, biciclette come mulini a vento. Erano gli anni in cui le donne partorivano sotto i cavoli per non rovinare le favole e la storia andava di pari passo, ma nessuno sa con che cosa. Io ero nel classico periodo in cui guardavo un uovo e dicevo: «Chi sei tu? Né carne, né pesce!». Quando iniziarono le micro-olimpiadi (con specialità come: gare di cricco, dito di ferro e salto con le palpebre), lo sport venne definitivamente abolito, e in Abissinia cominciarono a esserci grandi differenze tra una cosa e un'altra, praticamente un abisso. Come si può intuire si era nell'epopea della popa, unico periodo pregeppettiano (prima di Pinocchio, dopo l'invenzione della fionda). Con la frase: «Dispiace se tra un attimo spacchiamo la testa?» si inventò il preavviso, e con la frase: «No, non ci dispiace assolutamente, anzi!» si inventò l'incoscienza. Erano gli anni in cui Vivaldi litigava con frate Indovino per l'invenzione del calendario e delle stagioni, e Benedetto Croce ormai non firmava più per evidenti motivi. Guglielmo Manzoni inventò i «Promessi Sposi» per radio, e Pio X (Papa Pulcino, non certo tra i primi classificati) litigava con Ettore Fieramosca, tra l'altro orgogliosissimo del suo insetto. La gravità delle cose fu scoperta da Newton, che ci arrivò toccandosi la testa e vedendo che sanguinava e questo voleva dire che la mela aveva picchiato pesante. Epoca di grandi movimenti, ma ancora poche adesioni dato che l'adesivo non era ancora stato inventato e c'era ancora il rifiuto secco, l'unico che non andava in lavatrice. E' proprio di quei giorni la scoperta della lavatrice e soprattutto l'invenzione dello spogliarello, dato che tutti quelli che ci andavano dentro vestiti, morivano. Nerone e la figlia Fiammetta si schiantarono con l'aereo contro una montagna proprio qualche secondo prima dell'invenzione della torre di controllo. Il destino era in agguato.

Epoca di grandi capovolgimenti: gente che camminava coi piedi per aria, navi che affondavano, macchine capottate... In Spagna i toreri non mettevano le banderillas ai tori, ma le espadrillas, e tutto era molto più faticoso e rischioso dato che se c'è una cosa che il toro non sopporta è la scarpa tessutata. A Berlino (la città del Mago), erano molto diminuiti i morti per le strade dato che li buttavano subito nei fossi, ecco perché la ruspa fu un'invenzione fondamentale. In Italia Meucci, ancor prima di inventarlo, ogni volta che sentiva uno squillo gridava: «Il telefono! Mi sembra che sia il telefono, chi va?». Allora più che dello scopritore gli diedero dell'indovino, e non si può negare che lui se la prese (non si seppe mai cosa, ma se la prese, dato che mancava). Si racconta che si chiuse in se stesso ad ascoltare della musica, per la precisione gli Stifelliani, opera non perfettamente riuscita ma indubbiamente originale, dato che nell'ultimo atto entravano in scena l'uomo ragno e Clarabella. Molto tempo do, molto tempo re, molto tempo mi, molto tempo fa, la musica era soltanto una delle sette meraviglie del mondo insieme alle cascate del Niagara, al golfo di Taranto, alla balilla, alle piramidi, alla pizza, alla torre Hifell, a Sonia Braga e Bambi. Solo in un secondo tempo, e cioè dopo un gigantesco intervallo, musica significò anche arte. Sono tanti i nomi che hanno fatto grande l'arte della musica: Verdi, Rossini, Nerone, Bach, Offenbach, Wagner, Offenwagner e Toscanini, l'inventore dei sigari piccoli. Entrando nel merito delle opere dei grandi compositori, la più significativa è forse il Boletus di Ravel: la storia di un fungo velenoso che si innamora di una rana che baciata diventa rospo e baciata ancora si trasforma in girino. In questo capolavoro passione e sentimento, uniti a genio e ispirazione, danno la dimensione della forza della musica. Infatti se la pittura appaga l'occhio, la poesia l'anima, la cardiologia il cuore, l'aerofagia lo stomaco e il teatro la mente, la musica certamente appaga l'orecchio e la fantasia perché fa vedere anche quello che non c'è. Molti possono pensare che il vino faccia lo stesso effetto, ma non è così: non basta un bicchiere per fare la grande musica, ci vogliono gli strumenti adatti e l'uomo li ha creati apposta e tanti: il cembalo, il clavicembalo, la vicola e la clavicola, la fisarmonica, il vibrafono, l'idromassaggio, il flauto di traverso (l'unico che si mangia ma si digerisce male), il flauto magico; la chitarra elettrica, la sedia elettrica, il trombone, la tromba delle scale, il pianerottolo, lo scaccia pensieri, lo straccia mutande, il basso, la tuba, il falloppio, il triangolo, il crick, lo zufolo; le nacchere, le schicchere, le congas, le maracas, il kiwi e tutti i fiati in genere (i cui primi grandi esecutori furono il bue e l'asinello). Ma per fare musica ci vuole soprattutto orecchio, la testa sulle spalle, una grande anima e un cuore aperto: quindi l'importante è conoscere un chirurgo indeciso. In quegli anni capii che la vita è diversa dalle Kessler perché ce n'è una sola. Si parla di anni che portarono oltre il progresso sperato e cioè fino ad arrivare all'invenzione della lettera «P», con comprensibile giovamento delle pubbliche relazioni e dei rapporti umani di persone come: Latone, Inocchio, Irro, Aeron de Aeroni, Aa Giovanni, Uccini.

Si era già a cavallo della moderna pediatria, che proprio in quei giorni spiegò la sua follia che per piccina che lei sia è pur sempre una teoria. E questo perché Plinio il Vecchio scoprì che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, e proprio per questo diceva: «Amare i bambini, amare!», poi li buttava nell'oceano. Allora, pediatria e puericultura offrivano tanti piccoli accorgimenti per accertare lo stato di salute psico-fisica del poppante (se poppava; se non poppava non so come potrei chiamarlo). Per esempio: se il piccolo vicino a una corrente di aria fredda piange, teme il freddo; se vicino a una fonte di calore si allontana, teme il caldo. Se messo sotto una fonte si bagna, ha dei genitori stupidi; se non si bagna è impermeabile. Se quando lo si va a svegliare è nascosto dietro la cuccia, ha paura di qualcos'altro ed è geloso del cane che dorme nella culla. Se le prime parole che pronuncia sono «stafilococco, Ruwenzori e nicchietta», o ha mangiato qualcosa di pesante o più probabilmente è molto portato per gli studi classici. Se il neonato sente un suono e gira completamente il capo è iperuditivo; se non lo gira è inascoltante; se invece lo muove appena e fa un pernacchio, è un cafone e va punito dando uno zuccherino al cavallo per il quale lui prova una gelosia saccarifera (stato di piantus interruptus culpam equino o stato di gnola-tremens ronzinum causata). Altro esempio: se quando qualcuno spara un colpo di mortaio il piccolo alza gli occhi nel punto esatto del soffitto dove c'è lo squarcio, si può considerare buon osservatore; se invece li straluna e geme si può considerare colpito. A volte basta solo saper osservare, per capire cosa vogliono: quando guardano la pappa, vogliono mangiare la pappa, quando guardano il nonno, vogliono mangiare il nonno, se guardano tutti e due invece sono strabici. Se nascono mancini non avranno mai incidenti ma solo sinistri. Se alla vista di un estraneo sorride, il piccolo è gioviale; se sorride molto è giovialone (se piange è piangolo, se piange molto è piangolone). Se di notte tende le mani in avanti e deambula è sonnambulo; se le tende indietro è poco furbo, perché prima o poi contro qualcosa va a sbattere. Se tossisce ha la tosse; se starnuta non ha la tosse o almeno non in quell'attimo. Quando un bimbo senza pannolone pesa otto chili e invece col pannolone diciotto, è il momento di cambiare il bambino: si cerca un altro bambino e gli si mette lo stesso pannolone; se anche l'altro bambino aumenta, allora bisogna cambiare il pannolone. Se poi col pannolone cambiato il peso è uguale bisogna cambiare la bilancia. Se anche allora il peso risultasse identico ci si deve decidere a scendere una volta per tutte dalla bilancia. In tutte le epoche, insomma, avere figli ha sempre significato sacrificio, almeno fin che non viene il giorno in cui col colapasta e il grembiule si apre un periodo nuovo: cioè l'età scolare.

L'uomo è superiore agli animali (fanno eccezione: il nano e la giraffa) A scuola mi insegnavano che il pesce ombrello non sarebbe mai uscito col tempo bello e dicevano anche che le foche esistenti sulla terra erano di due tipi: foche buone e foche cattive (solo che le cattive erano anche ripiene e le chiamavano focacce). Questo era uno dei motivi per cui le rinchiusero in uno zoo. E proprio sul muro di cinta di uno zoo ricordo che era scolpita a caratteri elefantiaci la poesia scritta da una famosa giraffa durante l'accorciamento. O magione, e non intesa come grosso mese che viene dopo aprile, tu m'accogliesti come l'Africa m'accolse, come accolse le mie lunghe sorelle e pure zia Altana. Tu, dicevo, che sei parca, dandomi cotanto parco, tu che capistimi e regalastimi tanta natura quasi paradisiaca e facestimi imparare a scrivere tutte le parole in istimi e in estimi. Tu accogli questa mia poesia, questo canto, questo spiritual; accoglilo da una giraffa ipocondriaca. Firmato: dall'alto al basso. Il primo a leggerla fu l'elefante marino, che tutti volevano gettare in acqua per vedere se era vero. Marino era un elefantino con una strana pelliccia da orso, sempre rincorso dagli orsi che in quell'indumento vedevano una madre. Aveva una moglie che si voleva chiamare Rita, si chiamava Franca, ma tutti chiamavano Fucecchia. Con lei divideva una casa. Un bel dì, riusciti a farne due parti esatte, si separarono e non si videro mai più, pur frequentando gli stessi muratori. Il commissario del paese dove vivevano Marino e Fucecchia venne a sapere, proprio da un muratore, che l'elefante aveva avuto questa storia con una donna. Subito volle interrogarlo. L'elefante, arrivato al commissariato, si sedette su una seggiola e la distrusse. Il funzionario lo arrestò per eccesso di peso. Quell'inverno cominciò a piovere sulle catinelle, l'estate dopo vennero asciugate e messe al sole. L'autunno, quando arrivò, era già inverno e quindi se ne andò. I montoni tornarono; il bue e l'asinello, da quando seppero che avrebbero dovuto scaldare Gesù bimbo, non mangiarono più aglio e San Giuseppe si stupì talmente che si tranciò un dito con una pialla e disse, sanguinando con grazia: «Maledetta piallaccia». A Roma intanto, va detto, cominciava a crescere il basilico di San Pietro, unica pianta aromatica a forma di cupola, e fu allora che si scoprì che i punti cardinali erano alti prelati visti da molto lontano e che il velluto a coste era l'unico tessuto in riva al mare. E' di quei giorni anche la scoperta del mollone (che butta via le cose orrende e le fa tornare buone), e della pastigliona che faceva tornare sani gli scemi di un villaggio del tutto sconosciuto, che venne sconvolto da un fatto di cronaca nera.

Nella banca centrale un impiegato, durante una rapina a mano armata, tra lo star zitto e buono e il fare l'eroe, opta per fare l'eroe senza sapere cosa vuol dire opta, e muore. Arrivata la polizia, non fece nemmeno in tempo a entrare che uno di loro, alla vista del sangue, ebbe una crisi ematica. Decisero di legarlo a un dottore ma lui si dimenava come un pazzo, e il dottore chiedeva cosa mai stavano facendo; nel caos la palla arrivò in meta: Galles 8, Scotland 12. Negli spogliatoi però non c'era nessuno, quindi si vede che la partita qualcuno se l'era inventata. A dimostrazione poi che il destino non è balbuziente, ma per ripetersi si ripete, il 21 gennaio alle ore 21 un gruppo di poco facoltosi entrò di nuovo nella banca centrale per dei falsi versamenti. L'irrazionalità del cassiere portò ancora ad un inutile spargimento di sangue. La polizia infatti arrivò troppo tardi, permettendo così ai facinorosi di ultimare il loro piano. Ma soprattutto la polizia se ne andò troppo presto; così quelli rientrarono e portarono via ciò che restava. La polizia arrivò ancora troppo tardi, però questa volta pernottò non sapendo quando sarebbero tornati. Il paese, sconvolto nella pace dei secoli da questa congerie di eventi criminosi, rimase con gli abitanti allibiti, escluso uno: lo scultore subacqueo. Grande studioso della piposi (oggigiorno chiamata incontinenza birichina), nei ritagli di tempo faceva il minatore in un minareto, ma passò alla storia per aver inventato lo scalzacane. Capitava spesso a quei tempi che, mentre ci si infilava le scarpe, un cane ci si volesse infilare dentro. A quel punto era durissimo disincastrare piede e cane. Ebbene, lui inventò l'urlo: «Vàttene cane cretino, non vedi cosa fai, ahia, questa non è una cuccia, vàttene». Il cane rispose: «Come non è una cuccia?». Si scoprì così che i cani parlavano, solo che a qualsiasi domanda rispondevano sempre: «Come non è una cuccia?». Quindi si scoprì che i cani parlavano, ma erano scemi (tipo Rin-tonton). La scienza, comunque, lo insignì di qualcosa di molto importante senza dirgli mai cosa. Questo lo fece piangere come un maiale, infatti andò in una stalla e s'accovacciò con l'accento e gli altri maiali. Il giorno dopo fu ucciso da un contadino e di lui non si buttò via niente. All'imbrunire molti cambiarono nome e diventarono Bruno. Ricordo che gli acquitrini stagnavano e gli stagnini facevano i quattrini. I veri naviganti ascoltavano gli avvisi ma sapevano già come dovevano comportarsi, le sirene suonavano poi tornavano in acqua. Ulisse non c'era. I venti invece c'erano tutti. Silvestro non era santo, era ancora gatto. Insomma un'apoteosi senza precedenti, con molti presenti, ma anche molti assenti.

Ricotta ed Enrico Ottavo Come in ogni storia di spionaggio che si rispetti, i bugiardi erano più dei Geppetti. Infatti, Enrico faceva la spola da un capo all'altro della Francia senza sapere cosa vuol dire spola. Di giorno era lattaio e vendeva la latta ai carrozzieri che avevano capre che non ne facevano, di notte leccava le caramelle per chi non aveva la saliva. Altruismo o golosità? Idiozia o splendide papille gustative? Generosità o bisogno d'affetto? Questi dubbi lo lacerarono a tal punto che la sua vita da allora non è stata più quella di prima: i suoi vestiti gli vanno stretti, le chiavi non aprono più la porta di casa e poi cominciarono a chiamarlo Gino e se c'era un nome che lui odiava era Pino, quindi tanto fastidio non gli dava. Un pomeriggio verso le quattro post-merendiane impazzì e, per paura di essere colpito mentre si faceva la barba, decise di radersi al suolo. Essendo lunedì uno e il giorno dopo martedi due lui ritenne di avere i giorni contati. Si fece visitare da un medico, ma siccome non c'era più nulla da fare, il dottore era andato a casa un'ora prima. Così cominciano a passargli per la testa pensieri strani e non, ma soprattutto non: crede che l'incontinente sia colui che non riesce ad andare nelle isole, si convince che la trota è l'unico animale che non galopa, e pensa anche che il ratto delle sabine sia l'unico monumento a un topo. Dice a tutti e pure a me che per telefonare non ci vuole solo il numero e il telefono ma sono necessarie soprattutto le orecchie; comincia ad annusare tutta la moquette poi dice di avere scoperto dove non è passata la puzzola e comincia a giocare a mosca cieca, ma proprio mentre le sta cavando gli occhi arrivano quattro agenti in una delle 113 auto della polizia e gli dicono che di lì a poco qualcuno gli avrebbe sparato. Lui disse: «Non posso crederci!». Un poliziotto rispose: «Ah, no?». E gli sparò ferendolo alle ciglia. Enrico decise di fuggire in un posto dove non lo avrebbero trovato neanche col lanternino (perché ce l'aveva lui). Infatti espatriò. Arrivato oltre il confine con il treno, scese dal treno e si diresse verso la stazione peraltro non lontana. Chiamò un taxi, e appena fu dentro, siccome lui era figlio di una portiera, sbatté la mamma, e pensò tra sé e sé (totalino sé due): «Se il taxista mi chiede: dove la porto? io lo ammazzo!». Il taxista glielo domandò e lui tirò una coltellata senza dire né ao né bao e lo mise dentro un sacco di cellophane. Passò lui alla guida: guidò nervosamente, fumò una sigaretta, poi due, poi tre, poi quattromila, finché non raggiunse la pensione Sheraton. Entrò in ascensore, spinse T (trattoria) e arrivato all'ammezzato si sedette a un tavolo guardando il barista e pensando tra sé e sé: «Se mi chiede: prende qualcosa? lo ammazzo!» Il barista disse proprio «Prende qualcosa?» e lui dovette tirargli una coltellata senza dire né ao né bao.

Mise anche lui in un sacco di cellophane (ne aveva, li usava), e lo portò in fretta e Furia in un capanno vicino al porco che gli disse subito che era meglio portarlo in un capanno vicino al porto, perché lì sarebbe venuta gente, dato che lo dovevano uccidere. Lui ringraziò il suino, fuggì in un bosco a piedi, e, sbucato in un giardino, provò a nascondersi ma un giardiniere lo vide. Lui pensò: «Se mi chiede: lei chi è? lo ammazzo!», e così fu: tirò l'ennesima coltellata mettendo pure il giardiniere in un sacco, ormai uno degli ultimi, dato che ne stava usando tantissimi. Quando tutto a un tratto sentì rumori di contessa: nascose nella giacca mani e testa e nei calzoni i piedi. Quando la contessa arrivò vide il giardiniere morto e corse subito in casa a telefonare a un altro giardiniere, siccome c'era un posto vacante. Ma dalla finestra a vetri della casa, la contessa notò di sotto un'ombra, che le sembrava l'ombra di uno sconosciuto. Gridò: «Al ladro, al ladro», e un ladro uscendo dall'armadio disse: «Cosa urla, che non ho ancora rubato niente. Lei ce l'ha con la categoria, corra piuttosto dietro a quell'assassino, in quella nuvola di sacchi di cellophane. Lui è il colpevole». Difatti il nostro uomo stava scappando alla volta di un bar per telefonare ai basisti, i fratelli Circa, e dar loro un appuntamento di fronte a un night, dove dentro a una colonna di marmo avrebbero trovato, spicconando, niente, mentre dietro a un altoparlante, e senza spicconare, avrebbero trovato i biglietti della lotteria per vincere i soldi per i biglietti dell'aereo per Bombay. L'appuntamento era per mezzanotte, mezzanotte e trenta, l'una, l'una piena, le due. Il barista, che aveva sentito tutto, si beccò una coltellata che l'assassino tirò questa volta proprio sotto gli occhi della moglie, tant'è che la moglie del barista si accasciò al suolo (come Santa Rita S'accascia), con gli occhi sanguinanti, dicendo: «Ma io cosa c'entro... io cosa c'entro...». La poveretta spirò con le mani giunte, senza sapere giunte da dove. Il killer, intanto, stava telefonando alla contessa per dirle che se voleva rivedere il suo giardiniere vivo e aveva un pianoforte se lo poteva anche scordare, ma se voleva restare viva lei doveva portare dei sacchi di sacchi di cellophane, perché lui li aveva finiti. Il tutto doveva essere portato vicino a una cabina del telefono qualsiasi; lei lo avrebbe riconosciuto, perché come lui non c'era nessuno. In quell'istante alla contessa caddero gli occhiali sulle lenti a contatto, frantumandosi ambo. Fatto misterioso. Altro fatto misterioso (totalino fatti misteriosi: due) era che una telefonata anonima, monotona ma soprattutto minatoria, fece capire alla contessa che sua sorella era caduta dall'albero della cuccagna; le sue condizioni erano buone ma lei era morta. Dall'agitazione la contessa si strappò una collana di perle vere e dati i fatti decise di fare cinque minuti di raccoglimento; ma scivolò su una perlina forse non raccolta e volò fuori dalla finestra piantandosi nel prato sottostante coi piedi. Un treno piccolissimo passò per le sue orecchie e fece un macello del suo cervello; quando si riebbe disse infatti: «C'è del cerume sulle rotaieee...». Come se non bastasse le scoppiarono anche le mutande. Andò a casa a cercarne un altro paio ma ahimè, non ce n'erano più e non c'era più niente perché le avevano rubato proprio tutto: la pistola per sparare sentenze, una bottiglia di prosciutto, la cioccolata fuori dalla tazza, una banana nana, una pressa del

tipo a poco, un cappello, un cirro, marito e moglie, uno scafo, un bisquit, un bicchiere di stoffa, una gatta da pelare, alcune bretelle di legno, due pesi, due misure (totalino pesi e misure: quattro), gli osibisa, un pappagiallo, i tabanelli eccetera eccetera (totalino eccetera: due). Che fare? pensò come impazzita. Fingere che nulla fosse successo o dare una festa in onore del re scoiattolo? Erano le dieci meno dieci, praticamente l'orologio segnava le zero. Che fare? Portarlo dal salumiere e sentirsi dire: «Portalo dall'orologiaio, con questo cosa ci faccio io, la birra?». O portarlo in un'osteria, prendere della birra già fatta e darla al salumiere insieme all'orologio? Boh! La contessa, intanto, faceva scendere dagli occhi due vecchie lacrime, pensando che la vita non era un gioco o se lo era era macabro; o se lo era era vile, o se lo era era ingiusto, o se lo era. Come stordita, prese un libro e un deltaplano e si librò nell'aria, passò tra le gambe di una giovane nuvola, sorvolò tanti cieli, dall'alto vide New York che sembrava avesse usato le mani per fare del bene alla gente e raddrizzare i fiumi, scoprì che i pesci di notte uscivano dall'acqua ed entravano nel vino, incontrò Chilo, l'inventore dei pesi, e sentì una voce dire: «Va' nell'isola che da cento anni vive di sola pesca e di' che possono mangiare anche altri frutti». Accompagnò la neve fino a terra, le chiese se avrebbe potuto aspettarla per tornare ma la neve, svanitosa com'era, svanì. Così, la grande distesa di neve si trasformò in una grande distesa d'acqua: il mare.

Tarzan Come l'uomo discende dalla scimmia (e la scimmia discende dalla liana perché se fosse sempre restata là l'uomo non sarebbe mai esistito) così il mare discende dalla neve. Una delle risorse prime del mare è l'acqua. L'acqua, fin da quando non era ancora stata scoperta, era uno degli elementi base della terra, perché con la terra si faceva l'argilla, con l'argilla si facevano le brocche e con le brocche si beveva l'acqua piena di terra. Nel Medioevo, tra l'Era del ferro e l'Era del rame, ci fu l'Era del martello per battere questi metalli, e i martelli erano di due tipi: martelli e martelli buoni (che cioè prima di colpire qualcosa si fermavano). Era il periodo in cui i dinosauri, tanto per intenderci, costruivano dighe senza sapere a cosa servissero e quindi al massimo le usavano come stanza dei giochi o cantina-garage. Con l'invenzione del ruscello poi si risolse il grosso problema del trasporto dei sassi dalla montagna alla valle: quello che però non si era ancora risolto era il perché dovevano essere portati a valle i sassi. Gli studi sul trasporto delle acque seguitarono e si arrivò addirittura a riportare i sassi dalla pianura alle valli e dalle valli ai ghiacciai: così si inventarono anche le stupidaggini e i pattini. Quando cominciò l'Era dell'argento, i cammelli vennero sostituiti dagli sherpa gobbi, e in un secondo tempo anche loro vennero sostituiti dalle guide, le guide dalle cartine ed infine le cartine vennero sostituite dalle caramelle: era scoppiata l'Era dell'alimentazione. Infatti, con l'invenzione della bistecca, si assistette a una delle più grandi migrazioni di manzi nella storia dei bovini da braciola; i monsoni invece (più o meno venti) pascolavano indisturbati guardati dall'alto dal falco reale, che volava con grandi falcate, a differenza del falco finto che sostava sempre sui davanzali inesistenti di case che ancora non c'erano, cioè le case dei sogni, quelle che si possono abitare soltanto quando si dorme. Case con strane finestre da dove vedevo correre tutti gli anni. In quel momento correva l'anno 1600 berlinetta: dissero che in Australia era primavera e tornavano i boomerang, e un principe stava diventando azzurro guardando la volta celeste. La regina leggeva, comodamente seduta su un muro, brani tratti dal libro «Polifemo e i suoi inutili occhiali», quando si venne a sapere che i coccodrilli del fossato erano gravemente malati. Il re spese tutti i suoi averi fino a sdraiarsi sul lastrico e, povero in canna come un colpo, preso dalla disperazione, decise di aprire la sua cassa toracica per prendere il pil'oro e venderlo; ma siccome per fare ciò ci voleva del fegato, alè, prese anche quello.

Poi tutto scassinato ma non privo di un certo spirito, cominciò a ridere fino a sbudellarsi. La regina appena lo vide così gli chiese se per caso si era bevuto il cervello, e lui disse che era una questione di secondi poi avrebbe fatto anche quello. Lei sconvolta decise di lapidarsi, ma non ci riuscì perché un lupo mannaro le lanciò la mannaia centrandola con la cugina della cammella cioè la lama, e proprio nel mezzo di un'effusione, cioè tra il bacino e un sospiro. Lei spirò pensando a cosa voleva dire spirò e pensando che il cane era sì il migliore amico dell'uomo, ma con le donne era solo un ottimo lanciatore di coltelli. Anni bui, quindi. Quintino Sella, inventore del cavallo, sposò una zoccola e passò così alla storia come uomo di grande coerenza, ma proprio il giorno delle nozze, soffiandosi il naso con un fazzoletto di terra, si sentì dire da un contadino che quel fazzoletto era suo, come era suo il muco che ci pascolava dentro. La sposa, inorridita, scappò in riva a un lago che prima era vero e poi diventò artificiale come un arto. Arrivò a Novara dove vivevano dei parenti, ma quando fu lì si accorse che i parenti c'erano, però non erano i suoi; ferita nell'orgoglio, se ne ì a Vicenza dove abitava una nonna, solo che giuntavi si accorse che non era la sua: la supplicò di diventarlo, ma la vecchia disse che ormai le parentele erano fatte e che il destino non si cangia. Lei prese delle bilie e si strabiliò, quando tutto a un tratto «ma mi mu mo, chissà chi lo sa, Febo Conti», un maniaco col montone le si avventò contro, la fece sua con un timbro e la possesse sui sassi con grandi rumori di ossa. Il montone tirava ma il maniaco lo teneva con il guinzaglio; lei diceva: «Sono Viola!». «Il tuo colore non mi interessa, dimmi piuttosto come ti chiami» insisteva l'altro! «Livida» disse lei. «Adesso ho capito» bofonchiò il maniaco, scomparendo dietro le quinte come una comparsa alla fine del primo atto evidentemente osceno. Quando la donna si riprese, bussò alla porta di un amico: era aperta, allora entrò; l'amico giaceva morto sul muro e russava. «Fred, John, Paul, Ugo...» urlò lei, e il morto rispose: «Non ci sei andata vicino neanche con uno». «Mi scusi, avrò sbagliato casa» disse lei uscendo. Controllato il numero civico si accorse che non era il sei ma il nove, oppure era il sei però allora la casa era capovolta. E qui gatta cicogna. Cercò un amico che stesse chissà chessò al dodici, così non avrebbe potuto sbagliarsi. Fece per entrare, ma la porta era chiusa. Batté violentemente la nasca e cadde all'indietro sullo zerbino, gemette ma non morse. In quel momento passò il lattaio che buttando la bottiglia la centrò alla nuca, questa volta uccidendola. La prossima volta si vedrà.

La formula del latte è vacca, 0 Lavventura proseguì, perché io ricordo che il lattaio venne rinchiuso nella prigione di stato e continuò a fare il suo mestiere, ma questa volta tutti avevano il casco e lui poteva lanciare indisturbato. Il direttore del penitenziario, dopo tre anni e tre notti per una cosa o per un'altra (totalino cose, due), lo fa uscire facendosi promettere di non fare mai più il garzone del lattaio se non lavorando al banco. I primi giorni dell'ex galeotto passano tranquilli, ma alla prima richiesta di un litro di latte in bottiglia lui non può far altro che sfracellarla eccome, in testa all'avventore che, averlo saputo prima, certo non si sarebbe mai avventato. Egli infatti muore senza arte né parte e senza tante storie, ai piedi del bancone, vicino ad altri clienti morti, però, di morte naturale (probabilmente era il negozio che portava sfortuna). Il lattaio, allora, questa volta (a quanto pare totalino volte due), decide di fuggire, ma il rimorso lo sopraffà, mentre un tramonto dai colori di triste presagio lo mette a disagio. Non crede ai suoi occhi, dà loro dei bugiardi e si nasconde con l'involontario aiuto di un gruppo di ragazzetti che stavano giocando a palla avvelenata, mettendo serpenti dentro le mutande dei loro amici. A un tratto cominciarono a bruciargli gli occhi, i monellacci, proprio a lui, che era sempre stato buono, bravo, sagace, pronto, disponibile, coerente, buono, sagace, disponibile, coerente, pronto, buono, buono, sagace, sagace, coerente, pronto... pronto... Aveva messo giù! Arrivata sul posto, l'ambulanza lo caricò e lo portò d'urgenza in una pizzeria. (Paese che vai, usanza banzai.) All'interno tanti tavoli; c'erano direttori d'orchestra cinesi, che mangiavano con la bacchetta e dirigevano con la forchetta, uomini d'affari che per ingannare il tempo mettevano avanti tutti gli orologi. Un panino che non si riusciva a mangiare si sforzò e si mangiò da solo; alcuni bruchi brucavano l'erba del vicino, e non perché era più verde ma perché era più vicina; le galline facevano le uova d'oro (e voleva dire che avevano un gran bel culo). Cominciò quel dì una spropositata esportazione di datteri e una smisurata importazione di cocco e da allora infatti solo: ciao cocco, come stai cocco, eh no cocco, troppo facile cocco. In Groenlandia e non solo in Groenlandia ma anche in Germania, e non solo in Germania ma anche altrove (per esempio in Groenlandia), in Germania dicevo, il 12 per cento del fatturato era pari se non dispari al prodotto lordo annuo pro capite se capitava, e se non capitava a scapito. Esisteva infatti un rapporto tra risparmiatore e interesse che si poteva definire suino, data la forma della stragrande maggioranza dei salvadanai esistente sul mercato.

Non per nulla i Paesi in via di sviluppo, al contrario di quelli già stampati e ingranditi, erano la fotografia esatta del comportamento economico del singolo davanti a domanda e offerta; e questo specialmente in certe nazioni come i Paesi Bassi che erano i primi produttori di papaveri alti alti. In parole poco abbienti, cioè in parole povere, le cosiddette percentuali di rimborso si ottenevano dando vita ad un conto corrente alternato al capitale imponibile sul debito annuale netto, e questo con una strategia di insinuamento bancario con fini prettamente esosi, si-si-sa-sa-su-su, susi-sa-sa-sese-sasa-susu. Il fatto poi che ci si ferisse poco era dovuto all'emissione solo di banconote di piccolo taglio. Insomma la vita poteva sembrare sempre la stessa ma non lo era più, la gente sembrava anche più unita, vicina, tutti si tenevano per mano e non si lasciavano mai: perciò c'erano taxi stracolmi, ascensori pieni di gente che non voleva andare né su né giù, angeli che arrivavano sulla terra senza più quel cerchio alla testa che li prendeva ad ogni apparizione, gli asili nido tornavano a riempirsi di rondini; per la gioia dei sensi degli automobilisti c'erano strade percorribili sia in una direzione che in un'altra (totalino direzioni, due, vice-direttori uno). Era diventato insomma un paese del tipo che vai con usanze del tipo che trovi. Nei bar i nuovi no, ma i vecchi organizzavano tornei di bucce, gare di sfollagente, ramino, tappo, ah, perché sei alto tu. Ma soprattutto ci si sollazzava col gioco del 90, uno dei giochi più originali che credo siano mai stati inventati. Bisognava giocare in due ma si poteva essere anche in dieci: si davano 90 carte e poi ci si lamentava perché non si riusciva a tenerle tutte in mano, allora molti se ne andavano, per la precisione otto, quindi si poteva cominciare il gioco vero e proprio: chi faceva scopa spazzava il piatto e il piatto piangeva perché gli era arrivata della saggina negli occhi; allora l'avversario diceva «cip» e gli uccellini bussavano. Chi apriva per primo vedeva, chi chiudeva invece giocava al buio, e allora l'altro tornava a bussare incattivito perché nessuno lo sentiva; ed era ancor più teso se per caso aveva il cavallo di bastoni perché non sapeva dove metterlo. La prima mano finiva regolarmente nella porta di chi aveva chiuso per primo, e a un certo punto un giocatore di nascosto si metteva sotto il tavolo cominciando a fare: blef, blef, blef; così l'altro s'accorgeva che stava bleffando. Vinceva chi restava con una carta in mano. E per me chi resta con la carta in mano vuol dire sì che è andato in bagno, ma non ha concluso.

Dire, fare, baciare, lettera e sentimento Tizio faceva rima con vizio, Caio con puttanaio. L'atmosfera era beckettiana e faceva rima con persiana. Infatti io scoprii che alle finestre c'erano tanti pescatori vestiti di nero seduti in riva ad un mare di guai, che aspettavano di veder passare il tempo che non passa mai. Al posto suo quel mattino passò il postino, che diede a uno di loro una lunga lettera: Caro Libero, come tu saprai, prima di entrare in galera sono uscito da un esaurimento, ma sono riuscito a riprendermi invece che lasciarmi andare. Sei tu Libero? Scusami sai, ma ho sempre il dubbio di aver sbagliato indirizzo. Voglio raccontarti la mia avventura dell'altra notte. E' tremendo e mi vengono i brividi solo a pensarci. Aspetta, mi infilo un paio di calzini. Ti piacciono questi? Ti ricordi quando negli spogliatoi del tennis club ce li mettevamo insieme e non riuscivamo a starci dentro tutti e due? Era chiaro, eppure ci divertivamo come stupidi, soprattutto tu. Qui i soldati non si contano, ma sanno già in quanti sono. Comunque, indovina un po' cos'è questo? No, hai sbagliato, sarà per la prossima volta. Volevo chiederti come sta Luigi. E Luigi? Salutami tutti e spero di non aver dimenticato proprio nessuno. Che si dice lì da voi? Ivanhoe è tornato? O mio padre lavora ancora al tornio? Oggi da noi c'è stata la prima lezione di polo. Il signor Marco è veramente in gamba. Ha imparato a tenere in bocca la sua caramella alla menta per sei ore, senza scioglierla. Parola d'ordine: «Stamani è più sporca di staltri mani, la vado a lavari». In cella con me c'è un sardo. Oggi abbiamo anche acceso la tivù, domani saremo in cella di rigore perché crederanno che siamo stati noi a darle fuoco. Ad ogni buon conto, mancano tre giorni a lunedì. Mi càpita spesso di non ricordare il nome dei giorni, così me li sono scritti: Luigi lunedì, Ettore martedì, Cristiano mercoledì, Giorgio giovedì, Robinson venerdì, Crusoe sabato e Luisella domenica. Ho mani anche per piangere ma uso più spesso gli occhi. Lo sai, qui si mangiano i fichi tra di loro, le bestie. Uno vuole essere più fico dell'altro, roba dell'altro mondo. Stanotte, mettendomi le dita nel naso, ho scoperto un vecchio cappello che usavo da bambino. Ricordo? Certo, l'ho detto io in questo momento, sarei cretino. Il passato è comunque qualcosa di sporco. Ma adesso ormai è il tramonto e devo andare a fare il sole. Basta soltanto che trovi qualcuno che faccia il cielo. Nuova parola d'ordine: «Non è tutto facile ciò che è facile». Il dottore ieri pomeriggio mi ha detto che finalmente posso cominciare a vestirmi e scendere dal lettino. Per me, sai, la salute è una cosa importante, come per tutti, quindi anche per me; perché io sono forse diverso dagli altri? Chi sono io, io chi sono? Siccome mi conosci da tanti anni, ti prego, dimmi chi sono, come mi chiamo? Ieri, alla messa nella celletta episcopale, Tano ha fatto indigestione di ostie rifacendo la fila per cinquantadue volte. Don

Diego allora l'ha battezzato ripetutamente, secondo me ha fatto bene perché la vita: a) è dolore, b) sofferenza, c) moriamo tutti. Avant'ieri poi ho perso la mia Bibbia con la copertina in coppertone: adesso ragazzetti napoletani vanno in giro raccontando parabole. Come mi debbo comportare? Io credo in un solo Dio ma adesso do una controllatina. Gabriella a proposito, come sta? E Gabriella, Gabriella? Vedi ancora Gabriella? Il tuo silenzio mi fa capire tante cose (totalino cose, tante). Oggi in mensa credevo d'impazzire, ma non ce l'ho fatta. C'è ancora molta strada per poter arrivare alla fede così com'è, passando dai lidi ravennati. Questo diceva Erich Fromm. «Pancia mia fatti capanna», questo diceva zio Tom. Ad ogni modo, volevo dirti che non si può andare avanti così. Una volta sì che costava poco, non come adesso che non bastano mai e poi l'acqua fa schifo e i cani si son fatti sempre più maleducati. Mica come in passato che se i cani non avevano la coda si mettevano in fila e la facevano con pazienza, senza sempre chiedere, chiedere, chiedere. «Orson Welles, Or son chi mi pare», questo disse mago Wiz. Apro gli occhi e trapeli tu. I peli sono quelli di un ergastolano francese, nato a Como. Ti salutano Renzo e Lucia e tutto un ramo del loro albero genealogico. Lo sai cosa penso ogni tanto? Penso che il gelato sia più leggero da digerire della pesca col salvagente, però uno va giù e si scioglie, l'altra invece si salva e si diverte anche e sai perché? Perché pesca, ecco perché. Tano e io intanto proviamo a fare la mozzarella in carrozza, ma non vogliamo l'aiuto del cocchiere, facciamo tutto da soli. Ma dimmi di te, piuttosto. E Tolmino: come sta Tolmino? Tolmino? lo vedi ancora Tolmino? Notizie di Tolmino. Spero di non aver dimenticato nessuno e mi ungo come una sfinge prima di incatacombarsi (babbeo, credi proprio a tutto, eh?). Io qui leggo moltissimo e proprio quest'oggi ho cominciato il bellissimo libro «Dove si caccia la volpe», che parla dei posti dove essa si va a cacciare. Pensa, sai dove si caccia? Dove i cacciatori non la possono cacciare, appunto perché lei ci si caccia da sola e prima, altrimenti è chiaro che la caccerebbe il cacciatore. Invece così non la possono certo cacciare dove s'è già cacciata. Lei si caccia prima e da sola. E' anche scema. Be', insomma, devo sapere ancora come va a finire. Adesso però vedo dalle sbarre che è arrivato un elicottero e ti devo salutare perché sotto c'è scritto: «Saluta Libero». Ciao, salutami Cadabra, Tua Abra. Libero, letta tutta questa lettera, si andò a sedere sul far della notte e lì pensò a come e perché, e si domandò come mai tanta ratantanta.

O Francia, o Belgio, o Landa! E' chiaro che tutto successe quando Manten conobbe Balon, l'inventore del calcio, e Balon gli propose di lavorare per Luis e Marcell, e Claude se ne ebbe a male. Manten non aveva mai lavorato con lui, aveva lavorato solo con Claude, e questo Marcel lo sapeva, eh se lo sapeva. Lemon conobbe Claude ancor prima di lavorare con Cremon e Marcel, e ciò Balon lo immaginava, eh se lo immaginava. Lo zio di Lemon lavorava in un tè, e il fratello, che era maniscalco, quei pochi soldi che faceva erano fatti suoi dove li metteva, certamente non in scarpe. Questo a Claude non sfagiolava, e se non sfagiolava non sfagiolava (totalino sfagiolamenti: tre). Marcel solo allora prese il capo e capì: scappò di casa e dopo un lungo travaglio tornò. Allora gli chiesero dove fosse stato tutta la notte, e lui dopo un lungo travaglio rispose; subito lo mandarono a cena senza dormire: lui s'addormentò e lo picchiarono. Dopo un lungo travaglio pianse. Da allora Marcel non fa più niente senza un lungo travaglio. So che cambiò lavoro: cercavano un arrotino ubriaco che lanciasse coltelli in un'osteria, e che sapesse anche lavare i piatti rotti e rinfrancare buste che avevano perso il francobollo. Ma cosa poteva fare lui, che era sempre stato ottorinoceronte in uno zoo con sette rino? Lui, che la prima volta che baciò un nano disse: sa di tappo? Cosa sapeva fare lui, che al massimo poteva fare il perito in un incidente mai avvenuto? Lui che riusciva a fare l'autostop solo col mignolo? Che credeva che le balle fossero bugie che stanno nelle mutande? Lui comunque rispose a un annuncio. Ma dopo un po' si accorse che quello non era lavoro per lui: per fare bene il proprio lavoro bisogna esserci portati. E se non si hanno mezzi di locomozione, anche venuti a prendere. Quel giorno fuggì definitivamente di casa (fuggì lui: se avesse aspettato che si fosse mossa la casa avrebbe aspettato un bel pezzo). Cercò un altro lavoro ma lo licenziarono ancora prima di trovarlo: lui tutto licenziato si sparò in bocca dimenticandosi però di aprirla, quindi si rovinò tutti i denti davanti. A quel punto cheffare? Dove andare? Cheppensare? Telefona a Tizio, telefona a Caio, trova occupato perché è al telefono con Sempronio, chiedi in giro, parla con uno, parla con due, esci con tre, vai a sinistra, vai a destra, torna indietro, sbatti contro un platano, non ci sbattere, lui finisce sotto un'auto ma invece di fare il ferito comincia a fare il meccanico. Quale soddisfazione maggiore per lui che inventare il motore a scoppio e, dopo averlo messo in moto, notare con una punta d'orgoglio che non è scoppiato? Quale delusione invece quando, poco dopo, si cavò un occhio con la punta d'orgoglio! Realizzò comunque parecchi marchingegni prima d'approdare al motore vero e proprio. Questo aveva ben più di quattro tempi, e cioè: accensione, scintilla, scoppio, soccorso, ambulanza, fuga, arrivo, scarico e camera di rianimazione.

Era fatto in ghisa anodizzata (cioè con una corda di metallo) ed era composto da un verricello a forma di Indianapolis che trainava un ingranaggio a pista sferica elicoidale (di quelli che comunque li tocchi ti fai male). Al posto dei pistoni, va detto, c'erano due stantuffi che invece che su e giù andavano qua e là, e creavano una spinta propulsiva all'esterno pari alla forza lavoro di mille api regine prima della caduta della monarchia. L'assale che conduceva dal pignone all'albero del cambio era a gomito, quindi capace di farsi spazio in ogni situazione; e la boccola sottostante a becco d'asino, per diminuire l'attrito con le due valvole della testa che erano a seno di farfalla. Altra curiosità era che il cambio a coppia era privo di figli, ma dotato di bilanciere multiplo a papussa per un migliore bloccaggio e una maggiore comodità del piede. Il filo del gas era collegato con la bombola di casa, quindi era della lunghezza della strada che si intendeva fare e non un centimetro in più (e ciò serviva ovviamente anche come antifurto). I suoi primi esperimenti di motore a scoppio fanno capire come tra meccanica e ingegneria il passo fosse breve, soprattutto se l'inventore aveva le gambe corte come lui.

Piace la musica a chi mangia i carillons Capisco che potrebbe sembrare la storia di un uomo agnostico e blasfemore. Invece è la storia di un uomo povero dentro ma ricco in giardino, estenuante, non proprio un ghibello, ma ghibellino sì. Capzioso in ogni sua risposta senza domanda, simpatico a suo dire, insomma per tutti uno scemo, che sposò una donna curiosa e sbirciolina, la classica donna avida ma non impavida, un'ottimaiola credulina ma non pessimante, geniale a suo dire ma per tutti una scema. Essi ebbero un figlio, Sinibaldo, cioè capace di sinibare senza dar fastidio a nessuno. Il suo naso, plumbeo e leggero, era capace di farlo volare via ogni qualvolta se lo soffiava (cfr. lo studio sull'Eolorinologia). Labbra avvolgenti, ovvi seni piatti, piatti fondi, fondi di bottiglia, insomma un buon bevitore. Negli anni a venire piuttosto che a stare, Sinibaldo amò sempre sortire: amava anche uscire dalle situazioni se le aveva già viste, e sosteneva che se il cubismo studia la storia di un'isola e il cinismo di una nazione, il «tataismo» era composto da persone che avevano passato la loro infanzia con una donna che non era la madre, e cioè la tata. Se l'iconoclasta era colui che inciampava nelle immaginette religiose, il futurismo esisteva veramente. Lui difatti asseriva che il futurismo (anche detto in parole povere chiromanzia) era solo uno dei tanti movimenti artistico-filosofici tra cui appunto la lettura della mano, la scrittura delle orecchie ed ogni forma di astrazione, che conduceva al trinomio «esaltazione/ esorcizzazione/ don Peppone». Molti si chiesero se tutto quello che finiva per one era arte: lui lo negava, perché per lui arte significava che: A) la vita è un soffio; b) la pioggia smette; c) moriamo tutti. Non per niente Vinervino Jervolo (suo cugino, poeta, pittore, rosticcere e proctologo) era solito dire: «Scinderei», e questo lo diceva proprio perché la divisione è la somma di tutte le operazioni mentali del corpo che si moltiplicano solo se vengono sottratte. Chi divide spartisce, chi spartisce cioè va via dividendo. E proprio qui sta anche l'origine di molti movimenti culturali come lo scetticismo, il perbenismo, l'edonismo, l'onanismo e il rachitismo. Ma a ben vedere Sinibaldo da tutto ciò era ben lungi. E voi vi chiederete perché ben lungi e non ben Luigi? Forse per uno sviscerato odio per i nomi propri e non quelli degli altri? «Comunque venite su con noi che sorvoliamo.» Si cominciò a sorvolare il paese che ha visto i natali dei più famosi personaggi della scienza e della tecnica: Piero Pieri che scoprì la coperta, Svania Plocs, pensatrice e stiratrice, inventrice delle maniche lunghe e delle maniche corte, Cofinfio, tuttofare del fai da te che non ho tempo e non posso aiutarti.

Lui era solito fare le cornicette ai quadretti dei fogli dei quaderni e poi buttava via tutto. Fu lui che ai primi del secolo disse «Congratulazioni, avete vinto» e poi si chiuse nel suo hangar dell'esuberanza per fabbricare i guanti per i senza-tatto e quelli per i ciechi, che appena ci vedono cosa fanno? ci salutano (cfr. lo studio su «I miracoli dell'educazione»). Nei lunghi giorni della sua reclusione volontaria e scientifica, un pomeriggio alle sedici, fece cinque minuti di pausa e inventò la merenda. Mangiò qualcosa e poi riprese. Tra chiari e scuri il suo pensare in bianco e nero sembrava tutto falso ma riusciva tutto vero. Gli orologi si erano fermati: si decise di caricarli sulla macchina e partire per dovunque senza prenotare o prenotando dappertutto, tanto era la stessa cosa. Ma siccome, si sa, il nostro corpo è una macchina perfetta, ma non per tutti, lui, vedendo un uomo trainare una roulotte, s'insospettì; inoltre stava piovendo e il tergicristallo delle sue lenti a contatto non funzionava più (misteri della micromeccanica). Erano le ore piccole (e finalmente i nani riuscirono a mettersi l'orologio) e dal cielo cadeva Biancaneve. Io penso che alle volte la fortuna alzi la sottana e faccia vedere le cose più belle. Sul ponte della nave passavano camion, e sotto un fiume carino. La nave proseguiva per il mare Geo, fino alla baita di Apò Pullà. Al grido di «Tutte le scuse sono buone» Sinibaldo ne fece una scorpacciata. Poi si fece issare sul pennone della nave per lanciarsi nel vuoto fino a qualcosa di pieno come un folle in età da marito: cioè impazzito; e il nesso era semplice: a) la vita è un soffio; b) la vita è un gioco; c) moriamo tutti. E come da punto c) lui morì. Al posto suo nacque Edo, e non per clonazione ma per sostituzione.

Lulù L'astruso Edo sentì uno strano odore di benzina su tutto il corpo e sui vestiti, allora si convinse di aver fatto il pieno senza macchina. Chi potrebbe chiamarla soltanto distrazione? Va anche detto che la prima volta che vide un piatto di spaghetti pensò alla versione più impegnativa del gioco shangai; magari questo non aiuta a capire il suo carattere solatio, il suo annoiarsi vivace, o il suo mento di pongo, ma dà di lui un quadro abbastanza curioso anche se certamente incompleto. Edo non aveva passato un'allegra pubertà, lo comprovano i fatti e non le parole: infatti era muto. Il vizio di leccarsi le tempie e di tagliarsi le unghie col temperalapis, non lo rese lo stesso normale agli occhi strabici della gente, che vedeva in lui un simpatico sburziglino, che ogni volta che si grattava si feriva. Alto, basso, biondo, con le orecchie sciupate, lo sguardo felino, il passo felino, il cane felino, e questi splendidi capelli ocra; il suo inconfondibile cappotto di legno che gli rendeva i movimenti meccanici e scattosi, il suo busto incompleto, la squamatura irregolare ed argentea, ma soprattutto le natiche taciturne lo portavano a essere paragonato a niente di bello: infatti dal di dietro sembrava una renna in castigo, e di fronte un esuberante aforisma. Quando entrava in fibrillazione la sua voce veniva coperta dal battito del cuore che come motivo musicale poteva ricordare vagamente «Niente da fa' me devi ama'». Soltanto una persona lo capì, ma dopo averlo capito fuggì. Verso la fine dei suoi anni venne preso a benvolere da uno zingaro e conquistò la stima di tutto l'accampamento nomade per essere riuscito a chiudere in una scatolina tutte le formiche di nome Ciccillo e Mosè. Questo fatto lo rese più sereno, più disponibile allo scherzo e perchennò meno irritabile e anche più tollerante, tanto da diventare amico dei reietti e degli oppressi, compagno dei più sfortunati, confidente dei delinquenti, confessore dei folli e complice degli squartatori, finché non venne arrestato per eccesso di zelo nei confronti della feccia umana, con la complicità della giovane figlia. La quale fu rinchiusa in una prigione subacquea senza bombole, ma ciò che è peggio anche senza bambole. Cheffare? Fabbricarsene una di pezza con le branchie o divertirsi con l'H~O (totalino H due)? Cercare di fuggire a stile libero anche se non si addiceva? O pensare a cosa si addiceva? La bambina pianse, però sott'acqua non si vedeva; non la rendeva felice nemmeno il fatto che la venissero a trovare molti suoi amici tra cui il figlio di Barry White, Yoghy, un altro orso con la barba, un bambino senza, e un contadino che, invidioso di un addestratore di pappagalli, teneva appollaiata sulla spalla una mucca. Molto spesso io mi domando: può Dio permettere tanta fantasia? Forse: se è un animale molto piccolo può darsi che ci sia il suo zampino. Comunque un bel dì, che viene dopo il bell'a, il bel bi e il bel cì, arrivò Nubole soprappensiero, e deciso a liberarla volò dentro la finestra con un vetro molto spesso

ma non sempre, poi la caricò su una Bentley arancione, e la portò lontano dagli occhi indiscreti per farle la dichiarazione d'amore più bella della sua vita: «Amore, più i giorni passano e più mi sembra che non sia domenica. Ricordo quella domenica quando tu mi soffiasti il naso con le tue mani e mi dicesti: "Sfogati, l'influenza non guida l'autobus, l'influenza è passeggera", e mi mettesti una ghirlanda di ghiri intorno al collo, e io in preda al panico ripiombai sulle tue vesti strappate per sentire ancora il profumo della carne e l'aroma delle spezie: è bello farlo vicino a un barbecue. «I tuoi boccoli biondi sembravano fili di rame della spina di un abat-jour che illumina un'orgia; il tuo seno mi ricordava quello della mia ragazza. In quel momento io vedevo sesso anche sugli alberi (quindi guai se avessi raccolto della frutta) intanto il mio eros si materializzava e diventava un maggiordomo a cui obbedivo come un padrone stupido; egli mi portò da te in auto, appena ti vidi cominciai a mangiarti con gli occhi parlarti con le orecchie baciarti col naso guardarti col mento, tu mi dicesti "mostro", io ti dissi "sì, mostrami tutto", fammi vedere quello che gli dèi chiamano Olimpo del piacere, quello che gli Eschimesi chiamano il grande igloo e che gli indiani chiamano la luna spaccata; che un pasticcere potrebbe chiamare mont blanc, che gli alpini chiamano mazzolin di fiori, ma che mio nonno fruttivendolo chiamava la prugna. «Senza di te io sono scarpa senza piede, osso senza scheletro, tromba senza mangiatore di fagioli, stalla senza porco, bicchiere senza fondo, aneurisma senza risma, piano senza forte, lupo senza pelo e senza vizio, ciuccio senza neonato, orfano senza genitori e senza genitali, orologio senza polso, indiano scrivano senza penna. La tua pelle è come la pelle di una pesca vellutata, che ha la pelle come quella di un neonato con la pelle vellutata come una pesca, che ce l'ha vellutata come quella di un neonato che pensa "ma che paragoni del piffero". «Le tue scapole mi ricordano mia cognata che non si è mai sposata perché ha un cuore duro; un cuore che fa rima con rumore, lo stesso rumore che fa il mio cuore quando batte perché vuole uscire ma nessuno lo sente allora smette di battere e io muoio d'amore per te, che sei la pupilla di un fiore su cui si posa un calabrone che dice "Ma questo è un occhio. Dove sono, non mi sarò perso... porca clorofilla!", e mentre dice queste cose viene spinto lontano dal vento di zerbino, quello stesso zerbino su cui mi genufletterò davanti a te che sei l'unica capace di farmi volare con le mani ma incapace di farmi atterrare, quindi una catastrofe. «Però è bello soffrire per te, è un po' come ungere l'impugnatura di una stampella di un simpatico handicappato che cade e ci ride sopra e tu mi ridi sopra; dato il tuo peso sarebbe meglio mi sorridessi di fianco, ma è tutto bello quello che fai come quando mi levi i pantaloni senza levarmi le bretelle e a me sembra di guardare una fionda al microscopio». Alla fine questo in parole povere era il succo (e lei se lo bevve). Io ricordo comunque che terminata questa breve dichiarazione d'amore Nubole fu allegramente rinchiuso in una casa di cura.

Tutti dentro al cavallo di Troia All'interno di questa strana casa di cura, l'arredamento era molto particolare: alcuni quadri raffiguravano Enea che scriveva l'Eneide seduto al banco nel negozio del padre (Enea il monotono); altri raffiguranti maestri accavallati, cavalli ammaestrati, scene di gelosia; alle finestre non c'erano le solite donnine bassine, le tapparelle, ma c'erano i simpaticissimi omini di colore, gli scuretti. Questo fece trasalire Nubole, anche se dopo trascese. Il soffitto era a cassettoni, bello ma scomodo, perché ogni volta che ne apriva uno cascavano indumenti e suppellettili. C'erano stupende colonne arabescate dagli Arabi in tardo gotico, tardo romano, tardo un pochino ma giuro che arrivo, e i bassorilievi raffiguranti Eolo (il dio dei Venti) e Mammolo (il dio dei Sette) erano impressi su ampie volute (non certo fatte per caso). Si vedevano absidi sulfuree ispirate ai fiamminghi, con disegnate sopra le avventure di Pirro e dei suoi piromani. Molti i candelabri leporini e le anfore coi fàfori: insomma come casa di cura lasciava il tempo che trovava (e cioè se era bello restava bello, se pioveva restava piovoso). Alcune infermiere stravaccate sui lettini, seminude, bevevano sorsi di latte e melissa. Ogni tanto passava in visita il dottor Chicco, che frugava per niente furtivo la loro intimità col senso del guado senza scarponcini, e con mano pesante inanellata sfiorava le loro natiche che ricordavano i mantici di Sant'Anselmo (protettore dei mantici, non delle natiche). A Nubole quest'atmosfera piaceva molto, e dal profumo che emana questa pagina si può capire anche il perché. Un'infermiera chiamata Fansullé (perché Fansullé era il suo nome, altrimenti si sarebbe chiamata in un altro modo) faceva scorrere l'acqua del rubinetto come a dire: «acqua ce n'è a volontà, ma ciò che mi manca è l'amore». Nubole si avvicinò a lei e passò a vie di fatto: la spogliò e prese a morderle i piedi: con più passione il pollice, con molta meno passione il mignolo, a dimostrazione del fatto che molto spesso è più importante la quantità della qualità. Poi si rituffarono nell'oro fuso dei sensi, ricorrendo a mezzi insoliti per attrarsi vicendevolmente: lui le faceva scoppiare petardi nella cavità ombelicale e l'odore acre della polvere da sparo caricava i loro sensi e li portava al capolinea della sensualità. Nubole, famoso per le sue dichiarazioni, questa volta cominciò così: «T'amo, t'ho sempre amata, è una generazione che t'amo: prima ti amava mio nonno poi mio padre ed ora io. Ti sposerò e ti porterò in un paesino d'alta montagna, al mare in campagna o sull'ago, in un'ampia cruna con tanti cammelli, staremo lontani dal resto del mondo, senz'acqua gas luce, nessun agio, avremo dei bambini, li farò fare tutti a te...». Soltanto la mattina, quando la luce entrò dalla finestra (ed era strano dato che tutto entrava dalla porta) Nubole si rese conto del colpo di testa, chiedendo scusa; l'infermiera Fansullé lo consolò dicendo di non preoccuparsi, perché per un colpo di testa anche un canguro può vendere una mansarda.

Lui si tranquillizzò e dopo pochi giorni fu dimesso, e se ne andò: saltò su una bicicletta, e raggiunse il campo di battaglia, frastornato ma felice, e completamente guarito. Era il 30 «gnugno» dell'anno in cui non si sapeva ancora bene il nome dei mesi. Ricordo che i cani abbaiavano nelle latrine e latravano negli abbaini, senza smettere mai. Il campo di battaglia, dove una guerra lampo si era inceppata, sembrava un deserto; infatti parte dell'esercito era in vacanza e parte no, altrimenti tutto l'esercito sarebbe stato in vacanza. I sergenti davano ordini alla mattina, così il pomeriggio era libero per andare a fare shopping e vedere i monumenti. Siccome molti non sapevano cosa voleva dire shopping, andarono a vedere i monumenti: Nubole, non sapendo nemmeno cosa voleva dire monumenti, se ne andò in città a vedere palazzi e statue accorgendosi che anche gli altri non avevano capito niente; dato che erano tutti lì come lui. La città fu assediata proprio allora, e pochissimi restarono in piedi: i Marvali attaccarono i Macèdoni come al solito proprio alla fine del pranzo, decimandoli. Va detto per la cronaca che i Marvali erano stupendi esemplari di guerrieri alti biondi nudi, incapaci di fare del male a una mosca ma chissà perché ferocissimi con i Macèdoni; Nubole fu l'unico che, vestito da mosca, riuscì a salvarsi e a raccontare quella carneficina. Dato che molti erano i dispersi, si decise di rastrellare tutto il campo di battaglia, ma dopo questa inutile azione di giardinaggio si pensò bene di attaccare di sorpresa i nemici (avvisando con una telefonata, invece, gli amici). Un grande fauno passò per i cieli di Beograd, e sbigottiti i cittadini di Beograd gridarono: «Toh, un fauno!». Li, truppe di legionari saccheggiavano, sparavano, starnutivano, uccidevano, tossivano, trucidavano e si soffiavano il naso: è proprio vero che alle volte l'uomo si lascia prendere dalla violenza anche se fortemente influenzato. Sisina, infermiera provetta, uscì dalla provetta e pure lei si mise a disposizione del personale medico e para medico. Dal pronto soccorso venivano voci strazianti, allora qualcuno diede l'ordine di far parlare soltanto quelli con una bella voce. Soldati semplici chiacchieravano con quelli più raffinati e così fino a sera. E cioè fin quando Nubole suonò il silenzio, che non era tale perché si sentiva lo squillo della tromba. Molti erano in biblioteca a sfogliare i libri con troppe foglie, quando venne dato l'ordine perentorio di vaccinare tutto il personale di terra a causa di un'epidemia: Nubole fu incaricato di raccogliere la terra per la vaccinazione. Ma questo fatto lo insospettì molto, fino a spingerlo a fare un sopralluogo nella roulotte del comandante, dove trovò nientepopodimeno, cioè la stessa quantità delle altre volte. Uscì alla chetichella sperando di non essere visto ma fu ucciso da un cecchino, che lo colpì con un siluro a un'anca. I suoi compagni accertarono il decesso e lo portarono in un campo dove scavarono una buca con le mani finché non trovarono una pala: lo adagiarono adagio, e in fretta lo infrettarono, pensando sì che era morto, ma almeno non soffriva più (o se proprio soffriva ancora non era morto bene); a Nubole erano tutti molto vicini, ma più di tutti

un commilitone che riuscì a mordergli il naso senza spostarsi di un centimetro: lui era sicuramente il più attaccato. Io penso che quella fosse vera amicizia.

Lo specchio e la riflessione personale L'amicizia fa camminare l'uomo a testa alta. Certo che può essere esagerato farlo sempre, perché prima o poi camminando così si sbatte contro qualcosa. Ecco perché nella vita bisogna pensare bene a quello che si fa ed è meglio chiedersi sempre il perché lo si fa. Per esempio quando vedo un uomo piangere nel buio della sua stanza mi domando cosa lo spinge a non accendere la luce. Quando vedo un uomo piangere per niente gli do sempre qualcosa, almeno per motivarlo. Ma se vedo una persona piangere dalla disperazione allora smetto di picchiarla con un bastone. Se vedo una mucca che urla «non mungere», penso sempre perché le dà così fastidio essere unta. Se un bambino vuole scrivere una poesia sulla rana sono il primo a consigliargli di scrivere sul tavolo perché altrimenti si possono vedere i fogli saltare (scripta manent? Scripta saltant!). Ugualmente quando vedo un cecchino sparare ai passanti capisco perché poi i bottoni non stanno mai attaccati. Tutto questo perché a me, fin da quando ero in età vascolare, vennero sempre date tante responsabilità da adulto più che da vascolo: potare le potate, lavare i campi, pulire le scale, sporcare gli ascensori, assalire le banche con la saliva, contare i battiti delle palpebre, far compagnia alle tende da sole, ma soprattutto fermare la pioggia prima che toccasse terra; e questo non era facile se si pensa che non avevo neanche un catino. Comunque questo regime di vita mi ha permesso di imparare tante cose: e mi ha fatto capire che prima o poi per tutti arriva il giorno in cui ci si sveglia e ci si alza con un intento ben preciso: diventare uomo (è ovvio che fanno eccezione le donne che vogliono restare tali).

Parte prima (così arriva anche prima) Icuriosi tornarono nella curia e i bagnini sulle tedesche come se niente fosse successo. E difatti non era successo niente. O quasi. Il piancito di cotto del signor Bianconiglio infatti si era trasformato in mortadella e il cartello stradale «con pioggia e gelo prudenza» si era trasformato in «con pioggia e gelo cappottino». Una famosa industria di gelati inventò il ghiacciolo al pollo, con una coscia di pollo al posto del bastoncino e tutto attorno brodo. Per il lancio del prodotto vennero provinate 102 galline e un ariete, poi fu deciso di affidare la campagna pubblicitaria a un giovane pulcino con le scarpe ortopediche, amico dell'ariete, che aveva già fatto alcuni spot sulla carta smeriglia e sui suoi tre usi ruvidi. Il cielo era terzo, la bilancia segnava le dieci e mezzo. L'insegna luminosa del negozio «macelleria e giocattoli» stava a significare che lì vendevano ai bambini carne da cannone. Nelle sale d'attesa dei tabaccai e degli ambulatori c'erano neonati da operare di barba praecox, magnoglie a cui dovevano togliere una «g», la vecchia nonna di un astronauta che ogni dieci minuti ripeteva, grattandosi un occhio: «Ho un nipote nell'orbita», e anche un distinto signore a cui l'eleganza e la distinzione non impedivano di colpire i presenti con un arcione gridando «come ai poveri tonni, come ai poveri tonni!», e poi tanta altra gente coi denti talmente radi che tra l'uno e l'altro ci si poteva vedere il filo con la roba stesa. Fuori le ruspe stavano spostando alcuni dispiaceri quando i cavalli assunti in un'oreficeria ebbero le prime difficoltà a provare anellini e collanine alle clienti ma soprattutto a dire il prezzo e a dire grazie (equinità e carati non era un accostamento felice). Ricordo addirittura che alcuni miniaturisti riuscirono a mettere un dito in un occhio ai moscerini e a provargli anche la pressione, mentre le donne delle pulizie coi begli occhi spazzavano il piancito con le ciglia. Strano? No! Quindi «stranono». Almeno questo dice la famosissima «Enciclopedia del quieto vivere» dove sono riportate queste ed altre verità della storia assoluta (l'unica storia opinabile). Infatti ci sono libri che migliorano l'indole di una persona rendendola meno indolente cioè più viandante: l'«Enciclopedia del quieto vivere» è uno di questi. Pagine di spiegazioni e delucidazioni, l'esempio più evidente della grande opera enciclopedica e soprattutto ciclopica (date le dimensioni di enorme velocipede). Va detto che prima di questa stesura il sapere procedeva a cucci e prillini sulla scia di un trattatello smilzo e senza tonsille chiamato il vademecum dell'imbecille, che conteneva le spiegazioni di alcune verità, del tipo «chi è senza mani scagli la prima pietra» oppure «corta non è la canottiera che resta appesa alle orecchie». A differenza di questo trattato, l'«Enciclopedia del quieto vivere» mette al bando le ciance, rosicchia l'osso e arriva al nodo senza legarsela al dito, e lo fa partendo proprio dalle origini, da quando, cioè, l'uomo era pinnato e mascherato (spingendosi

poi fino all'invenzione del carnevale e del lungo mare, a dimostrare come tutto muta). Infatti ci tramanda come San Daletto fu fatto scarpa e come l'ombelico diventò un'oasi, come la mano diventò palmo e come il maglione marron diventò cammello. Ci parla scientificamente della pericolosità del DNA (Da Non Assaggiare) e dice che se le molecole e l'ormai consolidata simpatia del neutrone, detto molecola svizzera, ci portano a dire che il futuro è in mano alla genetica cosmetica, facile è dedurre che ogni tipo di veicolo invece che lasciato andare è da condurre (teoria della controinerzia). Ovviamente l'«Enciclopedia del quieto vivere» spiega anche la teoria dell'inerzia, e parla del famoso dottor Inerz (ex mollusco visionario e ora alchimista in capo al mondo) che sosteneva che tutti i corpi hanno un'anima. Per esempio quando un corpo cade, l'anima si sconquassa pur non ledendosi. Invece il dottor Ledens sosteneva la tesi contraria e inoltre diceva che il dottor Inerz non era una persona affidabile dato che era stato visto farsi vento con una pecora e litigare con i propri polpacci per futili motivi. E così zizzaniando lui la spuntò sulla tesi dell'Inerz; anche se, fortunatamente, a capo di tutto ci arrivarono gli Assiri (una volta tanto finalmente senza i Babilonesi che quel giorno erano malati). Loro scoprirono che la forza di inerzia non era altro che la forza centripeta che festeggiava il suo compleanno in casa di amici. La cosa era confermata, dicono gli Assiri, da alcuni meteoriti che disegnarono in cielo la scritta «Auguri». Ciò confermò la tesi succitata dello stesso professor Succy, che tenne una conferenza bolgia sul tema «Ho visto un meteorite, ma non lo dite, ma non lo dite!». Oggi come oggi si è ormai certi invece che se un corpo zavorrato e in caduta libera prima di colpire l'asfalto cerca di prendere tempo, non è un corpo morto (almeno fino allo spiattellamento). La tesi dell'ingegner Spiattell è avallata dal professor Avall ed è sicura perché controfirmata dall'avvocato Controff. Come si può vedere, questo è solo un esempio dei mille capitoli su fisica, chimica e rete metallica che si trovano nell'«Enciclopedia del quieto vivere». Se poi ci si vuole addentrare di più, per esempio nella medicina e nello studio del corpo umano, il trattato parla anche dell'organismo, e in particolare dice che il 50 per cento del nostro corpo è fatto di acqua. E' evidente perciò che non dobbiamo stupirci se per i nostri occhi passa mezza nave. L'enciclopedia dice invece che ci dobbiamo stupire molto se cadiamo spesso a terra, ci alziamo bagnati e un dottore diagnostica che soffriamo di mareggiate violente. La medicina e la scienza studiano da ben più di trenta secondi i comportamenti dell'uomo e dei suoi simili (intendendo per simili anche statue, manichini e spaventapasseri) ma non tutto è stato ancora spiegato, anche se come diceva Gulliver «La medicina ha fatto passi da gigante!». Mi riferisco in particolare allo studio dei cinque sensi (detti sensi unici perché si direbbe che altri non ne esistano). Esistono però sicuramente delle sottoclassi, chiamate così proprio perché sono delle sottoclassi e non dei bagigi (altrimenti si chiamerebbero bagigi).

Prendiamo ad esempio l'olfatto. Se noi percepiamo un odore sgradevole per un lungo lasso di tempo, non facciamo in tempo a domandare cosa è il lasso che ci assale il senso di nausea. Ecco qui una delle più evidenti sottoclassi dei cinque sensi: il senso di nausea; da ciò deriva che per fare un sacrificio ci vuole il senso di sacrificio e per vomitare ci vuole il senso del vomito. (Questa è filosofia spicciola, detta così perché il filosofo ha sempre da cambiare!) Continuando, l'esempio si può estendere anche al tatto. Pensiamo a quando una persona (che noi chiameremo X lo stupido) ci porge una pentola bollente senza avvertirci: nel giro di poche ma sincere frazioni di secondo veniamo presi da una sottoclasse dei cinque sensi: il senso di rivalsa. Cioè noi tendiamo a rifare a X lo stupido qualcosa di simile; ciò dimostra ancora una volta che i cinque sensi sono molti di più, anche perché se noi per senso di rivalsa uccidiamo X lo stupido, veniamo presi da un senso d'imbarazzo seguito da un senso di rimorso, che ci accompagna fino alla morte e ci fa pensare: «La vita che senso ha?». E proprio questo l'«Enciclopedia del quieto vivere» si domanda: dentro di noi c'è solo spirito? O il corpo è anche anima? Kurtell Haspaly Cortin Defù Cuson sosteneva che l'essere umano altro non è che la reincarnazione di un unicorno con la testa di pesce, il busto di bruco e le gambe di tarlo neonato. Per lui, insomma, e anche per il fratello Kurtell Haspaly Cortin Defù Cuson II, l'anima non esisteva neanche, o se esisteva era grande come la quinta parte di una mela o la seconda parte di un film, e serviva solo come rice-trasmittente tra l'uomo e il subconscio quando andava in cantina. La gente ignorante ci credette e si fidò delle loro ricerche, finché non li vide tutti e due vestiti da alligatori, con un lecca lecca in mano, tuffarsi all'indietro dentro il water (alle volte anche come ci si comporta in privato ha la sua influenza). Erano gli anni in cui Zorro era ancora una bambina, c'era ancora la carta carbone, le matite che andavano a benzina, e Toro Seduto credeva che le ragadi fossero frutti secchi che si schiacciano appoggiandosi sulla seggiola. Questa epoca infatti era pervasa, anche se non si sa di cosa. L'«Enciclopedia del quieto vivere» procedeva di pari passo, con che cosa poi non ci è dato sapere ma ciò bastava a far ben sperare, anche se non si capì mai in che cosa. Comunque, elaborando alcune tesi sulla materia errabonda e sul pulviscolo esoterico si venne a scoprire che la plastica conteneva più isotopi negativi che non il formaggio o il ferro; dopo la scoperta della calamita si capì che il coefficiente del metallo contenuto nel ferro era molto di meno, fino a quasi di più, del vetro infranto (che non è mai su di morale ma è sempre a pezzi). Difatti prova ne è che in una fonderia l'aria mischiata all'ossigeno e al manlio forma una miscela esilarante e rinfrescante pari se non dispari all'orzata, la quale ha in sé una tale energia di protoni birichini da far sì che un uomo nato ad Algeri si ubriachi col purè. Fu poi Millenzen Delaio Us Us Lator Pedrera, che a cavallo del secolo decimo nono battezzò l'era della moderna anatomia (e per averlo fatto al galoppo fu un bel battezzo).

Tutto questo è contenuto nel testo unico dell'«Enciclopedia del quieto vivere», che spiega per filo e per sogno gli organi e loro funzioni: per esempio la funzione del duodeno, che aiuta le mani ad arrivare al seno e le spalle a incurvarsi meno; la retina oculare che ci serve per guardare e non toccare, o le secrezioni di menta piperita che servon solo a non schiacciarsi le dita. Parlando invece del pancreas bisogna sapere che due sono le sue attività principali: 1) agente patogeno di giorno; 2) guardia giurata di notte. Il senso del dovere di questo organo si ripercuote poi su colon, mandibole, mascelle, strozzapreti, e infine (last but not least) tonsille. Infatti tutti e quattro questi cinque organi hanno numericamente în comune una diversità che li contraddistingue: questa caratteristica prende il nome di ipoglicemia ritardante (quindi meglio telefonare). La milza invece non è patogena ma indigena, e serve da dosatore della fatica che un corpo può sopportare. Facciamo un esempio: se stiamo inseguendo un indio nudo, la milza manda delle fitte, e l'indio che ci ha trascinati in una rada sempre più rada lancia delle frecce sempre più fitte. Allora il nostro cervello manda un messaggio al nostro cuore, che lo riceve ed a sua volta lo manda via sangue, con un ventricolo ambasciatore, all'intestino, che può reagire in maniera differente: se è pigro se ne frega, se è crasso bestemmia, se è tenue eroga! Ed è proprio nelle feci, e non in altri verbi, che ci sono i tre enzimi più importanti: Nic, Lucio e Nerio, i quali hanno due attività principali:1) fare da anticorpi, 2) terminare gli studi, 3) fare tanti enzimini. Si potrebbe andare avanti all'infinito, dato che questi sono soltanto alcuni esempi di quanto è riportato in questo famoso testo redatto ai primi del secolo (anche se non si sa quale), che ci fa capire come non siamo stati fatti per caso ma anzi con un intento ben preciso; preciso a cosa però non è ancora dato sapere, anche in considerazione di quello che diceva un saggio circonciso, e cioè: «fregatevene!».

Voltiminavoltima Come può capire chi ha le orecchie piccole e cioè più acume che cerume, si era un po' persa la dimensione della realtà; infatti un padre accompagnò il bambino a scuola di elefante perché voleva che diventasse grande in fretta. Chi voleva coricarsi si stese a suon di pugni, mentre le maniglie di certe porte si ammutinarono e dentro chi c'era c'era. Il vento stava incensando i mulini, anche se avrebbe dovuto essere viceversa. Ne nacque un parapiglia. Si inviarono mezzi corazzati e mezzi no. Un gatto stava ancora bevendo il caffè quando portarono l'ammazza caffè. Il caffè scappò a casa di Chicco, ma prima controllò la sua sacca per vedere se c'era tutto: gli occhiali, le chiavi degli occhiali, le chiavi dell'aereo, quelle del cancello per liberare i matti, i documenti, la patente, la crisi d'identità, il portacoglio, la tessera per gli alberi, i bussolenghi, la matita, la medicina, il giornale di Natale, il calendario delle bambole, i fiammiferi ancora spenti, i fiori, le corde, il cuscino di ferro, il cappello del cappotto del cappellano, i guanti di lana turner, Desy Lumini, il mattarello, i pazzerelli, la catenina, il rasoio di semi oio, la maschera del cinema, la giacca con l'acca, i tabanelli, le piramidi, la carta da gioco, il gioco bello finché breve, la caccoliera, le bombole che scoppiettolano, il riso, la bocca degli stolti, il mirino, la mira, la Mirella, le stringhe per i sandali, lo sposa cenere, il capestro sinistro, l'ombrello, il contagocce, le catinelle, il «narchilé cheschì», la saliera, l'ape Piera, ventricolo, l'amico del cuore ridicolo, i tacchi per le serate di gala, la gala, il bar, il baro, la bibi, il pollo da spennare. Controllato che ci fosse proprio tutto, siccome c'era molto sole andò in Inghilterra, per la precisione a Lombra, la capitale estiva e poi e poi. Atterrando, si leggeva sulla pista una strana profezia: eE' più facile che il riccio entri nel regno dei ciechi, che un cammello si strappi la maglia e la cucia con un ago senza cruna smadonnando». Il proverbio era chiaramente sbagliato perché: è più facile che un ricco entri nel regno dei cieli, che un cammeo passi dalla Bruna sul lago. Comunque atterrarono sulla frase senza alcun problema grammaticale. Alla dogana, invece, i primi veri problemi: se una vasca contiene dieci litri di vino, in quanto tempo fa il bagno un ubriaco che ha smesso di bere dal trentacinque? E questo è uno solo. Gli altri problemi sorsero quando sorse il sole. Erano infatti le quindici e cinque, praticamente le venti, quando il doganiere ai confini con la realtà si insospettì. Allora prese un accento e s'insospettì. Che cos'era quella cosa che vedeva e non vedeva dentro una valigia? Un distinto signore con un cappotto di prosciutto lo tranquillizzò dicendogli che era un comunissimo voltiminavoltima di tungsteno con il classico cursore davanti e precursore di dietro e con dentro solamente un relé per non fare andare a massa la domenica tutta la famiglia.

Il doganiere non l'aveva mai visto di quella forma: infatti poteva ricordare qualcosa a chi aveva buona memoria, a chi non l'aveva non ricordava niente. Per alzare il volume bastava alzare il libro; per farlo funzionare si poteva usare la spina; chi voleva usare la pila invece bastava mettesse un libro sopra l'altro e la pila era fatta (quindi Volta non ha inventato quasi niente eccezion fatta per la curva). L'apparecchio era fatto con dei nientini a forma di avvocato che ride o meglio ancora, per intenderci, a forma di suora che cade per le scale (e questo per una semplice ragione: il problema era scoprire quale). Il colore invece sarà stato un chilo-un chilo e mezzo, a differenza del peso che, sollevandolo, sembrava rosa. Fin lì tutto bene, ma quello che stupiva il doganiere era che la parte di ferro del morsetto che teneva unito il verricello al pignone era in cicles: quindi si molto estensibile ma poco resistente. Infatti di solito era fatto con due rondelle in silver a forma di prode Anselmo, proprio per un fattore di resistenza all'attrito e soprattutto alle alte temperature che si sarebbero sviluppate nella camera di combustione del voltiminavoltima in funzione. Comunque il doganiere non ci pensò più, lasciò passare dopo ore e ore di controllo (totalino ore: due) il signore con il suo voltiminavoltima, il quale uscì dall'aeroporto pensando a Icaro come fan tutti. Il suo motto era infatti: «Pazienza, educazione, altruismo, disponibilità, gentilezza, rispetto, umanità, simpatia, tradizione, fortezza, Bressanone, bontà, grinta, santità, Albana, bentistà, crespelle, riso coi funghi, senso del sacrificio, praticità, maneggevolezza, moltiplicazione, pani e pesci». Infatti, secondo lui, il mondo si divideva in 32 e cioè: chi ha tutto e chi non ha niente, chi ha abbastanza e si diverte, chi ha ma è sordo, chi è sordo e sta andando sotto un tram per attraversare la strada di corsa e andare a rapinare una banca, chi guida il tram e va nei casini, poi litiga con la maîtresse perché non ha il senso della misura, chi ha il senso della misura e muore ingoiando un decametro, chi fa un'inversione a U, chi la fa a O e torna dov'era prima come un allocco. E questo era il caso di Milli, quella ragazza che, mi ricordo, passò alla storia perché sposata con una bambina di sei anni (mai donna si era sposata con una bambina e tanto meno così giovane), ma soprattutto perché era una delle poche assertrìci, non solo dei rapporti prematrimoniali e postmatrimoniali, ma anche dei rapporti «durante» il matrimonio, creando confusione alla funzione e imbarazzanti scene di lascivia e di lussuria di fronte a testimoni, parroco e parenti. E mai come in questo caso proverbio fu più azzeccato di «talis mater, talismano». Infatti che cosa ci si poteva aspettare da una ragazza che aveva avuto una madre che era stata col bidello della scuola della figlia, per poter essere lei a suonare la campanella? Era una madre che peccava di protagonismo eccessivo, di esasperato presenzialismo. Cosa ci si poteva aspettare da una madre così, che l'aveva allattata fino a ventiquattro anni e con latte di vacca puttana? Quale avvenire? Alle volte per accorgersi di avere un triste futuro non serve cercare una chiromante e nemmeno guardare dentro le palle di vetro: certo però che quando si guarda dentro le palle di vetro un dubbio giustificato ci può assalire: «Non avrò i testicoli artificiali?».

Quindi occhio!!! (E se anche quello è di vetro potete dire di somigliare molto al mostro di Muràno.)

Arriva l'onda erotica (ovvero domani ti lappo) Intanto i gatti per ciechi gliela facevano sulle scarpe quando si fermavano in attesa di attraversare la strada. Ma i gatti che guidavano l'autobus li facevano passare anche se non erano sulle zebre (comunque vedere un cieco su una zebra è sempre una bella cosa). La via era un via vai di gente che portava un fiume in spalla, poi, appoggiato il fiume a terra, ci saliva sopra, e giù fino al mare. La sera, gli occhi che avevano lavorato molto uscivano tardi dalle orbite, quando c'era già silenzio tra le gambe. In cielo era inverno, ma gli uccelli volavano lo stesso senza guanti; quella notte piovve certo anche in cielo: lo si capiva dalle nuvole che facevano le gatte incinte. Quando arrivò l'alba il sole era già precipitato un milione di piccolissime volte. Alcune auto passavano in galleria durante l'intervallo poi finivano in mare; e dato che tutte le strade conducevano al mare, le persone che dovevano recarsi da qualche altra parte restavano a casa a domandarsi se l'ozio è il padre dei vizi (e se è vero che, quando arriva a scuola, il bidello va in classe e dice: «Vizi, è arrivato papà...»). Inoltre si domandavano se l'ignavia, l'accidia, la boria, la Dora, la Riparia, l'Adda, il Po, la cattivia, l'impudia, l'antipàtia, la ferocia, la furia, la gola, le orecchie ed il naso erano i sette vizi capitali, e perché erano così tanti per essere sette. Ma soprattutto si chiesero come mai mancava proprio la lussuria. Ma a ben vedere non mancava affatto e io lo posso garantire personalmente perché non c'ero. Infatti la splendida donna Molise stava imbrigliando il meraviglioso Elso con le bretelle al calorifero e, col sistema dell'elastico, riproducevano il meccanico classico avanti-e-indietro che madre natura, la forza di gravità e il suo contrario hanno insegnato. Quaranta giorni e trentanove notti trascorsi così, e le bretelle di marca reggevano, ma l'impeto, la foga e il calorifero fissato male al muro li schiacciarono fino al collasso cioè fin sotto la testassa. Ma loro erano talmente presi che non vennero mai restituiti (c'è chi li chiama regali). Reggicalze scalvati, reggipetto a tre posti, mutandine di Sangallo (protettore degli slip), sottovesti di cioccolata calda, gambe che si allungano, treni nudi che vanno col carbone e tornano sporchi di nero ma soddisfatti, rotaie che finalmente s'incrociano e fanno nascere tanti binarietti, squò che si sdebitano di certi piaceri con certi piaceri, uomini e donne insensibili all'insensibilità. Folle astrattismo quello che accompagna questi corpi specialisti dell'avviluppo e delle mani ovunque senza motivo apparente. Questi corpi che si misuravano in una

gara di resistenza appassionata quanto persistente, malata quanto sana, melliflua quanto rigorosa, naturale quanto coartata, faticosa quanto. Tutto si dinoccolava morbosamente come fanno i piccioni quando si dinoccolano morbosamente sapendo di essere guardati come esempio. Anche altri animali, presi da passione travolgente, travolgevano la gente. Un tasso innamorato, che aveva la passione del volano, un mattino morì mentre si allenava contro un muro, perché un cacciatore, invidioso del suo tiro mancino, gli sparò. Si rimpianse molto la sua figura di tasso, di poeta e di animale erotico. Comunque il cacciatore, non contento, sparò anche ai mastini napoletani e si diresse verso la casa del sesso ammesso e non concesso anzi ammesso e concesso, anzi quasi coccolato. Nella villa, infatti, tutto continuava. Donna Molise enormemente ignuda teneva le gambe conserte e rapiva lo sguardo del cacciatore di frodo, di frodi, e di froda. Donna Molise era meravigliosa nel vero senso della parola: qualsiasi cosa ricevesse si meravigliava, e specialmente adorava tutto quello che si muoveva. Infatti il massimo dell'orgasmo lo provava all'apice di un terremoto, quindi una donna sessosismica, se mi è permessa la parola «donna». Il padre era un rivenditore di banane che si sbucciavano, e sembra una cosa normale finché non si viene a sapere che lo facevano da sole. La madre suonava l'armonica ed era iscritta alla Fisa. Donna Molise era una donna a cui piaceva sfiorare e non sfiorire. Comunque ciò che adorava più di tutto era l'accoppiamento simultaneo e demotivato al massimo: le sue mani sembravano mille, le sue mille sembravano diecimila, il suo cuore un libro, De Amicis il suo cardiologo e bibliotecario al tempo stesso. Diceva sempre: «Meglio sole che tempo brutto, ma se si può facciamolo con tutto». Amava la vita facile, la mortadella e solo al capolinea scendeva a compromessi. Dura di carattere, forte di lineamenti, ma debole di intestino, era lei infatti l'autrice del saggio «Amore sulla tazza senza manico e senza cucchiaino». A trentatré anni (l'età di Cristo), le si permetteva di entrare in chiesa gratis, esclusa la domenica. A quindici anni nacque a Rovereto, senza sapere cos'era la destra e la sinistra, ma dato che ci andava a fare spese, sapeva cos'era il centro. Il padre la costrinse a prostituirsi ai margini della strada altrimenti tutti la investivano. Invece a lei piaceva svestirsi. Amava sparire e sparare. Se tutt'a un tratto, quindi, non la si vedeva più, era meglio andarsene. Seno prospero, nonno Prospero, pelle chiara e nonna Chiara, insomma tutti volevano fare da palo durante i suoi furti d'amore e poi spartire con lei. Strafaceva, si superinvaghiva, era la classica ragazza a cui si poteva dire proprio tutto, tanto era sorda. Il suo sogno era quello di essere talmente piccola da abitare in una carie dell'uomo più bello del mondo. Per quattro anni fece il chierichetto nella parrocchia di San Rocchio e lo stesso padre Elio disse di lei: «Era brava, ma un po' troppo navescuola e

si sa che la sacrestia non è un porto di mare o se lo è, ditemelo che almeno appronto degli ormeggi». Girava sempre in bicîcletta, ma quando voleva andare dritta usava il treno. Amava farsi asciugare la schiena specie quando era asciutta e non voleva sentir dire: «Tutte scuse». Pochi peli sulla lingua, disegnava boschi in paradiso e seppelliva ossi dappertutto per quando le fosse capitato di fare una vita da cani. Il suo cervello stava fumando e le buttava la cenere sulle orecchie quando entrò il cacciatore di nome Tatì. Lei si stava digitando le labbra in modo circolare. «Circolare, non c'è niente da vedere!» Ma da vedere ce n'era. La sua bocca, pronunciando la O di ossessione, confermava le sue rotondità. E Tatì lo capì, lo capì tant'è che Tatì con mano veloce la baciò sulla terrazza: molti si baciano sulle guance, altri sulla bocca, be' loro sulla terrazza (e poi c'è chi dice che non c'è amore per la casa!). Anche la mobilia della villa osservava immobile questa scena dell'insinuamento: vasi, statuette e portacenere erano chiusi in un silenzio diverso dal solito. Però sembrava approvassero, incoraggiassero e, addirittura, ne traessero piacere. Prova ne fu che alcune statuine cominciarono a spogliarsi e ad accoppiarsi con stupore della carta da pareti. Il pastorello col flauto s'appoggiò ceramico sulla damina che gli disse: «Rompimi tutta». E i loro corpi di porcellana si sporcellinarono. Baci di maiolica! Le due statuine raggiunsero l'apice del gioire spavaldo. Gli inquilini del piano sottostante a quelli del piano di sopra non sentivano nulla: erano fuori casa. Dio solo sa dove fossero andati, ma questa volta non lo disse nemmeno a Se Stesso. Ormai anche il giorno era fatto. Le lumache andavano a lavorare senza uscire di casa, lentamente, e i cavalli le pestavano, velocemente: clòppete, sgnàcchete. Il mattino era già partito, ma gli amanti si stavano ancora consumando come provviste in una dispensa stracolma ma non inesauribile. I seni di donna Molise erano ancora oggetto di grande attenzîone, forse per l'invidia che l'uomo prova per ciò che non possiede. Comunque i suoi gioielli erano l'unica cosa che si sarebbe ancora potuta cavare, insieme ad alcune voglie che non ci si può cavare mai come: l'immortalità, o imbalsamare un piccione in volo. Tatì si rese conto che, se certi metalli si attirano, loro non si rifiutavano di sicuro. E lo disse senza fare esperimenti per dimostrarlo.

E' già mercoledì e io no! Intanto le stagioni si accavallavano: mentre c'era gente che andava al mare in bermuda, sciatori si aggiravano tra mandorli in fiore sotto il sole cocente, scivolando su lastre di ghiaccio cosparse di ciliegie mentre un vento afoso infuriava gelido. Le scuole cominciarono e finirono nello stesso istante. Fare la cartella per molti significò fare le medie. Molti nacquero e si sposarono lo stesso giorno. Migliaia di compleanni saltati. I più furbi cercavano di fare sempre la stessa cosa, tante volte, ripetutamente, così da raggiungere un tempo quasi normale. Quando l'incantesimo finì, infatti, c'erano persone che continuavano ad accendersi per la millesima volta la stessa sigaretta. Il nipote di Glenn Miller, preso cappello cappotto divano e portaombrelli, uscì. A metà delle scale si fermò, accortosi di aver dimenticato di prendere la credenza. Tornò indietro. Sbadato com'era un giorno o l'altro si sarebbe scordato pure di tagliarsi una gamba. E così successe: allora, non zoppo, corse al pronto soccorso e si fece amputare d'urgenza. Per un pelo non restava bipede. Suo zio disse: «Che zio e zio, quest'uomo non lo conosco, è un digrignatore di denti. Arrestatelo e portatelo da un odontoiatra». Il dentista Gian Marco, appena sentì il campanello, prese cani e porci e fuggì dall'uscita di sicurezza sicuro di cadere nel vuoto, e così fu: finì dentro una bottiglia e ora riceve il lunedi dalle sei alle dîciotto (quando è aperto il tappo). Strano a dirsi, quell'anno a lunedì 11 maggio successe lunedì 12. Alcuni oroscopi saltarono, e così certe programmazioni teatrali e anche vari appuntamenti. Questo era accaduto anche nel '200, ma siccome non esistevano i calendari, nessuno se n'era accorto. Comunque tutto tornò normale dopo un martedì 13, lunedì 14, 21, 25, 600 e giovedì 630. Per altri 4000 anni non sarebbe successo più. E così fu, senza tante genuflessioni e tante schicchere. Il bordeaux non fu più solo un colore, ma divenne un vino, e una leggenda volle che da allora la categoria degli imbianchini sia tutta ubriaca. Hensel e Gretel presero i pattini d'argento e li sbatterono sulla mano di Pollicino, che da quel giorno cambiò nome e diventò Ditone. Le notti, in quel periodo, persero l'abitudine di celare e cominciarono a illuminare a giorno situazioni persone cose ed atmosfere. Ma uno strano mattino verso le sedici minuto più minuto più, dopo la merenda, con un tramonto livido sul mare innevato pieno di zanzare, il cielo si rabbuiò e un tuono spaccò in due l'oscurità delle nubi rosa fucsia. Un lampo impertinente saettò su un branco di postini spaesati, illuminandoli a giorno come un orlo e facendoli sentire importanti ma al tempo stesso fuori posto. Un angelo scomparve all'orizzonte senza creare un grande stupore, dato che non era mai apparso. Tre frecce infuocate tergiversavano non sapendo dove conficcarsi, pur sapendo di essere un segno del destino; ma che destino? Avverso o favorevole? Mendace o impietoso? Capalbio o Monumbio?

Intanto tre cavalli alati, con la criniera fulva e i polacchini lucidi, trottavano nel vento come a dire: «Visto come siamo alati e fulvi, che bei polacchini lucidi e come trottiamo?!». La loro spavalderia indispettiva, la loro ostentazione indisponeva, la loro boria innervosiva, il loro sterco lezzava, però tutto questo era comunque presagio e atavico simbolo di qualcosa. Ma di cosa? Un furgoncino guidato da tre ippocampi stava distribuendo gli elenchi casa per casa, ma di case non ce n'erano, e i telefoni stavano lì sulla polvere con fili lunghi secoli cioè fino ai nostri giorni. Tre ancelle con le ance tra i boccoli, e i polpacci divelti da un sortilegio (sortilegio che a quanto pare colpiva le zone muscolose delle caviglie) annunciavano un evento fortunoso, di buon auspicio, anzi ottimo, ma quale? Un Furio e un Lassic irruppero tra i cespugli del deserto ormai scoglionato dal fatto che non si riusciva a sapere perché succedevano tutti quei fatti. Finalmente apparve un Gnegno, più in alto di tutte le altre apparizioni: preparò un altare, lo imbandì, mangiò molto e col boccone ancora in bocca così parlò: «Sia chiaro che non sono Zarathustra! Ad ogni modo oggi ricominciamo da capo! Siori e siore da adesso tutti andranno malissimo a scuola: inizia l'anno zero, e tante altre cose saran cangianti».

Ganassa Vivere nel paese dei campanelli, per chi amava bussare, era un supplizio; chi aveva la lampo al posto delle palpebre per aprire gli occhi ci metteva un po', e la ragione per cui la moglie del divino Atiba sputava sul soffitto era quella classica: aveva letto il cartello «vietato sputare per terra». L'educazione quindi davanti a tutto, ma l'ombrello sopra tutto. Quando lei muoveva la testa si sentiva rumore di ghiaia. Per giunta era facile che prendesse paura ogni volta che vedeva un mirtillo entrare ed uscire dalle grazie di Dio, e questo perché non c'era ancora una legge che tutelasse il malcapitato morso da un tortellino senza museruola. Quello stesso anno fu mangiato il buon samaritano. Quell'uomo con lo sguardo torvo, i piedi avvolti in un fazzoletto e la barba nei gomiti, che vagava di villaggio in villaggio, era lo scopritore di «pace libera tutti». Un tempo famosissimo, e da tutti benvoluto, poi passato nell'indifferenza più totale (dopo l'invenzione del nascondino). L'ultimo suo esperimento non riuscito ebbe luogo in un manicomio dove per l'appunto non riuscì a liberare nessuno. La sua fu una morte presunta, dato che continuava a ripetere anche dentro la tomba: «Credo di sì... credo di no». Il parroco con le pinne disse messa senza essere scoperto fino alla comunione, quando inciampò e subito più di cento ostie volarono in alto; nessun parrocchiano le lasciò cadere: al volo e a bocca aperta tutti si comunicarono e il parroco, rialzatosi da terra, poté infilarsi maschera e bombole e continuare la messa in quel paesino vicino ad Apnea. Proprio in quella zona un ragazzino in disuso diventò magazzino in disuso e questo tranquillizzò tutti ma non Lavinia, che tutti amavano ma nessuno voleva vendemmiare. Lavinia era mezza donna, mezzo pesce e mezza scema. Bravissima però a giocare a «mano morta mano morta chi l'ha schiacciata nella porta»; aveva un figlio che tutti scarabocchiavano e allora lei chiamava stupidamente foglio. Era persona di pochissime parole: diceva sempre e solo: «Boni i Chifeletti». Addirittura, un giorno, mentre stava camminando, i suoi pollici scesero dalle scarpe, fuggirono, andarono a giocare a «Do di matto for You». Chi usava la «u» al posto della «a» diceva che eru stutu unu storiu strunu o quunto meno curiosu o quunto mui irripetibile. Era il periodo in cui si scoprì che chi andava più veloce della luce si doveva svegliare molto presto. «Chirieleison bughi» era il motivetto che fischiettavano tutti i ragazzetti in quegli anni, seduti sui vetri delle case, dove nacque quel sordo di Bitwin detto Beethoven, che divenne sordo a forza di suonare il piano forte: e non per niente dopo 20 ore ininterrotte inventò la frase: troppo piano! E dico questo senza fissa dimora, sicuro di non oltraggiare chi viene dal mare e non ci può tornare perché ha da fare. Ricordo che gli uccellini cantavano sui rami «Oh sole mio». Alcuni passerotti, trovando i rami occupati, cantavano volando. Fringuelli volteggiavano nel cielo 120

volt morendo folgorati; mentre quei passerotti esausti dal cantare sempre volando si conficcavano di becco a terra gridando: «Potreste almeno una volta lasciarci il...». Nei campi i contadini, la domenica, si mettevano la giacca nuova e così fece anche il marito di Lavinia, ma un monello gliela strappò. Lui disse a Lavinia: «Dammi un ago che l'aggiusto io». Lavinia rispose: «Con un ago non gli fai niente, prendi questo bastone e rintronalo». (Storie di campagna.) Il bambino chiese perdono e si inginocchiò tanto da spezzarsi. Un saggio gli impresse il timbro «eccesso di contrizione» e il bimbo lo guardò tanto da slogarsi un occhio, poi aprì l'atlante e si buttò in mare. Lo cercarono disperatamente sfogliando dappertutto; ma lui ormai chissà dov'era. Telefonò dalla Germania una settimana e mezzo dopo, per dire che aveva fatto buon viaggio e che stava bene, solo che tossiva con il naso e non smetteva mai di leccarsi la lingua. Comunque, là dov'era il vitto e l'alloggio erano buoni, ma come dormire e mangiare uno schifo! Un colpo al cerchio e un po' di botte, la vita scorreva sul bel Danubio Blu amico del principe azzurro e cognato della fata Muccona che tramuta lo sterco in roba buona. E questo non lo dico solo io. Alcuni assertori della verità confutarono tutto ciò, ma erano troppo amici di Pinocchio per essere creduti. Il professor Scintius scoppiò in una risata. Lui era forse l'unico che, se non fosse andato al creatore ridendo, avrebbe potuto spiegare come un bambino può perdersi dentro un atlante e non solo, ma sarebbe stato l'unico a poter convalidare alcune tesi sull'omogeneità degli omogeneizzati nell'omocinetica e sulla virulenza dei virus virali una volta stuzzicati con un bacchetto. All'università del congelo tre ibernati stavano terminando la tesi da ormai 75 anni: questa dolce pletora di eventi impensierì e perplesse al punto da mettere in dubbio tutto, dalle certezze più certe alle sensazioni più senza, tipo: Il cielo in una stanza ci sta veramente? o Gino Paoli ha bevuto troppi aperitivi? Quante sono le possibilità di salvezza di un trampoliere su un trampolino? Chi ha avuto ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato ha dato, è un proverbio per balbuzienti alle prime armi? E queste armi chi gliele ha date? Può un astrolabio farsi operare al menisco? Esistono gatti senza baffi ma con le basette? Enrico Toti è vivo e fa il ciclista? Ci si può suicidare col semolino? L'anticristo è una suola per non scivolare? Può un elzeviro lasciare impronte sull'asfalto se non lo pesta? Può un giudice dettar legge e obbligare un imputato a fare il dettato? Il proverbio «meglio soli che male accompagnati» può perdere di significato se pronunciato con un mattarello e un mazzo di strelitzie in bocca? L'isola è una Sicilia? Da Parma è più vicina Piacenza, o è più lontano il Colosseo visto dallo Stelvio? Sono più i casi d'intossicazione da bevande marce o i gabbiani che la fanno in testa allo stesso marinaio? Lo squalo che ha gli occhi verdi e le pinne, quando arriva a riva significa che viene quando vuole? Se il cormorano si toglie le penne, può ancora scrivere? E se ne ha una nel taschino, quando muore la mette nel teschino? Se una barca navale fatta

con una architettura scende fino al pozzo, gliene dicono quattro o comprano delle noci e si chiudono nel loro guscio? Loro di chi? E' vero o non è vero che Silvano Lopo è un emerito sconosciuto? E' vero o non è vero che la mano destra dà una mano alla mano sinistra per applaudire, ma noi ne vediamo sempre solo due? E' vero o non è vero? Come disse un saggio, mai domatore domerà le domande!

Volenti contro nolenti L'erba era ormai cresciuta, e i suoi fili andavano già a scuola. Il pesce cappa e il pesce spada cominciarono a sentire i morsi della fame, gli sputi della sete e gli sbadìgli del sonno. Le formiche entrate nel piatto di tagliatelle pensavano di essere a cavallo delle montagne russe, però, nel saliscendi, si annidava loro del sugo fra le zampe, e questo le impensieriva e le faceva dire: «Che stupida idea quella di mettere un parco giochi dentro una scodella». E si sparavano alle tempie convinte di non averle. Invece una pozza di sangue contraddistinse il fatto. E si sa che il sangue non è cioccolata; perché se il sangue fosse cioccolata, tanti bambini, verso le quattro, si ferirebbero e con la mollica suturerebbero le piaghe aperte, incerti se morire dissanguati o no: indecisione classica di chi abita tra capo e collo. E la morsa abitava proprio lì. Va detto che la morsa era una donna alla quale il suo migliore amico, un cane, a un certo punto si rivoltò. Tutto cominciò una stretta domenica di giovedì, quando lei scendendo le scale si imbatté nel portiere, che era felice perché lavorava lì già da cinque anni e nessuno gli aveva ancora fatto goal. Stava distribuendo la posta quando gli chiese se ne era arrivata anche per lei, ma si sentì rispondere negativamente. Risalite le scale aprì la porta di casa, andò in bagno, si sedette sulle ginocchia del marito, s'alzò e chiese scusa dicendo «credevo fosse libero». Andò in camera da letto, si buttò sui fornelli, si alzò: si accorse di aver sbagliato stanza; sanguinante si recò là, questa volta controllò e si buttò sul letto a piangere, a singhiozzare ed a sputare per aria finché, tutta umida, non si colpiva la punta del nasino. Alle quattro in punte, vestita da ballerina, scese dal letto, s'infilò le pantofole, uscì dalla camera in vestaglia, e così com'era andò a comprare il giornale. Rientrata ancora insonnolita, andò in cucina, prese un cucchiaio con la sinistra, con l'altra la marmellata, con la destra il pane poi gridò: «Dio, ho tre mani!». Si calmò, uscì dalla cucina, si vestì in ascensore, arrivò in garage, entrò nella macchina spaccando il finestrino: tra i vetri si accorse che avrebbe potuto usare le chiavi; se ne rammaricò, leccandosi le ferite come il gatto, buttò fuori il gatto dall'auto mentre si leccava e partendo andò a sbattere contro il portone chiuso del garage: pensò che avrebbe potuto aprirlo prima, se ne rammaricò, pianse e lo aprì, mentre il gatto maciullato sotto le ruote si leccava le ferite (cioè, a quel punto, tutto). Cercò un canguro e saltò sulla macchina, scese con la macchina in moto che continuò la sua corsa spensierata andando chissà dove. Ferita, a quel punto decise di tornare in casa: erano già le cinque, vennero le sei, dicendo che loro sarebbero state anche le sette, se solo se ne fosse aggiunta un'altra, ma non si aggiunse perché nessuno aiuta le ore piccole.

Finalmente suona il portiere e le consegna una missiva. Lei l'apre, come se niente fosse, e dentro sbigottita vi legge questo strano messaggio: «Non t'azzardare ad aprire questa lettera altrimenti uccideremo anche il tuo cagnone». Ormai però l'aveva aperta: il cane allora, come presagendo, corse incontro alla sua padrona, lesse la lettera, e poi disse: «Ma allora sei cretina, allora non sai leggere...», e se ne andò inumanito. Qui la storia ha come una biforcazione: lei vorrebbe uscire di casa ma il cane non glielo permette, le fa una grande scenata, le dice che la colpa di tutto è sua, che lei è sempre stata una poco di buono; le dice che col guinzaglio adesso ci si può anche impiccare, e che l'osso non le dirà mai e poi mai dove l'ha sepolto! Inveisce ancora contro di lei, dicendo di essere stufo, per colpa di un errore di ortografia, di continuare a mangiare la zoppa invece che la zuppa, perché non ci si comporta così con chi soffre. Dice che lui è stanco di continuare a prendere lezioni di piano perché a lui piace suonare da cane... A quel punto viene interrotto da qualcuno che ha suonato alla finestra: dal vetro si intravedono un uomo e una ballerina. La padrona apre e l'uomo entrando comincia a spargere alcune puntine da disegno per terra mentre la ballerina ci danza sopra. «Brava la ballerina che balla sulle punte, eh?» Il cane, vista la scena, forse per nervosismo, forse per cameratismo, forse per un innato sesto senso, comincia a ridere ma a ridere tanto che la ballerina estrae dalla manica chiusa un coltello a serramanico e si scaglia su di lui. Infatti non lo colpisce subito, ma con un secondo fendente gli apre lo stomaco dal quale esce non il marito della nonna di Cappuccetto Rosso, ma Curzio (e dopo sapremo anche il perché). La sua padrona, sbigottita, si china sul povero animale e lui forse per istinto, forse per demenza senile, o forse più per celia che per contumacia, in un ultimo slancio le addenta il sedere facendole vedere i sorci verdi. Ma attenzione: per vedere i sorci verdi non è sempre detto che debba succedere chissà che, basta solo abitare nelle fogne ed avere della vernice color prato. La dimostrazione sta nel fatto che non è vanagloria pensare che Chopin sapesse suonare anche su un falso piano. E' dabbenaggine invece strillare nelle orecchie di un muto che aiuta un sasso ad allacciarsi le scarpe. Con questo intendo dire che la furbizia non è retaggio dei pescatori insonni, dato che chi dorme non piglia sonno; e questo le trote che si alzano presto la mattina per andare a pescare lo sanno: basta vedere in che modo si lavano i denti per capire che l'igiene non è tutto. Non per nulla l'alimentazione, ancor più dell'igiene, riveste un'importanza vitale; anche perché lavandosi non ci si sfama, o se ci si sfama, è facile che digerendo escano bolle di sapone dalla bocca (vedi il trattato dal titolo: «El savon es commestible?»). Lo stesso Antonio Filar Asunciòn De Peira Mulin Catoso, con l'aiuto di Peppino Nubilar Scoto Oron Us-us Zimaroso, scoprirono due dati importanti: 1) che con nomi così una provetta sola per le analisi dell'orina non bastava mai; 2) che mangiare non era tutto, bisognava anche bere. Subito, contro la tesi dell'impalugamento si schierarono in tanti, anche Iniglio Morello Puntela Ognor De Simon Pedro, il quale in più aggiunse che per dissetarsi

non sempre è necessario bere; e lui portava l'esempio del cammello che aveva sacche acquifere autonome nelle mandibole. L'essere umano, che non disponeva di questo apparato, cominciò a mettersi bottigliette di vetro piene d'acqua tra le gengive e le guance: solo con l'invenzione della boxe si smisero questi esperimenti poco furbi e la furbizia vera e propria prese il sopravvento. Tanto per fare un esempio: si capì che l'istrione non era un grassissimo signore nato ai confini di Trieste; si capì che se c'era una cavità orale doveva per forza esistere anche una cavità scritta: in poche parole si pensò di andare incontro alla fortuna con furbizia, con intelligenza e non solo mangiando una coccinella al giorno. «Il tempo vola e noi no: incredibile sarebbe se noi volassimo e il tempo no, il cielo sarebbe pieno di uomini con gli orologi fermi.» Questa era la frase che diceva un famoso trisavolo in punto di morte, quando prese l'estrema unzione e scivolò per l'ultima volta. Lui era un uomo con molte frecce al suo arco ma con tanti amici feriti per sbaglio. Lo chiamavano Girolungo perché non ti chiedeva mai che ore sono senza aver prima chiesto in che secolo siamo; adesso ormai era lì lì per ìrsene. La vita per lui era passata davvero in un soffio, anche se il naso gli colava ancora. E infatti non si sentiva per niente bene: accusava svariate fitte oltre alla punta del naso, un dolore martellante ai chiodi, e un inquietante tintinnio ombelicale accompagnato da un ingiustificato prurito alla prora che gli procurava un forte mal di testa ai piedi e alla mano destra dell'occhio sinistro (quello con cui mangiava perché era mangino). I capelli gli facevano male e continuava a grattarseli ma non perché prudevano, bensì perché coprivano la testa, e quella sì che gli prudeva. Provò a coricarsi ma quando fece per socchiudere gli occhi si accorse che erano bloccati. Si ricordò solo allora cosa gli aveva detto un medico tempo prima: «Che Santa Lucia le conservi la vista perché credo che prima o poi tutto il resto marcisca». Perché allora restare ancora su questa terra? Perché non fare una bella variazione planetaria? Perché non vendere tutto per poi ricomprare al doppio in séguito? Prese degli altri dubbi e se li pose; si piantò delle curiosità poi se le tolse, e alla fine per non vedersi morire si sparò in un occhio. I funerali avvennero un anno dopo, quando cioè le acque si furono chetate e i parenti cercavano sul vocabolario la parola: «Chetate». Sua figlia non riusciva a farsene una ragione: sapeva che di mamma ce n'è una sola ma sperava che di papà ce ne fosse un altro, almeno un po' più furbo. Tornò al suo lavoro di Boby Sitter nel canile municipale, ma un giorno, mettendo gli occhiali da svista, non si accorse che una persona la stava pedinando: arrivata a damone si mise una pedina sulla testa e la mangiò pensando che in fondo la vita è un gioco.

Per un pugno Martin perse l'apparecchio E questo lo poteva spiegare bene soprattutto Curzio, che nacque contemporaneamente in quattro città diverse esclusa l'ultima. Lui era l'uomo che ogni volta che si sedeva si addormentava. La madre (che risulterà poi essere anche la figlia e la nuora) lo strappa dalle mani della giovane ostetrica di quattro anni; Curzio non parla per più di un anno e la madre, credendo che lui faccia così perché offeso da qualche sgarbo o da qualche ingiusto colpo di balestra allo sterno, si uccide; lavandosi il collo, infatti, le scappa una mano e si strozza. Il bambinnno, ormai treenne, resta orfano e solo: decide di girare il mondo e ce la fa: la sua forza infatti è spropositata, e la scienza s'interessa a lui ma non lui alla scienza. Ben presto Curzio viene trovato addormentato nei gabinetti e sui tram e scopre stupitissimo il suo problema: si addormenta ogni volta che si siede. Decide di crescere, va all'anagrafe, fa un macello e non esce finché non riesce ad avere 28 anni, ma il suo problema non cambia: guida solo automobili decapottabili stando in piedi, va di corpo di corsa, mangia sdraiato, e al cinema è un coro di «giù, giù, seduto». La vita non gli sorride, anzi a tutti sembra che gli tenga il muso. Lui allora tenta di suicidarsi impiccandosi alle corde vocali, ma non riuscendo a mettersi la testa in bocca, ottiene soltanto di restare senza voce per un paio di mesi, forse il più bel paio della sua esistenza: infatti scrive il libro «Il mondo e le mondine» e va a vivere nelle Filippine. Qui sposa la regina Filippa, passano una notte insieme, ma nel rivestirsi, forse troppo in fretta, gli prende fuoco un calzino, gli si chiudono i pori, gli si sciolgono le trecce, fa cambiare la carta da pareti delle sue narici, e dopo aver ingoiato un portaritratti sale su un motorino ma si addormenta finendo contro un muro di omertà: rompendosi l'omero giura a se stesso di non morire mai più. E questo perché? Perché la morte fa paura. Tutto quello che non si conosce fa paura: ecco perché quando incontriamo una persona mai vista urliamo e fuggiamo terrorizzati: questo per dire che c'è quindi un inconscio rapporto conoscenza/maleducazione, un rapporto giusto/ingiusto, uomo/donna, cigno/ciurma, cicca/fumo, cecco/beppe, cave/canem, orbe/tello, mare/moto. E tanti sono gli esempi di paura esagerata: esiste gente che piange sempre, perché terrorizzata dall'idea di un guasto alle ghiandole lacrimali; vi sono persone molto stanche che portano gli occhiali scuri perché temono che gli rubino le borse sotto gli occhi. So di individui che piangono alla vista di un gatto, si disperano vedendo un osso e tentennano davanti a un ten-ten. In fondo cosa siamo noi mortali se non un ammasso di odori, olio di oliva, acqua e un dado? L'anima non è forse l'arrosto di noi stessi? Il corpo è uno zucchino ripieno di carne, e il nostro ego è il suo «io» gratinato.

Abbiamo un cervello come una fucina che, se si trasforma in cucina, emana odor di bruciato quando si pensa troppo. Quindi è inutile dare il talco ai maiali: sarebbe come cambiare le lenzuola ai ghiri o dare il collirio ai pesci, sarebbe come pizzicare il sedere a una mosca, sarebbe come cercare di far sgobbare un cammello, quindi, come avrete capito, è più facile mettere in risalto le capacità di stare in compagnia dei propri inguini, che irrorare di liquido amniotico la pagella di un bimbo promosso in tutte le materie salvo economia domestica, cucito e taglio cesareo. E' più facile indisporre la femminilità di un cannibale di nome Walter che illudere i passeggeri di un serpente a elica di essere solo a un'ora dall'atterraggio sulla pista degli elefanti. E' più facile che un paragnosta se la spassi con una prostituta capostazione, che un cerbero trovi su un vocabolario in fiamme la parola baiocco. E' più facile che un signorotto di campagna passi una serata a giocare a carte con due capre aviatore, piuttosto che un tonno si assenti dall'oceano indiano per cercare gli altri indiani e andare a dire tutto ai nordisti che stanno cantando: «O Susanna non piangere perché». A questo punto però ritiro tutto quello che ho detto finora. Anche se lo faccio col cuore in mano, cioè coi polsini tutti insanguinati.

Fine

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