Alba de Cespedes - Nessuno Torna Indietro

December 16, 2016 | Author: freereflection16 | Category: N/A
Share Embed Donate


Short Description

Romanzo della scrittatrice cubana-italiana Alba de Cespedes 1938. Si tratta di sette universitarie a Roma. "Ther...

Description

Nessuno torna indietro di Alba De Cèspedes

Letteratura italiana Einaudi

Edizione di riferimento: Mondadori, Milano 1938

Letteratura italiana Einaudi

Sommario I II III IV

1 108 186 227

Letteratura italiana Einaudi

iii

I Sulla grande casa grigia il portone s’apriva come una gola oscura; una vetrata che divideva l’androne fermava l’ultima luce del crepuscolo e, oltre questa, si vedevano passare, per attimi, imprecise forme nere. Fuori, sulla piazza, la gente passeggiava adagio, per trattenersi nell’ora e nella stagione; era giorno ancora e però già le selci s’illividivano, sembravano farsi gelate. Nel gomito di strada in salita ove stava la grande casa, volava bassa una rondine, un volo fiacco, pigro: dietro la rondine svolazzava una nòttola, giravano assieme, sfioravano i balconcini. Spenti ancora tutti i lumi della città: soltanto sulla grande casa grigia quattro finestre in fila, a pianterreno, trasparivano di luce calda. La luce era incerta, come di candela; di là trapelava un vocío monotono, docile. Erano, si capiva, voci giovani. Alle ultime parole della suora che aveva letto la preghiera della sera, il coro svogliato delle ragazze rispose: «Cosí sia». Poi cadde un silenzio assoluto, ma venato d’impazienza: qualcuna soltanto fissava le candele dell’altare che le mettevano barbagli rossastri negli occhi, le altre guardavano il fondo della cappella spiando il segnale. Neppure parlavano tra loro, ansiose di uscire. Uscirono infatti, poco dopo, a due a due, formando una colonna compatta, traversarono cosí l’ampio vestibolo quasi buio, ma presso la scala, come a un altro misterioso segnale, gettarono via i veli dalla testa e si sciolsero. Erano tutte ragazze già grandi, vestite disparatamente e però, forse per la poca luce, formavano una macchia uniforme. Il silenzio si mutò in un fitto cicalare, il ridere s’udiva farsi di sommesso via via piú franco e ardito. Parlavano di professori, di università, altre si confidavano con occhi ghiotti. Ma le

Letteratura italiana Einaudi

1

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

voci si placarono quando una suora giunse presso di loro e, battendo leggermente le mani, disse: – Basta, figliole, basta, salite nelle vostre camere. Era la sola suora alla quale le ragazze non osavano replicare. Non per timore, ma piuttosto per simpatia, una simpatia non espressa, istintiva e segreta. Non era una suora come le altre; alta e ancor giovane, aveva voce musicale e mani bianchissime; non sembrava, suor Lorenza, una vera suora: quando ella parlava le ragazze restavano a pensare; e intanto, senza volerlo, ubbidivano. Anche stavolta, infatti, tacquero e presero a salire la scala; soltanto Vinca, la spagnola, chiese come ogni sera: – Posso salire a telefonare, suor Lorenza? Qualcuna delle compagne piú prossime, di scatto si volse per udire che accadeva, anzi Valentina tirò Vinca per la manica cosí forte da farla traballare. La suora rispondeva: – È tardi, questa sera, Vinca; potrai chiamare domani mattina, certo la tua non è cosa urgente. – Invece, suora.. – No, no, non è urgente, telefonerai domattina. Adesso va a dormire o a studiare. Buonanotte. Intorno alla spagnola le compagne ridacchiavano per la sconfitta. «È andata male, è andata male» mormoravano. E Vinca, avvezza ad agire sempre a dispetto delle suore: – Lo fa per rabbia – replicava – perché lei sta chiusa qui dentro e io domattina esco e invece di andare all’università vado a spasso con lui. Non fa niente: adesso ho sonno, vado a letto. – Salgo con te anche io; sono stanca – le disse Augusta. Era la piú anziana delle ragazze, non si capiva come ancora fosse tra le studentesse del “Grimaldi”. Dimostrava oltre trent’anni: era alta, ma grassa, i capelli, che aveva neri e ricciuti, erano tagliati a zazzera. Sarda era, un tipo singolare. Dopo aver salutate le suore, prese Vinca per il braccio e si avviarono.

Letteratura italiana Einaudi

2

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Intanto una bionda pienotta e bassina passava lesta tra le ragazze, raggiungeva le amiche, diceva piano: – L’appuntamento stasera è al 63. Le ragazze annuivano con guardinghi fugaci cenni del capo come in un complotto. Poi si perdevano nell’ombra dei lunghi corridoi, scomparivano nelle stanze. Nella camera della ragazza calabrese c’era odore di libri e di fichi secchi ripieni; ne riceveva grandi cesti da casa e li metteva sull’armadio: le compagne, se ne avevano voglia, montavano sulla sedia e pescavano nel cesto, anche senza essere invitate. Silvia sdraiata sul suo letto sembrava dormire. Da quando era al “Grimaldi”, vestiva sempre a lutto, piú di tre anni ormai, quei lutti pesanti della bassa Italia. Aveva opache trecce nere avvolte intorno alla testa, la pelle del viso olivastra, gli occhi scuri e lievemente strabici, sotto le palpebre grevi e lucide quasi fossero unte. Il lutto vestiva anche la camera, per quegli indumenti neri appesi alle pareti o perché, avendo la finestra in angolo, di giorno risultava meno illuminata delle altre: nella camera c’era odore grasso e selvaggio. Sembrava che i capelli di Silvia dovessero anch’essi odorare cosí. In questa camera piccola e raccolta, le ragazze si riunivano spesso dopo la cena, a studiare; il piú delle volte avrebbero avuto voglia di andare a letto, a dormire, vincersi costava uno sforzo; l’unica ad essere sveglia sempre era Xenia; le guardava, diceva: – Andiamo, allora – e alcune non trovavano il coraggio di rifiutarsi. Poca luce dalla lampada bassa calava sopra la testa di Valentina che leggeva, rattrappita sulla sedia per il freddo; s’era alla metà di novembre, ma l’inverno s’annunciava rigido. La ragazza, alzando lo sguardo dal libro, si rivolse verso il letto, chiese: – Dormi, Silvia? – No. Penso. – Dormivi...

Letteratura italiana Einaudi

3

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– No. Pensavo che domani al mio paese è festa; stasera certo la mamma avrà preparato la pizza con l’uva secca, domani nel camino si brucerà un ceppo piú grande e i cugini verranno a mangiare in casa nostra. – Vorresti trovarti lí? – No. – Poi soggiunse, incerta: – Cioè, non so. Domani sí, per il ceppo, e per quei dolci che si sgranocchiano accanto al focolare. Però credo che se dovessi tornare a casa d’improvviso, non toccherei cibo e mi roderei pensando a voialtre e a ciò che devo fare. Non c’è tempo da perdere. – Hai ragione – fece Xenia; – certe notti mi prende come una smania, la smania di far presto a finire per uscire di qui: e non chiudo occhio e mi tormento pensando che, mentre io sto ingabbiata in questa clausura di monache, fuori la vita scorre, forse buone occasioni si presentano, chi sa? la fortuna, e passano, e io non ci sono. Nella vita bisogna buttarsi a capofitto, prenderla pel collo. E io aspetto di cogliere il mio momento perché a Veroli non ci ritorno, anzi... Fu interrotta da Anna che entrava dicendo: – Avete visto, ragazze, che luna c’è stasera? – S’accostò alla finestra e l’aprí; s’affacciò un momento esclamando: – Che notte luminosa! – Poi si volse alle altre e fece cambiando tono: – Augusta è andata a dormire, Vinca è sconfitta perché non ha potuto telefonare. Non so quanto darei per sapere che cosa dice a Luis tutte le sere. – Che vuoi che gli dica? – replicò Xenia – le stesse cose che noi diciamo in italiano. – Che noi non diciamo a nessuno, piuttosto – precisò Valentina – quelle che io studio su Abelardo ed Eloisa. – Non viene neppure Milly? E la nuova del 28? – Non so nulla – disse Valentina – le ho avvertite, ma poi... – Milly non viene – fece Xenia che aveva ripreso a studiare – è stanca, va a letto, lei dice, e poi legge fino a

Letteratura italiana Einaudi

4

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tardi. Si rovina la salute con i libri. La nuova ha detto che verrà, ma forse farà come iersera. – Io non capisco che sta a fare qui – Silvia osservò dal letto. – Non studia, hai visto? e qui si viene per studiare; in camera non ha neppure un libro, vuole studiare la storia dell’arte, dice, vedremo, ma mi sembra ignorantella, sa il francese, l’inglese... insomma l’istruzione di quelli, sapete? quelli che non sanno niente. E tuttavia non è una ragazza comune, a me dà quasi fastidio perché in fondo ci domina. – Non è vero. – È vero, sí. È l’unica alla quale, appena arrivata, abbiamo offerto senza esitare di venire con noi. Quando si mise a tavola in refettorio, facemmo silenzio tutte guardandola, quasi imbarazzate. – Perché era tutta dipinta. – No. Anche Vinca si dipinge appena fuori del portone. Tacemmo perché sentimmo che c’era, che era lei. Poi tu, Xenia, súbito le dicesti «Resta con noi di lettere» e cominciasti a dire che quelle di medicina puzzano di acido fenico e che quelle di musica sono buone tutt’al piú per cantare in cappella la domenica. – Non è vero, forse? – Sí, ma significava volerla per forza con noi. – Ne sei pentita? – No, ma... – Allora, basta. Spegniamo la luce, invece, godiamoci la luna. Prima che le altre approvassero, Xenia girò l’interruttore; dal vano della finestra chiuso per metà da un telaio, si rovesciò sul pavimento della stanza un lembo bianco di luna. Valentina, che sedeva al tavolo, ne fu investita e s’alzò di colpo schivando la luce. Tutte ebbero un «oh!» di maraviglia, poi rimasero assorte. S’udí la voce di Silvia: – Con questa luna, al paese, certo saranno usciti a cantare.

Letteratura italiana Einaudi

5

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Vedevano soltanto un rettangolo esiguo di cielo: su, su, oltre le cime brune e gonfie degli alberi della vicina Villa, le stelle stavano immobili, stelle da firmamento di teatro. – C’è gente che passeggia nella Villa a quest’ora – disse Valentina piano. – Già, gente libera – piano soggiunse Xenia. E di nuovo tacquero, immerse nella pace lunare. Erano al buio quando Emanuela entrò: a tutta prima non riconobbe le ragazze, anzi credette di aver sbagliato camera. Disse: – oh!... scusate. – E fece per andarsene. Ma Xenia la richiamò: – Entra, entra, siamo proprio noi. Si contemplava la luna; puoi accendere, se vuoi. – No, no. Richiusa la porta, Emanuela restò in piedi, senza parlare; guardava le ragazze, a una a una, nella penombra. Lei, passando per i corridoi e vedendoli tutti chiarità aveva provato il desiderio di spalancare le finestre, affacciarsi; ma i finestroni erano sprangati e chiusi con lucchetti. E poi pensava che se le nuove amiche l’avessero vista, l’avrebbero derisa di sicuro. Non aveva mai pensato che quelle ragazze che si nutrivano di libri potessero accorgersi di ciò che accadeva nel cielo. Invece arrivando su le trova al buio, in estasi. Una voce partí dal letto: – Che sei venuta a fare? Emanuela rimase un attimo perplessa non sapendo se quelle parole erano dirette a lei, ma ne ebbe la certezza dal silenzio delle altre. Risentita rispose: – È Xenia che m’ha invitata, e Valentina mi ha detto che dovevo salire al 63. Me ne rivado súbito. – Sciocca! Volevo dire: che sei venuta a fare in collegio? – E tu? – Io studio. Ma tu che puoi vivere senza far niente, invece di venire qui a mangiare zuppa di cavoli perché non sei rimasta a casa tua?

Letteratura italiana Einaudi

6

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Emanuela indugiò a rispondere, poi come scusandosi disse: – Non posso. Xenia incalzò: – Sei orfana? – No – disse. Sentí che tutte stavano nell’attesa di altre spiegazioni onde soggiunse: – I miei sono in viaggio... in America. – In America? Un viaggio da gran signori – osservò Xenia. – Adesso comincio a capire – disse Silvia. – In America! – ripeté Valentina. Intanto guardavano la tenda della finestra, gonfiarsi all’alito della sera. Al grido si scossero tutte e Xenia accese la luce, chiuse la finestra. La voce passava nei corridoi fatta monotona dall’abitudine: – Luce, luce! – E la «u» si prolungava smisuratamente come il lamento delle sirene d’una fabbrica al cessare del lavoro. Anna spostava le sedie, accostandole al tavolino, Valentina aveva preso da uno scaffale, che conteneva un po’ di tutto, un lume a petrolio e l’accendeva. – Che fai? – le chiese Emanuela. – Non hai inteso? Ha gridato «luce». – E allora? – Già, tu sei al primo piano, come Milly; pagate di piú, ma vi lasciano la corrente, potete leggere tutta la notte, se volete; ma noi alle dieci, se vogliamo vederci dobbiamo arrangiarci cosí. Tra un momento questo piano sarà buio. – E i corridoi? – Anche. – E perché? – Perché la luce costa caro, noi siamo povere e le suore avare. – Spilorce – precisò Xenia. Emanuela si preoccupava: – E io come farò per scendere?

Letteratura italiana Einaudi

7

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Come noi: a tentoni. Oppure ti presteremo una candela – le disse Xenia. – Noi adesso ci mettiamo a studiare. Prendi un libro anche tu, te lo scelgo io, un libro adatto per te. Ecco, tieni, questo andrà bene: sono i poeti del dolce stil novo. Li conosci? Mettiti a sedere, fa finta di studiare, se no ti manderà in camera tua. – Chi? Non vi fu bisogno di risposta: la porta si spalancò come per una ventata. Una piccola suora apparve nel vano, magra, pallida, con lenti spesse che davano sguardi smisurati ai suoi occhi senza ciglia. Zitta rimase a guardare le ragazze che cominciavano a sghignazzare: – Suor Prudenzina! Suor Prudenzina! – Ella osservava attentamente nella camera cercando di scoprire qualche cosa di anormale, di colpevole, perfino sotto il letto indagava con lo sguardo, sempre restando immobile, la mano sulla maniglia. Emanuela ricordò quando, giorni prima, al suo ingresso in collegio, questa stessa suora le aveva detto con acre gioia: – Via quella roba dalla bocca – accennando al rosso delle labbra; sentiva ancora la piccola mano fredda sfiorarle il vestito, mentre la voce mormorava: – Seta. – Adesso Emanuela stava in piedi presso il letto di Silvia e la teneva pel braccio per darsi coraggio. Aveva paura di tutto là dentro. – Che fa lei quassú? – le chiese la suora. – Adesso qui tolgo la luce, scenda in camera sua. E quella le avrebbe ubbidito se Xenia non si fosse opposta: – No; stasera Emanuela resta con noi, deve studiare. Vada, vada, suor Prudenzina, custode della notte. Sa come la chiamiamo noi? La luce nel pugno. Risero tutte e Xenia andò fino sulla porta per inveirla quasi. – Spenga, vada a spegnere. Ma usciremo di qui un giorno! stasera abbiamo il lume a petrolio, domani la candela. Ma usciremo... ..

Letteratura italiana Einaudi

8

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Silvia l’interruppe: – Taci, Xenia, stanotte siamo ricche, c’è la luna. – Già, c’è la luna. Quella non la può spegnere, no? suor Prudenzina. Vada, vada a spegnerci anche la luna. Ridevano e seguitavano a schernire la suoretta. Ma le voci erano scherzose; solo in quella di Xenia si sentiva il rancore. La suora continuò a guardarle duramente e quando tacquero: – Ragazzacce – disse scherzando e se ne andò. Emanuela fissava Xenia, stupita: – Sei pazza! Non sei mica qui in prigione! Perché hai fatto cosí? – Perché è una strega. Appena arrivata, i soldi per la candela non li avevo. Neppure quelli. Perché mi guardi cosí? ti meravigli? Neppure quelli. E mai che lei me ne avesse offerto un mozzicone. Fuori si udí gridare ancora: «Luce!» La «u» fu piú lunga del solito; poi il buio si abbatté sulla camera finché il grasso chiarore del lume a petrolio non riverberò sul tavolo, sui libri aperti. Anna si volse a Xenia e le consigliò: – Càlmati adesso, non ci pensare piú, tra pochi giorni tu hai finito: pensa a prepararti piuttosto. – L’altra non rispose, sedette accanto alle amiche, per studiare. Emanuela trovò il suo libro aperto a un sonetto di Guido Guinicelli. Lo lesse una volta, due volte, non aveva voglia di andare avanti, neppure di voltare la pagina. «Chi sa perché m’ha scelto questo libro...» Voleva dire forte: «Ho finito» e andarsene, ma non osava, teneva gli occhi bassi per far credere che leggeva. Ripeteva tra sé l’ultimo verso, ogni tanto guardando di sottecchi verso il letto ove il corpo di Silvia faceva una gran macchia nera. Ma la ragazza, immobile, certo oramai dormiva. * Ogni sera Emanuela si diceva: – Non salgo, – perché temeva di ridiscendere sola fino alla sua camera, nella

Letteratura italiana Einaudi

9

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

completa oscurità dei corridoi e della scala. Mai aveva avuto il coraggio di chiedere la candela; le altre vagavano sicure nel buio, come sonnambule, conoscevano gli angoli, gli spigoli dei mobili, li evitavano per abitudine; sapevano il numero dei gradini che dividevano un piano dall’altro, facevano le scale a occhi chiusi: uno, due, tre, quattro, cinque... Ogni sera Emanuela si proponeva di restare. E invece, quando era l’ora, saliva nella camera dove le sette amiche si riunivano, una sera qui, una là, tutte camere uguali, diverse soltanto nell’odore, ognuna aveva un suo proprio odore. Dapprima parlavano, piú tardi si mettevano a studiare. Vinca di nascosto fumava le sigarette. Ormai anche Emanuela ogni sera studiava. Ma uscendo, dopo aver detto con voce tranquilla: – Buona notte – appena richiusa la porta si trovava sprofondata in un buio compatto. Buio e silenzio. Il sangue le scottava nelle vene, le dava un gran caldo umido fin sul collo, un’ondata negli orecchi, il martellare fitto sulle tempie. Cominciava a camminare soltanto perché temeva che le compagne, riaprendo la porta, la trovassero ancora lí, imbalordita dallo spavento. Camminava leggermente, perché il suo passo non levasse eco tra le alte pareti. «Corridoio a destra, corridoio a sinistra; e se m’apparisse un morto? Ecco la scala, uno, due, tre, quattro, cinque... e se sentissi adesso una terribile mano sulla spalla? Ecco il pianerottolo, avanti il piede con precauzione, ecco la nuova rampa, uno, due, tre, quattro... e se svoltando nel corridoio del mio piano, trovo uno scheletro in piedi?» Tendeva la mano avanti a sé per essere certa che nulla avanzasse verso di lei, l’insidiasse. E poi veniva colta dal timore che la sua mano incontrasse un corpo viscido, freddo, e subito la ritraeva. Restava ferma, allora, inchiodata dallo spavento, occhi spalancati nella tenebra senza misericordia. Sentiva un urlo d’orrore salirle non dalla gola, ma da tutta la carne,

Letteratura italiana Einaudi

10

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

e la gola serrarsi, inaridirsi, soffocandola. Il cuore pareva scoppiarle in petto come una melagrana. Per darsi aiuto cercava di convincersi della sua perfetta innocenza: «Non ho fatto niente di male, niente di male». Poi d’un tratto pensava alla bugia, sussultava: «Certo avanti alla mia porta trovo uno spirito. La bugia, quella terribile bugia, bisognerebbe parlare alle ragazze, dire, non sono quella che credete, tutte bugie, falsità, non mi date piú fiducia, sapete chi sono io? di dove vengo? sapete di Stefano, la storia di Stefano? Tutte bugie vi ho detto. Faccio parte del vostro gruppo. Giuramento sul tavolo come i moschettieri. Otto per una, una per otto. E adesso io so tutto di loro che con le altre sono cosí segrete e schive. E loro di me che sanno? Tutte bugie. Ieri, la mia festa, in camera un gran mazzo di fiori. Stavano nascoste dietro la porta spiando la mia sorpresa. Poi sono entrate rumorosamente, mi hanno baciato. Mi vogliono bene, a chi vogliono bene? E quale sono io veramente? Però non ho fatto nulla di male, nulla di male». E seguitava a camminare piú serena. Prima d’imboccare l’ultimo corridoio sempre le pareva d’udire un passo o uno scricchiolío. «È qui il morto, m’aspetta, mi salta addosso. Dio, è la bugia, è la bugia.» Appiattita contro il muro non aveva il coraggio di proseguire fino alla porta della sua stanza. «Certo lí trovo il fantasma e mi prende alle spalle, m’afferra, mi strozza.» Soltanto dopo aver rinchiuso la porta della camera dietro di lei, accesa la luce, i suoi nervi incominciavano a distendersi. La camicia spiegata sul letto, la cartella aperta sul tavolino, i libri, le fotografie. La fronte ancora madida di sudore: «Che sciocca» pensava «ecco, sono in camera mia, non esistono gli spiriti. Oltre la parete Milly dorme». Ieri però non aveva avuto il coraggio di entrare nella sua camera. Le era tornato in mente un racconto di Silvia: – Al paese, una mia amica appena sposa, è morta

Letteratura italiana Einaudi

11

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

di parto a vent’anni. Abitava di contro alla nostra casa; i suoi urli riempivano la strada. Io, dopo aver sbarrato le finestre, m’ero messa a letto, la testa sotto le coperte per non sentirli: ma quelli, sai? nel silenzio, era notte, arrivavano lo stesso fino a me. Infine tacque. Al mattino si seppe che era morta. Dopo questo discorso iersera Emanuela era sicura di trovarlo, un morto bianco in camera sua, quella sposa magari, stesa sul letto in una pozza di sangue. E allora scorto un filo di luce sotto la porta di Milly, s’era rifugiata da lei, entrando di corsa, come inseguita. Milly studiava musica. Malata di cuore, studiava stando seduta in poltrona. Spesso non scendeva a tavola: – Non sta bene, Milly? – E la suora scoteva la testa. Talvolta, quando si sentiva in forze, Milly andava nella cappella per sonarvi l’armonium. La casa era vuota; le ragazze tutte fuori, chi all’università, chi in biblioteca. Emanuela spesso rimaneva in casa, a scrivere lettere o senza far nulla, buttata sul letto a pensare. Dalla finestra si scopriva l’alto muro del cortile tutto ricoperto di viti d’America, rossa perché s’era d’autunno. Un giorno gonfie e lente salirono dal cortile le note dell’armonium. Non era musica sacra, lieder erano, canzoni di Schumann che però uscivano da quello strumento con una voce mistica. Stupita Emanuela si affacciò: erano aperte infatti, le due finestre della sagrestia. Scese nella cappella: nessuno; ma a quelle note la cappella sembrava gonfiarsi, contorcersi. Nella penombra si vedevano solo le sagome scure delle panche, una lampada rossa, scintillava qualche lucentezza d’ori sull’altare. Emanuela si arrischiò dietro l’altare. Era Milly che suonava, ne riconobbe da dietro le lunghissime trecce biondo pallido. L’aveva vista nei corridoi, a tavola qualche volta: ma non le aveva mai rivolto la parola, non sembrava una ragazza vera, pareva che a toccarla dovesse disfarsi, svanire. Quando non si sentí piú sola Milly si volse di scatto, sgomenta.

Letteratura italiana Einaudi

12

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Continua – Emanuela disse – è cosí bello! Ma l’altra, rossa in viso, vergognosa di essere stata sorpresa in tanta intimità: – Sei quella del 28, vero? – le chiese. – Sí. – Ieri sera – disse perché Emanuela fosse colta sul vivo – ieri sera, t’ho sentito piangere. Quindi facendole segno di accostarsi si girò di nuovo sullo sgabello e riprese a suonare. Da quel momento furono amiche. Emanuela, svegliandosi, bussava alla parete e l’altra, che già da tempo alzata studiava al tavolo, si levava, correva a bussare anche lei, rispondendole. Milly che era sempre rimasta appartata, cercava la compagnia di Emanuela; la guardava e guardandola s’illuminava, forse perché era tanto diversa da lei, cosí vitale. Senza che l’altra le chiedesse nulla Milly le raccontava di sé, della ragione per la quale era partita da Milano, studiava cosí lontano da casa sua. – Sai? – diceva – io, a Milano, mi ero innamorata del suono dell’organo che udivo a San Babila alla funzione del vespro. Una sera m’alzai dalla panca come per andare a confessarmi e invece lesta presi per una scaletta di legno, e mi trovai sul palco dell’organo. Hai mai vista una chiesa dal palco dell’organo? È strano, sembra d’essere già in paradiso, da cosí vicino le note dell’organo gonfiano gli orecchi, stordiscono. Sotto, la gente a gran voce cantava, una folla in ginocchio, a capo chino; allora io guardai l’organista: era grigio, tutto grigio e portava le lenti nere. Era cieco. Ma ormai non potevo piú tornare indietro, giovane o vecchio ero innamorata di lui. Tu avessi visto che mani aveva! E da allora ogni sera salivo lassú. Parlavamo di musica per lo piú, lui ama Bach e Haydn. Poi la gente usciva, le luci si spegnevano. Egli, per scendere, appoggiava la mano alla mia spalla. Hai mai dato la spalla a un cieco? Allora soltanto si apprezza

Letteratura italiana Einaudi

13

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

il valore dei propri occhi. – Guardava nel vuoto, e anche i suoi occhi chiarissimi parevano occhi da cieco: sempre fissando davanti a sé riprese, come se sognasse: – Un mattino, a maggio, andammo ai Giardini Reali. Tu conosci Milano? i Giardini? Oh! devi andarci! Nel mezzo d’un laghetto c’è un piccolo tempio dedicato a Eros e immensi alberi d’intorno, romantico ottocento, dicono che Foscolo vi andasse a passeggiare. Lui non vedeva nulla, ma io gli spiegavo, gli dicevo, ecco, adesso il laghetto si è fatto tutto rosa. Quando papà si è accorto di questo, in ventiquattr’ore mi ha fatto partire per venire a studiare a Roma dove il clima mi fa bene alla salute. Ma io sono felice, qui; posso suonare l’armonium, e scrivo a lui con quell’apparecchio là, tutto buchi, l’alfabeto Braille, fatto apposta per ciechi, ho imparato, scrivo bene, e lui legge passandovi sopra le mani, cosí, vedi? cosí. – Sfiorava intanto leggermente le dita di Emanuela. Quella sera Milly studiava nella poltrona, quando vide entrare Emanuela ansante, richiudere la porta, appoggiarvisi sfinita; non s’alzò, ma la guardò con apprensione. – Che c’è? – le chiese. – Ho paura. Ho paura di sera per questi corridoi. Temevo che nella mia camera vi fosse una morta ad attendermi, e non ho avuto il coraggio di entrare. È ridicolo, vero? Scusami, sono sconvolta. – Poi cercando di pensare ad altro, s’inginocchiò sul tappeto dinanzi a Milly, guardò il libro aperto che la ragazza teneva in mano. – Che cosa studi? – Armonia. Senti, Emanuela: fa a meno di salire su domani sera. – Non posso – la ragazza rispose. Aveva appoggiato la testa sulle ginocchia di Milly e si lasciava accarezzare la fronte, gli orecchi, i capelli, rasserenandosi. Nella sua camera si sentiva riafferrare dai ricordi, dalle responsabilità, c’erano le lettere chiuse a

Letteratura italiana Einaudi

14

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

chiave nei cassetti, le fotografie, i vestiti che sempre ci ricordano un’epoca precisa. Erano le compagne a darle la certezza di questa sua nuova personalità che indossava al mattino come un abito; e vicino a loro si sentiva vivere, personaggio nuovo, innocente, Emanuela di tanto tempo fa. – Non posso farne a meno – ripeteva – e però il buio mi sgomenta e mi sento chiusa, imprigionata, non so spiegarti, non ne posso piú. – Ti capisco – approvò Milly – è cosí per tutte, al principio: manca l’aria. Per me forse è stato meno duro: ero abituata a vivere impaurita, in soggezione. Tu non conosci mio padre, sarebbe lungo a spiegarti. Io respiro piú liberamente qua dentro, anche rinchiusa. Ma tu... Tu non devi rimanere tanto tempo sola in camera. Esci, va con le compagne all’università, oppure va a spasso, c’è la Villa qui accanto. Non ti piace la Villa? – Le toccava le mani, le affilava le dita, le accarezzava le unghie. – Se potessi ti accompagnerei, ma io sto male. Dovresti uscire con Xenia o con Vinca. Anzi proprio con Vinca che prende tutto facilmente. Lei è rimasta soltanto qualche giorno sconcertata arrivando qua dentro, s’è ripresa súbito. Vedi? Se invece di venire da me fossi entrata in camera di Vinca, neppure ti saresti messa a piangere. Ma Emanuela scoteva la testa, ripeteva: – Non ne posso piú, non ne posso piú! – Nessuno avrebbe potuto sollevarla, né Xenia, né Vinca. Quando di sera Vinca parlava al telefono, la suora passeggiava impaziente in su e in giú davanti a lei, facendo ciondolare la chiave della stanza per farle intendere che bisognava far presto, si doveva richiudere. Ma la ragazza, per dispetto, si sedeva graziosamente, assestandosi la gonna sui ginocchi, appoggiando la testa al muro e discorreva senza fretta sorridendo; parlava in spagnolo, gettando a ogni frase un fiotto di parole nel microfono; e

Letteratura italiana Einaudi

15

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

intanto fissava la suora con occhio indifferente, senza darle importanza, sicura dietro il suo idioma straniero. Qualche parola soltanto si capiva ed era peggio: la suora intuiva la conversazione e s’irritava. Le compagne, in cinque, sei, stipate su due sedie, parlottavano tra di loro nel vedere il viso arguto di Vinca la quale, quando aveva visto la suora giungere al colmo dell’esasperazione, prendeva il tono del commiato, s’alzava e finalmente diceva in italiano col suo buffo accento: – Addio. – Riappeso il ricevitore, aggiungeva con voce compunta: – Suor Lorenza, io la ringrazio – e usciva seguita dalle altre. Salendo alle camere, per le scale, le amiche le chiedevano: – Che dicevi? Che dicevi? Sí, che dicevi quando ti sei messa a ridere? Quando lo vedi, quando lo vedi? – Domani nel pomeriggio. Il domani fino all’ora dell’appuntamento faceva toletta, si strappava i sopraccigli. Entrava nelle stanze delle compagne, in pantofole, una vecchia vestaglia addosso, spettinata, le pinzette in una mano, lo specchio nell’altra. Mentre parlava, ogni poco, storcendo la bocca, stirando la fronte, zac!, si strappava un pelo dei sopraccigli e riprendeva a discorrere facendosi il massaggio col polpastrello. Non era bella, ma aveva capelli bruni abboccolati, lucidissimi, e occhi neri umidi. La bocca sgraziata, i denti piccoli e aguzzi come quelli dei topi. Quando usciva nel pomeriggio, appena fuori del portone, dopo aver spiato di qua e di là, in fretta si dipingeva le labbra, si ravvivava l’incarnato delle gote. Luis l’aspettava lí presso; la salutava appena, la prendeva pel braccio e camminavano. Súbito Vinca ritrovava il piacere fisico di parlare la sua lingua. Liberata, discorreva avidamente, come si mangia un dolce che piace; a certe espressioni dialettali di Luis rideva quasi le udisse per la prima volta. Erano andalusi entrambi, di Còrdova, si erano conosciuti qui dove stavano per studiare: Luis studiava architettura;

Letteratura italiana Einaudi

16

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

spesso finivano a parlare del loro paese e cosí si confortavano di esserne lontani. – Hai capito allora, dov’è che abito io? – gli chiedeva Vinca – c’è quella fontanella in mezzo alla piazza... Carina quella fontana, vero, Luis? – Gli si faceva piú vicina, la sera era piena di quell’acqua che scorreva nella fontanella di Còrdova. – E a marzo poi – seguitava Vinca – si va a cogliere la ginestra, bracciate cosí, come grano. – Ho l’impressione – diceva Luis – che perfino il colore della nostra terra sia diverso, piú rosso, ribollente, ulivo e frumento, distese all’infinito di pane e olio. È strano – osservava – la natura è la prima cosa che io sento avversa quando sono all’estero, eppure una foglia di qui dovrebbe essere simile a una foglia delle nostre. Già... Con gli uomini sembra piú facile, vero? Sembra, però: perché, in realtà, basta un nulla per ricordarti che sei straniero. Immalinconiti, si prendevano sottobraccio, si stringevano: ognuno aveva nella mente una casa diversa, un diverso patio; ma come se l’altro potesse vederlo: era, comunque, un’altra casa spagnola. Certe volte Luis proponeva: – Andiamo al cinematografo? – E, deciso, s’avviava verso un cinema di quartiere che nel pomeriggio era poco frequentato. Vinca lo seguiva, ma era contrariata; le sembrava che tutti dovessero sapere – la cassiera per esempio, la quale strappando i biglietti la sbirciava – che loro andavano là dentro per sbaciucchiarsi. Si sedevano, guardavano attenti il film, ma, dopo un po’, Luis immancabilmente diceva: – È stupido – e s’assestava sulla sedia, passando un braccio intorno alle spalle della ragazza. Negli intervalli si scostavano esageratamente; lei, tutta la bocca sbavata di rossetto, si specchiava, si passava la cipria. Uscendo, Vinca, stordita, pensava: «Non ci vengo piú» e neppure cercava il braccio di Luis, camminavano discosti quasi fossero estranei. Poi lui accendeva una sigaretta, le mo-

Letteratura italiana Einaudi

17

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

strava il pacchetto, le diceva: – Spagnole, me le ha portate un amico. E lei lo pregava: – Uh!... me ne dài una? la fumo in camera mia stasera. – E suor Prudenzina? – Che m’importa di suor Prudenzina? Erano già accese le luci delle vetrine e loro talvolta si fermavano, osservando le esposizioni, senza neppure scambiarsi le loro impressioni. Certe volte a bruciapelo Luis esclamava: – Chi sa quando torneremo in Spagna!... – Io, se seguito a studiare cosí, vi tornerò a cinquant’anni. – «A cinquant’anni la bella m’ha lasciato...» canticchiava lui tra i denti. Era una canzone delle sierre, tanto tempo che non la udivano; Vinca gli diceva: – Continua, mi piace. – E quando finiva: – Conosci anche «Sul ramo del ciliegio c’è un fiore»? Chiacchierando giungevano presso la porta del collegio. Lí si arrestavano; la grande piazza aveva angoli d’ombra, ma i due giovani non riuscivano a isolarsi; le macchine andavano silenziose, se le trovavano accanto, gente da dentro li osservava, loro erano fermi dinanzi a un negozio di statue, deserto come un museo. Vinca aspettava che qualcosa l’acquetasse, una parola di lui o uno sguardo, ma egli fissava gli alberi che s’affacciavano al muraglione della Villa, sopra la nicchia settecentesca che stava al gomito della strada. Pareva distante col pensiero. Finché lei stessa gli chiedeva: – Quando ci vediamo? – sperando che egli le promettesse «domani». Ma la risposta di lui era invariabile: – Te lo dirò al telefono. – Vinca rispondeva: – Va bene – intimamente malcontenta. Restava a guardarlo mentre s’allontanava, le mani in tasca, fumando. «Valeva la pena di far cosí tardi per lui!» E sentiva contro Luis rabbiosa irritazione; avrebbe

Letteratura italiana Einaudi

18

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

voluto richiamarlo, dirgli: – Basta, che ti credi? – e invece continuava a seguirlo con lo sguardo e suonava il campanello soltanto dopo che lui era scomparso dietro l’angolo della piazza. * Appuntamento al 40. Una camera sotto il terrazzo, affocata d’estate, freddissima adesso, di novembre: dalla finestra entrava l’odore morto delle foglie che cadevano dagli alberi della Villa. Ma era la sola stanza dove si sentiva che qualcuno viveva veramente: forse perché Augusta vi abitava già da tre anni, e aveva il gusto della casa. Aveva portato oggetti dalla Sardegna, un tappeto a fasce rosse e verdi, diceva Augusta che al suo paese le serve li lavorano d’inverno con la lana di capra, cosí come la coperta del letto e quel centrino sopra il comò. Il tavolino stava in mezzo alla camera, sopra vi pendeva la lampada con un paralume verde. Quando lei era seduta a studiare, il suo grosso seno occupava lo spazio tra le due pile di libri, soverchiava il tavolino, lo rimpiccioliva; pareva una bambina davanti ai suoi giocattoli. Studiava lettere e dicevano che fosse di dieci anni in ritardo con gli esami. Le piú giovani la chiamavano «la zitella». Per terra, attorno a una larga foglia di lattuga stava la testuggine che Augusta aveva battezzato Margherita. Era in autunno, s’avvicinava l’epoca in cui si nascondeva sotto il comò, e là, in letargo, dormiva come morta, imbalsamata. Già i suoi movimenti erano divenuti piú pigri. – Ha sonno – spiegava Augusta con voce pietosa, quasi parlasse di una bambina. E le lucidava il guscio con una penna intinta nella brillantina, la teneva in mano con le zampe che annaspavano, poi diceva tendendola alle amiche: – Sentite? è profumata, adesso. – Ma poche vincevano il ribrezzo e la toccavano. Augusta la

Letteratura italiana Einaudi

19

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

rimetteva in terra, va, va, povera Margherita: s’udivano le dure unghie della testuggine battere sull’impiantito. Le ragazze salirono da lei già tardi, la luce era spenta; la trovarono che leggeva placida, sembrava avesse il tavolino sui ginocchi. Vedendole entrare s’alzò dignitosa, le ricevette come per una visita ufficiale. Le altre rumorosamente si buttarono sul letto come su un’altalena. Silvia si sedette per terra, passando la mano sul tappeto, come su una bestia viva. Augusta, tratto un sacchetto dal comodino, offriva caramelle. In ogni suo gesto c’era una composta solennità. – È freddo – disse Anna – molto freddo. – Come sarebbe bello se questa tua stanza fosse una grande cucina! – esclamò Silvia. – Castagne sul fuoco e una vecchia serva che racconti. La nostra conosce terribili storie, di quando c’erano ancora i briganti. In fondo è un peccato che non ci siano piú briganti: non ci sono piú avventure. Io, se fossi vissuta a quel tempo, avrei voluto sposarne uno. – Con il tuo carattere ti avrebbe governato con la frusta! – Avrei preso anche quella. Augusta fece, scotendo la testa: – Parlate del matrimonio con troppa leggerezza. Valentina prese a parlare, disse che si sciupavano tutte le serate in baldoria, in chiacchiere senza concludere nulla: – Poi a luglio, nottate, rossi d’uovo, esaurimento nervoso. – Hai ragione. E Augusta propose: – Domani sera si potrebbe fare una seduta di spiritismo. – Sei pazza?! – Perché pazza? – rispose – da molto tempo ci penso; io le facevo spesso al paese. Un tavolino a tre gambe, tutti vi appoggiano sopra le mani, il tavolino bussa. Ogni colpo una lettera.

Letteratura italiana Einaudi

20

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ma è proibito dalla religione! – interruppe Anna. – Tante cose – obiettò Vinca – sono proibite. Augusta era decisa: – Domani sera, allora. Ma Valentina tornò a ribellarsi: – Io non vengo. E tu, Emanuela? cosa decidi? Quella rispose ridendo; – otto per una, una per otto. Anche tu devi venire. – Non hai paura? Emanuela esitò, poi rispose: – No. Non aveva piú paura. Non faceva nulla di male, nulla di male. E poi anche il coraggio è un’abitudine, tutto sta nel vincere la prima impressione; adesso girava nei corridoi sicura nel buio. Era forse lo studio a darle questa sicurezza: la certezza che la sua vita ormai s’era fatta simile alla vita delle altre, la sensazione che il passato si fosse dissolto in lei, fosse svanito. E questa intima sensazione si rifletteva nel suo aspetto esteriore: portava come le altre i tacchi bassi, i vestiti di lana: viveva come a diciotto anni, dimostrava diciotto anni. Silvia ripeté pensierosa: – Otto per una, una per otto. Per quanto tempo? un anno, due anni. Oh! se almeno uscissimo di qua tutte insieme, non si sentisse il vuoto di quella che se ne va, come per una morte. Siamo tutte legate adesso, ogni avvenimento è comune, se ho un taglio alla mano lo sapete, se ho mal di capo, o se ho paura dell’esame. Insieme dal mattino alla sera... E poi tra uno, due, tre anni, l’una non ricorderà piú il nome dell’altra. – È impossibile – fece Emanuela. – È possibile – ribatté Augusta: – eppure qui ci siamo scelte tra tante, si direbbe, per autentica affinità. Ma è soltanto la familiarità continuata di ogni giorno che ci lega; appena questa cade si scava fra di noi un’incolmabile distanza. Senti: l’anno scorso è andata via una di qui, ha sposato, una di quelle che divideva ogni ora con noi: neppure una cartolina ha mandato. Eppure aveva promesso che... – Sposare è un’altra cosa – Valentina soggiunse – è

Letteratura italiana Einaudi

21

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

passare all’altra sponda. Che cosa avrebbe piú da dire a noialtre? Silvia disse: – Io non mi sposerò mai. – E il brigante? – Appunto, perché briganti non ce ne sono piú – assentí ridendo. Augusta di nuovo porgeva alle amiche il sacchetto delle caramelle. Emanuela le chiese sottovoce: – Quanti esami devi dare? – E quella ebbe un gesto evasivo. La porta s’aprí piano, entrò Xenia. Súbito Valentina le domandò: – Dove stavi? t’ho cercato, la tua camera era chiusa a chiave. Xenia non rispondeva: pallida, i grandi occhi immobili, le narici arrossate dal pianto. – Xenia, che hai fatto? – Xenia, rispondi, Xenia! Gli occhi fermi nel vuoto, la ragazza spiegò infine con voce incolore: – oggi ho dato la tesi. È andata male. – La tesi? ma se dovevi darla dopodomani?... – V’ho detto una bugia. Non volevo che veniste nell’aula, avevo paura, paura perfino di aspettare con voi il momento di rientrare a sentire il risultato. – Paura di dirlo a noi?... – Sí. È andata male. «L’aspettiamo a marzo» mi ha detto Trecca. Tu non me lo perdoni, vero, Silvia? d’aver fatto fiasco? – Non è questo. Noi – e accentuò questa parola, – noi avremmo voluto esserti vicine. Noi non ti perdoniamo la bugia. D’impeto Emanuela corse verso Xenia e l’abbracciò: – Non ascoltarla, Xenia! Non guardare cosí fisso. Dicci: e i tuoi genitori? – Ah! tu hai capito, tu. Che vuoi che facciano i miei genitori? Devo tornare a casa – piangendo si strinse all’amica – e non ci torno, mai piú, mai piú, piuttosto, vedi?, piuttosto m’ammazzo!

Letteratura italiana Einaudi

22

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Xenia! – esclamò Anna. E per un momento fu silenzio attorno al pianto accorato della ragazza. – Siediti, siediti, càlmati, ci sarà un rimedio, ti lasceranno qui fino a marzo. Xenia scoteva la testa: – Non è possibile, non hanno soldi, neanche un soldo. Per farmi studiare papà ha fatto l’ipoteca sulla vigna. Valeva la pena! diranno al paese e rideranno tutti. Ma non ci torno, la soddisfazione non glie la do. – Ricominciava a piangere: – Che colpa ne ho io? Ho fatto tutto quello che ho potuto. Al mattino voi dormivate, io m’alzavo quando sentivo la prima campana delle suore. Trecca si lisciava i baffi: «L’aspettiamo a marzo, signorina Costantini». Poi ha guardato l’orologio, forse aveva fame. Cane, cane assassino! – S’arrestò perché i singhiozzi la soffocavano. Riprese accorata: – Non posso rimanere neppure un giorno, è impossibile, è giusto: i miei hanno mangiato patate tutto l’anno per tenermi qui. La colpa è mia, capite? – e si batteva la fronte con la mano aperta: – Mia, mia... Le altre, sbigottite, non trovavano parole; d’un tratto Xenia smise di piangere e fece: – Perdonatemi. Perdonatemi tutte. Scusate. Che stavate facendo? Studiavate, vero? Si sentiva in questa domanda tanto rimpianto che Augusta rispose: – No, si parlava. Siediti, prendi la mia sedia, siediti qui con noi. Xenia rifiutò con gentilezza: – No, scusatemi, ma non ho voglia di chiacchierare; sono salita un momento soltanto per informarvi di questa rovina. Sto già meglio, adesso, ritorno in camera mia. – Sola? – fece Emanuela – non è possibile, io vengo con te. – No. Ti prego, Emanuela, no: ho bisogno, molto bisogno di stare sola. – Agitata cosí? Non è possibile.

Letteratura italiana Einaudi

23

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non aver paura, non salto dalla finestra. Ci ho pensato. Sono vigliacca. Vado a dormire. Ma forse stavolta che potrei dormire fino a mezzogiorno non dormirò. Con un gesto salutò in giro. Alta, il suo viso quasi non si vedeva, era al di sopra del cerchio di chiarità della lampada. Tutte sentivano che avrebbero dovuto accompagnarla, confortarla, e però non sapevano che cosa dirle. Rimasero lí pensando: «vado, non vado» attendendo ognuna che l’altra si muovesse; e in questa loro incertezza, Xenia aveva aperto la porta, era scomparsa. * Il giorno dopo erano tutte moge; finora nessuna aveva pensato di poter fallire alla tesi. E ora la faccia stravolta di Xenia metteva timori nel cuore di tutte. Alla lezione di Belluzzi, neppure sedettero vicine, si ritrovarono all’uscita, si riunirono in crocchio: solo Emanuela che era venuta con Silvia, sorrise alle altre e fece allegramente: – Guardate un po’ che ho ricevuto! – e tese loro un biglietto. Lo lessero tutte, curiose: qualcuna per le scale dell’Università, certe nel portone, non si contentavano di udirlo leggere da un’altra, volevano vedere la scrittura, la firma. E col nuovo avvenimento, sembravano aver ritrovato l’allegria. – Vacci, vacci – consigliavano. Silvia pregava: – Non la tormentate cosí. Deve fare quello che vuole. E Anna: – Hai ragione; io dico soltanto che è un ragazzo intelligente, serio, attento, non ha mai scherzato con nessuna. Emanuela camminava quasi sospinta dalle altre che le si serravano intorno. Era incerta: – Non so che farò. Mi sembra strano andare. – Però ne hai voglia, confessa che ne hai voglia. – Che c’è di male? – insisteva Vinca. – Non è uno sco-

Letteratura italiana Einaudi

24

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nosciuto. È amico nostro, collega, te l’abbiamo presentato, ogni volta che venivi alle lezioni gli hai parlato. – Va bene, ma... L’appuntamento era per la sera dopo alle sei, davanti alla fontana del Mosè, al Pincio: Emanuela avrebbe voluto andare; arrivare cinque minuti in ritardo per dargli un po’ di trepidazione facendogli pensare che non sarebbe venuta. Presentarsi uscendo dal vialetto, aspettare che egli parlasse, spiegasse. Lanziani, un ragazzo d’ingegno. Ma soprattutto l’attraeva quell’attesa fino a domani; presentarsi fresca nel vestito grigio, benissimo. Augusta le diceva sempre: – L’essenziale, nella vita, è avere un’attesa. – E lei seduta dietro il tavolinetto, grassa, coi fili bianchi nei capelli, aspettava chi sa che. – Vacci, vacci. Parlando, ridendo, svegliarono col loro ingresso il freddo collegio; il pavimento, ovunque nell’istituto, era a quadri bianchi e neri, nelle alte pareti grigie s’aprivano lunghi finestroni per metà opachi, perché non ci si potesse invogliare del mondo di fuori. Le ragazze entrarono briosamente nel refettorio: dai finestroni si vedeva il cortile, ornato da rigidi bambú e palme basse: soltanto in un angolo, dove al mattino cadeva un raggio di sole, c’era un gruppetto di vasi di geranio. Molte ragazze erano già alla tavola, s’udiva il represso brusio delle voci, lo smuoversi delle posate: nel fondo del refettorio suor Lorenza attendeva a scodellare. Le amiche presero i loro posti ridendo, niente affatto preoccupate della suora che era rimasta col mestolo a mezz’aria, la fronte corrugata. Spiegarono i tovaglioli, si versarono l’acqua, il vino, parlando forte. Al posto di Emanuela una lettera era poggiata al bicchiere, veniva da Firenze, una lettera di papà, ne riconosceva la minuta calligrafia. Smise di ridere e dette un’occhiata in giro per vedere se le altre avessero notato il timbro, seguito i suoi gesti; ma le compagne erano di-

Letteratura italiana Einaudi

25

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

stratte, stavano raccontando ad Augusta il fatto del biglietto di Lanziani: – Fattelo leggere, lei non vuole andarci, figurati... Intanto Emanuela aveva aperto la lettera; dopo averla scorsa in fretta, la richiuse, attenta a che nessuno avesse letto nel foglio con lei. Le compagne non debbono sapere che papà è a Firenze: papà è in America, ritornerà a primavera. Valentina le chiese: – Bè, hai deciso, Emanuela? – Sí, ho deciso: non ci vado. Augusta le domandò: – Fammi leggere la lettera. – Quale? – Ma a che pensi? Quella di Lanziani, no? Emanuela glie la tese e, dopo essersi assicurata che le compagne non la osservavano, riaprí quella di suo padre, la rilesse. Diceva: «Domenica, se vuoi, puoi andare a trovare la bambina». La domenica era per il collegio come un grande sbadiglio. Le ragazze si svegliavano di buon’ora per abitudine, istintivamente facevano per gettarsi giú dal letto, poi ricordavano: «È festa» e si lasciavano scivolare di nuovo nel tepore, a poltrire. Ma avevano la sensazione di rubare quell’ora; perciò finivano con l’alzarsi presto lo stesso. A una a una le finestre s’aprivano, le ragazze s’affacciavano e parlavano tra di loro del programma della giornata prima ancora di lavarsi la faccia. Emanuela era pigra. «È domenica, oggi» pensava, e anche lei si sentiva liberata dal peso della settimana; di domenica il cielo le appariva piú limpido. Voci partivano dalle finestre chiamandola; lei, infine, rispondeva, andava alla finestra, cercava le compagne con gli occhi. Augusta soltanto non s’affacciava, la domenica usciva per tempo al mattino a comperare fiori per la camera, la lattuga per Margherita, poi cambiava i centri sardi sui mobili, spolverava i libri, diligente. Una ragazza di giu-

Letteratura italiana Einaudi

26

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dizio, dicevano le suore; le compagne pensavano che ormai – giovanissima non era piú, negli studi non riusciva – avrebbe potuto farsi suora anche lei. Quando le dicevano questo ridendo, ella scrollava il capo, offesa, e ribatteva: – Ho ben altro per la testa. – Che fai oggi, Emanuela? – Sto con voi; che facciamo? Rimanevano incerte, affacciate su quel giorno di vacanza obbligata. E non sapevano come fare a divertirsi in una città estranea, nella quale le sole cose consuete e amiche erano lo studio e il collegio. Emanuela le scoteva da questa loro timidezza, pensava un poco, poi decideva: – oggi andiamo a vedere le scimmie allo zoo. – oppure: – Al cinema. Pago io. – E le altre approvavano con entusiasmo. Quella domenica invece rispose: – Oggi... Oggi ho da fare. Valentina le chiese: – Hai avuto un altro biglietto di Lanziani? – Oh!... no, no: è altra cosa, una parente. Xenia che si limava le unghie disse, senza alzare gli occhi: – Però, se ti piaceva, hai fatto male a non andare. Emanuela parlò d’altro, volutamente; il giorno prima aveva seguito minuto per minuto l’attesa del ragazzo, vicino alla fontana del Mosè, sul principio si sarà distratto guardando i giochi dei bambini che mettevano le barche nella vasca, avrà pensato a qualche suo veliero di infanzia, poi avrà cominciato a guardare l’orologio, di frequente, sempre piú di frequente, a poco a poco avrà visto le possibilità diminuire, svanire, infine avrà preso il cammino del ritorno, chi sa dove abitava Lanziani, e la sera non avrà studiato volentieri; ma ormai lei non si rammaricava piú di nulla, attendeva che qualcosa accadesse. Disse, perché le altre non notassero la sua preoccupazione: – Fa bene ogni tanto la domenica – e si divagò seguendo alcune nuvolette diafane che si stracciavano al sole.

Letteratura italiana Einaudi

27

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ormai è sempre domenica per me – Xenia disse. Era calma, al mattino svegliandosi s’era messa a cantare. Suonò la prima campana: avevano mezz’ora soltanto per prepararsi; si ritrassero dalle finestre facendo affrettati cenni di saluto, e dalle camere venne rumore d’acqua e di brocche. Scesero poi tutte pettinate, odorose di pulito; incontravano altre compagne, si salutavano con aria di festa, si prendevano sottobraccio giocondamente. Scendevano le scale in fretta, attratte da quell’odore di caffellatte e pane fresco. Un odore mattinale e invitante che saliva non si sa come dalle scale, dai cortile, un odore proprio di collegio e di scuola, che mai piú avrebbero sentito passati quegli anni; e annusando, uno stimolo di fame allo stomaco, scesero, fluirono nel refettorio, si sedettero innanzi alle bianche ciotole, strizzarono nelle mani il pane crocchiante. Tutte, meno Anna. Lei al mattino della domenica sempre usciva presto; aveva un piccolo cappello nero con un mazzetto di fiori che tremavano sull’ala. Prendeva il tram, si recava nei quartieri vecchi dove c’era mercato. Le dispiaceva che il collegio fosse in un quartiere elegante: le sarebbe piaciuto come al suo paese in Puglia, abitare in campagna e poi, semplicemente vestita, scendere per la strada, prendere parte alla vita di essa. Questa era la sua vita e la sua vacanza. Stanca dei bei libri, adesso ascoltava i dialoghi semplici della strada, ma era umiliata di non essere conosciuta da nessuno, di sentirsi forestiera. Certe donnette, al mercato, rivoltolavano per ore le castagne arrosto sulla brace: lei ne comperava e indugiava parlando con la venditrice. Quella neppure alzava la testa per guardarla: – Eh sí, è freddo – rispondeva mettendo le castagne sulla palma della mano che vedeva tesa, sei soldi di castagne. Anna le faceva scivolare nella tasca del cappotto e andava a mangiarsele affacciata al parapetto del Tevere.

Letteratura italiana Einaudi

28

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Il fiume scorreva lento, greve, mota gialla sembrava invece d’acqua, le sponde erano brevi e spoglie. Anna sgranocchiava le castagne, mangiandone l’odore piuttosto, godendo di quel caldo tra le mani, guardava il fiume andare pacifico alla sua mèta, e pensava a sé. Incontro c’erano vecchie case povere coi balconcini guarniti di fiori. Sopra, il cielo era nitido, pieno di confidenza, domenicale. Un anno ancora, poi sarebbe tornata al paese, col pezzetto di carta nella valigia da mostrare a papà e mammà; avrebbe potuto alzarsi presto al mattino e scendere nei prati, senza l’inutile ingombro del cappello, poi, a sera, aprire la finestra e annaffiare con un annaffiatoio verde piccolo cosí, tutti i fiori del davanzale. Cosí sognando, passava il tempo; a mezzogiorno tutto il cielo si scoteva in un fragore di campane. Anche il fiume sembrava accogliere quel suono; il mercato s’andava spogliando, già la città piombava nel tedio della festa. Anna allora, impigrita, cercava nella tasca del cappotto, non c’è piú neppure una castagna, peccato, sentiva che tirava un venticello rigido, e prendeva a camminare, passando per le vie piú strette tornava al collegio. Quella domenica rientrando trovò le compagne che complottavano. – Stasera – dicevano – stasera. In camera di Vinca. Ma Vinca si opponeva: – Intanto io non ce l’ho il tavolino a tre gambe. E poi se lo spirito viene tra le mie pareti, dopo chi me lo caccia? – Perché chi lo caccia? – Sí, cosí dicono da noi; quando lo spirito scende, s’impossessa del tavolo e non lo abbandona piú, prende asilo nella casa, bisogna chiamare quelle donne che sanno le parole magiche per fugarlo. – In Spagna, questo – diceva Augusta. – Ma qui... Insomma stasera si fa lo spiritismo. Xenia ripeté: – Stasera – e restò pensierosa. Poi si vol-

Letteratura italiana Einaudi

29

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

se a Emanuela e le chiese bruscamente: – Tu esci, vero, oggi? – Sí – rispose imbarazzata. – Perché mi chiedi questo? – Oh, nulla nulla, cosí, dicevo. – Se volete – Anna fece conciliante – potete venire in camera mia. Soddisfatte le ragazze si sciolsero sul pianerottolo di Emanuela e Milly. Le altre salirono ripetendosi l’appuntamento per la sera: – Al 58, allora, da Anna. – E s’allontanarono per le scale. Dinanzi alla camera di Emanuela, Milly prese l’amica pel braccio, chiedendole: – Perché vai a questa seduta? Quelle sono fanatiche. Dopo avrai ancora piú paura a scendere. – No, sai? Non ho paura piú, erano i primi giorni, come tu dicevi. – E dopo averla salutata entrò nella sua camera. La finestra era aperta ed Emanuela rabbrividí; chiuse i vetri e lenta cominciò a svestirsi. Si rivestí con attenta cura, come da tempo non faceva; si scelse un vestito che non metteva da quando era in collegio, un vestito nero, e un mantellino di pelliccia nero anch’esso. Cosí vestita pareva di qualche anno piú vecchia, certo per quel veletto sugli occhi. La borsa, il denaro nella borsa, forse metterebbe anche lo smeraldo? Lo guardò, lo girò, no, non poteva metterlo; da un pacco di carte che teneva chiuso nella valigia trasse una fotografia, un uomo, un aviatore; la chiuse nella borsetta, guardò intorno: «tutto a posto» pensò, e uscí. Appena fuori sentí che tutta la spensieratezza della vita di collegio in un attimo s’era dispersa in lei; si ritrovò chiusa in pene antiche, preoccupata. Come se scendesse allora dal treno che da Firenze l’aveva condotta qui. Tante volte quand’era ancora a casa aveva cercato di immaginare il collegio nel quale abitava Stefania; temeva

Letteratura italiana Einaudi

30

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

che fosse tetro e freddo. Era invece una villa bianca, sul Monte Mario, in campagna, sotto un immenso arco di cielo. Il portoncino s’aprí piano ed ella entrò in un grande atrio dove c’erano statue sacre e piante di fucsia. Nel fondo del vestibolo si vedeva il verde aereo del giardino. – Vorrei – Emanuela disse – vorrei la bambina Andori? Il parlatorio era una veranda chiara, tutta calda di sole, piante di geranio, di begonia nei vasetti di terra lungo la vetrata. Nessun altro aspettava e ne fu sollevata: c’era tra quelle pareti bianche un silenzio di ospedale. Tintinnò una campanella nel giardinetto e poco dopo entrò una vecchia suora, che inchinandosi rispettosamente chiese: – Buongiorno, signora: ella vuol vedere la piccola Stefania? Emanuela assentí, la gola stretta. – Lei è... Emanuela piegò la testa, poi disse a bassa voce: – Sí, la mamma. Di nuovo la suora s’inchinò: – Abbiamo ricevuto la lettera di suo padre; la bambina è stata felice all’idea di rivederla. È cresciuta. È brava. – E prima che Emanuela replicasse, aggiunse: – È qui. Emanuela guardò verso l’ingresso: la commozione la soffocava, le formava un groppo doloroso in petto. La bambina apparve sulla porta e lí s’arrestò guardando la madre con occhi intenti. Era una cosettina bionda, Stefania, alta cosí, le treccine annodate sugli orecchi, il viso aggrottato per l’intensità dello sguardo. Poiché la suora era scomparsa, Emanuela singhiozzando si precipitò sulla figlia, la strinse, la sollevò. Stefania fissandola le chiese tranquilla: – Mammina, hai portato le caramelle? Emanuela restò come presa in fallo: – Oh! no, no le caramelle, Stefania... – La cioccolata, allora? – Neppure.

Letteratura italiana Einaudi

31

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ho capito: è la bambola. – E la piccola cercò attorno. – Nulla, amore mio! oggi non ho portato nulla, ma domani, vedrai? domani... – Tutte le mamme portano le caramelle o i giocattoli. Le suore dicevano che mi avresti portato i dolci tornando dall’America. Hanno detto la bugia. Dicono anche loro le bugie. Non ci sono dolci in America? – Sí, ce ne sono... – E allora perché non li hai portati? – E ripeteva: – Tutte le mamme portano i dolci. E io sono stata buona. Très sage. – Brava Stefania, e di’, mi vuoi bene? – La bambina accennava di sí con la testa. – Hai aspettato la mamma, vero? – Sempre Stefania diceva di sí, tutta occupata a toccare la pelliccia della madre. – Sei contenta che io sia qui? – Certo. E verrai anche domenica? – Oh! sicuro, tutte le domeniche, sempre, sempre verrò. – Ecco: e allora domenica portami le caramelle. Emanuela promise; e poi non sapeva piú cosa chiedere. – Mangi bene? ti senti bene? – La piccola annuiva. – Sono gentili le compagne? – E cosí di seguito, finché la bambina le domandò: – Posso aprire la borsetta? – Felice, Emanuela glie la tese; ma prima le disse, seria: – Stefi, qui dentro c’è una fotografia per te, del babbo. – Dammela. Dopo che l’ebbe avuta restò un attimo a guardarla, poi d’improvviso battendo un piede per terra disse duramente: – Voglio che venga, il babbo, che venga subito. Emanuela guardò sgomentata la figliola. – Vuoi bene, vero – a bassa voce le chiese – vuoi tanto bene al babbo? – Sí – Stefania rispose distrattamente. – Sai? le compagne non credono che il mio babbo è aviatore: voglio che venga, cosí lo vedranno se è aviatore. Mi porterà un

Letteratura italiana Einaudi

32

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

piccolo aeroplano? – Non dette alla madre neppure il tempo di risponderle, aggiunse con impazienza: – Senti? le compagne giocano. Adesso torno con loro. Era finito, Emanuela pensò, finito. Questo colloquio dunque era la cosa per la quale lei aveva tanto lottato, s’era difesa. Non aveva desiderato che questo incontro, questo per due anni era stato il suo segreto scopo e adesso le sembrava che tutto fosse dissolto, svanito, un’illusione. Avrei dovuto portare le caramelle, si diceva, certo tutto è dipeso dalle caramelle. Ma come avrebbe potuto pensare a questo? era divorata dall’ansia. La colpa è mia, la colpa è mia, aveva voglia di piangere. Credette che da un nuovo contatto con la figlia qualcosa sarebbe rinato, non era tutto distrutto, forse. Perciò prese sui ginocchi la bimba, le carezzò i capelli, le guancette sode, la guardò negli occhi. Aveva occhi severi, poco infantili. Tacevano, non sapevano piú che cosa dirsi; guardando al di sopra delle spalle della madre Stefania ascoltava attenta le voci, le risa delle compagne; si mostrava tanto impaziente che Emanuela la lasciò scivolare dai ginocchi. – Tornerò domenica – le disse – sono venuta a Roma apposta per esserti sempre vicina, ti porterò le caramelle, la cioccolata, la bambola. Come la chiamerai la bambola? – Vorrei chiamarla come te. Ma tu come ti chiami, mamma? Fuori la porta del collegio era aperta campagna; Emanuela s’incamminò a piedi guardando, sotto il viale, alla lontana, la città stendersi bianca e rosa al sole. Non era freddo, aprí la pelliccia, sollevò la veletta. Pensava a papà e mammà, la villetta di Maiano, la sua camera, il letto con la coperta a fiorami, la sala da pranzo, le cene sotto il grande paralume verde che spandeva un cerchio di chiarità sulla tavola. Pranzi silenziosi, ostili; da quando Stefania era stata tolta alla nutrice in Svizzera ed era

Letteratura italiana Einaudi

33

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

stata mandata in collegio a Roma senza che lei potesse rivederla, inventando con le suore quel suo viaggio in America, Emanuela non parlava quasi piú ai genitori. Buonasera papà, buonasera mammà. Ogni pochi giorni la solita scena. La ragazza entrava nello studio del padre verso il crepuscolo; egli usava sedere accanto alla finestra aperta, una coperta sui ginocchi, contemplando Firenze, le colline, i tetti rossi delle case che spuntavano tra il verde. Nello studio semibuio, il quadrato di luce della finestra illuminava la faccia del vecchio. Lei cominciava sempre cosí: – Papà... – Emanuela... – Senti, papà... – Che c’è? – Voglio andare a Roma, da Stefania. – È deciso che tu rimanga qui. – Ma papà, capisci è inumano, non posso vivere senza la bambina, Stefania... – È deciso cosí, Emanuela. Il vecchio riprendeva a leggere o a guardare fuori; la ragazza usciva piangendo, e la madre neppure ardiva chiederle com’era andata. Emanuela saliva in camera sua, si buttava sul letto, al buio. Non c’era rimedio; come avrebbe potuto fare? Andarsene da Firenze senza un soldo, era impossibile, non possedeva che l’anello di Stefano. La madre spesso diceva: – Il babbo ha ragione, Emanuela; da allora, hai visto? ha cambiato umore, è come se l’avessimo perduto, renditi conto anche tu, Emanuela. – Lei si rendeva conto, infatti: usciva a piedi sola per lunghe ore, talvolta incontrava le amiche: Oh! Emanuela, non ti si vede piú, sei smagrita. – Nessuno sapeva la verità. Tornava a Maiano a piedi, cosí in attesa trascorrevano giornate inerti, mesi, finché una sera entrando nello studio del padre – Che faresti, papà, se io me ne andassi? – chiese.

Letteratura italiana Einaudi

34

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Che dici, Emanuela?... – Dicevo che vado via, a Roma, lavorerò, farò qualunque cosa, ma basta cosí, lo so, sono colpevole, sono il disonore della famiglia. Ma basta, adesso – seguitava risoluta – ho deciso che basta. Me ne vado, ho ventiquattro anni e me ne vado, papà. Nella penombra dello studio il vecchio scrutava il viso ardito della figliola. Diceva la verità, se ne sarebbe andata. Chinò la testa, si guardò le mani sempre scosse da un tremito: – Vedremo, Emanuela, rifletterò. La ragazza uscendo disse alla madre: – Ha detto che rifletterà. – E anche lei capí che la figlia se ne sarebbe andata. Trascorsero ancora giorni d’attesa: Emanuela diceva buonasera al padre con maggiore dolcezza; guardava già con rimpianto la vecchia casa, il giardinetto, sapendo che li avrebbe abbandonati tra poco; girava per Firenze come una forestiera. Era la fine di settembre, non era piú caldo: le foglie dei viali morbidamente cadevano e formavano a terra un tappeto giallo che scricchiolava sotto il solitario passeggiare della ragazza. Il cielo aveva una lucida purità già autunnale. Certe volte Emanuela s’affacciava al Ponte Vecchio verso sera quando s’accendevano i lumi delle botteghe, gente saliva scendeva il ponte, prendeva acqua alla fontanella. Ma lei guardava i ponti scavalcare il fiume d’un balzo, giú giú fino alla Carraia, guardava sulla riva destra le case nascere dall’acqua annerite dal tenace sciacquío della corrente. L’Arno scorreva cosí placido che non si capiva da che parte andasse; se una foglia cadeva nell’acqua il fiume tranquillo com’era la portava a spasso, in trionfo. Emanuela aspettava la decisione; basta finalmente con la bugia che papà metodicamente scriveva a Roma, al collegio di Stefania: «mia figlia è in viaggio, in America». Pensava forse che lei a poco a poco avrebbe dimenticato la

Letteratura italiana Einaudi

35

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

bambina. «Vorrei che tu ti rifacessi una vita, una vita come deve essere», cosí le diceva sempre. Emanuela rientrava appena in tempo per la cena; il giardino era già umido d’ombra, la terra bagnata emanava un odore che le era familiare. La tavola era pronta sotto il grande occhio di luce. – Buonasera papà, buonasera mammà. – Si toglieva il cappello, si passava la mano sulla fronte, la minestra calda le metteva dentro un tepore benefico. Una sera discorrendo fece: – Quando sarò a Roma... – Il babbo non la contraddisse e lei, prima di andare a coricarsi, senza parlare, l’abbracciò. Ormai pensava alla bambina come se già l’avesse lí, le pareva di vedere d’un tratto aprirsi la porta e Stefania entrare. Ripensava a quando si trovava nella clinica in Svizzera, giorni umilianti: la mamma l’assisteva, ma come se fosse malata di un altro male, mai parlava della bambina. Era come se, pur essendo vicino a lei nella culla, Stefania non esistesse. Ricordava quando, dopo, andava a trovarla dalla nutrice: due ore di treno secondario, una collina chiara, dove di prato in prato rimbalzava il dindinnío delle mucche. Quella volta che arrivando la intese dire: – Mamma – restò lí in un improvviso stupore, pensando «Mamma sono io» e tuttavia non le sembrava vero, poiché andava a trovarla soltanto ogni quindici giorni, non la vedeva crescere accanto a lei, era come se ogni volta trovasse una bambina nuova. Chi sa come l’avrebbe trovata cresciuta adesso, due anni che non la vedeva. Finché una sera il babbo la chiamò dallo studio: – Emanuela... Lei stava leggendo nella stanza accanto; dapprima credette d’aver sentito male, papà non chiamava mai nessuno, nessuno doveva entrare quando egli stava nello studio, seduto alla finestra. Ma la voce la cercava di nuovo, inquieta: – Emanuela... – Forse ha freddo, vuole una coperta. Accorse. – Entra, Emanuela, chiudi la porta, siediti.

Letteratura italiana Einaudi

36

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Lo conosceva bene, papà, aveva tutto un discorso sulle labbra: certo si trattava di Stefania. Cara voce di papà. Adesso cammina adagio, Emanuela; oltrepassata la periferia, non ci sono piú alberi, ma strade nuove, asfaltate, lucide: lei cammina e riode in sé quella voce con l’accento commosso di quella sera al crepuscolo. – Ho riflettuto, Emanuela. È giusto che tu vada a Roma. Dallo sgabello la ragazza si lasciò scivolare ai ginocchi del padre, la faccia nel caldo della coperta, contro il duro dei ginocchi piegati. Da un anno lottava e in quel momento, invece, scoteva la testa come se non volesse partire piú. Cammina Emanuela, già è dentro la città e risente contro la gota il calore rude della coperta. Mammà aspettava seduta nella stanza da pranzo, una mano sulla tavola, povera mammà, com’è sua abitudine. Tutt’e tre sapevano ch’era inevitabile; tutt’e tre avevano il cuore stretto come una noce; e tuttavia la pena di Emanuela era piú leggera; era una ragazza giovane, la sua vita poteva ricominciare. La luce calava a stento; nella penombra si distinguevano solo i chiari occhi di papà. Papà parlava, diceva che era giusto che lei andasse a Roma, l’aveva capito, ma sola no, con loro due nemmeno, come era possibile? La mamma qui ha il giardinetto, la macchina, le sue amiche, alla nostra età non si fanno piú nuove amicizie, tante cose, e poi soffre sempre per i reni e a lui basta del mondo quello che vede dal quadrato della finestra e quello che legge nei libri. Poi tutto ciò lo ha scosso troppo, è vecchio ormai e non vuole affaticarsi e morire, come potrebbe morire lasciando quella figlia cosí? a meno che per i tanti dispiaceri il cuore un giorno non gli si schianti... – Sí, sí, non ti scusare, sei stata vittima anche tu, ormai, vedi? non ti dico piú nulla, non ti rimprovero,

Letteratura italiana Einaudi

37

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ma il fatto c’è, il fatto esiste e bisogna portarne le conseguenze, anche la bambina, poverella, non piangere figlia mia, ma insomma il colpo è stato tremendo e quella povera donna di tua madre da allora s’è ridotta cosí. A Roma sola dunque no; perché finora giudizio con gli uomini non hai dimostrato di averne e già basta questa tragedia che ti devi portare per tutta la vita; a Roma sola dunque, non si deve, non si può. C’è a Roma un collegio... sí, un collegio per signorine, come si dice adesso?... un pensionato, si esce durante il giorno quanto si vuole, per studiare, a quella data ora si rientra... Che ora? oh, non so, le sette, le otto... Sí, suore sono. E perché? Chi dovrebbe saperlo che vai a trovare la bambina? Tu esci e nessuno ti domanda dove vai. Dirai alle suore che sei lí a studiare un po’ finché noi torniamo da un viaggio, un lungo viaggio in America. Anche qui a Firenze, agli amici, si dirà che vai a studiare; eh già, sí, lo so, è penoso mentire, ma si dirà cosí, non si può altrimenti, per me, la posizione mia, si dirà che vai a Roma a studiare la storia dell’arte non si può far sapere a tutti che c’è una bambina e cosí senza padre... disgraziato anche quello, sí, ma trent’anni aveva, un uomo che vola ed è sempre esposto al pericolo, pace all’anima sua, ma poteva pensarci. Era una domenica cosí, come ora che Emanuela camminando ripensava a tutto ciò: il cielo era tutto arricciato da cirri che parevano di panna montata, spirava un’aria mite intorno, le famiglie passeggiavano lentamente, le donne con passo molle, muti i bambini che si volgevano passando dinanzi a ogni caffè per vedere se s’entrava a mangiare la pasta. Le pareva di non essere mai stata a vedere la figlia; ogni sensazione era già svanita. Le rimaneva solo nella mente qualche parola: «Mi hai portato le caramelle? Tutte le mamme portano i dolci». Tutte le mamme. E che mamma era lei? Si vergognava di esserlo. Aveva una fotografia di Stefania accanto al

Letteratura italiana Einaudi

38

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

letto. – Chi è quella bambina? – le aveva chiesto Milly. – Lei aveva risposto distrattamente: – Ah, una mia nipotina. – E intanto si proponeva di togliere di lí quel ritratto perché non potessero supporre nulla, le compagne. E che compagna era lei? Si scostava di dosso la pelliccia, che giornata tiepida, proprio un tepore domenicale, papà e mammà a Firenze saranno usciti a passeggiare in macchina. Pensano alla figlia. Si prendeva il loro nome, i loro denari, mandava poche lettere; lettere di collegio: «Papà, sto bene; mammà, sto bene». In casa, al “Grimaldi” e con Stefania, ovunque ella aveva una vita diversa, e un volto per ciascuna. Ma com’era lei veramente? Bisognava avere la forza di chiamare le compagne, dire: – Sentite, tutte bugie v’ho raccontato... – Ma forse tutte si sarebbero allontanate sapendo che lei era «sull’altra sponda». Dicevano sempre cosí: – Questa è la sponda dell’attesa. – E dopo questo scoraggiante incontro con la figlia, Emanuela temeva di non aver niente da attendere dalla vita, piú nulla. * Una grande stanza alta e oscura, quella della Madre superiora; in un angolo il letto bianco dissimulato da una cortina bianca, sembrava il catafalco di un bambino. Bianche le pareti, l’inginocchiatoio. Il cuscino dell’inginocchiatoio era gonfio e intatto: si capiva che ella non vi pregava mai. Le sedie ricoperte di rosso, rosso il tappeto sul tavolino. La stanza era pregna di odore d’incenso e di cera, come se lei ne riportasse ogni giorno un poco su dalla cappella, tra le pieghe dell’ampia gonna. Vecchia era la badessa, vecchissima; aveva le mani grasse, burrose come il viso. Il suo solo compito era ormai quello di farsi accompagnare, sorretta, giú nella cappella, il suo solo sacrificio quello di risalire le scale. Per il resto della giornata sedeva in poltrona nell’angolo

Letteratura italiana Einaudi

39

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

piú buio della stanza, i piedi sul panchettino; entrando non la si vedeva, si pensava: «è a letto; sotto il catafalco bianco, adesso apre uno spiraglietto». E invece si udiva il rosario tinnare, la voce chiedere severa: – Chi c’è? – e sulla guida della voce si vedevano due occhi di pietra grigia, fissi, guardare nella penombra. Quando lei entrava in cappella le ragazze chinavano la testa come se passasse una morta in odore di santità. Due giovani suore la sorreggevano, e con cautela la deponevano sulla poltrona nel fondo della cappella, dove ella le congedava con un cenno della mano che era insieme di sufficienza e di benedizione; quelle scalpicciavano via leste, sgonnellando molli inchini di qua e di là; la superiora incrociava le mani sul grembo e guardava incuriosita l’altare, quasi aspettando che uno spettacolo incominciasse. A funzione finita le due suore delicatamente la riportavano su come un oggetto fragile. Faceva le scale a fatica, ansando, ma rassegnata si proibiva di lamentarsi. In sua vece sospiravano le suorette; a ogni scalino dove ella si soffermava per riposarsi, una di loro sbatteva svelta svelta le palpebre sul bianco dell’occhio alzato al cielo. Chi comandava, in realtà, era Suor Lorenza; bastava vederla quando scodellava la minestra alle ragazze: girava gli occhi attorno, contando le teste delle fanciulle come capi di bestiame: «Tutte, ci sono tutte». E intimamente gioiva sentendole rinchiuse con lei dietro i finestroni che imprigionavano la loro giovinezza, le loro notti, i loro risvegli. Era lei ad aprire la posta al mattino. Ragazze scrivevano da ogni parte d’Italia, dall’estero, anche. Ella rispondeva con una calligrafia chiara, invitante, scriveva con tenerezza materna; e quando quelle avevano risposto che accettavano, venivano, ripeteva molte volte il loro nome tra sé, lo accarezzava quasi, poi bruscamente lo trasformava in un numero, ripeteva nome, cognome, nu-

Letteratura italiana Einaudi

40

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

mero. Quando una nuova ragazza giungeva e la campanella la chiamava al parlatorio, lei si acconciava in capo il velo specchiandosi nel vetro della finestra, si chiedeva, ansiosa: «Come sarà? come sarà?», poi entrava, le parlava con contenuta dolcezza. Ma non parlava mai in prima persona: era sempre «la superiora che... la superiora vuole... dirò alla superiora che...», lasciando immaginare misteriosi colloqui tra lei e la vecchia badessa. Godeva vedendo che la nuova arrivata, ascoltandola, osservava le sue labbra, le sue mani fini, la figura alta, snella. D’estate, quando le ragazze andavano a casa, suor Lorenza impallidiva, veniva presa da un gran malessere. È sfinita – dicevano le compagne. Ma quando le sere cominciavano ad accorciarsi, verso il tramonto saliva a recitare il suo ufficio sul terrazzo: un terrazzo alto sulla città, sulla Villa. Ridiscendeva stringendosi nello scialletto per il fresco. «Si sente che è autunno» pensava rallegrandosi. In autunno ritornavano le ragazze. – Hai passato bene le vacanze, figliola mia? – Ma non voleva sapere nulla della casa dove abitavano, anzi evitava di parlarne. A sera, s’addormentava beata. Nella camera della superiora era acceso un lume fasciato di bianco. In quella luce flebile le cose prendevano fantastici aspetti, le mani della superiora parevano d’avorio. Suor Prudenzina, immobile vicino all’inginocchiatoio, taceva, poi d’improvviso si muoveva, faceva due passi, finché sentendo tintinnare il rosario si ricordava d’essere in camera della Madre e si riaccostava alla parete, le mani sotto il grembiule. Era già tardi: avevano udito le ragazze salire nelle loro camere, parlando ad alta voce nelle scale; suor Prudenzina traendo di tasca l’orologio appeso al cordoncino nero: – Tra poco dovrò salire a spegnere la luce – disse. Avrebbe voluto parlare con la Madre, ma questa seguitava ad agitare il rosario in silenzio, forse dormiva.

Letteratura italiana Einaudi

41

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Infine la porta s’aprí adagio e suor Lorenza apparve: suor Prudenzina la fissò interrogativamente, anche gli occhi assonnati della Madre si volsero a lei. – Niente – fece suor Lorenza sconsolatamente. – Voi avete ragione, suor Prudenzina. La suora portiera dice che l’ha vista uscire con un pacco sotto il braccio. Avrebbe forse dovuto chiederle... – Ma sorella, ogni ragazza può uscire con un pacco!... L’altra aprí le braccia, disse: È vero. Chioccia s’udí la voce della superiora: – Non c’è che dire, ormai: è scappata. Tutt’e tre rimasero a immaginare la fuggitiva; la vedevano sgusciare dal portone del collegio, correre per le strade, volgendosi intorno circospetta. Suor Lorenza ricordava di averla vista a mezzogiorno in refettorio, le era passata dinanzi salutandola con un lieve cenno del capo, come sempre; aveva già preso la sua decisione, a quell’ora; e lei se l’era lasciata sfuggire di mano senza accorgersene. Un carattere difficile, quella ragazza, inasprita dalla povertà, veniva a pagare la pensione con i denari contati. – E i soldi? – Già, e i soldi? – Bisogna avvertire i parenti – suggerí la Madre; – scrivete voi, suor Lorenza, chi sa che non sia andata a casa. – Ma intanto, le compagne? – Si dirà che è tornata a Veroli. – Non lo crederanno, le scriveranno e... – Sí, lo sapranno súbito e invogliate scapperanno tutte, a una a una – insinuò con un sorriso suor Prudenzina. Rimasero assorte, angosciate; suor Lorenza avrebbe voluto scendere sulla porta ad aspettarla, era fuggita all’aperto, chissà, certo con un uomo. Suor Lorenza non avrebbe potuto dormire, la notte, quel vuoto nel letto della camera 33 le avrebbe tenuto il sonno sospeso.

Letteratura italiana Einaudi

42

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Scapperanno tutte. No, si sarebbe messa lei stessa sul portone, le avrebbe fermate, dove vai, figlia mia?, le avrebbe riportate nelle loro camere. – Suor Lorenza – la scosse la voce della superiora, – direte alle compagne che è andata a casa, ché la madre stava male; non si deve sapere che da noi, al “Grimaldi”, una ragazza è scappata. – Tutti lo sapranno – disse freddamente suor Prudenzina; – sono cose che non si nascondono. Suor Lorenza fece: – Già. E poi, noi lo sappiamo. Tintinnò il rosario nelle mani della badessa: la sua voce irritata ribatté: – Noi non lo sappiamo. Una ragazza è tornata a casa sua, niente altro. Noi non sappiamo altro, avete capito, suor Lorenza? Udirono bussare alla porta dello studio attiguo; le due suore si guardarono; la badessa tornava a chiudere gli occhi, non avvezza a vegliare cosí tardi. Si picchiava piú forte alla porta. E allora suor Prudenzina andò ad aprire. Dalla stanza contigua giunse la voce di Silvia: – Voglio parlare alla Madre. – La Madre dorme a quest’ora. – Suor Lorenza, allora. – È in camera sua, adesso io salgo a spegnere la luce. – No, suor Lorenza è là dentro, voglio parlare alla Madre. Allora suor Lorenza si mostrò: – Che vuoi, Silvia? – chiese sul solito tono che sembrava ostile. Anche la ragazza s’irrigidí. – Voglio sapere dov’è Xenia. – Xenia è partita – fece l’altra con calma, tirando la tenda che separava lo studio dalla camera della Madre. – è andata a Veroli, Xenia. – No. La sua roba è qui. E non sarebbe partita senza salutarci. – Un carattere strano.

Letteratura italiana Einaudi

43

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ma a noi non avrebbe fatto questo. Ci voleva bene. Ha detto che rimaneva in casa. Dove è andata, suor Lorenza? – Ti dico che è a Veroli. E ora tu va a dormire, va a studiare. Basta, Silvia, davvero. Ma l’altra impallidí. – Suor Lorenza, ce lo dica. – E poi gridò: – S’è ammazzata?! Un silenzio si ghiacciò tra di loro. Silvia spaventata dal suono delle sue parole s’era messa a singhiozzare. La suora era rimasta impietrita; la ragazza insisteva: – Noi siamo le sue compagne, lo dobbiamo sapere: dica, è cosí, vero? Suor Lorenza scoteva la testa: – Non lo so, figlia mia, non sappiamo nulla. È andata via con un pacco, oggi, e non è ritornata. Neppure un rigo, una parola. Hai visto la camera? Tutto in ordine. È scappata. Non mi ha detto nulla. È andata via. – Ha portato la roba con sé? – Sembra, qualcosa... – Forse la colpa è nostra. L’abbiamo accusata di aver agito segretamente, invece dovevamo aiutarla, offrirle tutto ciò che avevamo. Dove sarà adesso? Suor Prudenzina cominciò: – Silvia, tu devi dire alle compagne... – La verità, dirò la verità, perché pensano che abbia fatto una pazzia, e piangono. La suora sorrise agro e disse: – Mi sembra che... – Sí, anche questa è una pazzia..., ma in fondo l’esistenza è sua, può farne ciò che crede. Eppure la sua camera vuota ci sembra un cimitero. – Fece una pausa, poi. – Vado su soggiunse – vado su, buonanotte suor Lorenza, buonanotte suor Prudenzina, ah! già, lei sale per la luce, passi pure, sarà terribile stare a lume di candela stasera, siamo impressionate, passi passi, suor Prudenzina.

Letteratura italiana Einaudi

44

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Suor Lorenza rimase sola nello studio: sul tavolo era aperto il registro con i nomi delle ragazze. Scorse le pagine, andò alla lettera C.: Coppola, Corsi, Costantini, Costantini Xenia. Scrisse la data: 2 dicembre 1934. Poi cancellò nome e cognome con due linee diritte, la penna intinta nell’inchiostro rosso. Emanuela, ritornando dal collegio di Stefania, stanca per aver lungamente camminato, s’era stesa sul letto, prima di scendere a cena; era svuotata dalla desolazione nella quale l’aveva gettata l’incontro con la figlia. Le pareva una catastrofe senza rimedio, alla quale bisognasse rassegnarsi; e tuttavia non credeva possibile che tutto quanto ella aveva patito e lottato si disfacesse cosí, un’aerea cattedrale di piume, di fronte all’indifferenza della bambina. A poco a poco s’era addormentata; si destò d’improvviso all’energico bussare di Silvia alla porta: – C’è Xenia da te? – Xenia? No, no, perché? Dormivo, entra. Ma già l’altra si era allontanata, bussava alla stanza di Milly, ripetendo la domanda: – C’è Xenia da te? Chi sa perché la cerca da Milly, pensò Emanuela, non ci va mai, quando Xenia o Vinca parlano Milly le ascolta senza comprenderle come se parlassero una lingua diversa. È tardi, molto tardi, non ho neppure mangiato, Silvia ci veniva a chiamare per la seduta spiritica. Le sembrava di essersi destata nel folto della notte. Erano le nove e mezzo: il cappello, la pelliccia, la borsa, tutto buttato lí come quando era entrata. Aprí il cassetto per riporvi la borsa, i denari nella scatola, insieme con lo smeraldo. Dov’è lo smeraldo? Ansiosamente si guardò intorno; no, non lo aveva messo, cercò, sollevò, sfogliò i fazzoletti, aprí di nuovo la scatola, la scosse, come se lo smeraldo di Stefano dovesse venire fuori da un doppio fondo, nulla, nulla, forse sul comodino, sul tavolo, bisogna cercare con calma, nella borsetta, no, è impossibile

Letteratura italiana Einaudi

45

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nella borsetta, forse per terra, sotto il comò, accese un fiammifero, polvere, lanugine, nulla, uno smeraldo si vede subito, è grosso. Non c’è: lo smeraldo di Stefano non c’è. Suonò due tocchi alla conversa e quando entrò la scrutò con diffidenza: – Sei entrata in camera mia? – Sí, ho rifatto il letto. – Sí, ma dopo... – No, dopo no. – Non hai visto uno smeraldo? – Uno smeraldo? –Sí, un anello con una grande pietra verde, uno smeraldo. L’altra scosse la testa, disse: – No, mai visto. Ma Emanuela era piena di sospetti: – Chi hai visto entrare oggi qui, nessuno? – La signorina Milly insieme con lei; poi la signorina Xenia è venuta, ha bussato per sentire se lei c’era, è entrata, la cercava, si vede... – No, non le signorine. È passato nessuno? – Le suore... – Ma no! Volevo dire estranei, non so, operai... – Operai? No, no, che verrebbero a fare gli operai? Tutto è in ordine. Nessuno è venuto. – Va bene. Grazie. L’altra uscí fuori: era zoppa, sembrava ebete. «Fa bene la parte; ma io vado subito da suor Lorenza» pensò Emanuela. Girò ancora gli occhi intorno e fece per uscire. Mentre richiudeva la porta vide tornare Silvia. – Senti, Silvia... – ma la vide sconvolta, anche lei era agitata. – Lo sai, Emanuela? Lo sai già? Xenia è scappata. – Dove? che ha fatto? – Scappata. Non si sa. Ha portato via un fagotto, un pacco, la camera è in ordine, le suore volevano negare, pensavamo che si fosse ammazzata, è scappata, era senza un soldo.

Letteratura italiana Einaudi

46

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Xenia?! – Sí, Xenia. («La signorina Xenia è venuta... è entrata...») – Ah! – fece Emanuela. – Ma non dici nulla? sai qualcosa? – Io? no. Non so nulla. – Dove vai? vieni su? – Andiamo... sí, vengo su per la seduta. – Che seduta vuoi fare? Ma che hai, Emanuela? Non hai capito ancora che Xenia è scappata di collegio? – Certo, ho capito, appunto per questo sono stordita. Salgo con te, saliamo. Raggiunsero le altre in camera di Augusta che sedeva con la tartaruga in grembo carezzandola come un gatto; stavano in piedi tutte. Anna schiacciava noci coi denti, poi le apriva pungendosi le mani. Silvia disse: – Non sapeva nulla, Emanuela. – Non mi pare ancora vero – questa aggiunse. E Augusta: – Non par vero a nessuna di noi: temevamo, capisci? che si fosse ammazzata. Valentina disse piano: – Ma non siamo sicure del contrario. – No – fece Emanuela, – no certo, non si è ammazzata. – Sei sicura, tu? – E che ne sai? – le chiese Vinca. – Ma... non hai inteso? è andata via col pacco. E poi quando uno si uccide, lascia una lettera; pensi che non avrebbe scritta una lettera a noi? – Già. Ma perché allora questa fuga? Se ci avesse chiesto qualcosa, l’avremmo aiutata. – No – fece Augusta duramente: – lo diciamo adesso, nessuno l’avrebbe aiutata. Lei sapeva questo e perciò se n’è andata cosí. S’udí la voce della suora gridare: – Luce! – Augusta si mosse, accese il lume, lo pose sul tavolo, accanto al quale Silvia affranta s’era seduta.

Letteratura italiana Einaudi

47

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– È notte ormai: le dieci. Non rientra piú, non rientrerà neppure domani. Per noi, nonostante questo, tutto séguita, vedete? Suor Prudenzina grida «luce», le altre compagne non sanno nulla e noi non possiamo neppure andare a cercarla. – Sarebbe ridicolo, impossibile. – Sí, ma già sarebbe fare qualche cosa per lei. Invece, non facciamo nulla, non possiamo fare nulla. È andata via. Chi sa dov’è. – Non può essere che con un uomo – fece Valentina. – Che farebbe sola? – No, – disse Emanuela, – sarà sola invece, se fosse andata via con un uomo ce lo avrebbe detto, è andata a tentare la vita. – Se sta con un uomo è felice. – E che ne sai tu? – disse Augusta. – Forse è orribile. Non lo sappiamo nessuna, se una di noi lo sapesse, non la vorremmo piú con noi, poiché sarebbe già scesa alle ragioni profonde della vita. Appena fu buio Valentina si mise a piangere: – Ho paura, penso che a tutte ci debba accadere qualcosa di male, forse Xenia è morta, s’è buttata nel Tevere, galleggia sull’acqua, ho paura, Dio, Dio. Anna seguitava a stritolare le noci, Valentina, smettendo di piangere, d’improvviso mormorò: – Forse dorme accanto a un uomo. Forse – la sua voce partiva dal fondo della camera e si sentiva timorosa – forse questa è la sua prima notte. Su questa frase tutte rimasero a pensare: Xenia dunque aveva sempre covato un segreto, anche quando divideva ogni ora con loro; ieri dormiva lí vicino, appena oltre la parete, e ora forse dorme accanto a un uomo. Tacevano tutte come per un istintivo pudore, si fingevano distratte e intanto ricercavano nella memoria il volto di Xenia, i grandi occhi accesi, certo suo modo di ridere, riudivano la sua voce dura, improvvisa.

Letteratura italiana Einaudi

48

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Se è cosí – Anna disse infine – Xenia è in peccato mortale. Allora Silvia irruppe: – Sí, ma io non so se c’è Dio. Certe volte ne dubito, lo sapete? Bisogna che ve lo confessi, ascoltate: è terribile. Dicendolo ad alta voce mi sembra di bestemmiare: eppure talvolta quando siamo nella cappella e preghiamo e c’inginocchiamo io penso che forse facciamo tutto ciò a vuoto. Chi di noi è certo delle dottrine che professiamo? Se riflettiamo bene sono cose assurde, favole. Tutto ciò vive e si regge soltanto sulla nostra fede. Ma pensate se mentre stiamo pregando s’affacciasse un grosso uomo dal fondo della cappella e nel nostro raccolto silenzio dicesse ridendo: «Che state a fare lí inginocchiate? Che aspettate? Non sapete che non c’è nulla? Dio non esiste». Che cosa faremmo noi, allora? – Le altre perplesse tacevano; e lei continuò: – Quando penso a questo la mia fede vacilla, dubito, comincio a credere che si tratti di un fenomeno di suggestione collettiva, mi ribello, sto leggendo adesso un libro sulla creazione della terra, s’è creata da sé, incontri di atomi, di corpi, di masse. E perciò non voglio sentire parlare di peccato mortale. – È una morale comoda la tua – ribatté Vinca; – io credo, e penso che Xenia ha fatto male ad agire cosí. – Ha fatto male – replicò Silvia, – forse sí, ha fatto male, ma non per il peccato, per la sua intima coscienza davanti alla quale dovrà giustificarsi. Abbiamo ognuno una religione segreta. Quando questa crolla allora veramente tutto è finito. In fondo noi siamo rassegnate a morire perché speriamo che al di là si ricominci a vivere una vita come questa con un altro volto e un altro nome. Se fossimo certi che non c’è nulla, ci uccideremmo per risparmiarci il tormento dello scolarsi dei giorni. Xenia ha creduto che ci fosse qualcosa, fuori: lo diceva sempre: «Non ci ritorno a Veroli, le strade sono strette, buie, la casa odora di aglio». È andata a vedere che cosa c’è. È come quelli che muoiono.

Letteratura italiana Einaudi

49

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ma quelli non ritornano. – Neppure Xenia, ritornerà a dirci che cosa c’è di là. Tutte fecero silenzio. Valentina d’improvviso sussultò, disse: – Ssss! un passo. – Ma fuori era silenzio. – È nulla – disse Anna. E anche le altre, guardando la porta, scossero la testa. * Il vecchio, poi che ebbe finito di leggere la lettera di suor Lorenza, la ripiegò con cura, la fece scivolare in tasca. Forse adesso la porta si apre e Xenia entra dicendo: «Sono stanca» come lei faceva. Forse Xenia è in camera sua, forse è arrivata e non ha osato mostrarsi. Nella camera di Xenia, dalle persiane socchiuse entrava la luce del crepuscolo, cosí tenue che, si capiva, tra poco la notte sarebbe scesa soffice e densa; nessuno, nella camera. Ieri preparando per il suo ritorno il padre e la madre dicevano: «Il tavolo lasciamolo libero, ci metterà tutti quei libri». Attendevano timorosi questo ritorno. Si sarebbe chiusa in camera, avrebbe pianto chi sa come, o sarebbe scappata a passeggiare fuori del paese. «Non voglio vedere nessuno, nessuno», aveva scritto. No; in camera Xenia non c’era. Eppure la lettera di suor Lorenza spiegava chiaramente: «Xenia è uscita di qui domenica alle quattro». Domenica alle quattro egli stava giocando a tressette al caffè. Non aveva sentito che a quell’ora, come diceva la lettera, «con un pacco sotto il braccio» la figlia se ne andava. Proprio non c’era in camera, e allora richiuse la porta, andò alla soglia di casa, guardò fuori. Abitavano a pianterreno, di qua, di là, si stendeva la strada polverosa. Nel gran prato di contro ai piedi della collina si smuoveva dolcemente un ciuffo di pioppi sotto il quale Xenia in estate si sedeva a studiare. Tornava entusiasmata: «Vedrai, quest’inverno» diceva, poi raccontava avidamente assaporando le parole con ghiottoneria, pro-

Letteratura italiana Einaudi

50

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

gettava: «quando avrò preso la laurea...». Diceva sempre cosí. Neppure in lontananza si vedeva la sua alta figura per la strada. È impossibile che non venga, verrà forse domani, nervosa come quando, durante le vacanze, rincasava tardi la sera: «Sono stata a prendere aria. Mangio adesso: perché si deve sempre mangiare alle otto? ho orrore, capite? orrore delle vostre consuetudini». Sarebbe tornata dicendo: «Perché dovevo arrivare il giorno preciso che ho detto? Non ho salutato nessuno in collegio, ho orrore dei commiati». Sicuramente era cosí, egli palpava la lettera in tasca rassicurandosi. Avrebbe scritto a Suor Lorenza: «Lei conosce il carattere della mia figliola, arriverà, certo arriverà». E pacato accese la pipa. Ma il fumo gli si intoppò in gola, un nodo spinoso come quando si manda giú un grosso boccone di pane, e, togliendosi la pipa di bocca, tossí. Gente passava in bicicletta senza rumore sulla polvere; soltanto le ombre si distinguevano ormai. «È notte» il vecchio pensò. E intanto vide davanti a sé la moglie che tornava dal paese; insieme rientrarono. – Non c’è, vero? – ella gli chiese. – Sono andata al treno. Eppure diceva: «Arriverò». Forse verrà con un altro treno. «Non venite alla stazione, non voglio che si parli di ritorno». Chi sa perché ha scritto cosí... Sono andata lo stesso, tenendomi lontana perché non potesse vedermi. – Non devi angustiarti – il vecchio rispose. – È arrivata una lettera della suora, suor Lorenza, sai? dice che Xenia tarderà qualche giorno... uno, due giorni. – E i soldi? – Non fa nulla. Dicono... dicono che non pagherà. E cosí tu sta tranquilla. – Dov’è la lettera? – La lettera?... La lettera... Oh, guarda, debbo averla lasciata al caffè, vado a prenderla dopo, purché non l’abbiano buttata via, ma ti dico, c’era scritto proprio cosí: due o tre giorni.

Letteratura italiana Einaudi

51

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

La donna girò attorno per la stanza, disse: – M’ero abituata all’idea che sarebbe stata qui stasera. – Eh, sí, anche io, ma Xenia... – Sí, forse lei sarà contenta. Io penso che ho fatto bene a non preparare la pizza, stasera. C’è il brodo, la carne la lasceremo per domani, che ne dici? Potrebbe arrivare anche domani. – Eh sí, forse domani: lasciamola, la carne. Buio fuori, buio fitto. La donna si muoveva tra i mobili seguendo un fioco barlume che penetrava dalla porta. Notte. Il padre si sgomentava. «È notte». Quanto piú la luce s’affievoliva gli nasceva dentro un’inquietudine sempre piú insistente, l’ansia gli tremava sulla pelle, sulle labbra. Non poteva star fermo e tuttavia voleva dimostrarsi sereno per non inquietare la moglie. Si ripeteva mentalmente le parole della lettera, cercava di convincersi che non era cosa importante, Xenia sarebbe tornata, domani o forse tra un’ora. Ma era buio ormai, notte. Dov’era Xenia? Avrebbe voluto uscire per le strade, chiamarla, o meglio andare alla stazione, aspettare ogni treno, «Xenia, è notte». La moglie s’era seduta alla tavola, le braccia incrociate, in attesa. – È curioso – fece – ma mi sembra che sia qui, che sia uscita in paese e debba ritornare da un momento all’altro. Egli le afferrò il braccio, le chiese: – Ti pare, vero? anche a me. – E presa una sedia sedette guardando la porta, accanto alla moglie che ripeteva tranquilla: – Sono proprio contenta, vedi? di non aver fatto la pizza. Xenia si trovava a disagio entrando, sola, al ristorante. Si faceva coraggio pensando: «Si vede che sono forestiera, si vede che sono in viaggio». E poi c’era l’imbarazzo di scegliere sulla lista delle vivande. Non sapeva decidersi: leggeva, rileggeva, e finiva per ordinare una cosa che non le piaceva. Imbarazzata,

Letteratura italiana Einaudi

52

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

non sapeva dove guardare, per questo sempre portava un giornale con sé e lo leggeva attentamente, temeva di trovarvi scritto: «I genitori supplicano la loro Xenia di tornare a casa, tutto sarà sistemato». A volte neppure si rendeva conto di essere fuggita. Il giorno della fuga, all’ora solita stava per riprendere la via del collegio: le sembrava che scappare dovesse essere una cosa molto piú difficile. Erano le quattro quando uscí dal collegio: entro in un cinematografo, ma era troppo agitata, non poteva interessarsi della pellicola, vedeva sullo schermo, come in sovrapposizione, tutti gli avvenimenti della sua pericolosa giornata; e poi era infastidita da un uomo vicino a lei che la guardava anche attraverso il buio e le sussurrava ogni poco qualche parola all’orecchio, un invito. Uscí per liberarsene, girovagò nelle strade, imbarazzata dal fagotto e, verso sera, entrò in un alberghetto. Precedendola per una scala stretta e male rischiarata: – È sola? – il facchino le domandò e poi le chiese i documenti. Fu quello il solo momento nel quale ella temette di essere scoperta; ma l’uomo che l’aveva accompagnata alla camera se ne andò tranquillamente e Xenia sedette aspettando che qualcosa succedesse. Nel corridoio si aprivano, si chiudevano porte, si udivano voci. «Mi cercano, mi trovano, ormai avranno saputo che sono qui.» La notte infittiva. «Ormai se ne sono accorte al collegio.» Ma già il “Grimaldi” le appariva come uno di quei paesaggi visti in sogno: cercava di rivedere i volti delle compagne, ma non li ritrovava, si dileguavano, non poteva neppure immaginare che cosa le sue amiche facessero a quell’ora, sapeva solo che stavano chiuse là dentro. Si sforzava di riafferrare le loro voci: erano tutte simili e opache, come se parlassero sommessamente. Ricordava con chiarezza soltanto la camera di Emanuela, il comò, il cassetto che resisteva. Soldi non c’erano. Dove nascondeva i soldi? Frugò dappertutto, anche tra la biancheria, aprí la scatola di pelle. Che bell’anello! Dap-

Letteratura italiana Einaudi

53

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

prima lo infilò al dito: che cosa meravigliosa avere un anello cosí. Esitò un attimo, poi lo fece scivolare nella tasca del grembiule, richiuse il cassetto, uscí lesta e prese a camminare nel corridoio con disinvoltura. Poco dopo, come in una domenica qualunque, uscí. Trascorse la sera seduta sulla sedia a pensare: s’augurava che il mattino giungesse presto, ma le ore passavano lentamente; allora si spogliò, si mise a letto respirando piano come se ogni rumore la spaventasse, si rannicchiò e rimase immobile, intimorita da quella stanza sconosciuta, dai passi che udiva nel corridoio. Andò via presto al mattino. Si diresse là dove tante volte passando aveva visto gente entrare gente uscire con aria misteriosa. La città dove viveva da quattro anni, quel mattino le apparve diversa: città di vacanza, d’avventura. Dentro c’erano molte persone già pratiche del luogo. Xenia attese che tutti se ne andassero, perdendo il suo turno parecchie volte. Finché una faccia bolsa si sporse dallo sportello, chiamò: – Signorina... Lei si avvicinò, porse l’anello, disse: – Questo. – E aspettò emozionata come quando entrava nell’aula dopo gli esami per udire il voto. Temeva che la pietra fosse falsa, nella notte questo pensiero le aveva tolto il sonno: Emanuela non lo metteva mai. L’uomo con un occhio incapsulato in una lente che glielo ingrandiva smisuratamente, esaminò la pietra con attenzione; poi rivolgendosi alla ragazza, un occhio strizzato, l’altro enorme dietro il cristallo, domandò: – Cosa vuole? Xenia rispose stupita: – Denaro. – Eh già, ma quanto? Mille? – Sí, mille. Egli studiò di nuovo l’anello, scrisse sui registri; a tratti sollevava la testa e il suo sguardo tondo scivolava addosso alla ragazza: le chiese nome e cognome, indirizzo. Xenia dette un nome qualunque, un indirizzo qua-

Letteratura italiana Einaudi

54

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lunque. «Non si sa mai quella lí mi denunciasse.» A uno a uno l’uomo contò i biglietti facendoli schioccare. Alla stazione le dissero che il treno per Milano partiva alle dodici: due ore d’attesa. Xenia sedette nella sala d’aspetto: accanto a lei c’era una vecchia con un bambino dalla testa fasciata e un marinaio. Le pareva spesso di vedere dietro i vetri passare fisionomie conosciute, gente del pensionato, dell’università; allora arrossendo volgeva la testa vivacemente dalla parte opposta. Aspettava che un passo s’avvicinasse a lei, una mano si poggiasse sulla sua spalla: «Xenia...». Le vene le si gonfiavano di sangue fino a dolerle. Poi l’emozione si dissipava e lei riprendeva ad attendere, senza impazienza, assestandosi sulla dura panchetta, il pacco accanto a sé. Avrebbe potuto comperare un libro, ma non era tranquilla e leggere sarebbe stato impossibile. Si divagava guardando i lumi accendersi sugli scambi, i facchini passare coi carrelli che portavano le valige. Nel treno si sedette nella stessa posizione della sala d’aspetto, come al cinema, come all’albergo, immobile, tesa: guardava dal finestrino come sullo schermo di una lanterna magica. Vide passare gente, alberi, case, strade sconosciute. Di nuovo la sera cadde. Nei lucidi nastri dei fiumiciattoli il giorno indugiava, ma già i lumi s’accendevano divenivano punti vividi nel buio. Cosí arrivò a Milano. L’albergo di Milano era simile a quello di Roma. Xenia si coricò subito e in breve s’addormentò per la grande stanchezza. L’ultimo suo pensiero fu: «Bisogna ridare il denaro a Emanuela». Sí, sí, una bistecca di filetto. – Con patate? – Con patate. Forse anche oggi non avrebbe concluso nulla. Avrebbe dovuto tentare di avere piú denaro da quell’anello;

Letteratura italiana Einaudi

55

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

da domani poteva mangiare solo caffellatte. Bisognava cercare una camera, pagando tutto il mese in anticipo, i denari se ne andavano non si sa come, li ricontava ogni sera: «Non è possibile che abbia speso tanto, certo li ho perduti», e ricontava, di nuovo sommava le spese. – E il conto súbito. – Niente frutta? – Frutta? Oh sí, frutta. La minestra è uno e ottanta: filetto con patate quattro e cinquanta: fanno sei e trenta, frutta, servizio, coperto, insomma saranno dieci lire. Caro: domani devo spendere meno. Dunque: sei e trenta, l’arancia sarà una lira: sí, avrebbe potuto spendere meno. Facendo mentalmente questi calcoli la bistecca s’era esaurita senza che ella ne gustasse il sapore. Alla banca bisognava presentarsi alle due. L’annuncio diceva: alle quattordici precise. Nella sala d’aspetto altre ragazze aspettavano le quali allo scattare della porta si volsero verso di lei che entrava e la scrutarono, pensando certo: «Cosa può valere questa qua...». Passate le due, cominciarono a dare segni d’impazienza. Una bionda ossigenata diceva: – Io me ne vado – quasi stesse lí per far piacere alla direzione. Balzarono tutte in piedi quando, sulla porta, comparve il capo del personale, un grosso uomo, la pancia festonata di catene d’oro. Con un gesto accennò alla piú prossima dicendo: – S’accomodi... – e la porta si richiuse. La bionda si gettò di nuovo su una poltrona, sospirando, e scoprí le gambe fino al ginocchio. Xenia fu una delle ultime. – Università? Bene. Ha la laurea? – No... dicevo... – Ah!... appena iscritta, allora. Ha il liceo? – Oh, no, no appena iscritta, è proprio alla laurea che sono stata bocciata, capisce? alla laurea. – Quale facoltà? – Lettere.

Letteratura italiana Einaudi

56

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Lettere... sempre lettere. Come si fa a scegliere lettere nell’epoca nella quale viviamo!... Cose piú importanti ci sono... Il suo nome? – Costantini Xenia. – Costantini... Milanese? – No. – Dica dica. Paternità maternità, dica dica. – Scriveva agitando ampollosamente il pugno che reggeva la penna. – È iscritta al Partito? – Al Guf. – Ha la tessera dell’ufficio di collocamento? Ecco, anche qui la stessa cosa. Anche oggi niente. – No. – Non si può allora, noi parastatali non possiamo. Lei deve andare... E le sue referenze? – Non ho referenze. Non sono mai stata in un ufficio. Le ho detto, ho dato la laurea dieci giorni fa. – Famiglia, amici, parenti ai quali...? Xenia rispose alzandosi: – Nessuno. Prima che l’altro la congedasse, chinò la testa, salutando; egli la guardava senza posare la penna, s’era tolto gli occhiali per guardarla. – Perché se ne va, signorina? – Vado via prima che lei mi congedi. Non posso essere assunta, lo so, non sono iscritta all’ufficio di collocamento, non ho referenze. Lo so, non è colpa sua, è il regolamento. E intanto io vado a morire di fame. Non piangeva, ma la voce s’era mutata, sotto la pelle c’era una densa umidità che minacciava di sgorgare in pianto. Ascoltando le cortesi parole dell’uomo Xenia scoteva la testa: – No, non è possibile, all’ufficio di collocamento vorranno le referenze. Io sarei un’ottima impiegata, so il francese, l’inglese, un po’ di tedesco. Le dico la verità, sono scappata di collegio per non tornare al paese. Adesso che le ho detto tutto questo, mi prende? mi prende?

Letteratura italiana Einaudi

57

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Appoggiandosi al tavolo si protendeva verso l’uomo: poi si ritrasse, seria. – Lo sapevo. Le ho detto questo perché... Anche perché avevo bisogno di sfogarmi. Lei è molto gentile. È il regolamento: è giusto. Io potrei... potrei anche essere una ladra, no? – fece sorridendo amaramente. – Queste ragazze invece sono venute tutte col loro pezzetto di carta in tasca, forse vivono a casa con papà e mammà, lavorano per comprarsi le belle calze. Quello l’ascoltava interessato. – Mi scusi – la ragazza continuava – è la disperazione. Sí, sí, tornerò se avrò le referenze, grazie. Oh, grazie!... – E prese il biglietto da visita che l’uomo le tendeva. – Sí, certo, lei è buono, grazie. – Piegando appena la testa dignitosamente uscí. Un’altra ragazza stava pronta dietro la porta, la bionda attendeva ancora: le chiese come a tutte le altre: – Bene? – No. E l’altra disse: – Se mi fanno aspettare ancora un po’ me ne vado. Xenia uscí leggendo sul biglietto di visita: Paolo Reni. Era un biglietto da visita pretenzioso con i titoli d’onorificenza abbreviati, ma gonfi in litografia inglese; ci si vedeva in falsariga anche la grossa catena d’oro. La ragazza scese le scale, fu nel portone; gente camminava di passo lesto sulla strada, gente che lei non conosceva, gente che andava a spasso o a lavorare. Nell’androne c’era odore di freddo; Xenia alzò gli occhi e un raggio di sole metallico la ferí; rimase incerta sul portone, davanti alla sua giornata vuota, incerta se, uscendo, dovesse prendere a destra o a sinistra. * Tre giorni soli mancavano a Natale. Poche ragazze erano andate a casa, suor Lorenza le convinceva: È bello

Letteratura italiana Einaudi

58

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

il Natale in collegio. – Ma a tutte, nonostante la prospettiva dei dolci che stavano forse già cuocendosi, nasceva in cuore un’invincibile nostalgia. A sera parlavano della famiglia. Certe dicevano: – Io la mamma non l’ho piú. – Ogni pena riaffiorava in quei giorni. Altre parlavano dei fratellini, dei regali di Natale. Invece della letizia dei giorni di vacanza s’era sparsa tra le ragazze una blanda tristezza. Qualcuna avrebbe avuto la possibilità di andare a pranzo nei giorni di festa, da parenti, da amici. Ma non lo facevano: meglio essere qui tutte insieme, tutte sole. Dopo la cena, invece di salire nelle camere, si riunivano adesso in una grande sala di soggiorno: uno stanzone alto e semivuoto, un grande tavolo ovale; dato il rigore del freddo avevano ottenuto due grandi bracieri; scrivendo, le mani gelavano, allora le ragazze s’alzavano, andavano a scaldarle presso il fuoco. Si riunivano tutte, anche quelle di legge, perfino quelle di musica che formavano sempre gruppo a parte. Stavano vicine, appoggiate l’una all’altra: eppure ognuna era chiusa in sé, profondata in un mondo che le altre non conoscevano, nel quale non potevano raggiungerla. Piú tardi tutte respingevano i libri verso il centro del tavolo ove s’accatastavano, la filosofia accanto alla scienza commerciale; stanche, le braccia incrociate sul tavolo, prendevano a parlare. Certe sere Emanuela non scendeva con le altre. – È da Milly che sta peggio. Anche Augusta mancava: studiare con le altre, lei che aveva piú di trent’anni, le appariva ridicolo, fuori stagione. Come l’amore dei vecchi. Le azioni dell’uomo hanno ciascuna la loro età. Per questo, forse, frequentava poco la facoltà. Ma sotto la sua porta si vedeva la luce fino a tarda ora. Leggeva i russi, Anna pretendeva. In questi giorni di Natale Augusta era divenuta ancor meno socievole. Soltanto chiamava Valentina, talvolta, che s’intendeva di letteratura moderna, e insieme discutevano.

Letteratura italiana Einaudi

59

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Se Milly non si alza, si dovrà rinunciare ad avere della buona musica per Natale. Nessuno suonava l’armonium come lei. L’anima dello strumento non cantava che sotto le sue mani: soltanto la sua era veramente musica sacra. In camera di Milly il lume fasciato di carta celeste diffondeva una livida chiarità. La ragazza sedeva nel letto, i capelli sciolti sopra una soffice giacchetta di lana, la testa affondata nel cuscino, un poco riversa, nello sguardo una fissità estatica; udendo qualcuno entrare sussultò, ma vedendo Emanuela: – Ah, sei tu – fece rasserenandosi: – entra. Leggevo. Non aveva nessun libro in mano e non avrebbe potuto leggere con quella lampada velata. Emanuela avvicinandosi le vide tra le mani un foglio strettino tracciato di piccoli fori con l’orlo rilevato. Milly vi passava sopra i polpastrelli con la stessa levità di quando suonava l’armonium. Anche il suo sguardo era lo stesso, trasognato e vacuo. – M’ha scritto – disse. E mostrò il foglio bianco. Carezzava la lettera del cieco, vi passava e ripassava le dita leggermente, gli occhi fissi alla parete bianca, la faccia trasfigurata come per un benessere fisico che dilagasse in lei. – Vedi? – spiegava arrestandosi – è molto piú bello, cosí. Le parole, attraverso le dita, entrano nei pori, si fondono col sangue, il nostro essere le assimila come l’aria. Ti accorgi forse tu di respirare? Eppure la vita entra in te. E lo stesso m’accade per le parole di lui. – Le mani di Milly sembravano medianiche. – Dice che suonerà anche lui quell’oratorio, alla messa di Natale. Bisogna che io guarisca, capisci, Emanuela? per scendere; se no sarebbe un tradimento. – Come ti senti? – Bene adesso, ma stanotte è stato tremendo. Non puoi immaginare che cosa sia. Chi sta bene neanche s’accorge d’averlo, il cuore. Io lo sento invece, come se

Letteratura italiana Einaudi

60

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

fosse un cuore artificiale: s’apre, si chiude, il sangue pulsa, di colpo affluisce alla gola, sembra che debba colarmi dalle narici, dalla bocca, tanto è potente l’onda calda che m’assale. Poi il cuore comincia a galoppare, sempre piú forte, sempre piú svelto, tutto il buio si colma del mio palpitare. E infine una mano di ferro mi tira i capelli indietro, giú, giú, riversa nel baratro; un’altra mano piú molle, ma inesorabile, mi accarezza dapprima la gola, poi stringe, stringe, mi soffoca. M’occorre tutta la forza per trovare ancora in me un po’ di respiro. Ma domani starò bene. Debbo scendere a provare l’oratorio all’armonium, capisci? e scenderò. – Non puoi, ancora. – Sí, potrò. Riprese a far scorrere le dita sul foglietto, sempre fissando avanti a sé nel vuoto; la sua vita pareva concentrata nel tatto. Pesava attorno un silenzio da stanza di malata grave. Il dottore aveva detto: «Può essere oggi o fra due anni, ma è fatale». Intorno a lei si respirava un’umidità di lacrime. Anche quando stava bene le compagne entravano in punta di piedi: – Perché cosí piano? – ella chiedeva, e le metteva in imbarazzo. Dopo Natale forse il padre l’avrebbe ripresa con sé. Nell’ultima crisi il polso s’era tanto affievolito che suor Prudenzina l’aveva sentito mancare. – Basta! basta di queste responsabilità! – aveva detto la sera alle altre, voleva farla ripartire súbito per Milano. – A casa sua, a casa sua! – diceva. Invece suor Lorenza aveva scritto al padre: «Questa vita sana e lieta del collegio potrà giovare molto alla Milly». La notte sognò che Milly era morta e saliva al cielo mutata in cometa, la faccia non si vedeva piú, il corpo, i capelli luminosi, incandescenti formavano la grande scía dell’astro nella sua corsa traverso il firmamento. Le passavano cosí vicini da toccarli, una fluente morbidità di seta. Qui il sogno era finito bruscamente, ma la sensazione le era rimasta sulle dita.

Letteratura italiana Einaudi

61

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Milly continuava: – Senti che cosa scrive. «Anch’io suonerò l’oratorio, aspetterò quell’ora, quell’attimo, luce dell’anima mia». Debbo scendere a provarlo domani. «Luce dell’anima mia.» È cieco, lo sai, che può dirmi di piú? Milly era la sola a non soffrire del Natale che s’avvicinava, tutta presa dal contatto spirituale con l’amato. Neppure desiderava di vederlo e lui, del resto, anche quando erano vicini non poteva vederla mai. Comunicavano cosí, attraverso i pori o meglio i loro pensieri li raggiungevano direttamente per l’aria come un’onda di suono. E questo amore non umano li sollevava al disopra dei limiti del tempo. Emanuela invece, s’era anche lei intristita in quei giorni: passeggiava per le strade che fervevano di festa prossima. Si soffermava a lungo davanti alle vetrine dei negozi, dove gli oggetti esposti formavano una massa compatta. Dietro di lei gente sostava, parlava, gli uomini con le mani in tasca, pensierosi. La ragazza si sentiva esclusa da tutti i riti natalizi; andava di negozio in negozio col silenzio che le pesava in bocca, ipnotizzata da quel Natale che vedeva in vetrina. Aveva comperato molti giocattoli per Stefania, perché con ognuno le sembrava di partecipare un poco alla festa degli altri; il suo Natale era in quella ricerca, in quel peso del pacco sotto il braccio. Quando glie li avrebbe portati la gioia sarebbe stata già finita. Era bello ancora perché i giocattoli stavano chiusi nel suo armadio e aprendolo poteva ritrovarli, anche se le sembravano meno belli di quando erano esposti in vetrina. La bambola al negozio pareva viva; in camera Emanuela la trasse dalla scatola, la prese in braccio, la strinse a sé, la scostò, la contemplò: era splendida; tornò ad abbracciarla credendo cosí di suscitare in sé un po’ di tenerezza, ma restò freddissima. Si ricordava che da bambina le accadeva lo stesso. S’estasiava davanti alla

Letteratura italiana Einaudi

62

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vetrina, affascinata, e, avuta la bambola, la portava a casa in braccio, fieramente; ma quando la mamma le diceva: – Gioca – e la lasciava sola con lei, non sapeva che cosa farne. Le bambole a quell’epoca avevano gli occhi fissi, due rigide pupille di cristallo, i denti bianchi, aguzzi nella bocca di porcellana. – Stupida! – Emanuela le diceva piano. – Stupida! – Questo era il solo loro colloquio. Talvolta la spogliava, palpava le giunture, il merlettino della camicia, la rivestiva senza divertimento e poi l’abbandonava sulla poltrona. Una volta le dette uno schiaffo e s’irritò perché quella seguitava a sorridere. Disgustata s’avvicinava alla finestra, appoggiava il viso al davanzale, seguiva i voli delle rondini, le nuvole che vagavano e mutavano forma: era il suo gioco preferito. La mamma la sorprendeva cosí: – E la bambola? – Poi diceva al marito: – Anche la piccola ha la smania di stare alla finestra, come te. – Qualche volta veniva un’amichetta a trovarla, súbito Emanuela le proponeva di giocare con la bambola, era curiosa di sapere come facessero le altre a divertirsi con quella cosa di stoffa e porcellana. Quella cominciava a parlare alla bambola con una strana voce in falsetto, poi con mani abili la spogliava, la rivestiva, non sentiva ribrezzo di quella morta nudità. Anche Emanuela allora provava, ma súbito doveva smettere; non sapeva trarre fuori una simile voce, i suoi gesti erano maldestri e non si divertiva. L’amica scoteva il capo: – Non sei una vera mamma, tu; si capisce che è un gioco. Era goffa anche con Stefania; eppure ogni domenica vedendola provava una grande emozione. Forse perché Stefania era cosí dura, mai un bacio che venisse d’impeto. O forse colpevole era lei. «Non sono simile alle altre» pensava. E continuava a comperare giocattoli come facevano le altre mamme. Le compagne s’inasprivano, adesso che s’avvicinava il Natale. Perfino Vinca non era piú allegra, non diceva

Letteratura italiana Einaudi

63

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

piú nulla contro le suore; anzi una sera aveva chiesto con tono umile: – Ci faccia passare un bel Natale, suor Lorenza. Il giorno prima Luis le aveva detto: – Prendiamo il tram. – Un lungo giro, la linea fiancheggiava il fiume, passarono sul lungotevere frondoso di platani, alla Lungara. Anche Luis era ammalinconito dalle prossime feste. – Non è Natale questo qui – diceva: – Natale è quello del nostro paese, qui non si può mangiare neppure il porcellino di latte infarcito. Ne ho parlato alla padrona di casa, m’ha sbarrato gli occhi in faccia. «Noi» ha risposto «a Natale mangiamo il cappone.» Vedo già la gran bestia bollita, le zampe all’aria. E poi mangiano certi dolci duri come sassi. – Vinca che era in Italia da tre anni già conosceva tutto ciò. Infine scesero e il ragazzo le guidò per vecchie straduzze dalle finestre strette soffocate di panni stesi: la città vecchia dove a lui piaceva abitare. – Qui respiro meglio – diceva – le donne sono simili alle nostre donne, il popolo s’assomiglia in ogni latitudine. Vedi i gerani alle finestre? solo il popolo mette i fiori alle finestre. Mai il signore ha un fiore sul balcone; li fa morire nei vasi dei salotti. Qui ci sono fiori alle finestre come in Spagna. Si fermarono in un larghetto dove c’era un portoncino con un bel fregio del Rinascimento. – Ti piace? – Luis le chiese. – Molto – rispose lei, e con lo sguardo scorse la facciata. In alto, la gran lastra di vetro di una finestra facendo specchio alla luce crepuscolare s’accendeva di rosso. – Vedi lassú? – egli le indicò: – È il mio nuovo studio. Forse avevo dimenticato di dirti che ho cambiato casa, abito qui con un compatriota, è piú libero, mi piace di piú, anche se è lontano dall’accademia. Vuoi salire? – E quell’altro?

Letteratura italiana Einaudi

64

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Oh! – fece lui con un sorriso malizioso – sapeva che venivo, se n’è andato. – No, grazie – rifiutò Vinca decisamente. – Perché non sali? Di lí si vedono certi tetti d’ardesia, certe vecchie terrazze... – Tientele – lei replicò con durezza – io non le vedrò mai. – Sei una sciocca – egli insisté tirandola pel braccio. – Vieni su. Di che cosa hai paura? – Non ho paura. Ma puoi fare a meno di telefonarmi se speri che col tempo ci verrò. Ora rientro in collegio. S’incamminò irritata, e Luis la seguí in silenzio. Sboccarono dal quartiere vecchio sul lungotevere già buio. I lampioni, riflessi nel fiume, lucevano come stelle cadute. Luis la teneva pel braccio ed ella andava di passo svelto, desiderosa di lasciare il quartiere, di liberarsi da lui. Egli si fermò per accendere una sigaretta, c’era vento, faceva schermo alla fiamma con le dita, lei attese un momento, poi spazientita riprese a camminare. Pensava a Xenia: certo era andata via con uno cosí, tutto finisce in questa maniera, prima o dopo. O forse Valentina aveva ragione, Xenia si era buttata nel fiume; a certi momenti non si vede altro mezzo per liberarsi dello schifo di questa porca vita. Luis la raggiunse: – Perché scappi? – le chiese. Vinca non rispose. Lei stessa non sapeva perché correva cosí; ormai la casa era lontana, e del resto un attimo solo era rimasta incerta, abbagliata dalla lastra dell’alta finestra. S’era ripresa súbito, padrona di sé. Altre coppie passeggiavano lungo il parapetto del fiume; forse a ognuna di quelle donne il compagno una sera aveva detto: «Vuoi salire da me?». Ormai che aveva risposto di no, era inutile affrettarsi. Eppure non vedeva l’ora di lasciarlo, quasi temesse, finché Luis era lí, che vi fosse ancora la possibilità di tornare indietro. Perché non se ne va? Che aspetta? Intanto da lui non ci vado e neanche al cinema, mai piú.

Letteratura italiana Einaudi

65

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non correre cosí, Vinca. Se vuoi me ne vado. – Sí, vattene, vattene – gli soffiò astiosa; – è andata male, vero? Che stai piú a fare qui? Zitto il ragazzo seguitava a camminarle a fianco, sottobraccio, e lei attendeva che parlasse, per potergli rispondere, sfogarsi. «Domani mi metto a studiare notte e giorno» pensava «come Silvia, come Silvia, basta, basta di questa disgustosa storia, neppure mi parla, cinico, neppure dice: “scusami, ti voglio bene”.» Luis regolava il suo lungo passo ai passi di lei arrampicati su tacchi alti. A piazza di Spagna si fermarono, era già buio, i fiorai riponevano i fiori nei cesti. Loro due venivano a piedi dal Trastevere: la stanchezza pesava nei ginocchi della ragazza. – Addio – gli disse duramente. E s’armò contro quello che lui avrebbe detto. Ma lui rispose solamente: – Addio – , si toccò il cappello e s’allontanò. Vinca rimase ferma sperando che egli tornasse indietro. Adesso che se n’era andato avrebbe dovuto corrergli dietro, richiamarlo, «Luis!», andare a cercarlo nella trattoria dove mangiava: «Sí, ci vengo, ci vengo, purché tu non mi lasci cosí». La trattoria doveva essere lí vicina, presso il fiume, neppure sapeva dove, egli le nascondeva tutto, aveva cambiato casa senza dirglielo: «Vado con gli amici» diceva. «Che amici?» «Architetti.» E con quella parola l’escludeva dal loro mondo, spesso diceva «gente di architettura» e faceva intanto una mossa vaga con la mano. Tante volte ella aveva cercato di accostarsi al lavoro di lui; ma Luis scrollava la testa: «Non puoi capire, è inutile!». Non le parlava mai del suo lavoro: «gente di architettura» diceva. Adesso era andato con loro. – Sempre in ritardo, tu – la suora le rimproverò vedendola entrare. – Rientrerò presto, domani. – Domani è la vigilia di Natale. Bel Natale si preparava ! Bisogna finire, finire. L’anno passato quando l’aveva conosciuta, egli le aveva chiesto:

Letteratura italiana Einaudi

66

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sei fidanzata? – No, e tu? – Io neppure, ma c’è una ragazza in Spagna... a casa mia volevano... A me piace vivere libero. E lei pronta: – Come si chiama? Dopo un attimo di esitazione Luis aveva risposto: – Si chiama Sol. Adesso quel nome tornava a ossessionarla: Sol, Sol, Sol. A Sol forse non avrebbe offerto di salire lassú, dietro quella vetrata incendiata dal tramonto. Bisognava studiare, studiare, studiare, non piú preoccuparsi di altro. Luis le domandava sempre: – Quando dài gli esami? – e la scuoteva, la trattava male: – Che fai tutto il giorno? Studia – la incitava, e lui intanto oziava con la gente di architettura. Vinca salutò appena le compagne sedendosi a tavola; poi, respingendo il piatto, fece: – Non mangio questa roba. Emanuela le mise la mano sul braccio: – Vinca, abbi pazienza. – Perché mi dici questo? – Perché so che tu pensi al tuo paese. Che cosa mangiate in queste serate? – Aringa carpionata e baccalà con salsa di pinoli. Si mangia tardi, la sera, alle undici. S’accendono le candele sulla tavola... – Aveva scostato le posate e, incrociate le braccia sulla tovaglia, seguitava a parlare appassionata: – Si appende l’uva passa ai candelabri... Ma adesso chi sa che cosa c’è laggiú, certe chiesette dove andavamo alla messa di Natale sono distrutte, gli amici dispersi, e la calma nelle Asturie non è che apparente. Mi sento cosí distaccata dal vostro Natale! – Tutte siamo malate come te – disse Silvia – anche se siamo in patria. Io ho scritto ai miei, stasera, Augusta pensa alla sua grande cucina dove sono appesi i sonagli e le selle.

Letteratura italiana Einaudi

67

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Valentina s’era alzata, era andata vicino a Vinca, le aveva messo una mano sulla spalla: – Vuoi che anche noi domani accendiamo le candele sulla tavola, come al tuo paese? Deve essere suggestivo. – Oh, no, sembrerebbe un funerale. – Il Natale non è nel cibo, è nel cuore – disse Augusta. -Sí – approvò Silvia – e noi siamo stonate perché siamo uscite da una consuetudine senza essere ancora entrate in un’altra. Il Natale è di chi non ha piú o non ha ancora pensiero dell’avvenire: dei vecchi o dei bambini. Io mi struggo stasera per la mia casa: e in fondo è una casa povera, i fratellini strillano, sono noiosi, papà e mammà ormai non mi capiscono piú, ma è la famiglia insomma. Eppure – continuò – sempre piú mi convinco che è un desiderio, uno struggimento immaginario, perché noi, in realtà, siamo già distaccate dalla famiglia, l’amiamo ogni giorno un po’ meno. È un’abitudine, soltanto un’abitudine. Ormai, dopo anni di collegio, sentiamo solo il dolore del distacco, la gioia del ritrovamento. Ma idealmente piú che altro, una concessione che facciamo al nostro sentimento. Non è il sangue. – È vero insisté Emanuela – non è il sangue: se a una madre presentano il bambino che le è appena nato, lei lo ama anche se glie lo hanno cambiato, anche se è un altro. Credo che l’amore materno dapprima sia un dovere, si sa che si deve amare quel fagottino di carne, dare la propria vita per lui se è necessario, poi è l’abitudine. – Già – Silvia riprese – mia madre dice sempre: «Ogni giorno che passa vi amo di piú». Perché l’abitudine si consolida, si fortifica; adesso che sono lontana mi ama differentemente dalle altre figliole. – Non credo – fece Anna. – Sí, invece: prega per me, a sera, come dice i requiem per i morti. – Basta, basta – proruppe Vinca – non parlate piú di

Letteratura italiana Einaudi

68

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tutto ciò o impazzisco. Dio! Come si sente la mancanza di quello che a casa appariva naturale! E poi per me, ci sono altre cose, stasera: mi sento disorientata, ho paura di quello che verrà, domani. – Già – riprese Anna – avremmo bisogno di appoggiarci ai muri di casa per sentire una certezza. Le ragazze che sono in famiglia, non sentono questa responsabilità, si lasciano vivere; noi invece guardiamo all’avvenire come a un vuoto oscuro. Xenia vi è precipitata; chi di noi, ogni tanto, non pensa a Xenia? Quando ormai non sapeva piú come fare per vivere, Xenia aveva trovato un posto di commessa in un negozio di guanti. Lo doveva a una nuova conoscenza, una ragazza che aveva incontrato aspettando negli uffici di collocamento; una buffa ragazza grassoccia, della sua stessa età, ma sveglia ed esperta, che già aveva pratica delle attese inutili. Questa ragazza, la quale si chiamava Vandina, era stata assunta da una società mineraria perché conosceva la stenografia. Molto piú utile la stenografia, per vivere, di tanti libri che Xenia aveva letto. Erano state a mangiare insieme e Vandina aveva offerto il pranzo per festeggiare l’avvenimento. – Ma tu non sai fare, non sai arrangiarti – diceva a Xenia. – Perché ti ostini a volere un impiego? Hai letto che ai Grandi Magazzini cercano commesse? Non storcere la bocca! Domani non potrai mangiarti i volumi dell’università o il diploma della licenza liceale. Bisogna adattarsi, ecco il grande segreto. Intanto si lucidava le unghie col tovagliolo. – Cambierai dopo, non devi morire ai Magazzini. Lí si accontentano piú facilmente, per le informazioni dí che si rivolgano a me, dí che sono una cugina, dí quello che ti pare. Ti daranno pochi soldi, vedrai, ma ti serviranno per le calze, il rosso delle labbra e per mangiare una minestra invece del caffellatte. Andiamoci insieme, vuoi?

Letteratura italiana Einaudi

69

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Niente ai Grandi Magazzini. Fu assunta invece da un guantaio, perché sapeva il francese, e fuori c’era la scritta «on parle français». Entrare subito, il giorno dopo; al vederla cosí distinta e riservata, al sentirla parlare, neppure chiesero le informazioni. Uscendo Vandina le disse: – Hai visto? cosí si fa, e intanto si comincia. Una di queste sere ti farò conoscere certi amici, gente che è nel commercio, grosse aziende; e si troverà qualcosa di meglio per te. Questa incerta promessa aiutò Xenia a sopportare il disagio del quale soffrí al negozio del guantaio. Anche i proprietari si trovarono in imbarazzo con lei che, cortese, abilissima coi clienti era invece, senza volerlo, ostile alle colleghe: non apprezzava il loro modo di parlare, gli argomenti dei loro discorsi, anziché chiacchierare con loro preferiva guardare da dietro la vetrina passare la gente, le automobili. La disgustava il continuo contatto con le mani degli altri, che ella doveva, sorridendo, carezzare sulle dita, alle giunture. Quando riaccompagnava il cliente alla porta, restava un po’ a respirare l’aria fredda di fuori, finché di dentro giungeva una voce: – Oh, chiudi, chiudi, vuoi farci prendere una polmonite? A sera rientrava stanca nella stanza, e mangiava un panino imbottito rannicchiata sulla sedia, leggendo per tenersi compagnia. Talvolta, la notte, sognava che c’erano tanti clienti nel negozio, e lei sola a servire, e tante mani tese verso di lei che s’esauriva in quel movimento di strofinare le dita altrui, non c’era piú polvere di talco nel barattolo, per ogni paio impiegava moltissimo tempo, gli altri clienti s’impazientivano, pestavano i piedi finché i padroni, scontenti, la cacciavano via e lei doveva ritornare a Veroli. Aveva scritto a casa dicendo che s’era impiegata in un ufficio e presto sarebbe tornata, stava studiando per ritentare la tesi. Mammà le aveva mandato un golf di lana perché Milano è una città fredda.

Letteratura italiana Einaudi

70

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Vandina venne a prenderla due volte all’uscita; raccontò che all’ufficio si trovava mica male, il commendatore aveva preso a proteggerla, ma la segretaria che, si capiva, era l’amica di lui, le faceva la guerra. Se ne sarebbe andata presto. E poi, lo stipendio era pochino: adesso veniva l’inverno e aveva bisogno del paltò. Molte cose di questa ragazza spiacevano a Xenia: certe espressioni che fiorivano i suoi discorsi, quell’insistente occhieggiare gli uomini che passavano, i capelli biondi opachi, arruffati, epperò quando la vedeva si sentiva incoraggiata dal viso stesso di lei, pienotto, vivamente dipinto di rosso sulle guance, da quella certezza di arrivare, arrivare, come sempre diceva. Anche Xenia suggestionata ripeteva: – Sí, sí; arrivare. – Presto il chiacchierío di Vandina la stancava, ma temeva la solitudine della sua stanza dove tutto era povero e squallido, era stanca di leggere, non poteva comperare libri nuovi, i libri di studio avevano la polvere sopra, capiva che era inutile ritentare; e perciò quando l’amica faceva per lasciarla: – Aspetta ancora un po’ – la pregava. Ma Vandina aveva sempre da fare: – Amici – diceva; o, piú spesso: – il mio amichetto. Una sera Vandina arrivando le disse: – Senti, ho pensato a te. Non voglio che resti sola domani sera, la sera di Natale. Verrai a cena con noi. Oh, dove non lo so, decideremo, vengono con la macchina, vedessi che macchina! Chi sono? Amici in gamba, gente che un giorno potrebbe aiutarti a tirarti fuori dalle trecentocinquanta lire del negozio. Domani hai anche il pomeriggio libero... Come, lavori fino a tardi? Che barba! Come puoi fare a restare ancora là dentro? Io avevo mezza festa, ma ho detto al commendatore che volevo avere libera la giornata. Bisogna che tu ti vesta elegante e ti dipinga un po’, eh? Ho annunciato che sei una bellezza. Vero! Vero! Non te ne accorgi che per strada ti guardano tutti? Xenia aveva un solo vestito e l’amica offrí di prestar-

Letteratura italiana Einaudi

71

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

gliene uno. – Sei piú alta, ma io sono piú grassa, una cosa per l’altra, dovrebbe andarti, sali da me a provarlo. Abitava come Xenia a subaffitto, ma la camera era arredata pretenziosamente a salottino; entrando sbatacchiò l’uscio, parlò forte. Il vestito poteva andare, andava bene, anzi. Vandina la guardava ammirata: – Che bel corpo hai! E poi è inutile, è vero quello che ho pensato appena t’ho vista: tu hai l’aria distinta. La sera dopo Xenia andò a vestirsi da lei; mai la giornata le era sembrata tanto lunga al negozio: si vestiva e intanto raccontava: – Vandina, quanta gente! Sembrava che tutti si fossero ricordati oggi solo di avere un paio di mani da coprire; il padrone non voleva lasciarmi uscire, sai? Per quelle poche lire che mi dà, dici bene, tu! Alla fine, dopo avere accompagnato un cliente, sono andata a mettermi il cappello, mezz’ora dopo l’orario d’uscita, capirai! e passando dinanzi alla cassa, molto cortesemente ho detto al padrone: «Buonasera, buon Natale». Si capiva che avrebbe voluto trattenermi, ma non ha osato. – Era eccitata, aveva temuto di passare il Natale sola nella sua stanza, udendo la festa nelle vie fino a notte inoltrata. In strada una macchina americana le aspettava; uscendo dal portone Vandina le sussurrò: – Te l’avevo detto, eh? Guarda che roba! Due uomini giovani, vestiti con esagerata eleganza, sciarpa al collo, pelliccia, scesero, salutarono, Vandina presentò Xenia, salirono e la macchina partí. I tre parlavano animatamente, Vandina si sporgeva sul sedile nominando persone, luoghi ignoti a Xenia che taceva e non volendo sembrare sciocca sorrideva ogni poco. Gli uomini non le rivolgevano la parola, Vandina sembrava non ricordarsi piú di lei. Al ristorante la tavola era prenotata e dei due uomini uno, il piú giovane, pareva essere molto conosciuto. Due orchestre suonavano, quando l’una taceva l’altra attac-

Letteratura italiana Einaudi

72

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cava, la tovaglia era lucida come seta, i bicchieri leggeri leggeri. Quando si trattò di ordinare il vino, il giovane che chiamavano Dino ordinò sciampagna: súbito Vandina dette una gomitata all’amica come per dire: «Vedi?» Sí, Xenia vedeva. Gli uomini finalmente s’accorsero di lei; fu nel chiederle: – Sogliola o aragosta? – che Dino, la lista delle vivande in mano, s’incantò a guardarle gli occhi, e disse rivolto a Vandina, come se Xenia non fosse presente: – Avevi ragione, è proprio bella la tua amica. Si cominciò a parlare del negozio di guanti. Xenia parlava vivacemente come se fosse una cosa già sorpassata; no, no, davvero non poteva rimanere lí in mezzo alla volgarità di quella gente, e mentre parlava beveva, il vino non le piaceva, ma le piaceva il gesto del bere, quel dondolío del liquido nel bicchiere fine. Certe volte, mentre gli altri parlavano, si distraeva da loro e osservava intorno. Sí, questa è veramente festa, veramente Natale. Non le dispiaceva neppure di dover tornare al negozio del guantaio, neppure di essere lí col vestito di Vandina. L’essenziale era di esserci. Arrivare, arrivare. Bastava volere; non era già qui a bere autentico sciampagna? E gli altri a quest’ora? A Veroli, le strade sono buie, scoscese, le famiglie si riuniscono attorno al panettone che ha già il coltello infilato nella pancia, le solite facce, quell’ambiente meschino, se l’avessero vista lí sarebbero morti di rabbia. E al “Grimaldi”? Tolta Emanuela che era una vera signora e bisognava assolutamente restituirle quel denaro, le altre, tutte pezzenti che sudano sui libri. Adesso la gente del paese le appariva mista alle compagne del collegio come attori di una pellicola vista tanto tempo fa, sbiadita. Ballarono fino a tarda notte. Vandina che aveva bevuto troppo, raccontava barzellette piccanti con un volto da scolaretta in vacanza. Dino aveva avvicinata la sua se-

Letteratura italiana Einaudi

73

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dia a quella di Xenia e macchinalmente tirava palline di cotone colorato sulle spalle di quelli che passavano, come se ciò fosse un vero divertimento. Andarono via tra gli ultimi; ma non avevano voglia di andare a dormire, dicevano: – Andiamo altrove, altrove. – Vagavano per le strade con la grossa macchina, s’arrestavano, scendevano, entravano in ogni locale aperto, ma ovunque era troppo triste, dicevano, non volevano rimanere e poi finirono per andare a prendere la cioccolata calda in una latteria della periferia dove c’erano già tranvieri che prendevano in fretta il caffè. Al portone di Xenia scesero e si salutarono con effusione, si sarebbero ritrovati presto, assai presto, domani, no? Vandina l’accompagnò nell’androne, le dette un bacio, le disse: – Auguri – e poi aggiunse sottovoce: – Che signori, eh? Tanto denaro, cena, sciampagna, e poi, hai visto? neppure un bacio. * Dopo la lezione di Guido Balduzzi, gli studenti lasciavano i banchi, s’affrettavano verso l’uscita; soltanto quelli che facevano la tesi con lui, se avevano qualcosa da dirgli s’avvicinavano alla cattedra. Silvia, seduta, raccoglieva le dispense, gli appunti, li chiudeva nella cartella. Guardava il professore, intanto, lo ascoltava parlare con quella sua mite voce che suonava monotona dapprima e poi penetrava, proprio per quella sua lentezza armoniosa. I capelli di lui, bianchi, brillavano sotto il chiarore della lampada. Dietro le lenti, gli occhi turchini guardavano con benevola fermezza. La ragazza stava andandosene quando egli la chiamò: – Custo... Silvia si volse, si guardò attorno: – Io? – . Si preparava alla tesi con lui, ma soltanto poche volte gli aveva parlato.

Letteratura italiana Einaudi

74

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí, lei. Non ha da chiedermi nulla, stasera? – Grazie, no, niente, professore. – Io sí, invece, avrei qualche cosa da chiederle. – A me? – Proprio a lei. Potrebbe venire da me domani; domani... facciamo alle quattro? – Oh! certo. – Non ha da fare, a quell’ora, da studiare? – No, no davvero, professore. – Bene. Allora ci vedremo domani. Il giorno dopo alle tre e mezzo, Silvia era già a casa di Belluzzi: Belluzzi abitava in una vecchia casa, al centro di Roma, l’ingresso dell’appartamento era vastissimo, pieno di statue, di pezzi di archeologia, ella lo aveva percorso intimidita, dietro la cameriera, cercando di fare, camminando, il minimo di rumore possibile. Entrò in una grande biblioteca dall’alto soffitto dipinto, che aveva le pareti rivestite di scaffali zeppi di libri; vi stagnava un silenzio austero, come se ivi pesasse la fatica di quelli che avevano scritto quei volumi. Vecchi libri, autori morti, sepolti: ma quelle loro ore di lavoro erano ancora lí, restavano, non erano state inutili, come tante altre ore adesso inghiottite dal nulla. La tepida luce del pomeriggio maturo sfiorava i dorsi dei libri, ravvivava i fregi, oro sull’oro. Nel fondo c’era la porta chiusa dello studio del professore. Chi sa che voleva da lei. Forse voleva dirle: «Lasci stare, Custo, dia retta a me, torni al paese». Cosa poteva ancora avere da dire lei, di fronte a tutto quello che già era stato scritto? Quale parola nuova avrebbe potuto dire? Sollevare l’umanità! Quando si diceva questa frase Xenia rideva. – È troppo pesante, nessuno la solleverà mai. – Xenia, certo, se n’era andata per amore. In fondo, le donne pensavano soltanto all’amore. A Silvia l’amore pareva un sentimento angusto, egoistico. Se avesse dovuto scegliersi un mestiere, forse sarebbe andata in Asia

Letteratura italiana Einaudi

75

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

a curare i lebbrosi. E invece era rimasta magata dai libri, cari libri che a toccarli le davano brividi di gioia. – Custo... Dalla porta Belluzzi l’invitava nel suo studio: ma non sedette dietro la scrivania come quando Silvia era andata da lui la prima volta per parlargli della tesi; sedettero insieme sul divano, egli le offrí: – Un caffè? – Oh, no, grazie. – Prenda il caffè, è buono a casa mia. – Parlava bonariamente e Silvia pensava che quell’uomo poteva senza difficoltà passare dall’austerità della cattedra all’ospitalità accogliente, paterna. – L’ho fatta venire perché vorrei proporle una cosa. Io l’ho notata da tempo, signorina Custo. Ella è molto intelligente, attenta e tenace. – Grazie, oh, grazie. – Lei farà strada. Silvia taceva e il suo volto s’illuminava. I suoi occhi sempre gravati di cerchi bruni ora, per la loro vivezza, parevano schiariti. Un luminoso sorriso fluiva sul bruno della sua pelle, dei suoi capelli, del suo vestito. – E io vorrei proporle di lavorare con me... ma segretaria non è la parola adatta, collaboratrice piuttosto. Ho sempre bisogno di fare nuove ricerche, di... insomma ho bisogno di una persona che mi capisca. – Poi spiegò: – Che capisca. – Fece dopo una pausa: – Ho avuto per molti anni con me una signorina. S’è sposata, questa signorina, e pensavo che non avrei trovato da sostituirla. Poi ho visto lei, l’ho vista lavorare. – Guardava adesso oltre i vetri della finestra le tetre case di faccia, e giocava con le dita come alle lezioni. – Lei vorrebbe, signorina Custo? – Oh, certo. Non so cosa dirle, professore. – Non mi dica nulla, allora, non mi dica nulla. E pensi al suo Natale; io m’auguro che lei passi un felice Natale.

Letteratura italiana Einaudi

76

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Adesso sí, professore. – Bene, anche io sono soddisfatto. L’aspetto, dunque, dopo le feste. Il sette gennaio, va bene? Lei verrà qui alle tre. Le farò conoscere mia moglie. – E sorridendo s’alzò in piedi: – L’accompagno, signorina... Per il suo compenso... – Non me ne parli, professore, non me ne parli, la prego. – Come vuole, ne parleremo poi. Traversarono la biblioteca, la grande sala d’ingresso. Silvia, ansiosa di essere sola, s’inchinò frettolosa e scomparve; quando la porta fu chiusa, scese due scalini in fretta, poi, come sfinita, s’appoggiò al muro e cosí rimase, una mano premuta sul cuore, a pensare. Non seguiva nessun pensiero preciso, lasciava che nel suo petto la gioia dilagasse, le si spandesse per le vene, le scorresse col sangue. Dopo un momento, adagio riprese a scendere, fu in strada. Poca gente passava nella stretta via, Silvia camminava inebbriata, stordita, come una sera al paese che avevano sturato la botte del vino nuovo e lei ne aveva bevuto troppo. L’aria le sembrava creata per la sua gioia, il vento le penetrava nelle nari, le pungeva gli orecchi, e lei sorrideva beatamente come se già fosse al sommo della lunga scala e da lí potesse spiccare il volo verso l’infinito. Il sette gennaio, sarebbe andata a lavorare da Belluzzi, anzi a «collaborare» lui aveva detto; e ciò la colmava d’orgoglio. Talvolta, quando usciva con le amiche, notava che gli uomini, passando, guardavano sempre Vinca o Emanuela, e si sentiva umiliata, avvilita del suo fisico scostante. Ma iersera alla lezione Belluzzi, tra tante, aveva scelto lei. «Custo...» Io, proprio io, sí. «L’ho vista lavorare... lei farà strada». E per queste sue parole ella avrebbe voluto súbito compiere qualche cosa di grande, sentirlo esclamare: «Mai vista una donna cosí». Molta gente passava nella strada accanto a lei, la sfiorava, nessuno intuiva la sua contentezza, piccoli gridi le si

Letteratura italiana Einaudi

77

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

soffocavano in gola; la gioia le opprimeva il petto, sentiva la necessità di condividerla per alleggerirsene; avrebbe chiamato le compagne, adesso: Xenia mancava. Valentina insisteva nel dire: – Ho sognato Xenia che galleggiava sul fiume. – Rivedeva gli occhi di lei irrequieti, ingordi. – Non me lo perdoni, eh? Silvia, di aver fatto fiasco? – Troppo severa era stata; e forse quella per tema di lei, del suo giudizio, se n’era andata. Le pareva adesso di riudire la voce di Xenia, aveva il tono ironico che usava con le suore: – Parli bene tu che sei protetta da Belluzzi! – Come avrebbe potuto spiegare: – Io non ho chiesto niente, è stato proprio lui a chiamarmi: «Custo...». – Forse neppure le altre avrebbero creduto, nessuno avrebbe creduto. Bisognava scriverlo a papà e a mammà. «Vado a lavorare con Belluzzi». Ma loro non sanno chi è Belluzzi, non leggono i giornali, non capiscono tante cose, la mamma sempre scoteva la testa quando Silvia parlava delle sue aspirazioni. – Altra – le diceva – deve essere la vita delle ragazze. – Chissà che non avesse ragione, ma come rinunciare adesso? Papà e mammà facendola partire dicevano: – Tornerà. – Anche lei temeva di tornare, ma oggi non piú, oggi no, sa che farà strada, l’ha detto Belluzzi. Una mano s’è posata sulla sua spalla, una voce le ha detto «avanti». Sí, sí, è proprio come quando al paese i fumi del vino nuovo le salivano alla testa, le pizzicavano il naso. Le compagne, eccitate dai preparativi per la seduta di spiritismo, neppure ricordavano che Silvia era andata a parlare con Belluzzi, e perciò accolsero senza stupore la notizia. Vinca le chiese: – Quanto guadagni? – e ciò l’offese. Soltanto Augusta capí: – È un punto fermo per te, questo – disse. E Silvia s’aggrappò alle sue parole: – Vero? tu capisci che è una certezza? Però ho paura di deluderlo, di non essere quella che lui crede.

Letteratura italiana Einaudi

78

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ma Augusta la rassicurò: – No; tu non deluderai mai nessuno, tu sei quella che sembri. Nel frattempo le altre spingevano il tavolo in mezzo alla camera e il buio le sorprese prima che avessero avuto il tempo di preparare il lume. Valentina súbito chiese sgomenta: – Dove siete? – E allungò una mano a toccare la piú vicina. Vinca accese la lampada, la sollevò per allargare il chiarore, vederle tutte, chiese: – Ma perché volete fare questo? Resteranno maledette le pareti. – Finiscila! – gridò Augusta. – Hai tanta paura? Sediamoci. E Vinca posò il lume sopra la libreria: la luce pioveva sulle teste chine delle ragazze che, gli occhi fissi sulle dita, trattenevano il respiro. Tutte le mani, dapprima incerte, si stesero sul tavolino scuro, l’una accanto all’altra, a cerchio. Valentina chiese: – E adesso? – Aspettiamo cosí, senza pensare a nulla. Sembrava a ognuna che il tavolino palpitasse. Nessuna riusciva ad arrestare i pensieri che, incoerenti e tumultuosi, salivano a galleggiare dal fondo della loro trepidazione. Come certe volte in chiesa, quando si chiude la faccia nelle mani, nascono in testa pensieri cattivi; ci si rimprovera, si sente una disperata volontà di scacciarli e quelli tuttavia non se ne vanno, restano lí imprigionati. Fu Augusta la prima a dire piano: – Si muove. E il tavolo sobbalzò. Tutte di scatto tolsero le mani per riaccostarle poi, timidamente. – Che si fa? – balbettò Valentina. – E adesso? – Fa tu, Augusta! Si parlavano sommessamente, come se qualcuno dormisse nella stanza. Augusta interrogò: – Chi sei? – e la sua voce uscí strozzata, intimorita da quella domanda

Letteratura italiana Einaudi

79

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sospesa nel buio. Tacevano le altre trattenendo il respiro, aspettando quasi che una voce di suono non umano sorgesse dal tavolo. S’udiva bussare leggermente alla finestra, impaurita Vinca cercò uno sguardo per rinfrancarsi: Emanuela le disse col solo moto delle labbra: – È la pioggia. – È vero, è vero che si muove ! – esclamò Vinca e tolte le mani dal tavolino le incrociò sul petto: – Ho paura, Dios mio, ho paura! Valentina, presa dal contagio, sollevò anche lei le mani. Le altre continuavano attente, i loro occhi sembravano scavati dentro fosse livide; per il riflesso del lume si disegnavano sulla bianca parete ombre mostruose, teste di giganti. Il tavolo adesso si scrollava urtando i ginocchi di Vinca e di Valentina che stavano immobili, il sangue gelato nelle vene. – Chi sei? – di nuovo chiese Augusta. Le due ragazze la guardavano ammirate: era molto coraggiosa. È difficile anche entrare in una stanza vuota e parlare da sé ad alta voce. Cosí poi, terribile, con quella lampada, quelle ombre, parlare aspettando che un morto risponda dall’al di là. Valentina e Vinca si cercavano le mani per fare delle loro paure una paura unica. Oltre le pareti altre compagne dormivano; nel silenzio ovattato dal loro sonno, s’udiva l’acqua crepitare sugli alberi della Villa. Il lume a petrolio esalava un filo di fumo verso il soffitto. Valentina pensava: «Perché abbiamo fatto tutto questo?» mentre con voce esitante Augusta insisteva: – Chi sei? Il tavolo trabalzò. Tutte spiavano Augusta; non era piú la loro compagna ormai, la sua faccia era severa e smorta; le gote che aveva pienotte, parevano improvvisamente smagrite. Aveva acquistato un nuovo aspetto, non era neppure piú come quando diceva: «Da noi lo spiritismo si fa

Letteratura italiana Einaudi

80

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sempre, al paese». Tutte la sbirciavano con diffidenza, pur senza distogliere gli occhi dal tavolo. – Sei una donna? Emanuela avrebbe potuto giurare di aver sentito sotto le sue mani un affannoso respiro umano. La domanda di Augusta rimaneva librata nell’aria solenne. – Sei un uomo? Dopo un attimo il tavolino dette un balzo. Sí. Un uomo: un uomo in mezzo a loro, in camera di Anna. La camera fu invasa da questa presenza; egli era dappertutto, dietro le spalle di Valentina, stava per posarle una mano sul collo, una mano senza carne, era appoggiato al comò, era lí tutto bianco, incontro agli occhi spaventati di Vinca, era supino sotto le loro mani. Un morto, pensò Emanuela. E le parve orribile ciò che stavano facendo. Valentina temeva che la stanza venisse invasa dalle fiamme, senza lasciare scampo. O forse è una fandonia, Vinca credeva, le compagne agitano il tavolo per burla, dopo si metteranno a ridere. – Un uomo – confermò Augusta, mentre la sua grassa mano seguitava a sfiorare il tavolino. Era macabro tutto questo. Emanuela s’immaginò seduta a cerchio con le amiche attorno a un feretro. Un vivo imprigionato rispondeva bussando contro il coperchio; un feretro lungo come quello di Stefano. Mai era rimasta sola quella mattina, i quattro avieri sembravano di piombo nella loro divisa, rigidi, occhi distanti, l’arme al fianco, con le baionette nude che nello sbattimento della fiamma delle candele lampeggiavano. – Come ti chiami? – Augusta chiese. Anna supplicò: – Basta, basta! – Se un nome fosse stato detto, un fantasma d’uomo con quel nome per volto si sarebbe introdotto tra le pareti, mai piú ne sarebbe uscito: ogni sera rientrando l’avrebbe trovato ad attenderla col suo nome umano, preciso, basta, basta!

Letteratura italiana Einaudi

81

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ma Augusta, inesorabile, contava i colpi che il tavolo picchiava sul pavimento. Anche Valentina e Vinca, strette, recitavano l’alfabeto, senza suono: – A, B, C, D... Il nome, Emanuela l’aveva visto inciso sulla targa d’ottone della cassa. Comandante Stefano Mirovich. Sí, era il nome di Stefano, ma non era possibile che lui fosse morto e giacesse lí in quella cassa levigata, con le borchie d’ottone polito, dentro un mobile, insomma: qui dentro non ci può essere Stefano. – H, I, L, M... Non conosceva il viso di Stefano morto; Stefano morto: parole che non avevano senso: tutti possono essere morti, meno Stefano, sono cose che càpitano agli altri, impossibile che morisse lui, uno di loro due. – ... Q, R, S... Non va piú avanti. – Nel silenzio pauroso la voce ora arrochita di Augusta chiedeva: – S?... – affermava: – S. – Dopo un’interruzione il tavolo ricominciò a sobbalzare, Augusta riprese: – A, B, C, D... I morti non rispondono, pensò Emanuela, sono pazze costoro se credono di poter parlare coll’al di là come per telegrafo. Ella provava ancora sui ginocchi il freddo dell’impiantito dell’ospedale. E intorno a lei inginocchiata, tutto era immobile: la cassa, i soldati, i fiori, la grande bandiera stesa sulla parete; solo le fiamme dei ceri tremolavano. Ella mormorava: – Stefano, fammi sentire che proprio tu sei qua dentro, o non lo crederò mai. Un segno, dammi un segno, e allora, solo allora crederò. – Ad un tratto s’accorse che le parole le si formavano nella mente come una preghiera, come si parla a Dio; allora capí che veramente Stefano era morto. E fu scossa da fremiti gelidi, le tremarono dentro il sangue e le ossa. – S, T... Un nome che comincia per S T. – Sempre rivolta allo spirito, Augusta domandò: – Io chiedo e tu conferma: Stanislao?... Steno?... Stefano?...

Letteratura italiana Einaudi

82

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

A questo nome Emanuela scattò in piedi, scrollò il tavolo come per scacciarne qualcosa, staccò dal tavolo le compagne a una a una mettendo loro la mano sul petto, le vide alzarsi sorprese: – Basta! Basta! – gridò. – Basta! Questo non ve lo permetto! È uno scherzo, una commedia, vergognatevi, non credo mica che sia vero, se non ha risposto a me, non può rispondere a te, Augusta! La luce – chiedeva – accendete la luce súbito! – E sotto gli occhi stupefatti delle ragazze, girò l’interruttore piú volte a vuoto. La fioca luce odorosa di petrolio, filava al soffitto in una lingua nera e molle. – Pazze siete, pazze e cattive. Come avete fatto a sapere? Poi aprí la finestra, cercando aria pura: entrò un freddo penetrante, umido; ancora pioveva, il cielo che si vedeva al di sopra del telaio era bianco, compatto di nuvole. Emanuela s’appoggiò al davanzale e piangendo chiese: – Perché m’avete fatto questo? I suoi singhiozzi si scandivano nel silenzio, come un grido d’uccello notturno. Le compagne, serrate in gruppo, si sentivano colpevoli, ma senza sapere di che cosa, forse dei nomi che avevano pronunciato o piú precisamente di quel penetrare nel mondo sovrumano. Stavano moge come per una burla finita in tragico; Silvia per prima si mosse, s’avvicinò a Emanuela, pur senza osare parlarle, chiederle. E quando la ragazza alzò la testa, la vide, avanti al gruppo delle compagne, muta domandare la ragione di questa improvvisa pazzia: allora le spiegò, con la voce umida di pianto: – Ho perduto qualcuno che si chiamava Stefano. Silvia disse rattristata: – Scusaci. Ma non lo sapevamo. Non è stato uno scherzo, Emanuela, mai lo avremmo fatto. – Dovevo immaginarlo, infatti, non ho piú capito nulla. – Era il tuo fidanzato? – Valentina le chiese.

Letteratura italiana Einaudi

83

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí... Oh, no, una cosa di tanti anni fa, ma la coincidenza mi ha impressionato. – Ti capisco – fece Silvia – anche io questa sera ero agitata. Abbiamo fatto male. Cominciò a mettere a posto le sedie, Augusta pose di nuovo i libri, gli oggetti sul tavolo perché la stanza riacquistasse il suo normale aspetto e l’accaduto apparisse ancor piú lontano, fosse cancellato addirittura. Sentivano la necessità di sapere di piú, Valentina chiese con curiosità: – Stefano si chiamava? Ed Emanuela chinò la testa assentendo. Nella notte il buio della camera di Emanuela fu pieno di quei colpi sordi del tavolo. A, B, C, D; la voce di Augusta riempiva i suoi orecchi come un ronzío. Piangeva: allora non aveva potuto piangere per Stefano, gli eventi non glie ne avevano lasciato il tempo; pianto sí, aveva, ma per ciò che avveniva attorno a lei, come quando si vedono le case abbattute dal terremoto. Papà l’accusava, mammà l’accusava, in fondo la morte di Stefano, piú che come una tragedia, era caduta su di lei come una cattiva azione. Stesa nel letto, supina: la pioggia aveva ripreso a cadere monotona, pareva il rumore di un corso d’acqua, un torrentello che scorresse oltre la finestra. Lampi rivelavano il cielo ferrigno, poi il buio ripiombava nella camera. Emanuela pensava a Stefano, a Stefano vivo; quando l’aveva visto la prima volta non immaginava che tutta la sua vita sarebbe mutata per lui. Non aveva avuto il tempo di amarlo veramente, pochi mesi! cinque mesi, da quella sera che l’aveva conosciuto. A Firenze si parlava molto di lui, sempre ai posti piú rischiosi, un asso; veniva dal campo di Portorose. Le donne dicevano che era alto e bello. Lei quando l’incontrò una sera a casa di amici, dovette riconoscere che sí, avevano ragione, doveva essere veramente un uomo straordinario, il corag-

Letteratura italiana Einaudi

84

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

gio gli si vedeva negli occhi; tuttavia neppure si era sentita lusingata quando egli le aveva chiesto: – Balliamo tutta la sera insieme, io e lei? – Pensava che era cosa dovuta, aveva un alto concetto di sé, Emanuela: tutta la sera erano rimasti insieme; e quando ella dopo mezzanotte si levò per andarsene, lui fece rammaricandosi: – Oh, già a casa, cosí presto? – Sí, noi abitiamo lontano, a Maiano, sotto Fiesole. – Fiesole – egli aveva ripetuto: – non so perché questo nome mi ricorda sempre i quadri dei primitivi toscani. Ha una casa grigia, un giardinetto con un cipresso? – Sí – ella aveva risposto sorpresa ridendo – proprio cosí, una vecchia casa grigia, un giardinetto con un cipresso. – È ciò che io desidererei avere: ma noi non possiamo avere una casa, non sappiamo mai dove saremo il domani. Dopo qualche giorno l’aveva incontrato sul Lungarno. Era il crepuscolo, ella voleva voltare al Ponte Vecchio, prendere la via del ritorno, ma l’ora era cosí bella che lei, indugiando, aveva deciso di proseguire e prendere l’altro ponte. Due passi dopo, lui. Si scusò perché aveva la barba lunga, veniva dal campo. – Oh! che importa? non si vede – Emanuela disse; e segretamente temeva che, per questo, egli la lasciasse subito. Invece presero a camminare accanto sul Lungarno quasi deserto; uomini a cavalcioni del parapetto pescavano con la lenza, immobili come statue. Anche loro due s’affacciarono al parapetto del fiume guardando giú; sull’altra riva le case nascevano silenziosamente dall’acqua come a Venezia. Si parlava bene, cosí, senza fissare l’uno gli occhi dell’altro, vagando con lo sguardo sul fiume: da lontano si vedeva il verde dei colli e anche le rive dell’Arno erano erbose e fresche. – Io conosco poco, molto poco, Firenze – diceva Stefano Mirovich, – ma ogni giorno ne vedo dall’alto le cupole, quante chiese avete a Firenze! e seguo l’Arno da

Letteratura italiana Einaudi

85

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lassú, seguo il corso del fiume come se andassi in barchetta. – Le presenterò Firenze, allora – ella aveva detto con scherzevole ostentazione. Si vedevano spesso, quasi ogni giorno. Qualche volta incontravano gente di conoscenza per la strada ed ella era felice che vedessero Mirovich con lei, ne era lusingata. Si studiava di apparirgli diversa dalle altre, una donna superiore, un po’ bizzarra e romantica; si proponeva di piacergli e s’accorgeva di riuscirvi. Sentiva che egli cominciava ad amare in lei la graziosa maniera di muoversi, la calma sorridente degli occhi. Istintivamente ricercava per i loro incontri una cornice suggestiva, che le desse risalto. Lo guidava in antiche chiesette romite dove appena qualche donnetta stava inginocchiata. – È questo – Emanuela diceva e gli mostrava sopra l’acquasantiera un piccolo San Giovanni, levigato, polito, patito di vecchiaia, o una pala d’altare, o un pergamo. Certe volte si sedevano sulle panche e poi restavano a parlarsi, bisbigliando, ridendo sommessi, tre, quattro persone nella chiesa, non piú. Una volta scesero in una cappella sotterranea, una cripta. C’era là sotto un freddo umido, da sepolcro, e solo una lucerna era accesa che diffondeva attorno una tremolante luce rossiccia. Era pauroso essere soli là dentro; un grande Cristo bizantino sgranava le dure pupille nell’iride di un bianco lattiginoso e spalancava le braccia sopra la croce che pendeva sull’altare. Emanuela s’arrestò nel mezzo della cappella, incerta. La sua ombra per terra si stendeva all’infinito. Stefano era dietro di lei e le prese le spalle, quasi a darle coraggio. Restarono un attimo cosí, zitti; poi egli la baciò piano sulla nuca, dove gli ultimi riccioli formavano una lanugine appena. – Stefano! – ella lo rimproverò a voce soffocata, intimorita dal sacrilegio. E poi insieme ripresero a salire la scaletta ripida che menava alla chiesa superiore, accosti,

Letteratura italiana Einaudi

86

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

quasi abbracciati. Uscendo trovarono che era giorno ancora e ne furono sorpresi. Stefano nel salutarla le diede del tu. Su su, nel vecchio tramvetto che la riportava a Maiano, fermate, sobbalzi, campanelli, niente sentiva. Una febbre interna, gioiosa le affluiva alle gote, arrossandogliele. Entrò in casa, papà e mammà erano già a tavola, via il cappello, occhi lucidi, denti lucidi, com’è buona la minestra! Il giorno dopo, contemplando il giardinetto di dietro i vetri della sua finestra, aspettava che le ore passassero; i giorni avevano già la fretta del primo autunno. Il cielo era alto e trasparente, le acace si spogliavano, i rami dei platani lungo il viale erano nudi. La ragazza si vestí, ogni giorno un vestito diverso, voleva cogliere l’ammirazione negli occhi di lui, e scese a piedi fino a Firenze, nell’odore sfatto della stagione. Vedendola egli le andò incontro, le baciò la mano, e poi la prese sottobraccio; cominciarono a camminare in certe straduzze solitarie dove le statue sonnecchiavano nelle vetrine degli antiquari tra i damaschi rossi e d’oro. «Sono innamorata» ella pensava. Una sensazione lieve e dolce che non faceva male. Emanuela divorava ogni giornata, nell’ansia dell’ora degli incontri, avrebbe voluto arrivare agli appuntamenti di corsa. Stefano che sempre camminava tenendo il braccio sotto quello di lei, le lasciava sulla manica il sentore delle sue sigarette ed Emanuela temeva che in casa avvertissero quell’odore inconsueto. Ma erano distratti, i suoi, mammà faceva interminabili lavori a maglia, seduta al pallido sole del giardinetto, papà leggeva sempre; sovente, quando ella andava a Firenze, l’incaricava di comperare un libro per lui. – Ecco il libro, papà – e temeva che le chiedesse: – Dove sei stata? Venuto l’inverno, Emanuela e Stefano andavano a prendere il tè nel cortile coperto di un antico palazzo,

Letteratura italiana Einaudi

87

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dietro via Tornabuoni, frequentato da vecchie inglesi le quali prendevano il tè leggendo; nella sala c’era anche una piccola biblioteca; casti romanzi rilegati in tela rossa. Bisognava parlare sottovoce se no, da dietro gli occhiali, sguardi minacciosi si svegliavano. Emanuela e Stefano si soffiavano le parole negli orecchi, mangiavano biscotti salati o paste al cioccolato. Mai c’era un’altra coppia come loro. Sotto qualche tavolo delle vecchie inglesi, cani sonnecchiavano. Un giorno, poco dopo che ella era arrivata all’appuntamento, lui disse: – Prendiamo un tassí. – E lei approvò sorridendo senza sapere dove sarebbero andati, incuriosita e tuttavia con una punta d’incertezza nel fondo dell’anima. Una traversa del Viale dei Colli, una stradetta in discesa, pietrosa; il tassí sobbalzava, infine s’arrestò a una porticina. Emanuela scese leggera e guardò attorno volendo apparire disinvolta, ma non sapeva che cosa significava questo, né dove fossero. Egli aprí con una chiavetta, maldestro, poi spinse l’uscio e la lasciò passare. Sempre Emanuela sorrideva. Dentro c’era odore di vernice e di chiuso; pochi mobili: un ampio divano, un grande specchio con la cornice d’oro nuovo; quasi buio, appena un po’ di chiarore passava dalle persiane. Stefano le spalancò: sotto s’aprí tutta Firenze, l’Arno rigonfio come una treccia, le case rosse, i ponti che scavalcavano il fiume. Emanuela ebbe un’esclamazione di maraviglia e s’affacciò: ma l’interna inquietudine non cessava. Non osava dire: «Andiamocene, che siamo venuti a fare qui?» A lungo contemplarono insieme Firenze, zitti, vicini, turbati da quella solitudine. Stefano le carezzava il collo, le spalle, facendole socchiudere gli occhi per la gioia. Lentamente fuori imbruniva; entrambi rabbrividirono di freddo; allora Stefano richiuse la finestra, strinse Emanuela nelle braccia, a lungo la baciò, poi la prese.

Letteratura italiana Einaudi

88

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ritornando a Maiano, Emanuela stringeva tra le dita la chiavetta che Stefano le aveva data lasciandola. – Domani andiamo a prendere il tè al Cortile, vuoi? E dopodomani è domenica: potremmo mangiare qui, una colazione fredda, buona, non ti diverte? sarà un giorno tutto per noi. Puoi essere libera? – Ella aveva annuito sempre muta, poi l’aveva baciato a lungo, come grata, prima d’uscire fuori. Freddo acuto, nella stretta via sassosa. Arrivò a casa in ritardo e spossata, a tavola non aveva la forza di parlare: papà le chiese a un tratto: – E il libro, Emanuela? – e lei guardava attenta nel piatto della minestra, senza osare d’incontrare gli occhi di lui; poi disse: – Non l’ho preso, papà. – Adesso egli avrebbe almeno domandato: che hai fatto, dove sei stata? Disse invece: – Domani allora – e lei promise rinfrancata: – Domani. Inverno rigido; ormai Emanuela e Stefano si trovavano spesso nella casetta del Viale dei Colli. Quando Emanuela entrava, trovava Stefano che leggeva i giornali o, in piedi dietro i vetri della finestra, guardava accendersi i lumi della città. Ella entrava raggiante, si toglieva il cappello e i guanti, andava ad abbracciarlo proprio come se entrasse in casa propria. Mai aveva detto: – Perché abbiamo fatto questo, Stefano? – Era felice. Provava una gioia quasi infantile nel riconoscere l’odore dei capelli di lui, nel ritrovare quel gesto abituale che egli aveva di toccarsi il collo, la gola, sapeva quanti bottoni ci sono alla divisa e come si fa a sciogliere il nodo della cravatta, lo aiutava a rimettere i gemelli nei polsini, mentre lui le dava piccoli baci sulla nuca china, sui capelli. Le piaceva questa loro intimità segreta, di avere domestichezza con la vita di lui. Neppure si doleva che Stefano non le avesse mai detto: «Ti amo». A lungo distesi accanto sul divano parlavano fumando. Quella era l’ora migliore; una grande calma posava su di loro, una distesa pace. Parlavano dei voli di Stefa-

Letteratura italiana Einaudi

89

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

no. Quando lui parlava di aeroplani, Emanuela, mutando improvvisamente la voce, gli diceva: – Ho paura. – E lui: – Io non ho piú paura da quando ci sei tu. So che m’aspetti e devo ritornare. Una volta fece: – Purché non mi promuovano. – E súbito Emanuela esclamò: – Oh! sarei felice. – Ma Stefano taceva. – Non saresti contento? – Emanuela gli chiese. – Se mi promuovono – egli spiegò – certo mi cambiano destinazione. Tacquero entrambi: non avevano acceso la lampada, dalla finestra entrava la luce giallastra di un fanale che solitario ardeva nella viuzza; nel buio della camera si vedevano ravvivarsi le punte rosse delle sigarette, tornare a spegnersi dopo un attimo. Emanuela trovò per prima la forza di parlare: – Lontano? – chiese. – Non so, lontano o vicino, non so. Ma non posso pensare di andare in una città dove tu non ci sia, Emanuela. Nulla avrebbe piú scopo per me: nemmeno il volare. – La ragazza pensava: «Se ne va, se ne va: per questo adesso mi dice che mi ama». Piú volte si vide nell’ombra ravvivarsi la punta rossa della sigaretta di lei: s’udí un passo nella stradella, due passi, voci alzarsi nel silenzio, tacersi. Stefano fumava guardando sul soffitto proiettarsi a cerchio la luce del fanale. – Ho pensato che prima di questo io e te dovremmo sposarci. Se anche tu come me, naturalmente, non puoi fare a meno di... di... tutto ciò. – Sí, anche io – ella disse – come te. Stefano le carezzò i capelli a lungo, zitto; poi parlarono d’altro. L’indomani le portò lo smeraldo ed ella tornando a casa annunciò: – Sono fidanzata. Pochi giorni dopo Stefano conobbe la casa, il giardinetto, il cipresso. Una settimana ancora non era passata: Emanuela, entrando nella casetta dal viale, trovò buio dentro, una luce ultima sui vetri. Nessuno nella camera: ella gridò ri-

Letteratura italiana Einaudi

90

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dendo: – Stefano! no, no, Stefano, ti prego, non mi fare paura! – Era nascosto, certo, e sarebbe uscito fuori di soprassalto: – No! Stefano, no! – I suoi gridi rimasero appesi al buio. Accese la lampada, guardò di qua, di là. Non c’è davvero, Stefano. Forse è già venuto e ha lasciato un biglietto. Non c’è nulla. Sono appena le quattro e mezzo! Senza togliersi i guanti, la pelliccia e il cappello andò ad accostarsi al termosifone, si strinse lí per riscaldarsi. Un passo discendeva la strada: «Eccolo; che dirà vedendomi questa pelliccia nuova?» già sorrideva Emanuela. Il passo superò la porta scese in basso, tacque. Le cinque. Ormai aveva letto tutto il giornale che fino due giorni prima aveva dimenticato sul tavolino. Certi momenti, interessata dalla lettura, si dimenticava perfino di stare aspettandolo. «Che sia andato al tè del Cortile? No, s’era detto qui, proprio qui. Sarà stato trattenuto per servizio, adesso arriverà». Aspettava cercando di pensare ad altro, perché il tempo passasse piú presto. E invece rimaneva tesa in ascolto ai rumori della strada; essendo la camera poco alta sulla via, s’udivano i discorsi delle persone che passavano. Nell’appartamento di sopra un pianoforte suonava. «C’è ancora chi studia il pianoforte». Quanti anni di studio, da bambina, ore e ore d’inverno: la maestra picchiava con la bacchetta sulle mani intirizzite e doveva soffocare l’impeto di ribellarsi; attendeva l’ora della lezione con terrore quasi, se la maestra ritardava di cinque minuti pensava: «che bellezza, non viene piú, non viene piú» e invece d’un tratto squillava il campanello. Quanto tempo è passato! quanto tempo era che non sentiva studiare il pianoforte! si sente certe volte in campagna, d’estate, nelle ore pomeridiane; questo è il valzer triste di Sibelius. Appena torno a casa apro il pianoforte, mi metto a suonare. Buia, tutta buia la camera, la strada è piombata in una grande pace, pare ascolti anche lei la musica. Dopo poco anche il pianoforte tacque. Vado via ora, vado a telefonare.

Letteratura italiana Einaudi

91

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Passa una donna sulla strada, si sentono battere i tacchetti. È con lei una bambina che piange, e lei la trascina, si sente, senza neppure badarle. Si chiude un portoncino e il pianto tace. Emanuela uscí, la strada era deserta, davanti all’uscio chiuso attese un poco prima di avviarsi. Nessuno. Sopra la sua testa il pianoforte aveva ripreso a suonare. Trovò il telefono in un bar a Porta Romana: gente fumava, beveva, s’udiva l’urtare sordo delle palle del biliardo. – Pronto... l’aeroporto? – Sí. – Vorrei parlare al comandante Mirovich. – A chi? – Al comandante Mirovich. – Al comandante Mirovich?... – Non si udí piú nulla, eppure certo l’aviere era rimasto lí, al microfono; Emanuela insisté: – Pronto, pronto.... Infine dall’altra parte la voce rispose: – Attenda. Attese molto tempo; la ragazza del bar ogni tanto la guardava, anche gli uomini che sedevano ai tavolini la guardavano, l’aria era densa di fumo, s’udivano cozzare le bilie, ridere i giocatori; nel microfono, silenzio. «Forse è stata tolta la comunicazione.» Le tornava alla mente una frase di Stefano: «Questi maledetti apparecchi nuovi...» Inquieta seguitava a chiedere nel microfono: – Pronto, pronto. Qualcuno rispose infine, una voce diversa dalla prima, certo un ufficiale; chiedeva: – Chi parla? – Voglio parlare al comandante Mirovich. – Chi parla? Per la prima volta ella disse, sperando di ottenere qualche cosa di piú: – La sua fidanzata. Ma anche l’ufficiale come l’aviere tacque; disse dopo un momento: – Il comandante è fuori, in volo. – In volo? A quest’ora?

Letteratura italiana Einaudi

92

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí. – Ma dove? – Non sappiamo; è in volo. – È accaduta una disgrazia? Mi dica! – Disgrazia? no, no, signorina. Ma lei aveva già riattaccato il ricevitore. Uscí dal bar, cominciava a piovere, le gocciole le cadevano sul viso, camminò, girò di lí intorno, non c’erano tassí, che disperazione, faceva segno a tutti i tassí che passavano, la gente da dentro la guardava stupita: non vede la bandierina abbassata? Il freddo le mordeva le caviglie: come si fa, come si fa, pensava, bisogna andare al campo. E infine un tassí vuoto passò, ella disse: – Al campo d’aviazione, presto, piú presto che può, – l’autista borbottò: – Si slitta... – e partí lentamente. Passavano avanti agli occhi di Emanuela case sempre piú rare, lampioni, distributori di benzina, pioveva, pioveva: il tassí s’arrestò a un cancello. È qui. Quando si trovò in presenza dell’ufficiale Emanuela capí súbito che si trattava di cosa grave. Era, lo ricordava perfettamente, alto e bruno, forse d’abitudine doveva avere un colorito roseo, ma allora era pallido, spiegava affrettatamente, diceva che era un volo lungo, molto lungo, ma la ragazza, mentre lui parlava, scoteva la testa vieppiú recisamente e intanto pensava che se fosse stata cosa da nulla, un piccolo incidente, già glie lo avrebbero detto, ormai il povero tenente alto cosí, grosso cosí, pareva un bambino, non sapeva piú che dire e, temendo che fra di loro si formasse il silenzio, seguitava a dare particolari. Poi tacque. Allora Emanuela chiese recisa: – Dove è caduto? Come se non avesse parlato affatto, come se le sue parole di prima non fossero state udite, l’ufficiale rispose piano: – Vicino Bologna. Serena, quasi senza soffrire, ella domandò: – Morto? – È grave. – Dove sta? – All’ospedale di...

Letteratura italiana Einaudi

93

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Lí giunse che era notte profonda. Non una vettura alla stazione, sulla piazzetta un solo lampione infreddolito. – Dov’è l’ospedale? – Di qui, poi volti a destra, poi a sinistra, su, su il viale grande. Buio compatto, silenzio che le faceva sembrare colpevole il battere delle sue scarpe sul selciato. Temeva che qualcuno si affacciasse alle finestre e lei dovesse scusarsi di essere là, dare spiegazioni. Buio. Ora a destra, a sinistra. A qualche cantonata un lampione, dagli usci socchiusi delle stalle sfiatava un caldo odore di strame, sembrava che ombre sgusciassero fuori dei portoncini, lungo il viale gli alberi si disegnavano in aspetti fantastici e spaventosi, ed ella, quasi dimenticandosi di Stefano, cominciava a temere per sé. Non sentiva piú che se stessa, provava la sensazione di essere in un’impresa eroica. Infine apparve il fanale rosso dell’ospedale. Era arrivata e si rassicurò, non pensava piú che Stefano poteva essere morto; sentí che la sua peripezia notturna era finita, provò una sicurezza di porto raggiunto: sarebbe entrata in una stanzetta, avrebbe potuto buttarsi sul letto di Stefano, raccontargli i disagi del viaggio, dirgli tutto quello che aveva fatto per sapere la verità, per giungere fino a lui, e l’incubo di quel buio avventuroso. Lunga attesa prima che le venisse aperto, intorno tutto era sepolto nell’oscurità, «eppure» ella pensò, «tra poco è l’alba». Entrando chiese con voce dimessa. Sono venuta per vedere il comandante Mirovich. – Non si può, fino a quando non l’avranno incassato – rispose l’infermiere. Neppure pensò di aver capito male. Morto: già finito tutto, la cassa. Pensò queste cose calmamente, appena un piú vivo battere del cuore, un doloroso gricciore ai polsi, nella pelle. Morto. Ed ella lí ferma a parlare con l’infer-

Letteratura italiana Einaudi

94

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

miere, Stefano non poteva piú saperlo che era giunta fin lí, lei, ancora viva. Le balenò un’immagine di quando era bambina, a scuola; un giorno in cui la maestra dovette dire a un’alunna che, tornando a casa, avrebbe trovato la madre... malata, la madre grave, sí, insomma, la madre morta. La ragazzina urlò. I corridoi, l’aula, tutta la scuola si scosse all’urlo; un secondo urlo piú roco e infine il nome, il nome, un’ invocazione straziante, urtava le pareti: – Mamma! mamma! – senza pianto; poi tacque e crollò in terra, svenuta. Cosí ella avrebbe voluto, adesso forse un urlo disumano esploderebbe, ma no, no, non cade, resta lí, zitta senza perdere la conoscenza vivendo ogni attimo di quell’ora tremenda. Disse: – Vorrei vederlo súbito, chiudergli gli occhi... – Oh, gli occhi... figlia mia, non ci sono piú gli occhi... – Disse questo con crudele dolcezza. Alle sei sarebbe potuta entrare, alle sei, che aspettasse qui in sala. Cosí Emanuela rimase chiusa nella stanza fredda che odorava di disinfettante, il pianto la stringeva, ma non riusciva ancora a sciogliersi; pensava sempre a quella frase dell’infermiere: «Non ci sono piú gli occhi». E adesso ricercava gli occhi di Stefano, li rivedeva in ogni particolare, quella girandola gialla nel verde dell’iride, i cigli folti e neri, una piccola cicatrice all’angolo dell’occhio sinistro. «Non è una ferita gloriosa» diceva «una caduta in Accademia. «Non ci sono piú gli occhi di Stefano.» Non poteva dimenticare gli occhi duri che aveva quando disse: «Questi maledetti apparecchi nuovi...» Dove sono gli occhi di Stefano? Soltanto questa domanda torturante nella mente, forse questo per lei era come piangere, come un singhiozzo, forse in quella domanda si estenuava, e anche quando fu inginocchiata vicino alla bara e osservava gli occhi vivi degli avieri, rabbrividendo immaginava Stefano composto là dentro, nell’uniforme azzurra, lisciato e pettinato sí, ma con due vuoti orrendi nelle orbite, due rosse caverne. Dove sono gli occhi di Stefano?

Letteratura italiana Einaudi

95

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Mai pianse: inginocchiata, seduta sui calcagni, le dita intrecciate in gesto di preghiera: immobile anche lei nel silenzio gelido. Cosí trascorse il primo mattino: finché ad un tratto, oltre la porta s’udí un pianto straziato, e l’infermiera entrò bisbigliando: – È arrivata la madre. – Era come stare fuori dell’aula, a scuola, mentre urlava la ragazzina che ormai era orfana. – Dove sta? dove sta? Emanuela si ritrasse verso il muro, vicino alla ghirlanda d’alloro. Intanto s’apriva la porta. – Figlio! – Una forma nera entrò, cadde sulla bara. La ragazza non ne scorse il volto, solo udí quel grido, vide quelle mani tastare il legno: uscí fuori, riprese il viale grande, partí. Restò qualche giorno in letto malata, una febbre da nulla, una febbre nervosa, lesse sul giornale che «in un volo di prova, per cause imprecisate un apparecchio dell’aeroporto “Luigi Gori” era precipitato; il pilota, comandante Stefano Mirovich, che non aveva potuto usare il paracadute, era deceduto.» Niente piú di queste due righe. Accanto c’erano i nuovi prezzi del grano, sotto la notizia dell’arrivo in Italia di Jeannette Mac Donald. Fu colpita dalla parola: deceduto. Stefano era deceduto. Niente piú di questo: un avviso anagrafico. La madre se l’era portato via, a Fiume, a casa, forse neppure sapeva che non c’erano piú gli occhi. Tutto scomparso, anche il ricordo dell’Arno che insieme avevano guardato scorrere placido, anche la casetta del viale dei Colli, quel buio nel quale si vedevano accendersi le teste rosse delle sigarette, s’udivano le loro voci. Nessuno sapeva tutto ciò, era come se non fosse mai stato. Ella aveva conosciuto poco della vita di lui, la loro era una strana intimità, quella vera stava per cominciare. Ed ecco Stefano «era deceduto». Provava un gusto aspro nel ferirsi con questa verità, telefonava al campo per sentirsi rispondere: «Non sa? è morto, il comandante Mirovich», poi riappendeva il ricevitore. Per farsi male come, quando le doleva un dente, s’accaniva con l’unghia contro la gengi-

Letteratura italiana Einaudi

96

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

va. Ma si tappava gli orecchi quando sulla casa passava il rombo d’un aeroplano. Un soffrire opaco e mite che somigliava a una grande stanchezza. Le pesavano addosso le membra; sedeva in giardino inoperosa, le mani sul grembo, mani fredde come pietre; altre volte s’attaccava alle sbarre del cancello e guardava la gente che passava fuori, andava verso Firenze, seguiva i loro passi finché poteva, come imprigionata e trattenuta da una misteriosa inerzia. Quando cominciò a temere che la cosa terribile potesse essere vera, allora tornò a sentirsi viva. No, non era possibile. Ormai che Stefano era morto, come poteva ancora tenerla legata a sé? Non doveva avere seguito la loro storia, altrimenti egli non avrebbe potuto andarsene cosí; come fare? ella cominciò allora a uscire, per distrarsi, per convincersi che tutto seguitava, che ogni cosa, e anche la sua vita, seguiva il suo corso normale. Tuttavia non poteva pensare ad altro, quel pensiero era lí fisso, un chiodo, neppure piú le cose le faceva vedere, neppure un attimo l’abbandonava. «Stefano», andava mormorando per la strada; non è possibile, dentro il suo petto s’agitava una grande ribellione, no, no, che dirò a papà e mammà? Le ripugnava il pensiero di avere in lei una creatura viva che accaparrava il suo sangue, la sua vita, che cresceva in lei a suo dispetto, che era padrona della sua esistenza già prima di nascere. Ogni giorno che passava quest’essere sordamente maturava in lei. Come potrebbe nascere un figlio senza padre, senza nome? Se è proprio sicuro – ella pensava serenamente – c’è sempre un rimedio: mi butto nell’Arno. Adesso aspetto, non devo disperare. Si calmava pensando che alla peggio un giorno avrebbe potuto fare un salto dal ponte e tutto si sarebbe risolto. Ma non si pensava veramente morta, soltanto la sua pena sarebbe morta con quel gesto, le sembrava quasi che, se si fosse gettata, sarebbe bastato rimanere un po’ di tempo tuffata, senza respirare, e cosí,

Letteratura italiana Einaudi

97

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

come in un sonno, avrebbe lasciato cadere questo peso nel fiume; ella sarebbe risalita sulla sponda, avrebbe ripreso la sua vita liberata da quest’incubo, dal timore del figlio, dalla scomparsa di Stefano. Era come se tutto ciò restasse nel fondo del fiume, niente accaduto, e lei, Emanuela Andori, di nuovo a spasso per le vie di Firenze sorridente nel fermento della nuova stagione. Non può nascere, bisogna che faccia il salto, non c’è altro rimedio, è semplice: cosí pensava una sera seduta nella sala da pranzo; la madre lavorava accanto a lei. È deciso. Cercò di rasserenarsi nella certezza della decisione presa; e però, pensando che morire significava essere poi chiusa in un mobile lungo e stretto come Stefano, essere dimenticata, sí, dimenticata, chi vive piú per i morti? chi pensa che sono stati creature vere? non avere piú occhi, non vedere piú, non piú toccarsi la pelle e sentirsi viva e calda, neppure soffrire la pena di vivere, allora, udendo nel suo silenzio il ticchettio dei ferri della madre, ad un tratto si volse verso di lei e cominciò a piangere, senza dir nulla, a piangere, a singhiozzare, finché non la vide accostarsi, chiederle che avesse, mammà cosí vecchia, mammà cosí diversa da lei; e quando ne sentí il calore della gonna, le sbarrò gli occhi in faccia, gridò: – Mamma mia, sono rovinata! Sei anni, già passati sei anni e Stefano è ormai uno scheletro nella fossa, proprio solo uno scheletro. Terribile. La divisa sarà afflosciata, ci sarà ancora la divisa? È spaventoso tutto ciò, Emanuela non osa guardare attorno, forse ora entra, entra e mi parla con una voce di vetro o di metallo. Che voce avranno i morti? Forse era venuto nel tavolino stasera a raccontare come era stata la fine, c’è un rumore assordante nelle orecchie di Emanuela, come se il motore stesse al piano di sopra o nella camera di Milly, un fracasso assordante, cadendo forse è passato sulla casa, l’apparecchio brancola..., cade, s’avvita nel cielo, risale, lasciando una scía luminosa, accesa

Letteratura italiana Einaudi

98

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

di rosso, rosso come il fanale dell’ospedale, gèttati! Stefano, presto, gèttati col paracadute!, ma non è facile, non è facile come buttarsi giú dal ponte, il ronzío del motore le lacera gli orecchi, c’è la voce di papà, la voce di mammà, la voce di Stefania, tante voci, tante persone, Stefano è caduto, bruciato, a pezzi, non ci sono piú occhi; chi sa, uno di qua, uno di là; niente è rimasto di lui, neppure lo smeraldo, Xenia se l’è portato via, solo l’apparecchio gira nel cielo come una cometa, ingigantisce, ingigantisce, volteggia attorno alla terra, tutti sono affacciati e strillano, credono che sia la fine del mondo, scappano, si salvano, lei sola qui, legata al centro della terra, attaccata qua perché ha Stefania e non può scappare. Stefania fugge, le compagne fuggono, l’abbandonano, il ronzío s’avvicina, la cometa cade, la urta, si sente precipitare, precipita. * Il giorno di Natale a Roma nevicò; e questo fu per il “Grimaldi” la sola ragione d’allegria; il cortiletto si faceva bianco, le mimose incanutivano, anche i bambú acquistavano nobiltà da quel candore, pareva spuntassero finalmente i fiori tra le foglie ostili. Piovve tutta la notte e poi invece al mattino, dapprima trasparente e impalpabile, poi veloce e fitta, la neve cadde per molte ore di seguito. Infine, quando tutto fu bianco, cessò. La malinconia delle ragazze sembrava essere blandita da quell’albore che le riportava verso anni innocenti e dimenticati. Fissavano la neve calare morbida, in bioccoli, e rivedevano l’ovatta che si posava sui loro alberi di Natale quando erano bambine. E stavano sospese in attesa di qualcosa, come quando, allora, attendevano impazienti fuori la porta del salotto, dentro il quale papà trafficava con le lampadine e i fili elettrici attorno al presepio, mammà avvolgeva i doni nella carta velina rosa.

Letteratura italiana Einaudi

99

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Vergognose di lasciarsi sorprendere nei ricordi cercavano di apparire allegre, ma era un’effervescenza che si placava presto. Ognuna si chiudeva di nuovo nei propri pensieri: cercavano soltanto di tenersi legate perché dal patire comune nascesse una sorta di forza rasserenatrice. Vinca diceva: – Fino a ieri credevo di soffrire per la lontananza dal mio paese; ma adesso ho capito: è Luis. Papà m’ha scritto che ormai in Spagna si vive in calma, se voglio posso tornare. Mi sono sentita agghiacciare all’idea di partire; poi ho dato la colpa alla matrigna, pensavo: «È perché non voglio tornare a vivere con loro». Tu non puoi capire, ma è terribile vedere una ragazza giovane, che ha quasi la tua età, che è la moglie di papà e ogni sera si chiude in camera con lui, dove dormiva la mamma. Sai? ha due anni soltanto piú di me, è buona, vorrei averla per amica, ma cosí... Per me è come se mio padre si portasse in casa un’amante. E invece mi sono accorta che non è per lei; è per Luis. Ieri quando gli ho detto «Parto» ha risposto: «Beata te! Non avrei mai pensato che mi abbandonassi tanto presto. Però fai bene ad andare». Mentre mi parlava cosí ero decisa a partire: «Che gliene importa?» pensavo, e invece tornando a casa ho scritto a papà che resto qui a studiare, e avevo in me una rabbia profonda, verso Luis, una cosí potente ribellione al fatto di non poter agire come voglio, per cui súbito ho capito che è finito, non sono piú io, m’è caduta la tegola in testa, sono innamorata. Terminato il pranzo rimasero a discorrere quasi per ritardare l’approssimarsi di un pomeriggio vuoto. Che può fare chi è solo in una città il giorno di Natale? Tutto era bianco oltre le finestre, il riflesso della neve illividiva i volti delle ragazze. Già cominciavano a tacere. Suor Lorenza s’avvicinò e disse loro: – Cantiamo. Le sentiva lontane: dopo la fuga di Xenia temeva di non possederle piú, aveva capito che tutte, in fondo, non desideravano che liberarsi, uscire. La sera andava a

Letteratura italiana Einaudi

100

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

toccare il cancello per assicurarsi che fosse ben chiuso, certe volte neppure dormiva, l’orecchio teso. Una notte le era sembrato di udire passi scendere cauti le scale, raggiungere il vestibolo; s’era vestita in fretta ed era scesa ravvolta nello scialle, neppure la cuffia in testa. Ma tutto era normale, dietro le porte delle ragazze c’era sonno e respiro. – Sí, cantiamo. Le ragazze stavano sedute: in piedi in mezzo a loro suor Lorenza batteva il tempo con le mani. Tutte avevano voglia di cantare: il canto le riportava verso anni trascorsi, anni leggeri, sereni; cantavano senza guardarsi, fissando un punto nel vuoto, ad ognuna nella mente s’apriva una casa che le altre non conoscevano, volti, abitudini ignote. Si riposavano nella maestosa vecchiezza del canto appreso da bambine. E intanto guardavano battere le mani della suora che placavano l’amarezza comune. Quando fu finito nessuna si mosse, anche la suora restò con le mani incrociate come se dovesse ricominciare. Finché Emanuela levandosi di scatto chiese: – E adesso? Augusta fece: – Andiamo in camera mia. Alle cinque mangiarono i fichi secchi del cesto di Silvia, bevvero il vino delle tenute di Anna, si fecero portare le castagne arrosto. A poco a poco per il loro fiato si fece piú caldo nella stanza, un caldo animale. Perfino Milly che era sempre pallida, aveva le gote accese. Riscaldate dal vino le ragazze parlavano eccitate, facevano progetti per il futuro, narravano degli interessi comuni, come se le case che stavano in Puglia, in Sardegna, in Toscana, fossero una sola casa comune. Vinca descriveva la sua casa che era vicina a quella di Luis, a Còrdova, e diceva della pena che entrambi avevano, in questi giorni, ad essere fuori di Spagna: – Io sono piú abituata, è il terzo anno, ma lui...

Letteratura italiana Einaudi

101

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Valentina l’interruppe bruscamente come seguendo un suo pensiero: – Che fa Luis? ti sposa? – Che ne so? Non so neppure se veramente mi vuol bene. A volte torno a casa convinta che m’adora, altre volte che si diverte con me e poi sposerà quell’altra. – Quale altra? – Sol, una che c’è in Spagna. – Sol... Sole vuole dire? – domandò Milly. – Già. – Che bei nomi avete voi laggiú. Sol... S’è mai inteso un nome piú bello? Vinca tacque infastidita. E Valentina insisteva: – Io lo saprei se mi ama. – Storie, come faresti? – Se ti ama, ti sposa. – Davvero? E se invece amasse me e sposasse quella che sta laggiú? Sta vicino a casa sua, i loro poderi formerebbero una bellissima proprietà sotto l’occhio compiaciuto dei parenti. Io non ho niente, niente, e studiando cosí, davvero non prometto di guadagnare. Soltanto gli uomini ormai arrivati nella vita possono sposarsi una ragazza senza un soldo e neppure quelli lo fanno. Lo ha fatto papà, per esempio, il quale non pensava che a quella ragazza e non ha avuto pace finché non l’ha avuta con sé, ogni ora, ogni gesto per lui. È una forma d’egoismo, avarizia anche quella. Per i giovani il matrimonio è come una seconda laurea, quella che serve di piú. – Ma Luis è un artista! – osservò Silvia. – Anche per questo, doppiamente per questo. A un architetto che fa la fame sarà affidata tutt’al piú la costruzione di un pollaio razionale. E quello rimane contento perché porta a casa qualche giorno di pagnotta per la moglie e i ragazzini. Chi oserebbe affidare meno della costruzione di un ministero a un architetto che si presenta nella sua otto cilindri e quando t’invita a pranzo ha il ser-

Letteratura italiana Einaudi

102

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vitore in guanti bianchi che ti cambia i piatti? Da noi ce ne saranno molti di ministeri da ricostruire! – E Sol è ricca? – Che ne so? Chi la conosce? È certo che lo sarà. Che interesse avrebbero i genitori di Luis verso una ragazza povera? Milly l’interruppe: – Mi fai sempre male, Vinca, quando parli cosí. – Ella sedeva accanto a Emanuela, per lei soltanto era venuta su. – Spogli le cose di ogni poesia. Non pensare a nulla, ama il tuo Luis. Che importa il resto se le vostre anime sono vicine? Voi potete andare a passeggiare insieme, tu parli certe volte di aver percorso con lui bellissimi sentieri, ne riporti le foglie, ce le mostri, e poi ora ti amareggi cosí. – Perché lo amo e penso al futuro. Prima mi piaceva di lui soltanto quella nostra lingua spagnola, era un pezzo di casa mia che mi sentivo vicino, per quella mi lasciavo baciare. Adesso ho capito che gli voglio bene, che farò sempre ciò che lui vorrà, contro tutto e contro tutti. – Se è cosí, io non capisco come tu possa dire di amarlo adesso soltanto. Si può coltivare l’amore come una pianticella sul davanzale? – Già: la pianticella era sul davanzale, ma io non avevo ancora aperta la finestra. – Non ti capisco. Silvia le interruppe: – Come potreste capirvi? Anna chiese a Vinca: – Perché oggi non sei uscita con Luis? – Ecco, brava, tu oggi va a capire se mi ama. Dice che doveva uscire con gente di architettura. Su questo tacquero e ripresero a far cricchiare le bucce delle castagne, poi Milly disse: – Ognuna di noi ha una diversa maniera di pensare all’amore. – Qualcuna anche – fece Augusta non vi pensa affatto.

Letteratura italiana Einaudi

103

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non è vero – ribatté Vinca. – Soltanto c’è chi lo confessa e chi no. – Perché dici questo? – soggiunse Silvia. – Augusta ha ragione. Vinca insisteva scrollando la testa: – Ipocrisia, ipocrisia! Hai confessato fino a ieri, che nessuno mai ti ha guardata; tu ammetti che questo mondo esiste poiché t’accorgi che ti esclude, e cerchi di convincerti che sei tu a tenertene fuori. Allora ti butti nel lavoro: il lavoro è per te un surrogato dell’amore tra uomo e donna. Ti dài a lui come a un uomo, sei venuta a dirci che avevi il posto da Belluzzi e avevi una faccia... Non te ne sei accorta che per la prima volta avevi un viso da donna? La tua femminilità si esaurisce nel cervello. Bisogna bene che quell’esuberanza che è in noi vada a qualche cosa, se non si vuole passare nella vita come un gatto o un cane. – È vero – ammise Valentina. Vinca insisteva: – E quando esci dalla tua stanza dopo aver scritto quattro pagine della tesi – oggi quella, domani altra cosa – hai la faccia scomposta, stanca, scommetto che ti senti la stanchezza sotto gli occhi, nelle gote, vero? proprio come quando io esco dal cinema con Luis. – Vinca! – Perché t’offendi? Da bambine eravamo ugualmente innamorate di qualcosa, un oggetto o magari la maestra di scuola, una compagna. L’amore è in noi fin da quando si nasce, allo stato potenziale. Io mi scrivevo il nome di una compagna, Bellita, con la punta di uno spillo sulla pelle di un braccio. Non gliel’ho detto mai. Naturalmente se vi penso adesso, ne rido. Tutte abbiamo fatto cose simili – fece Augusta. E Valentina si sforzò di ridere: – C’è un’aria di confessionale qua dentro. Silvia giocherellava col lapis, assaporava lentamente il vino, poi disse: – Hai ragione, Vinca, quasi m’hai offeso, volevo alzarmi e andarmene, ma no: hai ragione. La sola

Letteratura italiana Einaudi

104

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cosa che io possa è il lavorare. Ma sentite; a costo di studiare, logorarmi gli occhi tutta la vita, alla fine riuscirò. Seguitavano a confidarsi: da principio sembrava avessero tutte un po’ di pudore delle loro aspirazioni, poi, a poco a poco, mettevano la carne al vivo, perfino s’avvicinavano, si toccavano per meglio comunicare, finché Silvia osservò: – Però è bello stare a discutere cosí tra noi, tutte donne: se ci fosse un uomo, non avremmo osato parlare, neppure davanti a mio padre io avrei potuto, anzi con lui meno che con gli altri. Noi donne siamo sincere soltanto tra donne. C’è una solidarietà singolare tra noi. Intorno alla donna che sta per avere un bimbo, le donne accorrono per un istintivo bisogno di solidarietà in quel momento che loro soltanto patiscono. L’uomo si sente respinto, scacciato quasi, non sa piú dove volgere lo sguardo, nessuna di quelle che è lí ha pensiero per lui, appena gli rispondono. Non è cosí? C’è sempre ostilità verso l’uomo. Se non altro quella di non poter fare a meno di lui, non fosse che per nascere. – È l’harem – disse Valentina. – Credete che non fosse onesto e giusto l’harem? – Anche gli uomini hanno i loro conciliaboli segreti – osservò Anna. – Da noi al paese, dopo la cena, gli uomini accendono il sigaro, mettono il cappello, dicono: vado al caffè. Evadono dalla famiglia. In famiglia sono circondati da donne, vanno anche loro a parlare di quelle cose che a noi non dicono mai, come noi a loro. Quando papà è uscito di casa, io e la mamma parliamo piú liberamente. – Sí, è vero – fece Augusta – direi che usiamo perfino un’altra voce. Avvicinate, unite, Milly ed Emanuela ascoltavano senza prendere parte; l’una per l’eccessiva timidità, l’altra perché sempre si sentiva infastidita da questi discorsi, come una persona che ha il dono della vista, in mezzo a un gruppo di ciechi che brancolano.

Letteratura italiana Einaudi

105

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Tu pensi che si debba restare oneste? – d’improvviso Valentina chiese. – Io penso – Silvia rispose – che l’essenziale nella vita sia prendere una strada e seguirla fino in fondo, anche se è sbagliata purché s’abbia fede che sia la buona. E allora Emanuela s’accorgeva di andare qua e là, incerta, nel buio. Le sembrava di essere come una spia in campo nemico; è travestita cosí bene che i nemici, poveracci, non se ne avvedono, l’accolgono tra di loro, le fanno dividere la mensa, le dicono che hanno paura della battaglia. E quella li ascolta, anzi dà loro colpetti sulla spalla, sulle mani, per far coraggio, e non dice che sa già ciò che li aspetta. Emanuela le defraudava della sua rispettabilità, vivere con loro significava essere una ragazza onesta, niente accaduto, stava a Roma come loro per studiare storia dell’arte. Stefania, al mattino, dopo aver preso da lei tutti quei giocattoli era scappata via súbito, dicendo appena: – Au revoir, maman. – Stefi, neppure grazie mi dici? – E la bambina l’aveva guardata con stupore: – Non m’hai detto che è stato il bambino Gesú? – Lei era in realtà un personaggio che non esisteva. Due Emanuele false: quella che assisteva ai torturanti discorsi delle compagne, quella che bussava al collegio della figlia. Tutta l’esistenza sulla bugia, come andasse in giro con un nome falso. Qual era lei, insomma? Ma era sua davvero la bambina? In fondo non ci appartiene che quello che la vita e la gente ci riconosce. Se si ha un milione sotto il materasso e nessuno lo sa, è come essere poveri. – Non parli? – le chiese Anna. – Vi sto a sentire. – È uno strano Natale. – No – Silvia fece. – È il solo Natale che possa esservi per noi. Un Natale senza tradizioni, senza precedenti né seguito. Sarebbe inutile preparare l’albero, agghindarlo e conservare poi le palline di vetro colorato. Non tutte

Letteratura italiana Einaudi

106

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

saremo qui l’anno prossimo. Ecco: è come se noi fossimo al passaggio di un ponte. Si costruiscono forse case sul ponte? Siamo già partite da una sponda e non siamo ancora giunte all’altra. Quello che abbiamo lasciato è dietro le nostre spalle, neppure ci voltiamo per guardarlo, quello che ci attende è una sponda dietro la nebbia. Neppure noi sappiamo cosa scopriremo quando la nebbia si scioglierà. Qualcuna si sporge a guardare il fiume, cade e affoga. Qualcuna, stanca, si siede per terra e sul ponte s’addormenta. Le altre, quale bene, quale male, passano all’altra riva. -Brava! – rise Emanuela – è un bel pezzo di letteratura. Ma le altre tacevano perplesse. – Zitta – disse piano Augusta: – non senti che ha detto una cosa vera?

Letteratura italiana Einaudi

107

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

II Milly morí in primavera. Peggiorava da qualche tempo, ma nessuno se ne accorgeva; spinta dal desiderio dell’aria nova e leggera, si levava dal letto, si metteva a studiare accanto alla finestra. – Studio armonia. – Nessuno sapeva precisamente che cosa quella parola «armonia» significasse, ma pareva fatta per Milly. Adesso che le sere s’allungavano, dopo le lezioni le ragazze vagolavano per le strade, rincorrendo la stagione. Il cielo terso stava alto sulle case, si ritraeva d’attorno ai campanili; nel giardino delle suore un albero di mimosa lasciava salire alle finestre un odore polveroso di stoffa profumata; le ragazze per questo forte sentore si passavano la mano sulla fronte quando studiavano. Tutte prendevano i ricostituenti per lo sfinimento dato dalla stagione. Augusta era stata la prima a dare l’annuncio: un giorno a colazione aveva detto solennemente: – S’è svegliata Margherita. Mi sono alzata presto stamani e l’ho trovata che, uscita di sotto il comò, s’era portata in mezzo alla camera. – Poi guardando oltre i vetri il sole calare nel cortiletto aveva aggiunto: – È primavera. Verso la fine di marzo Milly aveva chiamato Emanuela, le aveva detto: – Ho paura di stare peggio. – Ma quella in fretta l’aveva convinta: – Anche io ho una mollezza nei ginocchi e mi fa male il cuore come te, certi palpiti affrettati e senza ragione; ma questo è il fermento della nuova stagione, non preoccuparti. Milly insisteva: – Sarà cosí come tu dici, ma io sento che sto peggio; ieri la suora ha detto che vuole scrivere a papà. Se scrive mi verrà a prendere súbito: e se tornò con lui a Milano muoio davvero Ci sono molte cose, sarebbe difficile spiegarti, dovresti conoscere mio padre. E poi io sto in vita per quelle lettere, sai? e lí non potrei

Letteratura italiana Einaudi

108

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

piú riceverle. Cosí so che è lontano e non potrei in alcun modo vederlo, lí, quando suona a San Babila, quasi posso sentirlo dalla finestra, tanto è vicino. Poi qua è già primavera: là sarà inverno ancora per un pezzo. La mia camera guarda un cortile grigio dove scorre un’acqua monotona. Non voglio tornare a Milano. Tu devi aiutarmi, Emanuela, le suore ti ascoltano: parlerai, vero? – Sí, sí, parlerò. Nessuna delle ragazze si preoccupava della malattia di Milly, non erano forse quindici mesi che era tra di loro, e sempre malata? Perché non usciva fuori a godersi il tepido del sole piuttosto, perché non andava a sedersi alla Villa? Anna che rimaneva in casa a studiare per la tesi spesso saliva a tenerle compagnia. La trovava sempre vicino alla finestra, un cosino di lana sulle spalle. Anna soltanto s’era accorta che Milly impallidiva. Ne parlò alle altre, a tavola. Quelle mandavano giú cucchiaiate di minestra, dicevano: – Va bene, dopo cena andremo a trovarla. – Ma prese dalla rinascita della stagione non potevano pensare alla malattia della compagna. Ridevano, parlavano ad alta voce, la malattia di Milly rappresentava per loro un momento di meditazione, come una preghiera, non sempre avevano voglia di farlo. Nessuna pensava che Milly potesse morire davvero, la sua normalità di vita era appunto in quella fragilità, quel platonico amore col cieco. Pure Emanuela la evitava, infastidita da quella mania che aveva la ragazza di prenderle le mani, di lisciargliele a lungo mentre discorrevano. La infastidiva quel suo continuo parlare di morire, si sarebbe detto che se ne compiacesse, forse era un vezzo; e perciò, talvolta, neppure si prendeva la pena di compatirla; distrattamente ascoltava quei suoi eterni racconti di Milano, del cieco che suonava. Il dottore non veniva piú, le aveva riempito il marmo del comò di boccettine che la ragazza neppure toccava e

Letteratura italiana Einaudi

109

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

che le converse spolveravano ogni mattina. Anni, aveva detto il dottore, o un giorno. Ora Milly era tranquilla; suo padre viaggiava di frequente, non parlava piú di farla tornare a Milano. Il cieco le aveva mandata una fotografia ed ella la mostrò ad Emanuela misteriosamente: – È lui. Era un uomo già anziano, grigio, col viso grassoccio e la bocca femminea, gli occhi coperti dalle lenti nere. Cos’è una fotografia senza sguardo? – Ah! – fece Emanuela e non seppe dire altro. Ma Milly non aspettava risposta; riprese la fotografia, vi passò sopra la mano con gesti da cieca, una fotografia già un poco gualcita. Una notte Emanuela si svegliò al rumore di passi che affrettati andavano su e giú nel corridoio, si sedette sul letto, in ascolto: s’apriva, si chiudeva l’uscio della camera vicina. Balzò dal letto e accorse in vestaglia; era stata male, molto male Milly, il lume era di nuovo fasciato d’azzurro, e lei respirava a fatica, ma tranquillamente, come se quello fosse il suo modo abituale. Vedendola sorrise e disse: – Anche tu ti sei alzata! Grazie. Ma bastava soltanto una persona, una che venisse a mettermi questo cuscino dietro le spalle. – Era seduta sul letto come una bambina che vogliano costringere al riposo e abbia voglia di giocare. – Andate – badava a dire continuamente – andate. – Suor Lorenza invece rimase l’intera notte sulla poltrona, Emanuela vegliò un poco anche lei, poi quando vide Milly addormentata tornò in camera sua. Stava meglio il domani, s’alzò, si mise a copiare certa musica col sistema dei ciechi. Sempre si muoveva con quei gesti bendati, dava i brividi come l’improvvisa apparizione di una sonnambula. A sera Emanuela scendendo a pranzo la lasciò seduta in poltrona. – Vuoi che rimanga ancora? – No, no, a che scopo? Ho finito di copiare Bach per lui, e, vedi? sto bene. Adesso rileggerò la lettera arrivata

Letteratura italiana Einaudi

110

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

stasera. Dice che forse verrà, se verrà potremo uscire insieme, sarà come ai Giardini Reali. Va, Emanuela, va. Le disse questo duramente, già rassettata nella poltrona, lo scialletto sulle spalle, la lettera sui ginocchi. Poi aggiunge pentita: – Grazie. Quando Emanuela, dopo la cena, risalí da lei con Silvia, aprí adagio la porta e la trovò con la testa riversa, le mani aperte sul foglietto, gli occhi fissi nel vuoto. – Milly – chiamò piano. E d’un súbito, spaventata afferrò il braccio di Silvia. – Milly – chiamò ancora in fretta, strozzata. Poi corsero a chiamare le suore. La voce si propagò in un attimo: «Milly... Milly». Soltanto il nome: nessuno osava dire: «è morta». Suor Prudenzina nel corridoio prese la mano della ragazza piú prossima, glie la strinse fino a farle male, intimò: – Ordine. Prima di tutto ordine. È inutile affannarsi, oramai. Le ragazze, raggruppate nel corridoio, spiavano il taglio di luce che passava da sotto la porta. Suor Lorenza era entrata dentro con Emanuela e Silvia ed aveva richiuso l’uscio. Milly era immobile, gli occhi fermi nel vuoto; e però quello era un suo atteggiamento consueto tanto che sembrava dovesse a un tratto muoversi e ridere, come se avesse finto tutto ciò per burla. Ma Milly non usava scherzare. – Pare ancora viva! – disse Emanuela e pensava che veramente viva non era stata mai. Una suora, accorsa con l’aceto e le pezze, aveva capito che tutto era inutile; sul comò la bacinella esalava un acuto odore. Suor Lorenza dopo aver toccato il corpo della ragazza ancora una volta, disse: – Bisogna far presto, molto presto, è già fredda. – Suora, prima la lasci vedere alle compagne. – È impossibile, Silvia. – Noi di lettere, suora, solamente noi. Prima della risposta Anna, Augusta e Vinca erano entrate, Valentina rimaneva nel corridoio resistendo a Sil-

Letteratura italiana Einaudi

111

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

via che la voleva fare entrare per forza. – No, no, mi fa impressione, non voglio vederla cosí, povera Milly. L’altra quasi la tirava pel braccio mentre le domandava con sprezzante maraviglia: – Non vuoi vedere la nostra compagna? – No, credi, non posso. Anche altre due o tre entrarono, una di musica che faceva il corso con lei e Loretta che studiava medicina. Ma non s’accostavano, trattenute da un orrore fisico, restavano sull’uscio: già Milly non era piú la loro compagna, ma una morta. Aprendo grandi gli occhi guardavano curiose quella cerea immobilità, sempre piú la fissavano avidamente per ritenere quell’immagine, tuttavia, nell’intimo, desiderose di allontanarsi. Soltanto Vinca piangeva; le altre, abbattute dalla disgrazia, fissavano Milly come attendendo da lei la spiegazione di quello che era accaduto; ma se d’un tratto ella si fosse rivelata viva, mai piú avrebbero avuto il coraggio di toccarla. Le converse arrivavano con panni bianchi, catinelle, acqua; suor Prudenzina frugava nell’armadio per trovare il vestito, le calze. La roba di Milly era divenuta già dominio degli altri, cose che erano appartenute ad una persona morta, roba senza padrone. Quando tutto fu pronto, suor Lorenza disse: – Adesso andate, ragazze. – Ed esse senza opporsi indietreggiarono guardando nella stanza finché poterono: videro due converse avvicinarsi a Milly, alzarle le braccia; poi la porta fu chiusa. Nel corridoio le ragazze, a gruppi contro il muro o nei vani delle finestre chiuse, parlavano; severe e frettolose passavano le suore con gran fruscio di vesti, e le ragazze le seguivano con gli occhi finché non scomparivano in camera di Milly. Silvia ed Emanuela avevano dovuto ripetere tante volte come era avvenuta la scoperta. – ... «Milly»... abbiamo chiamato, e quando abbiamo

Letteratura italiana Einaudi

112

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

inteso che non rispondeva, abbiamo súbito capito che era morta. – Ma come stava lei, come stava? – Cosí, riversa, ma lo sguardo... – Lo sguardo?... – Sbarrato, fisso, uno sguardo di vetro. – Oh! è orribile! – Come stava, non ho inteso io, come stava? – Sí, quando io ed Emanuela siamo entrate abbiamo chiamato: «Milly...». – Ma tu l’avevi lasciata poco fa? – Sí, anzi m’aveva detto: «Va, Emanuela, va pure». Dietro la porta s’udiva spostare il letto, muoversi persone, passi affrettati e già cauti da camera mortuaria. Quando una conversa passò con due candele, si fece nel corridoio un reverente silenzio. Poi le ragazze ripresero a chiedere a Emanuela – Dicevi che stava con gli occhi aperti? Loretta raccontava: – Sí, pure l’altra mattina all’ospedale l’infermiera entra in corsia per fare la sveglia e ti trova una che non risponde, la chiama, la scuote; proprio cosí: il cuore. Morta e già fredda. Ventitré anni. Augusta pensava: a quest’ora Milly già sa cosa c’è dall’altra parte. Non ha capito nulla: meno male: deve essere terribile dirsi: tra poco muoio, e subito, appena dato l’ultimo respiro, mi trovo nell’al di là. Chi sa se l’anima fatica per liberarsi dal corpo come da una guaina stretta o se si solleva d’un balzo, simile a un palloncino al quale abbiano tagliato il filo. E trovarsi di colpo davanti a Dio. Come sarà? È terribile a pensarci. Forse Dio è seduto in trono in mezzo ad un accecante biancore di nubi gonfie e Milly se lo trova di faccia d’improvviso; al vederla cosí, con quei capelli biondi, angelica come noi la conoscevamo, certo Dio le dirà: «Entra, sei un angelo»; o può essere che Dio sappia altre cose di lei, i suoi pensieri che noi non potevamo conoscere, e

Letteratura italiana Einaudi

113

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

un Dio terribile come Mosè, armato di folgori, le dirà i suoi peccati senza misericordia, poi le indicherà una strada in discesa. Milly prenderebbe a camminare, raggiunta da un calore prima blando, poi insopportabile, infine l’urlo di Milly si perderebbe insieme all’urlo di una moltitudine di peccatori. Silvia sostiene che non c’è nulla di là, l’anima si spegne in un soffio come una candela e dove essa era accesa piomba il buio. Non è possibile – pensa Augusta con spavento – non è possibile che tutto quanto si lotta per affinare il proprio spirito, per renderlo aguzzo e nitido, migliore, che la nostra sofferenza, i nostri sforzi, lo studio, il denaro, l’ambizione, tutto si dissolva cosí, nella tenebra. Milly adesso conosce la verità. Poco prima, quanto? poco piú di due ore, ella era andata a salutarla: come ti senti, Milly? Stava bene, sorrideva. E adesso tutto era finito per lei, anche la musica. Quando la porta s’aprí cadde una luce gialla e calda sul pavimento del corridoio. Le suore si fecero da parte e lasciarono passare le ragazze. C’era odore d’aceto, di spirito, di cera calda. Milly era composta sul letto, i capelli sciolti, ma già parevano di stoppa, non piú suoi. Le compagne intorno, occhi sgranati; ad un tratto Valentina che piangeva forte nel fazzoletto, guardò le compagne tremando come per chiedere aiuto e poi cadde svenuta. Loretta e Anna la sollevarono. – Fuori – mormoravano le altre, – fuori, fuori. Nella sua camera si riebbe odorando l’aceto dei sette ladri. Le suore attorno a lei erano come indemoniate. Che c’entrava ora questa commedia? – No, suora, non posso dormire sola, non mi lasciate sola – supplicava disperata. – Dormirò io con te – fece Anna. E Valentina le si abbracciò. Emanuela, Silvia, Augusta e Vinca restarono a fare la veglia, il rosario tra le mani, senza pregare.

Letteratura italiana Einaudi

114

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* Al funerale c’erano tutte le ragazze del collegio e molte compagne dell’università, anche se non la conoscevano, impietosite dall’improvvisa sciagura. Il padre era arrivato il mattino seguente la disgrazia, vestito di scuro. Era giovane, le ragazze fecero il conto sulle dita, non poteva avere piú di quarant’anni, ma già i capelli diradavano, ancora biondi, appena piú scuri di quelli della figliola. Era rimasto chiuso un’ora nella camera di Milly, solo con lei, poi era uscito piú pallido, ma sereno: appariva rassegnato, come se la morte di Milly non fosse cosa recente. Neppure si rammaricava di non essersi trovato lí la sera prima, di aver rivisto la figliola quando già pareva una statua di marmo. Imponeva soggezione, e si comprendeva che Milly preferisse viverne lontana; ma era gentile, compitissimo, a tutte le ragazze aveva stretto la mano dicendo: «grazie, grazie» come se gli avessero fatto le congratulazioni. All’uscita della chiesa, quando il corteo si sciolse, il padre si volse alle ragazze che volevano seguire il carro fino alla stazione e le congedò con un inchino cortese e freddo. Scalpitavano i cavalli, impazienti. Il ritorno di Milly a Milano affliggeva le ragazze. Emanuela riudí negli orecchi la voce mite dell’amica: «Non voglio tornare, tu devi aiutarmi». E insieme una gran vampa di calore le saliva dalle gambe su su per la vita alla gola, alla faccia, lacrime le scendevano sul viso, «tu devi aiutarmi, tu devi aiutarmi, Emanuela»; che poteva fare ormai? e sentiva nelle mani un sudore freddo come quello che le suscitavano le carezze di Milly sulle dita, un gelo, le pareva di avere sulla nuca un pezzo di ghiaccio. Qualcuno la prese pel braccio, la condusse in un bar vicino. – Un fernet – l’uomo disse forte. Era Andrea Lanziani, e le chiedeva: – Sta meglio ora? Sta meglio?

Letteratura italiana Einaudi

115

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Lei rispose maravigliata: – Sí, ma come ha fatto lei a intuire? per poco non cadevo, quando ho visto Milly andarsene. – Non ci pensi, non ne parli piú. Deve essere stato terribile per voi del “Grimaldi”. E anche noi, tutti... – Lei la conosceva? – L’avevo vista una volta con la Costantini. – Con la Costantini? Oh... mi sembra impossibile. Erano cosí diverse!... – Com’era la poverina? Com’era Milly? Ella era rimasta negli occhi di Emanuela con quel viso di cera, negli orecchi con quell’ultima sua voce che chiedeva: «Tu devi aiutarmi, Emanuela». – Era... Era pallida, bionda, aveva una voce mite. – E studiava musica? – Sí, studiava sempre armonia. Erano usciti dal bar, camminavano vicini, zitti. Andrea la prendeva pel braccio quando dovevano traversare una strada, la guidava pel gomito, sicuro, la lasciava non appena erano di nuovo sul marciapiedi. La ragazza lo esaminava minutamente, era molto piú alto di lei e bruno, aveva occhi neri vicini, e il mento forte. Quando furono in piazza di Spagna Emanuela s’arrestò, disse: – Aspettiamo ancora, non ho l’animo di rientrare in collegio. – Non rientri, allora. Telefoni e dica che resta a colazione fuori. Farà colazione con me. – Con lei? – Sí. Senta: andremo in una piccola trattoria che conosco, qui vicino, c’è sempre poca gente, vecchi pensionati, impiegati. È presto, non ci sarà nessuno ancora. – A colazione con lei? – Perché no? – fece Andrea; accese una sigaretta e poi di nuovo volgendosi a Emanuela: – Andiamo? – disse. Il ristorante era lí vicino; aveva una grande finestra che dava su di un cortiletto soffocato dai glicini penduli,

Letteratura italiana Einaudi

116

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

macchiato qua e là di sole inquieto: sei sette tavole, non piú; e vuote. Soltanto un grasso uomo mangiava in una tavola d’angolo, ma la faccia non si vedeva, sprofondata nel giornale, s’udiva il rumore delle posate, dei bicchieri, il fruscío della carta. – Ecco, da qui può telefonare – le disse Andrea, accostandosi all’apparecchio: – Mi dica il numero... 66438? Tenga, è libero. Emanuela spiegò alla suora che restava a colazione in casa di una parente, una zia, poi, riappeso il ricevitore, fissò di nuovo il giovane, in attesa. – Sediamoci – egli disse, e intanto mostrandole intorno: Ho scelto bene? – le chiese. Emanuela assentiva contenta e guardava in giro: quattro pareti bianche, due boccali di maiolica a fiori su una mensola, ma era veramente piacevole, anche i tovaglioli, spiegandoli mandavano un grato odore. Andrea sceglieva sulla lista delle vivande perplesso, giocando con le dita sulla punta del naso; disinvolto le chiese: – Risotto? – Risotto. – E dopo filetto di tacchino? – Benissimo. – Il vino bianco, fresco. Posata la lista, si volse sorridendo alla ragazza: – Lei studia poco, molto poco, è vero? – Ma io non studio lettere, studio... – poi anche lei rise e disse: – veramente non studio nulla, tutto ciò che faccio è andare in qualche galleria con un trattato di storia dell’arte sotto il braccio. – Ha visto il pergamo di Santa Maria in Cosmedin? – No. – I mosaici di Santa Prassede? – Neppure. – Tutto da fare, allora. Bene. Ce la condurrò io.

Letteratura italiana Einaudi

117

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

La ragazza non diceva né sí né no. Sorrideva e guardandolo lo ascoltava parlare: diceva che si sarebbe laureato l’anno prossimo, aveva perduto un corso per un incidente, una maledettissima caduta di sci. Cosa ne avrebbe fatto poi di una laurea in lettere, non sapeva bene, ma aveva scelto quella facoltà per le lezioni di Belluzzi e perché non sapeva esattamente se due piú due fa quattro o cinque. – Anche lei per Belluzzi? È una mania. – Perché? – Anche io vengo in facoltà per sentirlo. Silvia Custo, sa? la calabrese, da due mesi lavora con lui e va in estasi. Ma lei è scrittore, m’hanno detto. – Non sono scrittore veramente. M’hanno fatto littore due anni fa, perché gli altri scrivevano peggio di me. Da allora non ho fatto piú niente di buono. Però tre giornali hanno pubblicato la mia fotografia e sono stato richiesto da una casa cinematografica per interpretare un film sportivo. Si serviva il risotto ridendo: – Formaggio? E mentre glie lo spargeva sul riso, le disse: – Sa che l’ho aspettata per due ore quella sera al Pincio? – Due ore? – Due ore, sí. Ho imparato a memoria una filastrocca che cantavano alcune bambine vicino a me. Vuole che glie la dica? È quella delle numerose bellissime figlie di Madama Doré. Emanuela rideva rideva, poi chiese con artefizio: – Perché ha aspettato tanto? Semplicemente egli rispose: – Oh, lei sa bene il perché. Silenzio di Emanuela e intanto un suo intimo compiacimento per quella frase, rapida pensò: forse ho il naso lucido all’angolo delle narici. Piú tardi, mentre prendevano il caffè, i tovaglioli buttati di qua e di là, la tavola in disordine, egli disegnava

Letteratura italiana Einaudi

118

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dietro la scatola vuota delle sigarette la pianta della sua camera: – Qui c’è il letto, un letto divano, uno di quei congegni scomodi che non sono né l’una né l’altra cosa, qui c’è il tavolo, ma cosí ingombro di libri che non posso scrivervi e finisco per andare a lavorare sul tavolo della sala da pranzo. Qui la sedia del gatto, sí, un gatto vecchissimo, mezzo cieco, non piacciono a lei gli animali? Era mio amico da quando ero bambino, come si fa a cacciarlo via? Ecco – e volse il pacchetto – da quest’altra parte c’è posto perché lei mi disegni la sua camera. Aveva un modo di parlare insieme armonioso e deciso; passava da un argomento all’altro volubilmente e obbligava Emanuela a seguirlo, a dirgli ciò che egli voleva. Finirono per parlare delle compagne; Emanuela insisteva: – Silvia, le dico che Silvia è un genio. – Sarà, ma è brutta, non sembra nemmeno una donna. – Oh, mi dispiace sentir dire cosí, è la migliore delle compagne. – Non ne dubito, ma non è una donna. E la spagnola che tipo è? Deve essere mezzo matta; l’altro giorno a momenti schiaffeggiava un collega perché le aveva fatto un complimento passando. Lo ha rincorso con l’ombrello. La Ortiz... Quella sí è una bella ragazza. Emanuela non rispose. Era ora d’andarsene; il ristorante era tutto vuoto, ormai. Alla porta del collegio Andrea la lasciò; accese un’altra sigaretta, si tolse il cappello, domandò: – Domani a che ora ci vediamo? Ella ripeté sorpresa: – Domani? Andrea assentí col capo, occupato a riaccendere la sigaretta. Emanuela tacque un poco; pensò: «Non ci debbo venire, non sta bene, Stefania, è un ragazzo singolare, peccato! ma sí, domani lo vedo, domani soltanto e poi basta»; gli rispose piano: – Qui, alle cinque.

Letteratura italiana Einaudi

119

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Nel collegio pesava la morte di Milly; ma Emanuela rientrando non se ne accorse, lesta salí nella sua camera, gioiosamente. Andrea Andrea Andrea. La sua contentezza sembrava riflettersi sulle cose che le apparivano migliori, brillanti, la nuda mobilia della stanza di collegio pareva abbellirsi. Tutto era chiaro e accogliente. Toccò il tavolo, pose le palme sullo specchio freddo, poi si guardò, sempre sorridendo, accostò per gioco il viso alla lastra, vicino, vicino, aveva le gote accese, mormorò appannando col fiato lo specchio: – Sono proprio bella. – E poi di nuovo aspirando forte come se non le bastasse l’aria, lo spazio, lasciò lo sguardo scorrere su ogni oggetto, avvivandolo. Un attimo s’arrestò sulla fotografia di Stefania, un attimo soltanto, immediatamente lo distolse. Basta. Le doleva il ricordare che era a Roma per la bambina, in verità, non per studiacchiare la storia dell’arte, non per andare a mangiare con uno studente in una trattoria appartata. Papà ha ragione. Bisogna liberarsi. La piccola andrà in un collegio all’estero. Nessuno sa nulla: nessuno deve saper nulla. Cosí potrò, se voglio, rifarmi una vita. A ventiquattro anni non posso guastarmi l’avvenire per questa faccenda di Stefania. Un amore, quel ragazzo, un amore, col suo vecchio gatto sulla sedia e la sua presunzione. Un amore. Finché nessuno sapeva nulla c’era rimedio a tutto. Una cosa cosí lontana, cosí passata! All’estero, Stefania. Vi sono collegi bellissimi in Svizzera, era nata in Svizzera la bambina, sarebbe stata benissimo. Quei collegi dove si fa tanto sport, s’imparano le lingue, tante cose. Intanto un giorno, i figlioli, irriconoscenti, egoisti, i figli, prendono la loro strada, come ho fatto io, in fondo, mai piú si ricordano dei sacrifici che hai compiuto per loro. Bussarono alla porta. – Ah, Silvia, entra. – È chiuso a chiave. – Eccomi.

Letteratura italiana Einaudi

120

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Silvia era pronta per andare da Belluzzi, cappello calcato fino sulla fronte. Ha ragione Andrea; neppure sembra una donna. – Silvia... – Dicevo che sarebbe bene richiedere le suore di quelle lettere del cieco. Il padre ha lasciato tutta la roba qui; gli si deve spedire. – Quale padre? – Ma, il padre di Milly! – Ah!... sí, sí, certo, vuoi che gliele chieda io? – Tu, sí, io debbo uscire adesso. – Senti, Silvia: neppure mi hai domandato dove sono stata. – Quando? – Oggi, a colazione. – Oh, sí; infatti ce lo domandavamo, a tavola. – Sono stata con Lanziani. – Con Lanziani? – Sí. E, senti: ho paura d’essere innamorata. Silvia la guardava meravigliata. Forse era vero, aveva un’aria nuova, piú sciolta, non era mai stata cosí luminosa. – Brava, senza dirci nulla. – Te lo dico. – Adesso. – Ma lo sono da stamattina soltanto. Stamattina c’era stato il funerale di Milly. Le ragazze erano rientrate in casa disfatte. Non potevano pensare ad altro. Come Emanuela avesse scelto proprio quel giorno per innamorarsi, Silvia non capiva: loro non potevano uscire dall’incubo di quella tragedia svoltasi lí, tra le loro pareti. Vinca a tavola si chiedeva: – Credete che io l’abbia offesa la sera di Natale, povera Milly? Questo pensiero non mi dà pace. – E poi l’avevano intesa in camera sua recitare il rosario fitto fitto in spagnolo. Negli orecchi di tutte era rimasto quello scal-

Letteratura italiana Einaudi

121

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

pitare dei cavalli, di continuo rivedevano gli occhi distanti del padre; avrebbero voluto sapere cosa c’era tra queste due persone, la figlia e il padre. – Mi dirai stasera, adesso è tardi, debbo andare. – E in fretta la lasciò. Piú tardi Emanuela s’avvide che c’era sul cassettone una lettera. Girò e rigirò la busta prima d’aprirla. La calligrafia le sembrò nota, veniva da Milano. Quando l’ebbe tagliata ne cadde un biglietto da cento e una ricevuta verde. Era di Xenia. Emanuela ebbe un sussulto come se avesse visto una lettera firmata da Milly. Nessuno di loro aveva saputo piú nulla della Costantini. Valentina diceva d’averla sognata morta, all’inferno, che si torceva tra le fiamme e urlando la chiamava. Suor Prudenzina nominandola diceva: «quella disgraziata». Xenia scriveva cosí: «Cara Emanuela, so che sei abbastanza intelligente per non mostrare questa lettera alle suore e alle compagne. T’ho fatto una porcheria, ma avevo l’acqua alla gola, neppure un attimo ho pensato che tu avresti potuto denunciarmi. Sai bene che non sono una ladra. L’anello è impegnato per mille lire al Monte di via Piè di Marmo, quella strada stretta dove sempre si passava per andare all’università. Sarà increscioso per una ragazza come te andare a ritirarlo, ma credi che io ho patito di piú quella mattina andando a portarlo: e non per il fatto che l’anello non m’apparteneva, ma per il modo col quale la mia esistenza incominciava. Ho fatto la fame per due mesi, poi ho lavorato da commessa in un negozio di guantaio – bel successo dopo l’università, ma credi che praticamente tutte quelle frottole lí non servono a niente! – e adesso sono impiegata in un ufficio di rappresentanza di olii americani per automobili. Una delle innumerevoli X and X and X Company. Guadagno abbastanza bene, ma devo vivere; e per questo potrò mandarti solo cento lire il mese fino a liberarmi di questo debito verso di te, che m’ossessiona.

Letteratura italiana Einaudi

122

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Non ti do il mio indirizzo: ormai avremmo ben poco da dirci. Forse tu mi giudichi male; ma io seguito a volerti bene, Emanuela; tu sei la sola che mi piacesse veramente, laggiú. Mi sono messa in testa di arrivare. Arrivare è un po’ vasto, vero? Ma arriverò. Ti abbraccio. Xenia». Sotto aggiungeva: «Suor Prudenzina alle dieci spegne sempre la luce?» La X and X and X Company era un ufficio piuttosto disordinato. Gente entrava, gente usciva sbattendo la porta, facce trafelate, cappello in testa. Una diecina d’impiegati tra i quali due donne: Xenia e la segretaria del direttore. Per quello che Xenia aveva da fare, seicento lire al mese erano una fortuna; eppure a sera ella usciva stanca e faticava a riprendere il contatto con la città, impossibilitata di togliersi immediatamente dall’ambiente dell’ufficio, come faceva Vandina; quando questa la veniva a prendere le diceva: – Che hai con quella faccia? – poi, a poco a poco, anche Xenia si riprendeva. Non era un lavoro intellettuale, il suo, e però ella cercava di fare ogni cosa particolarmente bene per farsi notare: sedeva alla macchina, un telefono di qua, un telefono di là, il primo comunicava coll’esterno, il secondo col direttore. Copiava lettere sempre uguali: «In risposta alla pregiata vostra...» ma doveva interromperle a ogni momento: «Pronto... sí, la X and X and X Company... il direttore non c’è... va bene... venga alle otto.» «Pronto... la X and X and X Company... chi parla?... vedo súbito se il direttore è in ufficio... mi dispiace, è uscito in questo momento.» «Pronto... le passo il direttore.» In pochi giorni Xenia aveva capito a chi si doveva dare l’una a chi l’altra risposta; generalmente alle voci femminili bisognava rispondere di sí. «Tutto sta – diceva Dino – nel comprendere bene l’ingranaggio.» Il direttore era un uomo simpatico; quando Xenia gli portava la corrispondenza da firmare le chiedeva sempre: – Come va, come

Letteratura italiana Einaudi

123

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

va, signorina Costantini? – Le aveva promesso di aumentarle lo stipendio, a luglio. Ma luglio era lontano e Xenia voleva per quell’epoca procurarsi un posto migliore. Questo non è arrivare. Spesso vedeva Dino il quale le aveva fatto ottenere quell’impiego; i primi giorni egli le era sembrato molto compito e invece adesso lo vedeva entrare in ufficio, spingendo il battente con la spalla, anche lui col cappello in testa, la giacca sbottonata, senza panciotto benché si fosse ancora d’aprile. – C’è il direttore, Xenia? Se il direttore non c’era, si sedeva vicino alla macchina di Xenia, fumando, e la ragazza seguitava a scrivere, a rispondere al telefono. – Mi ci vorrebbe una segretaria come te – sovente le diceva. Aveva preso a darle del tu, ed ella non aveva osato farglielo notare perché gli doveva l’impiego. S’aspettava anzi che cominciasse a farle la corte, un giorno o l’altro. Invece la trattava come un’amica, come trattava Vandina. Fin da principio Vandina aveva detto a Xenia: – Senti, io capisco bene quello che tu supponi e ti dico súbito che per me Dino non è che un amico. – Davvero? pensavo che fosse lui quello che tu chiamavi il tuo amichetto. – Oh, no! lui è molto piú povero. Però mica cosí basso e magro come Dino. Te lo farò conoscere, ma è un orso. È distinto, sai, come te, è studente. Ma ti ripeto: è un orso; poi è sempre senza soldi e allora non mi piace portarlo fuori e fargli fare cattiva figura. Te lo presenterò. Ma davvero credevi che fosse Dino il mio amichetto? Dopo queste spiegazioni piú spesso Xenia usciva con Dino dopo l’ufficio: lui veniva a prenderla con la sua grossa macchina e ciò la lusingava. Era, come egli stesso diceva, «una macchina spettacolosa». Con maravigliata invidia sempre tutti guardavano la macchina e la donna che ne scendeva. Andavano a cena al ristorante, e lí

Letteratura italiana Einaudi

124

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

qualche volta amici di lui l’attendevano; in principio, accadeva che Dino dimenticasse di presentarla e allora Xenia si trovava a disagio, si diceva «tra un minuto m’alzo e me ne vado», finalmente egli si accorgeva di lei ed esclamava: – Oh!... scusa... che stordito!... Ma, hai inteso? si parlava di affari. – La presentava e poi riprendeva a parlare di automobili. Ormai durante tutta la giornata ella non sentiva parlare che di macchine; in ufficio: minor consumo per le macchine, maggior rendimento per le macchine; poi, la sera, i discorsi di Dino con gli amici: – Hai venduto? che hai venduto? hai visto quel nuovo tipo? – qualche volta Dino con condiscendenza la metteva al corrente degli affari. – Ti spiego il movimento – diceva: – è un’azienda in grande, compravendita di automobili, denaro che va, denaro che viene, grosse combinazioni. I privati, capirai, quelli si prendono per il collo. Si compra a cinque e si rivende a dieci. Sí, a dieci almeno. In questo momento, poi, che le macchine non si trovano... Naturalmente bisogna fare in modo che il cliente ti dica sempre grazie, credendo di aver fatto lui l’affare. – Xenia conosceva l’ufficio di lui, tutti mobili lucidati, poltrone comode. – Bisogna lusingare il cliente, perché ci creda, e sempre ci crede, pare impossibile dopo tante fregature che si piglia, ancora ci crede. Dirgli: «Ho tenuto da parte questa macchina per lei, soltanto lei può avere una macchina come questa...» Si parla, si offrono sigarette americane. L’azienda è vasta e, certo, alcune volte si rischia. Molte, molte volte si rischia. Tra gli amici di Dino tre erano molto assidui: Tom Barchi, un ragazzo che aveva vissuto due anni in America e sempre ne parlava, diceva allô, please, portava abiti sportivi, cravatte di flanella gialla, grosse suole di gomma; la sua amica, una bionda slanciata e smilza che si chiamava Maria e lui chiamava Mary. – È piú distinto, – diceva, – è come la regina d’Inghilterra.

Letteratura italiana Einaudi

125

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Il terzo personaggio era Raimondo Horsch, un mezzo tedesco, alto, quasi calvo e grigio. Era lui che teneva le redini dell’azienda benché sembrasse non immischiarsene. Veniva a pranzo o, piú spesso, li raggiungeva in qualche bar, dove loro sedevano ore e ore a una tavola, davanti a cinque bicchieri e cinque pagliuzze. Mangiava soltanto legumi bolliti, pasteggiava con sugo d’arancia spremuto in un bicchiere con molto zucchero. La sua conversazione era piacevole e intelligente. Xenia parlando con lui si riposava delle automobili di Dino, dell’America di Tom Barchi, del telefono della X and X and X Company. Mary ascoltava e tossiva. Tutti sapevano che era malata di petto, e la vita che faceva non era certo la piú adatta per guarire. Ma vi era abituata, se l’avessero rinchiusa in sanatorio allora si sarebbe accorta di essere veramente malata, si sarebbe disperata. – Vorrei curarmi – ella diceva rattristandosi – riposarmi, ma come posso? Ci si abitua al solito tran tran, non si ha il coraggio d’interromperlo. – Anche Xenia ormai s’era abituata a questo nuovo genere di vita. Aveva lottato in primo tempo: al mattino, alzandosi, aveva i ginocchi pesanti, le palpebre gonfie. «Stasera vado a letto presto» si proponeva. Poi, uscendo dall’ufficio, trovava Dino che l’aspettava passeggiando su e giú pel marciapiede. – Dove si va stasera, piccola? – Vado a casa, ho sonno. – A casa? Oh, che idee malinconiche, che vuoi andare a fare a casa, gallinella mia? – Ti dico: ho sonno, sono stanca. – Va bene. Allora, senti: andremo a cena da Icaro, un posticino tranquillo e poi, dopo, neppure un piccolo whisky, súbito ti accompagno a casa. Non vorrai farmi cenare solo! Appena ella lo vedeva sul portone sapeva che non sarebbe andata a casa, lottava un poco per giustificarsi. Na-

Letteratura italiana Einaudi

126

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

turalmente rincasava alle tre. Dino le apriva il portone, le ridava la chiave, le diceva soltanto: – Buonanotte, piccola. Da tre mesi cosí: eppure lui la trattava con un’intimità sconcertante, come se fosse stato il suo amante o una sua amica. Ma niente piú di questo: rientrando, Xenia si guardava nello specchio. «Non gli piaccio, ognuno sa i suoi gusti, forse preferisce le bionde grassocce, non gli piaccio.» E mentre erano insieme lo spiava, quasi a voler sorprendere la cagione dell’indifferenza di lui. Quando in ufficio si sedeva accanto a lei egli le chiedeva a bassa voce: – Come ti trovi, Xenia? Ti tratta bene il vecchio gufo? – Benissimo. – Ma non puoi rimanerci: ti sfrutta, guadagni una miseria. Seicento, dicevamo? – Sí. Ma, in fondo, non è un lavoro faticoso. – Comunque è una miseria. Non può andare cosí. Troveremo di meglio. Sai? il momento è brutto. Troppa gente che vuole sistemarsi e i posti mancano, le aziende si restringono. Anche noi, con questa penuria di ferro, tra poco finiremo a vendere automobili di latta per i ragazzini. Quando c’era il direttore, Dino entrava nello studio di lui come un colpo di vento, senza neppure lasciarle il tempo di annunciarlo. – Non ho bisogno di lasciapassare io. Tu, ragazza mia, non hai ancora capito chi sia Dino Ricci. Ha piú bisogno lui di me che io di lui e se faccio anticamera è soltanto per stare a guardare i tuoi occhi, bella mia! Queste le sole cose gentili che le dicesse. E Xenia se ne indispettiva perché Dino le piaceva molto. Quando andavano con gli amici a ballare, la sera, raramente Dino l’invitava; diceva piuttosto a Tom Barchi: – Perché non fai ballare Xenia? – e stava a guardarla mentre lei saltellava per la sala, appesa al collo del ragazzo che ballava alla maniera americana.

Letteratura italiana Einaudi

127

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Per il suo compleanno Dino le aveva regalato una volpe argentata: – Non puoi uscire cosí, senza niente al collo. – Le regalò anche una borsa, un vestito. Quando ebbe queste cose, Xenia, per la prima volta, ripensò al collegio. Quelle laggiú facevano la stessa vita di allora. Si lavavano con l’acqua fredda. Le sembrò ridicolo pensare che ella avesse studiato tanto per laurearsi, che fosse stata sul punto di uccidersi dopo l’insuccesso, e tutto questo per poter insegnare a declinare il rosa rosae a un po’ di mocciosi in un liceo ginnasio di provincia per poche lire al mese. Aveva mandato il secondo biglietto da cento a Emanuela, senza lettera stavolta, soltanto un foglietto con la firma, niente affatto curiosa di sapere che cosa facessero quelle sue compagne di tanti anni. Adesso che era sicura di non ritornarci, sovente pensava al paese. Mammà e papà scrivevano che avevano molto da fare per l’orto, la semina, le dicevano che i suoi pioppi s’erano coperti di foglie nuove. Nasceva in lei il rimpianto per certe giornate di primavera, quando andava per le vie di campagna, sola, o si recava alla fontana a vedere le donne riempire d’acqua la conca di rame, metterla in capo, parlando tra loro con l’accento aspro del dialetto; o per certi cibi rustici che la mamma usava prepararle quando tornava dal collegio per le vacanze, certi dolci che le piacevano da bambina. Immaginava certe volte di tornare al paese con la macchina di Dino, la volpe argentata sulle spalle, far provare alla madre come si stava bene su quei cuscini morbidi della grande automobile, ascoltando la radio mentre si andava per le autostrade. Tornare soltanto per fare illividire i visi delle amiche di una volta, mangiare la pizza rustica, vedere i pioppi, ripartire. I genitori si lagnavano soltanto di quella ipoteca sulla vigna. E una sera Xenia scrisse loro enfaticamente: «Verrà un giorno, miei cari, che anche questo pensiero svanirà. Pregate Dio che mi faccia sempre lavorare». Ed

Letteratura italiana Einaudi

128

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

era sincera scrivendo cosí, sapendo tuttavia che con il lavoro avrebbe potuto fare ben poco cammino. Ma provava un intimo desiderio di sacrificio e di bontà. Eppure se Dino le avesse chiesto di sposarla, gli avrebbe risposto di no. Pensava che invece, ecco, avrebbe sposato volentieri Raimondo Horsch; ma egli aveva già moglie e una figlia grande, gente che lei non conosceva; ma Xenia pensava cosí per gioco di pensare. Raimondo Horsch era un personaggio importante: quando veniva in ufficio il direttore lo riaccompagnava e la sollecitava: – Signorina, la porta. – Ella aveva chiesto a Dino di che cosa si occupasse e lui: – Affari – aveva risposto. E poi aveva parlato d’altro. A maggio Dino le chiese: – Non sei stanca delle seicento lire che ti danno? ci sarebbe un posto di segretaria in un’impresa di cementazioni. Ho parlato col consigliere delegato. Entreresti a novecento, ma nette, senza la tirchieria di quelle ritenute. Io ho detto che parli correntemente il francese, che sai rispondere al telefono in inglese. Oh, dico, però non mi farai fare una brutta figura? – No, Dino, certo no. Era di domenica, domenica mattina piena di luce, e loro se ne andavano lentamente in automobile lungo il Naviglio; egli le aveva proposto di andare a colazione fuori: – A Pavia? non conosci Pavia? eppure c’è quell’affare là, la Certosa, che è monumento nazionale; ti condurrò in un ristorante dove si mangia benissimo. – Aprí la radio, ma c’era un’audizione di arpa che lo fece bestemmiare. – Oh! basta. – E tornarono a parlare dell’impiego. – Mi dispiace lasciare il direttore – fece Xenia. – È uno spilorcio. Ieri gliel’ho detto anche a proposito di un affare. Sai, Xenia? Ho fatto un affare buonissimo. Una partita di autotreni da mandare in Libia. Una grande combinazione. E naturalmente c’è dentro la ma-

Letteratura italiana Einaudi

129

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

no di Horsch che ha fatto la parte del leone. Ma per me è rimasta una bella fetta. Allora ho pensato che si potrebbe fare un programmino. Tu lasci l’impiego alla fine del mese... ma sí, ma sí, otto giorni di preavviso bastano per quel gufo, e ti prendi una settimana di riposo prima di entrare in quell’altro. Io posso partire, Tom s’interessa delle mie cose, non è una cima, Tom, ma per quello che avrà da fare, andrà benissimo. E noi due filiamo in Riviera, San Remo e magari Nizza o Cannes. Hai il passaporto? – No. – È un peccato. E allora Nizza e Cannes saranno per un’altra volta. San Remo, adesso. È un posto abbastanza allegro. Sarà un bel viaggetto. Perché penso che, in fondo, sarebbe l’ora che io e te s’andasse a letto insieme, no? Xenia non rispose; avrebbe voluto in quel momento aprire lo sportello e lasciarsi cadere giú dall’auto in corsa, per rialzarsi malconcia, ferita, sí, possibilmente ferita, debolissima per il sangue perduto, oppure avrebbe voluto che Dino fermasse la macchina e la baciasse, freneticamente la baciasse sulla bocca, questo aspettava, e per ciò gli mise la mano sulla gamba, tante volte lisciò il tessuto ruvido del vestito. Dino invece aveva aperto la radio, diceva: – Oh! finalmente un po’ di musica allegra! * Al collegio adesso che si avvicinava il tempo degli esami le ragazze stavano meno insieme, meno di frequente la sera si riunivano a parlare. Non avevano neppure il tempo di godere della stagione, dicevano: – Era bello l’inverno! – perché allora studiavano quasi per diletto. Adesso, dopo cena, ognuna si chiudeva nella propria camera. Sul muro del cortile s’accendevano i rettangoli delle finestre, al tavolo si vedevano le ragazze, chine. Il

Letteratura italiana Einaudi

130

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

silenzio era perfetto, monotono per quello scorrere dell’acqua nel cortile; se quello si fosse taciuto forse la notte si sarebbe alleviata. Oltre il cortile era l’estate, là dentro una stagione nella quale faceva caldo e bisognava studiare di piú. Emanuela sarebbe rimasta molto sola se non avesse avuto Andrea; sul principio la notizia dei loro incontri aveva incuriosito le ragazze, le chiedevano mille particolari, attente stavano ad ascoltarla in cerchio; erano venute a conoscenza del carattere di lui, delle sue preferenze, dicevano a tavola: – Questo piatto piacerebbe ad Andrea, – come se egli fosse il fidanzato di tutte. Poi anche questo era passato nella consuetudine come le conversazioni telefoniche di Vinca; soltanto Valentina spesso le chiedeva: – Mi fai vedere la fotografia? – e desiderava leggere quelle lettere che egli le scriveva la sera da casa e le dava al mattino; perché Andrea scriveva bene ed erano quelle sue lettere a rendere piú lieve la solitudine di tutte. A volte, di sera, Vinca ed Emanuela, affacciate alla finestra, si mettevano a parlare, al buio, fumando benché fosse proibito, godendo di questo sotterfugio. Nel silenzio udivano battere l’orologio della Trinità dei Monti. – Le dieci – Vinca diceva – e noi siamo chiuse qui dentro. Non potremmo uscire se volessimo, giú nel vestibolo è buio, il cancello è chiuso a chiave, la suora dorme certo con la chiave sotto il cuscino. Hai notato che, a mezzo del vestibolo, c’è un cancello, inutile dopo la vetrata d’ingresso, il portone esterno? È un simbolo forse; fu la cosa che mi colpí di piú appena arrivata, mi intimorí. Che fa Andrea, di sera? – Studia. E Luis? – Che ne so? Credo che esca, sembra che vada in un caffè a parlare di politica. Hai inteso? da noi ricomincia la battaglia. Papà scrive che tra poco lasceranno la casa di città e andranno in campagna. Abbiamo una casa vi-

Letteratura italiana Einaudi

131

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cino a Còrdova, se vi ritornerò dovresti venire a trovarmi. Nel giardino niente altro che aranci. Una casetta, sai? Ma carina, perché ci stavano i nonni e vi sono bei mobili di quando eravamo ricchi. Tutti sono stati ricchi una volta, anche noi. Vendevamo arance. – È bello. – Sí. I fiori hanno quel profumo che mette addosso l’indolenza, un profumo che è tutt’uno con l’aria del paese. Luis dice che le cose si mettono male e se continua cosí tra poco scoppierà la guerra civile. Pensano a questo, adesso, invece di studiare, lui, altri studenti, anche il figlio dell’ambasciatore. Vanno a scrivere: Viva la Spagna, sui marmi dei tavoli al caffè. Bevono e fumano fino a tarda ora. Poi, al mattino ha sonno, non studia e perde l’appuntamento con me. Anna e Silvia che davano la tesi in ottobre stavano chiuse per ore in biblioteca, si soffocava là dentro, dicevano; appena entrate là dentro, le loro voci, senza volerlo, s’appannavano; era quel silenzio che le opprimeva, quel muto andare dei giovani tra i cataloghi, le schede, quel vederli curvi sui libri. Non sembrava che avessero vent’anni. In casa Belluzzi appena s’accorgevano di Silvia. Forse perché quando il professore era nello studio ella camminava in punta di piedi, gli posava le carte sul tavolo, piano richiudeva la porta. Aveva per lui un meravigliato rispetto: egli era sempre cosí assorto, cosí distante dalle cose che non aveva il coraggio di fargli notare la propria presenza. Stava tutto nascosto dietro gli occhiali d’oro, andava, veniva dall’Università senza neppure vedere le strade dove passava, pieno d’ingenue distrazioni. Nella stradetta buia ritrovava il portone di casa per abitudine, saliva in dignitosa fretta la scala di larghi gradini di pietra grigia, infilava piano la chiave nell’alta porta e seguitava a camminare in casa sua con la stessa aria preoccupata che aveva in strada. Talvolta i pensieri lo arrestavano nel cen-

Letteratura italiana Einaudi

132

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tro dello studio. Nei momenti di piú intenso lavorio mentale, faceva d’istinto scorrere il polpastrello del pollice sulle altre dita, come a levigarle. Per molti mesi il lavoro di Silvia sembrò passare inosservato. Finché una sera ella entrò, gli mise sul tavolo un fascio di carte dentro una cartella grigia e restò cosí senza togliervi le mani di su. Egli le chiese: – Che cos’è, signorina, tutta questa roba? – È il materiale per la conferenza. E intanto pensava: «È troppo, è troppo, ora si mette a ridere e mi dice: “Quanta fatica sprecata”!» Il professore si voltò sulla poltrona, assestandosi sul naso gli occhiali: – Ha fatto lei questo? Silvia si schermiva: – Sí, capisco, sarà insufficiente o troppo, o inutile, ma insomma, penso che le servirà, mi dica lei che cosa debbo fare ancora. Egli scorreva i fogli: – Vedremo, le dirò, signorina, vedrò stasera. La ragazza rientrò in casa sconfortata pensando. «Ci vuol altro per riuscire». Applicazione la sua, buona volontà, un piccolo ingegno, niente piú di questo. Restò tutta la sera mortificata, andò a letto presto, dicendo che aveva male alla testa e forse le doleva davvero: guardò con commiserazione tutti gli scartafacci della sua tesi e il domani attese impaziente l’ora di andare dal professore perché egli la chiamasse. La chiamò, infatti; l’aspettava accanto alla scrivania come quando doveva dire cose importanti. – Cara Custo – le disse – quello che lei ha fatto è eccellente. Dove mai ha trovato tante cose? Oh, certo io non avrei fatto meglio. E mi domando onestamente se sono proprio io a dare questa conferenza e mi trovo a disagio, nell’appropriarmi la sua fatica facendola passare per mia. La sua intelligente fatica. Sono contento di averla scoperta io, in facoltà, all’ultimo banco; perché si mette sempre all’ultimo banco? sono contento perché lei farà strada e si ricorderà di me.

Letteratura italiana Einaudi

133

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Silvia non sapeva che dire. Un sorriso incolore le illuminava la faccia, un sorriso di riconoscenza servile di chi dalla nascita è avvezzo alle sottomissioni. Che cosa erano infatti i suoi genitori? Poco piú che contadini. Qualche volta, certo, qualcuno che si godeva metà della loro fatica, avrà detto anche a loro «bravi»; Silvia era soddisfatta di quella lode anche se rimaneva ignorata, chiusa lí dentro tra loro due. Anzi avrebbe voluto fare di piú, promettergli: «Senta, professore, non alzerò piú gli occhi dai libri, lavorerò anche la notte. Non mi avrà dato questa fiducia invano». Cosí commossa, fu sorpresa dalla moglie di Belluzzi che entrava con in mano una tazza di tè. Era una donna non piú giovane ma che non voleva smettere di esserlo, molto bruna di capelli, vestita di chiaro, grassa, le braccia bianche rigurgitavano dalle maniche. Sempre guardava con stupore quella ragazzola nera che frugava per ore e ore nelle carte del marito. Silvia la salutava deferentemente, senza smettere di lavorare. «È come una bestia in casa» Dora diceva alle amiche: «un vecchio cane. Non discuto la sua intelligenza, ma cosí nera sembra sporca sempre, non so come fa Guido a vedersela dattorno». Quel giorno Silvia era cosí commossa che vedendola entrare rimase muta arrossendo, quasi fosse stata sorpresa in colpa. Il professore scorgendo la moglie si rischiarò, uscí dalla sua composta freddezza, si tolse gli occhiali e le andò incontro: – Oh, grazie, grazie, Dora, sempre ti ricordi di me... Aveva in viso una viva compiacenza, per lei soltanto si scuoteva, quando la vedeva entrare. E davanti a quella tazza di tè, Silvia sentí che la sua fatica rimpiccioliva. Aveva passato intiere notti al tavolino fregandosi gli occhi per non addormentarsi sopra quel lavoro che non era suo: Vinca dormiva nella camera vicina, quasi le pareva di udirne il respiro regolare, le dava il contagio del sonno: allora per tenersi sveglia si tirava gli orecchini,

Letteratura italiana Einaudi

134

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

due grappoletti neri, di lutto, e al mattino si vedevano i forellini infiammati. Gli aveva posato sul tavolo tutta quella fatica. «Non è nulla, non è nulla» andava ripetendo tra sé «già dimenticato. Anche l’uomo piú intelligente si perde davanti a una donna, a un gesto femminile, a quel modo di entrare grazioso e disinvolto, in questa stanza della quale ella non capisce nulla, come se fosse un gabinetto di chimica, entrare con questo profumo, questa cipria in faccia e la tazza di tè. Ella entra come una donna mentre io sto accanto a lui come un compagno. Non si accorge neppure di non essere piú solo quando io entro nello studio. Io sto di qua, dalla parte degli uomini.» Silvia, stupita, guardava la signora Dora parlare al marito come se davvero lo amasse: Silvia sapeva che la donna, appena rientrata in camera sua, si metteva il cappello e usciva; il marito non le chiedeva «dove vai?». La strada, la gente, non esistevano per lui, isolato in quella operosa solitudine. Andava dall’amante lei, ecco, quasi vecchia, andava dall’amante. Spesso telefonava a lungo e Silvia senza volere, attraverso la parete sottile, aveva udito parecchi colloqui. Chioccolava piano piano con vezzi infantili e sorrisetti, risa sommesse. In quelle conversazioni al professore era rimasto soltanto il pronome: «lui». Lui è uscito, lui è tornato, appena esce lui. Terza persona singolare. Niente piú di questo. Prima di uscire portava a «lui» una tazza di tè. E per tutta la giornata a lui ne restava in bocca la dolcezza. Molte volte Silvia aveva pensato di andarsene da quella casa; non poteva sopportare d’essere testimone di quel tradimento. Pensava che ai due dovesse mancare proprio il gusto dell’inganno e che per questo, forse, si sarebbero stancati presto. «Lui» non s’accorgeva di nulla. Era come sgozzare un vitello nel sonno. Silvia penava a tenere questo segreto, talvolta provava il desiderio di dirglielo, al professore, o almeno raccon-

Letteratura italiana Einaudi

135

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tarlo alle compagne, sfogarsi di quell’ingiustizia. Dora poteva lasciarlo se voleva, ma non tradirlo. Un uomo come Belluzzi non si tradisce. Era venuta dal nulla e lo tradiva. Perché non gli diceva: «Ciao, me ne vado, io qui m’annoio»? Ma no, non voleva rinunciare alla cameriera con la galina bianca in testa, al salotto dorato. Avrebbe desiderato sfogarsi, ma poi nulla diceva, perché non voleva che dietro le spalle di lui, alle lezioni, le compagne immaginassero i due che parlavano al telefono dicendosi insulse parole d’amore; tutta la sala sarebbe stata piena di quelle parole e anche del profumo che si sprigionava dalla pelle bianca e grassa della donna, tutti avrebbero visto, e avrebbero deriso lui, sordo e cieco, che continuava con gesti misurati a commentare i sonetti del duecento. Una sera Augusta disse a Emanuela: – Devi studiare stasera? Se no, ti pregherei di salire su da me, ho da parlarti. La camera di Augusta risentiva dell’estate; la tartaruga si moveva per terra, sotto la finestra, erano scomparsi i tappeti sardi, i cuscini, e una pianta di ortensia lilla screziata ornava il comò. – Vuoi il caffè? Te lo preparo. – Volentieri. Augusta s’era messa a trafficare intorno alla macchinetta a spirito mentre Emanuela osservava le fotografie nelle cornici. Tutti ritratti di gente sarda, facce scabre intagliate nella vecchia pietra dei nuraghe, rilevate da zigomi massicci; sotto le masse compatte dei capelli d’un nero forte e selvaggio come le criniere dei cavalli, il pallore arido, desolato del volto: volti solcati dalla malinconia secolare d’una razza assuefatta a patire, non illuminati ma trafitti dalla cupa intensità degli occhi, in cui sembrava riflettersi la disperata tristezza dei pascoli sassosi, brucati dalle greggi lanute e percorsi dal brivido delle febbri.

Letteratura italiana Einaudi

136

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Si sta bene in questa camera: si sente che ci vivi. – Sí; voialtre non pensate che ad andarvene, per ciò le vostre sono simili a camere d’albergo. Chi ci lascia qualcosa di sé? Esitate a mettere fuori la roba dalla valigia, perché cosí vi pare di non legarvi a queste pareti. O forse perché non tutte ci patiscono qui dentro. Era proprio vecchia, Augusta; si scoprivano nei suoi capelli numerosi fili d’argento; doveva essere vicina ai quaranta. Un giorno ella scherzando aveva chiesto ad Anna: – Quanti anni mi dài? – Trenta – la ragazza aveva risposto. E Augusta aveva sorriso: – Sei buona -; però senza confessare quanti ne avesse in realtà. – Perché patisci? – Te lo dirò, t’ho chiamato per questo, non è possibile che vada avanti cosí – tieni il caffè, c’è già lo zucchero – e ho pensato che solo tu avresti potuto capirmi. Emanuela era amica di tutte, pareva impossibile che la stessa persona che era simpatica a Xenia potesse essere stata tanto amata da Milly, e Augusta la chiamasse in aiuto. Forse perché in Emanuela agiva una facoltà intuitiva rapida e sempre vigile: quella di rivelare e d’illuminare di sé a chi l’avvicinava, l’aspetto che nell’altro poteva suscitare una concordanza di simpatia. Ed ella si avvaleva di questo mimetismo psicologico, senza avvedersene, spontaneamente, come se portasse con sé una forza magnetica che poteva orientare a suo piacimento. Cosí ognuno vedeva riflessa in questo specchio umano la propria immagine e, se pur lo specchio era di molte facce, egli scopriva soltanto la buona, quella che si animava e viveva di lui. E questo gioco di riflessi era una continua rivelazione anche per Emanuela, la quale vedeva sorgere dal profondo di sé, e apparire alla superficie, sempre nuovi e fino allora ignorati aspetti della sua personalità. Rischiarata dal di fuori, messa in luce dal suo contatto con gli altri, la sua vera fisonomia le usciva cosí a poco a poco e in modo sorprendente dall’ombra.

Letteratura italiana Einaudi

137

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ti piace il mio caffè? – continuava Augusta. – È buono, vero? Lo faccio da me, perché quello delle suore è sciacquatura di piatti. Ha ragione Vinca quando dice che quello buono se lo bevono loro. Vorresti un biscottino? – Senza attendere la risposta, con diverso tono riprese: – Dunque non ti sei mai domandata cosa faccio io in collegio? E pensare che io tante volte me lo sono chiesto di te... – Ma lo sai bene, Augusta, perché fai queste insinuazioni? Sto qui per studiare storia dell’arte e perché i miei sono ancora lontani, torneranno alla fine del mese... – Ma ti scrivono da Firenze... Insomma è un pasticcio. Del resto tutto questo non m’interessa. Io esami non ne do. Ma siccome sono iscritta alla facoltà voi credete che studi. Non studio. Nemmeno quando vedete accesa fino a tarda ora la luce io studio. – Oh, per l’amor di Dio, Augusta, che fai mai? Lei attese un istante prima di rispondere. Qualcosa nel suo viso s’era sciolto, si vedeva che desiderava aprirsi con la compagna, e che tuttavia ciò le costava grande sforzo. Disse infine: – Scrivo. – Scrivi? – Sí. – Che cosa scrivi? – Scrivo romanzi, novelle. Questo – e trasse dal cassetto un pacchetto di cartelle minutamente tracciate della sua esatta scrittura – è tutto il lavoro di stanotte. – Dici davvero? – Certo. È un romanzo, un grande romanzo. E adesso ti confesso tutto. Senti: io patisco, mi logoro e nessuno vuole saperne della mia roba. Forse bisognerebbe avere aiuti, conoscere persone... – Non conosci nessuno, in Sardegna? – Oh, in Sardegna! Lí, dopo il fatto della Deledda ogni donna che abbia una finestra sul monte, una bella cucina e un’aia si mette a scrivere della sua casa e della

Letteratura italiana Einaudi

138

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sua infanzia. Laggiú non si può piú, ormai. Quella è riuscita perché aveva il dono di Dio. Non era nella Sardegna il miracolo, era in lei. E invece adesso tutte credono che il miracolo sia nella terra. Forse io stessa... – Ma di che scrivi? – D’amore, tutte storie d’amore. Frugava nel cassetto, ne trasse un rotolo di fogli legati da un nastrino. – T’ho chiamata perché voglio leggerti questo; è un racconto. E tu mi devi dire la verità, se ti piace o no. Un mese di lavoro. L’ho mandato a un giornale, un giornale letterario nel quale si stampano certe ignobili cose futuriste con tanti onori quanti ne avrebbe la Commedia. Io ho scritto due volte, sempre accludendo i francobolli per la risposta; e loro, silenzio, neanche una parola, finalmente alla terza lettera rispondono di no, che non è adatto, dicono che gli manca la spina dorsale, come dire che non sta in piedi. Tu sei una ragazza intelligente, tu hai letto, hai viaggiato. Non sei la prima venuta tu, anche se non fai l’università. Che c’entra l’università? Le altre sono chiuse nel loro mondo impolverato della biblioteca, non capirebbero, non hanno il senso dell’universalità. Ti spiego: voglio da te un giudizio. I giornalisti, gli editori, tutta gente poco seria, stampano per raccomandazione oppure per incoraggiare lo stile nuovo, certa roba strampalata di gente senza preparazione. E quando càpita una cosa buona, sai che fanno? neppure la leggono. Con che sistema procederanno io non capisco. Giorni fa leggevo questo, guarda, una recensione di tre colonne sul libro di una donna, perfino la fotografia. Che dovevo fare? L’ho comprato. Lo compro, lo leggo, lo leggo tutto in una sera... Niente. Una storia piatta di una donna e tre operai; neppure si capisce bene come vada a finire. Eccoti il libro, guardalo, dodici lire, uno dei migliori editori, tre colonne di recensione... E allora che dice il pubblico? Il pubblico guarda la foto-

Letteratura italiana Einaudi

139

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

grafia e deve dire che sí, tutto questo va bene, abbiamo capito, è una bella ragazza. Questo stesso editore mi ha risposto che il mio libro non lo può stampare, perché, per il fatto della cellulosa, manca la carta; e mi ha rimandato il manoscritto. Deve avere fatto molto comodo in quell’ambiente il fatto della cellulosa. Che puoi dire avanti a un argomento simile? – Hai ragione. – Adesso ti leggo questo. – Snodò il nastrino e mentre apriva i fogli riprese: – Tu sempre avrai pensato: «Augusta deve essere bene ottusa se neppure prova a dare gli esami». Io dico che li darò, gli esami. Intanto queste ragazze entrano, escono, vanno, tornano al paese, si sposano, fanno, e mai piú si ricorderanno di me. – Ma fino a quando rimarrai qui dentro? – Fino a quando avrò fatto qualche cosa. Magari sempre a marcire con le suore, ma in Sardegna ci torno due mesi d’estate, e basta. – I tuoi sanno che sei qui per questo? – Lo sanno. E anche se non fosse per questo, a casa non tornerei lo stesso. Non si può piú tornare. Se i genitori sapessero questo non ci manderebbero in città. Perché dopo, se anche torniamo, siamo delle cattive figlie, delle cattive mogli. Chi può dimenticare di essere stata padrona di se stessa? E poi, per i nostri paesi, dopo essere state qualche anno, sole, in città, torniamo con la reputazione di donne perdute. Quelle che sono rimaste, che sono passate dalle mani della madre alle mani del marito, non ci perdonano di aver visto cose nuove, nuove facce, di aver avuto la chiave della nostra stanza, uscire entrare all’ora che si vuole. E gli uomini non ci perdonano di saperne quanto loro. Questo, s’intende, per le giovani. Io sono ormai già... già matura. Quando mi fidanzai dissero che Loris lo faceva per interesse. Forse avevano ragione. Adesso, non potendo dire che ho una

Letteratura italiana Einaudi

140

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

condotta immorale, dicono che sto facendo un fiasco in letteratura. – E che t’importa di quel che dicono? – Già? bisognerebbe fare cosí. Ma quando si arriva ad essere al disopra di questi apprezzamenti, è segno che molte cose nella vita sono già sfiorite. Quando non si piange piú delle sconfitte è segno che non si crede piú nelle vittorie. Che la vita scorre sopra di noi senza farci né bene né male. – È vero. – E adesso basta. Non t’ho chiamata qui per discorrere. La suora gridò nel corridoio, aprí tutte le stanze violando ogni intimità. Le trovò lí, calme, Augusta intenta a preparare il lume, e delusa disse buona notte gettandosi sulla porta vicina da dove udiva partire voci e risate. Augusta attese il brusco distacco della luce, poi restò ferma un attimo abituando le pupille al fievole chiarore del petrolio, si raschiò la gola come una cantante, e cominciò. Una storia rachitica come un tema di licenza liceale. Tutto in ordine, i personaggi fotografati, descritti dal colore dei capelli a quello delle scarpe. Un mondo che non oltrepassava il telaio che vietava le finestre del collegio; pulito, lucidato, era proprio un lavoro di zitella, come i merletti a filè. Questa fu l’impressione di Emanuela; eppure quando Augusta le chiese: – Ti piace? – lei rispose gentilmente: bello. – A che sarebbe valso dire la verità?... – Lo so, è bello; ma lo rifiutano. Dimmi: quando è che ti piace di piú? – Quando dice del fiume. – E invece no, in quel punto è poco moderno. La chiusa invece, ecco, quella è cosa nuova, la chiusa. Ti ringrazio, Emanuela, avevo bisogno che qualcuno sapesse; un segreto, quando si porta da soli, pesa di piú. Adesso tu scendi e io mi metto a lavorare.

Letteratura italiana Einaudi

141

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– A quest’ora? – Oh, sono appena le undici! È questa l’ora nella quale lavoro meglio, nel silenzio. Mi faccio un altro caffè. Ho bisogno di fare presto. Io non ho tanto tempo avanti a me. A questa novella che sto scrivendo tutte le porte saranno aperte, ne sono sicura. – Parlava a scatti, quasi parlasse da sola, ad alta voce, la mente arruffata di parole. – È una storia... no, no, non ti voglio dire nulla: quando sarà finita, limata, te la leggerò. * Andrea glie l’aveva telefonato appena uscito dall’università: – Benone, Nuela, trenta. – Emanuela era andata a bussare alla porta di Augusta: – Sai? Andrea ha preso trenta. – Qualcuna l’aveva già saputo in facoltà, tutte dissero «bravo Andrea». Era un mattino afoso pieno di minacce di burrasca. Ella che stava aspettando la notizia e guardava ogni poco il cielo grigio, pensava: «Adesso piove». E temeva il cattivo presagio. Invece a mezzogiorno di tra le nubi basse si spinsero lividi raggi di sole. Un vento leggero scacciava le nuvole, apparvero chiazze turchine, poi l’azzurro dilagò, invase il cielo. Il tramonto fu bellissimo. Andrea l’aspettava dietro il collegio per la salita che porta a Villa Medici; la vide venire verso di lui a piccoli passi affrettati, impaziente. Quando le fu vicina prese svelta a parlare. – Bravo, oh, bravo, anche le compagne hanno detto, bravo caro. Egli senza parlare la prese affettuosamente per il braccio e cominciò con lei a camminare, prendendo l’andatura lenta della passeggiata: s’avviarono nel grande viale dove altre coppie camminavano avanti a loro, dietro a loro, quasi a far parte di un corteo. A tratti il fruscío delle foglie che percorreva i platani metteva fremiti nel sereno crepuscolo.

Letteratura italiana Einaudi

142

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí, sono proprio contento – infine egli disse – cosí tra poco ho finito. Questo è il penultimo prima della laurea: trenta, sono contento; ma sai, l’esame lascia sempre un po’ delusi, anche quando va bene. Si studia si studia e poi s’esce dall’aula allo stesso punto di prima. Le coppie avanti a loro avevano lo stesso passo molle di processione; tante coppie, giú giú fino al bivio dove un braccio del viale saliva all’alto del Pincio e si vedeva formicolante di ombre nere. E c’era attorno un gran silenzio: s’udivano soltanto, sotto gli innumerevoli passi, cigolare le foglie accartocciate che cadevano di dosso ai platani; le parole erano appena bisbigliate, qualche volta taciute, anche. Ogni coppia era chiusa in un cerchio di completa solitudine, come se la Villa fosse aperta ad essa solamente. Di frequente s’udiva un grido di ragazzo, ma non si vedevano correre i bambini, non si capiva neppure dove si nascondessero a giocare. Il sole incendiava le vetrate della città che rosseggiava bassa sotto il viale, irta di campanili e folta di cupole, metteva qua e là bagliori di porpora come fuochi d’artifizio. Emanuela e Andrea sedettero vicino a una fontana cinta da un emiciclo di mortella. – Qui si sta bene – egli disse, – sembra che sia il giardino di casa nostra. E la ragazza consentí: – Sí, sí. – Dammi la mano. L’acqua scorreva soffice come da una polla su di un prato, un rumore ovattato, sommesso. – Quando io e te avremo una casa, voglio avere un giardinetto cosí, con un rumore d’acqua. Oggi, per questo esame, la nostra casa mi sembra piú vicina. Eppure penso che il giorno della laurea mi sentirò come oggi: contento, ma inutile. Non potrò presentarmi in un Ministero, per esempio, dire: «Guardi, io sono quello che ha preso la laurea questa mattina» e lí allora tutti s’alzano, corrono a me, mi mostrano una stanza in bello stile falso

Letteratura italiana Einaudi

143

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Rinascimento e mi dicono: «Ecco, si sieda, quella è la sua poltrona, l’aspettavamo». No? Andare ad insegnare non so dove... con quello stipendio che ti darei da mangiare, moglie? Rideva e poi proseguiva serio: – Rifacciamo i conti, Emanuela? Il giorno se ne andava con indolenza. Gente passava senza guardarli; egli diceva: – Cinquecento la casa... – e seguitava addizionando, ma sempre concludeva: – Anche rinunciando tu al salotto e io alle partite di calcio e alle sigarette, non possiamo fare a meno di duemila lire. E non possiamo privarci di queste cose, dopo poco la vita in comune ci diverrebbe insopportabile. E allora duemila cinquecento. – Tra me e te. – Va bene. E se poi mi fa male un dente e debbo farmelo tirare? E se tu vai a farti la permanente? Ti prego, Emanuela, non mi ripetere che tu hai il tuo denaro, appunto per questo io devo avere il mio. – E allora il problema è insolubile. – Deve essere solubile, invece, perché io non rinuncio alla gioia di bussare a una casa sulla quale sia scritto il mio nome, né a quella di vederti venirmi incontro sorridendo, di sentire rientrando l’ottimo odore d’arrosto, vedere la tavola apparecchiata per due, il dottor Lanziani e sua moglie, uno di qua e uno di là. Ma penso, per contro, a tanti miei amici sposati che fanno la fame, loro hanno gli occhi tristi, la moglie ha gli occhi tristi, il ragazzino è pallido e ha gli occhi tristi anche lui, no, credi, è terribile. Siamo stati abituati bene, io e te. – E allora? – Allora ti puoi immaginare la faccia di papà stamani a tavola quando lui si congratulava con me dell’esame e io gli ho detto: «Sí, va bene, sono molto contento, ma dopo la laurea vengo a lavorare a negozio con te». – Tu hai fatto questo?!

Letteratura italiana Einaudi

144

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí, e non sai quale discussione ci fu, quando m’iscrissi all’università. «Tre generazioni di gioiellieri, la corona reale sulla vetrina e tu, e tu...» diceva cosí, papà, si disperava: ma io ero irremovibile: «Io ho orrore del vostro mestiere, stare dietro un banco...» Insomma non puoi immaginare che cosa accadde in quei giorni, papà non mi parlava, muso lungo, mammà correva dall’uno all’altro... Si calmò quando mi fecero littore, perché il mio nome comparve sui giornali. Perciò oggi è rimasto a bocca aperta; io ho seguitato: «Vengo a negozio e mi dài quelle duemila lire al mese che mi promettesti se non entravo in facoltà». «E la laurea?» dice lui. «L’attaccherò in un quadretto, o mi servirà per poter offrire i gioielli in versi sciolti.» Insomma io continuavo su questo tono e lui esplode, butta via il tovagliolo, urlando dice: «Ma per l’amor di Dio, Andrea, che significa tutto questo?». Sentissi, Nuela, un vocione, papà quando è arrabbiato, ma io che lo conosco calmo rispondo: «Significa che ho bisogno di guadagnare perché mi sposo». – Hai detto cosí, proprio cosí? – Proprio cosí. Vedi la scena, no? papà grida, s’alza, il pranzo va per aria, la cameriera arriva con la carne, papa strilla: «Non mangio piú, non mangio piú». Ma io so come è fatto. Tra un mesetto ti porto a casa. Domani metto sul comodino la tua fotografia. Fino allora Andrea aveva parlato con orrore della vita di negozio: detestava tutto, dallo strappo della saracinesca ai velluti della vetrina, all’attesa servile ed esasperante del cliente, pensava perfino che, a guardare sempre le pietre con la lente, ci si guasti la vista, tutti i gioiellieri portano gli occhiali. «Odio quella vita che essi trascinano da anni, papà che mostra le pietre come se maneggiasse strumenti di precisione, i commessi che vanno con passi feltrati, mammà seduta nel retrobottega, una stanzetta calda e mobiliata come una stanza di casa, va lí ogni pomeriggio, si toglie il cappello, cuce, se un cliente

Letteratura italiana Einaudi

145

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

entra, posa il lavoro sui ginocchi, tende l’orecchio, poi riprende a lavorare. Quando il negozio è vuoto, papà siede con lei leggendo il giornale.» E adesso Andrea aveva accettato tutto questo, per lei. Era questo il momento di parlare, dire: «Senti, Andrea, devo dirti una cosa, una cosa passata, finita, figurati lui è morto, ma intanto è rimasta la bambina; andrà in Svizzera, tu sei un ragazzo intelligente, capirai». Era necessario parlare, altrimenti tutti questi discorsi, questi disegni d’avvenire apparivano inutili, macabri, come preparare i panni per un figlio che, si sa, nascerà morto. – Senti, Andrea... – No, non sento nulla. So bene che vuoi parlarmi del tuo denaro. Va bene, ci sarà il tuo denaro, ma col mio. O ti vergogni d’essere la moglie di un negoziante invece che di un professore di filosofia? Non era possibile parlare. Egli aveva ripreso a dire della casa. – Voi donne non potete capire, per voi anche la casa dei genitori è la vostra casa, ma noi siamo estranei in qualunque casa che non sia la nostra, voglio dire la casa dov’è la nostra donna, dove nascono i nostri figli. E io voglio avere uno scaffale dove poter ordinare i miei libri senza che papà vi metta accanto i suoi romanzi gialli, rientrare e sapere che qualcuno aspetta me, proprio me. Ma forse vorrai venire anche tu qualche volta al negozio come la mamma. – Ridendo aggiunse: – Quando io porterò gli occhiali. – E le batté la guancia affettuosamente. Come dire ad un tratto: «Andrea, io ho una bambina»? Una bambina egoista che viveva in un suo mondo dove gli altri entravano solo per servire le sue comodità. Quando la madre andava a trovarla, dopo un po’ che erano insieme la bambina esprimeva il desiderio di tornare a giocare con le compagne. Non avevano mai nulla da dirsi salvo cose insignificanti. «Che ti porto», «che mi

Letteratura italiana Einaudi

146

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

porti». Appena Stefania aveva preso il pacco ed Emanuela glie l’aveva dato non avevano piú nulla da fare insieme. Emanuela voleva stringerla, abbracciarla, sentire l’odore dei suoi capelli; ma solo per un attimo poteva godere di questo, presto la bambina si staccava, si divincolava, cercava una sua propria autonomia. «Non vale la pena» pensava la madre «di farli, patirli, i figlioli, se neppure si possono stringere un momento tra le braccia.» La sua maternità esisteva solamente dietro la porta di quel collegio che pareva un ospedale, le bastava uscire di lí per liberarsene. Il fastidio per lei era solo quello di dover inventare qualche bugia per andare a trovare la bambina, il timore che Andrea si avvedesse dell’inganno. Non osava neppure dirgli: «Vado a trovare una mia nipotina» per tema che egli le chiedesse d’improvviso: «Non sarà tua figlia invece?». Comprendeva che, seguitando a tacere, la situazione peggiorava ogni giorno e tuttavia non poteva parlare, provava solo uno struggimento interno quando udiva Andrea fare questi disegni per il futuro; allora le salivano le lacrime agli occhi, egli credeva che fosse per la commozione e la trattava da sciocca, le apriva la borsa, le metteva lo specchietto davanti agli occhi per mostrarle come fosse buffa quando piangeva, poi le prendeva le mani, glie le stringeva, diceva: – Cara moglie – senza capire che lei piangeva perché tutto ciò non avrebbe potuto essere mai. Perciò Emanuela decise: «È piú semplice continuare cosí, papà mi aiuterà, parlerà lui, alla vigilia del matrimonio; Andrea mi adora, Andrea non potrebbe vivere senza di me». La sera raccontò alle compagne della decisione di Andrea. Silvia osservò colpita: – Quanto deve amarti per rinunciare al suo lavoro! E Valentina le chiese .se non si sentisse straordinariamente felice.

Letteratura italiana Einaudi

147

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Pochi giorni dopo Emanuela e Andrea andarono con Vinca a vedere il nuovo studio di Luis. Andrea aveva resistito sul principio: – Mi piace poco quella ragazza. Che rapporti ci sono tra quei due? neppure sono fidanzati. Ti dirò: non mi sembra serio per te. E poi una ragazza che non studia, non fa nulla, perché non ritorna al suo paese? – Perciò Emanuela temeva che l’incontro fosse freddo. Invece Andrea s’interessò ai discorsi di Luis. Costui non era bello come Vinca l’aveva descritto; piuttosto basso e bruno, aveva una larga bocca che mostrava denti bianchi, equini; parlava un suo italiano comicamente mescolato di parole e cadenze spagnole, gesti voluminosi accompagnavano la sua conversazione. Lo studio non aveva di notevole che il vecchio portoncino con quel fregio del Rinascimento; la scala era angusta e poco rischiarata. Mentre i tre salivano, una porta s’aprí e lasciò sfuggire un odore di fritto e il pianto di un bambino. L’ultima rampa era piú stretta e ripidissima; bisognava andare l’uno dietro l’altro; poi si trovarono in uno stanzone disadorno, col tavolo da disegno in un angolo, le pareti coperte di progetti architettonici; due divani-letto, un servizio da tè. Ma ogni cosa era annobilita dalla luce che entrava da una grande vetrata dalla quale si vedeva un pittoresco insieme di casuzze, di archetti e, dietro, tutto il morbido verde del Gianicolo. Luis li aspettava con Pepe e altri studenti. «Adesso è meglio che tutti noi spagnoli stiamo insieme», diceva e perciò aveva voluto che Vinca conoscesse i suoi amici. Ma ella rimaneva impacciata, non si sentiva compatriota degli altri come di Luis. «In fondo» pensava «non ci si abbraccia mica con tutti quelli che hanno il nostro stesso passaporto.» Egli la trattava come un’amica, come Emanuela, e ciò la indispettiva; se non voleva far sapere agli altri del loro amore, perché l’aveva fatta andare lassú? Andrea e i ragazzi parlavano di politica, gli spagnoli ad alta voce, Andrea con il suo tono risoluto e calmo. Le

Letteratura italiana Einaudi

148

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

fanciulle s’erano sedute sul divano-letto, Vinca era cosí stonata che neppure pensava «qui dorme Luis», si teneva accosta a Emanuela, ma anche con lei si sentiva diversa; non era come al collegio; qui, in mezzo agli altri, non sapevano che discorsi fare. S’alzarono per guardare i progetti attaccati al muro: molti portavano la firma di Luis, altri di amici, ugualmente spagnoli. Case alte con piatte facciate turchine, larghe vetrate che si sarebbero arroventate al sole. Una villetta rossa che sembrava un grosso dado e aveva finestre tonde ad oblò: quattro cipressetti, rigidi come giocattoli, erano dipinti avanti all’ingresso della villa e rappresentavano l’unico guizzo di poesia dell’architetto. Vinca estatica guardava i progetti, ripeteva: – Che artista! – E volgeva lo sguardo a lui che animato discuteva, parlava di Spagna rossa, di Spagna martoriata, chiese sventrate dalle bombe, donne gettate a mare nei sacchi, bimbi con le mani tagliate; nei cimiteri i morti erano disseppelliti; la mamma di Vinca era sepolta in Spagna: la ragazza sussultò: – Sí – disse volgendosi, – bisogna che finisca. Non possiamo fare niente noi, tutti noi? dobbiamo restare con le mani in grembo a vedere la distruzione del paese? La sua improvvisa esclamazione fece tacere i ragazzi: Luis si levò, le mise una mano sulla spalla affettuosamente, disse: – Que hacer? Che fare, Vinca mia? A questo punto una donna non piú giovane, con i capelli rossicci, il viso biaccato, grassa, che indossava un chiaro vestito a fiori, spinse la porta e irruppe nella stanza seguita da una ragazza pallida e da un giovane in occhiali. Erano, i tre, altri spagnoli; la ragazza era fidanzata con Pepe e il fratello di lei, Ignacio, studiava con gli altri architettura; molte volte Vinca aveva udito parlare di loro. La madre si sedette pesantemente sul divano, ma per la sua corporatura doveva restare sull’orlo, tutta ansante per la lunga scala salita, per il caldo che cominciava a divenire opprimente. Luis faceva le presentazioni e lei da-

Letteratura italiana Einaudi

149

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

va la mano sorridendo, ma distratta, svagata dalla sua stanchezza. Parlava a voce alta, stridula e cadenzata. – Ay! – diceva. – Abbiamo tenuto che venire a piedi, niente vetture sulla piazza e Pilar diceva: è aqui vicino, aqui vicino. Stanca me sento; y le scale le scale. Pero bello quassú, perché no abrir un poco la finestra? Il sudore le colava sul viso dipinto. Pilar s’era avvicinata a Vinca, si sorridevano senza parlare, manifestando l’una per l’altra una timida simpatia come avviene negli incontri dei bambini. La signora osservò Emanuela e Vinca con l’occhialetto e poi esclamò: – Dios! Che incanto! Que bellezas! Qual è di queste due la fidanzata di Luis? Era la prima volta che Vinca si sentiva nominare cosí e non osava rispondere, ma, avendola Emanuela sospinta per il braccio, rispose affrettata: – Io... io... – Vieni che ti miri! Fatti vedere, quanti anni hai?... Ventuno? Como la mia Pilar! Hai visto la mia Pilar? Poi distolse lo sguardo; Vinca non l’interessava piú. Era agitata per una visita che aveva ricevuto al mattino, non poteva pensare ad altro, e ansava smaniosa di raccontare. – Esta mattina entra in camera mia la criada, como dite? la cameriera e mi fa: «C’è una signorina che viene dalla Spagna». Figurese! Stavo cosí, spettinata, in vestaglia, ma «dalla Spagna», aveva detto, vengo subito, rispondo, che aspetti, che aspetti. Vado e trovo una creatura preciosa, bellissima, bionda, snella, bionda platino, proprio come un’artista del cine. La mandava da me un’amica mia, una vecchia amica, alla quale quelle belve hanno ammazzato il figlio cosí, ni os ni Dios, una pallottola nella schiena, pum, lí, a ventidue anni. Dunque, la ragazza era pallida, di cera, la pobrecita: è salva per miracolo, che volevano fucilarla perché è fidanzata con un falangista. È stata carcerata un mese, con altre donne, gente dell’aristocrazia, due monache e una donna incin-

Letteratura italiana Einaudi

150

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ta. L’hanno arrestata in mezzo alla strada, venga con noi, e lei subito aveva pensato: me matano. Dunque l’arrestano... Pilar l’interruppe: – Sí, ma dí prima che lei non è spagnola, che al consolato... – Ah, vero, vero, lei dunque è nord americana, ma le piace la Spagna, ya lo creo, la madre è spagnola, lei vive in Spagna. Al consolato americano le dicono stia tranquilla, lei è suddita americana non possono farle nulla, non la toccano, ma quelli sí, mica ti domandano le carte. Carcerata dunque in un sotano, como si dice? una cantina, con quelle altre, due ne uscirono per essere fucilate. Le chiamano dicendo cosí: «Vamos de paseo» una passeggiata e non ritornano piú. È arrivata qui esausta, morta di fame, mi raccontava tutto ciò mentre le davo la minestra; notte e giorno le monache pregavano e la donna incinta piangeva, finché un giorno comincia a lamentarsi, poi si mette a urlare, son le doglie del parto. Ventiquattr’ore di doglie, e strilli, e strilli, quelle belve neppure s’accostavano, e loro bussavano alla porta, niente, sole lí, come cani, al buio, le monache aiutavano quella poveretta, che, il giorno dopo, finalmente si libera. – Morto, il bambino – interruppe Pilar. Donna Inez la guardò male perché le aveva tolto di bocca le parole e l’effetto. Poi continuò piú piano: – Già, morto. E la madre mezzo dissanguata, lí, nel sudiciume, a piangere, a disperarsi, a scaldare col fiato il niño perché tornasse a vivere. Dopo due giorni si portano via il cadavere, la madre aveva la febbre forte, l’infezione, smaniava. Le monache avevano ripreso a pregare, quel borbottío, dice la muchacha, faceva diventar pazzi. Il domani una di quelle belve apre la porta, dice: «Es domingo, si mangia arrosto oggi, lepre arrosto». Lo divorarono tutte, affamate, anche le monache, anche la puerpera. E quelli dopo, in due tre sulla porta a ridere, a smascellarsi. «Bueno,

Letteratura italiana Einaudi

151

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

no?» chiedevano, e ridevano come ubriachi. Sapete cos’era la lepre? Già, la lepre, era il bambino! Le ragazze ebbero un’esclamazione d’orrore; gli uomini stavano ad ascoltare, pallidi. Emanuela s’era stretta ad Andrea e donna Inez, affannata dal lungo discorso, di nuovo si sventolava col grande ventaglio, si scostava il vestito dal petto sudato. – E lei? – chiedeva Luis. – Come s’è salvata? – S’è salvata cosí. Il giorno dopo, tornano le belve e si portano via le monache. Las pobrecitas se van como al martirio. Ma tornano poi, e non pregano piú, stanno buttate in un angolo, senza piú le cuffie, i capelli corti disordinati. E dopo poco chiamano lei, la muchacha: «Vamos» dicono «a pasear». M’ha detto che non aveva paura, si capisce che è di sangue freddo, meglio morire che quest’incubo, pensava, le altre piangevano e lei se ne va con loro. Dice che aveva deciso: prima che sparino strillo: «Viva la falange!», almeno il fidanzato l’avrebbe saputo. E poi, sai? come nei film, all’ultimo momento, arriva il console e se la porta via svenuta. È stata dieci giorni in casa di lui, delirando; sempre gridava: «Viva la falange! Viva la falange!» e sputava perché sentiva in bocca il sapore di quel bambino morto. Donna Inez, soffocata dalla commozione, s’arrestò, tossí e continuò: – Riparte domani, il console la rimanda in America del Nord, io le ho dato quanto ho potuto, si dispera perché teme che le abbiano ammazzato il fidanzato, una bellezza, la muchacha. – Poi vedendo che gli altri non osavano piú dire parola, impietriti da quel racconto, fece: – Basta. Cosí sta la nostra patria, ma tra poco... le truppe nazionali si stanno preparando, ci sarà la guerra, la guerra. I giovani ascoltavano senza guardarsi. «Se c’è la guerra» pensava Vinca, «Luis parte». Pilar aveva preso il braccio di Pepe e lo stringeva. Emanuela e Andrea erano spaventati come se quella tragedia dovesse travolgere

Letteratura italiana Einaudi

152

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

anche loro. Donna Inez seguitava a parlare facendosi vento con un grande ventaglio sivigliano sul quale era dipinta una piazzetta cinta di maioliche azzurre, una casa con i gerani ai balconi e la torre della Giralda che sovrastava, appuntata alla stecca mediana. Vinca seguiva con gli occhi il ventaglio e la donna se ne avvide. – Che guardi, chica? La Giralda? Ay! – e si premette il ventaglio sul cuore. – Chi sa se la veremos piú, la Giralda! Non c’è un po’ d’acqua, Luis? Ho sete. Grazie, hijo. Ay, la Giralda! Pilar, bevi anche tu. Dicono dunque che sia questione di giorni. Mentre gli altri scrollavano la testa in un silenzio raccolto, Pilar disse con voce recisa: – Io voglio sposare, se Pepe parte. Non resto sola cosí, mi muoio. – E scoppiò a piangere. S’imbruttiva perdendo quella gravità degli occhi e la compostezza del viso. Donna Inez strillò: – Hija, no me piangas per carità! Chi dice che Pepe parte? Restano, restano tutti i ragazzi. Che fanno loro quattro lassú, contro tanti di quei barbari cinici? Che fanno loro tre? – No, donna Inez – Luis la interruppe, – io parto. Gli altri due lo ascoltavano tacendo, egli riprese: – Parto: al primo annuncio, me ne vado alla falange. Chi resta? Voi potete restare? Donna Inez sbigottita guardava il figlio, ma Ignacio scosse la testa. Pepe insisteva: – Tu vorresti che io rimanessi, Pilar? Fu donna Inez a smagare la scena; disse: – Ma perché parliamo di questo? Vamos vamos, ragazzi, son discorsi questi, si parla per parlare, nessuno parte, nessuno parte, Pilar, alma mia, no se mueve Pepe, no se mueve, vamos, vamos. – E cambiò discorso: – Luis, non ci mostri i progetti? Egli prese un fascio di disegni dallo stiratore e li mostrò. – Questo è il progetto che ha partecipato al concorso per la colonia estiva: fiasco. Siamo stranieri. Que-

Letteratura italiana Einaudi

153

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sto è un progetto di casa popolare. Vi abbiamo lavorato in tre; Pepe, Ignacio e io. Niente di fatto. Pilar ripeté: – Tu también, Pepe? – Yo también. – Questo è il progetto di una villa, una villa razionale, terrazzo solarium, garage nel giardino, tennis, piscina... – Ma prima di mostrare in giro il disegno, chiese perplesso: – Si costruiranno piú, da noi, ville, piscine? Nessuno osò rispondere; erano tutti sotto il peso di un incubo, in tutti vagava quella parola tremenda: guerra. Infine donna Inez disse: – Hijos, voi siete giovani. Avete tempo di costruire ville, molte ville. Pero nosotros, nosotros... torneremo a passeggiare al Retiro, noi, i vecchi? Andrea ed Emanuela se ne andarono dallo studio per i primi; si sentivano mortificati come se fossero stati costretti a esibire la loro fiorente salute in un tubercolosario. Vinca sarebbe tornata in collegio accompagnata da Luis. Nelle strade del vecchio quartiere le donne ciabattavano spappate dal caldo, i ragazzini uscivano dal portone in camicia. Emanuela respirò sollevata: – Fa bene essere fuori, è come quando si rientra in patria subito dopo aver varcato la sbarra di frontiera. Un passo, ma è già casa propria. Qui non si sente piú la pena di quella parola: guerra. – Sí, poveracci. Che faremmo noi esiliati dalla patria? È la cosa che temerei di piú al mondo. Fare qualunque lavoro, portar pietre sulle spalle magari, ma qui nella terra nostra, sentire la nostra lingua... Potresti vivere fuori d’Italia, tu? – Non so, una vita nuova mi attrae sempre, il principio sarebbe duro, certo, ma poi m’adatterei. – Io no, mai. E mi dispiace che tu dica cosí. Io sarei come loro sono: disperato. Anzi, ti dirò che ho cambiato idea sulla piccola spagnola. – Su Vinca?

Letteratura italiana Einaudi

154

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí. – Perché? – Sai? Quella volta che minacciò un compagno con l’ombrello, perché le aveva detto non so che cosa passando, mi parve squilibrata. Pensavo che tu, al suo posto, avresti seguitato a camminare fingendo di non aver udito. – Non so. – Sí, tu avresti fatto cosí. Ma ciò non vuol dire che lei sia pazza e tu ragionevole. Vuol dire soltanto che lei è spagnola e tu italiana. Certe cose non vanno giudicate secondo i caratteri e l’educazione, ma secondo i paesi. Cosí quando, appena entrati, ho inteso parlare quei giovani, ho pensato che si trattasse d’un gruppo d’esaltati. Invece poi ho capito che se ci sarà la guerra saranno, certo, i primi ad arruolarsi. Ho capito anche che Vinca ama Luis. L’ho capito quando ha trovato meravigliosi i progetti. Mai qualche cosa è solamente bella per uno spagnolo. Deve essere bellissima, almeno. Tutta la loro lingua è fatta di superlativi. – Infatti: quando la signora parlava di me e di Vinca, della nostra... sí, insomma, della nostra bellezza, mi sono sentita a disagio, offesa, come se ci avesse spogliate in pubblico. – Ecco. E invece Vinca era raggiante. È questione di latitudine. – Sí; è giusto ciò che dici: Vinca ci ha raccontato per esempio che a Còrdova chi nell’annata è caduto in grave peccato, segue la processione del venerdí santo incappucciato, scalzo, portando sulle spalle una croce. – Forse non è affatto pentito, e dopo Pasqua ricomincia da capo. Ma aver dato pubblica espiazione è come esser lavato dalla colpa. Però appunto per questo livello superiore d’entusiasmo nel quale vivono, la Spagna è bella. Dopo un silenzio riprese: – Mi piacerebbe andare a Siviglia con te. O in montagna. Due cose diverse. Ma

Letteratura italiana Einaudi

155

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

debbo far nascere in te l’amore della montagna, dovrai abituarti. Sarebbe bello fare un viaggio di nozze, sacco in spalla, di rifugio in rifugio. Originale, no? non si avrebbe la faccia degli sposi novelli. Ma quale donna avrebbe il coraggio di passare dall’abito bianco, il velo, alle scarpe chiodate e ai calzoni? Emanuela non rispondeva ed egli riprese:– Vedi? Neppure tu sei entusiasta del programma. Potresti almeno dire di sí per compiacermi. Un treno secondario, si va in terza classe e, dopo, un viaggio di nozze a piedi. Sarebbe bello al mattino aprire la finestra su quelle albe rosee di alta montagna. No? In ogni caso hai tempo di pensarci su. Be’, sei arrivata, Nuela, ti lascio. Guarda di studiare un po’ stasera, se no non ti porto piú a spasso; non perderti in chiacchiere come sempre. Sono già le otto ed è ancora giorno. Addio, bisogna che sia puntuale. Sai? da ieri papà mangia dietro il giornale: ha alzato le mura di Gerico. Invece con la mamma si fanno progressi, mi ha domandato come ti chiami e quanti anni hai: «Che te ne importa?» ho risposto «se non volete saperne?» Ma poi le ho detto tutto. Ciao, adesso. E studia stasera quel mio disegno di viaggio in montagna... Rientrando Emanuela davvero ripensava alle parole di lui: «il vestito bianco, il velo...»; sarebbe stato difficile evitare tutto questo. «Un treno secondario, gli scarponi ai piedi, terza classe...», Forse era meglio tacere fino allora, poi nella debole luce dello scompartimento, prendergli le mani: «Senti, Andrea, debbo confessarti una cosa, una cosa grave, ma tu sei un ragazzo intelligente, un ragazzo che capisce...». * La conferenza di Belluzzi ebbe grande successo: per aiutarlo Silvia aveva trascurato i suoi studi, lavorando per sé soltanto la notte; andava a dormire alle quattro, si

Letteratura italiana Einaudi

156

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

alzava alle sei e mezzo, si rimetteva al tavolo nel puro silenzio del mattino, apriva con fatica le cartelle, lancinata da un sordo dolore nella schiena che l’obbligava ogni poco a rialzare vivamente il busto. Alla vigilia il professore glie l’aveva letta, lui in piedi dietro la scrivania, lei seduta nella poltrona: una prova generale, con le mosse addirittura, quei brevi gesti secchi, ritrosi, che egli usava quando parlava in pubblico. – Venga a sentirla – e le aveva dato il biglietto d’invito. – Poi venga qui da me, a casa. Ella andò e si sedette nell’ultima fila. Molta gente elegante in quella gran sala adorna di specchi e dorature; sul soffitto, paffuti angioletti danzavano reggendo grevi corone di rose. Tra gli invitati tutti si conoscevano, Silvia si sentiva isolata. Gente accanto a lei la scrutava dall’alto al basso, intimidendola. La signora Dora aveva preso posto in prima fila dove c’erano le poltrone dorate, ma ogni poco si alzava per andare incontro alla gente come se fosse la padrona di casa; indossava un abito verde, in testa un grande cappello nero con una lunga piuma verde che ondeggiava mollemente quando lei piegava la testa per salutare. Un brusio alto, un fitto cicalare; sulla pedana la poltrona rossa e il tavolo con la bottiglia attendevano: Silvia sapeva che il professore s’agitava ogni volta che doveva parlare in pubblico, sempre come se fosse la prima volta, perciò avrebbe voluto trovarsi con lui nella saletta dove egli aspettava, solo, o con gente che lo infastidiva. La signora Dora, ora riceveva due signori alti e bianchi, vestiti di nero, che dovevano essere importanti perché la gente si scostava lasciandoli passare e dietro di loro commentava a bassa voce. I due signori importanti si sedettero nelle piú vistose poltrone, gomito sul bracciolo, mano al viso, in attesa. Anche la signora Dora sedette e dietro di loro il pubbli-

Letteratura italiana Einaudi

157

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

co, al quale ogni tanto lei rivolgeva occhiate d’intesa e di compiacimento. Piano la porticina s’aprí; Belluzzi apparve frettoloso a capo basso, salí sulla pedana, salutò con due piccoli cenni della testa il pubblico che applaudiva. Anche i due signori importanti batterono le mani leggermente. E, dopo un colpo di tosse, lui cominciò. Silvia seguiva il moto nervoso della mano del professore che voltava i fogli della conferenza, la loro fatica. Negli occhi degli uditori già si scorgeva affermarsi il successo; i due signori molto importanti ascoltavano, tesi. Tra un quarto d’ora tutto sarebbe stato finito e Silvia tra pochi giorni avrebbe dovuto ricominciare a correre in biblioteca, ricercare per lui i dati per una difficile monografia. Quando Belluzzi finí di parlare, la folla s’addensò dinanzi alla pedana, come gli studenti dopo la lezione. Silvia restò qualche istante in piedi nel fondo della sala, guardandolo sorridere, ringraziare. «Deve essere un bel momento questo per lui.» Chi sapeva che quella donnetta nera aveva lavorato con Belluzzi? Lei soltanto, lo sapeva. Lentamente uscí dalla sala, discese la grande scalea, i valletti la guardavano sorpresi, come mai costei è venuta qui? Ma Silvia si sentiva ebbra come per un successo suo. Vide Belluzzi il lunedí seguente la conferenza perché il giorno appresso era festa e lei restò al “Grimaldi” a non fare nulla, neppure studiò. Non trovò il professore in casa, sul tavolo c’erano biglietti, telegrammi di congratulazioni. Li lesse compiaciuta, standosene in piedi presso la finestra. L’estate non entrava nella casa del professore, la stagione s’annunciava solo con le fodere bianche che vestivano le sedie. Quando egli giunse le mosse incontro a mani tese. – Sa che sabato tornai subito a casa, per lei? Non è venuta alla conferenza e allora potrei anche dirle che è andata male, vero?

Letteratura italiana Einaudi

158

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– No, professore, non potrebbe, perché c’ero, ho seguito tutto col batticuore e me ne sono andata, felice del suo successo. – C’era e non è venuta a salutarmi?... – Tanta gente, professore... – Ma lei non è tanta gente, cara Custo. Mi troverò molto male quando lei avrà preso la laurea e se ne andrà. – Io resterò, professore. – Non è possibile, lei deve farsi la sua strada, no? Che cosa potrebbe offrirle il rimanere con me? Perdere qualche anno, nulla di piú. E nella vita non ci sono mai anni da perdere. – C’è tempo per pensarci, professore. – Sí, c’è tempo. – Dopo una breve pausa seguitò guardando il cielo È arrivata d’improvviso l’estate, quest’anno. Me ne sono accorto oggi, accompagnando Dora alla stazione. – Tacque, poi aggiunse: – È partita. – Oh! mi dispiace. – Sí. E io pure partirò tra breve. – Anche lei, con la signora, ad Abbazia? – Oh, no! una mia casetta in campagna, nel Veneto; vecchia e malandata. Era la casa di mio padre; e io mi ritrovo bene lí, ogni anno. Direi quasi che mi sento ringiovanire; forse perché vi ho abitato da ragazzo. Sono le cose intorno a noi che fanno l’età, vero, Custo? E poi ci vuole un poco di respiro prima di riprendere l’anno. – E la signora verrà a raggiungerla, naturalmente. – Oh, no, no. Ci venne un anno per farmi piacere. Ma s’annoiò tanto, povera Dora, quasi ne fece una malattia. – Sorrideva al ricordo. – Come potrei pensare di sacrificarla cosí? Sa, Dora è molto diversa da noi, un altro carattere, a lei piace la gente, il movimento, le cose inutili; è cosí piena di vita, Dora, è cosí donna; donna proprio... proprio donna, ecco. Che si può dire di piú? Accanto a lei io non posso parlare del mio lavoro e ciò mi riposa. Noi che pensiamo, studiamo sempre, dobbiamo avere

Letteratura italiana Einaudi

159

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

accanto a noi una persona che non pensi affatto, se no soffocheremmo. Per me quando ritrovo Dora a pranzo, la sera, è come se prendessi una boccata d’aria fresca. Quella sua meravigliosa ignoranza di cose che per noi sono vitali, mi dimostra che ogni arte è essenziale solo per chi la fa. – Non so, professore, forse. – Lei è ancora molto giovane, se ne accorgerà anche lei. Il professore aveva detto: «Donna proprio... proprio donna, ecco». E Silvia non capiva ancora se questo volesse essere una lode o un benevolo compatimento. Da qualche giorno la signora Dora non telefonava piú, si chiudeva in camera sua a scrivere, sul delicato scrittoio maggiolino, lunghissime lettere che chiudeva in buste allungate, violette. Scriveva ad Abbazia ed oggi era partita. Donna, proprio donna, ecco. Quando Silvia era bambina amava giocare a correre con i maschietti della sua età, mentre le sorelle intrecciavano ghirlande, ricamavano, ascoltavano le favole accanto al camino. Ella, tutt’al piú, cuciva fronzoli alla sella del muletto; se intanto le serve narravano si fermava ad ascoltare, quando erano storie di banditi pregava: – Continua. Al mattino, indossati i calzoni del fratello maggiore, andava a cavallo lungo il canale; poi, legato il cavallo, si stendeva sul prato a leggere o a pensare. A tredici anni chiese alla madre d’improvviso: – Ditemi, mamma, sono proprio brutta, vero? – Chi ti dice questo? – Lo hanno detto certe ragazze che giocano con le sorelle. Ridevano, anche le sorelle ridevano e insistevano: «Non l’avete vista con i calzoni del nostro fratello? È un maschio anche lei». – Perché dài ascolto alle chiacchiere, Silvia? – E allora, ditemi voi: sono proprio brutta, vero?

Letteratura italiana Einaudi

160

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

La madre le carezzò i capelli e disse: – Nessuna creatura è brutta che nasce nel segno di Dio. Poi la mandarono in città: le sorelle restarono nella grande cucina ad aspettare il marito. Immacolata era già promessa. «Hanno fatto bene, non sarei stata una buona moglie. Non saprei vivere aspettando che una porta si apra e il marito venga a parlarmi di cose che non m’interessano, che forse non interessano neppure lui. Non sono una boccata d’aria fresca. Potrei sposare soltanto il bandito che portasse sulla sella anche me. Ma pure in quel caso credo che preferirei avere il mio cavallo e galoppargli accanto». Ritrovò le compagne dopo la preghiera; la cappella era fresca, satura di odore di giglio. Ai primi caldi dell’estate la Madre superiora in cappella si lasciava cogliere dal sonno. Augusta che riceveva le confidenze di suor Lorenza, disse che si parlava di rimandarla a Genova, alla casa madre, dove stavano tutte le monache vecchie aspettando di morire. – Che farà – chiese Valentina – nella casa di riposo? – Quello che fa qui, niente. Stanno sulla terrazza al sole, pregano, hanno una cura gelosa del proprio stomaco, del proprio intestino. – Tutte vecchie cosí? – Tutte – disse Augusta. – Dev’essere terribile – esclamò Emanuela – vedere scomparire una delle compagne, il posto accanto al proprio, qui la compagnia di noi giovani doveva darle un senso di sicurezza nella salute. – Non tanto – replicò Silvia; – forse invece la nostra gioventú le dava coscienza della sua vecchiaia. Lí sono tutte uguali, tutte inoperose. Quando qualcuna muore, le altre hanno l’avida gioia di sentirsi ancora vive, di resistere, simile al brivido che ci dà il pericolo che ci ha evitato sfiorandoci.

Letteratura italiana Einaudi

161

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Adesso qualche volta, dopo la preghiera, le ragazze uscivano a discorrere nel cortiletto. Sul cielo ancora chiaro neppure si vedevano le stelle che piú tardi invadevano la notte. Nella camera che era stata di Milly adesso abitava una ragazza che suonava il violoncello; c’era la luce accesa e s’udivano da lassú cadere le note strascicate di una barcarola di Offenbach; le ragazze stavano bevendo la notte e la musica, quando Vinca, che era salita a prendere il giornale, ridiscese con il cappello in testa, pallida, stravolta; mostrò alle amiche il giornale che aveva in mano; diceva che la Spagna era in guerra. – Voglio uscire – esclamava smaniando, – esco, vado da Luis, anche lui avrà letto i giornali. – Oh, Vinca, è tardi ormai. – Che m’importa? Esco, dormirò da donna Inez, m’ha detto che quando voglio posso andare a casa sua, con Pilar. Che m’importa di dormire? Debbo uscire. Precipitosamente corse nell’ingresso e si trovò davanti alla suora portiera che già spegneva la luce: – Suora, mi lasci uscire! – Uscire a quest’ora? Sei pazza? – Debbo uscire. C’è la guerra da noi, capisce? Non posso stare qua dentro, lei deve aprirmi subito. – Di notte? ora sono quasi le dieci. Non è possibile, Vinca; uscirai domattina. – E chi potrebbe dormire? Mi apra, suora, le dico. Picchiava rabbiosamente alla porta. La vecchia suora aveva suonato la campanella e suor Lorenza era accorsa. – Vinca, che hai? – Debbo uscire, bisogna che esca, capisce? Da noi c’è la guerra, bisogna che anch’io vada con gli altri, dopo la notizia si saranno riuniti. – Quali altri? Gli altri tutti, perché mi guarda cosí? Sí, anche Luis, perché mi fa quella faccia? Che, non lo ha sempre saputo di Luis?

Letteratura italiana Einaudi

162

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ora gridava: – Insomma, mi lasci uscire, ho detto! Suor Lorenza cercava di calmarla: – Non vuoi telefonare, piuttosto? Vieni, uscirai domattina. Ma Vinca seguitava a bussare con i pugni sulla porta: – Mi apra, suora, mi apra, abbia pietà. E se partono? Ha detto che al primo annuncio raggiunge la falange. Che diritto ha lei di tenermi chiusa qui dentro, suor Lorenza? Anna ed Emanuela intanto la convincevano a risalire, e quella insisteva: – No, Emanuela, no, proprio tu non devi farmi cosí. E se partono? Se parte, che faccio io, dí, Emanuela? – La trascinarono in camera che gridava, smaniava: – La guerra, proprio la guerra. E io chiusa qui dentro, sepolta viva. L’ho sempre detto che mi sentivo prigioniera. E se Luis parte? – Ma non è possibile, pensaci, che parta cosí all’improvviso! – Tutto è possibile per lui. Mi lascia un biglietto, sai come fa? C’è la guerra, capite? Parte per la guerra. – Deve partire per forza? – Come potrebbe restare? Parte, ha ragione. Prima era la rivoluzione nelle Asturie, lontano da casa nostra, ma adesso si battono dove abbiamo sempre vissuto. Parte e non lo vedo piú! Dite: e se me l’ammazzano? Singhiozzava e le altre s’ammutolivano, sentivano che la guerra era una catastrofe solamente sua, per la prima volta s’accorgevano che Vinca era una straniera; la rovina del suo paese non le toccava. Come se fosse malata la spogliarono, la misero a letto, suor Prudenzina portò un’altra candela, una tazza di camomilla. Quando la vide, Vinca le gridò avventandosi: – Potevate lasciarmi uscire piuttosto! – E poi, volta alle compagne: – Non vi sentite tutte prigioniere? Si soffoca qua dentro, si soffoca, tra queste vecchie zitelle consacrate nel loro egoismo!

Letteratura italiana Einaudi

163

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Il suo singhiozzare si smorzò in un pianto lungo, taciturno. Accanto a lei le compagne parlavano piano, Silvia leggeva l’articolo del giornale. «Brutta faccenda!» pensava storcendo la bocca. Poi uscirono caute. Ma udendole andarsene Vinca aprí gli occhi sgomenta, s’aggrappò alle mani di Emanuela, chiese con un filo di voce: – Dimmi, è vero che hanno inventato certi gas che fanno diventare ciechi? Luis partí dopo una settimana. Regalò a Vinca una carta geografica della Spagna e le bandierine nazionali per seguire l’avanzata. Anche Pepe partiva, e Ignacio. Altri due che davano la laurea in ottobre li avrebbero raggiunti subito dopo. Però Luis diceva: – Per quell’epoca siamo già di ritorno, che vi pare? Verremo perché ci paghiate da bere il giorno della laurea. Non ve la cavate cosí! Adesso che andiamo noi, la guerra si vince in una settimana. Scherzavano, anche Vinca tentava di scherzare, però ogni momento chiedeva a Luis: – Mi scriverai? sempre mi scriverai? Li lasci a me i progetti? – E poiché lui aveva gettato via le vecchie pantofole, ella raccolse anche quelle per conservarle. Vinca sarebbe andata ad abitare con donna Inez. «Sí, vieni, cara», le aveva detto: «Cosí non mi rimane sola la mia Pilar. Tutti insieme, tutti insieme. Non si può restare tra estranei, che non capiscono quello che noi stiamo passando». Era ricca donna Inez; però nella sua casa di campagna, a Ozuna, i rossi avevano fatto una specie di quartier generale. – Quelle belve in casa mia! Lí c’è il ritratto del re con i figlioli, firmato: Alfonso XIII. Dove starà tutto questo? E la Virgen de Guadalupe che stava sopra il letto dei ragazzi? Vinca, esaltata dal cambiamento, neppure si doleva di lasciare le amiche. Suor Lorenza aveva trovato per lei alcune lezioni di spagnolo, e lei, riconoscente, le aveva ba-

Letteratura italiana Einaudi

164

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ciato le mani. Di studiare ormai non parlava piú. Il padre s’era rifugiato con la moglie in Portogallo, e da lí aveva telegrafato alle suore che consentiva a Vinca di andare ad abitare da donna Inez. Due giorni prima di abbandonare il collegio, Vinca girava già per le stanze salutando le compagne: – Non mi sembra di lasciarvi poiché rimango a Roma – diceva, – ci vedremo sempre, ogni giorno. Chi sa che dopo l’estate non ritorni in collegio?... – Distratta da tanti avvenimenti, neppure piú si preoccupava della partenza di Luis. Era come un incubo svanito; s’accorse che egli partiva veramente il giorno in cui entrando nello studio lo trovò che preparava le valige. Era solo, Pepe aveva condotto via Pilar che non aveva potuto reggere ai preparativi della partenza. – Già? – chiese, e impallidí. – Domani sera partiamo. Alla frontiera sapremo la destinazione. Se ne andava veramente. Nel giornale di ieri Vinca aveva letto: centodiciannove morti in uno scontro. Molto lontana la Spagna, almeno tre giorni per avere una lettera. – Scriverai, amor mio? – Sí, quando potrò. Quando potrò... Forse un giorno non avrebbe potuto, la guerra, al fronte si va per combattere. Niente posta, oggi. Forse neppure Pilar avrebbe ricevuto notizie di Pepe, né donna Inez del figliolo, d’Ignacio. Il giornale avrebbe recato notizie tremende; duemila morti. E niente posta oggi. Per le strade la vita sarebbe continuata pacifica anche se non arrivava posta di Luis. – Ascolta, Luis. – Dimmi. – Io ti amo. Era la prima volta che glie lo diceva. Il giovane smise di piegare le cravatte, la guardò, e vedendola cosí tremante, le si avvicinò, la strinse a sé. Nelle braccia di lui

Letteratura italiana Einaudi

165

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Vinca scoppiò in pianto. Egli le batteva piccoli colpi affettuosi sulle spalle, lei sentiva che erano mani diverse da quelle mani del cinematografo. Domani a quest’ora non sarebbe stato piú qui. – Luis: porti con te la mia fotografia? – Certo, quella che ti feci al Gianicolo quel giorno che poi si litigò. – Che altro posso darti?... Tieni. Questa è la mia penna stilografica. È quella con la quale prendevo appunti in facoltà. Non mi serve piú. Portala via. Se no, come farai per scrivermi dal fronte? Ricordi bene l’indirizzo di donna Inez? – Sí, certo. Con dolcezza egli l’accarezzava per calmarla. Il sole ultimo calava sulla vetrata e l’accendeva come quel giorno che Luis chiese a Vinca: «Vuoi salire?» Adesso Luis partiva per la guerra. – Luis... – Vinca... – Ricordi quel giorno, quando venimmo a vedere lo studio dalla strada? – Quando? – La prima volta. E io non volli salire. – Si stringeva a lui, gli carezzava il collo, i capelli. – Sí, mi ricordo. Vinca lo baciava sul collo, gli soffiava le parole sulla gola: – Senti... – diceva. E aveva una nuova voce, adesso, piú ferma. – Tu parti, Luis, è vero? Tu parti? – lo fissava con occhi disperati. – Vuoi? vuoi? Egli esitò dapprima: – Che cosa, Vinca? – finché, vedendola cosí tremante, il viso molle di pianto, capí. Scosse la testa, l’attrasse di nuovo a sé, le prese le mani. – No, Vinca, no. – Voglio io. Perché non vuoi? – No – disse scrollando la testa: – Era altra cosa, allora, adesso si parte, c’è la guerra.

Letteratura italiana Einaudi

166

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Perché non vuoi? Ti amo, non senti quanto ti amo, Luis? – Sí, lo so – egli fece seriamente – ma adesso c’è la guerra. Tornerò, sai? o tu verrai laggiú, tutti torneremo al paese. Non ti ricordi i discorsi che facevamo dell’Andalusía? Tu m’aspetti, io ritorno. Il sole aveva abbandonato la vetrata, lo stanzone nudo s’era fatto grigio, pieno d’angoli d’ombra. Vinca, avvinghiata al collo di Luis, singhiozzava: – No me dejes, Luis! Non mi lasciare! * Dino glie lo ripeteva spesso: -Vedrai, a San Remo, che albergo! Io, sai? quando viaggio sono abituato a viaggiare bene. E mi piacciono le donne a posto. Cosí aveva fatto accettare a Xenia due vestiti, molte paia di calze. Partirono il pomeriggio di un sabato. La sera prima avevano cenato con Vandina e, dopo, anche Horsch era venuto. Gli uomini s’erano messi a parlare d’affari e le ragazze ne avevano approfittato per farsi confidenze: – Vedi, Xenia, sono felice della tua fortuna. – Fortuna? – Sí, questo che ti càpita, il viaggio, i vestiti e poi, vedrai, non finirà qui. Non sarai mica innamorata di Dino? – No, ma... mi piace, ecco. – Meglio. Proprio quello che ci vuole. Hai visto che fa certe volte il destino?... Tu vai a presentarti per lavorare, incontri un’altra, una poveraccia come te che cerca lavoro, si fanno due chiacchiere, si diventa amiche e poi... una cosa tira l’altra. Vedi come sono io? L’ho capito subito che eri un tipo fine e saresti piaciuta. Un’altra, al posto mio... magari t’avrebbe lasciata a sbrigartela da sola. Io invece sono contenta quando vedo le persone felici. A San Remo andate? Metti un luigi per me sul

Letteratura italiana Einaudi

167

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ventidue. È il mio numero. Tutto m’accade il ventidue. Sono nata il ventidue aprile, poi un altro ventidue... sí, insomma, mi capisci, voglio dire che se morivo il giorno dopo quel ventidue, non sarei piú potuta salire in paradiso a cantare nel coro degli angeli... E un ventidue ho incontrato il mio amichetto, quando avevo ventidue anni. Che te ne pare? Aspetta, aspetta, un ventidue ebbi un piccolo incidente d’auto che mi ha fruttato quattrocento lire dall’assicurazione, per un taglio al piede e poi il dottore fu molto carino, e neppure mi fece pagare. Horsch tacque in principio; piú tardi Dino disse a Xenia che l’amico aveva i nervi per certa sua bega. – Sempre sul filo del rasoio, lui. E quando credi che se ne vada sotto, è allora che meglio si regge in equilibrio. Si rianimò dopo due o tre whisky e anzi bevve alla fortuna del loro viaggio. Tutti sapevano che partivano insieme e questo metteva Xenia a disagio. Aveva scritto a casa che partiva, per l’ufficio naturalmente, cosí avrebbe potuto mandare qualche cartolina e l’impiegata della posta l’avrebbe raccontato all’intero paese. Giunsero a San Remo per l’ora del pranzo. Avida durante tutto il percorso Xenia aveva guardato di qua e di là senza parlare, per non distrarsi: solo talvolta si rivolgeva verso il suo compagno, gli prendeva le mani, gli diceva: – Grazie, oh, grazie – e poi di nuovo tornava ad ammirare avidamente il paesaggio, lasciandosi scorrere le immagini veloci negli occhi. Non poteva impedirsi di pensare: «Io arrivo sempre dove voglio». Correvano lungo la costa, uscivano entravano in gallerie. Una svolta ed era un paesino ordinato, le casette rosse con le false finestre dipinte sul muro; altra svolta e si trovavano soli tra le rocce; altra svolta: giú giú dal monte scendevano terrazze digradanti di ulivo e di fiori. E sotto il morbido sventolío della mimosa, i gerani e le cappuccine scaturivano dalle rocce, color di porpora e d’oro come i drappi dei giorni di festa.

Letteratura italiana Einaudi

168

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ma egli non era entusiasta di tante esclamazioni. Parlava della macchina: – Hai visto: cento di media, e il consumo? sette chilometri, quanto una vetturetta utilitaria, quasi. All’albergo Dino entrò da padrone: ebbero due camere vicine e un bagno tutto bianco e lucido. «È molto gentile Dino» Xenia si disse giungendo le mani per la gioia. E stupí pensando: «Due camere. Forse un viaggio da amici, cosí si usa, adesso». Cenarono nella sala da pranzo dell’albergo, alquanto vecchia, dove suonavano musiche classiche per violino. – Bevi – egli la spingeva. E Xenia godeva nel pensare che quella macchina alla quale scriveva per ore, fino ad avere, alla spalla, un dolore trafiggente come uno spillo infocato nella carne, quella macchina che le spezzava le unghie era lontana, a Milano: e lei a San Remo. Aveva ragione Dino: proprio un vecchio gufo quel direttore. Ora gli avrebbe chiesto se si poteva ritardare ad entrare in quell’altro ufficio della cementazione, le avrebbe giovato molto un mesetto di riposo. Presero il caffè, quasi senza scambiarsi parola, poi egli gettò via il tovagliolo e uscirono nella limpidissima notte. Tanti anni che Xenia non vedeva il mare! Quando vi era andata per l’ultima volta aveva forse dodici anni; una gita di un giorno; un torbido viaggio nel treno arroventato, nelle stazioni l’afa prendeva alla gola; ma, giunta sulla spiaggia, il vento le recò un fresco odore di scoglio che disciolse in lei ogni stanchezza. Era un mare piatto e lucido: certe virgole scure che si vedevano all’orizzonte erano le paranze. Il sole ultimo faceva allargare, sul piombo violaceo dell’acqua, chiazze di luce sanguigna. Xenia avrebbe voluto vedere il sole coricarsi, il mare spegnersi, ma i genitori la trascinavano, papà volle entrare subito in una trattoria, rinomata per il pesce fritto. – Andiamo a vedere il mare? – Il mare?... Oh, Xenia, non lo vedi di qui, il mare?

Letteratura italiana Einaudi

169

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

C’è bisogno di camminare fin lí? Andiamo piuttosto a giocare qualche luigi al Casino. Il Casino: una specie di grande ufficio, i tavoli gremiti di gente sotto il paralume verde. Tutti stavano zitti: s’udiva solo, di tratto in tratto, il saltellare della pallina nella roulette, la voce del croupier. I giocatori perdevano, vincevano, impassibili. Al sopraggiungere di Xenia e Dino, al rumore dei loro passi, quelli che erano seduti attorno al tavolo levarono verso di loro sguardi astiosi. – Molto difficile? – ella chiese a Dino. – Semplicissimo. Metti uno di questi gettoni sopra un numero. Vediamo, che numero? – Il ventidue, perché Vandina... – Ecco, ventidue. Adesso aspetta. – Dopo un momento esclamò: – Hai perduto. Rimasero tre ore lí dentro. Xenia era stanchissima; quasi sempre era stata in piedi vicino a Dino, il quale, divenuto di pessimo umore, aveva cambiato posto due volte. Quando, finalmente, incassò un grosso colpo, neppure si volse verso di lei, soltanto arrossí. Adesso ella avrebbe voluto dire: «Andiamo a vedere il mare?» Ma pensava che egli non avrebbe voluto e poi era stanca, aveva sonno, era ansiosa di giungere in albergo, di conoscere che cosa l’attendeva. Egli si alzò, si diresse al banco per cambiare i gettoni. Intascò parecchi biglietti di mille, poi la prese per il braccio e la spinse al bar. – Hai vinto, o hai perduto? – Xenia gli chiese. – Non hai visto? ho vinto. M’ero ridotto all’ultimo gettone. Ma io lo so. È quando sono proprio giú che mi rifaccio: tutt’è nel saper cogliere il momento buono, sempre cosí anche nella vita. Ho vinto cinquemila lire. – Poi tolto un biglietto dalla tasca, in presenza di tutti le disse: – Tieni, questo è per te. – Per me? – Ti spetta, perché m’hai portato fortuna.

Letteratura italiana Einaudi

170

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ma non ho fatto nulla! – Insomma, prendilo ti dico! Ella guardò attorno un attimo, poi accettò, fece scivolare il denaro nella borsetta e rise. Aveva una gran voglia di ridere, di essere allegra, di stringersi a Dino. Bevvero e dopo uscirono; egli camminava con le mani in tasca, fumando, e raccontava di una famosa sera a Montecarlo, nella quale, se avesse avuto piú coraggio, avrebbe vinto somme favolose. – È il coraggio che sempre bisogna avere. Quale credi che sia il segreto di Raimondo Horsch? Il coraggio. Ella pensava alla fuga di collegio, all’anello di Emanuela. Coraggio, aveva avuto. E adesso si trovava a San Remo a passeggiare con mille lire nella borsetta. In fondo il coraggio è fatto di gesti semplicissimi. La fuga non era stata altro che uscire e non piú rientrare in collegio. – Ti guarda Horsch, eh? l’ho capito che gli piaci. – È un uomo simpatico. – Ssssí... e poi lui ha sempre il coltello dalla parte del manico. Sai che tiene la moglie e la figlia a Menaggio in una casa modestissima, facendo credere loro che lui, a Milano, si arrabatta per guadagnare? Un uomo di venti milioni! ... Salivano verso l’albergo, fiaccamente. Dino neppure le si avvicinava e lei si stringeva nelle spalle perché era fresco. – Hai freddo? – súbito egli le chiese affettuosamente. Ella disse di no; intanto pensava: «Che razza d’uomo è? Insomma è come se fossimo in viaggio di nozze e ancora non mi ha dato un bacio. Forse quel giorno in automobile ha scherzato. Scherza sempre Dino!» Adesso lui andava raccontando di altri paesi che aveva veduto, già non sembrava piú entusiasta di questo, pareva volerle guastare la gioia. La strada saliva, ripida salita, tra due alti muri, ville ricche, con viali di ghiaia illividiti dalla luna, odore polveroso di gerani, odore zuccherato di glicini.

Letteratura italiana Einaudi

171

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

«Bello essere a San Remo. Un anno fa ero in collegio; piangevo sulle mani di Silvia. Silvia, come? ... ah ! Silvia Custo. – Oh! fermiamoci un momento, Dino, il mare! Cosí a una svolta, d’improvviso sotto di loro si stese il mare. Tutti i lumi erano spenti fuorché la luna, il paese digradava dolcemente verso la riva. Xenia guardava, pensava: «Certo adesso mi bacia». Invece, tirandola pel braccio, lui riprendeva a camminare. Cosí giunsero fino alle loro stanze. Egli la salutò sulla porta. – Fai le cose con calma – le disse: – Io faccio sempre la doccia la sera. E ordinerò che portino su una mezza di sciampagna perché ho fumato troppo. Vieni a berne un sorso anche tu. Entrata nella camera Xenia rimase pensierosa: era veramente per prendere un bicchiere di spumante che l’aveva invitata? Una situazione indefinibile. Che faceva Dino, dove voleva arrivare? I loro amici parlando di lei dicevano: «Xenia, l’amica di Dino». Amica, in quel caso, aveva un suo preciso significato. Niente affatto amica. Neppure Vandina credeva che la situazione fosse veramente tale. «Sarà...» diceva e si capiva che restava della sua opinione, anzi dispiaciuta dalla mancanza di confidenza da parte dell’amica. Certe sere, pensando a Dino, Xenia non poteva dormire. E poi concludeva cosí: «Non gli piaccio». Ora, di là, Dino stava facendo la doccia. «Tra poco vado da lui e divento la sua amante, sono una ragazza finita.» Aveva indossato la camicia da notte, era andata dinanzi allo specchio. Una bella camicia di seta col merletto: valeva la pena di diventare l’amante di un uomo anche solamente per farsi vedere con quella camicia. «È come una camicia da sposa, ma quella è bianca e sarebbe stato di cattivo gusto mettere una camicia bianca. Eppure bianco vuol dire purezza: io sono pura. Ma è pura davvero la donna che va a prendersi un amante? O è impura anche se è intatta? Sí, forse è cosí, è certamente

Letteratura italiana Einaudi

172

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cosí. Io già sto sull’altra sponda: questa è la notte di nozze». Epperò disdegnava quel suo segreto agire, avrebbe desiderato essere partita sotto quel sorridente e misterioso compiacimento che avvolge la cerimonia nuziale. Dino l’avrebbe trattata cosí se fosse stata sua moglie? Non le avrebbe certo offerto il denaro a quel modo. Si mosse, infilò la vestaglia, tornò allo specchio. Un po’ troppo lunga questa vestaglia. Bisognava andare ormai, bussare alla porta di lui con naturalezza. Eppure non riusciva a vincere un’emozione che la prendeva come un malessere fisico, un leggero bruciore sulla pelle, un’arsura in gola. Forse non avrebbe trovato la forza di arrivare fino alla porta di Dino, poteva andarsene se voleva, senza neppure salutarlo, fare in fretta la valigia e via, partire, aveva le mille lire nella borsetta, ma si era licenziata dalla X and X, non sapeva neppure dove fosse precisamente la società di cementazioni alla quale doveva lavorare. Mille lire finiscono presto. Avrebbe dovuto tornare alla vita del paese. Alle dodici la colazione, alle otto la cena, due chiacchiere e a letto, pettegolezzi, miseria, mammà soffre ai reni, papà si lamenta per le tasse. Puzza quella maledetta pipa di papà, solo al ricordo Xenia ne ha le nari piene. Noiosi i genitori vecchi; se ai legami affettivi che il tempo logora, non subentrasse il senso del dovere, che rapporti ci sarebbero ancora tra la vita nostra e la loro? Chi li sceglierebbe, cosí diversi da noi? Neppure per amici li vorremmo. Libertà. Bella cosa la libertà. Tutto il resto è un’ubbia dei tempi andati; cercava di convincersi che, di quest’epoca, la famiglia, il matrimonio, ormai non avessero piú grande importanza; tentava di riderne perfino. Forse la verità è che tutti si mascherano d’ipocrisia, pochi hanno il coraggio di confessare quello che pensano, di passare sopra le tradizioni. Mi va un amante, sí, me lo piglio. E invece dentro le nasceva il desiderio di una borghese passeggiata domenicale, accanto al marito, il figlio per la mano. Chi sposerebbe una ragazza come lei? Dalla sua

Letteratura italiana Einaudi

173

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

amarezza riaffiorava il ricordo di certi discorsi che Vandina faceva con ironia: – Mi fanno ridere queste ragazze per bene. Sanno fare le cose quelle lí, papà e mammà pensano alla vita, mangiare, bere, l’automobile, non sanno che cosa voglia dire guadagnarsi da vivere. Vanno a ballare, l’estate al mare, l’inverno a sciare, sole per le montagne con gli uomini, tanto loro sono ragazze per bene e trovano il marito perché ci sono i soldi di papà. Uno strascico bianco di qui a là, si fanno l’amante dopo, quando a farselo neppure ci vuole un po’ di coraggio, perché il marito, anche se lo sa, siccome non vuol perdere i soldi, si sta zitto. – Puah! Xenia preferisce giocare la sua vita cosí. Spense la luce, uscí nel corridoio dove una debole luce batteva sulle lucide porte bianche. Al suo bussare Dino rispose: «avanti» e Xenia entrò. Il giovane indossava una vestaglia a fasce azzurre, frusciante come un indumento femminile, azzurro il pigiama, un fazzoletto azzurro al collo. Xenia pensò che doveva stare scomodissimo combinato cosí; e tuttavia le parve molto elegante. Egli stava disponendo le spazzole sul comò, i pettini, lo specchio, la lima delle unghie, nello stesso ordine nel quale si trovavano nella valigetta. – Siediti, siediti, Xenia, adesso apro la bottiglia, un minuto solo, sai? Io sono molto ordinato, maniaco addirittura. Pensavo – aggiunse con tono di rammarico – che potevo arrischiare qualche altro colpettino al Casino. Xenia, senza rispondere, guardava le mani di lui muoversi sul marmo del cassettone, lo guardava andare e venire tra il bagno e la camera. Poi egli si mise a piegare i calzoni, ne toglieva di tasca i denari, li metteva sul comodino, in ordine, tutto l’argento in una pila, quindi stendeva i calzoni delicatamente sulla sedia: – Non potrei dormire, io – diceva, – se ogni sera non facessi cosí, anche se torno a casa alle quattro debbo vedere tutto in ordine attorno a me. La ragazza considerava: «Sto in camera di Dino, vedo

Letteratura italiana Einaudi

174

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

che piega i calzoni, che posa la camicia tutta aperta sullo schienale della seggiola, che mette le scarpe fuori della porta, e ancora non mi ha dato un bacio». – Dino... – chiamò. – Eccomi, ho fatto. Ci voleva adesso questa mezza qui, no? Ho fumato troppo. – E tossí seccamente. Tolse la bottiglia dal ghiaccio, la sturò. – Hai l’aria triste, stasera. Vieni qui, bevi, ti fa bene. – Insieme bevvero, poi súbito la ragazza esasperata: – Dino... – fece ancora e gli gettò le braccia al collo. Allora egli la baciò sulla bocca, le sollevò il viso per il mento e disse con un sorriso: – Hai visto? sapevo che lo spumante ti avrebbe fatto bene. – Di nuovo la baciò e intanto con mani leggere le andava togliendo la vestaglia. – Proprio candida questa camicia. – E la spinse verso il letto, la coricò. Xenia tremava per un improvviso freddo interno. Anch’egli si tolse la vestaglia, la sciarpa, si stese accanto a lei. Xenia batteva i denti piú forte: – Freddo? – Dino le chiese, ella annuí senza guardarlo e intanto l’uomo l’attirava a sé per riscaldarla. Lei si calmò, aprí gli occhi, lo pregò: – Spegni quella lampada. – Come vuoi – egli acconsentí dopo un attimo. E fu buio. Un buio colmo, greve di respiro, Xenia non vedeva piú il volto dell’uomo, ma ne sentiva il fiato qua e là attorno a lei. Mani che venivano dall’ombra, mani senza padrone e un gran caldo nelle vene, un caldo che le faceva scottare gli orecchi, le tempie. Adesso se ne avesse avuto la forza avrebbe chiesto: «Accendi il lume di nuovo, voglio vederti». Era Dino quel corpo accanto al suo corpo, odoroso di seta nuova? Sue quelle sconosciute mani? E non pareva piú la sua, quella voce che, poco dopo, esclamò: – Che magnifici seni hai, bambina mia! Si svegliò presto nel primo mattino perché dalle persiane aperte l’aurora s’affacciava nella camera; la testa indolorita, la bocca amara, gli occhi stanchissimi come quan-

Letteratura italiana Einaudi

175

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

do rincasava tardi, a Milano, e aveva poco tempo per dormire. «Chi sa che ora è?»: l’albergo era silenzioso, nel bagno una goccia cadeva ad intervalli. «È questa goccia che mi ha svegliata.» Poi sobbalzò al ricordo della notte trascorsa e sentí, senza volgersi, l’uomo che dormiva dietro le sue spalle. Dino dormiva sulla schiena, la bocca semiaperta, le nari lucide come se sudasse. Restò attenta a guardarlo, curiosa del suo sonno. Avrebbe voluto chiamarlo dolcemente, scuoterlo, dirgli: – Dino... sono qui – ma temette invece il suo risveglio, e piú che per pudore di questa loro intimità per quel disordine delle lenzuola e della camera: la bottiglia aperta, la vestaglia per terra, tutto richiamava le immagini della sera precedente. Fissava il giovane e poi ne distoglieva lo sguardo quasi temendo che egli, svegliandosi improvvisamente, dovesse rimproverarla di quell’indiscrezione. Cautamente, mise le gambe giú dal letto, si levò, andò ad aprire la finestra. Bianco il mare, respirava appena; solo qualche onda passava lenta sotto la superficie come una vena sotto la pelle di una mano. Il paese taceva, veniva dalla riva qualche voce marina, richiami; le case avevano le finestre chiuse, la strada era fredda, deserta. Soltanto la fanciulla era desta in quel sonno degli uomini e delle cose: un sonno lieve, prossimo al risveglio. Dormivano pure le foglie delle grandi palme. Finché, piano, chi sa dove, un pettirosso dapprima timido, infreddolito, cominciò a cantare. E fu l’annuncio del mattino. Poco dopo una donna aprí le imposte di una casa, sbadigliò e guardò il cielo facendosi schermo agli occhi assonnati con la mano. Xenia allora si ritrasse; quel biancore del mare e quella cristallina tersità del mattino le avevano messo freddo sulla pelle. Tornò a coricarsi e il tepore la riposò. «Dormirò ancora» pensò. E invece chiudendo gli occhi rivide – «chi sa perché adesso penso questo – il gesto compassato che aveva suor Lorenza nel versare il caffellatte nelle tazze al mattino e sentí di nuovo l’invogliante odore di pane fresco che si diffondeva

Letteratura italiana Einaudi

176

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nel refettorio. «Manderò una cartolina a Emanuela. Ma no, meglio no, che sanno loro? neppure capiscono che vuol dire essere a San Remo. Che direbbero sapendo che sono l’amante di Dino?» Qui il suo pensiero s’arrestò. L’amante di Dino. Anche questo era vissuto, compiuto; piú facile della fuga dal collegio, una cosa naturale; gliene restava una grande stanchezza nelle membra, ma si sentiva monda, senza vergogna. Poiché tutto era stato nel buio della notte, al buio s’erano addormentati, non si erano guardati in viso, dopo. «Dieci giorni insieme, dieci notti cosí. Ma poi all’ufficio non ci ritorno. Oh, no, proprio no. Dino non vorrà adesso, tutto è mutato adesso. Come cambia nella vita il valore delle cose, a seconda del mondo nel quale si vive. Se ora mi dicessero che la laurea è qui, pronta, sul comodino, neanche alzerei la mano per prenderla: ora ho sonno, dormo.» Il primo giorno Dino la condusse per le vie di San Remo, in giro con l’automobile per i paesi vicini, il secondo cominciò a dire che trovava San Remo meno divertente degli altri anni, il terzo desiderò di trovare qualche amico e il quarto, per fortuna, ne trovò. Strani amici, che vivevano a Parigi e «stavano nelle macchine» anche loro. Uno alto che fumava in un bocchino d’ambra, era molto influente e da lui dipendevano molte «combinazioni». Viaggiava con loro una donna, una francese, che aveva nome Yvette. Xenia riscosse simpatie. – Un tipetto fine, la tua amica – dissero a Dino, ed egli ne fu lusingato. – Una studentessa – spiegò, anzi aggiunse: – laureata. – Xenia lasciava dire, ma piú tardi gli chiese: – Perché non hai detto la verità? – Quale verità? – Che sono impiegata. – Perché dovevo dirlo? – Ti vergogni? – No davvero.

Letteratura italiana Einaudi

177

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí, ti vergogni; e anch’io sono stufa di esserlo. Tu non sai con quale sollievo mi lascio crescere le unghie senza timore di spezzarle sui tasti della macchina. È un mestiere faticoso, a sera una spalla mi duole forte come se avessi un coltello infilato nel muscolo. Egli taceva masticando la sigaretta spenta, camminava guardandosi la punta dei piedi. «Non gli va il discorso» pensò Xenia, «non gli va.» E tuttavia coraggiosamente insisté: – Non è vero che è un mestiere faticoso? E lui approvò: – Uhm... già, capisco. Con gli amici si vedevano di sera: Yvette si alzava tardi, nel pomeriggio addirittura: detestava la luce solare; in casa sua, a Parigi, teneva le persiane chiuse e le lampade accese anche al mattino; non usciva di casa che la sera per andare a sedersi in un bar. – Sto male – confidava a Xenia: – è la morfina. Non posso fare a meno di pungermi. Presto morirò: da un anno ho un ago dentro di me che passeggia e finirà per infilarmi il cuore. – Gli amici l’ascoltavano devotamente. L’ago di Yvette era divenuto la palma del suo martirio, se ne parlava a bassa voce, con rispetto. Dopo si faceva un attimo di silenzio mentre ella fissava lontano. Uno dei francesi, grassoccio e bianco, la guardava in adorazione, poi le prendeva una mano e gliela baciava. In mezzo a loro Xenia si sentiva a disagio; si trovava provinciale, provava per quel gruppo un senso di repulsione e tuttavia le pareva che per quella sua condizione di donna normale quelli dovessero compatirla un po’. Essi avevano una maniera di parlare beffarda, pungente che le dava voglia di alzarsi, andarsene, chiamare Dino, dirgli: «Accompagnami all’albergo». Ma lui avrebbe chiesto: «Sei pazza?». E cosí era obbligata ad ascoltare racconti di Parigi, di abitudini e persone che non conosceva, dicevano di un giovane molto ricco, molto originale, che al mattino faceva colazione intingendo pane e burro nello sciampagna; un’altra, una pittrice che viveva con un musicista, dormivano nello stesso letto, ma fra-

Letteratura italiana Einaudi

178

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ternamente, perché poi erano innamorati di altri due, facevano cosí per risparmiare. «Un popolo diverso» Xenia osservò «proprio un popolo diverso.» Dov’era la brava Francia poetica, dei romanzi di Balzac? L’ultima sera Dino vinse settemila lire. – Sono contento per te, sai, Xenia – le disse. – Ho un disegno. Te lo dico, sí, ora te lo dico. Sei una brava ragazza e mi hai portato fortuna. Anche con quegli amici di Parigi ho combinato un affare. Tutto sta adesso che anche Horsch entri a far parte della combinazione. – Di che si tratta? – Questa è cosa mia. Le donne in queste faccende... Benché tu sei una ragazza intelligente, lo dicono tutti: hai la mente quadrata e non ti manca il coraggio, faresti fortuna negli affari. La vita degli affari è pericolosa come il baccarà: ma alla fine chi ha piú coraggio, vince. – Come sarebbe a dire? – Be’, adesso non ti posso spiegare. E non è tanto per me, quanto per quei di Parigi e per Horsch: se sapesse che ne ho fatto parola con qualcuno non vorrebbe immischiarsi piú. Se l’affare va bene, ti porto in America. Che ne diresti, eh? di un viaggio in America? Hai visto come faccio le cose io? da signore. Per la miseria!... Non te lo sognavi, eh? Io neppure mi sognavo certe cose di te. Poi la fece sedere sui suoi ginocchi, le disse: – Tienti forte, non barcollare. Arriva la .sorpresa. Tu hai ragione – continuò: – io non posso avere per amica un’impiegata: è una questione di prestigio. Eccoti le settemila: puoi affittare una casetta, tre stanze bastano per te. Ci compri le cose piú utili intanto: il resto lo prenderemo a rate, si pagheranno. E se faccio l’affare andiamo in America. Xenia restò interdetta, il denaro nelle mani: – E tu, Dino, e tu? – Prendilo, no? non mi serve. A me basta questa – e si batté la fronte – questa. Chi ha combinato l’affare delle trattrici? E quello degli autotreni? Io, sempre io.

Letteratura italiana Einaudi

179

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Che farebbe Horsh senza di me? Io combino tutto, io parlo, io metto la firma. Ma se questo di Parigi va, dopo non ho piú bisogno di lui. Xenia non lo seguiva: ripeteva, meravigliata, per convincersene: – Per me? una casa per me? – Certo, per te – Dino diceva sorridendo, poi aggiunse malizioso: – Dio mio, se una sera pioverà e sarò senza tetto, spero che non mi manderai a dormire sotto i portici di Piazza del Duomo? A Milano, Vandina, sentendo l’amica raccontare queste cose, restò sconcertata; ma presto si riebbe e disse: – Eh! che vuoi fare? questa è fortuna! Del resto io non avrei mai potuto far questo per via del mio amichetto; e poi tu hai l’istruzione. L’ho capito súbito io. Xenia le regalò una borsetta e andarono insieme a cercare la casa. Tutte erano troppo care, finalmente ne trovò una che andava bene. Dino le fece fare tutto come voleva. Ella una sera gli chiese incerta: – Potrei mettere il mio nome sulla porta? – E l’altro non la finiva piú di ridere: – Certo, che nome ci vorresti mettere? È tua la casa. – E questa frase Xenia se la ripeteva spesso tra sé, «La casa è mia». Firmato il contratto di affitto, chiamò gli operai. Quando Dino vide l’appartamentino e lei gli chiese, preoccupata: – Ti piace? – , egli approvò: – Dio mio, non è una reggia, ma tu hai fatto le cose con giudizio e con gusto. – Già sulla porta brillava la targhetta di ottone col nome per esteso: Xenia Costantini. Erano a cena insieme una sera e Dino le disse: – È andato, sai? il grosso affare con quei francesi. Horsch ha detto di sí, si comincia. – Di che si tratta? – Stavolta è una cosa diversa. – Non si tratta d’automobili? – Sí e no; sí, anche automobili. Ma è una cosa complessa, d’esportazione. Horsch ha mollato oggi. Ma il la-

Letteratura italiana Einaudi

180

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

voro a me. Se ne lava le mani, lui, del rischio. Oggi quasi abbiamo avuto a che dire per causa tua. – Mia? – Tua, sí. S’era venuto a parlare di San Remo: tu capisci, no? bambina mia, discorsi di uomini, dicevo dunque che m’ero proprio affezionato a te anche per la pelle. Anzi si viene ai particolari e lui mi fa l’incredulo: e io insistevo: «Eh, non sono mica un imbecille! Vergine, vergine l’ho avuta!». Pretendeva che fosse una mia vanteria. «Perché», dico, «se neppure lo sapevo?» Insomma c’è rimasto male. E continuava a scuotere la testa. L’ho lasciato perché se no finiva male, e non posso inimicarmelo. Taceva Xenia, mangiava le ciliege dure, ghiacciate che quasi quasi facevano male ai denti. Che cretino era stato Dino a dire cosí! Perché era andato a raccontare questa storia? Come rispondendo al pensiero di lei egli disse: – Sai? ci tenevo. Ella, fingendosi distratta, propose: – Usciamo di qui, fa caldo. – E chiese appena fuori: – Voglio guidare io. Dino glie lo aveva insegnato e a lei piaceva condurre la macchina, sentire che ubbidiva alla sua volontà; era cosa che s’addiceva al suo carattere. Era irritata per l’ironica incredulità di Horsch, per il carattere chiuso di lui, quel mezzo tedesco. E le pareva che Dino, con quel discorso, l’avesse ammesso nella intimità di lei, come se gli avesse permesso di entrare in una stanza dov’ella si trovasse, spogliata. «Forse», pensava, o Horsch mi ha calcolata finora come una di queste, come Vandina o la Mary; e ha ragione, in fondo. Ci vivo in mezzo: ma farò vedere a lui, a tutti.» Irata, spingeva la macchina a forte andatura. Erano alla periferia, smilzi alberelli passavano velocemente. – Dove vai? – Dino le chiese, timido. Capiva di aver detto qualcosa che l’aveva messa in questo stato, ma non sapeva quale.

Letteratura italiana Einaudi

181

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Dove vuoi che vada? – gli rispose stizzita. – Si deve sempre avere una mèta? Vado cosí, perché mi va di prender aria. * Una domenica di mezzo luglio la superiora partí. Una giornata assolata, caldissima. C’era stata al collegio una colazione solenne. Ma una festa di congedo non riesce mai allegra: le cariche si abbandonano per imperizia o per vecchiaia o perché qualcuno piú abile si fa lasciare il posto per prenderselo lui. Questa cerimonia di oggi sembrava essere un acconto sul funerale della badessa, alla quale, ormai che diveniva innocua, si potevano riconoscere tutte le virtú. Forse il suo funerale sarebbe stato meno triste: «Era vecchia» avrebbero detto tutte, e basta. La superiora si sentiva già un’ospite: aveva smesso quell’aria di rancore che le stava negli occhi vitrei; benevolmente baciò sulla fronte la piú giovane delle ragazze che le offrí un mazzo di fiori, e sorrise bonaria come un malato che abbia preso il viatico. Sembrava meno vecchia ora che la vecchiaia non doveva scusare la sua inoperosità. Il dolce, una torta gigantesca come un monumento sepolcrale, lasciò in ognuna una stucchevole sazietà; si sparse nel refettorio una stanchezza assonnata, l’afa gravava attorno ai finestroni, i fiori nel giardino boccheggiavano. Anche la superiora era stanca e rispondeva appena, mezzo addormentata. Svelta e fresca, niente affatto appesantita dal cibo e dall’ora, suor Lorenza preparava la partenza della vecchia. La sua nomina non era ancora ufficiale, ma tutti lo sapevano già: la nuova superiora era lei. Ragazze e monache uscirono sulla porta per salutare la badessa, s’affollarono, curiose, non volendo perdere

Letteratura italiana Einaudi

182

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

un gesto o una parola di quella che fino allora avevano considerato un vecchio oggetto. Davanti alla porta, sulla piazza fulminata dal sole, una carrozza attendeva: il cavallo batteva sordamente uno zoccolo sulle selci. Nel rispettoso tacere delle ragazze la superiora salí, si sedette; si sparse attorno a lei la gonna viola. Accanto, nel poco spazio rimasto s’installò una suoretta sedendosi appena. Un minuto di silenzio impacciato, poi, alla grassa mano che s’agitava nel saluto, tante mani giovani risposero, innumerevoli sorrisi. Nella piazza deserta la carrozza mise alto il rotolio delle ruote. Le ragazze restarono a guardarla allontanarsi mezzo sorridenti, mezzo commosse, finché suor Lorenza, rientrando, ordinò di rientrare. Da quel momento ella fu la superiora. Suor Lorenza aveva già preso possesso della camera della superiora. Non vi dormiva ancora, attendeva la lettera ufficiale, ma già considerava suo quanto era intorno. Lo studio le apparteneva da tempo, i registri erano riempiti della sua scrittura, solo, qua e là, qualche firma incerta della Madre. Avrebbe durato fatica ad abituarsi alla camera, tutto era ancora pregno del soggiorno della vecchia: la poltrona ne serbava l’impronta, nei cassetti restava un odore di cose di persona anziana. Suor Lorenza era abituata ad entrare in quella camera in punta di piedi. Quando la Madre era in letto, malata, le parlava senza mostrarsi, da dietro i tendaggi bianchi: e anche se non la si vedeva, la camera era piena di lei, come adesso. Spostò le tende per essere certa che non c’era piú. «A quest’ora è in treno». Tuttavia non si sentiva ancora pienamente la padrona. Questo interregno glie lo facevano notare !e suore sue compagne, le quali, benché ormai sapessero che la carica sarebbe spettata a lei, ostentavano d’ignorarlo, per trattarla ancora da pari, per lesinarle qualche centimetro d’inchino. Suor Lorenza temeva che le altre prendessero le redi-

Letteratura italiana Einaudi

183

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ni di tutto e la respingessero, l’isolassero; un’altra avrebbe tenuto i registri, la corrispondenza, ella sarebbe stata costretta a passare le giornate sulla poltrona rossa dormicchiando, fingendo di recitare il rosario. Impossibile, impossibile! Ma non era stata lei stessa a creare questo alone di timoroso rispetto attorno alla figura della Madre superiora? A poco a poco le aveva tolto di mano tutta la casa, dolcemente, ipocritamente, non aveva mai permesso che certi discorsi arrivassero fino a lei. Lei aveva abituato le compagne a questa finzione verso la superiora: tutte avevano timore della Madre, era in suo nome che sempre aveva trasmesso gli ordini piú severi. Quando volle allontanare una ragazza francese che aveva in antipatia, le disse proprio cosí: – È per ordine della Madre che ti parlo, figlia mia... – E la vecchia non ne sapeva nulla, credeva che la francese abbandonasse il collegio per ragioni di salute. Anche quando la Costantini era venuta a chiederle uno sconto sulla pensione: – La Madre ha rifiutato. – La Madre, sempre la Madre; forse adesso le ragazze al suono di questo nome provavano un’istintiva ostilità. E adesso la Madre era lei. S’affacciò alla finestra sul cortile; le altre suore sedevano a tondo chiacchierando, era l’ora della ricreazione. Suor Luisa leggeva una storia sacra in un libretto. Non l’avevano chiamata. Chi ormai avrebbe osato disturbarla? Suor Luisa smise di leggere e si rivolse alle altre: «Certo parlano di me. È quella suor Luisa, una veneta intrigante. Chiacchiera sempre con le ragazze, insegnerà loro a isolarmi; adesso che partono per le vacanze, forse scriverà loro; tutte partono, anche Emanuela, i suoi genitori sono tornati, chi sa se rientrerà a ottobre, alcune non tornano piú, la Fanti si è laureata in medicina, la Ortiz è andata a vivere con quegli spagnoli. Augusta rimane, e la piccola Bongiovanni che ripete l’esame. Augusta sa tutto delle ragazze, lei certo potrà dirmi che cosa si dice di me; andrò a parlarle piú tardi, cosí, come per caso».

Letteratura italiana Einaudi

184

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Lesta scese le scale, apparve nel cortiletto; le monache erano tutte lí sedute, tre delle piú giovani facevano un ingenuo girotondo canticchiando. Vedendola tacquero e talune s’alzarono in piedi, compunte. Ella atteggiò il viso a sorpresa: – Perché vi alzate, sorelle? Non seppero dare spiegazioni, rimasero zitte a guardarla. – Di che parlavate? – domandò accostandosi. – Sediamoci di nuovo. Le avevano lasciata libera una sedia, ma essa fece finta di non avvedersene e prese il suo posto abituale sulla panca tra suor Luisa e suor Prudenzina. Poiché le altre tacevano, incrociò le mani sul grembo ed attese. Ma non ripresero a parlare: dopo un minuto di silenzio suor Luisa riaprí il libretto, incerta ricominciò a leggere. – «Questa fu dunque la prima apparizione della Vergine alla pastora Bernadette...».

Letteratura italiana Einaudi

185

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

III Un viaggio affaticante fino in fondo alla Puglia; nelle prime ore del pomeriggio, il treno, estenuato, neppure aveva piú la forza di soffiare: rallentava come sopraffatto dalla gran calura; le case sonnecchiavano sulla desolata pianura, il caldo sfriggeva d’innumerevoli cicale. Anna e Valentina, i volti lucidi di sudore, s’erano affacciate al finestrino per cercare un po’ di refrigerio; ma il vento era caldo, un fiato. Sotto la pensilina della stazione le campanule, afflosciate, sembravano farfalle morte. I genitori di Anna erano venuti a prenderla con la carrozza; papà súbito la soffocò di parole, mammà sudava nello sfarzoso vestito estivo. Le due ragazze si separarono abbracciandosi e Valentina s’avviò con la madre verso casa; già, appena arrivata, si sentiva addosso la leggera malinconia dei desideri soddisfatti, delusa che il momento dell’incontro con la madre fosse trascorso, vissuto. Le vacanze: tutto qui, non era stata una grande emozione come credeva. Era il suo primo anno di università, sempre scriveva da Roma: «Immagina, mamma, quando tornerò...». E adesso, ecco, era tornata. Anna entrando in casa s’arrestò, stupefatta: – Oh!... – esclamò rammaricandosi. C’era, nel tinello, una mobilia novecento, le pareti erano verniciate di verde pallido, non si capiva da dove venisse la diffusa illuminazione. – Bello, eh? – fece il padre orgogliosamente. – Non m’avevate scritto niente... – No. Abbiamo voluto farti la sorpresa. Tutto viene da Bari, il diffusore l’ho portato io da Milano. In fretta la madre aggiunse: – Metteremo a nuovo la casa cosí; a meno che... sí, insomma ti diremo tutto a tavola. Ma il babbo attendeva: – Non hai ancora detto se ti piace... Ti sembra meschino, forse?

Letteratura italiana Einaudi

186

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Oh, no, no davvero. Non m’aspettavo, ecco. Pare... Pare d’essere in città. – Poi vedendo che i genitori aspettavano altro da lei, aggiunse: – È bellissimo. Bellissimo. Deve essere costato molto. – Molto. Ma si vede, no? che è una cosa di lusso? Non è denaro buttato. Giungevano i servi a salutarla, alcuni l’avevano vista nascere; rimanevano sulla soglia senza osare di mettere piede nella nuova sala da pranzo. Sembrava questa una stanza di un’altra casa, pur essendo cosí vicina al vecchio atrio dove stavano ancora appesi i fucili del nonno. Infine Anna salí e i servi si sparsero nell’aia dove i fiori crescevano in vasi di cemento: fiori che non si potevano toccare da quando se ne occupava un giardiniere. La camera di Anna era al secondo piano con la finestra soffocata di rampicanti; ella temette che il rinnovamento le avesse tolta anche quella, entrando e ritrovandola uguale respirò forte, sollevata dal timore. Guardò attorno golosamente e poi, colma di pace, si volse alla mamma che l’aveva seguita, e l’abbracciò dicendo: – Sono felice d’essere tornata. – Rimase a occhi chiusi sul petto della madre, sentendo il respiro di lei, l’odore della carne profumata e molle, un odore diverso dall’odore che aveva tanti anni fa; si diceva: «Son qui, a casa, tutto ciò che è intorno a me mi conosce e mi appartiene». Taceva commossa; ma d’un tratto scostandosi chiese, come impaurita: – E la nonna? – Giusto. È bene che tu vada a salutarla subito. Va peggio con lei, sempre peggio, non si domina piú, non scende piú a mangiare nel tinello adesso, insomma nella sala da pranzo. In cucina voleva mangiare, figurati! in cucina. Glie lo abbiamo impedito; allora mangia qualcosa in camera, ma nasconde gli avanzi nei cassetti che odorano di muffito; e ruba, una manía, ruba e nasconde; ha rubato in cucina tutto lo zucchero che ha potuto, lo ha tolto dal-

Letteratura italiana Einaudi

187

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

la zuccheriera. Pensa, giorni or sono, Alfonso ha ricevuto quelli di Milano, della società... già tu non sai, ti diremo dopo, insomma forestieri, gente di riguardo, e la nonna scende con lo scialle in capo. Noi non alziamo la testa, fingiamo di non averla vista sperando che gli altri non la notino, che la scambino per una contadina, quando ecco lei si presenta e chiama: «Alfonso, vieni da tua madre». Quelli allora s’alzano, salutano, lei neppure risponde, chiede al figlio: «Chi ti ha permesso di toccare quel vino vecchio?». E allora tuo padre, poveraccio, con i migliori modi a convincerla che tornasse in camera sua. Gesú!... Che scena! Di giorno esce, gira per i campi, dà ordini ai coloni, ruba la frutta; di sera si mette alla finestra e canta: «La padrona sono ancora io!». – La madre sospirò, poi riprese: – Va, làvati e subito scendi per la cena. Anna salí, bussò alla porta della vecchia, nessuno rispose, allora spinse l’uscio adagio, chiamò: – Nonna Antonia... – Lí dentro c’era odore di vecchio, di conservato. Era buio: nel vano della finestra si scorgeva un cielo limpidissimo, quasi mattinale: e le prime stelle. Appoggiata al davanzale, la vecchia mangiava. – Entra, Anna – disse, – entra. – E dopo averla abbracciata: – Sono contenta che tu sia tornata; avevo bisogno di parlarti. Sai? si va in rovina, qui. Siediti – e le accennò uno sgabello basso accanto a lei. – Cosí, al buio? – Ci si vede ancora: è un peccato sprecare la luce. Hai visto dove sono finita a mangiare? Povera me, è come se già fossi sottoterra. Ogni giorno tua madre entra e mi domanda: «State bene?». Vede che resisto, che sono di buona fibra. «Benissimo» rispondo anche se ho l’acidità allo stomaco, e intanto con le dita faccio le corna sotto le vesti. Benissimo, sempre benissimo. Resisto. La padrona sono ancora io, le terre sono mie. E loro continuano a gettare denaro a manate, come la semina. Hai visto il tinello? Ah! Mai ho voluto metterci i piedi, io.

Letteratura italiana Einaudi

188

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non piace neanche a me, il tinello. Ma che volete farci? Non bisogna che tra voi e papà... – Oh, non è lui, non è lui. È tua madre. La disgrazia è caduta sulla nostra casa dal giorno che Alfonso ha disubbidito a me e l’ha sposata. Ma io vivo ancora e vedo tutto, sorveglio piú che posso. Accumulo roba nei cassetti, per te, Anna mia. Ma mi hanno rivolto contro anche i servi e tutti mi respingono quassú, mi rinchiudono quassú, quando possono. Oh, chi l’avrebbe detto, Anna? – La vecchia cominciò a piagnucolare. La nipote le carezzava le mani rugose, le spalle magre avvolte nello scialle, ma distrattamente: guardava il cielo, la chiarità notturna le sbiancava il viso. Tutto era lunare, ma la luna non si vedeva, stava alta sulla casa; i campi si stendevano all’infinito, in quella pace luminosa. La vecchia fiottava e Anna dovette rinunciare a udire il timido fritinío dei grilli. Poi la nonna repentinamente s’alzò, si diresse al cassettone sicura nella penombra, e lo aprí traendo la chiave di sotto la gonna. – Tutto chiuso debbo tenere, vedi? se no, quando io sono fuori, vengono e frugano nella roba mia. – Cercava con mani sicure e infine tese alla nipote alcuni dolcetti di mandorla ammuffiti. – Tieni – le disse, – mangiali, ma non farti vedere. Li ho nascosti una sera che tuo padre aveva ospiti e facevano l’orgia nel tinello. – Saranno, forse, relazioni d’affari... – Che affari, affari! I suoi affari debbono essere la terra. Da dove gli viene il denaro che sperpera? Dalla terra; e lui invece non s’interessa di ciò che accade nei campi. Il Tinca ruba le olive e nessuno se ne preoccupa. In cucina l’olio corre a rivoli. Tua madre vuole comperare l’automobile, l’automobile, capisci? E neppure sa dove stanno le case dei coloni, nella tenuta. Hanno ordinato la radio. Raccontava tutte queste cose in fretta, come se da un pezzo le stessero sul cuore e provasse sollievo a liberarsene.

Letteratura italiana Einaudi

189

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Adesso io debbo scendere, nonna. Parleremo domani. Venite giú anche voi? – No – disse, – io adesso vado a letto. T’accompagno alla porta perché debbo chiudermi a chiave. Se di notte tu avessi bisogno di me bussa tre, no, quattro volte. Altrimenti io non apro a nessuno, anzi appendo una sedia alla maniglia perché cosí se qualcuno la tocca... Del resto, non dormo mai. Molte volte ho inteso che tentavano di entrare. Anna, senza risponderle, le carezzò una spalla e uscí lasciandola che borbottava tra sé, mentre chiudeva a chiave. Papà e mammà erano già seduti a tavola; Anna disse: – Scusatemi... la nonna... – Sí, sí, hai fatto bene ad andare subito. La vecchia serva giungeva con la zuppiera, si muoveva sicura tra i nuovi mobili, ma senza trattarli con domestichezza. Anna sedeva impettita come quando si mangia fuori di casa propria; si sentiva confusa, era stata colta alla sprovvista; aveva immaginato questa prima cena sotto la luce del vecchio lume a gas adattato per l’elettricità. Prima c’erano, sulle pareti, fotografie di lei bambina, del nonno, di sua madre con vestiti passati di moda: sul davanzale, nei vasi di terra crescevano rose sorrette dalle canne, gerani bianchi e scialbi. Tutto scomparso, adesso: le pareti erano nude, la luce fredda. Anche papà e mamma tra quei mobili non parevano piú gli stessi, mancava quell’intimità familiare che lei sempre rimpiangeva in collegio. Era come se qualcosa di nuovo e diverso stesse per aver principio. Papà e mammà parlavano della nonna che agiva da pazza: – Certo, quando la vecchiaia ci rende simili alle bestie, meglio cento volte morire. Non vuol vestirsi che con abiti campagnoli, va in giro cosí, sembra che lo faccia apposta per metterci in imbarazzo. – Capisco – disse Anna, – ma perché volete costringerla? È vecchia, i vecchi non possono uscire dalla loro

Letteratura italiana Einaudi

190

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

età, non si mutano, restano chiusi in quello che è stato il loro tempo migliore. E non dobbiamo vergognarci di lei, non te ne vergognavi quando eri bambino. – Già, tu parli in teoria. Ma quando sei qui con gente e lei t’arriva e... – Non è forse tua madre? – Alfonso, ti prego – interruppe Matilde. – È inutile discutere con Anna su questo soggetto. Domani anche lei si metterà le scarpe di pezza, andrà per i campi e sai come tornerà? Mangiando un pomodoro a morsi come le contadine. – È vero, mamma. Ma perché dovrei agire diversamente se cosí mi piace vivere e questa è sempre stata la vita dei miei? – Sempre fino a ieri. Oggi è diverso. Tu studi in città, anche noi siamo stanchi di vivere lontani dal mondo e dalla vita. Bisogna progredire. – Qui i giornali arrivano vecchi... – fece il padre. – Non c’è sarta che sappia cucire un vestito. – Anche il denaro che abbiamo può sfruttarsi meglio, in ottimi affari. – Dille, dille della società. – Già – fece il padre e s’assestò al suo posto come per cominciare una conferenza. – Sto per entrare a far parte di una società milanese con succursali a Roma, a Bari, una cosa interessante che non ti spiegherò minuziosamente perché sarebbe lungo e non capiresti. Insomma un lavoro per me, quale si addice al nostro livello di condizione sociale. Abbiamo strette nuove conoscenze e... Dille dille – fece rivolto alla moglie. – Sí, perché hai paura di dirlo? Insomma avremmo deciso per l’anno prossimo di stabilirci in città. Anna restò un momento in silenzio, poi disse calma: – Non è possibile. E la terra? – Ci sono i coloni, per la terra. Assumeremo un amministratore, una persona fidata, ho pensato a Beppe

Letteratura italiana Einaudi

191

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Conti che ha tenuto per tanti anni l’amministrazione dei De Angelis. E poi si tornerebbe d’estate, uno, due mesi d’estate. – Pure tu forse, che ormai sei abituata in città... – disse la madre. – Oh, mamma, io smaniavo di laurearmi per tornare!... – Ma no, Anna, tu non puoi fermarti a questo punto. Non vuoi proseguire ancora? Abbiamo pensato che forse vorresti divenire professoressa, ne abbiamo parlato anche in paese, potresti avere la libera docenza, non bado ai denari per la stampa delle pubblicazioni. Anna taceva; comprendeva adesso la sala da pranzo novecento, gli amici di Milano. Mai piú avrebbe visto cadere l’autunno sul paese; in treno andava dicendo a Valentina: «A ottobre partirò per l’ultima volta»; le pesavano i libri nella valigia e tuttavia voleva prepararsi bene alla tesi, per chiudere il capitolo della città, salutare le compagne, tornare ai suoi campi, uscire senza cappello, non piú udire lo stridere del tram sulle rotaie, solo, ogni tanto, da lontano, il fischio del treno dilaniare il placido silenzio della pianura. – Non ho piú voglia di studiare, voglio tornare a casa mia. – Anche in città sarà casa tua. – Non è la stessa cosa; e poi sono stanca di studiare. Perché debbo divenire professoressa? Pensavo che vi sareste accontentati della laurea. Non ho bisogno di guadagnare, dite sempre che siamo molto ricchi, non vi basta la laurea? Spero di prenderla a pieni voti, ho fatto tutto per questo, finora mi sono sempre sottomessa alla vostra volontà. – Lo diciamo per il tuo bene, perché tu sia istruita. – Lo sono, babbo. Che vuoi di piú? Che ne farò di tutto questo latino, quel greco, l’epigrafia, due lingue moderne? Che ne faccio?

Letteratura italiana Einaudi

192

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ma fino a questo punto sarà arrivata anche Valentina che è di condizione inferiore alla tua. – E con questo? Papà, senti: io andrei incontro a delusioni, vado avanti solo per buona volontà, non per vero ingegno, m’è costato molto arrivare fin qui, voi non lo sapete, non ve ne rendete conto; lo facevo per vedervi contenti, ma ero stanca, avevo il cuore stretto come un pugno, non pensavo che a questo: tornare. E adesso... Quasi piangeva, il largo volto abbandonato a una smarrita espressione di scoramento. Il babbo la consolò: – Ma niente è deciso, ancora, non t’affliggere cosí. Al che ella rispose con ferma dolcezza: – lo non abbandonerò questa casa. Sopraggiunsero entrando rumorosamente dall’aia alcuni amici del babbo, con le mogli. Venivano a salutare Anna; ella li accolse con cordialità, gente che conosceva da bambina; entravano nella sala con vero rispetto, chiedendo a lei, con sorrisi entusiasti, che cosa pensasse della nuova mobilia. Dicevano tutti ammirati: – Sembra proprio d’essere in città! – e si sedevano sulle nuove sedie molleggianti, sulle poltrone a «esse». Fu servito il caffè, poi il vino, in breve la sala si riempí di fumo. Gli uomini si riunirono attorno al tavolo a giocare; quattro giocavano e un quinto, seduto dietro le spalle di don Alfonso, lo consigliava muto mettendo un dito sulla carta da giocare. Anna presto si congedò perché era stanca. – Sappiamo – le disse un’amica di sua madre nel salutarla – che vuoi divenire professoressa. La ragazza si avviò alla sua camera, ma s’arrestò nell’atrio vedendo, oltre le arcate del portico, stendersi i prati illuminati dalla luna, ergersi le cupe ombre degli alberi. Sul cielo, qua e là, piccole nubi s’arricciavano leziosamente, l’aria era di un limpido argento. Anna sentí il cuore palpitarle affrettato nel petto per la contentezza. La notte dormiva, perfino i grilli tacevano e fu con passo

Letteratura italiana Einaudi

193

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

leggero che Anna uscí fuori sull’aia per bearsi dello spettacolo. Tutto si rivelava luminoso, irreale, paesaggio da favola. Un lampione ardeva sulla strada che menava al paese, e sembrava una vigile pupilla. Lontano, oltre il giardino, ai limiti della vigna, si rizzava il canneto, pallido, quasi bianco. Un ruscelletto divideva il seminato, un rigagnolo che adesso certo faceva da specchio alla luna. Tutto era intatto, come l’anno passato, come quando ella era bambina. Anna sedette per terra stringendo a sé le ginocchia, annusando attorno un fresco odore di menta. Sui piú alti rami della magnolia strideva un uccellino notturno, il cane dopo aver latrato due volte s’era acquetato. Alle sue spalle ella udiva a tratti il ridere delle donne, le esclamazioni dei giocatori. «Che cercano piú di quanto è qui attorno?» si domandò. E si rattristò ricordando quelle fredde e umide pareti del collegio, quelle camere senza sesso, quelle monache senza paese. Tutti insieme, adesso, le pesavano addosso i libri che aveva studiato, che aveva imparato a memoria, certe volte senza neppure comprendere appieno, quelle parole straniere che pronunciava con l’accento legato del suo paese. È l’ultima volta che torno», pensava, «poi rimarrò.» Domani sera avrebbe pregato la Tita di cantare sull’aia e, con le altre, avrebbe fatto coro. Sarebbe andata a trovare le famiglie dei coloni, si sarebbe seduta, nell’afa pomeridiana quando tutto dormiva e solo ansavano le cicale, sull’erba umida e fresca del prato che stava all’ombra del canneto. Se fossero andati ad abitare in città tutte le stanze sarebbero state uguali alla sala da pranzo. Piano traversò l’atrio, salí la scala di legno che cigolò, cigolava cosí da quando era bambina; passò davanti all’uscio della nonna. Chi avrebbe smosso la nonna dalla sua terra? Morta, si sarebbe fatta portare a braccia dai servi fino al cimitero dove stava il marito. Pensò rasserenata: «lo rimarrò con lei».

Letteratura italiana Einaudi

194

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* Alla prima punta del giorno, quando ancora la casa era gonfia di sonno e un pesante respiro sembrava, filtrando tra le imposte, andare a pesare sul prato, s’udiva per la scala di legno il ciabattare sordo della vecchia che scendeva in cucina. Nel corridoio era buio ancora, un buio notturno e ottuso, dalle finestre il primo giorno entrava come una lama fredda. I passi della nonna soffocavano tra le gonne ampie e scure; quando era nella cucina sospirava e s’arrestava, giunta. Poi, la prima cosa, staccato un mestolo di rame dalla parete, lo riempiva d’acqua, beveva, lo riappendeva al chiodo. L’acqua fredda finiva di svegliarla: allora toglieva il panno da sopra la gabbia degli uccellini, spiava nel cielo le previsioni del tempo, inutilmente cercava di entrare nella dispensa ove le provviste erano chiuse. Lo sapeva, ma tentava ogni mattina, sperando, chi sa, che avessero dimenticato la chiave. Sempre chiuse. Dal finestrino che, in alto, s’apriva sulla cucina, veniva odore di mele, di buon lardo. Nonna Antonia restava lí avanti braccando, poi chinava la testa e andava a svegliare i servi. Le donne dormivano mezzo vestite, le braccia buttate di qua e di là. Mute s’alzavano, si passavano una mano bagnata sulla faccia, e ancora intontite dal sonno prendevano a lavorare; andavano per la casa con le scope, i secchi d’acqua, spalancavano le finestre. La vecchia s’acquetava; si sedeva in mezzo a loro, beata. Spesso guardava al soffitto verso il piano di sopra dove il figlio dormiva con la nuora. Presto andava a svegliare la nipote, bussava alla porta e quando la sentiva rispondere scendeva di nuovo le scale, affaratissima. Dava ordini che nessuno eseguiva, come se comandasse a un branco di sordi, preparava la ciotola per la colazione di Anna che andava a mangiare sull’aia nel puro silenzio mattutino. Sulla strada che por-

Letteratura italiana Einaudi

195

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tava al paese i contadini passavano per andare al lavoro, salutandola alla voce. Spesso Nonna Antonia raggiungeva la nipote. – Vedi? – le diceva. – Questa è l’unica ora nella quale mi pare di essere ancora ai tempi antichi, poi, alle dieci, scende tua madre, e io me ne vado pei campi. Quasi ottanta doveva averne, eppure, anche sotto la gran calura d’agosto, appena udiva la nuora scendere per le scale, gettava rapide occhiate qua e là, e s’allontanava; temeva che quella le ordinasse di risalire in camera sua e sapeva che, contro la propria volontà, piagnucolando, le avrebbe ubbidito. – Oggi andrò a trovare il mezzadro; è indietro col lavoro, i figli sono piccoli, la moglie è giovane e batte la fiacca. S’avviava curva e arcigna, entrava nelle cucine dei coloni, si sedeva a parlare loro da uguale, non da padrona. I contadini sapevano che le sue parole non dovevano essere tenute in nessun conto, ma, nonostante questo, ella era sempre la padrona vecchia e l’unica che conoscesse la terra come loro. Certe volte li trattava duramente, ma almeno sapeva quel che diceva. Anna si tratteneva a lungo in camera a studiare: la camera sembrava un nido nel folto di due elci che crescevano nel giardino; vedeva di lassú le terre arse dal sole, il granoturco secco e spoglio, le verdi distese di vite. Studiare era gravoso per quella sonnolenza che rendeva opache le idee; era molto caldo. Dalla cucina, saliva una voce: era la serva che cantava piano avanti all’acquaio, messa in allegria dallo zampillo che rimbalzava sul marmo. Anna, alzando la testa dal libro, guardava fuori, nel riverbero del sole, fimo a vedere macchie d’oro e violacee annuvolarle le pupille. Le dolevano gli occhi, li chiudeva su un mare di latte, latte sanguigno. La divagava il grande ansare delle cicale: veniva da ovunque: dalle magnolie, dal noce, dagli elci che sfioravano la finestra. An-

Letteratura italiana Einaudi

196

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

na non aveva mai visto una cicala e le sembrava che ognuna fosse parte di un gigantesco mantice d’organo. Tutto il mattino era luce e ansima di cicale in frenesia. Piú lontano si vedeva la rossa casa degli Aponte: i vetri delle finestre chiuse splendevano abbaglianti, la torretta svettava fra gli alberi, i campi attorno erano uno squallore. – Hanno lasciato il figlio quasi in miseria – raccontava papà; – il padre aveva il vizio del gioco, la madre viveva con un altro da tanti anni. – Passeggiando Anna arrivava talvolta fino al recinto del giardino che circondava la casa rossa, vedeva le aiuole intricate di cattive piante, la terra arsa; ma c’era attorno grande frescura, per quel freddo dei giardini abbandonati. Nel pomeriggio Anna scendeva al paese, il silenzio delle strade la colmava di gioiosa meraviglia, la gente passava dalla parte dell’ombra che era grigia come cenere calda, la zona di sole rimaneva solitaria, accecante. Il suo passo s’alzava tra le case basse e mute. Il paese le appariva pieno di poesia; dapprima pensò «la gioia del ritorno». Eppure quando tornava a Roma provava solo una rassegnata ostilità verso le cose. Questo era diverso dagli altri ritorni; qui amava tutto: il colore grigiastro degli scalini della chiesa, la pàtina della fontana, le lastre di pietra sconnesse del corso tra le quali crescevano ciuffi d’erbetta: tutto portava l’impronta di una vita fedele e continuata, di un tramandarsi di tradizioni e di riti. Sua madre detestava il paese, vi scendeva raramente guardando di qua e di là, disdegnosa; cittadina era, suo padre gestiva una trattoria e dovette fuggire per fallimento doloso. Non ne parlava mai, diceva: – Mio padre era commerciante, mio padre era nel commercio. – Tra poco avrebbe detto. – Mio padre era nell’industria. – Passando per le vie storceva il naso all’odore che usciva dalle porte; chiedeva ironica alla figlia: È buono, non trovi? – Anna rispondeva: – Non so se è buono, forse no, ma mi piace. – Qualcuno amava Anna, qualcuno la giudica-

Letteratura italiana Einaudi

197

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

va un po’ troppo placida, altri addirittura sciocca. A tutti sua madre diceva che la figlia faceva tutto ciò, una posa, per farle dispetto. Anna rifuggiva i pettegolezzi del paese, le riunioni di gente che passava il tempo a chiacchierare; verso il crepuscolo se ne andava in bicicletta, sola. Conosceva certi viottoli romiti che dividevano i poderi nella sterminata pianura; incontrava appena qualche contadino con la grande falce sulle spalle che lampeggiava nel sole, qualche bambino che la fissava incantato, un cane seduto sull’orlo di un campo. La bicicletta scivolava sulla polvere del sentiero come sulla cipria. E la poca fatica dell’esercizio le dava l’ebbrietà di un volo per quel vento che le sfiorava gli orecchi; dopo aver vagabondato a lungo, abbandonava la bicicletta in un prato e si stendeva lí vicino, la faccia al cielo. La bicicletta abbandonata, riversa sull’erba dava ad Anna la coscienza del proprio benefico riposo; la ragazza allargava le braccia e s’incantava nel nitido azzurro della gran volta che s’apriva sopra di lei. Godeva nel sentirsi nulla, una foglia o un filo d’erba, si sentiva vivere di vita vegetale, come se le scorresse linfa nelle vene invece di sangue. Dopo queste soste ritornava a casa filando tra gli alberi, i prati, le basse siepi, leggera leggera, si dimenticava di essere in bicicletta, le pareva di andare per forza propria, le alucce ai piedi come Mercurio. Talvolta, verso il tramonto, andava a trovare Valentina. La casa dell’amica era lontana, bisognava traversare il paese. In collegio le due ragazze erano alla pari e invece qui Valentina si trovava umiliata di abitare in quella casa povera, con un palmo di orto soltanto. Quando Anna entrava in casa di lei, Valentina le diceva ogni momento: – Scusa, scusa. – Questa sua grande amicizia con la figlia dei Bortone le aveva dato lustro in paese; ella sperava dopo ciò di trovar marito piú facilmente.

Letteratura italiana Einaudi

198

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Anna voleva sempre andare a sedersi sul terrazzo; lí c’erano cose vecchie buttate alla rinfusa per sgomberare, legni infraciditi dalla pioggia e fiori nelle vecchie pentole. Ma questo terrazzo s’apriva sulla vallata boscosa, di lí si godeva un panorama pittoresco. C’era quiete: eppure spesso Valentina, interrompendo di parlare, spiava in casa, poi rassicurata diceva: – Niente, niente. Dimmi pure. Nella casa cadeva l’oscurità, sul terrazzo invece la notte restava sollevata come per un respiro; le forme delle ragazze apparivano brune, fredde contro la grigiazzurra trasparenza del cielo. Sedevano sul parapetto, guardavano sbocciare le stelle. Anna diceva: – Non si vede mai una stella nascere, anche se rimani ore e ore a fissare quel pezzo di cielo, te la trovi accesa senza averla vista spuntare. È un miracolo: o forse aspetta l’attimo nel quale tu sbatti gli occhi per uscir fuori. – A te piace assai la campagna, vero? – Mi piace il tono, l’odore della vita di campagna; qui ogni cosa si assapora. Chi guarda mai le stelle in città? Non ci s’accorge neppure che esiste il cielo. – Ma ci sono tante altre cose in città... – Quali cose? Nessuna che abbia per me il valore di queste. Qui hanno importanza gli elementi essenziali della vita: il sole, il vento, la stagione. Non è piú importante questo che l’orario d’apertura del cinematografo? È bello sentir dire ai coloni con timore che alle dodici il vento calerà e verrà a piovere. Quando è sereno s’alzano e vanno al lavoro cantando; sempre si parla di queste cose perché da queste viene la vita, il benessere. Sai cosa mi piace ascoltare alla radio? Quando trasmettono i dati meteorologici per i bastimenti in navigazione. Una voce calda, lenta, che, si sa, li raggiungerà nella loro solitudine marina. Le parole che usano sono piene di fantasia. Confrontale con quelle che adoperano per dare i prezzi

Letteratura italiana Einaudi

199

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

della Borsa. Nervose, irte di numeri, le altre piene di sonori aggettivi. Cosí è per la vita di città e quella di campagna. – E i tuoi parlano ancora di trasferirsi? – Non lo so; sí, credo: dietro le mie spalle. E il parlarne nascostamente prova che sanno di aver torto. Io penso – continuò seria – che sia un errore voler uscire dalla propria classe sociale ed entrare a forza in un’altra. Mi sembra che molti inconvenienti della vita di oggi nascano appunto dal fatto che tutti vogliono condurre una vita superiore al proprio livello e alle proprie possibilità. Non credi? Intanto poi fatalmente càpita un discendente che ha nel sangue le primitive aspirazioni dei suoi avi. Come me. Io rimango qui, ho deciso. Ho ventidue anni. Chi potrebbe obbligarmi a partire? – E la laurea? – La prenderò: parto con te e poi ritorno. A meno che non dovessi fare un fiasco. – E aggiunse: – Un fiasco come Xenia. Chi sa che fine avrà fatto Xenia? – Nessuno mi toglie dalla testa che è morta. – Già, temevamo. Ma non è stato cosí, certo. Quando una muore si sa: certe cose si sanno; e poi lei non era di quelle che si ammazzano; era in gamba. Ancora non capisco perché non sia riuscita: aveva un’ intelligenza avida... – Un’intelligenza non adatta per i nostri studi. – Può darsi. Di nuovo cadde il silenzio tra loro; Anna ascoltava il suono dell’ultima campana raggiungerla, vibrando sulla pianura. È quando le notti sono cosí belle che io temo di prendere una malattia e morire, non vedere piú nulla... Valentina l’interruppe: – Ssss!... taci un minuto! – E tese l’orecchio verso la casa. – Nulla, nulla, continua. – Ma di chi hai paura? – Paura? No, veramente. È per i fratelli.

Letteratura italiana Einaudi

200

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Una volta che udí un calessino arrestarsi davanti alla porta s’alzò, prese l’amica pel braccio, le disse: – Senti, adesso è meglio che tu vada via, scusa, sai? scusa. Uscendo Anna s’incontrò con due uomini nell’atrio, due uomini di una certa età; uno piú basso, zoppo, l’altro alto, tarchiato: erano i famosi fratelli. Non incutevano paura, ma il piú giovane, lo zoppo, aveva un’aria di beffa maligna. Il giorno dopo Valentina andò a trovare l’amica e le spiegò. – Sono i fratelli del babbo. Da quando il babbo è morto ci mantengono, per pietà. Pagano tutto loro, anche i miei studi, il collegio. Mica cattivi in fondo, sai? Altri non farebbe neppure questo. – E allora? – Allora... ecco, ti rinfacciano a ogni momento quel che hanno fatto, quello che fanno: ogni boccone di pane che mangi. Hai visto la mamma? S’è invecchiata in pochi anni, perché quasi non ha il coraggio di toccare piú cibo. Io sono giovane e passo sopra a tante cose. Ma per lei... E in fondo i terreni erano di tutti e tre i fratelli, la parte del povero babbo dovrebbe essere la nostra adesso, non è vero? Ma loro dicono: «il nostro terreno, il nostro denaro». Non volevo che mi trovassero a parlare con te, inoperosa. Quando insegnerò e manderò i denari a mia madre, allora sarà un’altra cosa. Io, però, non sono nata per lavorare; mi piacerebbe sposarmi, sposarmi in città. Ma nessuno mi vorrà, ci penso notte e giorno. – Aveva gli occhi bagnati per questa sua antica e costante pena. – Perché dici questo? Non hai ancora vent’anni. – Non è l’età che conta; io sono povera e avrò la mamma a mio carico. Non posso lasciarla. E chi mi vorrà cosí? – Singhiozzava, le parole le sboccavano a fiotti, umide: – Oh, se sapessi, se sapessi! le amiche d’infanzia si sposano, altre sono fidanzate, vengono a trovarti, te lo dicono con aria di vittoria... E intanto ti fissano sorridendo, come per dirti: «Tu ancora a casa, eh?». E

Letteratura italiana Einaudi

201

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

quando non si tratta di loro vengono a dirti di amiche comuni per ferirti ugualmente. «Sai? si sposa la tale. Un matrimonione!». Magari neppure è vero. E io sempre lí, sempre lí. Sapessi che vita è la mia! La sera: i fratelli fumano sigari, ammorbano l’aria, noi sfaccendiamo attorno alla tavola servendoli, poi sciacquiamo quegli orribili piatti grassi, prepariamo i letti. Al mattino, quando s’alzano lasciano nella camera l’afrore del vino bevuto la sera all’osteria. Hai saputo che anche Linda si sposa? – Già, ma non l’invidio. Prende il figlio dei Toma, un mezzo scemo. – Comunque, si sposa. – Ah, sí, comunque. Tutte cosí, Anna pensava: affamate. Si sposano come capita e poi guaiscono sotto le botte. L’essenziale è di poter dire alle amiche: «mi sposo». Vedere le altre crepare di rabbia. – Anche in collegio – seguitava Valentina – molte hanno «trovato». – Molte? non mi sembra. – Come no? Vinca, per esempio. Ed Emanuela. Emanuela l’ha conosciuto con noi, all’università. Apposta aveva preso gusto alle lezioni... – È molto bella, Emanuela. – Sí, e soprattutto è molto ricca. E Barbara di scienze politiche? Dopo la laurea sposa un collega, che ha conosciuto in facoltà. – È vero – disse Anna – non ci pensavo. Però siamo quasi cento al “Grimaldi”. – Ma non potevo essere io fra queste? Donna Antonia s’era affacciata alla finestra e cantava: una vocetta esile e stonata che dava fastidio a sentirla. – È pazza tua nonna, vero? – No, no, perché dici questo? I pazzi mi spaventano. È vecchia, molto vecchia, un po’ fissata. Quando fa cosí impressiona.

Letteratura italiana Einaudi

202

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

La vecchia scorgendo le ragazze s’era taciuta: faceva cenno con la mano che accorressero; poi chiamò con voce misteriosa: – Anna, Anna. Quando furono sotto la finestra, domandò: – Chi è con te? – È Valentina. – Ah, già, la figlia della Liberata. Brava ragazza. Cominciò a piagnucolare infantilmente, mettendosi i pugni sugli occhi, come una bambina. – Nonna, che c’è? – M’hanno chiusa dentro. Sperano di trovarmi morta. Ma io canto per far sentire loro che resisto. Vieni ad aprirmi, figlia, per carità. – Chi v’ha chiusa dentro? – E che ne so? Tua madre certo, tua madre sarà stata. Vieni Anna, benedetta figlia, vieni a liberare questa povera vecchia. Hanno fatto cosí perché c’è gente e non vogliono farmi vedere il vino che si sciupa. Riprendeva a cantare e le ragazze per non piú udirla si decisero a salire. Traversando l’atrio videro che veramente c’era gente nella sala da pranzo. Un giovanotto vestito di lutto parlava con don Alfonso, questi scorgendole le invitò ad entrare. Valentina si rassettò con le mani i capelli, sussurrò all’amica: – È Aponte, è Mario Aponte. L’ospite s’alzò in piedi e salutò le ragazze. La madre di Anna presentò Valentina con un sorriso di condiscendenza per far rilevare che la ragazza era di condizione inferiore alla loro. Don Alfonso parlava vivacemente. Che non si ricordavano piú di Mario? Avevano giocato insieme da bambini, con Anna almeno, Dio quante corse avevano fatto. Anna ammise: – Sí, mi pare di ricordare, un giorno che s’andò a mangiare l’anguria da un mezzadro e io caddi e mi feci male al ginocchio. Sí, ricordo come un sogno. – Io – Valentina fece decisa – io ricordo perfettamente.

Letteratura italiana Einaudi

203

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Mario parlava poco, reso triste da quel lutto cosí grave. Negli intervalli di silenzio, s’udiva di nuovo il canto della vecchia alla finestra. Allora Anna si scusò: – Io salgo dalla nonna un momento. – Valentina non si mosse per seguirla, restò ad ascoltare il giovane: egli aveva dovuto abbandonare gli studi, era stato all’estero, veniva a stabilirsi qui per rimettere in efficienza il podere, la casa, tutto andava alla malora, neppure piú i vetri alle finestre, i contadini si sono approfittati del terreno, il castaldo ha rubato finche ha potuto e adesso non si sa piú neanche dove sia. Nei campi crescono erbacce. – Ho visto stamani tanta ruggine sull’aratro. La nonna non era chiusa a chiave in camera. – Mi sono sbagliata – diceva: – ma tante volte lo fanno. – E seguitava a compatirsi. Spesso parlava di sé in terza persona: – Povera donna Antonia rinchiusa come un maiale, ti sfoghi a cantare, eh? tanto poi un giorno finalmente si crepa. Anna si propose di superare la ripulsione che provava per le mani della vecchia, la quale le adoperava invece del fazzoletto, di sopportare l’odore sgradevole della camera e rimaneva piú a lungo accanto a lei. «È la nonna» si diceva, quasi per convincersene. «A una certa età» pensava «i vecchi smettono anche di essere i cari stretti parenti che sono stati, divengono soltanto dei vecchi.» Le dispiaceva di rinunciare alle sue ore di libertà dopo lo studio, soprattutto alla sua solitudine. Infatti il giorno seguente si recò con la nonna in giro per i campi a vedere le case dei coloni: bianche di calce, affocate dal sole. I ragazzi andavano attorno completamente nudi, le teste rasate di fresco, grigie come topi. Se Anna li interrogava neppure rispondevano, la fissavano a bocca aperta e poi ridevano dietro le sue spalle. Avevano invece domestichezza con la vecchia che li chiamava tutti per nome, qualche volta li sculacciava. Masticavano le foglie, le bacche, facevano pupazzi e palline con

Letteratura italiana Einaudi

204

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lo sterco dei muli. Le femmine presto divenivano utili; a cinque sei anni portavano le brocche d’acqua in testa, dignitosamente, e spazzavano l’aia. Anna era accaldata, sudata, aveva bevuto acqua a ogni casolare, la nonna invece camminava svelta, stringendosi sotto il mento il fazzoletto nero. – Tua madre cerca di avvelenarmi – diceva; – ma io me ne accorgo e non tocco il cibo che mi manda; ieri era nelle polpette, come si fa per i cani. E sto preparando un tiro. Sai che vogliono la mia firma per un affare di tuo padre a Milano? Sí, sí, io dico docile, sí che la do la firma. E poi, all’ultimo, niente. – Rideva mostrando i denti gialli. – E intanto gli sto sollevando contro tutti i contadini. Un giorno verranno sotto il balcone con le falci e con le roncole. «Vogliamo la padrona vecchia!» urleranno. Quel giorno tua madre si farà prendere da uno svenimento dei soliti. Lei pensa, lo so: «Non muore mai quella vecchiaccia». Non s’interrompeva di parlare neppure vedendo Mario Aponte sulla soglia della casa. Seguitava a dire, anzi: – Oggi chi sa dove me la metterà, la polverina. Mario adesso, pranzava spesso in casa dei Bortone: ad Anna riusciva simpatico per quel suo modo di parlare pacato e riflessivo, per l’amore che portava alla sua terra: ogni tanto egli ricordava gli studi con rammarico. Don Alfonso gli consigliava: – E allora vendila la terra, cosí potrai tornare in città. – No – egli rispondeva, – non si vende la terra, porta male. – Frottole che raccontavano ai tempi andati. Vendila, se ti piace. – Ecco: forse non mi piace. Anna ebbe un tuffo di gioia sentendolo rispondere cosí, avrebbe voluto approvarlo ad alta voce, ma le sembrò eccessivo. Alzò verso di lui lo sguardo, incontrò i suoi occhi e allora, dopo un attimo d’impaccio, gli sorrise. Papà

Letteratura italiana Einaudi

205

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

seguitava a parlare: diceva che la terra rende poco, una miseria. Piove, il raccolto va alla malora, è troppo caldo o troppo freddo, c’è sempre qualcosa che non va. – Già, già – Mario annuiva: – un lavoro caparbio, un lavoro di tenacia. Mi attrae proprio per questa lotta. – E fece con le mani massicce il gesto di voler piegare qualcosa, un ferro. Salí dalla strada maestra il suono di un organetto; lo strumento aveva due voci, una piú bassa, cupa, quasi uscisse da uno strumento a fiato, e l’altra tutta scintillante, fatta di note argentine che svariavano sul canto, rotolandosi l’una dietro l’altra. Era una voce estiva come l’ansima delle cicale: chi pensa agli organetti d’inverno? Quel suono sollevò la bassa afa del meriggio, sventagliò per l’aria un po’ di frescura. Anna soffocò l’impulso di alzarsi, correre alla finestra. Donna Matilde esclamò soddisfatta: – Che distrazione, la musica! Sarà altra cosa quando avremo la radio! Dall’organetto una scala di note si gettava a capofitto come acqua che scaturisca e rimbalzi di roccia in roccia. – No, Anna? – insisté la madre. Anna non rispose. * Giungevano lettere di Vinca, lettere di Emanuela. A Valentina e ad Anna queste lettere parevano venire da un altro mondo. Scrisse anche Augusta, rimasta a Roma, in collegio; parlava di suor Lorenza, di suor Luisa ed erano come personaggi di favole. «Davvero» le due ragazze si chiedevano «davvero abbiamo vissuto con loro mesi e mesi?» Svanivano le loro figure nella lontananza. Nel paesello arso dal sole, dove nell’ombra ferma dei cortili ragazzini seminudi si rivoltolavano nella sporcizia, come immaginare le fredde pareti del collegio, tra le quali stagnava l’odore di monaca?

Letteratura italiana Einaudi

206

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Di sera, qui, nel silenzio bianco di luna, sotto qualche finestra i giovani cantavano. Valentina ascoltava le voci passare sotto la sua finestra, allontanarsi, perdersi. Era sconvolta da quelle lettere delle amiche che parlavano sempre d’amore. Di notte mormorava «Andrea, Luis» per gustare il suono di quei nomi come esse lo gustavano. Piano, perché la madre, che dormiva accanto a lei, non l’udisse. Vinca non parlava che di Luis; lettere sconclusionate, in cattivo italiano. Scriveva a Luis, andava in chiesa a pregare per Luis, aspettava Luis, Luis era un eroe. Le lettere di lei scottavano le mani. Descriveva la sua vita in casa di donna Inez, tre donne in attesa, boccheggianti di caldo. «Pilar si consuma, poverina. Io ho dato lezioni di spagnolo, qualcuna, ma ieri quasi rompo la borsetta in testa a una ragazzina la quale diceva che gli spagnoli sono tutti buffoni, buoni per la corrida. Me ne sono andata e non voglio il danaro. Sono stata al collegio; ho trovato Augusta a scrivere, s’è smagrita, è pallida. Suor Lorenza m’ha abbracciata, m’ha stretta, m’ha domandato se ritornavo lí, a ottobre. – Che sono matta? – le ho risposto e allora lei m’ha chiesto cosí affettuosamente: – Perché? Ti sei trovata male? – che io subito mi sono messa a piangere pensando a Luis. Luis mi ha scritto una lettera appoggiato a un tamburo, scrive poco e bene. Le lettere di Pepe a Pilar sono molto piú lunghe. Ma Pepe non è Luis.» Le lettere di Emanuela erano piú calme. Era andata a Firenze, prima, e poi era partita per un viaggetto in macchina con papà e mammà. Mandava cartoline sovente, da ovunque; forse in ogni paesello dove si fermavano anche solamente per fare benzina, Emanuela scendeva, andava dal tabaccaio, spediva la cartolina. – Se dimentica di mandarne una, forse rimane tutto il giorno con l’amaro in bocca – diceva Anna con un sorrisetto.

Letteratura italiana Einaudi

207

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Perché riderne? – rimbeccava Valentina. – È molto affettuosa, sempre si ricorda di noi. – Tu credi che le mandi per noi? Solamente piú tardi si comincia a viaggiare per se stessi. In principio si viaggia soltanto per gli altri. Lei ci scrive cosí spesso, perché a noi, soffocate dall’afa in questo paese, nasca l’invidia di quei freschi colli, o delle Dolomiti. Ma io preferisco essere qui; vorresti essere al suo posto? – Io sí. Ormai, Valentina e la madre mangiavano addirittura in cucina. I fratelli neppure le chiamavano a cena, si mettevano a tavola sudati, bevevano, davano le ossa al cane, un mezzo bracco pieno di pulci. Se sorprendevano la nipote senza far nulla, non la rimproveravano, ma le dicevano: – Perché non ti fai mantenere dalla Bortone che t’è tanto amica? – E poi prendevano a parlare volgarmente di Anna, delle sue forme prosperose. Allo zoppo, mentre parlavano di ciò, s’accendevano gli occhi. Beveva, poi si passava la lingua sulle labbra e la schioccava. – Vieni qui, Valentina, dicci un po’: l’hai veduta in camicia al collegio? – La ragazza si mordeva le mani per la rabbia; la madre la calmava: – Buona, buona, che vuoi fare? È questione di poco; quando avrai preso la laurea... – Tutto finiva con questa frase, era come il miraggio della Mecca. E una sera Valentina scoppiò a piangere: – Mamma, che cosa sperate? Due anni ci vogliono ancora, poi avrò una supplenza. Lavora, correggi i compiti, lavora, sempre lavora! È questo che mi prospettate come avvenire? E andò a rifugiarsi sul terrazzo, sbattendo forte la vetrata. Piangeva: un pianto rabbioso, irrefrenabile. «Sta buona, sta buona, la laurea.» Vedeva già cosa sarebbe stato dopo la laurea, si sentiva fin da ora spossata per tutte le giornate nelle quali avrebbe dovuto lavorare; anni e mesi gettati nella voragine comune, impiegata, forse, a patire per un lavoro non proprio, che non fa strada

Letteratura italiana Einaudi

208

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

al proprio nome, un lavoro oscuro, una fatica che nessuno conosce, navigare senza scorgere mai il faro del porto. E tutto questo era lí davanti a lei, un vuoto nero come lo strapiombo che s’apriva sotto il terrazzino nella fosca vallata. Il domani giunse ancora una lettera di Emanuela, diceva: «Andrea mi scrive sempre, è tanto carino». Metteva questa tra due frasi qualunque: «Il tempo è bello... Domani saremo sul Lago di Braies». Spesso Valentina andava a letto presto, appena le rondini avevano finito di girare attorno al campanile della chiesa vicina; volavano stridendo, calavano basso, certe volte sembrava dovessero sbattere alle imposte. Erano notti formicolanti di stelle, tacevano le rondini, incominciava il cri cri dei grilli, qualche rana urlava nel pantano. Valentina non riusciva ad addormentarsi; accanto a lei la madre stanca dormiva, un grosso respiro le sfuggiva di tra le labbra semiaperte. Valentina, desta, immobile, aspettava che dall’ombra venisse a lei il sogno consueto, la consueta immagine. E invece il chiarore che passava dalla finestra prendeva forme decise: ora Andrea, ora Luis. Valentina immaginava di rubarli alle amiche. Andrea muoveva verso di lei che stava seduta tra le compagne nel cortile del collegio o coricata con loro in un immenso dormitorio e la sceglieva: «Tu, Valentina». Allacciati s’allontanavano. Sentiva il braccio di lui intorno alla vita, bruciava, la carne doleva. Finché le immagini maschili dileguavano e invece, dal buio, nascevano i volti delle amiche, si tendevano verso di lei, soltanto i volti, come maschere: s’avvicinavano, s’avvicinavano, le soffiavano in faccia: «Sono fidanzata». Lei stava china al tavolo, correggendo i compiti dei ragazzi, sepolta tra una montagna di quaderni neri e lucidi come scarafaggi. Tutte queste sommesse voci formavano un brusío sibilante, un ululo di vento. «Sono fidanzata, sono fidanzata.» Dopo s’udiva un ridere dapprima re-

Letteratura italiana Einaudi

209

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

presso, poi scrosciante. Ridevano». E lei tentava di non alzare gli occhi dal lavoro, ma infine quel riso l’ossessionava, doveva tapparsi gli orecchi, non resisteva piú, basta, basta, per pietà! Si svegliava affannata, dilatava le pupille nella tenebra della camera silenziosa e tranquilla. Adesso un’altra immagine spesso la tormentava: Mario. Ci pensava notte e giorno, andava da Anna sperando di vederlo, insisteva perché Anna smettesse di studiare: – Andiamo a spasso – la prendeva sotto braccio e come per caso la spingeva verso il podere degli Aponte. Mario era sempre lí attorno con gli operai che riattava la casa. Si fermava volentieri a parlare con le ragazze, spesso le riaccompagnava. A sera Valentina si rimproverava: «Ho parlato troppo oggi: Anna forse l’interessava di piú con il suo sorriso di Gioconda. Sudavo, il vestito era macchiato sotto le ascelle: smuovendomi sentivo un forte odore, l’avrà sentito anche lui». Mario sembrava non sentire nulla, s’occupava soltanto della casa e della terra: passava le mani sui muri di casa come per essere sicuro che non cadessero. Le famiglie dei nuovi coloni erano entrate nei casolari dipinti di fresco, gente del Veneto. Erano venuti dalla stazione con un carro, i ragazzini sopra in piedi traballando, che scesi s’erano presi per mano, stretti alla madre, attoniti, spaziando lo sguardo per la nuova terra. Correvano per i campi, avevano fatto amicizia con i figli dei coloni dei Bortone; senza parlare, perché gli uni non capivano il dialetto degli altri, sedevano insieme passandosi le pietre, i pugni di terra. Valentina credeva che Mario fosse innamorato di lei. Spesso quando sedeva sul terrazzo a rammendare, si volgeva di scatto e le pareva di vederlo entrare. «Eccomi» le diceva «sono venuto» o entrava di notte nella sua stanza. Si chinava sul suo letto per baciarla. Come mi bacerà? La bocca di lei s’inumidiva per l’attesa, un gran sudore la bagnava e il respiro le si faceva affrettato; ma

Letteratura italiana Einaudi

210

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cercava di liberarsi da questa immagine, ricercava attorno a lei quella che ogni notte la raggiungeva. Cosí le ore passavano, i rintocchi della campana a tratti scuotevano la notte: certe volte vedendo l’alba nascere infreddolita dietro i vetri, Valentina si proponeva: «Adesso dormo». Poi ricordando i sogni ai quali volontariamente s’era abbandonata, si spauriva del peccato commesso: «Dio, Dio perdonami». Ma tutto era cosí facile e molle in quelle notti d’estate. Alla festa del patrono i genitori di Anna non presero parte: detestavano quelle manifestazioni popolari. Ma nonna Antonia volle assolutamente accendere i lumi a olio sulle finestre anche se la processione passava di lontano. Nella sera, smossi dal lieve fiato del vento, i lumi tremavano; anche alle case dei coloni un lume era acceso. La vecchia, seduta sull’aia, sbocconcellava il pane dolce che era d’uso mangiare in quel giorno. Anna era andata con Valentina e Mario a vedere la fiera. Ancora vagolava per il corso e per la piazza l’odore dell’incenso bruciato appresso al Santo che, tutto di legno rosso e d’oro, si stagliava nel cielo occiduo e traballando sulle spalle dei portatori mandava bagliori dagli occhi di vetro. Era rientrato nella chiesa dove i fiori ammassati sull’altare spandevano sentore di funerale. La gente dianzi contrita, passava in festa sulle selci ancora imperlate di cera. Lamentosi e modulati s’udivano i richiami dei venditori di noccioline e di banane, lenti come una ninna nanna araba. Dietro l’abside della chiesa esplodevano i fuochi d’artifizio. Valentina e Anna agli scoppi si tappavano gli orecchi con le dita; avevano bevuto certo vino pastoso, avevano mangiato i croccanti, i sorbetti; ammollite dalla festa si lasciavano urtare dai bambini che correvano suonando nelle trombe di cartapesta, senza ribellarsi. Mario le teneva entrambe pel braccio, Valentina gli si appog-

Letteratura italiana Einaudi

211

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

giava un poco, messa in languore dal vino. Anna godeva di sentirsi attorno la folla, una grande famiglia, salutava, sorrideva a tutti. Sulla piazza, nel recinto dell’osteria, numerose coppie di paesani danzavano. I ballerini sedevano sulle panche, gli uomini di qua, le donne di là. Una ragazza rossa andava attorno coi bicchieri del vino; poi, quando la musica riattaccava, si metteva da parte. S’alzavano allora i giovani, s’assestavano i calzoni alla cintola e s’avvicinavano alle ragazze che mute attendevano con le mani in grembo; e súbito, cedendo all’invito, si mettevano a ballare. Lenta la danza e cadenzata da quei rantoli della fisarmonica. Se il compagno saltava, anche la ragazza saltava senza però mutare la ferma espressione del volto o muovere la testa. Il ballo apparteneva alle gambe soltanto e agli zoccoli di legno scalpitanti. I lunghi orecchini saltellavano ai lati del viso austero. La musica finiva di scatto, di scatto i due si separavano, in silenzio, neppure una parola si dicevano: forse con quei visi, la notte, le spose si staccavano dai loro uomini per dormire. Riprendevano il loro posto sulle panche, i giovani di qua, le ragazze di là, senza neanche scambiarsi un sorriso, aspettando dalle mani del suonatore il momento di alzarsi di nuovo, ricominciare. Nelle gambe di Anna e Valentina si agitava una gran voglia di ballare; ballare fino ad essere esauste, cadere per terra, dormire. E però non ardivano di mescolarsi ai contadini, forse quelli avrebbero smesso per rispetto. Sopra la cupola della chiesa i bengali rossi dilaniavano l’oscurità, luminose meteore irraggiavano, ricadevano molli, s’annientavano nell’ombra. Mario condusse le ragazze alla giostra. Tre cavalli: Anna si sedette sul cavallo come un’amazzone, intrepida s’attaccava alla criniera, guardava i feroci occhi dell’animale, le froge dilatate, dipinte di vermiglio, e incitava: – Andiamo, andiamo!

Letteratura italiana Einaudi

212

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Tutto ciò le dava una gioia infantile, irrefrenabile. Sull’organino della giostra un omino di legno in bautta batteva il tempo d’una flebile antica musichetta: Anna scoppiò di gioia all’udirla, Valentina la guardava: «È pazza, dice bene sua madre: posa». Anche lei si sentiva stordita, ma per quella vicinanza di Mario, quel braccio di lui contro il suo. Però Mario cavalcava vicino ad Anna e lei doveva dar loro le spalle. Il carosello si mosse. Poco dopo la testa di Anna prese a girare a vortice, come se le girassero gli occhi nelle orbite. Attorno attorno alla giostra un fitto cerchio di gente guardava gli altri divertirsi. Anna sentiva tutti gli sguardi su di lei, e il tondo sguardo di Mario non abbandonarla un momento. «Ha paura che cada, ha capito che sono ubriaca. Che vergogna, che vergogna!» ma non riusciva a vergognarsi veramente, anzi sorrideva, un sorriso meccanico come l’alzarsi e l’abbassarsi del braccio nell’omino di legno in bautta che batteva il tempo. Anche lo sguardo di Valentina sentiva fisso su di lei. Tutti, tutti la guardavano, la musichetta le ronzava negli orecchi, insopportabile come il canto della nonna alla finestra. Eppure si divertiva tanto, mai si era divertita tanto cosí. Un anno, tutto un anno deve trascorrere perché ritorni questa festa. Chi dice che la città è bella? Mario la guardava serio. Domani bisogna di nuovo tornare a studiare. E l’ansia per lo studio, la tesi, tutto ciò le appariva ingiustificato e lievemente ridicolo, come quando si vede gente ballare dietro una vetrata senza udire la musica. Scesero e a stento si fecero largo tra la folla che s’accalcava sulla piazza, attenta alla tombola che si estraeva dal balcone della Casa del Fascio. – La testa – Anna mormorava – la testa... – Qui, qui – disse Mario – qui c’è piú aria. Discosti dal baccano, si fermarono a guardare la luminaria accesa ai balconi; s’appoggiarono a un muretto,

Letteratura italiana Einaudi

213

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sotto di loro era lo strapiombo detto del Ladro per un malvivente che vi si era ucciso ai primi anni del secolo e del quale ancora si narrava la storia. Valentina scrutava nel fondo cupo d’ombra: precipitare laggiú, restare morti e freddi come Milly. Perché non riusciva a liberarsi dal fantasma della ragazza? Su di loro scendeva la lieve amarezza del divertimento goduto. Fu Anna la prima a riprendersi, disse: – È tardi, adesso bisogna andare a casa. – Non guardava Mario, ma si sentiva fissata da lui; dal principio della sera la fissava cosí. Adesso dopo aver accompagnato Valentina avrebbero dovuto tornare insieme, soli. Per evitare questo propose all’amica: – Vuoi venire a dormire da me? Ma l’altra, dopo aver riflettuto un poco, rifiutò: – No. La mamma starebbe in pena. E i fratelli s’accanirebbero contro di lei. No, non posso. Per un vicolo scesero fino alla casa di Valentina. Dalle osterie aperte venivano voci di uomini che giocavano a carte e, per le strade, s’udivano canti di gente che aveva bevuto troppo. La festa adesso disgustava un po’, come gli avanzi di un copioso pasto. Nell’aria, per gli scoppi dei mortaretti, era rimasto odore di polvere bruciata. Anna e Mario riattraversarono il paese in silenzio: desiderosi di aria pura affrettarono il passo, passarono l’arco grigio che metteva sulla strada della campagna. Qui Anna s’arrestò, disse: – Com’è bello il silenzio! Mario rimaneva muto, ma lei sentiva lo sguardo del ragazzo avvolgerle le spalle, soffermarsi sul nodo dei capelli che ella usava portare basso sulla nuca. Messa a disagio da quell’insistenza, ogni poco doveva alzare gli occhi verso di lui e sorridergli. Oltrepassarono un fanale, un grande cerchio di luce gialla; poi fino al prossimo la strada ricadde nell’oscurità. La notte era senza luna, ma le stelle mettevano brividi in cielo, la via lattea si gettava come una sciarpa attraverso il lucido brulichio. Dinanzi

Letteratura italiana Einaudi

214

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

al cancello di Anna si fermarono ed ella restò appoggiata al pilastro, sul quale pendeva la campanina, guardando il suo compagno di sotto in su. Era molto difficile lasciarsi dicendo «addio» come sempre; ed era altrettanto sciocco agire in modo diverso, poiché nulla era cambiato, proprio nulla. Il cane, latrando, venne verso di loro, mise il muso tra le sbarre, s’accoccolò, tacque. Anna, per spezzare quel silenzio che l’ossessionava, disse: – Quante stelle! adesso mi affaccerò per guardarle. – Quale finestra? quella? – e il giovane l’indicò. – Sí, quella. – Anche io mi metterò alla mia. Anna rise: – Ma non ci vedremo, è lontano. Vi sono di mezzo i campi, gli alberi... – Poi tacque imbarazzata. – Non importa – disse Mario, poi soggiunse: – io ti vedrò, Anna. Sulla strada passava un carro: dondolava tra le ruote il lume giallastro, gli zoccoli battevano sordamente sulla polvere. Anna e Mario restarono attenti a quel rumore, a quella luce; quando il carro si fu allontanato, il ragazzo disse appena «addio» e lento s’incamminò verso la sua casa. * Nei giorni che seguirono, Anna evitò di trovarsi con Mario. Studiava tutto il giorno, a Roma avrebbe dovuto soltanto far copiare e rilegare la tesi, prepararsi per discuterla, tutto fatto grazie a Dio e, vada come vada, era finito. Dalla finestra della camera seguiva Mario che andava per i campi, vedeva un puntolino bianco, era lui in maniche di camicia che parlava ai coloni, al nuovo castaldo, che andava sul muletto fino agli angoli piú remoti del podere. Forse non era amore il suo, eppure una mite dolcezza si diffondeva in lei allorché guardando quel puntolino bianco si diceva: «È lui che lavora».

Letteratura italiana Einaudi

215

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Mario non la cercava; e lei per questo pensava, un po’ delusa, che quegli sguardi e quel suo tono di voce, la sera della festa, al cancello non fossero proposte d’amore. Forse soltanto contentezza di sapere che lei c’era, esisteva. Lo vide una settimana dopo, uscendo con Valentina a passeggiare nella tenuta. Si spinsero fino alla rete di ferro che separava il giardino degli Aponte da un campo dei Bortone. Il grano era già tagliato da tempo, la terra appariva devastata, arsa di stoppie. Lí presso nell’affocata pianura quanti pagliai? dieci, venti, e altri ne innalzavano i contadini piú in là. Presso il fossato Valentina chiese: – Qui? – Anna non replicò e sedettero. Nel giardino Mario non c’era, ma si udiva la sua voce. Valentina prese a parlare forte, a ridere per attirarlo. Poco dopo infatti venne e si sedette, le gambe in croce, di là dalla rete. Calmo e soddisfatto, masticava tra i denti forti un lungo filo d’erba. – Ho fatto già molto – diceva – ma molto ancora ho da fare. Il bestiame, il pollaio, bisogna riportare tutto come prima. La casa è uno squallore; e il giardino? Un po’ per volta anche il giardino. – Bruscamente chiese: – Mi vorrebbe aiutare a scegliere... sí, insomma a sistemare il giardino, Anna? Valentina guardò prima l’uno e poi l’altra, insospettita; piena d’impaccio Anna rispose: – Volentieri; ma tra poco parto. – Già: parte – fece Mario: – sarà per il suo ritorno. – Ecco. Un silenzio penoso: placida scorreva l’acqua nel fossato trascinando foglie e sterpi, i pagliai gettavano macchie d’ombra sui campi, le galline passavano impettite. Valentina taceva: se avesse aperto bocca sarebbe stato per piangere. O si sarebbe volentieri gettata su Anna, l’avrebbe colpita in pieno viso, le avrebbe fatto mettere la bocca sul prato. La rete di ferro metteva ombre sul viso calmo di Ma-

Letteratura italiana Einaudi

216

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

rio, che seguitava a masticare il filo d’erba. «Come se nulla fosse o Valentina pensava «e intanto m’hanno giocata.» S’alzò di scatto, fece: – È tardi – e prese Anna pel braccio. Niente affatto sorpreso, egli disse: – Bene – e salutate le ragazze con la mano s’allontanò zufolando. Nonna Antonia era alla finestra, vide Anna arrivare con l’amica e la chiamò: – Presto! Presto! – diceva con voce soffocata. La nipote non l’aveva vista in tutto il giorno, aveva saputo che era andata al casolare del colono Mattia, il quale aveva la moglie in parto, portando con sé soltanto un pezzo di pane e un pomodoro. – Senti, Anna – le disse nel vederla – neppure il pane posso piú mangiare. Tua madre me l’ha avvelenato; ho avuto i dolori di pancia l’intera giornata. Non l’avevo mangiato tutto, per fortuna! E adesso, sai che fa? Ho visto entrare da lei l’Addolorata, quella che fa le carte e le fatture. Adesso mi fa buttare addosso la moria. Vedrai che ci riesce. Da ieri mi batte una palpebra: è segno di disgrazia. Infatti tuo padre mi aspettava nell’atrio, voleva la firma. «Che firma?» ho chiesto. «Quella che avete promesso, liberare le cartelle per quell’affare di Milano, torneranno raddoppiate, almeno.» «Non mi ricordo, non ho promesso nulla. Non faccio firme», ho dettò. Sai? è perché tutto va in malora e sono senza soldi. Che affare di Milano! Servono per le orge, per i vestiti di tua madre. Donna Antonia Bortone non firmerà. La casa si è riempita di strilli, non hai inteso? – No, ero fuori con Valentina. – Bene. E sai che m’ha risposto il sangue mio? il frutto delle mie viscere? – Singhiozzava accorata. – M’ha risposto che mi farà rinchiudere al manicomio. – È impossibile, nonna. – Sí, sí, tua madre ci riuscirà. Dicono che rubo, che rubo in cucina. – Fiottava adesso: – Un po’ di zucchero, ho preso. Zucchero per te, se viene tempo di carestia

Letteratura italiana Einaudi

217

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

adesso che c’è stata la guerra e, come accadde nel ‘18, non se ne dovesse trovare piú. E vuole farmi rinchiudere. Dice che il tribunale mi toglierà la firma perché sono pazza. Povera Antonia! Pazza! – seguitava a fiottare e Anna non sapeva che dirle. A un tratto la vecchia s’alzò in piedi, secca e ossuta che pareva la morte vestita, batté una mano sul davanzale, disse: – E domani vedrai che accadrà. A sera Anna parlò a lungo col padre, ma dovette dargli ragione. Per adesso poteva fare a meno della firma; domani sarebbe partito in viaggio, Milano, Biella; ma al ritorno sarebbe passato per Bari e avrebbe messo la cosa nelle mani dell’avvocato. Malata di persecuzione, cleptomane, irresponsabile: ce n’era quanto bastava. No, no, che manicomio! l’aveva detto per spaventarla. Il domani, un giorno grigio, pesante, don Alfonso partí; la nonna passò la mattinata in giro e rientrò sorridente. A tutti, quel tempo minaccioso dava il malumore, i lampi squarciavano il nero tumultuoso del cielo: verso sera dai campi venne un gruppo di coloni seguiti dalle mogli con i figli per mano. Giunti che furono sull’aia uno di loro domandò di parlare al padrone. – Non c’è – rispose la serva – è partito. – Ah! è partito – ripeté Nicola, che aveva parlato per tutti, poi passato uno sguardo con gli altri, chiese: – La padrona giovane allora. Poco dopo donna Matilde scese con la figlia: s’arrestò maravigliata dagli sguardi cupi e fermi dei contadini, strinse a sé la vestaglia come per difendersi: – Che c’è? – domandò, ansiosamente. Quelli si guardavano in silenzio aspettando che qualcuno si decidesse a parlare, poi, a una gomitata della moglie, Nicola si decise: disse che erano venuti a sapere delle intenzioni dei padroni, che don Alfonso vendeva il terreno a gente forestiera e infatti era partito, che da un giorno all’altro li avrebbe messi tutti fuori senza badare

Letteratura italiana Einaudi

218

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ai patti e al dovuto. Perché faceva questo? Loro avevano donne e figliuoli, non volevano vederli morire di fame. Donna Matilde cercava di protestare, ma quello insisteva con una ottusa tenacia: no, no, la padrona non negasse, tutto sapevano, loro in città con la radio e l’automobile, la figlia professora e la padrona vecchia al manicomio. Perché la padrona vecchia al manicomio? Era l’unica che andava per i casolari a vedere se loro non erano crepati e come crescevano i figlioli. Perché al manicomio? Perciò erano venuti a dire che loro dalla terra non se ne sarebbero andati, i figli in mezzo alla strada non li avrebbero messi. E don Alfonso si ricordasse che i suoi padre e madre erano stati contadini, ecco. Un sordo brontolío si levò dietro di lui. Una donna tendendo il pugno, con occhi lucidi d’odio, lanciò una maledizione. Matilde protestò che non era vero, chi aveva detto questo doveva essere pazzo. E Nicola rise ironico: – Pazzo da manicomio? – Tutti i contadini ebbero uno sghignazzare cattivo. – Ma a noi non ci caccia, che, se no, cacciamo noi a lui. Allora Anna si fece innanzi alla madre e andò in mezzo a loro: – A me dovete credere, io sono stata sempre tra voi, nelle vostre case. È vero? Io vi dico che nessuno ha mai parlato di vendere la terra. Don Alfonso è partito per affari, altri affari, niente a che vedere con la tenuta. Non è vero che si rinchiude la nonna in manicomio. Non si vende la terra che ha dato da mangiare a voi e a noi. Don Alfonso verrà a parlarvi al ritorno. Nessuno toglie il pane ai vostri figlioli. I contadini volevano bene ad Anna; invece la padrona giovane, certuni quasi non la conoscevano. Si guardarono l’uno con l’altro perplessi. – Andiamo? – Alcuni ripresero la via dei campi; Nicola aggiunse: – Ce ne andiamo, ma siamo pronti a tornare. – Poi andò dietro agli altri nel cammino dei casolari.

Letteratura italiana Einaudi

219

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Anna non fece in tempo a trattenere la madre: già questa era salita per la scaletta e si precipitava in camera della vecchia. La trovò presso la finestra che fingeva di recitare il rosario, ma certo aveva seguito tutto ch’era avvenuto sull’aia. – Questo, questo avete fatto a vostro figlio, vero? perché magari l’ammazzino quando ritorna, no? Ma che siete voi, una belva? Avete atteso che fossimo sole io e la figlia. Poi il rosario ci dite sopra, vero? Ma c’è Dio, c’è Dio lassú!... Mentre la vecchia si difendeva e diceva che lei non sapeva nulla, che cosa era accaduto? chi volevano ammazzare? Anna trascinò via la madre che in carnera sua s’accasciò in un mezzo deliquio sul letto. La notte calò, nuvole bianchicce nascondevano le stelle; l’afa umida toglieva il respiro, cupi boati passavano nell’aria, il temporale girava attorno senza scoppiare. Anna stava in camera sua, le braccia sul davanzale, irritata dal tempo e dagli avvenimenti. La madre, dopo aver bevuto una tazza di camomilla, ormai dormiva; in camera della nonna dopo passi e rimestari adesso s’era fatto silenzio. Anna guardava verso la casa di Mario dove nessun lume ardeva, gli alberi e i pagliai le toglievano la vista della finestra di lui. A un tratto nella tenebra grigia le parve di vedere uno sprazzo, una macchia, una lingua di fuoco insorgere sul pagliaio. Non è possibile. Ma già la serpe di fuoco correva e fulminea s’allargava nella notte. Allora a voce altissima gridò: – Fuoco, fuoco sui pagliai! Scese le scale a precipizio, aprí le stanze ove i servi dormivano, sempre urlando: – Fuoco, fuoco! – entrò in cucina, staccò un secchio, altri ne prendevano i servi sopravvenuti. Uscendo sull’aia vide che il fuoco ardeva sul lato destro del pagliaio. Tutti correvano, nel buio urta-

Letteratura italiana Einaudi

220

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vano contro le piante, scavalcavano i fossati. – Fuoco, fuoco! – Dalla casa dei coloni gente accorreva. In un attimo, dal ruscello al pagliaio, si formò una catena di gente chinata che si passava i secchi da mano a mano, ne gettava l’acqua sul fuoco, svelta li rimandava. Scacciato dal basso del pagliaio, il fuoco adesso raggiungeva la cima arrossandola, lassú lingueggiava il cielo, un fumo giallo e acre si dilatava a pennacchio nell’ombra. Anna s’era accostata alla rete di ferro: – Mario! Mario! – chiamava: – Mario! – Ma egli già accorreva con altri uomini portando due secchi; scavalcarono la rete; Anna gli si fece vicina, gli gettò le mani sulle spalle: – Mario! Aiutami, Mario! Egli si staccò le braccia di lei dal collo, corse verso gli altri, si mise all’opera. Come un gigantesco ceppo il pagliaio ardeva: attorno i campi, gli alberi, la casa, tutto ne era illuminato quasi per festa. Adesso il fuoco serpeggiava anche sul campo piú prossimo che era coltivato a ricino. Scintille crepitavano, l’afa del cielo basso e il fumo toglievano il respiro. Anna passava i secchi e intanto chiedeva: – Com’è stato, com’è stato? – Nessuno sapeva nulla, tutti tacevano, le schiene curve; quelli che attingevano l’acqua avevano già i piedi nel guazzo formatosi lungo il ruscello. Il fuoco sul campo s’era spento, ma un ciliegio infiammato dalle faville divampava. – Com’è stato, com’è stato? – domandava Anna. D’un tratto nella rossa luce dell’incendio vide di contro a sé la nonna. A bocca aperta la vecchia guardava le fiamme salire, balzare verso il cielo, minacciare di appiccarsi al pagliaio vicino. Guardava e teneva le mani sulle vesti sollevandosele sui ginocchi con mossa nervosa. Allora, di colpo, Anna capí: – Nonna, che avete fatto, nonna? – Il suo urlare era pieno di raccapriccio. La vecchia non l’udiva: seguitava a fissare il fuoco con un sorriso di soddisfazione. Abbandonato il secchio in mano alla vicina, Anna

Letteratura italiana Einaudi

221

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

corse verso la vecchia, la prese pel braccio, la scosse: – Siete stata voi, vero? – La nonna la guardava, ebete. Anna scoppiò a piangere disperatamente: – Che avete fatto, nonna, adesso tutti i pagliai bruceranno, e poi i campi, gli alberi, il raccolto, avete capito? Tutto brucerà, tutto, la terra è finita! Come se soltanto allora la vecchia comprendesse la gravità di quel che stava accadendo, cominciò a urlare anche lei con le labbra che tremavano, si batteva il petto, si tirava i capelli grigi e fiacchi, urlava: – La terra! La terra! – Poi volgendo le spalle all’incendio prese a correre, a fuggire traballando. Il fuoco assaliva il ciliegio, si vedevano i suoi rami corsi da serpenti di fiamme, le sue braccia stecchite s’alzavano nell’ombra rossastra e fumante. Anna s’avvicinò a Mario: il ragazzo sudava, le mani irritate dal rapido passare dei secchi. – Mario, Mario, è stata la nonna, la nonna, pensa! Brucerà tutto, è vero? Dí, Mario! – Chino, passando sempre piú lesto i secchi, Mario rispose angosciato: – Ci si farà? Ci si farà? – Il fumo e il calore prendevano alla gola, gli uomini che si passavano i secchi cominciavano a tossire, raddrizzavano per un momento la schiena indolorita. Guardavano verso il pagliaio, ansiosi; nella luce rovente dell’incendio i loro volti lucidi di sudore parevano di rame. E allora avvenne il miracolo. Prima a gocciole rade e larghe, cadde la pioggia. Grida s’alzarono qua e là: – Piove, piove! – e i contadini levarono la faccia al cielo, ma senza rallentare l’opera. Anna si gettò in ginocchio accanto a Mario, le palme stese a raccogliere l’acqua: – San Nicola fate la grazia! San Nicola! – La pioggia infittiva, cadeva a raffiche, sempre piú furibonda. La fiamma schiaffeggiata s’abbassava, si risollevava vivace, esausta ricadeva; tutti gridavano come pazzi e seguitavano a gettare secchiate d’acqua sul pagliaio, Anna diceva: – Mario, guarda, si spegne!

Letteratura italiana Einaudi

222

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

A poco a poco le serpi di fuoco scivolavano di dosso al ciliegio: i contorni dell’albero divenivano violacei, appena. Con una violenza rabbiosa folate d’acqua investivano la campagna, formavano pozze, cominciavano ad apparire chiazze buie sul pagliaio, l’incendio resisteva, ma sempre piú debolmente. Si diffondeva già nell’aria un odore di bruciaticcio. Le camicie degli uomini erano appiccicate alla pelle, acqua e sudore, e loro seguitavano a gridare e a rovesciare i secchi sulle fiamme. Anna con i capelli intrisi d’acqua, il viso colante e il vestito fradicio, ripeteva a se stessa: – La terra è salva, la terra è salva! – Poco dopo, sotto il formidabile acquazzone il pagliaio si spense, ma gli uomini, non convinti, correvano attorno, gettavano ancora acqua, forse il fuoco cova sotto, no, no, tutto era nero e arso, spento. E la pioggia rallentava il ritmo, proprio come un miracolo, adesso quell’acquazzone di ultima estate rispettava la campagna. Tutti rimasero lí, in attesa come se ad un tratto il fuoco dovesse divampare di nuovo; zuppi, i secchi in mano, fissavano ancora il pagliaio, increduli. I contadini furono i primi a riprendere la strada dei casolari; borbottavano tra loro perché la pioggia avrebbe infracidato l’uva. Anna esausta s’appoggiava a Mario: – Grazie – mormorando: – grazie! Mario le mise un braccio attorno alle spalle e cosí s’avviarono verso la casa, spesso volgendosi indietro, pareva loro che le fiamme dovessero nuovamente levarsi come due ore prima e, stavolta indomabili, raggiungere i campi, fino a quelli rasi dal taglio del granturco. Erano stanchi, grondanti e ancora pioveva, ma piano, a ventate. In casa donna Matilde piangeva pensando che certo un giorno o l’altro la vecchia avrebbe messo fuoco alla casa. La nonna non c’era: Anna, Mario, i servi battevano i denti per l’umidità; lo spavento provato aveva messo indosso a tutti un’inquietudine, un’agitazione nervosa.

Letteratura italiana Einaudi

223

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– La nonna? – Anna chiedeva. – Dove sarà la nonna? Uscirono fuori a cercarla con le lanterne; la chiamarono dall’aia, si spinsero dietro la casa, nell’orto; tesero l’orecchio in ascolto, ma nulla si udiva. I campi erano un pantano, i passi s’invischiavano nel fango. E ancora pioveva. Scostavano le fratte di confine di dove l’acqua crollava improvvisamente. I servi gridavano: – Donna Antonia! Donna Antonia! – Le lanterne passavano come occhi su e giú pel fossato: «Forse si è rifugiata nelle case dei coloni». Questi li accolsero duramente: – Che c’è? che altro brucia? No. No. – Non c’era donna Antonia. Rientrarono in casa sotto la pioggia, scoraggiati; si sedettero nell’atrio aspettando, sussultando ad ogni fruscío, eccola, no, è sempre l’acqua o il vento. Poi, stanchi, alcuni si addormentarono lí, per terra. Anna, Mario e Matilde in attesa, diritti sulle sedie, cosí tutta la notte. La trovarono all’alba. All’ultimo limite del podere, bocconi nel fossato. Emergeva la gonna nera, una mano bianca. Attorno fragili arbusti strappati mostravano dove lei s’era aggrappata per non cadere. Sull’erba melmosa si vedevano ancora le orme dei suoi passi. Tra i denti stretti erano fili d’erba e fango. * Il settembre fu bellissimo. A sera gente passava per le strade cantando. Dietro le finestre chiuse di casa Bortone, Anna, vestita di nero, studiò tutto il mese faticosamente. Si sentiva, da quel lutto, imprigionata nella propria camera, le pareti sembravano stringersi attorno a lei; ma seguitava a studiare. Quando uscí fu per partire, con Valentina, come era arrivata. Molta gente andò a salutarla, dissero che era una buona nipote perché appariva afflitta e smagrita. Anche uno dei fratelli venne, quello zoppo, poiché la nipote partiva con la Bortone. C’era nella stazioncina una

Letteratura italiana Einaudi

224

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

silenziosa aria di tragedia, quasi ancora tutti fossero sotto l’incubo della notte dell’incendio. Se il treno fosse arrivato in orario tutto sarebbe stato semplice, ma il treno ritardò. Snervata dall’attesa, donna Matilde stringeva a sé la figlia, la chiamava dicendo parole sconnesse: – Che tragedia! Che scandalo, figlia mia! – Commossa e stordita abbracciò anche Valentina. Mario, venuto all’ultimo, ebbe il tempo di avvicinarsi ad Anna, poiché donna Matilde si sentiva male e la gente si preoccupava di lei. Si ritrovarono soli e fu come quella sera al cancello. Mario la guardava: dopo tante cose tristi il suo sguardo fu, per Anna, la prima cosa serena. Restarono muti in quel ritrovamento e calmi come se dovessero avere tanto tempo avanti a loro, non pochi attimi. E quando scampanò il segnale d’arrivo affrettatamente Mario le disse: – Sposeremo appena tu ritorni, vero, Anna? – Altre parole che lui diceva si perdettero nel rombo della locomotiva. Ella gli fece, sí, sí con la testa e poi vide braccia tendersi verso di lei, mani che la toccavano, bocche, baffi accostarsi al suo viso, parole, lacrime di sua madre, «addio, addio», sorrisi, poi il predellino, la valigia, c’è posto? sí, c’è posto, dov’è la valigia, dov’è la valigia, eccola; e già il treno riparte, lento, non ci si accorge di partire, un gruppo di gente saluta, mani, fazzoletti, chi li distingue piú, anche Mario è là in mezzo e non si distingue, passa il berretto del capo stazione, passano le aiuole, la fontanella, la locomotiva svolta, tutto è scomparso. Nello scompartimento vuoto Anna e Valentina, zitte, scosse dal movimento del treno. Sopra la testa di Valentina c’era il Duomo di Orvieto, sopra quello di Anna l’Arena di Verona. Appesa alla reticella una sorridente bocca di donna dondolava, pubblicità di un dentifricio. Odore di carbone. Insetti che come pazzi si schiacciavano contro i vetri del finestrino, tramortiti dal crepuscolo.

Letteratura italiana Einaudi

225

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Cosí rimasero senza parlare per molto tempo. Anna stava a occhi chiusi, pensava. Allora Valentina le chiese con intenzione: – Ti dispiace, eh? di essere partita. Ma lei calma scrollò la testa: – Perché? – disse. – Ritorno.

Letteratura italiana Einaudi

226

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

IV La nuova dignità impediva a suor Lorenza di scendere per prima incontro alle ragazze come usava una volta; dalla sua stanza ove ella era seduta leggendo, udiva il suono della campanella che chiamava suor Luisa in parlatorio e sobbalzava; le pareva di percepire fin l’affrettato fruscío della gonna di lei, per le scale. Nessuno veniva a chiamarla e tuttavia ella ogni volta lo sperava; certe volte non resisteva piú, usciva fuori, domandava: – Perché non mi avete chiamato? – Non volevamo disturbarvi, Madre. – Ed ella senza replicare ritornava su. Piú tardi, preceduta dalla giovane suora veneta, la nuova arrivata veniva presentata a lei. Misteriosi bisbigli la guidavano verso lo studio della superiora; dinanzi alla Madre le ragazze prendevano un’aria compunta e poco naturale, qualcuna tentava perfino di baciarle la mano; dopo le poche domande convenzionali, suor Luisa le riconduceva. Appena fuori di quell’orribile stanza col tappetino rosso, la poltroncina rossa, le ragazze si rianimavano. Suor Lorenza, rimasta sola, apriva il registro, cercava i nomi, le date. La sola che rientrando in collegio dopo le vacanze venne súbito a salutare lei fu Silvia Custo. Entrò, prese la sedia, sedette senza essere invitata, e parlò della tesi pochi giorni ormai e dopo, chi sa? purché non dovesse lasciare Belluzzi. Poi guardò dalla finestra giú nel cortile, le pianticelle ordinate, le panche delle monache: – Sempre tutto uguale qui – disse. – Ti sembra proprio tutto uguale? – le chiese suor Lorenza, con amarezza. – Sí. E mi pare impossibile che tutto continuerà cosí anche quando noi non ci saremo piú. Vede: è strano: al paese non ricordavo quasi piú com’era fatta la mia camera, dove stava il cassettone e perfino i volti delle com-

Letteratura italiana Einaudi

227

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

pagne m’apparivano difficilmente e solo in certi particolari atteggiamenti, anche il suo volto, suor Lorenza, Madre, certe volte era proprio, scusi, distante, diluito, come certe figure viste in sogno, di lei ricordavo la voce piuttosto. Mi sembrava che il collegio dovesse esser caduto in letargo durante la mia assenza, persone e cose, e adesso che ci sono, invece, mi sembra di non averlo lasciato mai. Anzi, le dirò: sono rientrata in collegio appena messo il piede in treno. Dopo tornarono Anna e Valentina. Ultima fu Emanuela. S’abbracciavano poi restavano sorridenti, senza sapere che dire: stai bene, ti sei ingrassata, ti sei divertita? Anna spiegò mostrando il lutto: – Ho perduto la nonna. – E le altre fecero il volto contrito, ma per un attimo soltanto. Si sa che un giorno tutte le nonne muoiono. Silvia disse: – Mia sorella Immacolata aspetta un figlio. – Emanuela parlò del viaggio. Ma le altre che non conoscevano quei luoghi vi si interessarono poco. La loro amicizia era nata lí dentro e viveva delle cose che le circondavano. Augusta non scendeva mai incontro a nessuna. Quando Emanuela salí a trovarla e spalancò la porta per farle una sorpresa, la trovò come l’aveva sempre immaginata in quei due mesi: seduta al tavolo, che leggeva; Margherita si trascinava per terra accanto a lei. Augusta s’alzò per andarle incontro, la baciò, le chiese: – Come mi trovi? – Bene. – No; non sto bene. Non vedi come sono smagrita? – Un poco... – Molto. È il lavoro. Ho lavorato notte e giorno, sfiatata dal caldo, certe volte neppure mangiavo. A proposito, grazie delle cartoline. Non ti ho risposto, avevo perduto la testa. Ho quasi finito: un grande romanzo. – Un romanzo?

Letteratura italiana Einaudi

228

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí, vedrai che questo non lo rifiuteranno. Ti dirò, è un romanzo di tipo universale. Un romanzo contro gli uomini. Sostengo, insomma, che si può benissimo fare a meno di loro, dimostro che se li sopportiamo è soltanto per crearci una situazione sociale, non per attrazione del sesso. Dico anzi dell’orrore istintivo che la donna ha per questa belva; dell’assurdità della posizione sociale della donna nel matrimonio. Un libro rivoluzionario. Si svolge all’estero in gran parte. E mi vendico. Hai notato che in ogni romanzo straniero se c’è una parte brutta da fare, una parte losca, la fanno sempre fare a un italiano? Gli americani, soprattutto. Mi vendico. Due figure di mariti traditi ci sono: due stranieri. Ti dico, un romanzo internazionale. Tutte le donne italiane lo leggeranno. – Sono curiosa. Lo potrei vedere? – Vuoi che te lo mostri? Aspetta. Tirando indietro il grosso seno, trasse dal cassetto del tavolino un pacco di cartelle; lo prese con mano leggera, lo guardò, lo soppesò e quindi l’offerse all’amica dicendole: – Eccolo. Attendeva una parola da lei, come se al solo contatto, alla sola vista ella dovesse esclamare, dire: – Oh! è splendido! – Emanuela prese il manoscritto, lo scorse, tutte cartelle uguali, folte, tante, quante, trecento forse. Poi guardò Augusta: era davvero smagrita, aveva un’aria affaticata, e sotto gli occhi un solco livido; si vedeva che tutta l’estate era passata su di lei seduta lí, a quel tavolino. Sinceramente ammirata disse: – Quanto devi aver lavorato! Augusta, traendo un sospiro, annuí: – Tanto. E restò pensierosa. Nei mesi trascorsi, al crepuscolo veniva dalla Villa un invito: l’aria stagnava su la soglia della finestra, il collegio era deserto, anche le suore uscivano a giocare nel cortiletto. Incerta ella guardava fuori, lasciava che i suoi occhi s’abbacinassero nel grigio metallico del cielo. Esco, non esco. Infine si vinceva: «No,

Letteratura italiana Einaudi

229

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

rimango». E sapeva che bisognava farlo, sacrificarsi, le ore pesavano come giorni, le settimane come anni. Non c’è tempo, non c’è tempo. A1 paese gli increduli aspettavano sorridendo: e niente ancora era deciso. Anzi tutto la respingeva a vivere in quella sbadigliante parentesi d’attesa, sospesa in una giovinezza fittizia, senza il coraggio di abbandonare decisamente l’una e passare all’altra sponda. – Tanto ho lavorato – ripeté – tanto. – Fece una pausa e poi avvedendosi di aver parlato soltanto di sé chiese a Emanuela: – E tu che hai fatto? – Io? Ho viaggiato. Ma papà non sta bene: è giú. Mi sono fidanzata ufficialmente. – Quando sposi? Dopo la laurea di Andrea: tra un anno. Augusta neppure si congratulò con lei; si alzò, prese dal comò una bottiglia che pareva di medicinale, e due bicchierini: – Vuoi? – chiese all’amica – è un liquore d’erbe. Roba sarda, roba selvaggia. Ha un gusto strano, non so se ti piacerà: assaggialo. Versò il liquore e bevve in silenzio, assaporando: poi domandò a bassa voce: Sei contenta di sposare? – Sicuro. – Sei proprio innamorata? Tanto da non poter fare a meno di lui? – Certo. Di nuovo Augusta tacque e accese una sigaretta: aveva preso gesti e costumanze maschili, teneva la sigaretta tra le labbra di traverso, la lasciava pendere. Il corpo era invece grasso, di femmina flaccida. – Fumi anche, adesso? – le chiese Emanuela. – Sí. L’ho imparato lavorando, per tenermi sveglia. Crollavano tra di loro imbarazzanti silenzi. Emanuela sentiva che l’amica si preparava a un discorso ed istintivamente avrebbe voluto evitarlo. Era il crepuscolo, ombre lente invadevano la stanza, Emanuela desiderava ac-

Letteratura italiana Einaudi

230

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cendere la luce, ma, chi sa perché, non osava; attraverso l’ombra i piccoli occhi scuri di Augusta la fissavano attenti. – Emanuela, t’ha baciata Andrea? La ragazza avrebbe voluto ribellarsi all’interrogatorio, ma restava soggiogata dall’amica: era forse l’età di lei, o il suo portamento, o quella esistenza isolata e un po’ misteriosa che conduceva, ecco: la temeva quasi. – Sí – rispose. – Baciata... sulla bocca? – Sí, sí. – E ti piace? – continuò a piú bassa voce, in confidenza. – Senti: tu ti sposi. Ebbene, non avrai piú un momento per te; piú nulla di tuo, neppure il tuo nome, anche un tuo figlio sarà suo, gli dovrai tutto, perderai la tua personalità, sarai soltanto la moglie del signor Lanziani, egli avrà il diritto di sapere ogni tuo pensiero, e se glie lo nasconderai sarà un tradimento, avrà il diritto di entrare nella tua stanza anche di notte, di metterti le mani addosso a ogni ora del giorno se vuole, guardarti mentre ti pettini, mentre dormi, ti dirà «usciamo» e tu dovrai seguirlo. E tutto ciò che finora è stato solamente tuo non t’apparterrà piú, ma egli ti porterà il ricordo di innumerevoli altre donne, di un passato che non sai. Ti piace veramente quella sua maniera di baciare? Io ho ancora sulle labbra un bacio, sí... di molti anni fa e se ci ripenso sputo. Eravamo in giardino. Fuggii verso la casa, affannata. Tanti anni sono passati. Ma chi dimentica? Quell’ora è sempre qui, nel mio ricordo. Hai pensato a tutto questo, Emanuela? Sí, sempre vi pensava e attendeva; sarebbero ritornate finalmente ore simili a quelle passate con Stefano nella casetta del Viale dei Colli. La luce spenta, il crepuscolo azzurro, e quello smarrimento: dopo, quel grato accucciarsi contro il petto e l’ascella di lui che aveva un forte odore, un odore d’uomo. Bisognava dire: «Che donna

Letteratura italiana Einaudi

231

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sei, Augusta? Io l’ho provato, è bellissimo. Le tue sono ubbie da zitella, come scrupoli davanti al confessore». Ma invece godeva a recitare quella parte di ingenua. E perciò rispose solamente: – Sí, vi ho pensato. – Temo che dovrai pentirti. Tu sei ricca, molto piú ricca di me, io ho appena quanto basta per vivere modestamente. È la povertà che rende le donne schiave degli uomini. Molte, altrimenti, non saprebbero come fare. Ma tu, tu!... Potresti viaggiare, andare ad ascoltare la musica. Non ti piace la musica? Io quando vado ai concerti e sto lí, zitta, la testa tra le mani, allora sí mi sento divinamente smarrire, trattengo il respiro in certi pianissimo, temendo di rompere l’incantesimo. Poi torno a casa e mi metto a scrivere. Da piccola, quando ascoltavo la musica, pensavo che l’amore dovesse essere una sensazione simile a quella. Non ti piacerebbe vivere cosí? – Sí; Andrea e io infatti viaggeremo, andremo a sentire la musica, leggeremo la poesia. Augusta trasse l’ultima boccata dalla sigaretta e spegnendola soggiunse: – Già. È come essere ciechi nati. Pochi sono i veggenti; per questo io sto scrivendo il libro. Sarà come lo squillo di una formidabile tromba d’argento. – Dopo una pausa, chiese: – E tuo padre, che ne dice? – Che deve dire mio padre? è contento. Che aveva detto suo padre? Era andata a dirglielo la mattina prima della partenza per il viaggio in Alto Adige, sul Garda; l’aveva trovato in maniche di camicia che preparava la valigia. Era un’operazione che egli amava fare con calma e avvedutezza, e perciò forse il momento non era scelto bene; ma ormai era entrata con la faccia delle grandi occasioni. Papà, vecchio caro papà, nella camicia bianca, con i calzoni bianchi, la testa calva e bianca, sembrava una vecchia cera. Quello che doveva

Letteratura italiana Einaudi

232

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dirgli lo avrebbe scosso: ma ella non se ne preoccupava; era sempre entrata con la sua vita nella vita di lui, d’improvviso. Cosí era entrata a dirgli che era fidanzata con Stefano, che era incinta, che voleva riconoscere la figlia, che voleva raggiungere Stefania, l’aveva tormentato per Stefania e adesso, dopo tante tragedie, tranquillamente andava a dirgli che voleva sposarsi. Tornata dal collegio appariva docile e benevola, mai piú aveva avuto il volto cupo, chiuso, era tornata con una chiarità d’adolescente; si moveva e si vestiva con semplicità, era piú attiva; negli occhi aveva una luce d’innocenza. «È una madre, una vera madre» il vecchio aveva pensato «s’è appagata nella vicinanza della figlia.» E ora? Comprese che l’appagamento veniva dal romanzetto d’amore. – Anche di questo sei l’amante? Emanuela rispose con un fiato di voce lamentosa: – Oh, papà, perché mi giudichi cosí ormai? Non posso essere brava, essere saggia, come prima, prima di... di ciò che è accaduto? Egli rimase un momento a guardarla, poi disse. – Sí, forse lo puoi ancora; sei giovane. Ma c’è Stefania. – Potrebbe andare in un collegio all’estero; tu hai sempre detto che Stefania non avrebbe dovuto influire sulla mia vita. – Sí, ma tu dopo mi convincesti del contrario. – Ho sbagliato. – Quante volte hai sbagliato, figlia mia? Ella tacque contrariata. – Quante volte hai sbagliato? – riprese il padre. – Mi sembra che ormai, dato lo stato delle cose, sia molto difficile eliminare Stefania dalla tua vita, e tu mi hai convinto che non sarebbe neanche giusto. Lui che ne dice, sí, insomma... questo ragazzo, questo Lanziani, che ne dice? – Andrea non lo sa.

Letteratura italiana Einaudi

233

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– E allora? – eruppe irritato. – Non capisci l’assurdità di discutere questo argomento? Digli tutto e dopo, se ancora lui vorrà, ne parleremo, vedremo. E riprese a riporre le camicie, le spazzole, premendosi a tratti la fronte corrugata perché quei discorsi l’avevano distratto da questa cura essenziale: fare bene la valigia. Il pensiero di Emanuela s’accaní contro la bambina: Stefania era in villeggiatura ad Amalfi, con le suore; collegio di prim’ordine, villa magnifica, compagne titolate, mangiava, beveva, si divertiva. «Non è abbastanza tutto questo per lei? Perché esiste può impedire a me di esistere?» Avrebbe dovuto seguire il consiglio di suo padre, allora: con le nuove organizzazioni i trovatelli stanno benissimo, studiano e quando escono hanno l’avvenire assicurato, sono liberi, felici, neanche la seccatura di avere i genitori, assisterli, dovere loro rispetto e obbedienza, mantenerli. Era in una situazione difficile. Non voleva ancora parlare con Andrea, bisognava averlo fatto il primo giorno o tacere, aspettando. Papà, lui, prepara la valigia pel suo viaggetto annuale e se ne infischia. Stefania mangia, beve, gioca; indifferente e capricciosa come suo padre quando non si controllava. Suo padre... Aveva un padre veramente, Stefania? era stata veramente vissuta quella storia di Stefano? Tutto ciò le appariva, adesso, come un racconto fantastico, di quelli che s’inventano per gli altri e a forza di ripeterli diventano veri anche per noi. Le sembrava che la concezione di Stefania fosse dovuta a lei soltanto, una sorta di tumore. Un tumore maligno. E se raccontasse ad Andrea che era stata una disgrazia, una di quelle aggressioni che si leggono sui giornali, come al tempo dell’invasione dei tedeschi? Tornando a casa da Firenze a Maiano, la strada solitaria... No, no, era assurdo, e poi papà non si sarebbe prestato alla commedia. L’esistenza di Stefania, l’invisibile presenza di lei costringeva la sua

Letteratura italiana Einaudi

234

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vita, l’opprimeva, le toglieva il respiro. Dunque non avrebbe mai avuto il diritto di disporre di sé, del suo avvenire? Venticinque anni. E avanti a ogni suo disegno, inesorabile s’alzava quell’ostacolo: Stefania. Partirono, il viaggio fu una sofferenza. Nell’automobile taceva guardando fuori dai vetri. Certe volte, annoiata, s’addormentava. Non era piú padrona della sua volontà come al collegio; era papà che decideva tutto. Sí, sí, Augusta aveva ragione, come si può tornare a rinchiudersi dopo avere assaporato la libertà? Tutte pensavano cosí, tutte, ragazze intelligenti al di sopra della media. Aveva fatto bene Xenia ad andarsene; ma questi sono privilegi che possono avere i poveri di buttare la propria vita allo sbaraglio, per gli altri c’è il mondo, ci sono gli interessi. E poi, malgrado le proprie idee libere, quando si vive in un certo ambiente non si ha il coraggio di mandare all’aria le tradizioni, magari sarà uno stupido rispetto umano, ma è invincibile. Molte cose che sono giustificate quando si è assillati dalla miseria, non sono ammissibili, invece, quando si ha un bel nome e molto denaro. Molto denaro: eppure con tutto ciò i genitori sempre si preoccupavano di scovare gli alberghi meno cari, i ristoranti modesti. Stefania, finiti gli studi in Svizzera, avrebbe avuto una buona dote con quel denaro. Si sarebbe sposata certamente. Il denaro conta piú del nome. Ogni giorno parlava a papà, ogni giorno lo convinceva un pochino. Egli l’ascoltava e intanto puliva gli occhiali, perplesso, mammà aggiungeva una parola buona: – Sí, davvero, mi sembra, Bepi... – Emanuela non faceva che parlare del suo diritto di rifarsi una vita: – Andrea, un bravissimo marito, chi non conosce i Lanziani a Roma? Un’esistenza ordinata come avresti desiderato per me, prima, quando crescevo e divenivo una ragazza grande. Debbo rinunciare a tutto questo? – No, no – incalzava la madre: – perché dovrebbe rinunciare?

Letteratura italiana Einaudi

235

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ed Emanuela prometteva: – Appena a Roma parlerò ad Andrea, troverò il momento adatto. Quando furono di ritorno a Maiano e papà trovò sul tavolo la lettera di Andrea, stanco del viaggio, preso d’istintiva simpatia verso il ragazzo attraverso le sue parole, assillato dalla moglie e dalla figlia, rispose che sí, il suo consenso l’avrebbe dato. E non parlò di Stefania. Che deve dire mio padre? È contento. Dopo una pausa Augusta assentí: – Bene. – Poi avvedendosi che era quasi completamente buio: – È tardi – Osservò: – scendiamo a mangiare. Nel corridoio incontrarono altre ragazze che scendevano, le nuove serbavano un’aria smarrita; una di queste studiava il canto e si diceva che sarebbe divenuta una grande soprano. Era lei che suonava e cantava all’harmonium al posto di Milly. Per questo le ragazze non l’avevano in simpatia: suonava diversamente. La sua voce, bellissima voce, scoteva la cappella senza commuoverla, si capiva che era una donna a toccare i tasti e non l’angelo. La prima volta che la nuova cantò, Emanuela scoppiò a piangere e ricordò quando Milly le accarezzava piano piano le dita, glie le lisciava, quando leggeva con le mani le lettere del cieco. Era stata trascurata con lei negli ultimi tempi, per causa di Andrea, se lo rimproverava acerbamente, adesso. La nuova ragazza, passando accanto ad Emanuela e Augusta disse con voce melodiosa: – Buona sera. – Si capiva che avrebbe voluto unirsi al loro gruppo, anima intelligente del collegio. Ma le due amiche le risposero «buonasera» gelidamente, senza riuscire a vincere una istintiva ostilità. – No – a tavola disse Silvia – nessuna nuova deve entrare tra di noi. Ci estingueremo a poco a poco come un nobile casato. Xenia è scappata, Milly è morta, Vinca... – Già! Vinca? – Emanuela interruppe.

Letteratura italiana Einaudi

236

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non l’hai vista? – No. – Venne qui dopo l’arrivo di Anna e Valentina, tu eri a Firenze, ancora: sta come prima, aspetta. È andata ad aspettare in casa di donna Inez, quella spagnola fanatica. Non parla che di Luis, si è fissata. Dà lezioni di spagnolo, fa qualche traduzione. Va a trovarla. Abita qui vicino, in via Sistina, 87. * In via Sistina 87, una vecchia casa malandata. Un lungo portone oscuro e scale sconnesse di peperino; sulla porta il campanello gracidava come una ranocchia. Ma dentro era Spagna. Poche camere ingombre di tutto quello che i profughi avevano potuto portare via dalla rovina. Alcuni arredi testimoniavano la passata ricchezza: coppe di argento, vecchie porcellane, cristalli, l’uno accanto all’altro, sui piani dei mobili. Alle pareti, ritratti dei principi, ritratti di Pilar e Ignacio bambini, cartoline che gli amici mandavano dalla Spagna c che le donne infilavano da per tutto, nelle cornici dei quadri, per formare paesaggio casalingo; un pianoforte, ventagli aperti, oggetti di rame sbalzato di lavorazione gitana, alcuni scialli buttati sui divani, le frange pendenti in terra. I nuovi eventi avevano fatto sí che sotto il profilo borbonico del re esiliato fosse appiccata con le puntine una fotografia del generale Franco ritagliata da un giornale italiano: in mezzo alla tavola su due asticciole d’ebano sventolavano due bandiere spagnole nazionaliste; per il pranzo non si mettevano fiori sulla tavola e quelle due bandierine erano l’unica guarnizione. Su tutte le cose regnava un impolverato disordine. Donna Inez e Pilar restavano in letto fino all’ora del desinare; questo al principio parve addirittura indecente

Letteratura italiana Einaudi

237

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

a Vinca, abituata agli orari del collegio. Appena alzata svegliava l’amica che dormiva nel lettino attiguo: – Alzati, Pilar ! – Che c’è? perché mi debbo alzare? – È tardi. Sono le nove. – Io dormo. È una vergogna, Pilar! – Ma no, perché, che faccio in piedi? Pilar si mostrava energica soltanto in questa difesa del suo sonno; anche nella lontananza da Pepe, dava prova di rassegnazione. Di quelle rassegnazioni che un giorno però possono buttarsi dalla finestra. Se al mattino Vinca usciva per dare una lezione, tornando trovava le due donne ancora in vestaglia. Donna Inez s’affaccendava per la casa dietro la donna di servizio o scriveva, scriveva lunghissime lettere seduta alla tavola da pranzo e, quando apparecchiavano, lei scostava un piatto e continuava; scriveva a tutti; erano, le sue, piacevoli lettere dal tono sinceramente appassionato. Della Spagna cercava continue notizie; e perciò i giornali s’ammucchiavano sulle sedie, a ogni battaglia spostava le bandierine sulla carta, con una competenza geografica, acquisita per l’occasione. Ora per ora viveva la guerra; le ore pomeridiane, naturalmente, poiché al mattino non poteva a meno di dormire. Invece Pilar attendeva l’ora del desinare seduta avanti alla toletta spazzolandosi i capelli: questa era la sua prediletta cura; aveva capelli neri lunghissimi, divisi nel mezzo da una scrupolosa scriminatura, cadevano di qua e di là della fronte, politi come l’onice nera. Meccanicamente li lisciava, passando la spazzola con diligenza dalla radice fino alla punta, poi li accarezzava con la mano gustosamente e, sempre desiderosa di una maggiore perfezione, ricominciava. Spesso Vinca sedeva di faccia a lei e cosí discorrevano, parlavano dei due assenti e sopportavano il peso del-

Letteratura italiana Einaudi

238

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

la giornata nell’attesa della posta che d’ordinario arrivava verso sera; perciò non uscivano di casa nel pomeriggio, e seguendo l’uso spagnolo si mettevano alla finestra tutt’e tre. Donna Inez a destra, Pilar a sinistra e Vinca in mezzo affacciate come al palchetto di un teatro. Era quello il solo momento nel quale si concedessero un po’ di distrazione; si sedevano lí, pettinate, incipriate, con le pantofole ai piedi che intanto non si vedevano; attente guardavano la strada come uno spettacolo; la gente andava a passo lento, le donne indugiavano davanti alle vetrine. Alcune si recavano alla piazza Trinità dei Monti per un appuntamento d’amore e avevano un’aria speciale piú risoluta, o guardinga. Spesso rifacevano la via in due, sottobraccio. Le spagnole li conoscevano ormai, li rivedevano con simpatia. Vinca che era la piú immaginosa ricostruiva le vicende di quei passanti, come un romanzo. – Questa qui certo va per l’ufficiale – Oppure: – Questi due hanno l’appuntamento il giovedí. – Quando non vedeva passare una coppia per lungo tempo, se ne rammaricava e poi diceva: – Forse non è finito, forse si dànno appuntamento altrove. Ad un tratto una di loro annunciava: – Eccolo. – E con un unico sguardo le donne seguivano il postino il quale entrava nei negozi, nei portoni, oppresso sul ventre dalla grossa borsa, come da un’obesità; infine spariva nel portoncino di casa loro. Trascorrevano minuti di indicibile angoscia per le tre donne che tacevano, il cuore in tumulto, fingendo di osservare ancora fuori della finestra per ingannare questa atroce attesa. Il tempo passava, «la portiera è lenta, le scale sono molte, certo si è fermata a parlare». Troppo tempo passava, certe volte. Una di loro osava dire, infine: – Non c’è nulla. Quando invece gracidava la rana della porta, s’alzavano tutt’e tre, gli occhi spalancati come allucinate. – Calma, calma! – raccomandava donna Inez. La posta, il piú

Letteratura italiana Einaudi

239

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sovente era per Pilar, Luis e Ignacio erano pigri. La ragazza andava a leggerla in carnera sua, seduta alla toletta come quando si pettinava. Le altre, che aspettavano, trovavano sempre troppo lungo l’intimo colloquio, poco riguardoso addirittura. Se anche non arrivavano lettere di Luis, sempre quelle di Pepe parlavano di lui; Pilar le rileggeva ad alta voce, dicevano che era molto bravo, sempre bravissimo era stato, alcuni falangisti erano poco piú che adolescenti e Luis faceva loro animo, era un esempio per tutti. Vinca poteva essere orgogliosa. Vinca era orgogliosa. Quando Emanuela andò a trovarla, notò che la ragazza pareva avere una febbre interna, sotto la pelle, sempre le nari le palpitavano: la bocca, dalle labbra disordinate, sembrava avvizzita. Era pur sempre, per gli occhi e il corpo slanciato, una ragazza assai bella. Portava la stessa vestaglia che al collegio, piú sporca. – Siete tornate? Ci siete di nuovo tutte? – disse con voce rigata di nostalgia. Si sentiva che avrebbe rimpianto di non essere con loro se l’assenza di Luis le avesse lasciato posto per altri rimpianti. – Rammenti? L’anno passato c’eravamo tutte. Tu arrivavi nuova e fu Xenia a volerti con noi... Chi sa che fine avrà fatto, Xenia... Si stava pur bene! Non potrò mai dimenticare! Che tempo felice! È un peccato che ci si avveda di aver vissuto una felicità solo quando è trascorsa! Quante cose in un anno... Ti ho mostrato la fotografia che Luis mi ha mandato dal fronte? – L’ho vista; sta benissimo. – Sí, sta bene. – Fece una pausa e riprese piú adagio: – Io non sto bene. A quel tempo non amavo, non amavo veramente. Un giorno senti che un tarlo ti rode l’anima, la salute, qualcosa ti opprime, ti gonfia il cuore, t’intossica finanche l’aria che respiri: allora è l’amore. Una malattia. Ricordi come ero allegra in collegio, ridevo, facevo i dispetti alle suore, cantavo? E ora chi avrebbe piú

Letteratura italiana Einaudi

240

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

fiato per cantare? Il fiato se ne va in amore come il sangue. Sai quando è veramente amore? Quando credi che se quell’uomo ti manca tu ti ammazzi, quando egli t’appare l’essere piú perfetto del mondo, senza difetti. Tutti gli esseri umani hanno difetti; quando non li vedi piú è segno che sei innamorata: quando li ritrovi non lo sei piú. Se una donna dice: «L’ho lasciato perché era troppo geloso», vuol dire che non era piú abbastanza innamorata da sopportare la sua gelosia. Non è cosí? Se dice: «L’ho lasciato perché faceva il ladro» vuol dire che s’era stancata di lui, se no gli avrebbe chiesto: «Quando mi porti a rubare con te?». Non credi? – Sí – rispose Emanuela e intanto si domandava se era cosí che lei amava Andrea. – Vedi? Adesso io vivo per l’ora della posta: è l’uncino al quale appendo le mie giornate: se mi mancasse sarei senza centro di gravità, rotolerei nel buio. «Non avevo mai considerato quanto la Spagna fosse lontana: giornate di treno. Adesso conosco l’orario d’arrivo e di partenza dei treni; studiando queste cose m’aiuto a rimanere viva. Magari la posta non porta nessuna lettera, ma intanto si è attesa quell’ora con speranza e poi, appena passata quell’ora, si comincia ad attendere quella del domani, con uguale speranza. La posta arriva alle dieci e alle sei, io m’affaccio alla finestra, apro la porta sulle scale, conto i minuti, il cuore prende a battermi, non so piú quel che dico, divento nervosa. Se un giorno l’ora passasse per me e lo squillo dei campanello mi sorprendesse pensando ad altro allora comincerebbe il declino. Vero, Emanuela?» – Sí; almeno questa è la tua maniera di amare. – No. Ci sono molti modi di amare, ma l’amore è uno solo, come l’arte. Mille forme, ma l’arte c’è o non c’è. Cosí il mio amore non è diverso da quello di una senegalese o di una svizzera. Sia qua che là o si ama o si gioca. Bastava guardarla per capire che lei non giocava;

Letteratura italiana Einaudi

241

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Emanuela la fissava maravigliata, e non poteva a meno di osservare anche quanto c’era di povero in lei, le calze rammendate, la vestaglia sudicia. Ella lo capí e disse quasi rispondendo a una domanda dell’amica: – Sí. E in queste condizioni non m’importa neppure di essere senza soldi; molti se ne vanno per la posta, scrivo ogni giorno, per via aerea. La vita è cara. Sono vestita male; ma intanto adesso Luis non c’è. Quando tornerà mi farò un cappotto nuovo. – Quando tornerà? – Non si sa, non si sa nulla. L’essenziale è che ritorni. Tu lo capisci, no? – le disse prendendole le mani – io certe volte penso se, se... non tornasse piú. Ogni giorno che non c’è posta penso che forse... forse non scriverà mai piú e Pilar, Pilar pensa lo stesso... Adesso gli occhi parevano tremarle sotto le lacrime, i suoi nervi si indovinavano cosí tesi che Emanuela s’alzò, l’accarezzò, la baciò per consolarla. – Perché dici questo, Vinca, non dire questo... – Non lo dico mai, nessuna di noi lo dice, è la sola cosa della quale mai si parla. Ogni giorno nei giornali appaiono le fotografie di quelli che non scriveranno piú, quelli che hanno la medaglia. Io non parlo, Pilar non parla, donna Inez non parla. Lei ha il figlio, Ignacio, sai bene. Eppure a noi pare che la sua pena debba essere minore. Se Pepe viene in licenza Pilar sposa subito. – E tu? – Io? Io che ne so? Non ne abbiamo mai parlato. Prima era come uno scherzo per me, uscivo con lui per respirare aria di casa, poi quando gli ho voluto bene davvero, è partito. Ma Luis deve pensare a studiare. Hai visto quel giorno nello studio, che stupendi progetti? un grande ingegno, Luis. Chi ha mai parlato di matrimonio? E tu, quando sposi? Emanuela rispose evasivamente e cambiò discorso, perché di fronte all’amore di Vinca si sentiva umiliata. Presto

Letteratura italiana Einaudi

242

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

la lasciò e per distrarsi passeggiò fino all’ora dell’appuntamento con Andrea. Si domandava se il suo era veramente amore, non ne aveva mai dubitato finora, ma adesso si scopriva troppo calma nei confronti di Andrea: eppure Andrea era cento volte migliore di Luis: Luis le era sembrato d’una intelligenza mediocre, di poca raffinatezza, anche di scarso talento: brutti i disegni, comune il suo modo di parlare. Ma Vinca non lo vedeva cosí. Ella invece conosceva i difetti di Andrea; la presunzione prima d’ogni altra cosa, ma quella è la malattia di tutti i giovani di oggi, e poi era ombroso e ritroso come un puritano. Anche le poesie che egli le aveva letto non le sembravano grande cosa; parole vaghe e non legate fra di loro: cose moderne, lui diceva. Però Andrea vestiva molto bene. Egli l’attendeva in piazza di Spagna, la guardò scendere la scalinata con aria di soddisfazione. – Sai? – le disse appena le fu vicino. – Ho sempre dimenticato di dirti che ciò che piú mi colpí in te, quando ti vidi la prima volta, fu il tuo modo di camminare. È molto importante, in una donna; alcune mostrano la preoccupazione di farlo bene; ed è cosa detestabile. Tu dovevi camminare cosí anche quando muovevi i primi passi – disse ridendo. – Sei armoniosa in tutto. Non ci si volge a vedere il tuo vestito quando passi, ma avendoti accanto ci si avvede che sei squisitamente elegante anche nei particolari. Piena di orgoglio dopo quanto ho detto, no? – fece, stringendole il braccio. Sorridendo ella rispose: – Un poco. – Sei stata dalla spagnola? – Sí. – Che fa? – Ama. – Non è poco. E lui? – Combatte. – Due maniere intense di vivere, no, Nuela? Ascolta: c’è qualcosa di molto importante per noi oggi; papà ha

Letteratura italiana Einaudi

243

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

approvato il nostro matrimonio. Ha aggiunto che, se voglio, è disposto a passarmi ugualmente un assegno mensile senza che io lavori al negozio, per aiutarmi a farmi strada nel giornalismo o nelle lettere. Gli ho risposto che rifletterò. Mancano ancora sei mesi alla laurea; ma bisogna pensare a questo seriamente, Emanuela. Non so se vorrò approfittare cosí di mio padre; è stato inverosimilmente comprensivo e per questo io vorrei essere con lui altrettanto franco. La letteratura oggi non è una carriera, forse lo era ai tempi di Lorenzo il Magnifico. Allora forse sarei stato nominato poeta di corte e avrei avuto un bellissimo appartamento alla reggia con un gran letto di quelli che oggi si fanno in imitazione. No? Ma chi vive con le lettere soltanto, ora? Meglio mettersi a fare il giocatore di calcio. Rimane l’insegnamento; mi daranno una cattedra a Bitonto, per esempio. Aveva ragione papà quando mi sconsigliava questa strada. I vecchi hanno sempre ragione; hanno con sé l’esperienza; ma, vedi, l’esperienza esclude l’imprevisto, lo chiude fuori. E perciò non mi attrae, è una pietanza che non sveglia l’appetito. Ma tutto questo va finché noi siamo soli, pensato a noi, pensato a tutto; però viene un giorno... Vuoi essere la moglie del professore di Bitonto? Mi pare difficile che tu possa esserlo con quel modo che hai di camminare. Sei una donna impegnativa, tu. – Perché dici questo, Andrea? mi addolori. – Ma al contrario, sciocca, è proprio per questo che mi piaci. Dunque l’insegnamento, no. Temo che pesare i diamanti sia ancora la cosa migliore. Nessuno poi m’impedirà di scrivere, la sera, mentre tu leggi accanto a me. Ma sarà strano un poeta gioielliere, no? L’arte è agli antipodi del commercio. Le parlava e intanto la conduceva di passo svelto tra la folla, come se avesse una mèta precisa. – Dove stiamo andando, Andrea?

Letteratura italiana Einaudi

244

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Al negozio. I vecchi non lo sanno: è una sorpresa. – Adesso? cosí? No, no! Aveva deciso che non sarebbe giunta a questo punto prima di aver detto tutto ad Andrea e ora, cosí, in mezzo al Corso come poteva? Forse era bene prendere quel momento, ma sul marciapiedi esiguo, la gente li urtava, li divideva. E poi sapeva che quel cappello non le stava troppo bene, temeva di fare cattiva impressione, non era neppure ondulata di fresco. Avrebbe voluto portare due fiori alla madre di Andrea, gli uomini non capiscono queste sfumature. Insomma era necessario che parlasse, prima. – Andrea.. – fece, risoluta a tutto. Erano già dinanzi al negozio: egli le fece cenno di tacere e spiò dalla vetrina. – Andrea... – ella insisté. Ora avrebbe parlato: «Senti, Andrea, ti debbo dire... ho una bambina». Sí, sí, lí in mezzo al Corso, un momento come un altro, quell’istante doveva pur venire. Ma egli disse: – Non c’è nessuno, – e la spinse a entrare. I loro passi soffocarono sul tappeto marrone: era un negozio elegante e sobrio: in una piccola vetrina illuminata, le gemme rilucevano; un commesso che sedeva in un angolo, s’alzò vedendo Andrea; il ragazzo lo salutò con la mano e si diresse a una porta dissimulata da una tenda. Là dietro, in una stanzetta calda, sedevano i due vecchi come Andrea aveva descritto. Lei lavorava, lui leggeva il giornale. Udendo la porta aprirsi il padre guardò al disopra degli occhiali. Andrea fece con un sorriso: – Ecco, v’ho portato Emanuela. La ragazza aveva pensato tante volte a questo incontro, voleva portare i fiori per entrare con un atto di simpatia, poi bisognava andare incontro alla vecchia, baciarla. E invece rimase stretta ad Andrea, impacciata. Fu egli a spingerla avanti; essi sorrisero: erano due vecchi simpatici, grassi e bonari, due genitori all’antica, come i

Letteratura italiana Einaudi

245

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

suoi. Presto l’imbarazzo si sciolse e le due donne si baciarono, anche il padre la baciò. Emanuela non poteva riuscire antipatica, non riusciva mai antipatica a nessuno, inoltre era bella e molto distinta. Tutti hanno piacere che la moglie del proprio figlio sia bella e molto distinta. Decisero che lei avrebbe fatto colazione in casa loro la domenica seguente. Andrea era contento, una contentezza espansiva, spumante, quasi puerile. – Domenica? – fece Emanuela indecisa. – Sí, domenica – confermò Andrea. Domenica... Ogni domenica, alle due bisognava andare al collegio per vedere Stefania. Forse avrebbe potuto farne a meno oppure, ecco, vi sarebbe andata in mattinata. – Domenica – lei con gioia accettò. Andrea la riaccompagnò al collegio: era una mite sera d’ottobre, dolcissima; egli la teneva sottobraccio stretta, teneramente come mai aveva fatto. D’ordinario era allegro, parlava molto, e ora, invece, taceva: taceva e la portava come un fiore all’occhiello. La guidava tra la gente che a quell’ora gremiva le strade del centro; quando attraversavano i crocevia, saettanti d’automobili, egli la conduceva al marciapiede opposto con decisione. Un uomo, Emanuela considerava, un vero uomo. Si camminava facilmente in quella pace della sera e dell’anima; Emanuela non pensava a nulla. Egli le disse ad un tratto: – Hai visto come tutto è stato facile? – Ella annuiva chinando la testa, annusando ghiottamente l’aria; un buon fresco penetrava dalle nari, si propagava nei polmoni aperti. Tutto sarebbe sempre stato facile, ne era sicura. In fondo aveva fatto di tutto per evitare Andrea, presa dalla coscienza della sua situazione, non era andata al primo appuntamento, non ci pensava piú. Era stato il destino, proprio il destino a farli incontrare il giorno del funerale di Milly. Milly l’avrebbe protetta, avrebbe

Letteratura italiana Einaudi

246

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

provveduto a tutto, ora che lei, da lassú, conosceva la verità. Sí, era cosí, non poteva essere altrimenti. – Mi vuoi bene, vero? – gli chiese. Egli non le rispose, neppure la guardò, ma le strinse il braccio contro il suo, le si avvicinò di piú: lasciandola le baciò a lungo la mano, scostando il guanto. Poi le disse con dolcezza: – Buona notte, Nuela, mia Nuela. La seguí con gli occhi mentre lei suonava alla porta del collegio, diceva il nome allo sportello, lieve con le labbra gli accennava un bacio. Neppure glie lo rese, seguitò a guardarla finche fu scomparsa. Ella salí le scale leggermente con il fiato sospeso, aprí la porta della sua camera, la richiuse, vi si appoggiò con la schiena. Attorno a lei, ovunque, sommesse udiva quelle parole: «Buonanotte, Nuela, mia Nuela»; e a occhi chiusi sorrise nel vuoto, beata. * Uscí presto di casa la domenica seguente; arrivò in fretta al collegio di Stefania– cosí fuori mano, cosí fuori mano! – e pagando il tassí spiò di qua e di là, quasi temendo di vedere dalla polverosa siepe che fiancheggiava la strada o da un altro tassí che l’avesse seguita, sbucare Andrea che prendendola pel polso le chiedesse: «Che vieni a fare qui?» Ma in quella via non passava mai nessuno. Suonò alla porta, chiese della bambina ansietatamente, facendo capire che era venuta a quell’ora inconsueta per forza maggiore. Udí la campanella dindinnare nel cortile e, poco dopo, invece di Stefania una suora comparve: «Ecco» ella pensò «non fanno scendere le bambine a quest’ora, monache, sempre monache pignole, ma io sono venuta, a ogni modo». E invece la suora spiegò che Stefania era malata, stava all’infermeria.

Letteratura italiana Einaudi

247

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Volevamo avvertirla da ieri, signora, ma non abbiamo il suo indirizzo, anzi sarebbe opportuno che lei... – Malata? niente di grave, vero? – chiese. – La scarlattina. – La scarlattina! – esclamò impaurita. Una sua sorella era morta a sei anni di scarlattina, ripeté perplessa: – Dio mio, la scarlattina!... – Ieri aveva la febbre a quaranta, oggi soltanto a trentotto e cinque: delirava stanotte, una pena... S’è assopita all’alba. La guido all’infermeria. Traversarono chiostri e cortiletti; tutto era bianco e pulito, candidi crisantemi riempivano le aiuole dei giardini rinchiusi. «È bello, qua dentro, molto bello», pensò Emanuela camminando, «stanno benissimo, stanno meglio che in casa.» E intanto giunsero. Era un ramo speciale dell’infermeria, riservato per le malattie infettive. In una cameretta bianca stava Stefania. Appena vide Emanuela sulla soglia, la bambina esclamò: – Mamma... Mai l’aveva accolta cosí, aveva una faccina dimessa, una vocetta torbida, velata: le trecce non si arrampicavano piú annodate sugli orecchi, ma pendevano sul petto morbidamente. – Perché non sei venuta prima, mamma? – Non sapevo amore mio, Stefi, non sapevo... – E si sentiva invadere da una lacrimosa tenerezza. L’infermiera disse sottovoce, che la bambina ricominciava a vaneggiare, aveva lampi di lucidità, poi ricadeva. La febbre era salita di nuovo a quaranta. Come rassegnata la voce della bambina salí dal letto: – Lo so, lo so che ho il febbrone. Sento tutto, capisco tutto. È proprio vero che Simonetta è venuta a tirarmi le trecce, mamma, sai? Non è il delirio. La suora ammiccò ad Emanuela e allora questa disse: – Oh! una cattiva bambina cotesta Simonetta, certo sarà messa in castigo.

Letteratura italiana Einaudi

248

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ma già Stefania non rispondeva piú. A occhi chiusi annuiva appena, le guance arrossate dalla gran febbre. Riprese poco dopo: – Mamma, non te ne vai, vero? – No, no. – Sai, ho tutto il corpo coperto di puntine rosse, come fragolette. – Biascicò le ultime parole e di nuovo tacque. Intanto la suora diceva a Emanuela che il dottore sarebbe venuto verso il tocco («al tocco si va a tavola» aveva detto la madre di Andrea; bisognava essere puntuali, comprare i fiori...) la suora insisteva: – Potrà parlare col dottore lei stessa. Naturalmente se in questi giorni ella vuole trascorrere la notte presso la bambina, il regolamento non lo vieta, faremo mettere un letto... Perplessa, Emanuela chiese: – Ah, il regolamento non lo vieta? – e non aggiunse altro. Adesso Stefania aveva ricominciato a vaneggiare con voce lamentosa: una vocetta che non era piú la sua cosí asciutta e autoritaria, una voce simile a quella di chi parla in trance: – Non sono stata io, Simonetta, il panino è dietro la finestra, lasciami stare le trecce, Simonetta! – e scuoteva la testa come per liberarsi. Poi aprí gli occhi, come spaventata guardò intorno, chiese: -È venuto papà? Smarrita, Emanuela non rispose: l’infermiera le stava di faccia, la suora dietro le spalle, forse soltanto la suora conosceva le generalità della bambina: Stefania Andori di padre ignoto e di Emanuela Andori. Una cosa orribile; Stefania chiamava adesso quel padre ignoto. Che risponderle? Emanuela taceva, sperando che la bambina si divagasse in altri pensieri. Ma Stefania, dopo due o tre frasi sconclusionate, ripeté chiaramente: – È venuto papà? Cercando di non sentire alle spalle la presenza della suora, Emanuela le sussurrò: – Papà lavora. – Sempre quegli aeroplani? – Sempre.

Letteratura italiana Einaudi

249

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Digli che già s’è rotto quello che m’ha mandato. E poi era un giocattolo, non un aeroplano vero. La fronte della bambina ardeva, tanta febbre e neppure una goccia di sudore. – Come scotta! – esclamò Emanuela rivolta all’infermiera. E quella rispose per rassicurarla: – Sono le dodici e un quarto; al tocco verrà il dottore. Passò un quarto d’ora come un lampo, la bambina a occhi chiusi sembrava dormire, certe volte con le labbra faceva delle bollicine di saliva, quasi per gioco. Emanuela attese ancora un minuto, come se potesse valere qualcosa, poi fermamente, cercando attorno con lo sguardo un po’ di compassione si spinse sull’orlo della seggíola, dicendo: – Io debbo andare via. Era detto. La suora guardò l’infermiera e poi disse in tono di maraviglia: – ... Ma il dottore verrà tra mezz’ora. – Non posso, proprio non posso, debbo essere al centro all’una, assolutamente. – Se volesse telefonare, forse... – fece la suora accennando a precederla. – Telefonare?... no, no, non potrei, è un appuntamento in istrada. La suora tacque e guardò in terra, poi alzò di nuovo gli occhi e chiese: – E per questa notte? – Stanotte?... Era un supplizio, un supplizio. Emanuela aveva voglia di mettersi a piangere, implorando che non la tormentassero cosí: come poteva rimanere? e d’altra parte era possibile che abbandonasse Stefania in quello stato? che poteva fare? Al collegio avrebbe potuto dire d’un viaggio, ma ad Andrea? cosa dire ad Andrea? avrebbe detto «t’accompagno alla stazione», l’avrebbe messo sul treno, e poi un viaggio improvviso necessitava una ragione importante, papà malato, ma egli avrebbe telefonato a Firenze per

Letteratura italiana Einaudi

250

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sapere notizie. Come poteva? e intanto gli occhi della suora attendevano. Una tortura. – Stanotte? – ella ripeté. Poi ingoiando un nodo amaro disse: – Non posso stare qui la notte. Vi fu un silenzio; quindi la suora cortesemente fece: – Come crede. – E l’infermiera aggiunse conciliante: – Ci sono io. – Verrò piú tardi, tornerò piú tardi – promise Emanuela. Ma ormai la suora stava sulla porta per accompagnarla, non l’ascoltava piú. Ella s’alzò; al rumore che fece la sedia, la bambina aprí gli occhi in un sussulto: – Dove vai, mamma? Fu l’infermiera che rispose: – Va in direzione, per telefonare. – Non mi lasci, vero, mamma? Emanuela si chinò sulla fronte ardente, la baciò, un buon odore veniva dai capelli biondi e fini. – Te ne vai via, mamma! – No, Stefi, no, scendo a telefonare, non hai inteso? E intanto si sentiva vergognosa di dover ricorrere a quella bugia, come se dovesse confessare a se stessa, agli altri che agiva male, andandosene cosí. Per un capriccio improvviso, la figlia le disse: – Lévati il cappello, lévati il cappello! Ed ella sorridendo se lo tolse. Pensò: «È la prima volta che Stefania mi vede senza cappello»; e questo pensiero la commosse. Intanto la bimba rasserenata aveva abbassato di nuovo le palpebre. Emanuela uscí dalla camera in punta di piedi, traversò il collegio dietro lo sgonnellío frusciante della suora, mise il cappello, uscí. Al tassí che l’attendeva dette l’indirizzo, disse: – Presto, presto. – E partirono. Fuori, la malattia di Stefania non esisteva piú, come non esisteva piú Stefania; Emanuela aveva il cuore umido come per un incubo dissipato, il tassí correva, la

Letteratura italiana Einaudi

251

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sbatteva, la faceva inclinare alle voltate, e lei godeva della gioia di essere libera, ne sorrideva internamente, anche la fronte le si stirava, «tutto finisce sempre bene», pensava, «adesso tutto è regolare». Arrivava in orario, solo doveva rinunciare ai fiori, aveva temuto che la suora non la lasciasse uscire. Che momento terribile! ma era passato, finito. Mancavano due minuti al tocco quando ella dopo essersi assestata la giacca, i guanti, suonò alla porta di Andrea. Era salita leggera guardando di qua e di là, le scale dove Andrea saliva sempre, quante volte la mano di lui aveva richiuso il cancelletto dell’ascensore? S’arrestò a una porta scura dagli ottoni lucidi. Attese sullo zerbino, pensò per un attimo: «Avrà pianto, Stefania, quando s’è accorta che sono andata via». Ebbe un rimorso, ma come per una colpa commessa in sogno, un rimorso breve, perché la porta s’aprí, la cameriera sorrise, lei sorrise ed entrò. La colazione fu piacevolissima; nella sala da pranzo un po’ antiquata si respirava un’aria familiare; Emanuela dapprima era impacciata e questa sua timidità piacque. Aveva già venticinque anni eppure serbava una semplicità infantile che conquistava; prendendo il caffè, nel muoverlo, macchiò la tovaglia. Rossa in viso, fece: – Oh, mi dispiace... – e guardò attorno smarrita. La madre di Andrea sorrise: – Non è nulla, proprio nulla, figlia mia. E Andrea rise addirittura: – Perché l’hai fatto notare? Noi avevamo fatto finta di non vedere. È in questo l’educazione, nel fingere di non avvedersi. È nel volgersi abilmente dalla parte opposta quando il vicino sta per avere il singhiozzo o quando si capisce che ha un ossicino in bocca e vorrebbe metterlo sul piatto; ci si volge come per caso, si osserva qualcosa con attenzione e quando si torna a guardare il vicino, il singhiozzo è passato o

Letteratura italiana Einaudi

252

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

l’ossicino sta sull’orlo del piatto. Quello è convinto di essere stato educatissimo, mentre non lo sarebbe stato piú se tu te ne fossi accorto. Pensa che disagio, in albergo, sotto l’occhio ironico del cameriere, mangiando il pollo far schizzare una patatina sulla tovaglia! Una tragedia: s’arrossisce fino alla punta dei capelli. Invece a casa tua, prendi la patatina con due dita e te la metti in bocca. Un umorista diceva che veramente educato è colui che prende le zollette di zucchero con le molle anche quando è solo. Ridevano tranquillamente. Era proprio una bella giornata, una bella domenica: un raggio di sole scialbo entrava dai vetri della sala e andava a battere sui mobili vecchi, lustri e solenni. Tra i quattro spirava una confidenza familiare e commovente di festa patriarcale; le cose erano antiche, alcune erano fuori moda, ma non si sarebbe trovato come sostituirle. Se un solo oggetto di gusto moderno fosse stato posto tra quelli, allora la casa sarebbe divenuta decisamente brutta, però l’oggetto non c’era. Si levarono dalla tavola per passare nel salottino contiguo: Emanuela ed Andrea si sentivano compiutamente felici, appagati ed espansi. Prima di sedersi Andrea disse: – Vieni, Nuela, voglio mostrarti la mia camera. Era in fondo alla casa, una delle ultime porte bianche e lucide del corridoio. La ragazza appena entrata esclamò, volgendo gli occhi intorno: – Oh! ma è carino, molto carino, qui! – Intanto pensava che la camera era piuttosto brutta, d’aspetto vecchiotto. – È semplice – disse Andrea: – qui studio; però ti prego, non guardare il disordine del tavolo, eppure ho fatto un lavorone per sistemare un po’ giacché venivi, ma senza riuscire, vedi? questi sono i miei libri, – ed ella li toccò con una mano che voleva essere rispettosa. – Vedi la tua fotografia? Ma è vecchia, ne vorrei un’altra ora, una grande.

Letteratura italiana Einaudi

253

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Sí, era vecchia, molto vecchia; fatta da Stefano sei anni fa al giardino di Boboli. Non aveva avuto scrupoli a mescolare cosí Andrea a Stefano. Nella sua vita ormai tutto era commisto, il passato al presente, la bugia alla verità. Andrea l’aveva presa per le spalle e parlava: – Tanto desiderio avevo di vederti qui, tra le cose mie, le vecchie cose alle quali sono abituato. – Restò zitto un momento, quindi le domandò affettuosamente: – Ti ricordi di quel ristorante dove andammo, il primo giorno? Ti disegnai la pianta della mia camera sul rovescio di un pacchetto di sigarette... Chi sa, forse immaginavo che un giorno vi saresti entrata. Non era intenzionale – seguitava. – È il destino: tu giri, vedi tante ragazze, ridi se ti si parla di matrimonio, gli amici si sposano e tu ridi. Poi un giorno, non si sa come... ne incontri una, prima pensi soltanto: «È carina», poi... Com’è stato, Nuela? – Tu mi scrivesti quel biglietto... – Già. E tu non venisti. M’ero infreddolito aspettandoti, c’erano quei bambini che cantavano. Perché non venisti? – Mi pareva... – Capisco... Rimasero assorti: d’improvviso egli la strinse a sé, la baciò sulla bocca, senza allentare l’abbraccio. La sua mano dalla vita saliva a cercarle il seno rotondo sotto il vestito leggero, il suo sguardo spiava gli occhi che la ragazza aveva chiusi: ma d’un tratto scossa come se a quel contatto egli dovesse subitamente intuire il vero essere fisico di lei, con moto brusco Emanuela gli staccò la mano dal seno, si divincolò, s’allontanò: poi temendo che tanta improvvisa durezza dovesse essere intesa male, con un sorriso infantile si riaccostò a lui e gli poggiò la testa contro il petto. Egli le disse dolcemente: – Perdonami. – E appariva tuttavia assai turbato di lei. – Torniamo di là.

Letteratura italiana Einaudi

254

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

S’avviarono, ma appena nel corridoio egli le prese un braccio e le chiese a bassa voce: – Oh, guarda, non ho mica rossetto sulle labbra? – E al cenno negativo di lei, sicuro riprese a camminare. I vecchi, vedendoli entrare, sorrisero. L’ansia per Stefania la riafferrò alla sera, in collegio: durante la giornata, ogni volta che il pensiero della bambina sorgeva in lei, lo scacciava duramente. Ma in cappella, alla preghiera della sera, era soffocata dall’ansia. «È terribile», pensava, «essere chiusi in questa prigione». E prima di salire in camera, non potendo resistere, telefonò. – Pronto – fece e si guardò attorno. – Vorrei sapere notizie della bambina Andori. – È la mamma? – Sí. – Disse questo sí in un soffio, come per esserlo un po’ meno. E poi attese un tempo infinito, era sola, ma temeva che qualcuno entrasse. In fine venne al microfono la suora e parlò senza riguardi: – Molto grave, molto grave Stefania, il dottore non ha nascosto le apprensioni, la febbre è altissima, la bambina delirando chiamava lei. – Ah! Ho capito, va bene. Buonasera. – Ella disse questo con gelida voce sommessa e riattaccò il ricevitore con fare misterioso. Uscí fuori nel vestibolo quasi buio, deserto; il portone era già sprangato; salí lentamente, un peso enorme nei ginocchi, esausta; suor Prudenzina vigilava che tutte le ragazze rientrassero nelle loro stanze, mansuete come pecore; non s’erano mai amate, suor Prudenzina e lei; la suora aveva subito intuito nella ragazza qualcosa che sfuggiva al suo controllo; tra poco al grido «Luce!» il cancello dell’atrio avrebbe cigolato chiudendosi, le ragazze sarebbero partite verso un mondo di tenebra e di sonno. Se Emanuela avesse gridato: – Mia figlia sta morendo! – non l’avrebbero lasciata uscire.

Letteratura italiana Einaudi

255

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Molto grave, molto grave Stefania, la suora aveva detto. Emanuela la rivedeva delirante nel letto, tutta rossa dalla febbre, riudiva con crescente insistenza quella nuova voce mite della figliuola che chiedeva: – Non te ne vai, vero, mamma? – L’aveva tradita abbandonandola sorridendo, il cappello in mano. Falsa: falsa con lei come con tutti. Tutta una bugia la sua vita, un’aerea cattedrale costruita sull’inganno, una cattedrale di vetro, presto tutto sarebbe crollato con gran fragore. I vari personaggi che erano in lei, di colpo si sarebbero trovati di faccia, smascherandosi l’uno con l’altro. Avrebbe perduto tutto: Andrea, le amiche, anche la figlia. Molto grave, Stefania: può morire stanotte e mamma non c’è. Come una demente ripeteva tra sé infinite volte questa frase, mormorava: – Mamma non c’è, mamma tua non c’è, non c’è. – Si torceva le mani, andava di qua, di là nella stanza, smaniando: – Che posso fare? che posso fare? – Questa domanda le saliva tante volte alle labbra, una domanda angosciosa come un singhiozzo, che le limava l’animo. Con la malattia della bambina tutto sarebbe stato scoperto, adesso, era inevitabile. – Ah! – eruppe ad alta voce. – Stefi, quanto male mi hai fatto! – Il male adesso, lassú al collegio, delirava, stava per morire. – E se fosse morta? Bisbigliò questa domanda e quindi, terrorizzata, rimase in ascolto. Forse dopo questa domanda la camera crollerebbe su di lei, schiacciandola; le pareva che la porta si sarebbe dovuta aprire per lasciare entrare un Dio severo, tutto vestito di bianco. Timorosa, lenta, volgeva la testa attorno. Nulla. Nulla accadeva. All’aria intorno con voce confidente chiese ancora: – E se morisse? Nulla si scosse. Intanto il suo pensiero andava rispondendo alla sua domanda: «Se morisse, niente piú discorso con Andrea». Avrebbe seguito il funerale sola con

Letteratura italiana Einaudi

256

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

l’ombra di quel padre ignoto, quel padre ignoto che fabbricava aeroplani. Sola, un lungo velo nero in faccia. Ecco, si proteggeva anche da quella evenienza; un male acuto la stringeva nel ventre, come se le sue viscere si rifiutassero, esse che avevano portato la bambina. Epperò insisteva nel pensare: se morisse niente piú discorso con Andrea, bastava, sí, bastava un po’ di commedia la sera delle nozze, egli non avrebbe sospettato di niente, era un ragazzo primitivo, Andrea, chiaro e semplice. Nulla risultava sulle sue carte, un matrimonio regolare, un lungo strascico, un odoroso mazzo di gardenie. Odoravano cosí acutamente da stordirla, e l’organo suonava cosí forte che la sua testa n’era piena. Tutto sistemato, tutto regolare, se Stefania moriva era come se non fosse stata mai viva. Per chi era viva quella bambina? Per nessuno, e quindi non esisteva. La morte di Stefania l’avrebbe riportata indietro di tanti anni, leggera, leggera, come in punta di piedi, fino al giorno che Stefano l’aveva incontrata sul Lungarno. Tutto era dipeso da un attimo, quella tragedia, bastava che ella avesse svoltato al Ponte Vecchio, invece di proseguire. Ecco, se Stefania moriva sarebbe stato come se quel giorno Emanuela avesse svoltato sul Ponte Vecchio. Una ragazza sale sul ponte, un aviatore passa pel Lungarno. Un attimo. E non s’incontreranno mai piú. – Muore, sí, certo muore. E mi libera. S’ergeva sulla punta dei piedi come pronta per volare. Quante bambine muoiono a cinque anni? Sua sorella era morta a sei di scarlattina. Scarlattina. Scarlattina. E un’onda di pietà l’invase per quella vocina che aveva detto: «tutte puntine rosse come fragolette». Pianse. Lacrime incerte s’affacciavano agli occhi poi come pazze si buttavano a capofitto, ruzzolavano per le guance. Soffriva come se qualcosa la costringesse a portare sua figlia in sacrificio. «È per il suo bene, è per il suo bene», andava convincendosi. Ovunque avrebbe dovuto esibire

Letteratura italiana Einaudi

257

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

quella vergogna originale: di padre ignoto, di padre ignoto. Forse un giorno sarebbe andata a trovarla e amaramente le avrebbe rimproverato: – Mamma, perché non mi hai ucciso da bambina? Stava in piedi nel mezzo della stanza, inchiodata, e fissava la porta, a occhi sbarrati: qualcuno adesso sarebbe entrato a darle la notizia. Ma tutto era silenzio nella casa, i lumi erano spenti. Emanuela si sentiva ardere, una febbre che le pareva di eroismo la consumava dentro. «È cosí, ormai, è cosí, tutto s’accomoda», pensava, «a cinque anni non si capisce la vita, non si soffre di morire.» E tremava e si torceva le mani. Finché esausta s’abbandonò sul letto, tesa in ascolto, aspettando che in lei si consolidasse questa certezza: Stefania morirà. S’addormentò cosí, vestita, senza avvedersene. All’alba la luce livida che veniva dalla finestra la svegliò, con brividi di freddo. «Stefania...» ella subito pensò e provò la spaventosa sicurezza che a quest’ora la piccola non ci fosse piú, fosse morta. Un delitto, un atroce delitto. Sono io che l’ho uccisa. E cominciò a darsi pugni sulle tempie, mormorando: – Assassina, assassina! – Infine la campanella delle suore dette i primi tre rintocchi. Di buon’ora Emanuela uscí dal collegio, corse lassú; e appena vide la suora dell’infermeria le disse piangendo: – Non potevo stanotte, sorella, proprio non potevo, lei non sa... – e appariva cosí accorata che quella la confortò battendole una mano sulla spalla. Passò tutto il giorno al letto della figlia. Neppure un attimo lasciò la mano della bambina, ogni poco la chiamava timidamente: – Stefi... Stefi... – Ed era come se volesse dirle: – Perdonami. – Non si mosse neppure per mangiare, scoteva la testa quando l’infermiera le diceva se volesse riposarsi: – Sto qui – rispondeva. Infine alle quattro Stefania aprí gli occhi, chiese: – Mamma, ho fame. – L’aveva sentita, aveva capito che era stata lí sempre, senza muoversi.

Letteratura italiana Einaudi

258

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Alle sei la bambina cominciò a sudare, perle sulla fronte, sulle labbra, la febbre calava. Stefania dormiva quando, alle sette, Emanuela senza parlare se ne andò. A tavola le compagne l’accolsero con occhiate d’intesa, ella si sedette, spossata, salutò in giro con la mano, affondò il cucchiaio nella zuppa, prese a mangiare a testa bassa. Silvia le disse sottovoce: – Tira brutto vento per te. – Per me? – Eh, si capisce! Ieri a colazione fuori, oggi a colazione fuori, ma dove sei stata tutto il giorno? Suor Prudenzina ha parlato alla superiora. – Ah! – Non dici nulla? – No. Che devo dire? Piú tardi in camera di Anna quando furono tutte riunite, udendo la suora arrivare, Silvia s’affrettò a metterle un libro davanti: – Studia – le consigliò. – Studia. – Cosí la suora, aprendo, la trovò tutta intenta e però fece ironica, prima di richiudere la porta: – Lei studia molto, Andori, lei studia troppo. Valentina, Silvia e Anna alzando gli occhi dai libri guardarono Emanuela, e allora ella spiegò: – Bè, non ho fatto niente di male: ieri e oggi sono stata a colazione in casa dei genitori d’Andrea. Valentina l’interruppe: – Ti hanno dato l’anello? – No, non ancora. – Il fatto è – disse Silvia – che da due giorni hai l’aria stravolta. Non se ne sarebbero accorte, magari, ma Valentina ha fatto notare il tuo posto vuoto a tavola. Dopo c’è stato un gran parlottare tra le maggiori sottane, credo che non si rendano conto di quello che tu stai facendo. Ti dirò che l’anno passato non me ne rendevo conto neppure io. – Studio: per studiare non c’è bisogno di essere iscritte all’università.

Letteratura italiana Einaudi

259

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– No – rispose Silvia – no, certo. Ma ti piace studiare? – chiese e siccome l’altra non rispondeva: – Forse ti piace di piú non fare nulla. – O andare a spasso con Andrea – rise Valentina. – Neppure – insisté Silvia: – Non far nulla, ecco. E volevo proprio convincerti di questo: che non si può, nella vita, non fare nulla. – Allora secondo te, chi non è dotato per le lettere dovrebbe buttarsi a fiume? – Emanuela avrà la sua casa, i suoi bambini... – disse Anna. – Non credo che questo la interessi molto – Silvia disse.– Noi oggi non ci appaghiamo piú di quello, è un bene o un male, non so, ma tutto progredisce e la casa va da sé, le calze si fanno a macchina, anche i figli sembrano avere minor bisogno di noi. – Non credo – replicò sorridendo Anna. – Sí, sí, invece. Emanuela non è altro che una consumatrice di denaro. E forse non se lo gode neppure. – Perché stasera ti accanisci contro di me, Silvia, che hai? – Non mi accanisco, ti dico quello che penso, da amica; a che servirebbe essere amiche se non a dirsi quello che si pensa? – Tu credi effettivamente che l’amicizia serva a qualche cosa? – fece Anna ironicamente. – No, forse no, per il fatto che non si scelgono mai i propri amici; càpitano. Con alcuni ci conosciamo da bambini e allora l’amicizia è un’abitudine. Quando ammiriamo qualcuno al punto che volentieri gli saremmo amici, di rado abbiamo occasione di divenirlo. E allora si tira avanti con gli amici occasionali. Ma che stavamo dicendo? Ah! ... che tu dovresti fare qualche cosa. Tu conosci la soddisfazione intima, profonda, di costruirsi giorno per giorno la strada su cui camminare, di guardare al domani come a un maturante frutto da cogliere? E

Letteratura italiana Einaudi

260

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

la gioia di sentirsi stanchi la sera, stanchi non d’aver vissuto un’altra giornata, ma d’essersela fatta con le proprie mani, quella giornata, cosí come un operaio squadra la pietra? – Parole, queste – disse Emanuela sorridendo, – parole che ti ripeti per convincerti, ma in realtà sai che cos’è che ti spinge? È l’ambizione. – L’ambizione? – Silvia ripeté, e poi restò a pensare. Guardava avanti a sé e, per quei suoi occhi strabici, si sentivano guardate tutte. Assentí a piú bassa voce: – Può darsi, sí, forse è l’ambizione. Ma non l’ambizione di essere creduta dagli altri una creatura superiore, bensí quella di sentire in sé una propria superiorità, e di fare ogni sforzo per conquistarsi questa coscienza. Sí, – aggiunse – forse tu hai ragione, Emanuela: tutto questo è l’ambizione. E tu non hai neppure quella. – Vuoi umiliarmi, Silvia?... Io, ho una vita cosí complicata. – Ecco, appunto: ciò che complica l’esistenza è la noia; chi ha la vita occupata non pensa neppure che sia complicato viverla. Pensavo che tu potresti, per esempio, fare un corso per infermiera della Croce Rossa. – Io? – esclamò Emanuela. – Ma è impossibile! Io ho orrore del sangue, i morti mi fanno paura, dopo me li sogno per un mese intero, poi dovrei prendere un’infermiera per curare me... – Altra cosa allora... – Allora tutti questi discorsi sono inutili, non ho bisogno di far nulla, di trovare nulla: io a giugno mi sposo. – Già, è vero, c’è anche il matrimonio. Io me ne dimentico sempre – disse Silvia sorridendo; poi mise un braccio attorno alle spalle di Emanuela, con affetto. – Tu hai ragione. Sono io che sono diversa dalle altre e sempre lo dimentico. Ci sono molte cose oltre quelle che preoccupano me. Ognuna di noi ha la sua vita dinanzi a sé. Quante volte te l’ho detto? Noi siamo su un

Letteratura italiana Einaudi

261

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ponte, e, passato il ponte, chi prende una strada, chi l’altra. Un transito, questo, insomma. – Tra poco – Osservò Anna – resterà deserto il ponte. – No, mai deserto. Noi si scende, altre salgono. – Rimase a occhi bassi, pensierosa, poi disse cambiando tono: – Studiamo adesso. A mezzanotte, rientrando in camera sua, Valentina deponeva i libri sul tavolo quasi con liberazione, acquistava un’aria di sollievo come una donna che si sia tolta il busto, si specchiava, si pettinava, si spogliava in fretta ed entrava nel letto. Ma ogni gesto era compiuto ghiottamente come se l’intera giornata fosse stata sopportata sulla promessa di quell’ora. Anche la povera nudità delle cose attorno si trasfigurava, le dava un senso di benefico ritrovamento. Nel letto s’adagiava supina, s’assestava con piccole scosse, brividi, le braccia allungate lungo i fianchi, il lenzuolo che le radeva il mento. Sorrideva deliziata al tepore del suo corpo che le coperte trattenevano attorno a lei. Poi stendeva una mano, spegneva il lume, attendeva. A occhi chiusi, tutti i sensi raccolti, attendeva. Lenta la finestra si schiudeva, l’aria che penetrava nella camera era dolcissima e lievemente profumata di magnolia. Fuori tutto era chiaro e lucido di luna, enormi stelle lucevano sul cielo d’un cupo azzurro. Sopra la ghiaia del fantastico giardino pavoni passeggiavano, cigni candidi scivolavano nella fontana di vetro. Oltre il muro di cinta si vedevano cupole di templi orientali, e minareti. Valentina s’assestava meglio, e tendeva avida il volto come per dire: «Ecco, ora comincia». La porta s’apriva ed egli entrava tacito sulle scarpe di velluto, il morbido tappeto spegneva il suo passo, ma frusciava la seta dei larghi calzoni; le sue mani erano cariche di anelli, i capelli bruni e lucenti s’ondulavano sulle tempie.

Letteratura italiana Einaudi

262

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Dormi, – le chiedeva – piccolo fiore? – Sí, mio signore, dormivo. Era una soave e tepida sera, calava dalla finestra una striscia di luna, il corpo della fanciulla era appena velato d’azzurro, sotto il velo diafano la carne palpitava, ogni poro aveva un suo respiro; la fanciulla chiudeva gli occhi scusandosi di essere cosí viva e bella. La camera ormai era tutta occupata dalla vita del suo corpo. Sugli esili polsi dove traspariva i1 delicato rametto delle vene, gravavano pesanti monili d’argento. – Sono venuto alla perla dell’harem. – Cantano di là, le donne? – Sí, non odi? cantano. Nel perfetto silenzio lunare s’udivano armonie di chitarra o d’arpa. Anche una voce giunse, distante, fievolissima; la fontana del giardino s’era taciuta per ascoltare. – Cantano – egli ripeté: – ma io ero stanco di loro. Tutte le ho guardate negli occhi e in nessuna ho trovato le pallide viole. Dal giardino il forte profumo dei fiori s’inoltrava nella camera, metteva un cerchio doloroso intorno alla fronte. Egli sedette sul letto e la fanciulla in un sussulto si ritrasse. Il principe le chiese teneramente, fissandola negli azzurri occhi: – Perché ti ribelli, piccolo fiore? Aveva, la sua voce, soavissimi accenti; le sue mani erano lisce e morbide come il petalo della magnolia. A poco a poco, nelle braccia di lui, dolce fu il non ribellarsi; dolce come cedere al sonno. * – Una donna numero uno – dicevano gli amici di Dino parlando di Xenia. Non la chiamavano neppure per nome come facevano con le altre: lei era «la Costantini». Dino ascoltava annuendo appena; fumava, scrollava la cenere dalla sigaretta, tutt’al piú diceva con condiscendenza:

Letteratura italiana Einaudi

263

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Per una donna, sí, è una ragazza intelligente. L’amica gli costava caro, ma aumentava il suo prestigio come la grossa automobile. Spesso di sera, invece di andare per i bar, la compagnia si riuniva nel piccolo appartamento di Xenia. Per Dino era piacevole sedere fumando davanti a un bicchiere di cognac, poi, udendo gli altri entrare, alzarsi un po’ a fatica per riceverli come se l’interrompimento delle proprie abitudini prodotto dalla visita fosse una degnazione e un sacrificio per lui. – Una scoperta del Ricci, la Costantini. Se amici forestieri erano di passaggio per Milano, altri della «combinazione» automobilistica, si offriva loro di andare dalla Costantini di sera. Tre camere arredate con gusto sobrio, tre camere diverse da come le avrebbero fatte le altre donne che loro conoscevano; pochi mobili, luci intime, calde, due o tre bei quadri e molti libri, alcuni in lingua straniera, neppure un libro giallo o una rivista con fotografie pornografiche. Entrando, i vecchi dicevano ai nuovi amici: – Carina, molto carina, eh? – mostrando attorno la casa con la mano; e intanto gli toccavano il gomito come per dire: «Ti piace la donna?» Xenia s’era fatta piú bella, assai piú bella. Il suo corpo acquistava sveltezza nei nuovi vestiti eleganti. Negli occhi quel lampo cupido s’era quetato, o si nascondeva piú in fondo. Il suo gusto s’era raffinato; arredare la casa era stata per lei occupazione prediletta. Spesso raccontava di una villa che i suoi genitori abitavano nel Lazio, tutti mobili antichi, di famiglia; e un parco con grande sventolío argenteo di pioppi sullo stagno. A forza di ripeterlo credeva di aver veramente vissuto in quella casa immaginaria, ne vedeva chiaramente, come lo descriveva, l’atrio con le finestre che s’aprivano sulla collina e la stanza di soggiorno con le poltrone accanto al caminetto. In casa sua donne non ne venivano: Vandina capí che sarebbe stata di troppo e seppe mantenere le distanze. Andava a farle visita nel pomeriggio, la trovava distesa

Letteratura italiana Einaudi

264

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sul divano con i libri vicino, le sigarette. Secondo lei, da quando andavano bene le cose, Xenia posava un po’. Altre amiche non aveva, salvo la Mary del Barchi. E con questa non riusciva ad entrare in intimità: si vedevano ogni sera, i loro amici avevano interessi comuni, la Mary cercava di rendersi simpatica e lo era, Xenia riconosceva che lo era; eppure, nonostante ogni buona intenzione, i suoi sentimenti verso di lei non riuscivano a sorpassare quelli di una semplice conoscenza; se non l’avesse piú vista, forse se ne sarebbe accorta dopo un mese. La sera gli uomini giocavano; era stato necessario comprare i gettoni per il poker, le carte: attorno al tavolino si formava una nube grigia di fumo, spesso gli uomini s’inasprivano, soltanto Horsch manteneva la sua calma. Dino chiedeva: – Xenia, dacci da bere. – E lei serviva i liquori, con molto garbo, il whisky. Il giorno dopo diceva a Dino: – I liquori costano, ho bisogno di altro denaro. – E lui le rispondeva: – Che vuoi fare? è necessario, quando si ha una casa gli affari si ingranano meglio, gli amici non sfuggono; del resto tra poco avremo gli incassi di quel grande affare degli autotreni. Xenia non sentiva in sé molta riconoscenza per Dino, per il denaro che spendeva: alla fine dell’estate lei gli aveva detto. – E allora, questo posto alla società delle cementazioni? – Ma egli aveva risposto: – Che, vuoi rimetterti a lavorare adesso? ci penseremo. – E lei aspettava; la colpa, pensava scagionandosi, non era sua. Perciò accettava facilmente il denaro, quasi dovuto le sembrava, come un indennizzo per quello che avrebbe potuto guadagnare e al quale rinunciava per causa di lui, di Dino. Nella giornata oziava; si trascinava da un divano all’altro, con le sigarette, un certo suo cuscino preferito, i libri: i libri avevano ripreso una parte importante nella sua esistenza. E apprezzava i gravosi studi che le avevano appreso questo godimento. Ma tutto il resto della sua

Letteratura italiana Einaudi

265

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vita di collegio le appariva ingenuo: ore sprecate dietro inutili illusioni. Chi sa che fine avrà fatto Vinca con quel suo spagnolo senza un soldo che la portava a fare lunghe passeggiate in tram e poi al cinema da due lire! Adesso ripensando al furto dello smeraldo rideva: «Potevo tenermelo, era una bellissima pietra, di molto valore». Rivedeva l’albergo nel quale aveva passato la notte, il viaggio verso Milano, in terza classe col fagotto, e il negozio del guantaio... Come lontano tutto questo, anche se soltanto pochi mesi erano trascorsi! Le sembrava di aver vissuto tutto ciò non per necessità, ma per amor d’avventura. Le sarebbe piaciuto che il collegio fosse stato lí, a Milano, per alzare il ricevitore, chiedere alle amiche: – Volete venire a trovarmi? Sto in via tale, numero tale. – E vederle entrare con quei loro vestiti dimessi, offrire loro il whisky, i marrons glacés. Ma non si poteva, che figura avrebbe fatto con Dino, con la cameriera? Se le avesse incontrate per la strada forse avrebbe fatto finta di non vederle. Durante il giorno Dino la lasciava quasi sempre sola, egli era in giro per i suoi affari, cercava persone, affannato in quel suo ampio cappotto sportivo: andava da lei dopo colazione a prendere il caffè; parlava degli affari, ma vagamente, senza specificare, alcune volte Tom Barchi era con lui, ed entrambi si mostravano irritati contro Horsch. – Ci tiene le mani legate, – dicevano, – non ci lascia muovere. – Un giorno, entrando, Dino disse a Xenia: – Sai? il vecchio gorilla... – Quale? – Ma quello dove lavoravi tu, quello della X and X and X Company... – Sí, ebbene? È saltato. Tutta la società in aria, qualcuno finirà in galera. Qualcuno che non sarà Horsch, naturalmente. – E rideva.

Letteratura italiana Einaudi

266

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Raimondo Horsch appariva a Xenia un personaggio sempre maggiormente misterioso. La sua conversazione era piacevolissima, sapeva molte cose, vedeva le esposizioni d’arte, leggeva i libri in voga. – Ma quando fate tutto questo? – Xenia stupiva. Egli sorrideva con un enigmatico sorriso; aveva una gradevole voce lenta e grave, bisognava per forza fare attenzione quando parlava, anche perché parlava piano. Talvolta mandava fiori a Xenia, ma non senza un pretesto, dopo un invito a pranzo, per esempio; sempre gli stessi fiori: orchidee. Lei le poneva in un vasetto, mai le appuntava sul vestito, forse le pareva di non potersi ancora permettere di distruggere in un’ora quei costosi fiori; cercava piuttosto di conservarli il piú a lungo possibile. Dal divano ove amava stendersi li contemplava con un’intima ammirazione: enormi erano, magnifici mostri dai petali ansanti come lingue d’animali. Quando vedeva Horsch gli diceva con cortesia distratta: – Grazie dei vostri fiori -, come se le avesse mandato un mazzo di violacciocche. Ogni mese Xenia spediva un po’ di denaro ai suoi, ogni volta attendeva che la lettera di suo padre fosse finalmente violenta, che le dicesse: «Ma insomma che mestiere stai facendo? Tienti i tuoi soldi e non ti fare piú viva». Invece, regolarmente, a giro di posta, il padre la ringraziava sul foglietto rigatino. Non sospettavano di nulla o, Xenia si domandava, trovavano piú comodo non accorgersi di nulla. Non sapeva che al paese si mormorava, senza sapere nulla di preciso; e proprio quelli che credevano il lavoro la vera fonte dei guadagni di Xenia facevamo circolare voci calunniose sul conto di lei, perché non potevano tollerare l’idea che la ragazza fosse riuscita a crearsi una posizione onestamente. Se avessero saputo che faceva la mantenuta non se ne sarebbero occupati piú; era l’intelligenza, il sacrificio di Xenia che volevano negare. I genitori forse erano i soli a pensare la verità, ma non osavano neppure confessarselo. Quando

Letteratura italiana Einaudi

267

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

si è cosí vecchi e cosí poveri si accettano le cose senza chiedersene la ragione. Cosa potevano fare? partire? andare a vederla? Era piú facile continuare cosí. A questa loro cecità Xenia si ribellava; giustificava pienamente la propria vita, ma non ammetteva che i genitori la giustificassero. E le doleva questo cosí forte che certe volte cercava di convincersi: «No, no, certamente non sanno». Perché quando sentiva la necessità di umiliarsi, di riconoscere la bassezza della strada che aveva scelto, per intenerirsi aveva bisogno di ricordare il grembiule nero di sua madre, i tempi nei quali andava con lei a messa ogni mattina. Aveva bisogno di portare da sola il peso della propria condotta, come un atto di ribellione all’onestà della propria famiglia e non come un mezzo accettato da tutt’e tre per vivere con maggiore comodità. Ma papà rispondeva: «Grazie, cara figlia. Tua madre s’è comperata le calze elastiche per quelle vene che l’affliggono; Dio ti benedica e non ti stancare troppo. Abbiamo piacere di vedere il buon esito del tuo lavoro» «Il lavoro, il lavoro!... neanche sanno dove sono impiegata, penseranno che faccia anche di peggio. Ipocriti, ipocriti!» e strappava la lettera. Le accadeva di giudicare la sua vita sopra tutto quando pensava a Silvia: ai suoi piccoli occhi un po’ strabici, alla sua veste nera di lunghi lutti; se fosse stata nella stessa città, forse Silvia sarebbe venuta a trovarla senza essere invitata; sarebbe entrata difilato, e avrebbe chiesto: «Perché fai questo, Xenia?» e Xenia non avrebbe trovato la forza di ridere come faceva sempre quando sentiva parlare delle persone per bene. Aveva preso a motteggiare come Vandina faceva: «Queste donne oneste...» cercando quasi di togliersi la polvere di dosso, leggermente, con la mano. E poi non riusciva a considerarsi disonesta; disonesta sarebbe stata se avesse tradito Dino. Che importava se non erano sposati? Si deve essere fedeli al

Letteratura italiana Einaudi

268

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

proprio uomo, non a un’istituzione. Ma non avrebbe potuto rispondere cosí a Silvia; se le altre compagne fossero andate da lei sarebbe stato diverso: Vinca l’avrebbe perdonata per amore, Valentina le avrebbe chiesto cosa si provava, Emanuela avrebbe ammirato la casa, le orchidee di Raimondo Horsch. Silvia cercando i suoi occhi le avrebbe chiesto: – Perché fai questo, Xenia? A questa precisa domanda che nasceva in lei, Xenia s’approfondiva nel divano, guardava attorno, metteva in bocca un dolce e tornando con gli occhi al libro si rispondeva ad alta voce: – Perché? O bella, perché mi piace. Cosí inoperosa la sorprese Raimondo Horsch. Era il tramonto e tuttavia Xenia ancora non aveva acceso la lampada. Nel primo pomeriggio era stata a passeggio ricercando sui marciapiedi il linfatico sole milanese. In lei, d’improvviso, era nato il desiderio di un pino: e ricordava quello che vedeva dalla finestra del collegio aprire placidamente l’ombrello dei rami irsuti. Questo pensiero le aveva messo in petto una segreta ansia, un’insofferenza di quel pigro e grigio novembre che la immalinconiva. «Dirò a Dino di condurmi in Riviera di nuovo». Ed era tornata a casa tutta presa d’impazienza. – Oh, scusate, scusate, è buio – gli disse vedendolo entrare e pensò che aveva le pantofole ai piedi e il viso lucido. L’altro attese che Xenia l’invitasse a sedere; poi disse: – Perché volete accendere la luce? Non è preferibile questa penombra? – Io sí, preferisco. Dino non è ancora venuto, ma non può tardare, non l’ho visto da ieri. Non m’aveva detto di prepararmi per uscire stasera. Usciamo a cena, vero? – chiese divertita. – Non so. Tra loro cadde il silenzio. Era difficile condurre innanzi il discorso con lui che taceva e cosí al buio. Non si

Letteratura italiana Einaudi

269

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

può abbordare un soggetto d’improvviso, bisogna esservi condotti. Xenia osservò guardando la finestra: – Che cielo livido! L’altro volse la testa alla vetrata ed annuí. – Pensavo – la donna continuò – di andare qualche giorno in Riviera. Per non essere presa dalla noia dell’autunno, non è vero? – Giustissimo. – Ne parlerò a Dino. La Riviera non era un soggetto preferito da Horsch, poiché tacque di nuovo ed incrociò le mani sulle gambe, guardandola; se almeno le avesse lasciato accendere la lampada tutto sarebbe stato piú facile. – Dove andremo, stasera? – Xenia riprese. – Vediamo di trovare qualcosa dl nuovo, di geniale. Forse Dino avrà qualche idea; Dino ha sempre nuove idee, non è vero? Se vi ha dato appuntamento non può tardare. Dopo un momento quasi seguendo in ritardo le parole di lei, Horsch disse: – Dino non mi ha dato appuntamento. – Ah no? – rispose Xenia. E non sapeva che pensare, il tono di voce dell’uomo era misterioso. – Sarà felice di vedervi, allora. Ma l’altro come se non l’avesse udita continuò: – Dino non può venire: è stato arrestato. Quando Horsch se ne andò, molto piú tardi, Xenia richiuse la porta e rimase inebetita ad ascoltare i passi di lui per le scale. Passi pesanti, decisi, che s’allontanavano, si smorzavano, si perdevano nell’androne. Tacquero infine, e s’udí il tonfo sordo del portone che si chiudeva. La casa ne fu scossa, tremò, poi ripiombò nel sonno. – Dino... – ella chiamò piano. – Dino... Nel silenzio la sua voce assumeva un che di macabro: lo chiamava come un morto, per trafiggersi, sapendo che lui non poteva piú rispondere. «Sono andati a casa

Letteratura italiana Einaudi

270

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sua stamattina presto» Horsch aveva detto. Lei certo a quell’ora dormiva; uno di loro poteva andarsene in prigione, l’altro a dormire, due esseri rimangono sempre due cose distinte. Dov’è Dino? Come sono le carceri? Non riusciva a immaginarle e allora appoggiava la sua immaginazione al ricordo di carceri viste in pellicole, una cosa spaventosa. Non le sembrava possibile che egli fosse rinchiuso in una di quelle gabbiette buie. È buio a quest’ora in carcere, buio pesto. Se lei andasse a cercarlo Dino non potrebbe uscire, se lo chiamasse non la udrebbe. Dapprima non s’era spaventata. «Arrestato? forse sí, ma tra un’ora spiega tutto ed è qui. Andiamo a cercarlo, a dire...» Horsch scoteva la testa: «Inutile andare, inutile cercare», diceva, «un imbroglio grosso, ho paura che non sarà tanto facile cavarsela». E allora Xenia aveva sentito il peso della propria vita caderle sulle spalle. Prima ancora di domandare la ragione dell’arresto, prima di temere per Dino, particolari materiali le si affollarono nella mente: il prossimo mese scade il trimestre d’affitto, la cambiale dei mobili. Mangiare. Soltanto seicento lire in tasca. Come era possibile che arrestassero Dino se lei rimaneva cosí? Preoccupata da questo s’era messa a piangere. – Ammanettato? – aveva chiesto fra le lacrime. – No, che ammanettato! Da tre o quattro giorni infatti Dino era nervoso. – Gli autotreni? – Xenia gli aveva chiesto. – Già, gli autotreni – aveva risposto. Niente piú di questo. E però mai piú aveva nominato Horsch senza dire «quel porco». Horsch sedeva di fronte a Xenia, nella poltrona, libero, tranquillo, appena un po’ angustiato, forse per salvare l’apparenza. Era sua la colpa, lui la cagione di tutto. Gli chiese rabbiosa: – Ma voi?... L’altro calmo l’interruppe: – Io non ne so nulla. E Xenia non aveva osato replicare. Avrebbe dovuto

Letteratura italiana Einaudi

271

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dire che sí, lui sapeva, che sua era la colpa come per gli altri là, della X and X and X Company, ma qualcosa dentro le impediva la ribellione. Soprattutto qualcosa le diceva che soltanto Horsch avrebbe potuto liberarla dalla situazione. Si taceva remissiva e mite. Avrebbe dovuto scacciarlo di casa, almeno, e invece l’aveva pregato: – Non mi lasciate sola. Ora camminava su e giú, si guardava allo specchio per aver coscienza della sua faccia devastata dalla gravità di quell’ora, batteva i pugni l’uno contro l’altro fino a farsi dolere le giunture, mormorava: – Bisogna, bisogna trovare una soluzione. – Capiva che la faccenda di Dino era seria. – Voglio andare a trovarlo – aveva detto a Horsch. – Non si può ancora, tra giorni forse, dopo l’interrogatorio, ne parlerò all’avvocato. – C’è già un avvocato? – Sí, ho provveduto oggi stesso. Dino, Dino; il passo della donna diveniva via via piú inquieto, a tratti lei si fermava in ascolto come se dovesse giungerle di lontano la voce di lui. Ma la notte taceva: allora Xenia riprendeva a camminare sempre piú nervosamente, i pugni sempre piú stretti. Camminava cosí quella notte al collegio quando alla fine decise di fuggire. «Scappo... Sí, scappo, scappo.» E questa decisione, allora, le aveva dato la calma immediata, quietamente s’era coricata, aveva letto alcune pagine di un libro prima di dormire. «Vado via anche da qui, ma immediatamente, stanotte, un’altra città, Genova. Ma che faccio a Genova? Troverò da lavorare, ho il ben servito della X and X and X Company, (è saltata, Dino aveva detto, fallita, qualcuno va in galera), Genova è una città d’affari... Scappo, arrivo in un albergo...» Rammentò la desolata vacuità dei suoi primi giorni a Milano, da un ufficio all’altro, in alcuni non le davano neppure il tempo di spiegarsi, il personale è al completo, scendeva le scale piú lenta, di quando era salita, il rumore della strada soffocava i suoi passi inutili, la stordiva, che faccio, che

Letteratura italiana Einaudi

272

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

faccio? le notti erano interminabili, di notte non si può andare a bussare agli uffici e finalmente, un giorno, ecco Vandina. Doveva tutto a Vandina. Un caso, altrimenti dove sarebbe adesso? Forse bisognava parlare con Vandina... Ma ormai la ragazza non avrebbe piú saputo aiutarla, era venuta giorni prima a chiederle in prestito cinquanta lire, ormai Vandina poteva soltanto domandarle aiuto, non dargliene. Perché era andato via Horsch? avrebbe avuto bisogno di parlare, chiedere, di giorno tutto sarebbe stato piú lieve, ma la notte non concede distrazioni, e poi è lunga, inesorabile, la notte. Non aveva cenato, aveva detto alla donna di servizio: – Va a letto, va a letto. – Doveva decidere. Forse poteva andare a trovare quel tale pezzo grosso della Banca. S’erano incontrati un giorno in una pasticceria, e lui, riconosciutala, l’aveva salutata rispettosamente, lei aveva arrossito, quasi vergognosa di non essere piú povera come allora. Ora aveva le referenze della X and X and X Company, Horsch avrebbe potuto aggiungervi le sue. Chi non conosceva Horsch a Milano? Sí, ma come liberarsi della casa? Due anni di contratto e quelle cambiali per i mobili, ogni cosa era a suo nome. In una banca guadagnerebbe cinquecento lire al massimo. Il mattino presto, d’inverno, al tavolo dell’ufficio. L’anno passato, svegliandosi, trovava i ghiaccioli sui vetri della finestra. E penosa la vita delle impiegate: entrano, firmano sotto l’orologio, campana d’entrata, campana d’uscita, escono in branco, felici di non portare piú il grembiule nero, senza accorgersi che, anche quando sono per la strada, dipinte, il cappellino in testa, portano con loro l’aria del grembiule nero. Meglio tornare a Roma. Vendere la volpe, alcuni mobili, realizzare un po’ di denaro, tornare al collegio. – Mi perdoni, suor Lorenza, mi faccia perdonare dalla Madre, credevo che.. – E poi di sorpresa entrare nelle camere delle compagne, mentre studiano la sera col lume

Letteratura italiana Einaudi

273

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

a petrolio, chiedere loro: – Fatemi ancora posto accanto a voi – Che momento sarebbe stato, che commozione! Questa era l’unica via d’uscita: rimettersi al punto di partenza. Di sera, nei corridoi del collegio stagna un grande silenzio: oltre le porte delle camere s’odono conversare le ragazze, discutere: sempre parlano d’avvenire. E Xenia, di colpo, s’accorse che tutto ciò era inattuabile: le mancava ciò che solo rende possibile l’attesa: la fede. Porcheria il mondo, bassezza! S’illude, Silvia, se vuole arrivare ad avere una cattedra dovrà farsi raccomandare al preside, chi sa che vecchio schifoso, anche Valentina s’illude, marito non lo troverà perché non ha soldi, anche se è rimasta onesta; l’onestà ti dà quanto basta per morire di fame. Come tornare in mezzo a loro conoscendo tutto questo? Né con loro, né al paese. Non poteva piú credere in tante cose, da quando sapeva che si possono distruggere. Il peccato non la spaventava piú, non è vero che l’anima pesa dopo il peccato, pesa nell’incertezza di compierlo, quando è compiuto non è piú peccato, diviene consuetudine di vita. Certi princípi esistono solo fino a quando si comprende che si vive lo stesso facendone a meno. Nella sua disperazione pensava che non era stato peccato essere l’amante di Dino, col marito si compiono gli stessi gesti. C’è la differenza che cosí giochi la tua vita, va o spacca, e, se va male, resti a sbrigartela da sola. Sola, sola, sí, sola e intanto la gola le sussultava in singhiozzi secchi e rochi. Forse adesso, straziato da quella sua pena qualcuno apparirebbe, qualcuno, uno qualunque, sulla spalla del quale poter appoggiare la testa e dormire. Dino in prigione, Dino, Dino, con quella sua mania di grandezza, di signorilità. Che freddo deve fare in prigione! Piú freddo del collegio, certo; Dio mio, non aveva mai pensato a quanto può essere fredda una prigione. S’era rovinato per lei, s’era messo nella faccenda

Letteratura italiana Einaudi

274

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

degli autotreni per darle piú denaro, lasciandosi giocare da Horsch. – Horsch... – ripeté ad alta voce. Lo vedeva come poco fa nella poltrona, calmo, battendo leggermente la punta delle dita, mano contro mano, e intanto la guardava. «Ti guarda Horsch...» un giorno Dino le aveva detto. E da allora Xenia l’aveva notato: sí, Horsch la guardava. Subitamente andò in camera sua, si specchiò: aveva gli occhi lucidi, irritati, le labbra strette, macchie rosse di pianto sulla pelle. Batté i pugni l’uno contro l’altro, parlò alla sua immagine concítatamente per darsi coraggio: – Passare questo primo momento bisogna, domani, di giorno, tutto s’accomoda, sempre tutto s’accomoda. – Si tirò la fronte con le mani, si ravviò i capelli, si lisciò il viso, sorrise e poi si disse piano, guardandosi negli occhi: – Horsch deve... Horsch deve... Horsch deve... * La discussione della tesi era fissata al ventotto di novembre per Silvia, al tre di dicembre per Anna. Le due ragazze si erano chiuse in una rigida regola di vita, si tenevano appartate dalle altre. Anna appariva stanca, rassegnata: le compagne talvolta avrebbero voluto andare a distrarla sicure di farle piacere; a Silvia invece non avrebbero osato accostarsi tanto appariva accigliata e severa. Scendeva a mangiare, risaliva, talvolta senza scambiare parola chiusa in sé. Sotto la porta della sua camera, si vedeva la luce rossa della candela passare fino a notte inoltrata. Soltanto, ogni giorno alle due, usciva per andare da Belluzzi. A quell’ora, appesantita dal pasto veniva colta da sonnolenza, la stanchezza le gravava sulle palpebre, se le stropicciava per tenersi desta, poi, vincendosi, metteva il cappello, usciva; le strade erano pigre di sole nell’ora pomeridiana che intiepidiva l’acredine del no-

Letteratura italiana Einaudi

275

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vembre. A poco a poco la sonnolenza si dissipava, ma dolorosamente. «Non ce la faccio piú» la ragazza pensava; nel vecchio portone di Belluzzi una folata d’aria gelida finiva di destarla. S’era smagrita, l’ansia la mangiava, il viso dove s’accendevano i piccoli occhi graziosamente strabici, si mostrava piccolo e ossuto come quello di un rosicante. E però aveva acquistata un’aria piú sicura che le veniva dalla certezza di essere divenuta necessaria al professore: questo pensiero la tonificava, la rialzava dinanzi a se stessa. Un giorno, alle tre, mentre stava rispondendo a certe lettere arrivate al professore, la porta s’aprí piano, la cameriera s’affacciò cauta guardandosi intorno e chiese a bassa voce: – C’è? – indicando con fare misterioso la porta chiusa dello studio. – No – Silvia rispose alzando appena la testa – non è ancora tornato. Súbito la ragazza cambiò tono, si avvicinò a Silvia e disse concitata: – Signorina, venga, venga, la signora ha preso il veronal! Sulla poltrona della sua camera la signora Dora stava abbandonata, pallida, a occhi chiusi e respirava faticosamente. Udendo che un’altra persona entrava insieme con la cameriera sbarrò gli occhi. Vedendo Silvia restò per un momento interdetta, e cominciò a piagnucolare, alzando le pupille al cielo. Silvia si rivolse alla cameriera: – Quando l’ha preso? Quando? – Adesso, proprio adesso, vede il tubetto lí sul comodino? Sono entrata e ho visto che buttava giú qualche cosa, ho capito di che si trattava perché da quando è arrivata la lettera non fa che piangere, le ho detto: che fa, signora? e lei m’ha risposto che la lasciassi, che voleva morire. Silvia prese il tubetto sul comodino: quattro ne mancavano, soltanto quattro; restò un momento perplessa,

Letteratura italiana Einaudi

276

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

poi risoluta ordinò alla cameriera: – Portami un bicchiere d’acqua calda. – E avvicinatasi alla signora Dora le disse autoritaria: – E lei venga con me, bisogna che restituisca súbito, ha capito? súbito! Quella piangeva piú torte, le lacrime le colavano per la faccia dipinta, dalla vestaglia aperta si vedeva il grosso seno alzarsi abbassarsi in un affannoso respiro. – Mi lasci, signorina mia, mi lasci, lei non può capire, non ce la faccio piú, voglio finirla, mi lasci morire, signorina... Ma Silvia, vincendo un’istintiva ripugnanza, l’aveva presa pel braccio grasso e bianco: – Non muore, solo quattro ne ha prese, bisogna che restituisca, se no non farebbe che soffrire e poi lo scandalo, mi capisce? pensi allo scandalo! venga, le dico. La donna resisteva, e allora Silvia duramente le disse: – Presto, su, presto! Vuole che rientri il professore? A quel nome la donna si scosse, ma prese a piangere piú forte: – No, no, – disse – povero Guido, ha ragione, signorina, povero Guido, lei è buona, ma se muoio è meglio per me, finisco di patire... – Intanto la seguiva nel bagno. Lí si fermò imbalordita nel centro della stanza, pallidissima disse: – Mi gira la testa, si lasciò cadere all’indietro quasi facesse la prova di uno svenimento, ma non riuscí. Agitava le braccia, si portava la mano alla gola come se soffocasse. – Dio! Dio! – diceva con accento tragico – Dio, fatemi morire! – E quando Silvia le mise in mano il bicchiere colmo d’acqua calda, le chiese smarrita: – Che debbo fare? – Bere, súbito. – E Silvia glielo portava alla bocca. – Si sforzi, deve rovesciare tutto quello che ha preso, ha capito? che le debbo dire? si tocchi la trachea, qui, qui. – E le spingeva un dito sulla fossetta della gola. La signora Dora, ingozzata l’acqua, restò un attimo come allucinata: – Non voglio, non voglio, mi lasci morire. Allora Silvia irritata le spinse il bicchiere tra i denti, le

Letteratura italiana Einaudi

277

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

impose: – Beva, beva ancora e poi tossisca, dico, provi, si metta un dito in gola, via, via, un dito in gola. – Le prese la mano, le cacciò il dito grasso in bocca a viva forza. E quella vomitò. Vomitava piangendo, storcendo gli angoli della bocca, sembrava uno di quei bambini. enormi che si portano in giro per le fiere; il viso le si arrossava per lo sforzo, ormai non si teneva piú, ogni poco un nuovo fiotto le saliva alla bocca, le lacrime le avevano formato chiazze nere sul volto per la tintura degli occhi. Silvia ne provava ribrezzo e tuttavia non poteva a meno di immaginare quel volto cosí disfatto sormontato dal cappello con la gran piuma verde che la signora portava il giorno della conferenza. Lo specchio era incontro a loro; «forse adesso si vede» Silvia pensava «si vede cosí e ritorna in sé, capisce». Invece l’immagine della sua sofferenza impietosiva la donna, la quale s’accarezzava i capelli che le colavano sul viso scomposto. S’appoggiava con la testa al muro, si tergeva sulla fronte il sudore; poi si fissava con occhi gravi e tristi, mormorava: – Povera me; perché non mi avete lasciato morire! «Che commedia», pensava Silvia, «neppure morire seriamente avrebbe saputo. Forse il tubetto era già cominciato; forse ne ha mandata giú soltanto una, forse, anche se la cameriera non entrava, non le avrebbe ingoiate tutte, fa la tragedia per mettere sotto gli occhi di tutti la sua sporca delusione sentimentale. Non ha vergogna della serva che domani racconterà l’accaduto a tutto il vicinato.» Con un filo di voce la signora Dora chiedeva: – Portatemi sul letto, mi sento svenire, svengo. Di qua e di là, sorreggendola, Silvia e la cameriera l’accompagnarono. Presso al letto la serva lasciò ogni cura a Silvia e s’affrettò a tirare giú la coperta di seta, a sprimacciare il guanciale. Quando ella si fu faticosamente distesa la coprí con un piumino.

Letteratura italiana Einaudi

278

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

La signora Dora respirava appena, un alito: «svengo, svengo» gemeva: chiedeva aiuto come se la morte dovesse coglierla adesso naturalmente. Frasi spezzate dall’affanno le sfuggivano dalle labbra. – ... lei non sa, signorina... lei non sa... – e intanto le cercava la mano – ... lei è giovane, non può capire... che vigliaccheria, che accadrà di me?... Lei non sa nulla, neppure immagina, neppure... che rovina, che tragedia, mi perdoni,... lei non sa, lei è stata tanto buona, povera signorina, non avrei mai creduto... – Improvvisamente taceva e tratteneva il respiro come per far credere che era morta. Silvia le teneva la mano con diffidenza e frattanto osservava il grasso corpo di lei, floscio, «una vecchia», pensava, «proprio una vecchia», ammassata sul letto, i ginocchi grossi, le caviglie troppo sottili, i capelli d’un rosso carico e il viso impiastricciato di cipria, lacrime e bistro. La signora Dora, visto che trattenere il respiro non bastava a farla morire, riprendeva a parlare come in delirio, parole scucite, oscure. – Buona, lei, tanto buona, anche Guido è buono – si interrompeva, le lacrime le annegavano gli occhi – povero Guido, è molto buono, ma voi non capite, lei non sa. – Tante volte ripeteva questa frase per darle un significato misterioso: – Lei non sa, voi state chiusi con i libri, è un egoismo il vostro, lei non conosce la passione, lei è giovane, molto giovane, forse un giorno mi capirà. Che male alla testa!... La bocca amara... Dio... – e assaporando la saliva s’abbandonava sul letto, lamentandosi, esausta. Allora Silvia fece cenno alla cameriera che tirasse le tende, facesse buio nella camera. Al rumore che produssero gli anelli della tenda nello scorrere, la signora Dora sobbalzò, aprí gli occhi a tondo, poi subitamente rassicurata, fece: – Ah! – e sorrise, un sorriso angelico. – Come potete pensare che dorma? Non c’è piú riposo per me.

Letteratura italiana Einaudi

279

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Grosse lacrime rigavano di lucido il roseo molle del suo viso; piangeva silenziosamente come per non disturbare, per fare con la sua tragedia il minimo di rumore possibile, anima eroica. Che capiscono quelle due ragazzole del suo dramma? E abbassando le palpebre mormorava: – Chiudete, chiudete pure e andate, andate, poverelle, grazie, chiudete – accompagnando le parole con un moto della testa, mite e sottomesso. Ogni poco, improvvisi sospiri le sollevavano il petto gonfio. Le ragazze aspettavano impassibili; quando, dopo alcun tempo, Silvia vide che ella non sorrideva piú e anzi dalla bocca socchiusa le usciva un respiro rumoroso e uguale, s’alzò, si mise in tasca il tubetto del veronal e, facendo segno alla serva di uscire con lei, andò a riprendere il suo lavoro nella biblioteca. Il professore rientrò poco dopo, passò vicino a Silvia a testa bassa, quasi senza vederla, poi ritornò e le disse con un sorriso soddisfatto: – Ho preparato la lezione per domani, è tutta qui. – E si batteva il dito sulla fronte. Poi le dettò gli appunti. – Piuttosto adesso mi dica, se la sa, com’è la seconda quartina di quel sonetto di Chiaro Davanzati: «Io son cierta messer che voi m’amaste...» Sicura Silvia continuò: – «Ed io amai voi, e del mio amor pilgliaste...» -Ah, vero, vero – fece egli colpito, poi lo ripeté svelto tra i denti: dopo, pensando ad altro, chiese: – Vogliamo farci portare una tazza di tè, se Dora... Ma Silvia l’interruppe: – La signora è stata poco bene, un piccolo disturbo, forse qualcosa mangiato a colazione. – Poco bene? – e gli occhi di lui si rivelarono dietro le lenti. – Vado subito da lei. Silvia lo richiamò: – No, no, guardi, adesso no, già passato, già riposa, dorme. – E sorrise per rasserenare le sue parole. Allora egli tornò indietro a piccoli passi, come usava,

Letteratura italiana Einaudi

280

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

quasi in punta di piedi: – Ah, dorme – ripeté. – E si capí che la sua mente già s’era volta tranquilla ad altri pensieri. – Suoniamo alla cameriera, allora, per avere un tè, un buon tè caldo. – Camminava ripetendo di nuovo distratto quei versi: – «Io son cierta messer...» – e poi si fermò guardando la ragazza: – un gioiello, il sonetto vero, Custo? – Sí, professore. Ella lo guardava muoversi, sereno nell’aria dei suoi pensieri come in un’isola irraggiungibile dai rumori e dalle voci del mondo; lo guardava con tenerezza appunto per quella sua ignoranza di ogni cosa, come si guarda un bambino che è orfano e non lo sa. – Quel capoverso, soprattutto, dove dice: «e nulla cosa credo riserbaste – ch’io non la desse in la vostra potenza». Non è vero, Custo? – Sí, professore – ella rispose dolcemente. E gli sorrise come una donna. Ma lui, che si guardava le mani, non la vide. Tornò in collegio stanca, nauseata, non poteva dimenticare quel volto della donna, quel piagnucolare infantile. Si chiuse in camera sua e attendendo l’ora della cena prese un libro. Ma presto Anna venne a bussare. – Ah! ci sei finalmente! – esclamò, felice di trovarla. – Sono tornata da poco, che c’è? – Ha telefonato Vinca chiedendo di te o di Emanuela, che andaste subito a casa sua. Tu non c’eri, Emanuela neanche, io dovevo studiare. È andata Valentina: Luis è ferito. – Ferito?! – e Silvia pensò che quella era la giornata degli avvenimenti straordinari –. Gravemente? – Non credo, ma non hanno ancora notizie precise. Lo ha scritto il fidanzato di Pilar. Valentina dice che Vinca è in uno stato!... Tacque. E ambedue rividero il volto consunto di Vin-

Letteratura italiana Einaudi

281

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ca, come quando venne a trovarle l’ultima volta. «La notte non riesco a dormire, sempre m’aspetto qualche disgrazia» diceva. – E io non potrò andarci domani... Come faccio? Bisogna che ci vada Emanuela, non la lasci sola. Ti ricordi la sua esaltazione quando seppe della partenza di Luis? – Sí, ma non bisogna esagerare, è il suo carattere. Silvia scosse la testa: – Credo che sia l’amore, invece; sai bene, io sorrido quando odo questa parola, l’ho sempre considerato una debolezza; ma quando vedo Vinca penso che è vero, sí, che esiste e m’appare come una forza. E quando sento parlare lei m’accorgo di essere sola e povera. Non è cosí? – Sí, è innamorata, non c’è che dire, ma il suo amore durerà? – Non me lo sono domandato. Ho sempre pensato che l’amore non possa servire di base nella vita, altri valori esistono, piú solidi, se non piú umani. – La famiglia? – chiese Anna. – Anche la famiglia per chi la sente. O forse nessun sentimento può essere da solo base di vita. Forse l’essenziale è nel dare a qualcosa tutto di se stessi, no? Non una piccola parte e tante cose diverse. Vivere, comunque ad alta tensione. E allora l’amore, la famiglia, il lavoro, tutto assume un identico valore –. Restò un momento sopra pensiero, poi riprese: – Che dolore per Vinca! Non è tornata Emanuela? – No, almeno fino a poco fa. Indugiava a rientrare, Emanuela; il collegio era freddo, un gelo di cantina umida si fermava nel vecchio androne. Spesso prendeva il tè in casa di Andrea, con la madre, mentre lui studiava. La vecchia ricamava e le diceva: – Perché non porti un lavoro anche tu? – Ma lei sperava sempre che Andrea smettesse di studiare, venisse in sala

Letteratura italiana Einaudi

282

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

da pranzo con loro. Una grande stanza antica poco illuminata, piuttosto triste: nelle pause della conversazione, mentre la vecchia ricamava, Emanuela pensava che sarebbe stato sempre cosí. L’orologio suonava mettendo in casa un gran frastuono di campane, poi tutto ripiombava nel silenzio. La ragazza si consolava pensando che a casa sua tutto sarebbe stato diverso, anche le pareti, anche i mobili, tutto chiaro e giovane. Però temeva il nuovo aspetto di Andrea che le si era rivelato, un Andrea familiare e casalingo, il quale la voleva elegante sí, bella sí, ma chiusa là dentro con sua madre, ad aspettarlo, ricamando. Quando era bel tempo, invece, uscivano: ma non erano piú incontri segreti, i loro, e il fascino era sminuito. Andrea la conduceva a visitare musei dove si conservavano antichi dipinti, come ai primi loro incontri; ma in queste passeggiate Emanuela non riusciva piú a ritrovare sapore romantico. Avrebbe preferito, perciò, andare dove c’era gente, in luoghi mondani, ma lui scoteva la testa: – Che?! – diceva – impossibile, non resisto in quei locali, io. Ma se vuoi… –. Lei lo seguiva per compiacerlo: egli scambiava questo per comune desiderio. – Sei simile a me – le diceva –. Non potrei vivere con altra donna che con te. Eppure certe volte vorrei scoprire qualcosa in te che mi piacesse meno, per tenerlo in serbo, per affrancarmi –. E allora Emanuela si convinceva che, al punto nel quale erano, non si poteva parlare piú, avrebbe fatto meglio a partire, lasciando una lettera che dicesse: «Non mi domandare nulla, non mi ricercare», come si legge nei romanzi, piuttosto che distruggersi agli occhi di lui raccontando la verità. E andava pensando che alla fine avrebbe fatto cosí. Quella sera erano andati a passeggiare alla periferia, lungo il fiume: adesso, di novembre, alle sette il cielo già era stellato. Emanuela alzando lo sguardo esclamò, rammaricandosi: – Quanto tempo è che non vedo la notte altro che dai finestroni del «Grimaldi»!...

Letteratura italiana Einaudi

283

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Andrea le disse: – Tra poco avremo tutte le notti per noi. Forse egli parlava delle stelle, forse delle notti da contemplare, ma Emanuela ebbe un fremito. – Ci pensi? – insisté lui. – Ci penso. Tacquero, poi Andrea riprese: – Hai visto che certe volte neanche ti bacio? È perché ti desidero troppo e un bacio non m’appagherebbe. E non voglio sciupare nulla. Voglio che tu mi rimanga cosí, tutta ignota. Erano seduti sopra un muricciolo che bordava un prato cupo d’ombra. Un fanale ardeva su un’antenna e sembrava una gigantesca stella, rossa di sangue. Andrea guardava ogni lume che s’accendeva nella folta oscurità. – Vedi quel lume?... lí a destra. – Quello piccolo? – Sí. – Ebbene? – Senti... – e prese a parlare con dolcezza: – potrebbe essere nostro, quel lume, acceso da te. Il lume di una casetta che guardasse il prato. Sta zitta, lasciami parlare. Mi piacerebbe abitare una casa cosí con te. È un sogno, lo so, ma lascia che ti dica il sogno. Una casa a un solo piano, che appena si uscisse dalla camera al mattino si avessero i piedi sull’erba. Accanto ci vorrei qualche pino: i pini a ombrello sai? quelli marini. Lontano il mare; e, sul mare, la luna. Ma non qualche volta; sempre, la luna. Ti piacerebbe? – Sí. – Sta zitta, senti. Per terra i mattoni rossi, quelli che, lavati, paiono dipinti. Pochi mobili, pochissimi. E non ci vorrei la luce elettrica: mi piacerebbe girare per le stanze con la candela, lasciandomi cadere il buio dietro. – Sí – approvò Emanuela, eccitata da quel fantastico discorrere: – Sí, come al collegio, la candela che proietta sulle pareti ombre smisurate; ma lí non avrei paura perché ci saresti tu.

Letteratura italiana Einaudi

284

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Soli – egli continuò: – vicini, nessuno. La gente, passando sulla strada provinciale, dovrebbe dire come noi: «Guarda quel lumicino…» e fare tante supposizioni. – E poi? – Che cosa? – La casa: dí ancora. – Ti piace? – Sí. – Penso che al mattino non si potrebbe dormire a lungo, per gli strilli dei passeri sugli alberi, per quel profumo della terra che si bagna, all’alba. Senti, non avremmo domestici; solamente una vecchia donna, una contadina col grembiule turchino. La donna si chiamerebbe Rosa, mettiamo, si chiamano sempre Rosa quelle donne cosí: tu le diresti: «Senti, Rosa, fa da mangiare, io stendo la tovaglia, qua fuori sull’erba, metti tutto per terra e te ne vai». Rosa, forse, ci prenderebbe per matti. Non credi anche tu che Rosa ci prenderebbe per matti? Si scostò per guardare Emanuela che era rimasta seria seria, assorta; allora Andrea rise: – Ecco, so bene, taci perché hai paura di mangiare male per terra, ti fanno ribrezzo le formiche… – Rideva e quel riso cadeva addosso a Emanuela, la faceva rabbrividire. Allora lei scattò in piedi, riprese il viale: – Dove vai? – A cercarla. – Che cosa? – Quella casa. Rientrando Emanuela s’incontrò con le altre nel corridoio oscuro che conduceva al refettorio. Riconobbero la sua ombra, la chiamarono: – Emanuela, Emanuela... – Che c’è? Risposero tutte insieme, concitatamente: – Vinca... Luis è ferito... Ti cercava... Devi andare da lei, domani.

Letteratura italiana Einaudi

285

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ferito? – fece –. Non sarà morto piuttosto e le avranno detto cosí per prepararla? Su da lontani ricordi, un rigurgito, riaffiorava il viso di quell’ufficiale che accolse lei all’aeroporto, tanti anni fa. Parlava, spiegava, diceva... E Stefano già dal mattino era morto, non c’erano piú gli occhi. – Sarà cosí – insisteva – sempre si dànno queste notizie a poco a poco, con precauzione. Restarono colpite, tutte; Valentina che aveva visto Vinca, parlava animatamente. – Se fosse morto, quelle altre me lo avrebbero detto – diceva –. Però, veramente non siamo mai rimaste sole. Avevano certe facce devastate... sí, sí, se ci penso... è possibile che sia cosí. Oppure le altre non sanno niente e quello spagnolo, Pepe, proprio lui ha scritto cosí per prepararle. Certo, appena lo sa, Vinca s’ammazza! Quando s’alzarono al cenno delle suore, Anna disse: – Preghiamo che non sia cosí! Ma Augusta replicò: – Se è morto, ormai la preghiera non cambierebbe nulla –. E mettendosi in fila s’avviò con le altre alla cappella, entrarono, si sparsero, s’inginocchiarono, le loro voci risuonarono tranquille come sempre. Solo quando suor Luisa intonò il De Profundis, le amiche di Vinca rabbrividirono. * Emanuela uscí dalla casa di Vinca che era giorno ancora; uscí rassicurata, Vinca aveva ricevuto una nuova lettera di Pepe: una cosa di poco conto, la ferita di Luis, il braccio destro, ma niente di grave e anzi sarebbe stato mandato in licenza, a casa, per un mese. Luis non poteva scrivere, ma raccomandava a Vinca di essere tranquilla, lui stava bene, era contento di rivedere i suoi. Poiché Luis ordinava cosí, Vinca tentava di essere serena, di sorridere e parlava del paese. Almeno uno di loro due

Letteratura italiana Einaudi

286

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tornava a casa e certo, prima che la licenza di Luis avesse termine, la guerra sarebbe finita. Lo immaginava a Còrdova, adesso, lo seguiva, parlava delle case, delle strade; poi si scusava di discorrere cosí a lungo di cose che Emanuela non conosceva. – È la patria, sai? La lontananza la fa piú cara. – Presto anche tu ritornerai laggiú. E allora Vinca scoteva la testa: – Non ci tornerò piú. Lo sapevo da quando chiesi a mio padre d’andarmene: forse anche lui lo sapeva, ma fingeva di credere che venissi qui per desiderio di studiare. E sua moglie mi ha detto: «Torna, sai? questa è sempre casa tua». Quel volermene rassicurare dimostrava appunto che ormai casa mia non era piú. Allora era di moda venire a studiare in Italia. Sai che per me, in principio, fu grande fatica studiare? Sí, sí, devi crederlo, ero stata abbastanza ignorante fino allora. Poi intesi che in collegio, all’università mi chiamavano: «la Spagnola». Questo, senza volerlo, m’irritava. È dispregiativo, scostante, come quando i francesi chiamavano Maria Antonietta «l’Austriaca». Vuol dire, insomma «la Straniera». Mi consolai pensando che sarei stata sempre meno straniera qui che in casa di mio padre, qui almeno non lo vedo a sbaciucchiare quella ragazza, posso costruirmi un’immagine di lui, un papà diverso, che in realtà non esiste, che mi ama e desidera il mio ritorno –. Fece una pausa: – Adesso Luis sta a casa. Prima non mi sembrava che fosse tornata in patria, il fronte è uguale dappertutto. Invece da stamattina non faccio che pensare alla Spagna. Siccome si commoveva donna Inez disse: – Vamos, vamos, non piangas per questo. Pensa che Luis no es grave e che poteva ser peggio. – È vero. Cosa conta il resto? Fuori Emanuela si sentí liberata: quando era con quelle tre donne dubitava che fuori ancora tutto procedesse normalmente, era come quando si va a trovare le

Letteratura italiana Einaudi

287

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sepolte vive. Donna Inez, Emanuela pensò malignamente, portava la parrucca, e sembrava un’artista di canto. Soprano drammatico. No. Soprano leggero, quelle che dicono tante parole in fretta, parole incomprensibili e poi inchiodano la sala su un acuto in falsetto. Tale era donna Inez. Emanuela sollevata, leggera camminava e vedendo gli oggetti nelle vetrine pensava soddisfatta: «una cosa mi piace, posso entrare, comperarla». Camminava piú eretta da quando s’era accorta che un uomo la seguiva. Certe volte sbirciava con la coda dell’occhio per vedere se c’era ancora. C’era sempre. Un bel ragazzo. Si guardò in una vetrina e pensò: «Questo vestito mi sta proprio bene». Doveva essere sempre quello il suo modo di vestire, niente fogge complicate. L’uomo ogni tanto le si avvicinava per meglio guardarla, sussurrarle qualche parola: lei assumeva una faccia contegnosa e provava una piccola emozione. Com’è divertente, pensava, e si deliziava in quella passeggiata. Poi rammentò le tre donne di via Sistina, e per non rattristarsi le accusò di essere noiose. Quanta gente muore a ogni istante? Non bisognava farsi travolgere dalle disgrazie altrui. Aveva compiuto una buona azione andando a trovarle, e basta. Chi si preoccupava di lei, in fondo? Chi mai le veniva in aiuto? Bisogna portare le proprie disgrazie con disinvoltura e non farne un lutto nazionale. Allora pensò ad Andrea e a Stefania, un attimo; il vento fresco, spolverandole il viso, disperdeva le loro immagini. Era contenta che Andrea oggi avesse voluto restare in casa a studiare: fa bene ogni tanto un po’ di libertà, non si vuole essere libere per approfittarne, che faceva di male? niente, ma era bello essere sola, traversare la strada quando voleva, non essere costretta a parlare e rispondere: a forza di essere in due si dimentica che è divertente anche andare a spasso da soli. «C’è ancora quel giovanotto». E un sorriso interno la solleticava.

Letteratura italiana Einaudi

288

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Vedendo che ella s’avviava all’angolo oscuro di piazza di Spagna, il giovanotto affrettò il passo. Emanuela, sempre piú divertita, suonò alla porta del collegio, entrò, la suora richiuse. Quello sul marciapiedi incontro restò deluso. E lei sorrise soddisfatta come per uno scherzo ben riuscito. Era allegra e tutto prendeva un aspetto umoristico ai suoi occhi: chi sa perché era allegra, forse perché le stava bene quel vestito, o senza ragione. Neppure s’intristí vedendo le suore scivolare pei corridoi, sommesse come bisbigli, le porte uniformi, i finestroni sprangati. Saliva le scale saltellando, a passo di danza; a ogni pianerottolo c’era accoccato un altarino con fiori di carta, la Madonna pareva fatta di zucchero come le pecorelle di Pasqua. Le mandò un bacio sulla punta delle dita, poi entrò in camera di Silvia che leggeva al tavolino: – Come fai a studiare cosí al buio? – disse e accese la luce del centro. Silvia le si rivolse come assonnata, gli occhi gonfi di studio. Emanuela si sedette sul letto, facendolo sobbalzare, esclamò, il cappello tra le mani: – Che bellissimo autunno! Súbito Silvia le chiese: – E Vinca? Allora l’altra s’attristò e prendendo un’aria d’occasione le disse: – Non è nulla di grave, sai? in fondo ieri sera siamo state noi a creare la tragedia. Un graffio al braccio e se ne va a casa in licenza. Ora capisco perché sono tanto allegra; mi sono tolta l’incubo della morte di Luis. Vinca parlava della Spagna. Me ne ha messo addosso la voglia. Ci andrò. Naturalmente, quando avranno finito di sparare. A tavola Augusta fece a Emanuela, sottovoce: – Vieni su da me, dopo. Le offrí ancora di quel rustico liquore e sigarette; lei, parlando, se ne versò un secondo bicchierino, senza

Letteratura italiana Einaudi

289

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

neppure piú invitarla a bere, seguendo un’abitudine presa essendo sola. Emanuela le parlò dí Vinca che, tranquilla per Luis, aveva ripreso a piangere per la Spagna. – Sí – Augusta assentiva – sono quei paesi che non ci abbandonano, anche se ce ne andiamo lontani, come la Sardegna. I paesi nei quali ancora vivono i miti e le tradizioni; si può andare dovunque, mescolarsi a gente diversa, sempre sardi si resta. Tu, per esempio, non parli mai di Firenze. – Ti sembra? – stupí Emanuela e dopo un attimo di riflessione, ammise che sí, forse era vero, quasi l’aveva dimenticata. Eppure amava quel solitario passeggiare al tramonto, raccogliendo l’ultimo oro sui ponti; ma s’era adattata facilmente qui, in fondo s’adattava facilmente dappertutto. Palpeggiando le cartelle che aveva avanti a sé, sul tavolo, Augusta raccontava che, nel pomeriggio, era stata a una conferenza interessantissima. Emanuela pensava che Augusta sarebbe divenuta una di quelle zitelle che sono l’assiduo pubblico di certe speciali manifestazioni. Poi passò a parlare di suor Lorenza: – Sta diventando maniaca, è smagrita, hai visto? Teme che le sovvertano le alunne. È venuta da me per domandarmi se suor Luisa ci dà disposizioni in suo nome, a dirmi che lei non sa nulla, nulla, la tengono all’oscuro di tutto, dice che scriverà a Genova. Però incontrandosi con le altre si fanno il lieve inchino con la testa, pregano e cantano insieme, una sola voce. Questa è la pace del chiostro!... Di tutto parlava fuorché del romanzo e allora Emanuela la richiese: – E il tuo lavoro? Prima di risponderle Augusta accese un’altra sigaretta. – Ho detto anche alle altre del romanzo, sai? – fece – ma vagamente... Lo leggeranno poi, stampato. Silvia farà un po’ d’ironia. Augusta non amava Silvia. Questa era tanto semplice e limpida che appariva spietata; dinanzi a lei chi aveva

Letteratura italiana Einaudi

290

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

qualche cosa da nascondere si sentiva come guardato addentro. Anche Emanuela si sentiva a disagio quando parlava con Silvia, mai avrebbe osato mostrarsi a lei com’era veramente e per piacerle si truccava di semplicità. Silvia non perdonava, forse la sua intransigenza morale non era che saggezza e pedanteria di donna brutta, di chi non ha nulla da farsi perdonare. Emanuela stava per chiedere ad Augusta: «Credi che Dio giudicherà nella stessa misura la donna bella che vive in mezzo alle tentazioni e una povera storpia che hanno fatto monaca? Credi che le considererà ugualmente donne?» Ma guardandola tacque. Augusta riprendeva: – Adesso ti racconto. Ancora sono oppressa dalla fatica. Voi – disse con una punta di sprezzo nella voce – voi non sapete cosa costa tutto questo. Quando passate avanti alle vetrine di libri guardate come si guarda una vetrina di piatti: i colori, le figure delle copertine. Quante ore di fatica dietro ogni libro, quanti patimenti, quanto sangue, non carta, ma carne viva. Se la vetrina contenesse, col libro, tutta la passione dello scrittore la vetrina esploderebbe. Michelangelo, mandando in dono a Vittoria Colonna un Crocefisso scolpito da lui, dietro vi incise: «Non vi si pensa quanto sangue costi». Sangue. Sangue. E la gente passa e ripassa avanti alla vetrina, va oltre, il libro è lí con tutta la sua ansia contenuta tra pagina e pagina, a casa lo getta tra gli altri, lo legge mentre è aperta la radio, per godere di due cose alla volta. Poi alla fine, magari torce la bocca. Emanuela ricordò invece di aver letto in un romanzo di Huxley che un buon libro e un cattivo libro costano la stessa fatica. Augusta aveva già preparato il lume perché il buio non la sorprendesse. Le raccontò la trama del romanzo a voce bassa come se si confessasse; raccontò a lungo alzandosi spesso per bere; parlava con un tono di voce cosí fosco e misterioso che Emanuela ne fu impressionata.

Letteratura italiana Einaudi

291

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Che deve fare la donna per liberarsi dalla tirannia dell’uomo? Bisogna che si sostituisca a lui. Una vita autonoma, affrancata anche dalla servitú dei sensi: piena indipendenza dello spirito e della carne. La grande trovata del romanzo era qui: i personaggi avevano nomi irreali, compivano azioni irreali. Alla fine l’uomo era scacciato dalla vita della donna come Lucifero dal Paradiso; le donne di giorno lavoravano, di notte ascoltavano la musica senza sbadigliare o desiderare di piú. – E poi – Augusta continuava chinandosi verso l’amica, parlandole sul volto, quasi, sommessamente – e poi cosí nessuna di noi temerà piú la vecchiaia, il disfarsi della propria bellezza. È una morte, sai? vedere a poco a poco sfiorire, afflosciarsi il proprio corpo. E tutto questo ci spaventa perché ci sono loro, gli uomini. Quando ognuna di noi avrà una propria vita indipendente, di questo non si preoccuperà piú. Se la donna invecchia, l’artista rimane sempre giovane; anzi è con l’avanzare degli anni che raccoglierà le maggiori soddisfazioni, o, se lavora nel commercio, nell’industria, che ricoprirà le cariche piú elevate. È una salvezza, capisci? Se Emanuela avesse letto un simile libro, forse si sarebbe messa a ridere, ma era suggestionata dall’ambiente, la casa che taceva, quella luce oleosa che sulla bianchezza del soffitto disegnava un’aureola di cerchi concentrici, la voce di Augusta e Augusta stessa che appariva qualcosa come una medium o una zingara. La tesi del suo romanzo l’aveva tanto presa da toglierle quanto ancora fosse di femminile in lei. Sembrava che il suo paese le stesse dietro le spalle come quando narrava di certe magíe e di certe superstizioni, di certe storie avvenute nel suo villaggio che era a un gomito di bosco, solitario, di quel raccogliersi in cucina attorno al fuoco, mentre il vento ululava sinistramente: diceva che ognuno, allora, si cercava nel cuore il peccato, ne chiedeva perdono a Dio.

Letteratura italiana Einaudi

292

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Cosí convinta a questa nuova religione Emanuela a occhi sgranati annuiva e si dimostrava persuasa. Sí, Augusta aveva ragione, bisognava che tutte si convincessero. Le avrebbe convinte tutte. Immaginava Augusta andare per la campagna, per i boschi, girare in una carretta, fermarsi sulle piazze dei paesi, chiamare a raccolta e parlare. Forse le donne l’avrebbero seguita lasciando le loro case; sarebbero andate ad accamparsi tutte insieme, chi sa dove, creando una città nuova. Non vi sarebbero piú state pene per Stefania e per Andrea; sarebbe stata in pace ad ascoltare la musica come predicava Augusta. Ma quella già non le badava piú. Aveva parlato solamente per udire il suono delle sue parole e convincersi che vivevano anche al di fuori di se stessa. Tutto di lei era ormai divenuto solitario: il gusto di bere e di fumare, il godimento delle lettere e della musica. La presenza di Emanuela estatica e trasognata, lí, davanti a lei, la disturbava. S’alzò congedandola e, concludendo, disse riunendo le cartelle in un bel pacco ordinato: – Tra quindici giorni lo mando a un editore, un editore intelligente che capirà. Emanuela uscí, si ritrovò nell’ombra fitta; scivolava lungo il muro e il fruscío del suo vestito somigliava quel pauroso sibilare del vento attorno alla fattoria di Augusta. Scendeva le scale, incerta, e intanto riandava a quei giorni passati con Stefano, nascosti, segreti e ai sotterfugi che doveva architettare per vedere Stefania. Bisognava parlare ad Andrea; troncarla definitivamente. C’erano sempre, in questa vita comune di uomini e donne, cose taciute, celate e bisognava uscirne, avere una limpida vita alla luce del sole. Ma chi ha veramente la vita limpida? chi non mente? chi conosce cosa c’è dietro la fronte di ognuno? L’uomo che siede accanto a noi in tram forse è stato dieci anni in prigione per assassinio e questo non si sa, non si vede, la sua colpa non esce a

Letteratura italiana Einaudi

293

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

macchie sulla pelle, siamo tutti uguali perché abbiamo la comune difesa della fronte dietro la quale nessuno può seguirci. E dietro la fronte tutti custodiscono qualcosa d’inconfessato del quale si potrebbe arrossire. Certo al buio tutti hanno paura e tutti hanno paura della morte. Giunse avanti alla porta della sua stanza e istintivamente avrebbe voluto andare oltre, ritrovare Milly. Perché non c’era piú Milly? Avevano ragione le compagne di chiedersi se mai era stata. Forse ella in ognuna rappresentava solo il desiderio di bontà, nascosto, quasi mistico che nessuna sapeva raggiungere, la parte migliore di noi che ci libera. Forse pensando a lei tutte provavano il desiderio di poter abolire la fronte senza arrossire. Eppure a Emanuela tutto ciò che era tra le pareti del collegio le appariva fantastico, una vita anormale di gente rinchiusa e avida che si arrovella la testa in discussioni e problemi. Si passò la mano sulla fronte per liberarsi dalla suggestione delle parole di Augusta. Aveva voglia di uscire all’aria, non piú sentire parlare delle cose solite, neppure di Andrea. «Dico cosí» pensava amaramente «e poi domani tornerò con Andrea perché non so che fare, non ho altro e tornerò su da Augusta ad ascoltare i suoi discorsi, proprio per provare una scossa, come quando si va a vedere il castello delle streghe al Luna Park». * Súbito dopo l’arresto di Dino, Tom Barchi era partito. La Mary, temendo di essere ricercata anche lei, era andata a trovare Xenia, ma guardandosi attorno, timorosa. Era arrivato un foglio che invitava Tom a presentarsi in questura ma lui già stava al largo. Però sarebbe ritornato presto, l’avvocato aveva detto che per lui non c’era da temere. Tutte le firme erano di Dino, tutto stava

Letteratura italiana Einaudi

294

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sulle spalle di Dino e lui, certo, non avrebbe trascinato gli amici con sé. La Mary, piú pallida del solito, tossiva di frequente. Per la prima volta parlò del suo male. – Sai? – diceva – la tisi è una malattia che non si vede, non deforma, e per questo mai sembra veramente grave. Siccome ci si sente bene alcuni giorni neppure si mette il termometro, non ci si pensa piú. Quando dicono: «Vada in montagna», sembra quasi che sia per divertimento e si prova rimorso di stare lassú senza far nulla a spendere quattrini. Come si può morire sentendosi bene? La febbre... Sí, ma in fondo la febbre... Quando però accade una disgrazia, allora ti ricordi di aver anche quel male dentro che ti rode la vita e lo senti ingigantire, gonfiarsi, capisci? Mary era molto graziosa, bionda e alta, pareva un’inglese per quella calma degli occhi acquosi, senza intelligenza: sotto la pelle sembrava non avere sangue, ma latte freddo. Tom, con quel vestito a grossi quadri, la giacchetta corta, la pipa e quel suo camminare barcheggiante, non era l’uomo adatto per lei; ma la vita non lascia tempo di scegliere e i due andavano d’accordo. Mary era sempre quieta e remissiva, sembrava vivere di riflesso come la luna. S’accese soltanto quando disse che Horsch era un farabutto. – Tu sai come sono andate le cose, sai che l’affare era di lui, di Horsch. Ma spingeva avanti Dino sempre, Dino che era un po’ facilone negli affari. E credeva a tutto perché, in fondo, lui era onesto e però s’era lasciato attrarre dalla vita facile. – Sí – approvò Xenia: – è difficile rifiutare la vita facile. Mary sospirò assentendo; e poi riprese: – Sai? quella di Dino è cosa complicata, un’altra volta, anni fa, già aveva avuto, sí..., insomma, un’altra grana, e se l’era cavata. Adesso è, come si dice? l’ha detto l’avvocato: recidivo.

Letteratura italiana Einaudi

295

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non lo sapevo, ma capisco. – E ti sembra giusto che Horsch...? Io lo disprezzo. – No, non è giusto. Ma appunto, tu dici bene; tutto quello che noi possiamo fare è disprezzarlo. Bisogna imparare a sopportare molte cose dolorose. Ti sembra giusto, per esempio, che noi siamo messe a bando dalla società, sí, confessiamolo adesso che siamo sole, soltanto perché un uomo ci mantiene? Ma quante si fanno mantenere dal marito e lo tradiscono? E quello lavora, le ama teneramente, patisce e fatica per il loro benessere. Ti sembra onesto questo? – S’era alzata e camminava nervosamente, ferita dalla crudezza delle sue stesse parole; a tratti s’arrestava per fissare l’amica in faccia. – No, non è onesto. Ma al mondo non ci sono onesti e disonesti. Ci sono poveri e ricchi; e i poveri è inutile che vadano a gridare sotto la Bastiglia. C’è una sola forza al mondo e sai qual è? il denaro. Con quello puoi comperarti anche l’onestà. Tacque e rimase meravigliata a considerare quello che aveva detto, come se fosse stato espresso da un’altra persona; ragionava cosí da un po’ di tempo e però nell’udirsi se ne sorprendeva. Tutto s’era capovolto in lei; ciò che prima le era apparso irreparabile disgrazia, era stato quello che aveva sistemato le cose per il meglio. Dove sarebbe adesso, se avesse preso la laurea? Se avesse avuto le referenze adesso lavorerebbe con quella Banca: pareva tanto gentile, quel pezzo grosso, ma poi, chi lo sa... In fondo doveva tutto a Vandina, o neppure, perché Vandina non si rendeva conto di farle del bene, altrimenti, forse non glie lo avrebbe fatto, avrebbe cercato di farselo per sé, senza riuscirvi, perché non era destino. Il destino è al disopra di noi sulla nostra testa e regola ogni persona per i fili. Il destino è fatto da brevi istanti, da incontri. Epperò certe cose si prevedono; lei aveva sempre intuito che il suo soggiorno al paese era provvisorio, che qualcosa l’aspettava e non doveva sedersi rassegnata.

Letteratura italiana Einaudi

296

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Aveva aspettato ed ora, ecco, era arrivato Raimondo Horsch. Horsch andava da lei ogni giorno perché non s’abbattesse; un giorno che non venne, Xenia, inquieta, gli telefonò. Non poteva venire, era sabato: il sabato partiva sempre per Menaggio. A Menaggio, Dino aveva detto, abitavano la moglie e la figlia: Xenia cercava di immaginare la casa dove queste due donne vivevano, si diceva, in grande modestia; ma non le riusciva, poiché arrivando alla casa di lui, il suo pensiero se ne ritraeva con discosto rispetto. Le immaginava silenziose, solenni. E il lunedí accolse Horsch con insolita allegria, gli chiese: – Avete passato una buona domenica? Lui rispose con un’altra domanda: – E voi? Non bisognava insistere, Xenia capí: nella vita di Raimondo Horsch il sabato e la domenica dovevano essere, per lei, una zona oscura. Si sentí ferita al principio, e poi anche questo divenne cosa normale, s’accorgeva che a poco a poco tutto sarebbe divenuto cosa naturale nelle sue abitudini di vita. E a Horsch non avrebbe osato ribellarsi. Xenia aveva soggezione di quei gesti misurati, di quelle parole misurate, di tutto ciò che di lui non sapeva, perché egli si scopriva pochissimo. Lei ogni giorno chiedeva: – Quando potrò vedere Dino? – Egli rispondeva: – Presto, molto presto – ed esaurito questo dovere si mettevano a parlare d’altro. Xenia ricordava Dino con un po’ di condiscendenza, come le amiche di collegio; se fosse stato rimesso in libertà non avrebbe saputo come fare. Spesso rammentava il fruscío setoso del pigiama di Dino in quella loro prima notte. Adesso, abituata alla finezza di Horsch, alla sua conversazione, riconosceva che Dino, veramente, era un po’ volgare. Avanti a Horsch si sorvegliava sempre, e si maravigliava che quell’uo-

Letteratura italiana Einaudi

297

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

mo lí, con quella intelligenza, un uomo come lui, fosse innamorato di lei. «Io» pensava guardandosi allo specchio, «proprio io, questa qui». Horsch le diceva spesso: – Voi siete una donna non comune, Xenia; nessun’altra vi somiglia –. «Deve essere proprio vero», ella pensava, fin dall’infanzia lo aveva creduto. Che cosa c’era in lei di misterioso fino dalla nascita? Era veramente figlia di quei genitori, lei, con quelle sue mani fini e quell’armonioso modo di parlare e di muoversi? Tutto ciò era miracolo. Horsch le aveva detto: – Partite, perché non volete piú adesso? prima desideravate andare in Riviera. E lei non aveva chiesto neppure: – E i soldi chi me li dà? – Aveva obiettato: – E la casa? – per sentire cosa rispondeva, se si faceva invischiare, legare. – Penserò a tutto, sistemerò tutto. Sarà bene liquidarla la casa, sarebbe malinconico per voi tornarvi ad abitare e poi è una casetta meschina, in un quartiere popolare. Non vi preoccupate di nulla, pensate a partire. Il giorno dopo, per la prima volta, le dette danaro; lei, senza guardarlo, lo mise tra le pagine di un libro e disse graziosamente: – Vi ringrazio, – poi tornò a parlare di altro. Cosa contava molto danaro per una donna come lei? Infatti, una volta che raccontava del collegio, della sua fuga, Horsch, senza farglielo notare, l’aveva interrotta. Era stata una mossa falsa, ella lo capí, non si deve piú parlare del passato; anzi, perché non inventarne addirittura un altro, differente? Bastava ascoltare il tono con il quale Horsch congedandosi le diceva: – Buona notte, amica mia – per capire che quell’infanzia nella miseria, quel passato mediocre non poteva essere stato di lei. E pensare che la notte dell’arresto di Dino s’era tanto disperata!... Telefonò a Mary e le disse di non venire il domani, doveva uscire, una cosa importante. «Se no» pensava «quella ricomincia con i discorsi della giustizia».

Letteratura italiana Einaudi

298

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

La sera che Horsch le portò una spilla di rubini, Xenia, prima ancora di ringraziarlo, esclamò: – Oh!.. io che amo tanto i rubini! – Lo disse come se sempre nella sua vita ne avesse avuto la scelta tra le altre pietre. Súbito si sentí soddisfatta del modo col quale lo aveva detto. Poi gli versò il whisky, si rannicchiò sul divano e parlando cercava di non guardarsi quella fiamma rossa sul petto: però se la sentiva ardere. E quando egli fu andato via corse a guardarsi. Non poteva a meno di pensare a Emanuela, tante pene per quello smeraldo. Poi si rammaricò di tali pensieri, comprendendo che in questa istintiva meraviglia era la prova della straordinarietà della sua fortuna. «Io faccio finta di non maravigliarmi di nulla. Invece debbo effettivamente non maravigliarmi di nulla». Horsch le telefonò che il giovedí seguente ella avrebbe potuto vedere Dino, l’avvocato aveva ottenuto un permesso speciale: lei fece soltanto: – Ah, bene –. Ma il cuore prese a batterle forte come quella prima sera, quando tutto intorno a lei sembrava crollare travolgendola. Il mercoledí Horsch andò di nuovo a trovarla; voleva portarla fuori a cena, per distrarla, ma lei rifiutò: – Ancora no – disse, quasi pregandolo di rispettare un lutto troppo recente. Pranzarono a casa di Xenia, era la prima volta; lei nel dire alla cameriera: – Il signore pranza con me – capí che la cosa cominciava veramente. E fu la tacita indifferenza della domestica a confermarle che ormai anche questo diveniva normale. Sedettero a tavola silenziosi, quasi imbarazzati. Xenia osservava Horsch attentamente nella luce che lo colpiva dall’alto. Era calvo, un po’ grasso, di portamento giovanile. «Deve avere almeno quarantasei anni» pensò, e intanto andava guardandogli le mani mentre si serviva; mani grasse da parroco, meglio da monsignore, per quella rotonda bianchezza. Mani già vecchie. Sí, certo, doveva avere piú di quarantasei anni.

Letteratura italiana Einaudi

299

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Pomeriggio del giovedí: il cielo era piovoso e basso, un velo d’acqua faceva specchianti le strade; le finestre delle case erano cupi occhi neri. La gente camminava rasente i muri, ammollita dall’acqua, senza testa con un gran fungo nero e lucido sulle spalle, scompariva nei portoni con sollievo. Síbili seguivano il lento passare delle automobili. Xenia mise l’impermeabile, un cappello calato, uscí per tempo e andò a prendere il tram; non poteva arrivare a San Vittore in tassí, uscire dalla sua casa comoda, calda e in un salto farsi trasportare lí, quasi andasse al teatro. La pioggia le bagnò le scarpe, i piedi. Il tram non passava mai, con lei aspettavano tante altre persone, poi salirono insieme, rifiatando. Nel tram l’acqua sgocciata dagli ombrelli formava pozze e irrigava il linoleum infangato. Lungo i vetri dei finestrini, correvano gocciole rapide, incerte: lei si guardava nel vetro di contro, immagine evanescente: la pioggia rigava il suo volto come se lacrimasse; nella vettura gremita le scosse la sbattevano di qua, di là, secondo le svolte, le facevano strofinare il suo braccio ad altre braccia bagnate. Scese dal tram, salí in un altro. San Vittore era molto lontano da casa sua. La gente a ogni fermata scendeva, si spandeva; infine, confusa in un gruppo, Xenia scese, s’allontanò. Portava addosso tutti quei contatti. Nessuno certo aveva pensato che lei andasse alle prigioni, una signorina cosí distinta. Quando entrò nel portone, la stanchezza e lo smarrimento le davano un aspetto afflitto. Era questa «la prigione» della quale da tanto tempo si parlava in tono bisbigliato e sommesso. Si rivolse al guardiano con quell’aria speciale che si assume per chiedere di vedere un innocente che sta lí per isbaglio. Mostrò il permesso, disse, ringraziò con tanta gentilezza quasi per indurre quello a pensare: «Amico di questa qui non può essere che una persona per bene». Il parlatorio, uno stanzone color polvere, che prendeva luce da un lucernario inferriato, era diviso a metà da

Letteratura italiana Einaudi

300

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

due grate parallele, tra le quali una guardia passeggiava. Dalla parte dei visitatori come dall’altra, davanti ad aperture, grandi appena lo spazio di una faccia, erano messi sgabelli di legno. Odore di rinchiuso e di sudore, nel silenzio cadenzato dal passo greve della guardia che andava in su e in giú, gli occhi a terra. Lí dentro c’era già una donna in colloquio con un vecchio seduto a gambe aperte per la pinguedine; sulla nuca una piega di grasso e un solco profondo come una cicatrice. Sorrideva, con un sorriso rassegnato e sottomesso, e ascoltava la moglie facendo sí, sí con la testa mentre sbucciava un’arancia che lei gli aveva portato e che spandeva attorno un fresco odore; attento a non lasciar cadere i pezzi di buccia, se li metteva in tasca simile ad un bambino che abbiano sgridato perché ha insudiciato il pavimento. La donna portava un padellino in testa e un paltò di pelusce. – Sta tranquillo – gli diceva – sta buono. C’è l’avvocato che ci pensa, devi uscire súbito, ha detto che è cosa di giorni, hai capito? – Gli parlava in un tono blando, come s’usa coi malati e coi bambini. E lui taceva e continuava a fare sí, sí, mettendosi in bocca gli spicchi dell’arancia. Quando Dino entrò, Xenia balzò in piedi pallida e lo chiamò, avrebbe voluto abbracciarlo, ma la grata stava tra di loro; egli s’appoggiò alla grata e disse con voce che voleva essere sicura: – Non può mica andare sempre bene, vero, piccina? E fece un gesto a mostrare intorno, sí, insomma era questa che lui aveva sempre chiamato «la galera». Voleva sorridere, ritrovare la sua spavalderia e invece, imbarazzato, si cacciò la mano in tasca e rimuginò come cercando qualcosa. Senza colletto, il vestito sciattato, la barba di due giorni: uno straccio, pareva. Anche Xenia taceva, non sapendo che dire; infine gli chiese dolcemente: – Come stai? – Parlarono di cose insignificanti, anche del tempo che faceva, i minuti passa-

Letteratura italiana Einaudi

301

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vano ed essi nulla trovavano per uscire da quel vano discorrere. Tutti e due si sentivano impensatamente vuoti come una canna. – Mangi? – gli chiese Xenia. Sí, mangiava; pagando si può avere quello che si vuole, è buono il vitto, ma certe volte manca la voglia, allora dava il suo pranzo a quelli che non l’avevano, cosí fu per la bistecca di ieri sera. – Io la mando sempre a un poveraccio che passando per andare a prendere aria nel cortile mette gli occhi alla mia grata; tre dita di latta bucherellata, la grata, non piú; dunque dicevo, lui mette gli occhi lí, dice: «Coraggio, sai?» I primi giorni sono molto duri. Non il primo, magari. Il primo s’aspetta che da un momento all’altro la porta si apra e ti rimettano fuori; passeggi, neppure ti siedi, è inutile, tanto si uscirà subito, adesso. Ogni passo nel corridoio sembra essere quello di chi ti deve liberare, riportare per la strada; il secondo poi, sei sicuro che ti faranno uscire, non può tardare, ci sono gli amici, fuori, che diamine, se ne interesseranno. Il terzo... Il quarto è disperante, quando vedi che le ore passano, senti suonare la campana a una chiesa vicina, la luce se ne va, un’altra notte s’avvicina e non viene nessuno e sei solo, solo, proprio solo, non sai a chi parlare, con chi sfogarti e non puoi chiamare quelli di fuori, forse neppure se ne ricordano, non fanno niente. Quando s’è fuori non si pensa a chi sta qui dentro –. Fece una pausa, sorrise, disse: – Poi ci si abitua. Allora Xenia lo confortò: – Ma sai bene, la cosa è in mano al Ranieri, sai che avvocato è, sta tranquillo, si tratta di giorni –. E s’avvide che le sue parole erano uguali a quelle della donnetta, la donnetta che adesso stava in silenzio, infreddolita stringendosi nel paltoncino di pelusce; il marito di fronte la guardava, le mani tra le gambe, e tacevano entrambi aspettando il momento di andare lei fuori, lui dentro. Quando la guardia passava davanti a Xenia e Dino,

Letteratura italiana Einaudi

302

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

loro due non si vedevano per un attimo ed era come se fossero sbalestrati ad incommensurabile distanza, bastava quel corpo tra di loro perché non esistessero piú l’uno per l’altro. Lo sguardo di Dino era divenuto simile a quello dell’altro detenuto, vacuo, come d’uno che sogni a occhi aperti attendendo qualcosa di straordinario, un miracolo. Anche lui faceva con la testa sí, sí, diceva: – Vero? sí, lo so bene, è questione di giorni –. E si rallegrava. Intanto Xenia l’osservava: un uomo finito, finito. Non era possibile che fosse lo stesso di quella sera che cenavano in albergo a San Remo, bevevano, e l’orchestrina suonava Mozart; erano pure state ore felici! Non parlava mai d’amore, Dino, e ogni giorno, però, faceva per lei quello che poteva, andava anche in prigione. Forse non immaginava che il suo guaio fosse cosí serio, che gli altri non pensavano che a cavarsi loro dagli impicci e tutto ormai ricadesse soltanto su di lui. Xenia lo guardava con infinita tenerezza come un ricordo che si vuole trattenere per un attimo prima che scompaia per sempre. – Dino… – fece affettuosamente. – Già. E tu come te la passi? – Non ti preoccupare per me. Gli fece intendere che sí, adesso bisognava che stesse tranquillo, che pensasse a lui, il suo caso era il piú importante, per il momento. E lui consentiva pianamente creando in sé la fiducia, anzi la certezza, sí che: – Tanto, sai bene, tra poco esco – con voce sicura soggiunse. Forse Dino con questa frase aveva voluto allontanare ogni spiegazione, pensò la ragazza: non si occupa piú di me, accetta che debba occuparmene io ormai, tutto è finito e sono libera... Cosí lei credette di comprendere, e lo ringraziò d’un sorriso. Povero Dino, con tutta la sua biancheria di seta come s’è ridotto, adesso! Ma aveva capito che non poteva sacrificarla a lui. E forse, invece,

Letteratura italiana Einaudi

303

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

egli aveva parlato cosí soltanto perché stava là dentro chiuso, coi suoi pensieri d’uomo sotto chiave, e lei era libera, viveva della vita di fuori, dove non si pensa alle prigioni, ai carcerati: e quelli lí dentro non ricordano che fuori vi sono le necessità di danaro, i debiti, l’affitto. Fuori è aria libera. E nella loro solitudine non pensano che a questo: alla libertà, e il loro ossessionante tormento rimbalza tra le quattro pareti sorde logorando a poco a poco il cervello e il loro essere umano. Dino chiese: – E Tom? buon figliolo, Tom. – Ti vogliono molto bene, anche la Mary. È venuta sempre a trovarmi, lui è stato qualche giorno in viaggio, sai?... adesso è tornato. – Ah, è tornato. – Sí, ieri. – Ieri – disse piano Dino, – ieri hanno fatto quindici giorni dal mattino che sono stato preso. Sedici, oggi. A testa bassa Xenia attendeva l’altra domanda, la sentiva già negli orecchi: «E Horsch?». Non poteva mentirgli: «Sí, anche Horsch è venuto» avrebbe risposto. E Dino avrebbe compreso. Che dovevi fare, povera Xenia? Sí, come te infatti, anche tu non potevi fare altrimenti, povero Dino. L’onestà è una gran soddisfazione, sempre gli idealisti lo ripetono, ma gli idealisti non parlano mai di denaro, di come si fa per tirare avanti, per mangiare. E ci s’arrangia, allora. Un po’ meno di idealità, un po’ piú di denaro. Ma Dino non domandava nulla, giocava con le dita. Entrò il custode annunciando che il colloquio era finito e restò sulla porta ad aspettare. I due detenuti s’alzarono in fretta, ansiosi di mostrarsi ubbidienti. S’accostarono alle donne e dissero loro: «Addio», sorridendo come se andassero in giardino a giocare. Dino mise la mano nell’apertura delle sbarre, Xenia gli dette la sua, le trattennero unite guardandosi: – Forza, eh? bambina –. Pareva tornato il Dino di una volta; ma fu un attimo sol-

Letteratura italiana Einaudi

304

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tanto, poi si volse al custode per rassicurarlo che andava súbito e disse a Xenia: – Torna eh? – agitando la mano in segno di saluto. Essa annuí sorridendo e lo vedeva indistintamente, povero Dino, perché aveva gli occhi appannati per le lacrime; i due scomparvero oltre la porta laterale. La donnetta, rimasta accanto a Xenia, la guardava: – Esce presto? – fece indicando con la mano la porta dove i due uomini erano scomparsi. – Sí, sí, presto. S’avviarono insieme, affettuosamente. Poco discosto dalla porta del parlatorio, un detenuto vestito a strisce alterne marrone chiaro, marrone scuro, lavorava a riparare alcuni fili elettrici. Xenia lo fissò con gli occhi sbarrati e si fermò per vederlo da vicino. «È un galeotto» pensò e senza volerlo immaginò Dino vestito con quelle strisce, con quelle scarpe. L’altro, sentendola ferma lí presso, da chinato com’era, levò la testa a guardarla di sotto in su e, scorgendola giovane e bella, le sorrise. La ragazza riprese a camminare in fretta e intanto pensava con orrore: «Ridono, stanno qua dentro, vestiti cosí, e ridono». La vecchietta accanto a lei seguitava a discorrere: – Il mio non uscirà presto. Chi sa quando andrà il processo. Lui crede d’avere la libertà provvisoria; ma non uscirà. Di che si tratta... il suo? – Di che?... Affari. – Truffa? – la vecchia corresse. E Xenia non replicò, chiese anzi: – E lei? Quella scosse la testa: – No. Tentato omicidio. Ma sempre per questa… – e si batté la mano sulla bocca. – Fame. Uno che lavorava con lui e non gli riconosceva la sua parte. Lo sfruttava da tanti anni –. Piú piano aggiunse: – Non l’ha preso, però –. E si capiva che se ne rammaricava. Poi inclinando la testa in un moto d’intesa confidente, chiese: – È il marito?

Letteratura italiana Einaudi

305

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Xenia assentí. E intanto si sforzava di ritrovare la faccia del vecchio, una faccia pingue, bonaria, chi sa da quanti anni sopportava. «Non onesti e disonesti, ma poveri e ricchi vi sono, al mondo». Adesso il vecchio sorrideva, appagato. La donna le camminava accanto dondolandosi, e sul portone si fermò; alzò gli occhi al cielo, fece: – Ancora piove. Io, scusi, vado in fretta, devo ancora preparare la cena –. E con un cenno d’addio la lasciò. Xenia la guardò allontanarsi, curva, nella pioggia. Horsch non si fece vivo in tutto il giorno, e Xenia non lo cercò; era immersa nella grigia atmosfera delle carceri, sentiva perfino sulle mani l’odore dell’arancia che il vecchietto sbucciava, con calma. Doveva essere di quegli uomini tranquilli che resistono, resistono, docili, finché un giorno freddamente ti saltano al collo e stringono con una forza insospettata. Poi prendono il tram e vanno a costituirsi al piú vicino commissariato. Terribile la prigione, vivere rinchiusi con tante diverse tragedie; un mondo stravolgente; l’aveva compreso vedendo Dino cosí, con la barba lunga, senza cravatta, avvilito. Non se l’immaginava cos’era la prigione, Horsch: contro di questi la prese una ribellione improvvisa. Non lo cercò. Era irritata contro di lui per quella sottomissione che era nella voce di Dino. Forse egli vedeva oltre i muri della prigione Horsch che gli portava via la donna come gli aveva portato via la libertà; per fame. E allora Xenia riconobbe che si diceva cosí per compatirsi; non fame, ambizione. Al mattino, uscendo, mentre si metteva certe costose scarpe nuove, riebbe tra le mani, nel pensiero, le fangose scarpe malandate che portava al paese, sulle calze fitte di rammendi. Sí, ambizione, perché, insomma, gli voleva bene povero Dino ma non poteva per questo rinunciare al proprio avvenire. Il giorno dopo telefonò a Horsch: egli le disse che sarebbe andato

Letteratura italiana Einaudi

306

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

da lei la sera. Quando giunse la trovò in salotto pronta per uscire: – Andiamo un po’ fuori? – gli chiese. – Come volete. Uscirono. Nella sala egli volle domandare: – Ieri?… – Ma Xenia l’interruppe prendendogli il braccio. – Perché parlare di ieri? Parliamo di stasera; dove andremo? – E pensava che non questa soddisfazione non glie la avrebbe data, di dire che aveva visto Dino dietro la grata, finito. No, di ieri non se ne parla, vengo con te, sono contenta di venire, ma basta. Perché offenderlo ancora, quel povero Dino? Egli pensò un momento; poi disse: – Andiamo a cena al circolo. Il circolo, un luogo molto elegante, Horsch non permetteva a nessuno di andarlo a trovare lí, se avevano qualcosa a dire che telefonassero, e anche questo gli garbava poco perché, diceva, al centralino stavano sempre in ascolto. Giocava lí la sera, lí aveva tutti i suoi grossi amici. Xenia sussultò di contentezza, ma approvò, calma: – Bene; al circolo. In fondo, poco dopo Xenia pensò, la foresteria di un circolo elegante è piuttosto noiosa. Non era una casa privata, né un ristorante. C’era poca gente, silenziosa: sulle pareti, rivestite fino a metà di finto cuoio, stampe inglesi rappresentanti cavalli che avevano vinto corse celebri, almeno trent’anni fa. Cavalli bai, cavalli morelli, in sella il fantino stringato di rosso, celebri fantini, celebri cavalli, fantini morti, cavalli morti. È un posto dove si sta bene perché è di buon gusto dire di trovarcisi bene: infatti Xenia osservò, spiegando il tovagliolo: – Si sta molto bene qui. I camerieri andavano attorno silenziosi sul tappeto, nella grande sala a volta dell’antico palazzo. S’udivano tinnire i bicchieri, le posate; i commensali, pochi, si salutavano in silenzio, con gli occhi, come facenti parte di

Letteratura italiana Einaudi

307

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

una confraternita: vecchi scapoli erano, e avevano le loro piccole maníe: uno si lamentava perché avevano salato la verdura, che il suo regime voleva sciocca, l’altro borbottava che era stufo d’attendere, s’innervosiva, contraeva le mani sulla tovaglia. Piú tardi entrarono altri uomini, piú gioviali ed espansivi, che Horsch invitò a prendere il caffè: uomini settentrionali robusti e lucidi che ridevano facilmente e smuovendosi frusciavano nelle giacche foderate di seta. Erano i grossi nomi dell’industria: la Gomma, i Tessili, ancora i Tessili, gli Asfalti. Horsch disse presentando Xenia: – La signora Costantini –. Deferentemente gli uomini s’inchinarono a baciarle la mano. Signora, egli aveva detto, e lei ne rimase colpita. «Chi sa perché dice cosí? Si vergogna di me». E allora arrossí, violentemente. Ieri qualcuna l’aveva presa per una donna maritata, la vecchietta della prigione. «Mio marito è in galera per affari; sí, per truffa». E fu con un brivido che s’accostò nella sua nuova personalità di signora Costantini. Al contrario di ciò che accadeva quando era con Dino, qui ella fu il centro della conversazione; gli uomini, parlando si rivolgevano verso di lei e Horsch la spingeva a parlare. La sua conversazione era spigliata e vivace, aveva sempre osservazioni intelligenti. Uno dei piú anziani, la Gomma, che pareva interessarsi molto a lei, le chiese: – Lei è romana, signora, vive a Roma? E prima che Xenia potesse rispondere Horsch spiegò: – La signora è di passaggio a Milano, ma desidera stabilirvisi. Ella graziosamente annuí: – Mi piace tanto Milano. La Gomma, gli Asfalti, i Tessili sorrisero compiaciuti. Horsch e Xenia senza guardarsi s’intendevano, già complici: niente piú Dino, dunque, dopo quell’attimo, niente fuga da Roma, chi parla piú del guantaio? ella non

Letteratura italiana Einaudi

308

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ha mai vissuto a Milano. Horsch senza neppure chiedere il suo consenso le ricostruiva la vita; s’appropriava il suo passato, lo riduceva a seconda dei suoi desideri. Vandina, Tom e la Mary. Chi nomina piú quelle persone? Tutto finito. Adesso, forse, Horsch le creerebbe un marito immaginario, un barone, magari, ecco, un barone, ufficiale di cavalleria. Il barone è morto. Morto, mettiamo, nella guerra d’Etiopia. Troppo recente, però. E allora morto in un incidente di automobile. Benissimo. Adesso la signora per distrarsi, poverina, viaggia e si stabilirà a Milano; dove, la signora non sa, non sa nulla, la sua vita passata e futura dipende dal grosso signore calvo che le siede accanto, i Trasporti Automobilistici. Niente è cambiato tra di loro eppure da stasera egli non è piú un estraneo, forse per quella tacita intesa di non parlare piú di quel povero Dino. E c’è già tra loro qualcosa per il quale Xenia capisce che bisogna trattare la Gomma col maggiore riguardo; anche se la Gomma ha l’acidità di stomaco e non è piacevole sedergli accanto; Horsch glie lo ha presentato con un particolare sorriso, gli ha ceduto il posto vicino a lei e li lascia parlare, fuma, sembra assente e invece la guarda, guarda la bocca, gli occhi vivi e assapora, quasi fa scorrere sulle dita tutto ciò che lei dice e lo trova perfetto; sembra a lei che Raimondo le ripeta ancora: «Voi siete una donna che non somiglia a nessun’altra». Giungono altri due: il Legno, e un piccolo signore tondo, provinciale, che parla con accento pugliese e si chiama semplicemente Alfonso Bortone. Il signor Alfonso Bortone viene al circolo per la prima volta, si guarda attorno, si siede sull’orlo della sedia, la fissa sorridente. Evidentemente al signor Alfonso Bortone piacciono le donne. Ma egli non è né la Gomma, né gli Asfalti; dall’occhio amabilmente indifferente di Horsch, Xenia ha compreso che il nuovo arrivato è trascurabile. Beve, Xenia; un vino delizioso, quasi incolore, ambra pallida, un vino di Francia che scorre facilmente e lascia

Letteratura italiana Einaudi

309

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

un amaro asciutto in bocca. Xenia pensa: «Ho già udito questo nome: Bortone. Sí, una cosa di molti anni addietro, ma dove, dove?». E poi d’improvviso trova: ecco, in collegio, Anna Bortone, quella bianca e olimpica Anna Bortone che mangiava le castagne crude e diceva che voleva tornare in campagna. Sí, sí, Anna, amica o parente di quella Valentina alla quale vibravano le narici quando si parlava di uomini. Questo signore tondo forse è parente di Anna. Ora tutti discorrono e fanno disegni sulle vacanze delle feste di Natale. Vanno in montagna, in riviera o ai laghi, nominano alberghi di lusso. Il pugliese dice invece: – Noi usiamo rimanere in casa, a Natale. E io sono in lutto, vede? – e le mostra la faccia sul braccio. – Ho perduto mia madre –. (Xenia ride tra sé: è il vinetto, forse, ma quanti anni deve aver mai avuto la madre del Bortone? Orfano, poveretto, come si fa a non ridere?) – E poi noi – Egli insiste – usiamo passarlo in casa, il Natale –. (Sí, sí come a Veroli, odore di noia, gesti tramandati di generazione in generazione, il cappone che è sempre duro, ma è d’usanza, l’uva che pende in cantina e sa di muffa, ma è d’usanza anche quella.) – Tornerò a gennaio per il consiglio d’amministrazione, se potrò. Ma proprio in quei giorni, alla fine di gennaio, mia figlia si sposa. È a Roma, studia, deve laurearsi in questi giorni e poi – allargò le braccia come per mostrare l’impotenza della sua volontà: – poi torna e si sposa. Xenia voleva esclamare: «Anna, si sposa Anna?», ma si trattenne: non esiste il passato, quindi per lei non esiste piú Anna. La signora Costantini vedova del barone, ufficiale di cavalleria, l’anno passato non poteva essere in collegio, l’altr’anno era a passare il lutto nella sua villa del Lazio dove gli antichi mobili sono disposti con tanto buon gusto. Certo cosí avrebbe detto Horsch. Ed ella tacque, infatti. Le cose, dunque, sono andate avanti al collegio: Anna si laurea, esce, si sposa, chi sa con chi si sposa. Lei in-

Letteratura italiana Einaudi

310

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vece è scappata e fa la mantenuta. Sí, la mantenuta, perché non avere il coraggio di pronunciarla questa parola? Al collegio, senza di lei, tutto è continuato lo stesso; nella sua immaginazione le amiche erano rimaste ferme a quel giorno, a quell’anno; invece gli studi finiscono, Anna si sposa e lei fa la mantenuta. Come potrebbe dire al Bortone: «Sa? io conosco sua figlia». «Cosa? Non è possibile» farebbe quello. «Ma sí, sí, al collegio». Il signor Bortone penserebbe forse che al «Grimaldi» l’ambiente era un po’ misto. Che piccolo guscio il mondo! Anna esce e si sposa; e lei avrebbe sempre continuato a immaginarla là dentro. Se esce Anna, anche Silvia uscirà, erano dello stesso corso. Chi sa come sta Milly, quella bionda linfatica che parlava come in sogno. A una a una escono, si spandono pel mondo, adesso se lei volesse potrebbe ancora ritrovarle, riprendere quel suo pezzo di vita lasciato interrotto al collegio; e tra un mese, invece, o tra un anno, tutte saranno disperse. Chi ricorda piú che c’è stata una Xenia Costantini?, quel suo pezzo di vita si scioglierebbe nel nulla. Questo è il padre di Anna, vorrebbe toccargli il braccio, chiedergli: «Signor Bortone, quando sposa sua figlia?» Vorrebbe che in quel giorno Anna, che in collegio dormiva di là dalla parete della sua camera, ricevesse un bel dono da Xenia, Xenia quella che scappò, o meglio senza nome, perché Xenia, quella, non c’è piú; è come se si fosse buttata nel fiume per disperazione e il suo corpo riposasse adesso sulla melma del fondo. Sí, meglio senza nome: ma il signore che siede accanto a lei ha deciso che tutto ciò non è stato, e per questo ella non può mandare doni ad Anna che si sposa. Ormai la signora Costantini non deve interessarsi dei casi onesti e provinciali della signorina Bortone. È cosí, è una fortuna che sia cosí. Ma negli occhi della signora Costantini, trema il cavallo baio che vinse il Derby Reale a Londra, nel maggio del millenovecentotré.

Letteratura italiana Einaudi

311

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* Piovve tutta la notte. Attorno al pesante silenzio del collegio questo rovesciarsi di pioggia metteva brividi paurosi. Suor Lorenza, sveglia, ascoltava: le cortine bianche del letto l’isolavano dal mondo. Era come essere avvolta in una vela e placida navigare in mezzo al mare in tempesta, tutta la vita del mondo confinata in una lontananza irraggiungibile. Prima, accanto alla sua tenda c’erano le tende delle compagne; era già un contatto umano, altri naufraghi sul mare. Dal giorno in cui era divenuta Madre superiora aveva capito cosa significava essere monaca; fino a quando aveva potuto agire si era sentita commista alla vita delle altre donne del mondo, la sola differenza era in quella cuffietta nera sulla testa. Non aveva mai rimpianto la libertà e adesso invece rievocava il paesello ligure dove era nata e la sonora voce delle onde. Sentiva il desiderio di scendere scalza sulla spiaggia, immergere il piede nell’acqua, sollevarlo, vederne cadere i puri diamanti, lasciarsi scivolare nel mare a braccia aperte, il sole sulla faccia. Vita operosa e pacifica nel paese, solo, nelle sere di libeccio, tutti accorrevano sulla baia per vedere i brigantini rientrare col gran ventaglio delle vele squassato dal vento. Ella studiava in un convento che stava a picco sul mare come uno scoglio; a marzo il sole intiepidiva il cortile della scuola; lei si sedeva con le compagne sulle panche lunghe. Era bello stare tutte insieme nella mite dolcezza della comunità femminile. Le ragazze piú piccole si raggruppavano intorno a lei, poi la campana levava la sua voce serena nel declinare del giorno. Non c’era altra vita, in paese, al di fuori di questa. Non si sa come, ma naturalmente, forse perché non avrebbe potuto essere altrimenti, un giorno si trovò sulla lunga panca vestita da monaca; accanto a lei altre monache sedevano. Adesso, inchini a destra, inchini a sinistra: quando la

Letteratura italiana Einaudi

312

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

madre entra nel refettorio le ragazze tacciono e scattano in piedi, non si lagnano, non dicono neppure piú che la minestra è cattiva, come faceva la Costantini: attendono soltanto che lei se ne vada. È brutto, pensava, arrivare al sommo della scala. Si diviene un estraneo per tutti, chiuso nella propria insoddisfazione; quando una cosa è raggiunta, perde valore, ci si dimentica della lunga tensione del desiderio. Già la volontà si tende verso altri desideri insoddisfatti. E non si ha il diritto di lagnarsi, si è arrivati a ciò che si mirava dal punto di partenza. Era tormentata dall’idea di non conoscere piú l’animo di quanti la circondavano; sorrisi, inchini, ma poi che cosa complottavano alle sue spalle? Le pareva di udire, dietro il suo passaggio, misteriosi commenti, bisbigli. Assillata da questi dubbi, passeggiava per ore nello studio, come una belva rinchiusa. Un giorno la sorprese suor Prudenzina: suor Prudenzina viene dalla campagna, negli occhiali tondi c’è appena spazio per riflettere l’immagine di Dio. – Madre, – le ha detto – voi avete perduto la pace del cuore. Chi parla cosí alla Madre? Chi osa? La suoretta incontro a lei la guarda inesorabile, forse s’inchinerà se la Madre vorrà accusarla di poco rispetto, ma rimarrà tranquilla nella sua opinione; la Madre non nega, mormora soltanto: – Le ragazze... Non pensa che a questo notte e giorno, si sveglia la notte di soprassalto: «Le ragazze, le ragazze…»: è un’ossessione questa parola, le cova nel cuore, è una voce che di continuo echeggia nella sua testa, se anche scuote il capo non se ne libera, se si tura gli orecchi ugualmente la ode: «Le ragazze, le ragazze...» Non conosce le nuove arrivate, le vecchie a poco a poco se ne vanno. Da qualche tempo ha sempre un tremore sulle labbra, le dita si contraggono nervosamente, se non la liberano, la Madre impazzirà. Ma suor Prudenzina non capisce le ragazze,

Letteratura italiana Einaudi

313

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sono soltanto strumenti che mettono a prova la sua pazienza per l’eternità. Dice: – Bisogna molto pregare. Anche per le ragazze. Suor Prudenzina forse non sente la presenza della divinità nei suoi campi: suor Lorenza invece amava Dio nel mare, Dio nelle ragazze che crescevano a fianco a lei, Dio nel sole. Suor Prudenzina si porta Dio nel petto, bianco e celeste come la statua della cappella, si muove, dorme, mangia perché è necessario far tutto ciò per avere la forza di adorare Dio, la sua vita si esaurisce, si svuota in quella adorazione. – Bisogna molto pregare: anche per le ragazze. Come pregare per loro? le adolescenti sono cosí misteriose, non si sa che cosa pensino, che cosa vogliano, anche se ci si accosta a loro non si riesce a superare il segreto nel quale sono strette: dicono solo la metà di ciò che pensano, il resto rimane loro annidato negli occhi. Le suore rimangono adolescenti tutta la vita. Non parlano mai della casa, dei parenti, non si sa perché, a un certo punto, si siano chiuse là dentro. Suor Lorenza non sapeva di rinunciare. Pensava anzi che fosse un egoismo vivere la vita di una sola famiglia, piuttosto che avere ogni giorno un nuovo contatto, un nuovo compito. Bisogna molto pregare, ma la preghiera non ha un’azione immediata, per questo non poteva soddisfarla. La pioggia scrosciava, batteva i vetri con disordinata violenza. Suor Lorenza avrebbe voluto tornare al suo paese, unire la propria attesa a quella delle donne che hanno la gente in mare. Ormai per lei nessuno piú parte, nessuno piú ritorna. Non conosce ancora una ragazza che da due giorni è arrivata al collegio. Impazzirà, impazzirà. La pioggia l’opprimeva, le tende bianche del letto erano soffocanti. Accese il lume. Sulla facciata buia del cortile s’aprí l’occhio giallo della sua finestra. L’altro occhio giallo che vegliava era la finestra di Sil-

Letteratura italiana Einaudi

314

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

via. Il mattino seguente alle dieci, avrebbe discusso la tesi. Le compagne l’avevano lasciata con un abbraccio e lei avrebbe voluto supplicarle: «Perché mi lasciate sola? Forse fallirò, come Xenia». Ma non le avrebbero potuto dare aiuto, come non ne avevano dato a Xenia. Non aveva che poche ore avanti a sé, ormai superflue, una goccia in un vaso colmo. – Va a dormire, piuttosto – le aveva consigliato Anna. A che scopo andare a dormire? Se appena avesse trovato un po’ di sonno, avrebbe sognato la grande aula parata di verde nella quale era entrata qualche volta per assistere alla tesi di una compagna; si sarebbe detta anche dormendo: «Entro, faccio il saluto romano, poi siedo (quante volte nel pensiero aveva spostato la sedia con la mano?), apro la cartella della tesi, ma che l’apro a fare? so tutto a memoria, guardo la commissione, aspetto». Nel fondo dell’aula c’è il busto del Re. Le voci partono di lí sotto. Quale professore avrebbe parlato per primo? Trecca? Aveva l’incubo che la voce non riuscisse a uscirle dalla gola. «Perché non risponde, signorina Custo?» e lei avrebbe voluto parlare, le parole erano pronte nel petto, sapeva tutto, ma non riusciva ad aprire la bocca. «Perché non risponde, signorina Custo?». Non poteva, non poteva. Nel pomeriggio Belluzzi le aveva posato una mano sulla spalla per rassicurarla: – Stia tranquilla, è una cosa perfetta, molto piú di una tesi –. Ma da qualche tempo non era piú lui, era mutato, Silvia sentiva qualcosa di nuovo nella casa, che a lei sfuggiva. La signora Dora aveva sempre evitato di trovarsi sola con lei, non era morta, stava bene e ingrassava. Quando le compagne vennero a prenderla, al mattino, la trovarono già pronta, odorosa di sapone, i capelli piú tirati del consueto; indossava un vestito di seta nera che le dava un’aria di festa. Sorrideva impacciata e le altre non osavano parlarle allo stesso modo degli altri giorni:

Letteratura italiana Einaudi

315

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Coraggio – le dicevano – sei pronta? – come quando si vanno a prendere i congiunti di un defunto per accompagnarli al funerale. Silvia guardò dalla finestra il grigio mattino come se dovesse vederlo per l’ultima volta, poi prese la cartella, vi ripose il fascicolo della tesi. Le compagne, il cappello in testa, la fissavano quasi con rispetto: anche le loro voci erano sommesse. – Andiamo – disse decisa Augusta. Silvia avrebbe voluto dire: «Aspettiamo ancora un po’», non avviarsi, non incominciare la pericolosa avventura, e invece capí che ormai non c’era scampo, bisognava andare. Chiudendo la porta pensò: «Quando tornerò quassú tutto sarà fatto». Scesero la scala in silenzio, scalpicciavano i loro passi sul marmo, Anna la teneva sotto braccio come per sorreggerla, erano tutte piene di premura e lei lasciava fare senza ribellarsi. Emanuela voleva portarle la cartella, no, grazie, la cartella la porto io. Prese nel gruppo il posto di personaggio principale e uscirono; le suore, le altre compagne, vedendola passare, la guardavano con occhi impietositi, le facevano un cenno della mano, un sorriso. Per la strada camminavano in fretta; Silvia appariva preoccupata e le altre dicevano che, si sa, quello è un brutto momento, ma poi passa e ci si sente liberati, i quattro anni stanno tutti in quel minuto. Accanto a loro la gente passava senza notarle, un gruppo di ragazze che va a scuola; niente di piú. Silvia pensava che per gli altri, forse, questo suo grande giorno era un giorno qualunque; persone entrano, escono dai negozi, vanno a spasso, passa il tram, niente di speciale scuote l’andamento delle cose. Anche Xenia è passata di qui, la tesi andata male, quattro anni di fatica perduti e nessuno intuiva questo; era una ragazza che tornava da scuola; e forse la donna che sedeva accanto a lei nel tram era felice perché aspettava un figlio. Che mistero, quello! Una donna ti passa accanto, e anche se non lo vedi può portare un’al-

Letteratura italiana Einaudi

316

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tra creatura in sé. In fondo – Silvia concludeva amaramente – la vita è soltanto propria: nessuno può accostarvisi interamente, se ne deve portare da soli l’orgoglio o l’umiltà. Poiché Silvia taceva, le compagne si erano distratte, avevano preso a parlare d’altro. Ma Anna che la teneva pel braccio: – È terribile, vero, Silvia? – le chiese. E allora lei si scosse e disse sorridendo: – Infine non è che una laurea. Niente altro che una laurea; se ne accorse all’Università: erano arrivate in anticipo e dovettero attendere; in quel momento non sapevano che cosa dirsi. Erano come fuori di una sala operatoria, aspettando il turno. Dall’ampio finestrone entrava un mattino velato e bianco, già invernale, senza misericordia, il sole era debole, il raggio che cadeva sul pavimento sembrava fatto di polvere. Infine s’udirono scorrere gli anelli d’una tenda e l’usciere fece cenno a Silvia d’entrare. Ella guardò le compagne come per un addio estremo; poi scomparve oltre la porta. Le altre la seguirono trattenendo il fiato, si lasciarono cadere sulla panca nel fondo dell’aula. Silvia intimidita dal suo ruolo di protagonista sorrideva emozionata: la sua anima grave e triste traspariva nei piccoli occhi un po’ strabici, in quello sguardo stonato. Sedette, aprí il fascicolo e sentí per la prima volta che quel fascicolo non era piú interamente lei, ma una cosa fatta da lei che stava per essere giudicata. Scorrendo con gli occhi la tesi, le sembrò cosa meschina, e sbigottí. Alle spalle immaginava gli sguardi intenti delle compagne, li sentiva aggrappati alla sua nuca e invece di darle coraggio sembravano trarla in un gorgo. Di contro, dietro il tavolo, i professori; non riusciva a distinguerne i volti: un solo professore, insomma. Voci la interrogarono: la sua voce rispose quasi non le appartenesse; la sentiva alzarsi nella vasta sala: tutto le

Letteratura italiana Einaudi

317

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

appariva facile come stare ad ascoltare un’altra. Bastava tacere, appartarsi, una grande calma era in lei. La voce da sola discuteva, ritrovava senza fatica le parole preparate nella notte, e da giorni e da tempo, sicura voce. Anche la voce di Belluzzi le parve sconosciuta. Capí che in quel momento nulla poteva aiutarla se non lei stessa: nessuno avrebbe potuto accostarlesi, tutti discosti, e lei, sola, con la sua voce che risuonava alta sotto le volte dell’aula. Mentre la voce parlava, i professori si tendevano verso Silvia attenti, convinti: la voce non se ne sgomentava. Silvia sí, che cercava di rinchiudersi in se stessa, sperando che non la notassero, le perdonassero di essere lí; ma la sua voce, quella che veniva da tante ore di raccolto studio, di pene e di speranze, quella sí, limpida e chiara, saliva e s’imponeva alle altre voci che adesso le sembravano sommesse. Quand’ebbe finito le parve di galleggiare su un’acqua straordinariamente calma, in un luminoso silenzio. Si alzò e uscí. Anche le compagne uscirono: ricadde dietro di lei la portiera, le ragazze le strinsero le mani, l’abbracciarono, le dissero, entusiaste, «brava, brava», come a un’eroina, anche Vinca era venuta, anche Andrea, e Silvia rideva nervosamente, ma era come se piangesse. Quando fu chiamata s’affacciò esitante sulla soglia dell’aula; la luce vaga degli occhi s’era abbassata come la fiamma della candela sotto il fiato del vento. L’invitarono a farsi piú avanti, e lei a piccoli passi avanzò torcendosi le mani. Fu Belluzzi a dirle che si era laureata in lettere con centodieci e lode, e ad esprimerle il plauso del Collegio. La ragazza sorrise, salutò appena, si volse, le parve di non giungere mai alla porta. Andrea presto le lasciò, capiva d’impacciarle: avevano bisogno di rimanere sole accanto a Silvia com’erano state in tutti quegli anni di sforzi e di fatica. Restò a

Letteratura italiana Einaudi

318

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

guardarle allontanarsi, in mezzo a loro Emanuela cosí diversa, cosí piú fine. Silvia adesso era impallidita come dopo scampato un pericolo: uscendo dal portone dell’Università s’era arrestata un attimo, aveva percorso l’androne con uno sguardo lento, affettuoso, poi aveva detto: – È sciocco – e s’era rimessa a camminare. Le ragazze ridevano, sollevate; Vinca pareva tornata una di loro; nell’animo di Silvia invece era caduta una lieve malinconia da festa di ballo finita. Ormai non doveva temere piú, poteva adagiarsi, incrociare le mani aspettando; e invece mai si era sentita inappagata come ora. «Pesa la gioia» pensava «e la dolcezza è amara». Bisognava telegrafare a casa, dire che era andato tutto bene, mettere fine alle novene che da mesi, per il suo successo, recitava la mamma. Si diffondeva in lei la soddisfazione di aver compiuto qualche cosa; ma l’opera compiuta lascia dietro di sé il vuoto dell’ansia acquetata. La laurea: una parola che si portava via una bella fetta di vita, peggio, come diceva Augusta, una bella fetta di giovinezza. La laurea: niente altro che questa parola per tanti anni: lezioni, biblioteca, odore polveroso di libri, notti di studio: fino alla notte scorsa, e la pioggia che martellava i vetri. Anche la pioggia aveva quella voce: «La laurea, la laurea». Un’ossessione. Tutto finito ormai, era stata cosa semplice: centodieci e lode. Vivere gli avvenimenti è molto piú facile che immaginarli. Le avrebbero dato una pergamena col suo nome svolazzante tra fregi rossi e oro. E adesso, Silvia? adesso? Niente era mutato, solo quel «dott.» che poteva mettere davanti al suo nome. Bisognava fare tutto da sé. Aveva provato questo lasciando il paese, quando si trovò nel treno, sola. Partí di sera. Il cielo da fosco, a poco a poco cominciò a stellarsi: era cosí agitata che non chiuse occhio. Le pareva di perdere, dormendo, attimi preziosi. E invece, arrivata al «Grimaldi», aveva trovato

Letteratura italiana Einaudi

319

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

che le ragazze menavano una vita normale, studiavano sí, ma poi mangiavano bevevano, uscivano tranquillamente, facevano all’amore, dicevano anche qualche volta: – Accidenti ai libri! – Quasi súbito divenne amica di Xenia che come lei ardeva di diventare qualcuno e aveva il gusto del ragionare. Ripensava a tutto questo ed era rimasta un po’ indietro nel gruppo, come affaticata; le ragazze ora entravano in un caffè poiché, com’era d’uso, Silvia doveva offrire il vermut: un antico caffè della via dei Condotti dove negli anni scorsi gli artisti usavano riunirsi. Era deserto. Forse gli uomini hanno paura delle ombre piú grandi di loro. Sederono sui divani di velluto rosso senza prenderne possesso appieno. Non avvezze a stare al caffè, questa era per loro una festa inusitata e imbarazzante. Si diffuse una sorridente freddezza, tutte guardando Silvia cercavano di ritrovare l’atmosfera consueta, ma non era possibile, qualcosa stagnava, erano prese da un invincibile impaccio. – Che è accaduto? – Silvia chiese e poi insisté: – Siamo tutte stravolte, io per la prima. – Niente è accaduto, è l’emozione, forse – fece Augusta. – No. Io lo so di che si tratta; non sono piú delle vostre – e nonostante quelle protestassero, ella proseguí: – Lasciatemi parlare. È cosí: è finito. È bastato un nulla, quell’ora dell’aula, e io ho staccato la mia vita dalla vostra. Vi è fra noi una distanza enorme, io vi guardo con rimpianto, voi con rammarico. Oh, è terribile! – Perché dici questo? – chiese Anna. – Non lo senti? non lo vedi che non sappiamo piú cosa dire? Quante sere abbiamo passato insieme? Una di noi parlava ed era la voce di tutte. Ora, se io parlo, la mia voce è distante. Io ho finito e voi attendete. Non c’è piú ragione che io rimanga; se me ne andassi sareste sollevate.

Letteratura italiana Einaudi

320

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Silvia! – esclamò Emanuela. – È cosí, non c’è via di mezzo. Quando Vinca lasciò il collegio, il giorno dopo già non la sentivamo piú parte nostra come il giorno prima, confessiamolo, sí, Vinca, è cosí, in fondo non ti abbiamo neppure rimpianta: perché dovreste rimpiangere me? Stasera non avrò piú da mettere i miei libri accanto ai vostri, non piú la mia attesa e la mia ansia: adesso la vita non è piú la nostra, è la mia. Avvenimenti potrebbero distruggermi e non toccarvi affatto. – Sí – Vinca interruppe – ha ragione. Anche io ho provato questo, uscendo: si riprende la propria esistenza che si è consegnata entrando, nelle mani della suora portiera. Ed è sconfortante – aggiunse – perché prova che nulla dura, nulla resiste. – Come sta Luis? – le chiese Silvia dopo una pausa, per mutare volutamente il discorso. – Sta meglio; mi ha scritto un bigliettino con la mano sinistra. Non può usare la destra, ancora. Quando sarà partito la guerra certo sarà finita, e tornerà. – Quando? – Non so quando. Che importa quando? tornerà –. Sorrise e il suo sorriso si propagò, tutte parvero rianimarsi a quella sua pacata fiducia. Parlavano ognuna dei propri progetti. Soltanto Augusta seguitava con Silvia. – Tu dici bene, Silvia. La vita appartiene solamente a noi, ormai chi tornerebbe a darla ai propri genitori? – Poiché siamo capaci a viverla da sole, poiché siamo, diciamolo, ragazze intelligenti. Quante vorrebbero sciogliersi da questa responsabilità? Non capiscono che soltanto ciò che nasce da noi soddisfa. – Anche un figlio – fece Anna. – Sí, anche un figlio, ma il lavoro ci appartiene di piú. Nessuno può togliercelo, nessuno contestarcelo. Altre preferiscono appoggiare la propria vita a quella degli altri, altre si fanno portare dal vento.

Letteratura italiana Einaudi

321

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Nelle pupille di Silvia luceva una radiosa gioia delle proprie conquiste. Emanuela rabbrividí pensando che, tra di loro, lei era quella che si faceva portare dal vento. Chi sa dove, chi sa dove. Era venuto fuori il sole, e prima di rientrare al collegio le ragazze andarono a goderselo alla Villa. Sedettero su due panchine, beatamente, il tardo mattino taceva. Gli alberi magri sembravano disegnati a matita sul grigio trasparente del cielo. Certi uccelli infreddoliti saltellavano sopra la ghiaia del viale. Sei ragazze sulla panchina. Cinque ragazze e una laureata, pensava Silvia, e dentro di sé rideva. Dolorosamente si staccava di dosso la possibilità di essere una donna come le altre. Sorrideva tra sé pensando: «Donna brutta». Forse adesso avrebbe voluto cavalcare al galoppo e incontrarlo, il brigante nero come lei, che prendendo le redini del cavallo le dicesse. «Scendi» e la facesse salire sul suo. Se ella gli avesse detto: «Sono laureata in lettere» il brigante non avrebbe capito che cosa questo significava: l’avrebbe condotta al suo rifugio, le avrebbe ordinato ugualmente: «Donna, accendi il fuoco». Avanti a loro un gruppo di bambini giocava ai soldati. Un biondo che aveva occhi azzurri fermi e decisi, portandosi avanti agli altri, disse: – Non voglio –. Forse non era il piú bello, ma certo era un ragazzo diverso dagli altri; sembrava gli stesse sui sopraccigli aggrottati un diverso destino. Nella destra stringeva minacciosamente un pugnaletto di legno. Gli altri, infastiditi, attendevano che egli si spiegasse, avrebbero voluto non occuparsi di lui, e tuttavia non osavano riprendere a giocare. Il ragazzo, che aveva una grande testa strana sotto i chiari capelli, insisteva: – Non voglio. No. Non starò nel plotone. Io debbo essere quello che cammina in fuori –. Se l’avessero contraddetto certo si sarebbe allontanato scagliando il pugnaletto in faccia al primo che gli capitava. Gli altri

Letteratura italiana Einaudi

322

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ragazzi lo fissarono, egli non abbassò i duri occhi azzurri; allora uno acconsentí, disse piano: – Lui è il capitano, allora –. E gli cedette la draghinassa di legno. Gli occhi del ragazzo biondo si mutarono, si sciolsero, divennero affettuosi: egli guardò sorridendo gli amici, li abbracciò con uno sguardo limpido e molle. Aveva lunghe gambe e snelle: con un passo fu fuori dal plotone: – Attenti ! – schioccò duramente. – Marsc! – poi prese baldo a camminare e gli altri lo seguirono. Tacevano le ragazze impigrite. Ecco, Silvia pensava, bisogna saper essere quello che cammina in fuori. Non starò nel plotone, nel branco: le donne, spesso, si lasciano ammansire dai sensi o dalla poca fiducia che hanno di loro stesse; altre si allontanano dall’amore con ribrezzo, come Augusta, senza sforzo: difficile è allontanarsi da ciò che piace. In certe ore molli di primavera il lavoro pesa; non si può piú continuare, tutto dentro di noi è inerte e languido, disposto ad acconsentire. Odora forte il caprifoglio, un odore che fa male alla testa, stridono le rondini in pazzía, il giorno indugia; allora, al paese, le donne si siedono sulle soglie delle case e attendono l’uomo che ritorni dai campi; ogni poco, la mano alla fronte, spiano sulla strada; le zane dondolano, certe sommesse ninne nanne inteneriscono il cuore. È allora che inconsciamente Silvia attende il richiamo del brigante dall’alto della collina. Bisogna chiudere gli occhi sulla stagione, non vedere, non udire. No: non accenderò il tuo fuoco, brigante. Me ne andrò sola per la montagna in cerca di una grotta tutta mia. Al collegio la suora portiera disse a Emanuela nel vederla rientrare con Silvia e le altre: – Salga dalla Madre, lei; deve parlarle. – A me? – Sí, a lei. Emanuela restò perplessa: era inutile salire: la Madre doveva aver saputo tutto di Stefania, si capiva, l’avreb-

Letteratura italiana Einaudi

323

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

bero scacciata, che vergogna! Perché salire? D’istinto si volse per fuggire, come una ladra che non ha piú scampo e getta la sedia sulla lampada elettrica, ma la porta era chiusa, la chiave penzolava alla cintola della suora portiera. Salí. La Madre si levò dalla poltrona per andarle incontro e il suo sguardo era cosí benigno e doloroso che Emanuela si rassicurò: «Non sa nulla». – C’è un telegramma per te, Emanuela. È necessario che tu parta súbito, tuo padre sta male. Emanuela ripeté soffocata: – Papà?!... – Sí, papà. Il treno delle 14,15 per Firenze è rapido. Neppure pianse, Emanuela: andava ripetendo a bassa voce, sordamente: – Papà, papà, papà –. Vide le compagne farsi attorno a lei, circondarla, prepararle la valigia, Silvia non l’abbandonava e Augusta la teneva pel braccio con l’aspetto delle grandi occasioni, – papà, papà – telefonarono ad Andrea, Andrea l’accompagnò alla stazione – papà, papà – l’ansima del treno e il rumore degli stantuffi sembravano ripetere quelle due sillabe infantili che le scrollavano il petto come un singhiozzo: – papà, papà – e la fretta di raggiungerlo, papà, e la sensazione e il rammarico di non aver fatto mai nulla per dargli un po’ di gioia, di non avergli mai permesso di accostarsi alla sua anima, di essergli rimasta sempre sconosciuta, cosí chiusa e ostile, anzi, indifferente – papà, papà – mai lo aveva accompagnato fuori a passeggio, mai era rimasta a leggere vicino a lui, a goderselo che ormai era vecchio – papà, papà – e solo di lui aveva ricordato i rari castighi, le durezze e quelle poche volte che l’aveva rimproverata, mai i suoi perdoni aveva ricordato, faceva apposta a trattarlo cosí, come un estraneo; papà che faceva tanto per lei, che voleva ricostruire la vita, accettava tutto come dovutole, non era egli il padre? lo teneva a distanza dalla nuova generazione, chiusa nel suo egoismo, lei gli aveva dato un po’ di pace, mai gli aveva detto: «Papà, sono

Letteratura italiana Einaudi

324

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

felice» sempre scontenta, buon giorno, buona sera, solo adesso che era malato lo capiva; e il treno che la sbatteva di qua e di là, le sbatteva anche quella parola nel petto: – papà, papà – e l’ansia di tutte quelle cose che in venticinque anni mai aveva fatto, mai aveva voluto dirgli e che adesso finalmente gli avrebbe detto. Non glie le disse. Papà era morto di colpo, la notte. Se n’era andato portando con sé il silenzio di lei, l’indifferenza. Altro non avrebbe saputo mai. Emanuela si trovò proprietaria di una grande fortuna; non immaginava tanto; e mentre il notaio leggeva il testamento, la ragazza di tratto in tratto si volgeva alla madre rimpicciolita dai veli neri e s’accorgeva che neanche lei sapeva d’essere ricca cosí. Nell’ultimo viaggio, papà cercava di risparmiare sugli alberghi, sulla benzina. Chi sa perché papà non aveva mai speso di piú, nella vita! Non soltanto per lasciare un bel patrimonio dietro di lui; la figlia comprese che l’essere piú ricco non avrebbe potuto dargli una gioia maggiore. Prendeva quanto gli bastava, il resto non l’interessava. E il denaro s’accumulava. Ricchissima era. Alla fine del testamento c’era la clausola: «Il tutto è vincolato a mia nipote Stefania e agli altri futuri discendenti di mia figlia». Le due donne restarono in silenzio: il notaio sembrava non meravigliarsi. Sapeva tutto. Parve ad Emanuela che il padre le mettesse la bambina tra le braccia. Gli occhi colmi di pianto, chinò la testa, accettando. Una grande calma aveva invaso la madre di Emanuela, sembrava non soffrire, viveva come prima, come se nulla fosse accaduto. Parlava del marito senza commuoversi, quasi fosse ancora vivo, solamente diceva: «il povero Bepi». Emanuela spesso le domandava: – Mamma, e che diceva, che diceva di me, il papà? – Sempre diceva: «Bisogna che Emanuela parli a quel ragazzo». Se tu fossi arrivata in tempo te lo avrebbe det-

Letteratura italiana Einaudi

325

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

to. Quella sera, quando già non parlava piú, pareva tuttavia dirmelo con gli occhi, povero Bepi, guardando la tua fotografia. – Sí, mamma, lo farò, lo farò subito, è la volontà di papà. Forse adesso papà, di lassú, capirebbe perché ella non lo avesse ancora fatto, tante volte aveva tentato, anche pochi giorni prima, quando Stefania era voluta uscire per forza con lei, in carrozza, per la prima volta dopo la scarlattina, ed ella temendo di essere stata vista da Andrea aveva deciso di parlare, di farla finita con quella bugia. Ma egli le era andato incontro sorridendo, le aveva detto: – Sai che cosa ho fatto? Indovina. Ho comperato un frigidaire –. – Un frigidaire? – ella aveva esclamato. – Ma sí, per la nostra casa, non è la cosa piú utile, dirai tu, meglio la camera da letto o la batteria di cucina. Sí, lo so, avresti ragione di dirlo, ma era molto bello, e poi, ti dirò, è venuto a propormelo un mio amico, un caro vecchio amico, che fa la fame, lui, la moglie e due figli, due gemelli; figúrati! Ma è anche molto bello, sai? t’assicuro: fa il ghiaccio tutto a cubettini; non mi guardare cosí, Emanuela! L’ho avuto a rate –. E rideva. Come dirglielo dopo questo? Altra volta... Sí, quella volta era stato penosissimo. Lei aveva cominciato cosí: – Ti piacciono i bambini? – E lui aveva risposto duramente: – Li detesto; mi piacciono soltanto quando piangono perché allora li portano via. Adesso, ad ogni costo, avrebbe parlato; ma prima, pensava malignamente, avrebbe fatto capire ad Andrea, quanto era cospicua l’eredità del babbo. Dopo... ecco, non sapeva come cominciare, tutto lí, le prime parole, e poi le cose vanno da sole. Si sentiva vincolata dai numerosi legami, perseguitata da un destino avverso; la morte di Stefano e la bambina, tante altre ragazze fanno le stesse cose senza cosí gravi conseguenze, tutto era sempre stato contro di lei. Forse il suo carattere, con quel rina-

Letteratura italiana Einaudi

326

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

scere continuo di speranze e di entusiasmi, era la prima cosa che aveva contro di lei. «Altre» Silvia aveva detto «si fanno portare dal vento». Ora ecco, il vento l’aveva portata fin qui, bisognava decidersi, agire. Temeva che Andrea l’abbandonasse, non volesse sposare una donna con un passato: aveva udito spesso questa frase quando era piú giovane, «Una donna con un passato». Ed ella si figurava una donna formosa e matura, con un gran cappello guarnito di piuma, fine ottocento. La donna con un passato non poteva esser lei, venticinque anni, tacchi bassi, pensionante dell’istituto «Grimaldi». Eppure era cosí; nulla può distruggere, annientare un passato: tu accuratamente lo nascondi, lo occulti, nessuno ha visto, nessuno ha saputo, fuorché te stessa, e tu non parlerai mai. E invece séguita a vivere, il passato, ti vincola e ti nega il futuro e tu stessa finirai per parlare un giorno, lo risolleverai, lo scuoterai dalla polvere, eccolo il tuo passato, e ti accorgerai ch’è vivo, che sei venuta costruendo la tua vita su quello come una farfalla il bozzolo. Chi lo dimentica? Nessuno può dimenticarlo. Forse il passato è la sola cosa veramente immortale. «Perché l’ho fatto?» Emanuela si chiedeva. In fondo non era stata molto innamorata di Stefano, e i sensi si dovrebbero vincere; sembra, almeno a distanza, che si possano vincere; il passato, appunto perché già passato, appare semplice e piano: eppure soltanto dopo averle vissute si giudicano e si pesano esattamente le cose. Domani quest’ora di oggi sarà il passato. Bisognerebbe sempre essere sicuri di non rimproverarselo. Adesso bisogna tornare a Roma e dire: «Senti, Andrea…» o scriverglielo. Ecco, aveva trovato: piú facile, molto piú facile, scriverglielo. S’alzò per prendere la carta, farlo subito. Ma no: cosí egli rileggerebbe tante volte la lettera e la cosa ingigantirebbe attraverso le stesse parole di lei. Bisognava dirlo come una cosa semplice. E sí, poi, alla perduta, mi lascerà.

Letteratura italiana Einaudi

327

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Ma non voleva che la lasciasse. C’era sempre in lei un sentimento indefinito che le faceva desiderare a volte la pace, a volte la spingeva a sfuggirla, liberarsi dalla monotonia. Si fabbricava a fatica un affetto, una certezza; ma non aveva forza abbastanza per trattenerlo, se lo lasciava sfuggire di mano e, dopo, neppure se ne disperava, constatava soltanto la desolata vacuità della sua esistenza senza porto, senza aspirazioni. Nulla di quanto aveva vissuto l’aveva soddisfatta; cambiava per trovare qualcosa che la soddisfacesse, ma la scontentezza era in lei insieme a una profonda nostalgia di darsi tutta agli altri, patire per gli altri, sacrificare la propria esistenza per il benessere di qualcuno. Adesso andava costruendo un mito attorno alla figura di suo padre; ne parlava a voce bassa, a occhi sgranati, con venerazione. Finché era vivo: buon giorno, buona sera. E ciò che le dava inquietudine era l’inconsapevole certezza di non avere ancora scoperto nulla di sé, l’attesa di questa rivelazione. Firenze le era divenuta insopportabile, la casa senza il papà; mammà teneva sempre le persiane chiuse, la luce bassa; s’era ripiegata su se stessa, la si udiva certe volte parlare ad alta voce nelle sue camere, da sola. Il freddo e il silenzio invadevano la villetta; forse Emanuela avrebbe dovuto restare vicino a mammà; ma si erano sempre capite cosí poco, lei era nata quando la madre era già anziana, c’era tra di loro una inevitabile distanza di idee. O forse era vecchia soltanto perché era la mamma. Stefania aveva chiesto ad Emanuela un giorno: – Mamma, mostrami qualche tua fotografia, di quando eri giovane –. Emanuela aveva riso mentre la bambina la guardava seria, senza comprendere quella improvvisa ilarità. Piú tardi Emanuela capí che la figlia aveva ragione. Le madri hanno un’età unica: non ci sono madri giovani, madri vecchie, madri belle o brutte: ci sono le madri. Adesso mammà sarebbe rimasta proprio sola: biso-

Letteratura italiana Einaudi

328

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

gnava almeno offrirle di restare; Emanuela glie lo disse a tavola interrompendo il silenzio di quei loro tristi desinari, senza neppure guardarla, cercando col cucchiaio le stelline della minestra, vedendo il proprio viso riflesso nel brodo ondeggiare pieno d’ombre nel fondo della scodella. – Mamma, vuoi che rimanga con te? La madre, crollando la testa, rispose: – No, ti ringrazio, figlia mia. – Ma sí, rimango, sei sola; ormai non siamo piú che io e te. Di nuovo la madre ebbe un cenno di diniego: – No – fece: – sono stata sempre sola. Tu non sei mai stata proprio mia, se ti facevi male, anche da bambina andavi da tuo padre. Non so perché, questo; è stata la piú grande pena della mia vita. Ho patito tanto; quando te ne sei andata, per me è stato come la prova generale della morte; e adesso che mi sono abituata voglio restare sola davvero. La mamma, dunque, aveva sempre capito, aveva tenuto segreto in sé un pensiero fisso. La sua vita sembrava essere soltanto nelle mani che facevano interminabili lavori a maglia nell’ombra del giardino. E nessuno aveva mai sospettato che, invece, covasse quel suo cruccio, lei sempre cosí docile, sempre pronta ad accorrere, a giovare agli altri. Emanuela la guardò per scoprirla in questo nuovo aspetto coraggioso, ma la mamma aveva chinato di nuovo la testa sul piatto: di lei si vedeva solo la testa grigia con la scriminatura rada dei capelli sulla pelle bianca e lucida. * Xenia giunse di sera a Nizza pilotando lei stessa l’automobile. Disse il suo nome al portiere:

Letteratura italiana Einaudi

329

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Bene arrivata, signora baronessa –. Dietro di lei salirono numerosi bagagli. – Va bene la camera? – Benissimo. Appena fu sola, Xenia provò un senso di sollievo, di riposo; lungo e faticoso il viaggio, l’attenzione tesa dalla strada tutta curve e la lunga sosta alla frontiera, quell’orrido del ponte San Luigi, dove, dall’altra parte, non era piú Italia. Dalla finestra, si vedeva illuminato il lungo viale di palme, qualche lume c’era sul mare: Xenia, stanca, si sedette sull’orlo del letto presa dalla gioia di abitare una camera tutta sua; ogni cosa le piaceva, anche i tendaggi sbiaditi. Perché era sola e tranquilla. Fece colare l’acqua nella vasca da bagno. Poi trasse da una valigia gli oggetti per la notte, gli oggetti da toletta; erano oggetti assai belli, davano piacere a toccarli. Guardò le altre valige chiuse e mentalmente rivide quello che contenevano. Soddisfatta strinse le mani l’una contro l’altra golosamente. Oltre la porta s’udivano passi sul tappeto del corridoio, gente scendeva le scale. Nessuno poteva fermarsi a bussare, nessuno la conosceva; e questo pensiero faceva fluire in lei una gran pace. Niente di piú tonificante che un bagno caldo quando si è stanchi: Xenia beata guardava il breve laghetto azzurro immobile. Sorrideva senza ragione, sorrideva guardandosi nello specchio e gli occhi neri erano stellanti. Gettò nell’acqua una pallina verde che si sciolse spandendo un grato odore di spigo, aspirò forte, poi immerse la mano, colma d’acqua la risollevo, l’odorò e di nuovo sorrise. Piano mise i piedi nell’acqua, e, nuda, si sedette sull’orlo della vasca, poi agitò piano le gambe, indolentemente come fanno i bambini. Le pareva che tutta la sua felicità, il suo benessere potesse essere racchiuso in quell’ingenuo gesto di muovere i piedi di qua e di là, lasciar cadere le gocciole, vedere le unghie rosse

Letteratura italiana Einaudi

330

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

trasparire nell’acqua sul fondo della vasca, sotto l’acqua verdazzurra. Tanti anni fa, quanti anni?, andava a mettere i piedi, cosí, nell’acqua del torrentello che scorreva al limite dell’oliveto; Xenia vi entrava cauta tirando su la vestina di frustagno e passeggiava guardando giú: c’erano sul fondo ciottoli bianchi e politi; ma l’acqua era gelida ed ella poco dopo era costretta ad uscire fuori perché la pelle delle caviglie le formicolava per il freddo. Una volta, sull’orlo del campo confinante s’affacciò un’altra bambina della sua età che prese a guardarla con occhi incantati; lei allora si ribellò: – Perché mi guardi? va via –. Ma quella timida disse: – Voglio fare come te –. Xenia dopo averla considerata rispose sprezzante: – Non ti divertiresti –. L’altra aveva gambe tozze e scure. Xenia adesso pensava: «Forse un’altra non sarebbe felice come me per un bagno; cos’è in fondo, un bagno? e cos’era quel torrentello?». Si lasciò scivolare in ginocchio, poi con un brivido si stese. Perché in questo periodo pensava cosí spesso a quando era bambina? Ricordava sempre che da piccola certe volte dubitava di esistere. «Vivo?» si chiedeva: «Vivo davvero?» e toccava un oggetto per essere sicura che quella sensazione del tatto fosse sua, si meravigliava di poter vedere le cose, e finalmente tossiva, o diceva ad alta voce il suo nome: – Xenia… – per udirsi. Esistere, o meglio averne la coscienza, le sembrava miracoloso, tale pensiero a vicenda l’ossessionava o la inebriava; questo fino a dodici o tredici anni: poi non vi pensò piú. E adesso tornava di nuovo. Era proprio lei, Xenia Costantini, immersa in quel bagno profumato, nel piú grande albergo di Nizza? Era sua quella macchina in garage, la piú bella macchina di Milano? A lei le sartorie piú eleganti avevano mandato scatole di vestiti? Suo quel titolo che ormai pareva vero: Baronessa Costantini? Cose che si leggono nei romanzi. Alcune volte leggendo, nel prato incontro alla casa dove sventolava quel gruppo di pioppi

Letteratura italiana Einaudi

331

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

bianchi, pensava che a lei certe cose non sarebbero capitate mai, finché fosse rimasta chiusa in quel paese; e tuttavia era sicura del suo avvenire, si sente nel petto un destino straordinario, pesa di piú. Ogni cosa le riusciva facile, studiava poco ed era la prima sempre, senza sforzo; appena fu adolescente s’accorse che tutti gli uomini la guardavano, guardavano lei anche se era in compagnia di altre sue amiche piú compiutamente belle. Dopo le prolungate soste in lettura rientrava esaltata, accesa, era ciò che sua madre chiamava: montarsi la testa con i libri. A casa le cose andavano sempre peggio, spesso non c’erano neppure i soldi per comprarsi le scarpe. Fu lei un giorno a decidere: – Cosí non si va avanti, voglio lavorare –. Papà e mammà si guardarono, ma ella era risoluta: aveva finito il liceo, sarebbe entrata in università. Misero l’ipoteca sulla vigna, si decise che papà non avrebbe piú fumato, mammà avrebbe risparmiato sulla spesa. E partí. Adesso chiudendo gli occhi pensava a quante amiche, al paese, avevano sposato uomini di laggiú, che andavano all’osteria, la sera, stanchi rincasavano, le prendevano assonnate: e ogni nove mesi un figliolo. Aprí gli occhi per guardarsi il ventre liscio e bianco. L’acqua ondulava attorno a lei. Da bambina si lavava con l’acqua fredda in una catinella di zinco; forse, certe volte, per timore del freddo restava anche un po’ sporca. Sí, sí, restava anche un po’ sporca. Rise a questo pensiero. Fece schizzare l’acqua coi piedi, grondante s’alzò e tese le braccia in alto con infinita soddisfazione. Si stese nel letto ghiottamente: questa era la piú bella sua sera, la prima sera di vera felicità. Se un uomo fosse entrato nella stanza, il miglior uomo del mondo e avesse voluto baciarla, ne sarebbe rimasta profondamente annoiata. Vi sono donne fatte per vivere in due, altre per vivere sole. A lei, di tutti i piaceri questo solo pareva delizia ineffabile: godere di se stessa, della sua compagnia,

Letteratura italiana Einaudi

332

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

della sua immagine; niente poteva soddisfarla di piú; ci sono donne che farebbero pazzie per un uomo. Oh, no, no, per carità, distruggere il proprio benessere, la propria calma per un uomo! Gli uomini sono piacevoli quando si accontentano di alcune ore della giornata; ma un uomo, invece, invade la vita di una donna dal mattino alla sera. Come dire ad un uomo: «Non posso stare con te oggi, vorrei leggere questo libro»? È un piacere spesso superiore ad ogni conversazione. «Leggi, leggi pure» egli risponde: «Io sto qui, t’aspetto». Ma l’essere vincolata a quell’attesa distrugge anche la gioia del pensiero. Lui solo si serba una via d’uscita. Si chiude nel proprio studio, dice: – Adesso io lavoro –. Spesso proprio in un momento nel quale la donna avrebbe voglia di chiacchierare. Come possono vivere in armonia due egoismi? Xenia riconosceva di non possedere, in fondo, nessuno spirito d’avventura; ne aveva avuto finché era necessario per conquistarsi la possibilità di dormire in un letto morbido, sotto un copripiedi di piuma, avere attorno un immobile silenzio vegliato dalla lampada che spande tanto di luce che basti a illuminare il libro aperto. E ora che aveva finalmente ottenuto tutto questo, anche ciò che d’avvilente era nella sua avventura le parve giustificato. Ma non poteva leggere; il benessere fisico sommerge i gesti, anche i pensieri: abbassò le braccia sulle lenzuola, un fresco benefico le salí fino ai gomiti, poi strofinò i piedi l’uno contro l’altro e chiuse gli occhi. Certa gente pensa che la felicità venga soltanto dall’amore; ella era profondamente felice eppure non si era mai innamorata. Dino, Dio Dio, povero Dino, tra un mese andrà la causa! Sí, Xenia riconosceva, ella non era mai stata innamorata che di se stessa. Il sonno sarebbe sopraggiunto come uno sfinimento, lei non avrebbe mai avuto la forza di alzare il braccio per spegnere la luce: l’avrebbe presa cosí distesa, il libro tra le mani. Sí, veramente tutto ciò che aveva patito

Letteratura italiana Einaudi

333

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

scompariva di fronte a quel solitario benessere. Tutto, pensò. Poi improvvisamente, sotto le palpebre abbassate gli occhi le si allagarono di pianto. No, tutto no, non tutto. A Milano c’era Horsch. Horsch tanto preso di lei. Era un uomo piacevolissimo e lei gli doveva tutto: la macchina, il conto in banca, il brillante, i vestiti, la villa che aveva affittato, tutto, anche il passato, il titolo, anche quell’alone di donna perbene che egli aveva saputo creare attorno a lei. Ma poi c’era la notte. Erano quelle ore notturne che la terrorizzavano. Ormai ogni sera uscivano insieme. Si diceva a Milano: «Horsch e la baronessa», come una sola persona: Xenia sapeva tutto, dei piccoli, dei grossi affari, egli non agiva mai senza domandarle consiglio. Gli affari di Raimondo erano ormai affari comuni di loro due. Due sere la settimana Horsch restava con lei; e fin dal mattino Xenia cominciava a inorridire per quel momento; neppure i vestiti e la macchina dissipavano il suo malumore. L’affettuosa amicizia che aveva per lui si tramutava: cominciava a odiarlo da quando chiudeva la porta della camera dietro di loro. Le mani di lui, i suoi gesti calmi, quell’adorazione sottomessa che era nel suo modo di guardarla, 1’inorridivano. Al buio, mentre egli la cercava, gli occhi le si dilatavano per l’orrore e avrebbe voluto gridare; tutto dentro di lei gridava ed era strano che non s’udisse quell’urlo disumano che si strappava in lei, di repulsione. Dopo, egli dormiva e lei si teneva discosta, sveglia, temendo che nel sonno quel disgusto la cogliesse di nuovo in un incubo. Desta, immobile, vedeva nascere le prime luci. Egli la lasciava presto al mattino, le faceva una carezza sulla fronte, la baciava castamente sui capelli. Sorridendo stanca, come dopo una lunga malattia, lei lo salutava affettuosamente: – Ciao, Raimondo –. E chiudeva gli occhi e si sentiva alleviata, in convalescenza, e si lasciava prendere da quell’ineffabile benessere della solitudine. S’addormentava serena.

Letteratura italiana Einaudi

334

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Serena come ora, con sulla gota una lacrima che, asciugandosi, aveva formato una macchia tonda opaca. Nei giorni che seguirono Xenia si divertí a scoprire le novità di quella vita. Provava una dolce e lieve storditezza a passeggiare nelle strade tepide di sole, dopo il brumoso inverno a Milano; era divertente essere all’estero, sola, parlare francese, ritrovare facilmente le parole. Comperava molti oggetti, s’illudeva che fossero a buon mercato, un’occasione. Al mattino si svegliava con entusiasmo, decideva accortamente il programma della giornata, poteva fare quello che desiderava, era libera, dopo poco poteva cambiare idea, se voleva, le giornate erano sempre troppo corte per tutto quello che aveva voglia di fare. Di sera andava a teatro sola, rientrava a piedi in albergo. Ogni gesto poiché non dipendeva che dalla sua volontà le appariva colmo di fascino. Finalmente, stando sdraiata sul balcone, poteva contemplare a lungo il mare. Si disegnava in cielo un esile quarto di luna. Come quando era bambina, Xenia godeva nell’abbandonarsi alla consapevolezza di esistere. Dopo pochi giorni aveva contratto alcune amicizie: una signora olandese, matura e ancora bella con due figliole da marito, due figliole strabiche; bei corpi, bei capelli, bei denti, ma gli occhi storti e quella disorientante tristezza degli strabici. Vederle accanto raddoppiava la sciagura; era come se ognuna di loro avesse quattro occhi storti. La madre, invece, aveva occhi celesti pieni di rattenuta inquietudine. Ella camminava sempre un passo avanti e le figlie la seguivano guardando in quel loro mondo strampalato. Invitavano molta gente in albergo, molti uomini giovani; ma quelli, invece, si mettevano a corteggiare la mamma. E lei finiva col cedere, forse spinta dal sentimento di fare quello che poteva per irretire un buon partito alle figliole le quali facilmente si sottomettevano a quella superstite prepotenza di gioventú.

Letteratura italiana Einaudi

335

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Però il senso del dovere presto ritornava alla madre che, pentita, lasciava subito andare il nuovo amante. Le ragazze, poco dopo che Xenia era arrivata in albergo l’invitarono di lontano con sorrisi; quando la conobbero la circondarono di affetto: erano due creature adorabili. Xenia aveva poco piú della loro età; cosí giovane già vedova! per confortarla le carezzavano le mani, povera baronessa! Quel difetto fisico, invece di renderle maligne, le rendeva angeliche; correvano incontro a Xenia e la prendevano sottobraccio una di qua e una di là, facendole le feste come due cagnolini. E Xenia godeva della loro spontanea sottomissione. Le tre olandesi abitavano a Nizza quattro mesi all’anno; la madre giocava al bridge, le figlie giocavano al tennis. Fu con loro che Xenia conobbe Maurice. Maurice de Langes aveva ventisette anni ed era campione di Francia di tennis. Xenia, sapendo questo, lo guardò con aria di compatimento: come si può credere di aver raggiunto qualcosa nella vita per il fatto che s’è tirata con piú abilità degli altri una palla di gomma di là da una rete? Perciò dapprima lo giudicò fatuo e di limitata intelligenza. Parlò con lui appena per educazione, ma alla fine della serata, aveva dimenticato che egli era anche campione di tennis e pensava solamente che era un ragazzo molto intelligente. Maurice parlava di argomenti profondi con aria infantile: sembrava che discutesse di cose superiori e inadatte alla sua età. Il suo viso non era proprio bello: aveva occhi neri e scavati che vibravano di luce calda. Non era molto alto, ma aveva il corpo agile, svelto. Dissimile dagli altri giovani della sua età, non ballava mai, parlava poco di sé e della sua destrezza, usava un tono moderato di voce. Non faceva nulla tutto l’anno; viaggiava. E i viaggi erano per lui una vera occupazione intellettuale: ne discorreva con spirito acuto che dava rilievo e colore alle cose vedute. Xenia in principio gli parlò di tennis

Letteratura italiana Einaudi

336

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

credendo che quello fosse per lui l’unico argomento interessante; egli rispose senza spavalderia; trovava lo sport ottimo per la salute e si faceva perdonare facilmente di essere piú bravo degli altri. Poi egli cominciò a parlare dell’Italia e degli italiani: era – ella pensò – il solo francese che parlando d’un popolo straniero non tingesse le sue parole di condiscendenza e d’ironia. Non conosceva i bar degli alberghi di Roma, né esaltava le canzonette napoletane; parlò invece dell’antica pittura italiana. Alla fine spiegò: – Dipingo –. Disse questo con semplicità, giocando con le mani, per far intendere che la sua arte non valeva gran cosa, appena un passatempo. Eppure per un rossore che gli salí alla fronte Xenia capí che quella sola cosa veramente lo interessava. Maurice de Langes, che qualche volta giocava al tennis con le ragazze olandesi, andava a trovarle all’albergo, di sera, si sedeva e ascoltava ciò che gli altri dicevano, spesso senza interloquire. Da quando Xenia era nel gruppo egli sempre cercava di sedersi accanto a lei: se il posto era occupato se lo conquistava a poco a poco con una sorta di astuta tenacia. Di buon’ora le due ragazze salivano a coricarsi; salutavano la compagnia, le vecchie dame con un inchino, abbracciavano Xenia con effusione. La madre restava a giocare al bridge; i giovani si mettevano a ballare. Allora Maurice sembrava svegliarsi, s’animava, parlava con Xenia, la incitava a raccontare. Una sera lei andò al teatro e lui il giorno dopo le fece: – Non vi ho trovata iersera –. Poi sorrise impacciato e la ragazza pensò che non sarebbe andata piú al teatro. Rientrata in camera sua, quella stessa sera, Xenia andava chiedendosi che cosa intendesse fare con lui. Intanto si spogliava, riponeva gli oggetti, per convincersi che quel pensiero non occupava tutta la sua mente. «Un ragazzo» pensava «niente altro che un ragazzo». Però s’inteneriva ricordando quel modo di ridere di Maurice, che esplodeva improvvisamente, risuonava un attimo,

Letteratura italiana Einaudi

337

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

secco e nervoso, e rapido si placava, lasciando negli occhi di lui un sorriso evanescente come la spuma di un’onda che si ritira sulla sabbia. «Un ragazzo». E però adesso l’amore per la solitudine diveniva frettoloso, le ore della giornata le parevano interminabili, prendeva in macchina le due ragazze e andava in giro con loro, sperando di incontrare Maurice. Durante il giorno chissà dove si nascondeva. «Forse avrà un’amica, è naturale alla sua età, avrà un’amica». Lui invece spiegò che a quell’ora dipingeva. Molta gente in albergo ballava fino a tardi, la notte; la musica suonava ininterrottamente, dando appena un minuto di respiro. E le coppie affaticate parevano trascinare attorno per la sala lo sforzo di divertirsi. Quelli che non ballavano, guardavano, seduti a tondo intorno alla pista. Le coppie giravano come figure d’un carosello; s’allontanavano, ritornavano, s’allontanavano sorridendo, sorridendo ritornavano. Il fumo stagnava nell’aria, come una nuvola afosa. Senza darsi piú pensiero della gente, Xenia e Maurice s’isolavano; passavano sotto gli occhi delle ragazze strabiche che sorridevano loro con simpatia e andavano a sedersi in un angolo. Parlavano a lungo, di cose personali, per quell’ansia di conoscersi che domina i primi incontri. Egli raccontava della sua infanzia, ricordava il rammarico provato, da ragazzo, quando sua madre non voleva farlo scendere in cortile a giocare con gli amici. Aveva a momenti arie di ragazzino per bene che ancora risentivano di quella proibizione; se ricordava quel fatto era perché senza avvedersene se ne accorava ancora: certi dolori infantili incidono tutta la vita. – Ero, da bambino, piuttosto taciturno, amante della solitudine – raccontava – mi credevano malaticcio, perché, per raccogliermi nel mio silenzio, dicevo sempre di avere il mal di testa. E non capivano: i grandi non capiscono mai i bambini. Certe volte mi accadeva di sentir-

Letteratura italiana Einaudi

338

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

mi sdoppiato, un’altra persona si staccava da me, non un’ombra, ma una creatura vera, viva, con un suo nome: René. Sapete chi era René? Un personaggio creato dalla mia fantasia, l’essere, in certo modo, che io sarei voluto divenire. Pittore, naturalmente. Io passavo con la mamma lungo un fiume, ad esempio, e René mi camminava accanto con nobilissimo passo, composto. C’erano sul fiume mobili chiazze d’ombra, o vi si specchiavano lampioni che per l’ondulare dell’acqua sembravano palloncini legati a un filo. La mamma non mi permetteva mai di fermarmi, mi tirava pel braccio, René, invece, apriva la scatola dei colori, s’appoggiava sul parapetto per dipingere. E io, sapendolo lí, beato dell’arte prediletta, m’allontanavo consolato, in me una soddisfazione di vendetta compiuta –. Poi arrossiva e si scusava: – Sciocchezze, vero? ma ero cosí. Voi siete la prima persona alla quale racconto queste cose. L’unica. Chiese a Xenia perché avesse quel nome, se le venisse da qualche parente russo. – Russo? oh, no, no. Mi chiamo cosí da un romanzo che mia madre leggeva quando aspettava che nascessi, l’eroina di un romanzo che le piacque –. E pensò che molte cose nella sua vita erano dipese dal fatto di portare, in un paesetto, quel nome straordinario. Tutti se ne sorprendevano: «Xenia? ti chiami Xenia? che nome è?» E poi: «Brutto» dicevano o «Bello» o «Buffo», ma insomma dicevano qualche cosa; era un nome raro che si scriveva con una consonante rara; certi nomi sono impegnativi, non si può portarli come altri piú semplici. – Xenia – Maurice disse – vuol dire straniera. Egli parlava senza smettere d’interrogarla con lo sguardo, attonitamente rispettoso. La musica suonava e loro tacevano a lungo. Xenia appoggiava la testa sul divano. Stando cosí egli una sera le prese la mano, lievemente, come per gioco. Ormai non potevano piú stare separati; la grande

Letteratura italiana Einaudi

339

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

macchina di Xenia rimaneva in garage; .Maurice veniva a prenderla con la sua piccola macchina francese, vecchiotta, che usava chiamare sorridendo: «Ma bonne Éloïse». Andavano a spasso, parlavano avidamente come per rifarsi del tempo passato lontani. Xenia era proprio orgogliosa che lui fosse campione di tennis, Maurice era cosí magnificamente giovane. – In fondo – egli diceva – la vita che faccio non è quella che vorrei. Mi piacerebbe abitare un’antica città di provincia, in una casa alla Proust, piena d’ombre e col granaio, avere un grande studio, mobili scuri massicci, e un soffitto a volta, altissimo, che si perdesse. La finestra sulla corte, una corte con la fontanina, o un pozzo come dinanzi a certe case di Venezia. E lí starmene a lavorare, suonare il violoncello. Questo vorrei, e invece che faccio? ho bisogno della doccia, dell’automobile, vedo gente, mi ci diverto, e la vita che faccio in fondo mi soddisfa. – Ma è cosí per tutti, credimi. Nessuno è contento della propria vita, idealmente sempre ne cerchiamo una migliore, eppure da quella che viviamo non usciremmo, perché s’è venuta formando sul nostro carattere, a nostra insaputa. L’altra non è che un’aspirazione estetica. – Non so. Per me non è cosí, forse. Io porto in me da anni questo desiderio di abitare una vecchia casa mia. La mia famiglia, un tempo, aveva un castello nel nord della Francia, in Vandea. Conosci laVandea? Un popolo duro, segreto, puoi vivere in mezzo a loro cento anni, mai li comprenderai bene. Il sabato e la domenica si può visitare il castello. Io ho voluto andare a visitarlo in uno dei miei viaggi, ma sono rimasto male quando ho dovuto pagare l’ingresso. Pagare per entrare nella casa dei miei. C’è ancora lo stemma nella corte, il nostro stemma... Ho girato ore e ore nel castello, solo, dai sotterranei alla torre, ho visitato tutto minutamente. I muri mi chiamavano. Dalla finestra della torre si dominava il parco boscoso, si scorgevano montagne ferrigne e nude:

Letteratura italiana Einaudi

340

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ma il parco era cosí bello, e il prato dolce e invitante, e l’acqua del fossato cosí chiara e luminosa che sentii sorgere in me l’impeto di buttarmi giú. Fu un attimo, non so come mi trattenni. – Perché volevi farlo? – Non so. Credo che fosse perché la mia vita, di fronte alla vita di quel castello, nel quale gente del mio sangue aveva vissuto, aveva lasciato traccia, la mia vita presente mi sembrava desolatamente vuota. Che cosa ho raggiunto finora? So fare tante cose, ma nessuna perfettamente. Dipingere. Non ho avuto nessun vero successo. Certe volte penso: «Gli altri riescono perché hanno fortuna». Si ha sempre paura di riconoscere che gli altri riescono per ingegno. Sono un mediocre pittore, io; e la mediocrità in arte mi inorridisce. So giocare bene a tennis... ma che conta il tennis? che cosa conta nella storia !’abilità di un giocatore di tennis? in me c’è talvolta lo spirito dei cavalieri di ventura, talvolta quello del provinciale: viaggio, m’arrischio, sí, ma in fondo mi piace avere il pane sicuro. Una contraddizione sono, tutto una contraddizione. Quando sono occupato in opera dello spirito, il corpo si ribella e chiede l’aria, il sole: quando faccio lo sport penso ai quadri che sono incompiuti, alle bellezze che sono pel mondo e che non conosco. Erano meno distratti di noi, negli altri secoli. Oggi è molto difficile essere giovani, appunto perché tutto è tanto facile e vario. Insomma non c’è nulla di intero e valevole in me se non l’amore che ti porto –. Ed era questa incertezza di lui che ella amava, l’entusiasmo con il quale cercava di conoscersi e quella limpida chiarità che gli illuminava gli occhi. – Dimmi del tuo passato – Maurice le chiedeva spesso: – Ti sei sposata molto giovane... – Molto – lei rispondeva. E subito divagava, non sapeva mentirgli, raccontare la solita storia, no, no, a lui no. Niente, Xenia pensava, niente contava piú se non lui, Maurice, i suoi occhi, la sua nuca magra, le labbra che

Letteratura italiana Einaudi

341

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

parevano imbronciate. Ascoltare Maurice parlare, andare con Maurice nella vecchia vetturetta in gita fino a Cannes, fino ad Antibes, vederlo muovere con quei gesti graziosi e misurati. Amarlo senza pensare a nulla, beati come quando si è soli. Egli abitava una casetta remota, nei giardini prossimi al campo di corse. – Vieni? – le chiese. – Sí, verrò – Xenia promise. E lui non chiese quando; alla fine del mese Xenia sarebbe partita. Ma Maurice non se ne rattristava. – Che importa? – diceva – io verrò a Milano, ti prendo sulla macchina, facciamo dei piccoli viaggi. Io potrò rimanere anche un mese, due mesi a Milano. Tu verrai a Nizza ogni inverno –. E lei prometteva sí, sí che questo era molto facile. Maurice non sapeva che c’era Horsch a Milano, che aveva la chiave della villa, che senza di lui Xenia non sarebbe stata la baronessa Costantini, senza di lui mai avrebbe messo piede a Nizza, a lui doveva i vestiti che metteva per piacere a Maurice e tutto il resto. Raimondo l’aspettava e non si poteva continuare cosí, bisognava finire. Perché, vivendo con Maurice, Xenia aveva scoperto qualcosa di molto importante nella vita: la gioventú. Xenia aveva soltanto ventitrè anni, ma non doveva abituarsi al sapore della gioventú; dopo, non avrebbe piú sopportato di rinchiudersi in una vita di benessere puramente materiale. Solo essendo l’amante di Horsch poteva avere l’amore di Maurice, egli l’amava come ella era; credendola ricca, le proponeva cose e viaggi costosi; disegnava di recarsi con lei in Argentina; voleva andare là per dipingere certi laghi stretti e lunghi come fiordi, che riflettono la neve vergine delle montagne. Desiderava costruirsi una casa in una penisola che si chiamava LlaoLlao. Ma, – pensava Xenia – se avesse saputo la verità, Maurice l’avrebbe lasciata con la intransigente durezza dei giovani: «Non sopporto che un solo dei tuoi pensieri

Letteratura italiana Einaudi

342

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

non m’appartenga» le diceva sovente. E Xenia non poteva dargli nulla, perché nulla di lei le apparteneva, neppure il passato. Vicino a Maurice si sentiva giovane come certe sere al collegio quando si mettevano tutte insieme a ridere, a cantare. Le suore aprivano la porta, intimavano il silenzio e loro non potevano smettere, qualcosa era piú forte della loro volontà di ubbidire; cosí come lei e Maurice avevano tentato il primo tempo di nascondersi, e poi non era stato possibile. Ma la gioventú che si viveva in collegio era una gioventú compressa, porte e finestre sbarrate, un’attesa afosa, mai un filo d’aria nuova: con Maurice invece era l’espandersi fresco, vivace, rigoglioso della gioventú. No. Xenia poteva avere tante cose, ma a questa doveva rinunciare. Se no, mai piú avrebbe potuto trascorrere una sera nella foresteria del circolo tra le vecchie pance degli industriali, ascoltando i discorsi di Horsch, mai piú toccare le mani flaccide di lui, la grassa bocca. Il grido di repulsione che da tempo tratteneva in sé sarebbe esploso, e lei gli avrebbe gridato in faccia: – Vattene, vattene, ho ribrezzo di te! – Poi avrebbe gettato il nome di lui, forte: – Maurice! – come per difendersi. E Horsch, dopo averla salutata con un inchino, avrebbe chiuso silenziosamente dietro di sé la porta della villa, l’avrebbe abbandonata, e la vita di Xenia sarebbe rotolata nel buio. Era buono, Raimondo, non meritava che lei lo ingannasse. Certi aspetti di Horsch le sfuggivano, capiva che molte cose nella vita di lui le sarebbero rimaste sempre sconosciute e però sentiva che, in fondo, a lui soltanto ella poteva mostrarsi qual era, con la sua ambizione e la sua rapacia. Raimondo la capiva, c’era tra loro due una segreta affinità: quella d’arrivare dove si voleva con qualunque mezzo. Cercava di convincersi che nulla amava veramente al di fuori della sua solitudine, del suo benessere. Una camera nella piacevole penombra e i fiori e il libro e le si-

Letteratura italiana Einaudi

343

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

garette e i dolci, immersa in un silenzio soffice: in quelle ore la pace scendeva su di lei e la bagnava come un’acqua miracolosa. O viaggiare sola, confusa avanti alla natura, niente mi piace piú della natura, e sentire agitarsi nel petto le esclamazioni di maraviglia che doveva rattenere e che le scatenavano dentro una grande commozione. Quando si viaggia in due, dire al proprio compagno: «È bello», già distrugge metà dell’incanto, già scarica. E poi – pensava – la gioventú passa, la bellezza passa, tutti ci lasciano soli, bisogna abituarsi, prima, a non soffrire di essere soli. Niente mi piace di piú della solitudine. A Milano la casa nuova, un morbido divano, il libro, la penombra, le sigarette, magari uno di quei dischi rochi. Sí, sí, rinunciare bisognava. Mai andare nella villetta dei Giardini che Maurice, arrossendo, aveva descritto ingombra di colori e cavalletti, non piú vederlo giocare al tennis, i muscoli delle gambe tesi, fuori dei brevi calzoni bianchi, mai piú, mai piú nulla. E questo l’angosciava. Andarsene súbito. Insistenti, ossessionanti, le ritornavano alla mente alcune espressioni di lui e l’aria umile con la quale le chiedeva: – Mi vuoi bene? Passò la notte in un dormiveglia finché piombò in un sonno profondo; nel sonno le apparve Maurice: la conduceva lontano, in Argentina, nella casetta della penisola Llao-Llao, lei piantava i fiori, mentre Maurice faceva i bagni di sole. Poi sognò che Maurice, disperato per la sua partenza, voleva gettarsi dalla torre del castello. Stava dritto sul davanzale della finestra, spingeva il piede nel vuoto. – No! Maurice, no! Di soprassalto si destò: il cuore le batteva furiosamente. Era tardi al mattino; si calmò, a poco a poco, su di lei scese una rassegnata tristezza. Si fece dare Milano al telefono: – Pronto... Disse a Horsch che era stufa di stare a Nizza, domani incominciava il carnevale, troppa baldoria, troppa gente: se ne tornava a Milano.

Letteratura italiana Einaudi

344

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Mi vieni incontro a Genova? – Se vuoi – Horsch rispose, nella voce una repressa gioia, non intaccata dal tono svanito con il quale Xenia parlava, guardando nel vuoto avanti a sé, assente. Domani mattina a Genova. Restò cosí, su queste parole, seduta nel letto, le mani intrecciate; e aspettava di sentire in sé, d’improvviso, il sollievo della decisione presa. Ecco, è fatto, parto, me ne vado, e mi libero. Invece, dentro di sé, nel petto, in gola, le si formava un nodo che le rendeva faticoso il respiro. Basta, arrivo a Milano, mi compro tanti vestiti, non c’è niente di piú divertente che comprare dei vestiti. Cercava d’immaginare come sarebbero stati questi vestiti e invece rivedeva Maurice seduto al volante della «bonne Éloïse», sarebbe venuto a prenderla nel pomeriggio? avrebbe provato un gran dolore: «Partita?» Sí, partita, scappata, un’altra fuga, liberarsi di queste pazzie, vedere la vita com’è veramente, se seguito a star qui rovino tutto. Arrivo a Milano e subito m’occupo della villa, organizzo il bar nella cantina. È piaciuta anche a Raimondo l’idea. Com’è contento di rivedermi, Raimondo! Sí. Già. Ma con Raimondo mai avrebbe potuto fare una corsa in un prato, sarebbe stata una scena pietosa una corsa in un prato con Raimondo. Maurice con quei muscoli delle gambe tesi... Le stava negli occhi adesso il viso infantile di Maurice. Maurice è giovane, anch’io sono giovane. Già, bella roba, non te la mangi mica la giovinezza! Vero, vero, ma non era colpa sua se non riusciva a togliersela di dosso questa maledetta giovinezza, se ne era accorta qui, a Nizza, specialmente quando era vicino a Maurice, dopo che lui aveva giocato a tennis e smovendosi mandava attorno quell’odore di buon sudore e sole. Maurice le aveva chiesto: – Vieni da me domani sera? – E lei aveva promesso di andare. A quest’ora sta rassettando i colori. Ci vado, parto dopo, súbito. No, bella porcheria, e forse dopo non me ne andrei piú. Maurice

Letteratura italiana Einaudi

345

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

diceva sempre: – Il primo viaggio che faremo insieme sarà a Siena –. Lascio tutto e vado a Siena con Maurice, tutti ci guardano quando stiamo assieme, io e Maurice. Raimondo, a Genova, domani, e domani sera viene e mi chiede: – Non sei stanca, vero, cara? – Dio, Dio, Dio. Come fare, Dio, a togliersela di dosso questa maledetta gioventú? Fa bene piangere: solleva; piangere forte come da bambini. – Preparate il conto, per favore. – Volete aiutarmi a fare le valige, per favore? – Fate scendere il mio bagaglio: 118, per favore. Salita in automobile restò pensierosa, fissando la strada, il mare. C’era molta gente sul viale: e lei se ne andava, aveva fatto tutto a precipizio, ma era assurdo tutto questo, che sciocchezza! E Maurice? Maurice? Sarebbe stato meglio rivederlo, parlargli, forse... Bisognava andarsene súbito, invece, adesso, senza esitare; e però le sembrava che questa fuga fosse piú importante e dolorosa della prima, come se ella dovesse addirittura fuggire da se stessa, abbandonarsi per sempre. Il portiere, con altro personale, era sulla soglia dell’albergo, attendeva che la macchina partisse. E Xenia rimaneva lí, ferma al volante, tentata di scendere. Certo quelli si domandavano: «Che fa? Che aspetta?» Ella indugiava. Non era facile andarsene, scappare. Finiva tutto con questa partenza. E come avrebbe potuto guidare se non vedeva chiaro avanti a sé per le lacrime che le appannavano gli occhi? – Maurice… – mormorò – Maurice... Maurice... Accese il motore, tolse il freno, ingranò la marcia, spinse l’acceleratore. * Mesi e mesi che la guerra durava. Per le tre donne di via Sistina l’attesa era divenuta consuetudine di vita; la

Letteratura italiana Einaudi

346

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

politica, per Donna Inez, una sorta di mania senile. Ne parlava con chiunque; se andava nei negozi, parlava della guerra di Spagna al primo venuto: una volta che si sentí chiedere: – Anche gli spagnoli si battono in Spagna? – ne fece una malattia. – Cani, siamo, cani, niente altro. Era lei che teneva accesa la vita in casa; le due ragazze erano malinconiche, il silenzio di Pilar raggiungeva l’ostinatezza; non parlavano piú neppure delle loro sofferenze. Adesso che era inverno, non essendo la casa riscaldata, si raccoglievano in un angolo della sala da pranzo. Lí avevano riunite le fotografie, gli oggetti piú cari: Vinca correggeva i compiti degli allievi, accovacciata accanto al braciere. Le lezioni erano per lei grande sacrificio; ma non se ne lagnava. Donna Inez cercava di scuoterle; le incitava a badare alla casa che, trascurata talvolta per molto tempo, aveva assunto un aspetto disordinato e poco pulito. Ma gli oggetti erano cosí numerosi che il disordine permaneva e le donne, scoraggiate, nascondevano i bauli sotto vecchi scialli spagnoli, tiravano tende con antiche stoffe, rendendo la casa opprimente. A sera rimanevano accanto al fuoco fino a tarda ora, spesso in silenzio. Nella strada s’udiva calare una saracinesca, una voce s’avvicinava, si perdeva, passava un’automobile e la luce dei fari rapidamente sfiorava la finestra. Da piú di un mese Luis non dava notizie. Spesso, per consolare le ragazze, donna Inez faceva le carte. Era come se per lenirle narrasse una favola. Senza scostarsi dal braciere, stendeva le carte sopra una tavoletta posata sui ginocchi. Diceva sempre le stesse cose; persona che ritorna, inquietudine dissipata, lettera. Sí, lettera, al massimo entro tre giorni: e mostrava alle ragazze le due carte unite per rassicurarle. Tre di quadri, due di cuori: proprio cosí, non diceva bugie. E quelle, rassicurate da lei, attendevano. Eppure donna Inez aveva la pena piú grande da portare: il figlio lontano, quell’ansia e quel brivido

Letteratura italiana Einaudi

347

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nella carne che provano soltanto le madri, e il continuo presentimento di qualche disgrazia che le correva per la pelle, e il vedere quelle due ragazze cosí scoraggiate e taciturne. Allora lei, quando le vedeva piú abbattute, faceva le carte; le faceva con serietà anche se Pilar e Vinca, ascoltandola, neanche alzavano la testa. Le carte erano divenute le custodi della speranza. Tre di quadri, due di cuori; posta entro tre giorni. Tante volte erano passati tre giorni: Luis non aveva scritto, le lettere di Pepe non davano notizie di lui: Pepe era al fronte, Luis a Còrdova. Vinca si sentiva distante da lui sbalestrata nell’infinito, e tuttavia tentava di racconsolarsi: – Io so come è fatto Luis. Non scrive, e poi un giorno suona alla porta, ritorna. Non tornerà al fronte, vedrete, viene qui, deve studiare. E le altre la incoraggiavano, approvando: – Certo, certo è cosí, proprio il suo carattere. Ma stanca d’attendere, Vinca disse un giorno: – Perché m’incoraggiate? Sapete anche voi che non è cosí, qualcosa è accaduto. È tornato al fronte. È morto. Tornando dalle lezioni certe volte andava a letto, senza mangiare. Pilar, entrando in camera, la trovava al buio, ne udiva il respiro affannato, capiva che aveva pianto fino allora. Ma non sapendo che dirle, fingeva di credere che dormisse. Tutto ciò che poteva fare era di leggerle le lettere di Pepe, dove però non vi era detto mai nulla di Luis: Vinca si rassicurava pensando che se vi fosse stata qualche cattiva notizia, Pepe ne avrebbe parlato di certo. Una volta donna Inèz propose cercando di avere un tono naturale: – Andiamo al cinema, stasera? Non ne aveva voglia, nessuna voglia: quando accompagnava i figli al cinema si metteva tra loro due e sonnecchiava; ma sperava che le ragazze avvedendosi che esisteva un’altra vita s’invogliassero di tornare a viverla, e si sciogliessero dal nodo d’inerzia angosciosa che le stringeva.

Letteratura italiana Einaudi

348

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Andiamo al cinema, dunque? – ripeté con un sorriso allettante. Le ragazze, senza darle risposta, levarono verso di lei i loro occhi tristi: la guardavano per convincersi che veramente aveva fatto simile proposta. E allora lei con un’aria convinta: – Bene, – disse – bene, come volete. Il giorno dopo arrivò una lettera di Pepe: Vinca era in casa e vedendola nelle mani di Pilar s’illuminò: soltanto quando capí che l’amica non accennava di rileggerla ad alta voce, chiese ansiosa: – Che dice? Pilar ripiegando la lettera, rimettendola nella busta fece: – Il solito. – Che cosa? – Niente di nuovo. – E di Luis? – Di Luis? – Già: e di chi se no? – Di Luis, niente. Fredda Vinca disse: – Non è vero. Donna Inez vedendo lo sguardo della figlia, e la fretta con la quale aveva ripiegato la lettera, cercò di aiutarla: – Ma se ti dice cosí perché non deve essere vero? Vinca senza badare a lei insisteva; si vedeva che forzava se stessa per mantenersi calma. – Fammela leggere. – Che dice di Luis? – Niente. – Giura. – Che cosa? – Che non dice niente, niente di Luis. – Ma certo – interruppe donna Inez – son cose, sai bene, cose di fidanzati. Lasciala, è sua la lettera. Vinca seguitava a insistere duramente: – Giura. – Non è necessario. – Fammela leggere, allora – e si avvicinava minaccio-

Letteratura italiana Einaudi

349

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sa: – Pilar… – infine, cambiando tono implorò con dolcezza lacrimosa: – Ti prego, Pilar. – Non posso. Allora portandosi le mani al viso Vinca dette un urlo: – È morto? Donna Inez pensò che adesso Vinca sarebbe caduta per terra, fulminata, s’avvicinò per sostenerla, ma, con maraviglia, vide Pilar, pallida, color di terra addirittura, scuotere la testa dicendo: – No, sta tranquilla, no. – Giura! – le gridò Vinca. – Giuro. Vinca le spiava gli occhi incredula, non smetteva di fissarla, temeva uno sguardo d’intelligenza con la madre. Questa chiese con ansia: – Ma che c’è allora? – Non le pareva possibile che dopo quel viso tragico della figlia, Luis non fosse morto davvero. Pilar ripeteva: – Sta bene. C’è una cosa. – Non importa – Vinca andava ripetendo: – qualunque cosa, non importa, purché sia vivo. Ma forse hai giurato il falso: in un caso simile non ha importanza –. Poi la guardò fissa dolorosamente e la supplicò: – Pilar, qualunque cosa sia, ti prego, anima, dimmi la verità. Vi fu un silenzio. Le tre donne si guardarono, attendevano, Pilar attendeva la forza necessaria per parlare. Un venditore gridò nella strada e quelle tre, cosí prive di volontà, lo ascoltarono, seguirono il suo richiamo modulato, come l’unica cosa esistente ed importante. Una voce che era l’ombra della voce di Pilar, infine disse: – Ha sposato. Per due giorni – Vinca raccontava a Silvia – non ho creduto che fosse vero, non era possibile; come potevo credere? Trovavo possibile che morisse al fronte, ma che si sposasse no, questo mai. Poi ho chiesto a Pilar: «Chi è, lei?» «Non so; Sol de Montalvo si chiama, una del suo paese». E allora ho capito che era vero. Sai?

Letteratura italiana Einaudi

350

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

quella. Era sempre rimasta, dunque, nella sua vita. Una piccola storia, la nostra; non l’aveva toccata. Era vero. Parlava come un’allucinata. Silvia l’aveva trovata seduta per terra, in vestaglia, davanti un mobiletto dal quale traeva le lettere di Luis per rileggerle. Non si sapeva che cosa dire per confortarla. Se Luis fosse morto sarebbe stato piú facile, assai piú facile, trovare parole di consolazione. Poiché alla morte il loro amore sarebbe sopravvissuto; le si sarebbe potuto dire che era stata una cosa bella, immensa; ciò avrebbe potuto darle forza; ma questa pena era ben piú grande. Era stata Pilar a chiamare Silvia per telefono: – Vinca è cosí calma che abbiamo paura, la mamma e io, tanta paura, siamo sotto un incubo, venga. – Sono tanto buone – Vinca diceva – mi portano il brodo caldo come se con quello potessi guarire. È strano: quando si soffre moralmente, il fisico acquista per gli altri un’importanza enorme, ed è naturale, in fondo, cercano di curare la sola cosa curabile. Mi mettono perfino i cuscini dietro la schiena –. Poi mostrava le lettere: – Vedi? Tutte sue, questa è l’ultima. Trentadue giorni fa. Dieci giorni prima di sposare. Adesso te la traduco. Dunque... «mi amor... amore mio…» sí ma questo non ha importanza – e scorreva con lo sguardo le righe. – Ecco, questo, ecco senti... «volveré... tornerò,» dice, «presto, forse non andrò di nuovo al fronte». Ecco, senti qui, «Qualunque cosa accada, pensa che ti amo». Adesso capisco che cosa voleva dire. Non mi ha scritto piú dopo questa. Ha sposato il tre gennaio. Chissà che facevo io quel giorno? Non è vero che si sentono certe cose, non c’è il tuffo del sangue. Silvia, seduta, guardava Vinca rannicchiata, per terra, livida di freddo, le labbra bianche; negli occhi si vedeva come un gran buco nero. D’un tratto il viso di lei si fuse in un pianto senza singhiozzo; le lacrime le scorrevano sul viso contratto inondandolo silenziosamente. Mise la

Letteratura italiana Einaudi

351

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

testa sui ginocchi di Silvia disse: – È terribile, è terribile! – Parlava con voce spezzata. – È atroce, Silvia, tu non sai; non puoi capire, sarebbe meglio che morissi, che vivo a fare? – L’amica le accarezzava i capelli, commossa, e intanto ricordava di aver udito le stesse parole dalla moglie di Belluzzi, il giorno di quella disgustosa scena. E perciò la pregava: – Taci, taci –. Ma quella insisteva singhiozzando. – Tu non sai, tu non sai, Silvia –. Non sapeva. Epperò intuiva che quella sofferenza dovesse essere bella, come la sua sofferenza di aprirsi una strada con la sola forza della volontà. – Io so, invece. Non c’è bisogno di essere innamorata per capire. Vinca intanto stringeva a sé le lettere: – Queste mi rimangono – diceva. – Lo ami ancora!… – Silvia esclamò stupefatta. La ragazza la guardò dal basso. – Ti maravigli, eh? Eppure un malato grave ama di piú la vita, perché sente che forse sta per perderla. Come potrei dimenticare in un giorno? Perché lui non mi ama piú? Non lo so se non mi ama. Forse avrà sposato l’altra perché è ricca; mi faceva capire che era molto ricca, questa Sol. E poi l’importante è che io l’abbia amato, io lo ami. Ti sembra assurdo? E invece io mi rassegno pensando che nessuno potrà togliermi questa ricchezza. Ricordi Proust, il nostro Proust? «Nell’amore non condiviso, sarebbe a dire nell’amore». Forse l’ho sempre amato io soltanto, che importa? Io ero la privilegiata. Forse l’ho arricchito con la mia immaginazione –. Tacque; riprese piano: – Adesso è finito. Non mi sembra vero. Cerco di convincermi che ha sposato, che un’altra donna vive, mangia, dorme con lui, conosce la sua voce, la sua maniera di baciare. Vedi? La gelosia è soltanto fisica: il pensiero che un’altra donna porti il suo nome mi è indifferente, ma il pensiero che un’altra donna conosca certe espressioni dei suoi occhi, le sue mani, m’è intollerabile. Ma forse tutto

Letteratura italiana Einaudi

352

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ciò è una favola: io non conosco questa donna, per me è come se non esistesse. Era una cosa cosí bella, com’è possibile che sia finita? Negli occhi di Vinca stava una sorta di pazzia lucida. – Sai? – continuava – gli altri hanno tante cose nella vita: Luis sapeva che io non avevo nulla. Adesso tutto ciò che la sua presenza alleviava pesa di nuovo su di me. M’accorgo di esser sola in un deserto. È destino che io sia sempre sola. Da bambina passavo ore intiere seguendo i giochi delle nuvole, o infilando le margheritine: non mi si permetteva mai di accostare altri bambini; io non so perché ciò fosse precisamente, mi si diceva che gli altri bambini potevano contagiarmi di malattie infantili. E cosí io ero malata di questa precauzione di bambina sana. Nessuno mai si occupava di me. Ero, dicono, una bambina violenta. Soltanto un giorno, tutti vennero presso di me, le zie mi presero in braccio; io capii che qualcosa di straordinario doveva essere accaduto e, invece di rallegrarmi, intimorita, scoppiai a piangere. Infatti era morta la mamma. La mamma che da tempo era malata e viveva in un’ala remota della casa, dove io non potevo entrare perché facevo chiasso. Capisci? – fece sorridendo amaramente – sempre tutto negato, neppure una risata nel giardino di casa mia, non fare chiasso, chiasso, zitta, mammà dal balconcino mi faceva cenno di tacere. Non ho mai avuto nulla, Silvia, non il ricordo di un’ora dolce prima dell’incontro con Luis, di quando si usciva insieme a passeggiare. Non può esser finito, Silvia, dimmi che non è possibile. E queste, perché tutte queste allora? – Aprendo desolatamente le braccia mostrò le lettere sparse intorno a lei, poche lettere tracciate di una scrittura disuguale. Riprese a lamentarsi: – Porto con me questo destino, da bambina. È inutile lottare: noi spagnoli abbiamo una fede rassegnata nel destino, come gli arabi. Da noi i contadini si siedono per terra fuori delle case, guardano il

Letteratura italiana Einaudi

353

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

cielo e aspettano. Le mosche calano, si posano loro sul naso, sulle mani e quelli neanche si muovono. Poi un giorno scoppia la rivoluzione. Tu non lo senti il destino? Io lo sento come una persona viva, un gigante potentissimo, che mi tiene pel braccio, stretta, mi guida dove vuole. È inutile cercare di liberarsi. Forse domani il destino sarà di buon umore; noi diciamo sempre cosí: «Mañana: domani». Rimandiamo. Bello sarebbe adesso pungersi con una siringa, e dormire; magari solo fino a domani. Ho pensato d’uccidermi. Mi ucciderei ma non posso perché c’è Dio. Tu credi poco, vero? Già, lo so. Mi puoi dimostrare coi discorsi che Dio non esiste, la terra s’è composta da sé, noi siamo scimmie raffinate. Me lo spiegheresti cosí bene che forse alla fine ti darei ragione. Tu hai ragione, ma io credo lo stesso. Dio esiste. Un Dio che ti hanno messo nel sangue fin da quando succhiavi il latte. È come la cicatrice della vaccinazione, la porti fin che campi. Dio c’è. E la prova è questa: che in questo sfacelo di me, io ho tuttavia la forza di mangiare, di bere, di parlare. Se no, se Dio non ci fosse, al primo istante avrei dovuto scavalcare la finestra e buttarmi giú. Le amiche si presero la mano in silenzio; Silvia rifletteva che nessuno finora aveva compreso l’animo di Vinca. Nonostante tutti questi suoi patimenti aveva avuto la forza di rallegrare per loro la vita del collegio; forse il Dio di Vinca esisteva veramente. L’altra continuava a parlare come se fosse sola e tuttavia nei suoi occhi si leggeva una richiesta d’aiuto. – Che faccio? – si chiedeva – che faccio? – La camera s’abbuiava, i tendaggi creavano ombre paurose, Silvia si alzò per accendere la luce e Vinca volgendosi la seguí con la sua domanda: – Che faccio? – Non torni in Spagna? La ragazza scosse la testa: – No. – Perché non ci ritorni?

Letteratura italiana Einaudi

354

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non ho piú casa a Còrdova, quella è della moglie di mio padre. Preferisco essere straniera qui che a casa mia. La sera loro stanno abbracciati nel patio, si odono risate sommesse e, certe volte, baci. È la casa dove mia madre è morta; tutto ciò m’è insopportabile –. Soggiunse: – E a Còrdova c’è Luis. – È vero, potresti incontrarlo. Ma Vinca, prendendole la mano, le disse: – No, Silvia, ti dirò: andrei a cercarlo, lo pregherei: «Tienimi con te lo stesso, anche cosí». – Tu faresti questo?! – Ti pare strano, vero? ma lo farei. Gli direi: «Anche cosí». Gli parlerei come per farmi perdonare, io, la sua colpa. Mi disprezzi? Sí, devi disprezzarmi. Anche io mi disprezzerei: perciò non voglio tornare a Còrdova. Per non disprezzarmi. Una pausa lunga. S’udí suonare il campanello e Vinca sussultò. Qualcuno corse ad aprire. Vinca spiegò a voce bassa: – È la posta –. Tacque, poi aggiunse: – Me ne vado, sai, me ne vado di qui. – Torni al «Grimaldi»? – No, io non posso esser imprigionata, non è nel mio carattere. Tutto ciò era facile quando avevo Luis, tante cose erano facili allora. Adesso tutto è cambiato. No, non torno al «Grimaldi», neppure rimango qui; che rimango a fare? Loro sono chiuse in una vita alla quale io, ormai, sono estranea: s’ammazzino pure tutti al fronte, non m’importa piú, sono tanto presa della mia distruzione che non posso neppure preoccuparmi della distruzione del mio paese. L’ho già detto a donna Inez, che me ne vado: s’è messa a piangere. È ingrato da parte mia, lo so, ma credo che neanche verrò a trovarle. Per me qualcosa s’è chiuso definitivamente. È stata tanto buona donna Inez! – Vinca continuava sorridendo. – Mi diceva stamani che sposerò un italiano e sarò molto felice. Capisci? – sorrideva. – Lei forse pensava che io fossi

Letteratura italiana Einaudi

355

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

disperata perché era andato a monte un matrimonio. Donna Inez è vecchia e sa che spesso si ricomincia. Non pensa che nessuno sposerebbe mai una straniera povera. Ci vuole molto denaro per farsi perdonare da un marito l’inevitabile indifferenza che tu porti al suo paese, l’incomprensione per le sue idee, le sue abitudini, perfino il gusto diverso dei cibi. Non è vero? – Tu sei piú saggia di noi tutte, Vinca. – Io? – e Vinca sorrise amaramente: – Ma no! Ti ricordi al «Grimaldi»? Sí, Silvia ricorda. Vinca ride. Vinca rientra tardi, Vinca si dipinge le labbra all’uscita del collegio, Vinca non sta mai attenta alle lezioni, Vinca balla il fandango in piedi sul tavolino, le suore entrano e si fanno il segno della croce. Vinca dice un giorno: «Ho incontrato un ragazzo spagnolo, andaluso come me, si chiama Luis». Fuori Silvia s’incamminò piano, noncurante dell’aria fredda e secca. Se avesse avuto denari avrebbe aiutato Vinca. Ma Vinca non si preoccupava di quello. – Andrò ad abitare in una camera mobiliata, in un vecchio quartiere, a Luis piacevano i vecchi quartieri. Lavorerò. – Che genere di lavoro? – Silvia le aveva domandato. – Che so fare io? Darò lezioni. Vorrei fare delle traduzioni, per il cinematografo, possibilmente, dicono che si guadagna molto, quello che troverò da fare, insomma. La compagnia si sgretolava. Dopo la partenza di Silvia sarebbero rimaste al «Grimaldi» solamente Valentina e Augusta; ma quest’ultima ormai, viveva isolata nella sua camera, in quell’odore di vino e sigarette, accudendo alla tartaruga, odiando il mondo che non voleva accorgersi del suo romanzo. Emanuela sarebbe rimasta lí fino al matrimonio. Ma Emanuela non era mai stata veramente una di loro; ella aveva la vita facile, era facilmente innamorata, facilmente felice. Anna, la sera della laurea, una laurea con novanta del-

Letteratura italiana Einaudi

356

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

la quale era stata pienamente soddisfatta, aveva detto: – Torno al paese súbito perché mi sposo –. Poi aveva aggiunto: – Scusatemi. Non ho saputo dirvi nulla prima, contro la mia volontà, non ho saputo, l’amore è per me un sentimento segreto, non avrei potuto fare altrimenti, parlandone mi sarebbe parso di distruggerlo. Il mio amore per vivere ha bisogno di silenzio. Mario è come me. Ancora non ci siamo neppure detti: «Ti amo». È qualche cosa di piú, qualche cosa di meno dell’amore. È il senso che qualunque cosa accada io sono lí per lui, lui per me, senza bisogno di dircelo, di dirlo –. Piú tardi aveva spiegato illuminandosi: – Avremo una grande casa, una grande terra. Dopo il discorso di Anna, Valentina s’era levata d’improvviso, esclamando ironicamente: – Ah! l’amore, l’amore, l’amore! – E aveva dato in una grande risata nervosa prima di andarsene. Valentina – Silvia pensava – è una ragazza isterica. E però considerava che, in fondo, malgrado la confidenza che nasceva da giornate, anni di vita e patimenti comuni, tutte erano rimaste sostanzialmente nascoste in loro stesse. Non si può fare di tante anime un’anima sola, l’anima non si può donare interamente ad altri. Né l’anima né i pensieri; pure credendo di comunicarli tutti, qualcuno inevitabilmente resta per noi, senza che ce ne accorgiamo. Con qualche tristezza Silvia s’accorgeva che la vita delle compagne, la vita di ogni essere umano, inevitabilmente gira come un satellite attorno a un pianeta: l’amore. * Valentina, dopo che ebbe chiuso ridendo la porta della camera di Anna dove le amiche stavano raccolte, si trovò sola nel buio con quel suo riso e se ne impaurí. Sgranò gli occhi e restò dietro l’uscio in ascolto; certo adesso le compagne avrebbero cominciato a parlare di

Letteratura italiana Einaudi

357

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lei. Ma no: la voce di Anna riprendeva a raccontare della campagna, della terra, di Mario. Posa, dice bene sua madre: posa. Sarà andata di notte a vedere la campagna con Mario. Comodo essere vicini, appena una rete di ferro tra le due proprietà. Mario abita solo: comodissimo. Lo ha incantato con quei suoi atteggiamenti virgiliani. So bene; sarà poi di quelle che, una volta sposate, vogliono abbandonare tutto, andare in città con la pelliccia. Ha i suoi soldi. E intanto se lo sposa. Scese le scale a tentoni, disorientata dalla sua angoscia. Questa sí era stata troppo forte; Anna aveva saputo tacere fino a oggi, zitta era stata, contadina, proprio contadina. Chi sa che lettere le scrive Mario! Deve essere molto innamorato per non vederla com’è, sembra fatta di mollica di pane. Lui affogherà in quel grasso; tra due anni, al primo figliolo, Anna diventerà enorme. La casa, la terra: storie, fandonie. Quello che voleva era il marito. Ce l’ha fatta. Nella stanza accese la candela. Maledette suore spilorce! Mostruosa contro la parete bianca si proiettava la sua ombra, vi si stendeva, si piegava alla sommità, la testa si affacciava sul soffitto. La ragazza masticava una grande amarezza, si sentiva schernita da quella frase di Anna: – Mi sposo –. L’aveva detto semplicemente senza abbassare la fronte alta e ampia: ma in quella semplicità era molta fierezza; parlando non la guardava neppure. Certo, Mario aveva scritto ad Anna di quella lettera che lei gli aveva mandato da Roma: egli le aveva risposto con una cartolina appena, contadino anche lui. Uno zimbello era stata. I due si parlavano appena davanti a lei, e poi, di notte, certo, Anna cauta sgattaiolava per i prati fino alla casa di Mario: non si spiegava altrimenti questo matrimonio affrettato, questa cosa segreta, misteriosa. Forse Anna era incinta. Lenta cominciò a spogliarsi. Si spogliava con movimenti goffi, ripiegava la biancheria nascondendo gli in-

Letteratura italiana Einaudi

358

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

dumenti piú intimi sotto il vestito grigio. Rabbonita mormorava: – Vado a letto a pensare –. Ma non poteva liberarsi da questo chiodo fisso, il matrimonio di Anna. Sulla parete anche l’ombra si spogliava con gesti smisurati. Mani enormi che racchiudevano nulla. Vent’anni. Ma già a vent’anni si prevede come va a finire la propria vita. Avrebbe sempre abitato una camera come questa, sola, libri sul tavolino; ragazzi, petulanti ragazzi che studiano, passano, vengono vanno, senza fare altro che deridere la «signorina». Chi non ha deriso la «signorina»? Alla fine del mese mandare a mammà quei pochi soldi che le sarebbero serviti per farsi trattare meglio dai fratelli, che non le dessero da mangiare sprezzantemente, come le ossa al bracco che attende bavando. Piuttosto che vivere cosí, meglio non essere mai nata. Non è giusto che ella sia nata sottomessa, povera, altre ricche e libere come Emanuela. Spogliata, si avvicinò allo specchio e, per meglio vedersi, prese in mano il candeliere; a sprazzi, in quella luce tremolante, il suo viso si ravvivava quasi per un improvviso affluire di sangue. Il calore della fiamma le lambiva il viso. Alzò il candeliere al disopra della testa; il suo viso si mutò e impallidí; la luce cadendo dall’alto le scavava fosse livide sulle gote e gli occhi chiari sembravano incupire. «Bella» pensò «appena un po’ troppo grassa». Con l’altra mano tolse la forcina dai capelli e lasciò che scivolassero sul petto. «Bellissima». Non poté a meno di rievocare quella regina che traversò la città sul suo cavallo, vestita dei soli capelli. Questo pensiero l’invitava. La regina si chiamava Isabeau. Doveva somigliare a lei, Isabeau. Si carezzò la gola, il mento, dove la pelle era piú delicata e bianca: bianchissima. Non la pelle rude di Anna. Se Mario l’avesse vista cosí, mezzo spogliata, con quei capelli biondi, le avrebbe detto, certo: – Dammi la tua lampada –. Ferma davanti allo specchio, con quel braccio alzato, le parve di stare a compiere un

Letteratura italiana Einaudi

359

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

misterioso rito. Pazzíe. La bellezza dura poco, gli anni corrono, corrono, passano, scivolano via come rena tra le dita. Che cosa conta la bellezza? Abbassò di nuovo la luce, la pose sul tavolo, restò, la mano sul paralume, a pensare. Pazzíe, sí, pazzíe E cominciò a ridere piano piano, a carezzarsi i capelli con lentezza. Guardava le pareti come se volesse penetrarle: chissà se le altre, come lei, si guardavano a lungo nello specchio. Nessuna aveva mai voluto la sua intimità. Si accorgeva d’essere, nel gruppo delle sue compagne, una figura secondaria. Sempre cosí: figura secondaria. Rideva, rideva, e pensava che sarebbe stato bello cadere morta per terra in mezzo ai suoi capelli biondi. Prese la cinta del vestito, una cinta di pelle, e si strinse la vita sopra la camicia leggera, forte, sempre piú forte fino a farsi male, poi l’avvolse attorno alla gola e strinse, strinse fino ad averne il respiro faticoso. Allora, leggermente, gli occhi allucinati, senza piú ridere, cominciò a graffiarsi la pelle delle braccia, bella pelle liscia, fine, e poi distogliendo lo sguardo prese a mordersi anche, piano. Quante ragazze facevano altrettanto nelle loro stanze? Chi immaginava che lei stesse facendolo? Forse nessuna è simile a me, certo a nessuna sono dati cosí spaventosi e dolci sogni, la notte. Stanotte avrebbe immaginato di passeggiare per la città coperta dei soli capelli, come Isabeau. Infine la porta si schiudeva e appariva il principe indiano. Godeva di trovarla cosí discinta e bella. Egli amava la morbida seta dei suoi capelli. Vestiva di azzurro, il principe, una perla gli tremava sulla fronte, tinnivano i bracciali d’oro ai suoi polsi. Ella indietreggiava contro la parete, si ritraeva; il principe stasera le faceva paura. Sentiva che non era un uomo vero, che sarebbe scomparso di colpo, annegato nel sonno di lei, dileguato come un’ombra; al mattino non l’avrebbe trovato accanto a sé. Un essere inesistente, il suo uomo: fatto di nulla, d’ombra, di desiderio. Non poteva liberarsene, era in

Letteratura italiana Einaudi

360

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lei; lei stessa gli dava vita. Oggi, domani, sempre: un connubio misterioso. Questa strana immagine, quest’uomo vestito da orientale, la ossessionava da quando era bambina, da allora veniva ogni notte a trovarla, e lei era sua, sua, di lui; mai di altri avrebbe potuto essere che del fantasma. «Lasciami, lasciami», la ragazza avrebbe voluto urlare, ma il suo grido era fatto di nulla come l’uomo, le parole che egli le diceva, nascevano e si spegnevano in lei. Indietreggiava e lui la seguiva insistente, sorridendo con un falso sorriso sui denti di vetro, tendeva verso di lei le sue mani adunche e brune. Ella udiva sempre piú da presso il tintinnio dei bracciali, diveniva nei suoi orecchi un ronzío addirittura. Si rifugiò nel letto, vi si nascose, rialzò le coperte fin sopra la testa. Ma egli, che era fatto d’aria, la raggiunse anche lí sotto, le mise le mani sui capelli, le parlò per ammansirla. Cosí da tanti anni: al paese, mentre la mamma dormiva, egli entrava ugualmente, disponeva attorno a lei i suoi scenari. Adesso, alle parole di lui, Valentina avrebbe perduto volontà, avrebbe dimenticato tutto, si sarebbe abbandonata. E al risveglio, non lo avrebbe trovato piú, creatura della sua fantasia notturna. Ne soffriva per tutta la pelle. «Lasciami, lasciami». Ma restava li, unita a lui, sposata a lui. Sí, proprio cosí: ella era per destino, fin da quando era nata, la sposa di quest’uomo d’ombra. Ansava, singhiozzava, il suo petto n’era scosso; sentiva che mai avrebbe potuto sottrarsi a lui, nessuno avrebbe fatto mai nulla per liberarla. Se un uomo vero fosse venuto verso di lei, ella sarebbe stata salva, il principe si sarebbe dissolto. E invece cosí, ogni notte, egli tornava coi fantasmi dei suoi giardini, dei suoi tappeti, con le sue parole suadenti e quella musica lontana. Dagli occhi chiusi lacrime sfuggivano, colavano sul viso della fanciulla. Al suo pianto, il principe sparí.

Letteratura italiana Einaudi

361

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* Silvia era stanca; piombavano, su di lei inerte, tutte le passate ore di fatica. Adesso che le era necessaria la massima energia per cominciare, avrebbe voluto invece sedersi vicino al fuoco, a casa sua, dormire. Sua sorella Immacolata aspettava un bambino; e Silvia si sorprendeva a invidiare la sorella, che sedeva placida senza pensiero, mentre una vita nuova si maturava in lei. Immacolata sorrideva, cantava. Poi taceva a lungo, occupata in lavori femminili, alzava la testa e immobile guardava lontano, verso le montagne, seduta sulla porta di casa, lasciando che intanto le sue mani andassero: – Che pensi? – Silvia le aveva chiesto nelle vacanze, quando era a casa; e quella aveva risposto sorridendo: – Io non penso mai –. Alacremente andavano le mani: il figlio poteva trovar vita anche se lei non pensava, si formava in lei con la materia soltanto, distaccato dalla sua anima. Anche Silvia avrebbe voluto sedersi senza pensare, attendere che la vita maturasse, le si donasse, pronta: la sua mente invece non aveva mai un attimo di tregua, sempre si chiedeva la ragione di tutto. Ora la partenza di Anna aveva finito di dividere le amiche. Emanuela era tornata da Firenze molto cambiata; discosta, diversa, una donna. Doveva aver molto sofferto per la morte del padre. Eppure non ne parlava mai e il suo umore era leggero. Avevano ripreso ognuna la propria solitudine, come appena arrivate, prima di accostarsi. Non erano piú che quattro: Vinca, lasciata la casa di donna Inez, abitava in subaffitto in una casa fredda oltre il Tevere. Nessuna aveva avuto il coraggio di andare a trovarla. Emanuela respingeva l’idea di questa visita, diceva: – Poi, poi. Le nuove compagne avevano invaso il collegio. Timide dapprima, adesso erano loro che cantavano nel cortile. Matricole: tutte con le speranze intatte nella valigia, tutte con un grande avvenire. Quando si affacciavano

Letteratura italiana Einaudi

362

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nella finestra del cortile guardavano le anziane spavaldamente, senza piú temerle, come superstiti di una vecchia guardia moritura. Belluzzi aveva detto a Silvia: – Debbo parlarle –, ed ella aveva capito che era per congedarla. Forse aveva fatto male, un mattino, a mettergli sul tavolo un rametto di mimosa; egli era rimasto imbarazzato, forse s’era accorto che ella non era soltanto una macchina da scrivere o di ricerche, ma anche una donna: e preferiva la macchina da scrivere. – Custo, venga domani alle due. Ella andava da lui tutti i giorni alle due: perché quell’invito speciale? Domani alle due egli le avrebbe detto di andarsene. Da qualche tempo il professore non era piú lo stesso. Certe volte, parlando, la sua voce, che di solito pareva assente dal suo spirito, s’animava, si sentiva che partecipava al discorso. Erano attimi: gli occhi perdevano quell’apparenza di occhi di vetro, divenivano occhi veri, e guardavano. Un giorno aprí la finestra della biblioteca nella quale Silvia lavorava e s’affacciò, si trattenne a osservare i passanti. Questo fatto parve a Silvia cosí inconsueto che ella si alzò in piedi di scatto, pronta a qualunque cosa che dovesse accadere: ma il professore si volse verso di lei e le disse calmamente: – Questa fine di gennaio è molto dolce –. Poi passò la mano sul davanzale dove batteva un fioco sole, quasi a carezzarlo. Appena entrata ella traversò il vasto atrio delle statue, come il primo giorno impacciata al rumore dei suoi passi. Non si tolse il cappello, il paltò, entrò dal professore come in visita. Belluzzi lavorava: Silvia rimase a guardarlo rispettosa e commossa, quasi lo vedesse per la prima volta. Egli alzò il capo e, vedendola, sorrise. – Custo, ho una buona notizia per lei. – Per me? – Per lei. Quando dà gli esami di stato?

Letteratura italiana Einaudi

363

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Ai primi del mese. Egli ripeté approvando: – Ai primi del mese, bene. Il quindici il suo posto l’aspetta a Littoria. Silvia non parlava neppure: muta lo guardava, poi chiese: – E il concorso? – Non c’è bisogno del concorso. Ho cercato di fare per lei quanto potevo: un’insegnante ha dovuto abbandonare il posto per causa di salute. Lei, cara Custo, andrà a sostituirla. Il professore sorridendo aspettava che Silvia esprimesse la sua gioia. E Silvia non riusciva ad essere contenta, non era colpa sua se non riusciva a staccare una parola. Poté solo pronunciare un fiacco «grazie». Ma il professore insisteva: – Lei è contenta, vero? non è contenta? Distogliendo lo sguardo Silvia disse: – Sí –. Poi guardandolo finalmente in faccia, aggiunse rammaricandosi: – Non potrò piú venire da lei. Il professore le prese la mano nelle sue mani fredde: – Che le dissi io, un giorno? Lo rammento, perché tante volte me lo sono ripetuto. Lei farà molta strada, Custo. Da tanti anni frequento i giovani. Li conosco ormai, intuisco sempre quello che diverranno. Lei farà strada. Io ho avuto molto caro di tenerla presso di me, di avvicinarla al nostro lavoro. Ma non è qui il suo avvenire. Littoria è una città nuova: è di buon augurio, lí comincia la sua vita nuova. Parlava come dalla cattedra, usava le stesse espressioni. «I giovani». Già lei non era piú Silvia Custo, ma uno di quei «giovani» dai quali egli si sentiva inesorabilmente lontano: aveva dimenticato di essere entrato tante volte da lei per domandarle consiglio; fino allora «i giovani» erano stati gli altri, loro due si trovavano a un livello diverso, piú elevato. Silvia lo pregò ancora: – Mi lasci con lei, mi faccia rimanere.

Letteratura italiana Einaudi

364

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non è possibile. Me lo rimprovererei, lei stessa se lo rimprovererebbe un giorno. Adesso la sua vita incomincia –. Sorrise e fece scherzosamente: – Non ha mica paura, vero? A Littoria lei preparerà quel libro del quale mi parlò prima della sua laurea. Lo rivedremo insieme, vuole? il suo libro uscirà con una mia prefazione, perché rimanga qualcosa del nostro lavoro comune. Silvia non poteva piú replicare: doveva dire che sí, era contenta, non poteva dire altrimenti, chi sa che non lo fosse veramente, e, come quel giorno della laurea, la troppa gioia le mettesse in petto una grande amarezza. – Del resto… – egli cominciò con altra voce. Posava con calma le mani sui ginocchi, i suoi occhi apparivano limpidi dietro gli occhiali: – Del resto, anche la mia vita cambia, cara Custo –. Parlava con quella voce nuova, che da poco Silvia gli conosceva, non quella della cattedra, non quella casalinga affrettata e arida; ma con la voce sonora e calda di quando diceva: «Grazie, Dora» accettando dalle mani della donna la tazza del tè. Una voce che veniva da tempi lontani, forse una voce poco usata in gioventú, intatta. – La mia vita cambia – riprese: – non glie ne ho detto prima la ragione, perché mi pareva che dovesse rimanere segreta, tanto grande m’appariva. O perché temevo di sembrarle ridicolo in questa mia gioia giovanile –. S’arrestò di nuovo, si guardò le unghie attentamente, poi spiegò: – Aspettiamo un bambino. Dopo una pausa continuò: – Allora lei capisce, molte cose che prima apparivano essenziali, adesso appaiono secondarie. Tutto si trasforma, un miracolo. Non so che cosa farò, la vita cambierà, cambierà molto. Non so se seguiterò a lavorare –. Poi si riprese: – Sí, certo, insegnerò, lavorerò, piú di prima –. Ma dette con quel tono di voce adesso quelle parole non erano altra cosa che due verbi al futuro. – Capisco – disse Silvia. Gli occhi di lui erano di nuo-

Letteratura italiana Einaudi

365

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

vo spariti dietro gli occhiali, era un vecchio bianco, distratto e lontano, con le mani di cera. Dietro la figura di lui Silvia immaginò la scena di quel giorno: la donna discinta che vomitava, le lacrime che colavano dagli occhi dipinti, l’affanno del grosso seno sotto la vestaglia: «Lei non può capire, signorina, non può capire…». – Capisco – ripeté Silvia e poi istintivamente sentí il bisogno di battere una mano sulle mani del vecchio: – Caro, caro professore – gli disse, come a un bambino. Piú tardi anche la signora Dora venne per salutarla: la maternità le dava un senso di effuso benessere. Nella scollatura del vestito il petto si vedeva chiazzato di rosso. – Grazie – le disse la signora Dora con intenzione –. Lei è stata sempre molto buona, molto buona, anche con me. E Silvia rispose: – Io non ho fatto mai nulla per lei. Era vero. Per lei, mai nulla. Non sarebbe potuta restare lí dentro neppure un’ora di piú. Tutto le era divenuto insopportabile: il corpo grasso e flaccido di lei; la remissività del marito, la casa vecchia, i libri, quel museo di statue che biancheggiava nell’atrio. Erano in piedi tutti e tre, ora; il professore e la moglie vicini, la ragazza di fronte. Una cortina era scesa tra i due che per tanti mesi avevano lavorato assieme: forse neppure lui ci crede al lavoro, è anche lui come gli altri, è bastato un nulla per sviarlo: le loro ultime parole avevano il tono amabile della cortesia conclusiva dei commiati; potevano rimanere ancora un’ora insieme a parlare, nessuno avrebbe trovato nulla di vero da dire. Allora Silvia fece: – Buona sera, professore –; salutò la signora, si volse, uscí da sola, in fretta. * Dopo la partenza di Silvia, per spirito di conservazione, le superstiti del gruppo, Augusta, Valentina ed Ema-

Letteratura italiana Einaudi

366

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nuela, non si lasciavano piú. Augusta ed Emanuela accompagnavano Valentina in facoltà, prendevano appunti per lei. Non erano mai state tanto unite: si formava tra di loro una nuova e piú forte intimità. Spesso Valentina fu tentata di rivelare loro le notturne visite del principe, Emanuela di confessare l’esistenza di Stefania. Eppure apparivano cosí diverse tra di loro che le altre, vedendole passare, non capivano come Emanuela potesse resistere con quelle due. A sera si ritrovavano in camera di Augusta. Valentina studiava, il libro sui ginocchi, la matita tra le labbra, a tratti levando la testa per ascoltare le amiche; poi riprendeva svogliata. Dietro il comò sotto il quale Margherita dormiva, Augusta teneva il vino: il sentore si spandeva quasi emanato dalla sua pelle. Era come una malattia nascosta e le altre facevano le viste di non saperlo, per non umiliarla; la rimproveravano invece perché fumava troppo, una sigaretta dopo l’altra; e quando però ella replicava: – Non ho altro – si tacevano. Anche il nuovo romanzo era stato respinto: l’editore aveva detto che aveva uno spirito originale, ma pareva visto da dietro un vetro, non vissuto veramente. Augusta lo aveva riposto nel cassetto, senza piú parlarne. Aveva cominciato a scriverne un altro; ne raccontava la trama alle amiche, presentava loro i personaggi, ne discorreva come se fossero veramente esistenti. Diceva che se li vedeva entrare dalla porta, li faceva sedere, li ascoltava parlare. Beveva per potere scrivere; scriveva e beveva la notte, fino a tardi. Valentina che era entrata da lei un mattino di buon’ora quando era ancora in letto, disse che la camera era satura di fumo e fiato pesante. Le suore sopportavano tutto ciò perché Augusta era la piú anziana del collegio e sembrava volervi rimanere per sempre. Adesso suor Prudenzina, aprendo la camera prima di spegnere la luce, sorrideva alle tre ragazze.

Letteratura italiana Einaudi

367

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Le discussioni, il chiasso, le voci partivano da altre camere; a quelle s’affacciava con volto severo. S’era formato un nuovo gruppo attorno ad una specie di pazza, una svedese magra e bionda che aveva nome Ingrid e studiava, insieme, legge e ginecologia. Adesso Valentina, Augusta ed Emanuela entravano l’una nella camera dell’altra senza neppure domandare: «è permesso?». Discutevano per ore, sottovoce, si ponevano problemi, problemi l’uno dopo l’altro. Spesso il discorso si aggirava attorno alla questione uomo e donna. Emanuela guardandole rifletteva: «Non pensano ad altro». Augusta e Valentina rimproveravano a Emanuela il suo matrimonio come un tradimento: era nata in loro la speranza che lei abbandonasse Andrea, dicesse un giorno: «Rimango». Questo segretamente attendevano mettendole nel cuore, con le loro parole, quasi un rimorso. – Te ne vai, te ne vai, ci abbandoni. Di questi loro inviti ella si liberava con ansietà, s’era affondata nella loro compagnia, perché sapeva di avere ancora poco tempo per assaporarla. Ma restare là dentro sempre, dietro i finestroni chiusi, no, no, tra le gonne delle suore, in mezzo alla morbosa curiosità delle compagne che stavano sveglie la notte per pensare al mistero della procreazione, no, no. – Non vi lascio, sarà come se fossi sempre con voi, verrò a trovarvi –. Augusta che la sentiva risolutamente sfuggire, scuoteva la testa: – No, non è la stessa cosa. Non verrai piú, dopo, e del resto, che verresti a fare? Pochi giorni prima di Natale è venuta a trovarci Clara. Non era la prima volta che veniva, ma ogni volta la sentivamo piú lontana. Tu non hai conosciuto Clara? Ha sposato un anno fa, una ragazza straordinaria, studiava architettura. È stata sempre bella, ma adesso è una bellezza diversa, che non ci è piú domestica: è venuta con un vestito che non le conosceva-

Letteratura italiana Einaudi

368

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

mo, la pelliccia, neppure si è tolta il cappello. Una volta andammo a casa sua, noi di lettere: fu una scena ridicola. Non sapevamo che dirci: cercavamo di aggrapparci ai ricordi. «Ti rammenti?» Si diceva sempre cosí. Dovevamo appigliarci ad avvenimenti passati che, a distanza, ci apparivano piuttosto banali. Lei cercava di discorrere un po’ con tutte e intanto noi la fissavamo, Clara, la nostra Clara, e ci sembrava che movesse le labbra senza parola, come i muti. Poi ci serví un gran rinfresco, cosa da gente di riguardo, a noi che avevamo per anni mangiato insieme con lei zuppa di cavoli. Questo finí di intimidirci e tuttavia mangiammo spropositatamente. Dopo ce ne rammaricammo, anche lei avrà pensato che avevamo esagerato, ma non avevamo fatto cosí per vera fame, solo per occupare la bocca e le mani mentre stavamo lí a guardare Clara. Quando è venuta qui anche lei si è trovata imbarazzata; ha guardato attorno, ha detto: «Quanti anni ho vissuto qui!». Il tono era tenero, ma si capiva che ne stupiva. Eppure vi era stata felice; era molto amica di Xenia e di Silvia, ne eravamo un po’ gelose tutte –. Dopo una pausa seguitò: – Credi, niente è piú fatalmente condannato delle amicizie di collegio. Sai perché? Perché in quest’epoca non siamo veramente noi stesse, ma tentiamo varie trascrizioni della nostra personalità. Se dopo saremo diverse, non vorremo farci vedere. Ci assale un gran pudore del nostro nuovo essere. Basta un passo, un gesto, per essere dall’altra parte. – Forse non è cosí per tutte. – È cosí. Bisogna avere il coraggio di sopportare anche questo distacco. Tutto è questione di coraggio nella vita. Formarsi un’esistenza, non tentarne diverse. Il resto, tutto il resto, non importa. Scrollò la cenere dalla sigaretta, abbassando la testa, la mano in tasca; i suoi gesti divenivano ogni giorno meno femminili. Gonfie borse appesantivano i suoi occhi. Desiderava che le amiche se ne andassero, si vedeva che

Letteratura italiana Einaudi

369

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

già smaniava di essere sola per lavorare e bere. Forse non sapeva di arrivare a questo il giorno che aveva preso il piroscafo per venire nel continente; forse affacciata al bordo avrà guardato il cielo, le stelle, senza desiderate nulla precisamente. Forse allora voleva soltanto andarsene da casa e lasciare che il destino si formasse, tutto nuovo per lei. Adesso aveva acquistato un’aria tranquilla e inesorabile. Tra lei e Valentina, Emanuela si sentiva prigioniera. Ricorreva allora a tutto ciò che la divideva da loro per accertarsi della sua diversità. Il suo passato le appariva una risorsa nascosta. «Non ho vissuto come loro; non vivrò come loro». E s’allontanava dal cancello del collegio sotto braccio ad Andrea, con sollievo. Forse quante erano là dentro, dalle suore alle ragazze tutte s’odiavano, si stringevano l’una all’altra soltanto per essere certe che nessuna sfuggisse, nessuna si liberasse. Ma lei sí, vi sarebbe riuscita. Certe volte si sentiva oppressa come se le mancasse l’aria, il respiro. E fuggiva via, cercava Andrea; però da qualche tempo quando era con lui veniva presa da insofferenza; il ragazzo le appariva troppo severo e intransigente. Egli l’amava con devozione, era sincero, quadrato, onesto; ma troppo ragionevole, forse, non aveva mai un’uscita imprevedibile, una piccola vena di pazzía. Era marzo ed Emanuela si sentíva in subbuglio per la gioia del ritorno della facile stagione. Avrebbe voluto a lungo restare per la strada, sorrideva, guardava di qua e di là; Andrea appariva contento, ma non sconvolto, come lei, la osservava tra stupito e scandalizzato, le chiedeva: – Dove guardi? Ciò irritava la ragazza, che gli rispondeva con un lieve risentimento: – Guardo. Non posso guardare? Era divenuto, il loro, un amore tranquillo, senza contrasti, naturale. Fidanzati, si sarebbero sposati tra pochi mesi. I genitori erano contenti, tutti erano contenti, non c’era piú niente da fare, niente da conquistare, nessuna sorpresa. Andrea l’andava a prendere alle cinque, la

Letteratura italiana Einaudi

370

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

riaccompagnava alle otto. Al mattino Andrea studiava, lei usciva sola o con le compagne, talvolta andava a trovare Stefania. Ormai queste erano le ore della giornata che le piacevano di piú. Allora veramente usciva di casa leggera, ansiosa. Forse, adesso, quando usciva con Andrea neppure camminava piú cosí bene come piaceva a lui. Usciva dal portone, lui l’aspettava all’angolo, sapeva già le parole che le avrebbe detto, conosceva la sua maniera di baciare, la sua maniera di dire: ti amo. Temeva che su questo il loro amore si addormentasse, non fosse piú gioco continuo sul filo dell’imprevisto, ma un placido affetto. Era tentata, certe volte, di dirgli tutto, di Mirovich, di Stefania, perché egli si scuotesse, per gettare una pietra nello stagno. Marzo ancora, ma già nella stagione si sentiva qualcosa maturare, anche stavolta sarebbe nata la primavera. Una nuvola grigia e gonfia che prometteva tempesta s’era disfatta al vento e, squarciandosi, aveva mostrato una gran macchia d’azzurro; l’azzurro dilagava, invadeva il cielo, respingeva le nuvole lontano: il sole ormai s’adagiava sui tetti delle case, colava per le vie, metteva fosforescenze nei cristalli dei negozi. Diafane nubi di un tenue rosa passeggiavano nel cielo, lente per non sciupare il mattino. Emanuela appena fuori del collegio prese a camminare nel sole; ogni vetrina la rifletteva, ed ella si vedeva passare come una donna nuova, perché aveva il vestito nuovo. Camminava sicura, traversava le strade, guardando di qua e di là a testa alta, senza neppure piú fissare le vetrine, presa dalla gioia di muovere un piede dopo l’altro, nel sole, per la strada in poca salita che menava alla Villa. Dai portoni la gente si rovesciava sulla strada, certe ragazze indugiavano un poco sulla soglia, fissavano il sole abbacinate, abbassavano lo sguardo e sorridendo si mescolavano alla folla. Emanuela avrebbe voluto esse-

Letteratura italiana Einaudi

371

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

re in cima alla salita per vedersi arrivare, vedersi per la prima volta in quel vestito nuovo. Neppure il pensiero di ciò che stamani avrebbe dovuto dire ad Andrea riusciva a smorzare un sorriso che sentiva fluire sotto la pelle, negli occhi che erano umidi e chiari come se dentro vi fosse caduta una goccia di mare. Un uomo passando la guardò, anche un altro, e due donne per meglio osservarla si volsero. La Villa era tutta illuminata di foglie giovani; i passi di Emanuela svegliarono la ghiaia silenziosa, i cespugli cupi d’ombra; si sedette e attese, la faccia al sole. Piú in là bambini giocavano, la raggiungeva qualche loro grido, súbito spento come uno strido di rondine. Anche nel giardino di Stefania c’è il sole, dall’apertura del chiostro cola, si stende sul verde; eppure non sembra lo stesso sole, Emanuela pensava, è imprigionato, è simile a quello che batte alla finestra di Augusta quando ella apre le persiane al mattino per lasciare uscire il fumo delle sigarette accumulatosi la notte. Ci voleva molto coraggio per parlare ad Andrea, in un mattino come questo; era intorpidita e sentiva che non avrebbe dovuto turbare questa delizia, doveva abbandonarsi, anzi, godersela senza preoccupazione delle nuvole che s’affacciavano sulla sua giornata. Chi alza la testa per guardare le nuvole? Non preoccuparsi, non agire. Aspettare accogliendo nel petto questo grato e caldo mattino. Ma era ossessionata, ormai, non aveva piú pace; rientrando in collegio, a sera, i discorsi di Augusta la prendevano per le spalle, la scuotevano; sul comodino c’era la fotografia di papà: bianco, tutto bianco, il viso, i capelli, solo gli occhi neri che la seguivano per la camera, la frugavano, le domandavano, inquieti, se aveva parlato Sí, sí, bisogna, bisogna. Ma adesso le piaceva soltanto sedere sulla panchina al sole, e aspettare: sarebbe stata contenta se Andrea fosse giunto in ritardo. Sovente, quando Andrea era con lei, Emanuela si sentiva in-

Letteratura italiana Einaudi

372

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

soddisfatta; avrebbe desiderato che egli le dicesse molte cose e lui taceva, invece. – A che pensi? – gli chiedeva. Egli rispondeva: – Ti amo –. Perché non dirlo, allora? Forse a lui pareva che questa certezza dovesse trasfondersi in lei col contatto delle braccia, col calore delle mani; ma invece quei silenzi la staccavano da lui, le davano la sensazione di non avere in comune che l’accordo momentaneo del passo. Altra cosa quando lo attendeva e Andrea era trasfigurato dalla sua immaginazione; allora lui le stava nel petto, nel sangue. Sentiva scorrere a uno a uno i minuti dell’attesa. Non era possibile ritirarsi, ormai, gli aveva detto al telefono: – Debbo vederti, sí, proprio stamani. Ho da parlarti –. S’era lanciata, ormai; riappeso il microfono al gancio era rimasta immobile a pensare. Perché stamani e non ieri, non domani? Domani sarebbe stato meglio. Era assurdo avere atteso tanto tempo, aver occultato tutto con timorosa cura e poi oggi, d’improvviso, aver detto al telefono quasi senza volerlo: – Ho da parlarti –. Non era soltanto perché ieri Andrea aveva annunciato che bisognava pensare a cercarsi la casa. Era forse perché da tempo trovava un doloroso bisogno di liberarsi dalla sua bugia; una cosa troppo complicata, fastidiosa. O anche per questa nuova stagione che s’avvicinava e nella quale non le sembrava di poter godere appieno, costretta da Stefania, da Andrea, dalle amiche, dalla preoccupazione della sua menzogna. Era stanca pure di quel cupo collegio, disgustata di Augusta, di Valentina. Non voleva piú restare al «Grimaldi» e neppure voleva rinunciare a sposarsi, alla bella casa che avrebbe potuto avere con tutto il suo denaro. E finalmente una vita dischiusa, da donna; voleva distruggere quel segreto fisico che c’era tra lei e Andrea, altrimenti sarebbe finita anch’ella a ubbriacarsi, la sera, per disperazione. «Non posso, non posso dirglielo», pensava, «non ne avrò il coraggio, è troppo certo di me, troppo fiducioso, me ne andrò un giorno, scapperò sen-

Letteratura italiana Einaudi

373

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

za avergli confessato nulla». L’ossessionava il timore che Andrea sapesse prima che lei potesse parlare, in queste alternative la notte non riusciva ad addormentarsi. Nelle camere vicine a quell’ora le compagne dormivano, lei sola era sveglia, come una ladra. «Ho da parlarti». Andrea a quest’ora già stava salendo da Piazza del Popolo verso la Villa, quasi ne udiva i passi. Le avrebbe chiesto subito: «Che volevi dirmi, Nuela?». Bisognava riprendere le fila del discorso; come aveva deciso di cominciare? «Senti, Andrea…», solo questo sapeva: «Senti, Andrea…», eppoi bisognava buttarsi a capofitto, parlare, parlare senza lasciargli il tempo di replicare, dirgli della bambina, di Stefano. Ma adesso tutto questo sembrava una storia inventata: di vero non c’era che il sole. L’intorpidimento la prendeva tutta, dalle braccia su su, fino alla memoria. L’arco del cielo era immenso, si sentiva un’infima cosa, vuota di ogni ricordo, senza storia senza passato, una bambina al sole. Nulla. Andrea giunse e si sedette vicino a lei, le prese la mano, la baciò, la tenne tra le sue teneramente, poi disse socchiudendo gli occhi al sole: – Sono stanco. – È un bel mattino. – Sí; ma sono stanco, ho studiato stanotte fino a tardi. È dura la tesi: già, tu lo sai bene, ci vivi in mezzo: il «Grimaldi» è un’incubatrice di tesi, ordinaria amministrazione. Ma ciò non impedisce che io ti dica lo stesso di essere tanto stanco. Due pacchetti di sigarette, stanotte. – Oh! hai fatto male!... – Lo so – disse e tacque anche lui, preso dal sole. Subitamente poi si scosse, e volgendosi verso di lei chiese: – Che c’è, Nuela? – Come che c’è?

Letteratura italiana Einaudi

374

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sí, che volevi dirmi? che è accaduto? Emanuela prima di rispondere lo guardò: quella di Andrea era immagine a lei familiare: forse non l’avrebbe visto piú, il cuore le si strinse e tuttavia il suo timore le sembrava esagerato, un timore da commedia; ci sarebbe stata una lite, poi Andrea sarebbe ritornato. Lei non vi avrebbe rinunciato a nessun costo. – Mi ami? – gli chiese dolcemente. – Ti adoro. Che cosa è accaduto? Sempre fissandolo ella disse: – Cose – e fece un gesto vago con la mano. – Cose lontane. – Dimmi. S’infreddoliva a stare ferma al sole, bastava scuotersi un poco per accorgersene, un brivido le saliva per la schiena. – Dimmi – egli ripeteva incuriosito. «Dí, dí» tante voci intorno a lei sembravano insistere; «dí, dí», la spingevano sul precipizio, ella lottava, si difendeva, ma ormai troppe forze la costringevano, doveva abbandonarsi, rotolare. «Cose». Che stupida parola! «Cose» tutto quell’orrore, Stefano e la bambina: cose. «Dí, dí, parla, parla». Si smarrí e le labbra ebbero un tremito convulso, angosciata mormorò, come se soltanto allora sentisse tutta la gravità del fatto: – È una cosa terribile –. E lo fissava smarrita, si scostava da lui come se avesse paura di contagiarlo. – Una cosa terribile, amore, Andrea, amore mio. Andrea impallidí, e sconvolto aspettava, guardandola; infine la prese pel braccio e scotendola ripeté: – Dí, dí. («Dí, dí, parla, parla». Gran silenzio attorno, il sole, la gente che passava, «dí, dí, parla, parla». Adesso mi darà uno schiaffo.) – È terribile, Andrea. (Appena un fiato di voce, una voce spezzata, un freddo per le ossa, gli occhi giravano nell’orbita, cosí è morire.)

Letteratura italiana Einaudi

375

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Non t’ho mai detto la verità, Andrea… – e un tremito per la pelle, il sangue trema, s’agghiaccia, punge. – T’ho sempre nascosto… – glop glop glop, il cuore sembra scoppiare per la tensione, tutto il corpo di Emanuela non è che sangue agghiacciato e cuore che fa glop glop… – T’ho sempre nascosto d’avere una bambina. – Che racconti?! Emanuela lo vide sobbalzare, impallidire. E lei continuava come incosciente: – Sí, sí, una bambina, lasciami, picchiami, che posso fare? Andrea, sí, una bambina, non te ne andare Andrea! Andrea se ne andò dopo avere dalla voce rotta di Emanuela ascoltato ogni cosa, impassibile, spaventosamente calmo: – Dí, dí – la incoraggiava ogni volta che ella smetteva di parlare, e la guardava con occhi taglienti, severi. – Dí, dí – sempre faceva quando ella s’arrestava. – Una cosa passata, neppure la ricordo piú, nessuno ne sa nulla. Sí, a Firenze, un ufficiale d’aviazione... Ti dico tutto, vedi? Ti racconto tutto e tu capirai che cosa sia stato per me, tu sei un ragazzo intelligente… – Andrea era pallido, come dissanguato, ma la lasciava parlare, ascoltava. – Si chiamava Stefano Mirovich, sette anni fa, che colpa ne ho io? ero tanto giovane, una bambina, senti, Andrea… – E lui sentiva, attento, le diceva soltanto: – Dí, dí – sempre con forza crescente, la spingeva a parlare, non voleva che nascondesse nulla, voleva sapere tutto, tutto. – Dí, dí. – Poi è morto, una cosa terribile, l’aeroplano in fiamme, non sapeva ancora della bambina, non lo sapevo neppure io, fu cosí, senza che io lo volessi, senza rendermi conto di quello che facevo. Una cosa passata. Neppure lo amavo. Ti giuro: non lo amavo. Allora Andrea, scattando in piedi, le gridò sul viso: – Mi fai schifo! – e senza piú guardarla, rapido s’allontanò.

Letteratura italiana Einaudi

376

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* Sera al collegio. Negli angoli dei corridoi ombre alte sembrano appostate a sorprendere: sotto le porte passa un taglio di luce gialla, alcune ragazze studiano, altre rientrano stanche, infreddolite, buttano i libri qua, la cartella là, via il cappello. Un campanello suona persistente, lacerante, il richiamo corre d’uscio in uscio, le sveglia, le scuote. S’odono smuoversi seggiole, porte aprirsi, chiudersi, passi, voci nei corridoi, per le scale, le ragazze scendono, invadono il refettorio. Breve brusío della preghiera, poi uno stropiccío di sedie, duecento posate in movimento, acqua, vino, le voci vorrebbero levarsi, spandersi, ma qualcosa le trattiene: il sibilo a fior di labbra della suora, che è come un bavaglio sulla bocca delle ragazze. – Che hai, Emanuela? – La testa... – Mangia, vedrai che passa. – Sí, sí, mangio. Il refettorio odora di mandarino: le ragazze s’alzano, si mettono in colonna, i veli sulla testa: nella cappella, la sera sta immota, blandita da quegli ori e da quei ceri. Una sera nascosta, rinchiusa, diversa dalle altre sere del mondo. Fuori, la gente passa e ripassa avanti alle finestre che imprigionano la sera delle ragazze. Alle ultime parole la preghiera s’affloscia, si sfiata; qualche ragazza, volgendosi, spia il segno che le invita ad alzarsi: ma la Madre ha gli occhi fissi all’altare, suor Luisa prega svelta svelta, contrita. Le ragazze sentono una fitta dolorosa ai ginocchi, si siedono sui calcagni e pensano; una pensa alla scuola, l’altra che deve rammendarsi le calze. Valentina sussurra a Emanuela: – Ho un cachet di sopra, lo vuoi? – Un cachet? No, grazie, vado a letto. La notte è lunga, interminabile. Nella camera di Ema-

Letteratura italiana Einaudi

377

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

nuela cadono i rintocchi della campana notturna, sordi rintocchi, una scossa alla notte. «Dormire, potessi dormire: forse, se conto, dormo: uno due tre quattro cinque... cento novantanove novantotto». Anche i numeri hanno quel suono, anche l’ombra ha quel suono, e anche la campana; è sempre nei suoi orecchi quella terribile frase e l’urta e la spinge e la investe: – Mi fai schifo! La testa pesa, colma di quelle parole. Andrea pronunciandole storceva la bocca come per irrefrenabile ribrezzo. Il buio gira intorno a lei, che, a poco a poco, esausta, cade in un sonno agitato. Qualcuno ha smosso la porta. Emanuela s’alza a sedere, sbarra gli occhi nel buio: è Andrea. Entra e la strozza. Morire è liberarsi di tutto, un gran sonno. Ma qualcuno tenta la finestra: è Andrea. Entra, la guarda, le grida ancora: – Mi fai schifo! –, le strappa la camicia di dosso, tende verso di lei il dito: – Schifo, schifo! – Zitto, zitto, Andrea... si sveglieranno le compagne, sentiranno… – Mi fai schifo! – S’odono passi affrettati per le scale: le suore, le compagne accorrono in camicia, come fantasmi: andarsene è impossibile, Andrea non la lascerebbe fuggire, vuole che tutti sappiano, per vendicarsi. Emanuela trova voce soltanto per supplicare: – Zitto! zitto! Andrea, per carità! – Ma lui, ride, la mostra cosí seminuda alle compagne, dice: – Guardatela adesso com’è, mi fa schifo, schifo! Andrea, le compagne, le suore, la fissano con occhi severi. Quanti occhi? Un solo occhio gigantesco; tutti ripetono adesso: – Schifo, schifo! – Un vociare assordante, un clamore. Mai giunge l’alba. * – Neppure io ho potuto dormire – le rispose Andrea, poi s’interruppe perché s’avvicinava il cameriere. – Che

Letteratura italiana Einaudi

378

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

prendi? la birra? – e, senza aspettare la risposta di lei, ordinò: – Due birre. Emanuela fissava sul tavolo la tovaglietta a quadri rosso e azzurro, proprio lí, dove c’era una macchia di ruggine. Non poteva a meno di notare che c’era quella macchia di ruggine, anche se tutto crollava attorno a lei; tante volte erano venuti in quella birreria, anche d’estate, a prendere il fresco nel giardinetto. Entravano gruppi di preti, assetati e giocherelloni; schioccavano attorno a loro i mantelli, le sottane. Sedevano facendo crocchio, le mani al bicchiere di birra, tutti come ciechi dietro gli occhiali spessi. Emanuela si domandava: «Chi sa perché tutti i preti sono miopi, forse per vedere il mondo piú di lontano». Andrea era lí che si guardava le mani, ella aspettava che parlasse, stava attenta, pronta, ma egli continuava a tacere e lei non poteva impedirsi di pensare a cose disparate. – Mi sarebbe assai piú facile perdonarti, – infine lui riprese continuando il discorso interrotto, – io non ho dormito stanotte appunto per convincermi che perdonarti è impossibile. Tu stessa non vorresti che io ti perdonassi. – Io, Andrea? – Tu. Non oggi, oggi mi saresti grata, avresti voglia di baciarmi le mani, vero? Ma non dimenticheresti mai che ti ho perdonato. – Sei pazzo? – Non credo. Non ancora. Impazzirò domani, quando capirò che veramente è finito. Stanotte sapevo che t’avrei rivista, per spiegarti. Era come se non fosse finito del tutto, c’era questa speranza. Ma dopo, tra poco, tra un’ora... Non piangere. No... cosí come sei non ti amo piú: chi ti conosce? L’Emanuela che conoscevo io, quella che m’ero fatta, insomma, se fosse andata a dormire con qualcuno almeno l’avrebbe fatto per amore. Invece no, neppure l’amavi, hai detto, l’hai fatto cosí, eh? per

Letteratura italiana Einaudi

379

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sapere cos’era. Dovevo accorgermi fin da principio che sei di quel genere di donne che detesto. Come si chiama la pupa? Stefania? La tieni in collegio, vero? Nessuno deve saperlo, capisco. Ma che t’importa se tu lo sai, e che c’entra la bambina? Ma tu non ami neppure lei; chi ami? No... no, no, ti prego, se mi avessi amato avresti agito altrimenti, ami te stessa soltanto, quella che vorresti essere, t’innamori dell’impossibile. – Lasciami parlare. – Che parli a fare? Diresti altre bugie. Non ti credo piú. Adesso spiegami: quando andavi a trovarla? La domenica?... E io dove credevo che tu fossi?... Ah, ho capito, ogni volta ti giustificavi con una scusa diversa... Che sciocco! T’immaginavo con le suorette a pregare, o con le compagne. E tu invece... Forse come hai fatto adesso per la bambina, avresti fatto dopo, per andare da un uomo, per vedere cos’era il gusto di tradire. Sí, sí... t’ho capita adesso, sei di quelle che vogliono togliersi tutte le curiosità. E io non ti toccavo per non distruggerti, che stupido! Vedi, sono tanto stupido che adesso vorrei dirti: «Non è vero, non mi hai detto nulla». E rivederti come ieri mattina, prima che parlassi –. Fece una lunga pausa, poi riprese accorato: – Perché hai parlato? Forse non me ne sarei accorto la sera delle nozze, tu sei abbastanza abile, e io tanto innamorato! Perché hai parlato? Sarei stato felice. Non avrei mai saputo niente di te, avrei avuto una moglie di fantasia, tutta immaginaria, tutta creata da me, tutta diversa dalla realtà; tutta una bugia. Ma non l’avrei saputo mai. Perché hai parlato? Adesso sono io che ti rimprovero di essere stata sincera. Andrea seguitava a parlare per farsi male, ed Emanuela piangeva, aveva gli occhi colmi di lacrime e pensava che era stanca, soltanto molto stanca. Tutto le si era presentato sempre tragico, difficilissimo; s’era trovata sempre di fronte a posizioni insormontabili. Come spie-

Letteratura italiana Einaudi

380

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

garlo? Che poteva fare? Avrebbe dovuto buttarsi nell’Arno quando le nasceva dentro la bambina. Neppure il danaro le serviva nulla. Il vento portava anche quello. Avrebbe voluto che già questo colloquio fosse finito, la birreria si faceva oscura, e lei si sentiva vincolata, infastidita. Che parlava a fare Andrea se voleva finirla? La lasciasse andare, allora. – Devo esserti sembrato ben sciocco, no? Perciò avevi per me talvolta carezze e sentimenti materni, adesso capisco certi tuoi atteggiamenti, certi tuoi sguardi assenti quando io parlavo del futuro; sorridevi e annuivi come per blandire un bambino. Venivi da me mascherata; per il tuo carattere questo doveva essere la maggiore attrattiva. Certo la sera pensavi: «Quel caro povero Andrea!...» – E restò sospeso su questa frase, Emanuela non lo contraddisse ed egli riprese: – Stanotte mi sono domandato se io ero stato sempre franco con te, se mai t’avevo mentito: ma fin dal primo momento sono stato sincero, non ho neppure cercato di apparire migliore per conquistarti, t’ho mostrato d’essere nervoso, duro, alcune volte. L’unica cosa che t’ho nascosto è di aver avuto qualche volta una donna, una donna mai vista prima, cosí, come prendere un’aspirina quando hai mal di testa. Ma dopo quando rientravo nella mia camera, vedendo la tua fotografia, quel sorriso infantile che hai, quell’aria calma e sicura, mi facevo orrore. Ridicolo tutto questo per un uomo, no? Sí, ridicolo, lo so, ridicolo soprattutto ai nostri tempi. Forse i nostri nonni erano piú dissoluti di noi, molto di piú. Noi abbiamo una morale piú ferma; gli uomini sono oggi come dovrebbero essere le donne, credono a sentimenti ai quali voi non credete quasi piú. È forse una reazione. Tu non hai mai saputo a che punto fossi amata. Lo sa solo mia madre, che mi ha visto cambiare, chiudermi, isolarmi, tendermi tutto verso un’attesa, già estraneo alla casa, a loro, già

Letteratura italiana Einaudi

381

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

tutto preso di questa casa mia che m’attendeva, di questa mia donna. Che stupido! Vi fu un silenzio lungo ed Emanuela intanto cercava inutilmente che cosa dire, ma non sapeva che ripetere: – Avevo paura di perderti, tanta paura di perderti, Andrea. E non soffriva piú, quasi, ripeteva queste parole perché doveva dire ogni poco qualche cosa, ma si sentiva dentro un’anima fredda fredda che stava lí a guardare la disperazione di Andrea, infastidita e dolente di non saper anche lei affliggersi cosí. – Non è vero. Non potevi temere di perdermi, poiché non mi amavi. No, non insistere, o almeno mi amavi a tuo modo, un modo che non è vero amore, è gioco, è una cosa qualunque. Se mi avessi amato come io volevo, avresti sentito il bisogno di dirmi tutto di te, perché io ti conoscessi interamente, anche in quella che poteva essere una tua vergogna. Avresti preferito perdermi che continuare cosí. S’abbuiava il giorno. Erano seduti nel fondo della birreria, vedevano per 1’apertura della porta che dava sulla piazza di San Pietro i tram passare stridendo sulle rotaie, i fanali accesi. Emanuela stordita, snervata avrebbe voluto alzarsi, gridare: «Basta, basta!», non piú udire la implacabile voce dell’uomo accanto a lei. Lasciarlo, uscire fuori all’aperto, sentirsi sconsolatamente sola e camminare, camminare e ripetersi: «È finito, è finito», andare lungo i muri senza vedere la gente, passando tra loro come cieca, lasciandosi urtare, assente, svagata, poi alla fine chi sa dove, ma lontano, cadere per terra esausta e dormire. Dormire a un angolo di strada, svegliarsi senza piú pensieri. – Quando ti vidi la prima volta in facoltà – Andrea continuava – mi apparisti súbito diversa dalle altre. E se pure mi parve un po’ affettato quel tuo libretto di pelle in cui prendevi gli appunti, sentii che in quel gruppo di

Letteratura italiana Einaudi

382

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

goffi orsacchiotti tu eri una donna. Ascoltavi Belluzzi parlare, con grandi occhi ammirati, non avevi un’aria di studentessa. Infatti non lo eri. Sai che fui contento quasi quando non ti vidi al Pincio all’appuntamento? Fu per me la conferma che tu eri diversa dalle altre. Poi ci fu il funerale di Milly... Dicevano che lei avesse per te un affetto quasi morboso. – È vero. – Milly... sapeva? Emanuela scosse la testa. – Nessuno – Andrea riprese sorridendo – nessuno sapeva. Tutti ti abbiamo creduto un’altra. Che artista! Mai, ti sei tradita. Hai lasciato che io amassi quell’altra, che Milly amasse quell’altra, che le compagne dessero fiducia a quell’altra, quell’altra che non esisteva e tu, lontana, indifferente, stavi a goderti lo spettacolo. Perché non me lo hai detto quel primo giorno al ristorante? Forse ti avrei amata ugualmente, avrei potuto... – Sí, Andrea, senti, tu puoi, tu puoi, io farò... senti, io potrei. . – No, Emanuela, no, tu non puoi piú nulla ormai: né io né te possiamo. Mai piú potremo fare qualcosa l’uno per l’altro. Restò alcuni giorni a letto, supina, all’oscuro. Venivano a trovarla le suore, le compagne. – Hai la febbre? – No. – Hai mal di capo? – No. – Hai mal di gola? – No. Sempre ripeteva a bassa voce: – Sono stanca. Le altre la lasciavano dormire. Nella penombra data dalle persiane chiuse, inerte, raccolta, Emanuela rifletteva: «Adesso ho parlato, è finito, non avevo mai compreso Andrea, sono stata sciocca, bisognava... Ma ora è fini-

Letteratura italiana Einaudi

383

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

to». Restava lunghe ore a pensare: s’era costruita nella mente la casa che avrebbero avuto insieme, la luce mite della lampada che avrebbe illuminato le loro sere si spandeva attorno e la bagnava della sua chiarità. Tutto ciò pareva vero e adesso era finito. Questo pensiero le dava un senso di desolata tristezza e insieme di sollievo. Era libera, e bisognava prendere un’altra strada, passare il ponte, scegliersi una vita, non lasciarsi vivere un giorno dopo l’altro, a caso. Augusta le aveva chiesto un giorno: – Ti piace ascoltare la musica? – Ecco questo avrebbe fatto. Insieme sarebbero andate a sedersi nella grande sala e avrebbero udito scendere su di loro la musica, bagnarle di un’innocente dolcezza. Poi avrebbero comperato libri e fiori e avrebbero preso insieme un buon tè caldo, in camera guardando, dalla finestra, smuoversi le cime dei frondosi alberi della Villa. Dalla finestra il cielo si sarebbe spinto nella camera come uno sguardo. Superare la giovinezza, come Augusta predicava; certe volte in pochi anni si vive intera una vita. Questo era stato il suo destino. Vinca diceva sempre che il destino ci conduce inesorabilmente, e non c’è nulla da fare per affrancarsi, per sciogliersi. Presto i suoi occhi si sarebbero cerchiati come quelli di Augusta, per lo studio, per l’aria viziata della camera, per la cruda solitudine. Già soffriva di questa futura miseria fisica; ma sotto questa pena, palpitava la remota certezza di qualcosa che sarebbe sopravvenuto a salvarla. Andrea: Andrea che non poteva fare a meno di lei, Andrea sarebbe ritornato una sera, l’avrebbe attesa all’uscita della sala dei concerti, l’avrebbe presa pel braccio, le avrebbe detto: – Vieni con me. E Stefania? Stefania? Un incubo, un’ossessione Stefania: sí, non c’era dubbio, bisognava rinunciare a tutto per Stefania, anche al collegio, anche alla solitudine, anche alla musica, era lei che la teneva pel braccio, Stefania.

Letteratura italiana Einaudi

384

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Perché piangi, Emanuela? – – Sono stanca. Le amiche si dicevano tra loro: – È un esaurimento nervoso; l’emozione della morte del padre. – Non piangere cosí, Emanuela. Vuoi sentire la lettera che ha scritto Silvia? Se Silvia fosse stata qui, forse Emanuela a lei avrebbe parlato. «Siediti qui vicino a me, Silvia, ho da parlarti». «Cosa devo fare, Silvia?» Stupita Silvia l’avrebbe guardata con attonita maraviglia. – È qui, Silvia? – Qui? ma che cosa dici, Emanuela? – Valentina le chiese e poi guardò Augusta con preoccupazione: – Silvia è a Littoria. Vuoi sentire la lettera? – Emanuela aprí gli occhi, guardò le compagne. Valentina, grassa e bionda, sembrava cresciuta troppo in fretta, come certi frutti che sono tutta apparenza e niente sapore; Augusta, vestita in abito a giacca, le appoggiava la mano sulla spalla, e l’altra stava composta e sorridente, simile a un cane sotto la carezza del padrone. Erano brutte e stravaganti, ed Emanuela mai le avrebbe scelte per amiche, ma, come diceva Silvia, le amiche non si scelgono, càpitano. E queste le erano capitate. – Sí, sí, leggete. Scriveva, Silvia, che Littoria è una città nuova, e una città nuova dapprima non accoglie, respinge. Chi arriva in un posto nuovo è un poco come un povero, ha bisogno di tendere la mano a qualcuno: talvolta ha bisogno anche di nascondersi e lí non era possibile. «Poche strade e ampie, aperte, molto illuminate. Tutto è limpido, trasparente, ti specchi da per tutto, la tua immagine ti viene incontro in mille modi, mai puoi dimenticare che esisti. Una città nuova manca di tradizioni, e perciò sembra che tutti aspettino di sapere quello che debbono fare. Nessuno ha una propria vita intima, ancora si sente bisogno della comunità organizzatrice, che aiuti a vince-

Letteratura italiana Einaudi

385

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

re il freddo degli edifici e delle strade. Tu sai, Augusta, che io ho sempre bisogno di un rifugio; se avessi fede andrei in chiesa a pregare, benché questa chiesa novecento dove i passi si specchiano nel marmo del pavimento non inviti a rifugiarsi; ma, lo sapete bene, io sono incapace di pregare, di credere, mi rifiuto di accettare ciecamente tutto ciò che gli altri hanno già preparato per me: ho sempre quel maledetto bisogno di ragionare. V’ho cercato la prima sera, le prime sere: mi apparivate a distanza astronomica, ingoiate da un baratro, mai esistite. Cercavo di convincermi che ogni principio è difficile e freddo. Ogni cosa m’era ostile come al mio arrivo in collegio. Vivo insieme con gli altri insegnanti, e per la prima volta ho provato un disagio fisico di me stessa, per i miei occhi storti che non possono invitare gli altri a guardarmi perché non si sa mai dove io guardi precisamente. Temo di non avere uno sguardo sincero. È un terribile disagio questo, ho bisogno che gli altri si abituino a me, e che io mi abitui a loro, la mia timidezza diviene sempre piú invincibile, perciò, voi che mi conoscete, comprenderete che il piú grande sforzo è stato quello di traversare dietro al preside, nell’aula, lo spazio dalla porta alla cattedra; i ragazzi erano in piedi e mi osservavano. Il preside ha parlato di me, mi ha presentata in modo lusinghiero, avrei dovuto esserne contenta. Quando egli se ne andò avrei voluto andarmene con lui; rimanemmo invece soli, i ragazzi ed io: seconda ginnasio, dodici tredici quattordici anni, ragazzi alti quanto me, in piedi, mi consideravano: sedici ragazzi, trentadue occhi che sentivo addosso a me come punture, anche io li guardavo, in piedi, le mani sulla cattedra: e il coraggio mi venne proprio dal contatto con quel legno. Pensai che era la prima cattedra mia e che da lí la mia voce si poteva alzare con parole mie, idee mie. Sorrisi, e i ragazzi mi sorrisero. Cosí è cominciato. Alcune sere sono molto stanca, ma il lavoro non mi pesa, mi pesa la re-

Letteratura italiana Einaudi

386

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

sponsabilità di me stessa, la mia esistenza sulle spalle, che non debbo sciupare. Comincio a temere che la vita sia troppo breve, ho tante cose da fare, tante cose da apprendere e da dire, che mi impaurisco della morte, che mi colga a tradimento prima che io abbia finito. «Ho ricevuto qui la partecipazione di nozze di Anna. Quando sposa Emanuela? Datemi il nuovo indirizzo di Vinca. Sarete ben sole, adesso. Che tempo fa, a Roma? Qui è bello; è domenica, gran silenzio; io guardo dalla finestra e m’accorgo che siamo alle soglie della primavera». Valentina, che leggeva, abbassò il foglio sui ginocchi. Augusta la guardò, le batté affettuosamente sulle spalle, la pregò: – Continua, cara. La ragazza rispose: – Non è piú la stessa: è piú leggera, piú serena, forse nemmeno si tormenta piú. – Sí, sí – fece Augusta – è appagata –. E poi insisté: – Continua. Passarono giorni incolori; Emanuela si era alzata, la testa vuota, disorientata come dopo una lunga malattia, in convalescenza. Doveva riprendere abitudini interrotte che non le parevano piú naturali, faticava a riallacciarsi ai giorni trascorsi e tuttavia si sentiva pervasa da un benessere di guarigione insperata. Non usciva dal collegio quasi temendo di trovare fuori una città diversa, sconosciuta, nella quale dovesse soffrire per dirigersi e ambientarsi. Una sera, risalita in camera sua dopo la preghiera, si sedette al tavolo per scrivere una lettera alla madre, raccontarle, spiegarle, smuovere con quell’atto la nebulosa nella quale viveva. E prendendo la penna in mano non sapeva se alla fine avrebbe scritto: «Vengo» o «Vieni tu, mamma mia». Stava cosí, la mano sospesa sul foglio bianco quando la porta s’aprí e Valentina s’affacciò sulla soglia. Emanuela, che s’era volta di soprassalto allo scatto della maniglia, l’invitò sorridendo: – Entra.

Letteratura italiana Einaudi

387

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– No – ella rispose: – devi salire su da noi. Dobbiamo dirti qualche cosa. – Che c’è? – Vieni su. – Adesso vengo. – Va bene, t’aspettiamo –. E se ne andò. Che aveva? Negli ultimi tempi Valentina era profondamente mutata. La sua fresca allegria s’era dissipata: il continuo contatto con Augusta pareva averla appassita, averle dato un odore di chiuso e di vecchio quale prendono i vestiti che stanno a lungo negli armadi. Anche il suo parlare s’era fatto sentenzioso e sostenuto, con qualcosa di amaro nel tono della voce. Erano sempre insieme: Augusta, pur serbando su Valentina l’autorevole prestigio che le derivava dalla maggiore età, era piena di premure per lei; spesso la chiamava: «cara». Piú di rado invitavano Emanuela a salire da loro; e se lei entrava nella camera di Augusta, le trovava che leggevano versi, le mani nelle mani, come se mescolassero le loro fantasie e i loro respiri. Un giorno Ingrid, la svedese stravagante, domandò a Emanuela: – Non te la fai piú con quelle due? – e solo allora questa s’accorse che da qualche giorno le due amiche s’erano piú che mai distaccate da lei, la schivavano. Ingrid volse uno sguardo interrogativo sul cerchio delle compagne, poi chiese a Emanuela: – Vuoi venire con noi? Era un gruppo di giovanissime. Pochi anni, in fondo, le dividevano dal vecchio gruppo di Emanuela, che s’era via via andato disfacendo. Eppure erano diverse, come se ci fosse di mezzo un’intera generazione. Sprezzanti, volitive, temperate d’ironia, tutte tra loro si somigliavano: le stesse pettinature, gli stessi vestiti, e anche i lineamenti dei loro volti parevano tratti da uno stesso stampo. Emanuela riudí in sé le parole che Xenia, due anni innanzi, le aveva rivolto, quando era entrata al «Grimaldi»: – Vieni

Letteratura italiana Einaudi

388

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

con noi di lettere? – Noi di lettere era un gruppo che pareva tenuto compatto dalla diversità delle ragazze che lo componevano: tutte differenti, singolari di intelligenza e di estri, con un gusto vivace per la polemica e i contrasti. Nelle nuove, ogni gusto di discussione era scomparso; le loro personalità parevano levigate e coperte della medesima vernice. Spesso parlavano di sport. Ma Emanuela intuí che la sua posizione nel nuovo gruppo sarebbe stata identica a quella nell’altro; anche qui avrebbe dovuto costruirsi la sua nicchia di menzogne, e vivervi sostanzialmente separata dalle compagne, E infine, un giorno, inevitabilmente, troncare il suo fittizio legame con loro. – No, grazie, – rispose con gentilezza. Quelle rimasero deluse perché Emanuela ispirava simpatia. – Fa come vuoi – Ingrid disse. Poi si volse alle altre ed Emanuela capí che non l’avrebbero cercata piú. Quando Emanuela salí, trovò Augusta e Valentina sedute accanto; fumavano. Lei fece entrando: – Ciao, ragazze – e le guardò. Che c’era? Qualcosa c’era. Si impaurí; adesso Valentina assomigliava ad Augusta: la guardavano accigliate. Avrebbe voluto andarsene e invece chiese, aggressiva: – Che volete? – poi fece un passo indietro, verso il muro, quasi a difendersi da un colpo inaspettato le spalle. Questa camera era isolata dal resto del pensionato, le altre compagne erano distanti, non potevano avvedersi di ciò che accadeva là dentro. S’udiva di tratto in tratto venire dal piano di sotto un rumore di voci. Augusta lentamente si alzò, lentamente mosse incontro a Emanuela. Aveva le labbra contraffatte, gonfie, gli occhi appesantiti da due borse livide, violacee, lo sguardo fisso, puntato sulla compagna ignara, come un’arma lungamente affilata e che ora va diritta al segno. Pareva che con quel lento muoversi, con quella fissità inesora-

Letteratura italiana Einaudi

389

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

bile dello sguardo ella si studiasse di non sciogliere e dissipare in un gesto improvviso, in un moto inconsulto il groppo d’acredine che le serrava la gola. Cosí s’avanzò verso Emanuela, le fu vicina, immobile come a fiutarla, poi alzò una mano e glie la lasciò ricadere sul viso. Lo schiaffo risuonò seccamente nella camera, ricolmò il vuoto del silenzio attonito che s’era formato intorno alle tre ragazze. – Augusta! – Emanuela esclamò e arrossí, piú che per il colpo, per la vergogna. Guardò Valentina cercando aiuto, ma capí che era inutile. Allora si lasciò cadere, seduta sul letto, e le fissò stravolta attendendo da loro chissà che altra rovina, senza pensare a ribellarsi, comprendendo di essere completamente in loro balía. Il busto piegato, il viso accanto al viso di lei, anelante, Augusta le diceva con voce soffocata e torbida: – Ladra! –, riprendendo fiato, poi tornava a ripetere quella parola come se, cercato nelle pause un’ingiuria piú forte, confusa dall’ira, non riuscisse a trovare che quella: – Ladra! Ladra! Emanuela ascoltava immobile, sbattendo le palpebre ogni volta, come se fosse stata schiaffeggiata di nuovo. – Ladra! – Augusta ripeteva astiosa: – sappiamo tutto. Andrea ha parlato con Valentina stamani. Due anni che sei qui e sai tutto di noi, t’abbiamo detto cose che non t’avremmo detto se t’avessimo conosciuta. Sei venuta a rubare. Ladra! Ladra. L’insulto soffiato con voce fosca sembrava assorbire tutta l’aria della stanza, le basse pareti lo trattenevano attorno a Emanuela: era caduto un pauroso silenzio nel quale i secchi singhiozzi della ragazza restavano sospesi. Tutto infieriva contro di lei, inutile difendersi, non sapeva piú dove rivolgersi, la bugia la stringeva, la soffocava, ne sarebbe morta. – Che sei venuta a fare qui? non era luogo per te. Te l’avremmo detto. Che aspettavi? Credevi che, tacendo-

Letteratura italiana Einaudi

390

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lo, il passato potesse distruggersi? Rammento che Silvia súbito ti sentí diversa. Disse: «Che cosa è venuta a fare qui?» Tu allora con occhio tranquillo incominciasti a snocciolare bugie. Pensavi che cambiando lo scenario anche tu ti saresti cambiata, saresti ritornata quella di prima. Non sai che tutto è possibile nella vita, fuorché tornare indietro? Le strade sono tante, ognuno crede di prendere la buona, va, va, e poi a un tratto s’accorge che ha sbagliato. Tutti vorremmo ricominciare. Ma gli atti che ci hanno accompagnato fin lí, sono alle nostre spalle attraverso la strada, a fare argine. E indietro non si può tornare. Nessuno torna indietro. È la piú inesorabile forma di eguaglianza di tutti gli uomini di fronte alle leggi della vita –. Fece una pausa e poi riprese: – Xenia non è piú venuta a bussare alla porta del collegio, chi sa dov’è, che fa, continua a camminare, noi non torniamo alle nostre case e tu volevi... – Non sono io che ho voluto, Augusta, credimi, ascoltami, non ho mai voluto nulla, ho trovato sempre tutto pronto e non m’è restato che adattarmi, mettermi a viverlo. – Neppure l’altro giorno, quand’eri a letto, hai parlato; neppure il dolore di lasciare Andrea ti ha fatto perdere il controllo. Te stessa, sempre avanti a tutto. Noi capivamo che la cosa era finita, il matrimonio andato a monte, senza domandarti ragione eravamo pronte ad accoglierti, Valentina e io, nella nostra vita. Ma abbiamo intuito, come Silvia al primo giorno, che qualcosa di te ci sfuggiva, che tu ti nascondevi dietro la tua ombra. Valentina non parlava, s’appoggiava al braccio dell’amica. Non erano piú che una sola persona, indefinibile e scostante. – Devi andartene, adesso. Che stai a fare qui? qualunque essa sia la tua vita è migliore della nostra. Qualcosa di te rimarrà: tua figlia. Anche quando tu muori quella continua. Io volevo stasera, avanti a tutte, dirti: «Vatte-

Letteratura italiana Einaudi

391

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

ne!» Poi ho pensato che non è colpa tua: ci sono esseri che nascono come te già mancati, indifferenti. La tua cosa migliore, tua figlia, forse sarà venuta a te senza che tu la volessi. Il grido della suora lacerò l’aria. «Luce!». Poi il buio si franse nella stanza; a tentoni Valentina accese la lampada. – Il buio, il buio… – mormorò Emanuela. – Scendi al tuo piano, c’è la luce. Che t’importa del buio che resta qua dentro? Tu domani sei fuori, te ne vai. Vi fu un silenzio penoso. Nei corridoi porte s’aprivano, si chiudevano; adesso nell’attenta pace si udivano venire voci dalle camere vicine, Ingrid discuteva con le amiche; in ogni camera c’era una lampada accesa: questa era la vita del collegio. Poteva scendere, cercare Ingrid, dirle: – Vengo con voi –. Ma dopo quanto stasera era accaduto, il mescolarsi di nuovo a quella vita, allo spirito con il quale le ragazze trascorrevano quel periodo d’attesa, le apparve cosa puerile, come un adulto che si metta a giocare a nasconderella con i bambini. Non c’era piú nulla da difendere ormai, nulla piú da salvare. E papà, poverello, parlava in retorica: «la vita si rifà, la vita si ricostruisce»: non è una casa abbattuta dal ciclone, la vita. La vita séguita, i mesi gli anni rotolano e noi con loro. Emanuela era stanca, stanca, alzò gli occhi verso le amiche perché la vedessero cosí disfatta e ne avessero pietà. Augusta aveva preso una sigaretta per lei, una per Valentina. Le loro mani grasse avevano gesti simili, comandati da uno stesso istinto; poi colmò il suo bicchiere, quello dell’amica, le disse: – Tieni, cara –. Era già come se Emanuela non fosse piú nella camera: il bicchiere in mano, le ragazze la guardavano quasi a chiederle che cosa aspettasse. – Me ne vado – Emanuela disse alzandosi. E le altre due non la trattennero.

Letteratura italiana Einaudi

392

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* La ragazzina sudicia che aprí la porta fissò Emanuela e, senza toglierle gli occhi di dosso, le indicò una porta grigia nel fondo del corridoio. La casa odorava di soffitto, le porte delle stanze erano spalancate e mostravano un vecchio seduto nella poltrona a dondolo, un bambino accovacciato per terra. Emanuela bussò alla porta grigia, chiamò: – Vinca… – Da dentro s’udí una sedia spostata di scatto, la ragazza accorreva. – Oh ! Emanuela!... Vestiva, Vinca, in foggia maschile: portava calzoni grigi lunghi, pantofole e una camicia semplice con le maniche rimboccate. Appariva piú magra, consumata da dentro. I capelli, tagliati appena piú corti del solito, s’abboccolavano, ricadevano senza arte e tuttavia con morbidissima grazia. Gli indumenti mascolini che la ragazza indossava non riuscivano a dominare la spontanea femminilità del suo aspetto e dei suoi gesti. Sorrise a Emanuela con entusiasmo e la tirò nella stanza tenendola quasi abbracciata. La camera non era cosí sporca e ripugnante come il resto della casa: alle pareti c’erano i disegni di Luis, qualche veduta di Spagna, di Còrdova. Negli scaffali i trattati di architettura, sul tavolo le squadre, le righe, i compassi. Accanto al letto di Vinca molte fotografie di lui. Questi che Vinca portava erano i suoi calzoni. Spiegò che aveva ripreso questi oggetti dallo studio. – Non li ha richiesti. E se li richiedesse non glie li darei; ma lui certo non pensa piú a queste cose –. Cambiò discorso volutamente: – Ti piace questa camera? penso che abbia un suo carattere, non ti sembra? Si moveva per la stanza cercando di mettere un po’ d’ordine, confusa dall’imprevista visita dell’amica. Su un tavolo c’erano gli avanzi di un pasto: un pacchetto di salati, pane, una mela; lei dissimulò tutto questo dietro una

Letteratura italiana Einaudi

393

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

pila di quaderni, passò una mano sul tavolo a scacciarne le briciole e, presa una sedia, sedette accanto a Emanuela. – Scusami – le disse – è un bazar, qua dentro. Senti odore di spirito? La macchinetta è difettosa. Trovi un po’ di tutto. Sai, mangio qui, lavoro, dormo, è il disordine delle stanze di noi donne sole. Però mi ci trovo bene; i padroni di casa sono brava gente e mi piace il quartiere, la strada è caratteristica, tutte queste finestre tengono compagnia, mi sembra di prender parte alla vita di quelli che abitano nel vicolo. Di sera, spesso, spengo la luce per non essere vista e mi metto alla finestra, all’osservatorio. In una casa, proprio di contro, abita per esempio una famiglia di operai. Il padre torna a casa, dopo il tramonto, stanco; si butta a sedere alla tavola, la moglie gli mette davanti un piatto di minestrone freddo, gelato, che si potrebbe tagliare a fette come la polenta. I figli, cinque, alti cosí, si dispongono a cerchio attorno alla tavola, in piedi, ci arrivano a pena con la testa; e fissano il padre che trangugia quella minestra, la divorano con gli occhi sgranati dal desiderio. Lui, ogni poco, prende su una cucchiaiata e imbocca un figlio, a turno, senza parlare; quando il piatto è vuoto, incrocia le braccia sul tavolo e dorme, i ragazzini se ne vanno. – È pittoresco. – Sí, la miseria è sempre pittoresca. Al piano di sotto invece c’è una sarta, si vedono i manichini nella cucina e... Ma che te ne importa di tutto ciò? Senti, hai fatto proprio bene a venire. Io non ho piú visto nessuna di noi di lettere. Mi ha scritto Silvia che sta bene, ha molte soddisfazioni; un tipo in gamba, Silvia, non trovi? Eccezionale, diritta, tutte vorremmo essere come Silvia. – È vero – rispose Emanuela – eppure certe volte mi dava l’impressione che avrebbe voluto essere come noi. – Forse. Ma non potrà mai divenirlo, qualunque cosa accada. Io ho cercato di rendere la mia vita simile alla sua, il mio modo di pensare, senza riuscirvi. Che vuoi fare?

Letteratura italiana Einaudi

394

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Sei piú tranquilla, Vinca? – Secondo quello che tu intendi per tranquillità. Mi sono trovata molto sbandata sul principio, ho faticato per trovare un orientamento. Adesso ho parecchie ore di lezione la settimana, mi bastano per vivere, mi sono potuta anche comperare un paio di scarpe… – Poi si chinò verso Emanuela, poggiò i gomiti sui ginocchi, disse piú piano: – Se è questa che tu chiami tranquillità. Per il resto... Sai quando è tremendo? Quando torno a casa, la sera, apro la porta, la camera è al buio e debbo accendere la luce. Mi costa grande fatica girare l’interruttore e rivelare questa mia sconsolata solitudine. Certe volte mi metto a parlare da sola ad alta voce per tenermi compagnia. Un giorno m’ha udito il figlio della padrona, non so se l’hai visto entrando, un bel bambino, e s’è messo a ridere. Non parlava di Luis: lo teneva vivo attorno a lei vestendo gli abiti di lui, contemplava i disegni, rileggendo le lettere; forse in certi momenti ella stessa non sapeva se era Vinca o Luis. Entrando nella camera dopo le lezioni si vestiva cosí ed era come se lo ritrovasse lí ad attenderla; parlava ad alta voce, illudendosi di sentirlo parlare. Questo mescolarsi di oggetti maschili e femminili, della sua personalità e di quella di lui, le faceva credere in una loro vita comune. Non era triste, non parlava del passato. Non sapeva neppure che Emanuela aveva lasciato il collegio, che abitava in albergo, che stava per partire per un lungo viaggio. – Vai anche in Spagna? – le chiese; e alla risposta negativa si disinteressò dell’itinerario, come se altri paesi non esistessero. – Sei contenta di partire? – Molto contenta. – E Andrea che dice? – Andrea?... Già, tu non sai. Andrea... È finito tutto. Non ti dirò la ragione, altre te la diranno per me. – Che importa la ragione? È finito – fece Vinca tranquilla.

Letteratura italiana Einaudi

395

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Era vero. Adesso in Emanuela le sofferenze passate riaffioravano e tutta la pena di Andrea e del collegio e lo strazio che aveva provato uscendo, udendo richiudersi la grande vetrata dietro di lei e quel senso di smarrimento che l’aveva colta lí, nella strada, nell’automobile che la conduceva all’albergo, tutto ciò andava a raggiungere un altro mondo distante e dimenticato, dove stavano Stefano, suo padre e Milly. Un mondo di morti. Cose e persone diverse da lei che la intenerivano senza che tuttavia le comprendesse; non aveva compreso Stefano, né papà, né Milly. Questi ultimi giorni a Roma erano pieni di tedio e d’impazienza. Il senso di provvisorio delle sue giornate la infastidiva come il rodío dei tarli in una vecchia casa abbandonata. Tutto: persone, sentimenti, idee, che avevano formato il tessuto della sua vita di ieri ormai s’allontanava, sfumava, perdeva anche il suo rilievo come ricordo, come sensazione vissuta. Ma una fresca gioia si diffondeva in lei come un sangue nuovo: la gioia di ricominciare, di rifarsi da capo, di aprire una finestra su un giardino ignoto. Andava incontro a cose e persone sconosciute: tutt’un mondo da scoprire. E di questo si rallegrava, perché sempre le piaceva accostare gente nuova, esperimentare il suo potere di fascino sugli altri. Le ultime parole di Andrea l’avevano amareggiata, afflitta: solo Andrea l’aveva compresa a fondo, l’aveva messa brutalmente a nudo rivelandole un’Emanuela umiliata e meschina, ed ella sentiva ora un prepotente bisogno di liberarsi da quella cruda e molesta immagine come d’un abito misero col quale si fosse inaspettatamente trovata vestita in una sera di festa. Eppure, solamente adesso, dopo averla sbatacchiata di qua e di là, l’esistenza la portava al vero punto di partenza per una vita adatta a lei; una vita intima e sofferta le sarebbe stata impossibile. Non avrebbe resistito neppure un’ora in questa stanza di Vinca che guardava una

Letteratura italiana Einaudi

396

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

squallida strada dietro il Tevere; quel museo di cose morte, tenute in vita per imbalsamazione, le avrebbe fatto orrore. E Vinca, invece, là in mezzo appariva serena. Emanuela parlava, raccontava con entusiasmo del viaggio. Pochi giorni mancavano alla partenza e avrebbe voluto chiudere gli occhi, averli già trascorsi. Stefania aveva accolto la notizia freddamente: – Un viaggio? – Sí, un lungo viaggio su un grande bastimento. Andremo a vedere i moretti. – I moretti? e le scimmie anche? – Sí, anche le scimmie. – Me ne comperi una? – Ti compero tutto quello che vuoi. – Ah! bene, sono contenta. Niente piú di questo. Intima con tutti, estranea a tutti, Stefania; si sarebbe detto che avesse il carattere di Emanuela eppure, in verità, era molto diversa da lei. Emanuela, nel lasciare il «Grimaldi», commossa, diceva: «Addio addio» a ogni angolo della scala, al cortile, alla cappella. Stefania era uscita dal collegio senza voltarsi indietro, aveva preso tranquillamente la mano dell’istitutrice che non conosceva, era entrata nell’albergo come se vi avesse sempre vissuto. Era di un’altra generazione, ancor piú ragionatrice e indifferente. Ora Emanuela si domandava perché fosse venuta a trovare Vinca: non poteva raccontarle tutto quello che l’aveva condotta a lasciare il «Grimaldi», a partire, sarebbe stato penoso, e non era certa di essere compresa. Nei giorni scorsi era rimasta a lungo indecisa se salutare Vinca o no; e poi aveva voluto vederla, senza precisa ragione, sperando istintivamente qualcosa da lei. Ma non sapevano parlare altro che di cose e persone del «pensionato»: le loro esistenze nuove sarebbero rimaste inesorabilmente chiuse all’una e all’altra. Emanuela raccontava della Madre superiora che sedeva, ormai rassegnata, al posto di quella vecchia.

Letteratura italiana Einaudi

397

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– Entri e quasi non la vedi, sta lí che dice il rosario o legge l’Imitazione di Cristo. Ha lottato, s’è ribellata, temevano che impazzisse, notte e giorno s’udivano i suoi passi nello studio, nella camera, senza pace. Ma le altre monache non si lasciavano sopraffare, la tengono prigioniera al posto che lei stessa s’è creato, e s’inchinano rispettosamente avanti a lei. Non tornerà mai ad essere suor Lorenza di prima. «Vieni avanti, figlia mia», m’ha detto; e abbiamo parlato un poco. Neppure conosce le nuove che sono arrivate. È rimasta ferma a noi, al nostro gruppo, a quello insomma che lei ha accolto in parlatorio. Segue il suo corso adesso, invecchia, forse la credevamo molto piú giovane. Sta lí seduta e aspetta che venga il suo turno di andare a Genova per morire. – Ma non credi tu che, in fondo, tutti non aspettiamo che questo? – le chiese Vinca. – No, che dici mai, alla tua età? Silvia ha scritto che teme di morire prima di aver compiuto tutto ciò che vuole. Anche io ho paura di morire; mi sembrerebbe di non aver vissuto che un attimo. Tu non hai paura della morte? – Io? io no, forse perché ho già esaurito tutto quello che era nelle mie possibilità di gioia e di sofferenza. Rimasero fino a tardi a parlare; cercarono di accostarsi il piú possibile l’una all’altra, al mondo dove avevano vissuto, un mondo che si disfaceva, si perdeva nel nulla. Non avevano il coraggio di lasciarsi; Vinca la pregava: – Rimani –. Ed Emanuela indugiava, cercava di prolungare quegli attimi che erano, tutt’e due lo sentivano, l’ultimo lembo di una stagione della giovinezza. S’abbracciarono sulla porta due volte tre volte. Emanuela guardava Vinca affettuosamente, cosí magra in quei calzoni larghi. Vinca le carezzò la guancia e si lasciarono sorridendo, senza tristezza. Già della loro esistenza comune ormai non le legava piú che un affetto tenace e distante, come un ricordo.

Letteratura italiana Einaudi

398

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

* Appena a bordo, sistemati i bauli nella cabina, Emanuela risalí sopra coperta attendendo che il piroscafo partisse; ma era arrivata molto in anticipo, si capiva che era la prima volta che si accingeva a un viaggio cosí importante e temeva che la nave potesse andarsene senza di loro. Era un mattino chiaro, ma non caldo, ella s’affacciò al bordo e guardò nel quieto specchio di mare ove l’Amazonia era ormeggiata, opalescenti macchie brune aprirsi, richiudersi come occhi. Sembrava un mare artificiale, odorava di nafta invece che di salso. Imbarazzata per essere arrivata tanto tempo prima della partenza, osservava attorno con interesse quasi a mostrare che era venuta presto per questo; però non riusciva a distinguere nulla con chiarezza, il suo sguardo irrequieto vedeva solo, su, su, per la collina, oltre il biancheggiare della città, le macchie verdi degli alberi che, gonfi e cupi, sembravano trattenere una precoce calura estiva. I marinai, gli ufficiali si movevano tra arnesi e cose a lei inusitate, andavano e venivano chiusi in occupazioni, orari a lei sconosciuti; nessuno le badava e lei si sentiva estranea come i primi giorni al «Grimaldi» davanti alle abitudini delle ragazze. Finiva per volgersi alla figlia e carezzarla sorridendole: Stefania ogni poco le chiedeva sempre con uguale intonazione: – Quando partiamo, mamma? – quasi che la madre dovesse dare il segnale della partenza. Ed Emanuela rispondeva, per quietarla: – Adesso, Stefi, adesso. Per la passerella gente saliva; bagagli chiari ondeggianti sulla schiena curva dei facchini. Emanuela pensò con piacevole curiosità: «I miei compagni di viaggio». Cinque mesi di viaggio, un passatempo per gente ricca. Si salpava alla soglia dell’estate, si tornava col primo freddo autunnale. E le sembrava che in questo tempo, mentre lei era lontana, nelle città dov’era vissuta fino al-

Letteratura italiana Einaudi

399

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

lora, tutto ciò che di lei era stato dovesse disfarsi, disciogliersi, il vento dovesse disperderlo, Emanuela Andori è morta, poveraccia, sua madre la dimentica e cosí Andrea, le compagne. – Partiamo, mamma? – Sí, sí, amore, sta buona, adesso partiamo. Saliva sulla passerella una signora grigia con tre figliole; la minore di esse che aveva ancora le trecce sul petto, conduceva al guinzaglio un cane. L’adolescente si guardava attorno spaurita da questo insolito avvenimento della partenza che si svolgeva tanto rapidamente da non aver il tempo di goderlo. Erano già sulla coperta, le sorelle parlavano animatamente cercando di rendere questo momento simile a ogni altro, far finta che non si accorgevano di partire, la nave avrebbe salpato e loro non avrebbero interrotto il discorso per un avvenimento di cosí poca importanza. E questo pareva alla minore una crudeltà, perciò tirava a sé il cane, per sentirsi accanto una cosa casalinga, abituale. Lady Royl salí sorridendo, quasi fosse la madrina del bastimento al varo; il comandante l’attendeva, un lungo asciutto calvo comandante, anche gli altri ufficiali s’inchinarono; e lei sembrava aver ragione di essere cosí piena di sé. Era bruna e alta, quarant’anni almeno; e perle agli orecchi, perle al collo, perle alle dita; vestiva di nero, portava un grande cappello come se andasse a una cerimonia. Emanuela, vedendola salire con tanti onori, si scoprí infastidita d’essere lí sola con la bambina, in disparte. Non conosco nessuno, mi annoierò in questo viaggio, ho fatto male. E Stefania chiedeva: – Quando si parte, mamma? Le rispose stizzita: – Che ne so, Stefania, adesso si parte –. E intanto seguiva con gli occhi lady Armilda Royl che sorridendo imboccava la porta di una cabina sul ponte.

Letteratura italiana Einaudi

400

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Quasi avesse atteso l’arrivo della nobile dama, la sirena urlò. Quella sirena elettrica era l’unica cosa a bordo che sapesse veramente di mare, avesse odore di scoglio, una voce prettamente marina, come se, di sott’acqua, qualcuno soffiasse in una gigantesca conchiglia. Gridava cosí la suora a sera, quando le ragazze dovevano partire tutte insieme per le tenebre; ogni sera a quel grido le ragazze sussultavano. Emanuela sentí il cuore batterle violentemente, soltanto a quell’urlo della sirena s’accorse che partiva veramente. Intimorita avrebbe voluto correre per il ponte, fino alla passerella che già veniva ritirata, «Un momento, un momento!» e scendere di nuovo a terra, ansante, riposarsi sulla banchina, rinfrancata come per un pericolo scampato. E invece stava lí immobile: nessuno immagina che pensi queste cose. Accanto a lei Stefania eccitata dalla novità aveva preso a saltellare: la madre le si rivolse duramente: – Sta ferma. Africa Cina Giappone. Potrei prendere qualche malattia, non tornare piú. Nessuno le aveva detto: – Sei pazza, che vai a fare? – L’avevano abbandonata, lei e la bambina. Negli ultimi tempi s’era annoiata a Roma, annoiata di tutto; voleva disfarsi di quella vita monotona. E adesso pensava invece con rimpianto: «Chi sa che fa Andrea a quest’ora, non sa che il piroscafo parte. E loro, le compagne…» Sono lí, s’affollano sulla banchina per salutare Emanuela che se ne va: sono venute tutte, non è un’illusione, le vede chiaramente, sono venute per vederla un’ultima volta. La nave si stacca, è completo silenzio, non ci sono rumori attorno, ma sarebbe inutile urlare, adesso, è troppo lontana, solo si vedono le loro mani agitare fazzoletti bianchi. Vinca è venuta vestita da uomo e fa addio senza sorridere. Augusta e Valentina si tengono per mano, Andrea col cappello buttato all’indietro, la faccia stravolta come quel mattino che lei gli parlò, al

Letteratura italiana Einaudi

401

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Pincio. Qualcosa duole qua nel petto se riode la voce di lui: «Nuela». Ma non parla, non sorride, Andrea: la guarda. È inutile che lei gridi: «Aspettatemi, ritorno»; non udrebbero. Bisognerebbe lasciarsi scivolare giú, nell’acqua che si squarcia al passaggio della nave, tornare a nuoto, neppure tornare, lasciarsi cadere giú, nel fondo. La scosse il rumore di qualcuno accanto a lei che si soffiava ripetutamente il naso; era l’istitutrice della bambina che scaricava cosí la sua voglia di piangere, le guance, gli occhi, il mento accesi. Alzando il naso dal fazzoletto disse, quasi a scusarsi: – È sempre triste una partenza, Madame. * Alle cinque il tè: nell’angolo migliore della coperta, al riparo, c’era la tavola di lady Royl. Soltanto quando il suo gruppo abituale era riunito attorno a lei, ella che stava sdraiata su di una poltrona, si sollevava dai cuscini, deponeva la sigaretta, cominciava il rito. La stagione era già avanzata per quella bevanda calda e tutti, dopo averla sorbita, si sentivano salire le fiamme al viso, alla testa. – Il tè disseta, il tè rinfresca – diceva lei – io non prendo che tè –. E gli altri sorridevano, volentieri bevevano. C’era nel gruppo un pastore anglicano, biondo, roseo, con gli occhiali spessi sugli occhi miopi. Passeggiava sopra coperta leggendo la Bibbia, poi s’arrestava, appoggiava un fianco al bordo e segnando con un dito la pagina interrotta chiudeva il libro, restava a pensare. Era affabile, quasi galante: Emanuela fu felice di conoscerlo: «Se ne parla tanto di questi pastori presbiteriani adesso, sono cosí alla moda, non si può aprire un romanzo inglese senza trovarne uno». E s’attendeva sempre che egli compisse qualcosa di straordinariamente crudele con occhio limpido come si conveniva al perso-

Letteratura italiana Einaudi

402

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

naggio. Ma invece lui si contentava di passeggiare verso sera, la Bibbia tra le mani; un pastore per bene. Emanuela apprezzava al giusto valore il privilegio di trovarsi nel gruppo di lady Royl, ne era quasi intimorita anzi, ciò la rialzava ai suoi stessi occhi. Non si divertí molto, sul principio, ma notava che quando loro stavano tutti insieme, gli altri passeggeri li guardavano con ammirata invidia e come se essi soltanto gioissero d’un vero divertimento. E cosí lei stessa se ne convinse. Lady Armilda Royl, che viaggiava con un passaporto inglese, parlava italiano, francese, tedesco, qualche volta anche inglese. Compariva sul ponte solo pochi minuti prima della colazione che prendeva alla tavola del comandante: i suoi vestiti erano sempre accurati e fruscianti, vestiti pomposi, Emanuela appena la vide pensò: «È una donna affascinante». E avrebbe voluto assomigliarle, muoversi come lei, parlare con quel tono indolente e disinvolto. Invece lei i primi due giorni non seppe uscire dalla vita familiare che faceva con la bambina, passeggiava per il ponte tenendola per mano. Non conosco nessuno perché ho la bambina, pensava, tutti hanno paura del chiasso, sono fastidiosi i bambini, nessuno s’accosta a chi ha bambini. Invece proprio a causa di Stefania conobbe lady Armilda Royl. Fu lei a parlarle, le chiese: – È sua quella bambina singolare? Le ho offerto una caramella e lei facendomi un inchino cortesissimo mi ha risposto: «Noi non ci conosciamo, signora» –. Ricordando l’episodio, lady Royl rideva e il viso già un po’ sfiorito si ringiovaniva di quel riso. Cosí, una parola dopo l’altra, lady Royl non smetteva di guardare Emanuela negli occhi, poi la prese sottobraccio e con lei cominciò a camminare sul ponte con quell’aria di protezione che aveva per tutti, e certo, intanto, pensava che Emanuela vestiva con molta eleganza, vestiti di buon gusto, vestiti cari. La presentò al gruppo. – È la madre di quella bambina.

Letteratura italiana Einaudi

403

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Sybil le fece subito posto accanto a lei, sul divano a dondolo; e ricominciando a dondolarsi le sorrise. Una ragazza americana di madre scozzese: aveva i capelli rossi, gli occhi verdi e la pelle bianca imperfetta. Dopo pochi minuti che la si conosceva raccontava che una volta le era stato detto ch’era di tipo italiano, un tipo del Tiziano. E rideva, un bel sorriso tondo, pieno di denti. Sconcertante, ma attraentissima. – Ho diciannove anni, ma a dodici avevo già bevuto il mio primo whisky – diceva. Di fronte a lei Emanuela rimase intimidita; i due fratelli inglesi che sempre accompagnavano Sybil e lady Armilda, erano cortesissimi, ma parlavano poco, non ridevano affatto. Il maggiore di questi, mani ossute, rosee alle giunture, diceva seriamente barzellette, difficili giochi di parole; ma non era mai il primo a riderne. Un pianista polacco che era nel gruppo e non parlava bene l’inglese, sorrideva scioccamente mentre gli altri si divertivano. Emanuela parlava bene inglese, francese, tedesco: piacque. – Una creatura adorabile – disse sottovoce lady Royl al vecchio principe. Un vecchio principe che viaggiava con una dama di compagnia, un’antica infermiera; viaggiava tutto l’anno; scendeva da un piroscafo e dopo pochi giorni partiva con un altro, sempre in mare viaggiava. Era colto, amava la conversazione; mentre parlava traeva dalla tasca un fogliettino di carta bianca liscia e cominciava a piegarlo e ripiegarlo fino a formarne una barchettina: appena l’aveva formata, interrompeva il discorso, la guardava un attimo, e la posava lí vicino, dove poteva, sul tavolo, per terra. Certe volte accanto a lui si aggruppava una flotta di barchettine candide, perfette. L’infermiera non aveva altro compito che andare dietro di lui, raccogliere le barchette, preparargli foglietti di lucida carta bianca, tagliati tutti uguali, precisi.

Letteratura italiana Einaudi

404

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

A sera si riunivano in una saletta, s’appartavano, non volevano mescolarsi agli altri passeggeri, spesso il polacco apriva il grande piano a coda, spegneva la luce, e suonava; nella penombra si vedevano appena biancheggiare le perle di lady Royl, le barchette che il vecchio metteva sul nero lucido del pianoforte. La ragazza americana non amava la musica, pure ascoltava mansueta, fumando, vuotando il bicchiere di whisky. Emanuela invece ascoltava a occhi chiusi, beata, e intanto pensava a certe parole di lady Royl: «Creda, mia cara, nessuna cosa vale piú di viaggiare, conoscere, vedere gente di altri paesi, di altre abitudini. In Egitto le presenterò un mio grande amico, egiziano, che vive a pochi chilometri dal Cairo, in una casa fastosa e bizzarra. Un tipo che s’innamora di tutte le donne, s’innamorerà anche di lei». E lei aspettava tutto questo e pensava che sí, lady Armilda aveva ragione, bisognava uscire dalla vita monotona che aveva condotto fino allora, aveva abbastanza danaro per fare ciò che voleva, i suoi non avevano saputo goderselo, era giusto che se lo godesse lei. E solo questo ambiente valeva la pena di essere conosciuto. Nessuno si domandava nulla, da dove si veniva, dove si sarebbe andati una volta scesi dai piroscafo. Chi sa perché tutti facevano quel viaggio, chi era lady Royl e perché la ragazza americana a diciannove anni viaggiasse sola bevendo ogni sera cosí, e per qual ragione il pastore se ne stava cinque mesi lontano dalle sue pecore, a fare il giro del mondo. Nessuno chiedeva nulla. Pensava che invece avrebbe potuto invecchiare nella vita borghese di Andrea, del padre, della madre, negozianti borghesi, felici, appagati solo perché avevano la corona reale sulla porta. – Tre generazioni di gioiellieri – sempre ripeteva il padre: ricordando questo, Emanuela ne aveva il solletico al naso per il ridere. Se non avesse avuto la bambina a quest’ora sarebbe la moglie di Andrea, provava un brivido per la schiena, adesso, a quest’idea.

Letteratura italiana Einaudi

405

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

Adorabile Stefania, non s’era mai accorta, la madre, di come in realtà quella bambina fosse bella, fosse intelligente, lo dicevano tutti che era una bambina interessantissima. Neppure di quello che valeva lei stessa s’era resa conto, finora. Che era molto colta, molto colta. Al collegio le pareva di essere sempre l’ultima, la trattavano con aria di compassione: era per umiliarla, per soffocarla, adesso lo capiva, avevano paura di lei. Qui era sempre piú colta delle altre; col vecchio principe parlavano spesso di pittura, e lei poteva dire tutte quelle belle cose che sapeva sul Correggio, che era il pittore che preferiva, e quegli aneddoti. Si capiva che al vecchio, il quale era modenese, tutto ciò faceva piacere. E infine ciò che valeva era d’essere arrivata a vivere secondo i propri desideri, il proprio carattere, lo diceva sempre anche Silvia. Silvia aveva tanti difetti, si lavava poco, non era una donna, ma ogni tanto diceva qualche cosa giusta. Finito il notturno il pianista sull’ultima nota reclinava la testa sul petto e restava cosí, le mani sulla tastiera. Biancheggiavano sul pianoforte le barchettine candide, tutte uguali, perfette. Ha ecceduto, sí – ammise lady Royl, dopo lo scalo a Istanbul – ma sono cosí le americane, prendere o lasciare –. E la prendeva perché era figlia di certe miniere di rame importantissime. Sybil a Istanbul s’era ubriacata. Erano scese, lady Armilda, Sybil e lei, insieme ai due ragazzi inglesi e al polacco. Sybil scolava un bicchiere dopo l’altro, e intanto s’impinzava di stucchevoli dolci turchi, polverosi. Sembrava resistere benissimo, fu di colpo che si rivelò ubriaca. Si mise a cantare con l’orchestra e il suo volto già aveva una sorridente incoscienza. Cantò poi per le strade, sul ponte, nella lancia che li riconduceva a bordo. Emanuela non aveva mai visto una donna ubriaca, quei gesti molli, svagati, e l’occhio fermo in un’espressione di

Letteratura italiana Einaudi

406

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

animale beatitudine. Sul principio ne fu disgustata, ma dopo, vedendo che gli altri ne ridevano divertiti, rise anche lei; tutti raccontarono di qualche volta che s’erano ubriacati e lei cercò di cambiare il discorso per non confessare di non averlo fatto mai. La questione è, pensava, che dopo il secondo bicchierino io proprio non ho piú voglia di bere. – Ha ecceduto, sí, ma era molto divertente. Gli americani – continuava lady Royl – bevono troppo perché non sanno contenersi, non hanno l’esatta misura, come i bambini che mangiano troppi dolci e poi hanno l’indigestione. Sono giovani gli americani: Sybil è una bambina. Passeggiavano sul ponte, lady Armilda le si appoggiava marcando non si capiva se la sua età o il suo diritto. Emanuela sentiva sul suo braccio il braccio di lady Royl, pelle liscia, molto liscia, non piú giovane. Le perle davano iridescenze al biancore delle sue mani. Odorava di limone, freschissima: Emanuela era proprio contenta d’essere con lei a passeggiare sottobraccio sul ponte. L’ascoltava attenta, quando venne a raggiungerla Stefania. – Che cosa c’è, cara? Emanuela le parlava sempre con tono sdolcinato e distante, carico di tenerezza e di noia. – Sono inquieta. – Che c’è, tesoro? – Mademoiselle dice che non posso avere ancora un gelato. Emanuela sorrise ampiamente. Sorrideva cosí da quando era sulla nave, un sorriso che le stava benissimo. «Anni ci vogliono», diceva lady Royl, «prima di conoscere quello che ci sta bene; si conosce certe volte proprio quando si sta sul punto di perderlo. Anche il saper fare e dire le cose bene è, come il ben vestire, questione di esperienza». – Ma sí, certo, tesoro, puoi averlo, amore, il gelato –. Diceva queste parole con strascicata dolcezza, per far

Letteratura italiana Einaudi

407

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

notare che faceva qualunque cosa per la bambina, niente conta per lei piú di sua figlia, che bambina fortunata, dieci, venti gelati, e i biscotti. Quindi, come stanca di questo sforzo, si volse di nuovo a lady Armilda, e la bambina scappò via di corsa pensando che bisognava sempre domandare qualche cosa alla mamma quando c’è gente. Lady Royl riprendeva: – Vede i due fratelli, invece? Non sanno divertirsi, ognuno di loro specchia ogni giorno la propria noia sul volto dell’altro. Hanno un castello vicino al mio, in Inghilterra. Ci venga, quando saremo sbarcati – e le prendeva la mano per invogliarla – sí, mia cara, ci venga. Le presenterò i miei amici. Organizzeremo una caccia, va a cavallo, lei? oh, benissimo allora: una caccia. Io vado in Inghilterra per riposarmi. Viaggiare in fondo mi affatica, ma è la sola cosa che mi piaccia, vado in Inghilterra a fare penitenza. E allora leggo, in nessun paese si legge bene come in Inghilterra, sto sdraiata in poltrona su uno di quei prati verdi, quei prati che ci sono soltanto là. Conosce la storia? Si dice che un americano chiedesse a un inglese che sistema usassero in Gran Bretagna per ottenere quei prati verdi morbidi perfetti. È semplicissimo, rispose l’inglese, si semina e poi si taglia, l’erba cresce, si taglia di nuovo. Ma tutto ciò per sette secoli di seguito. Molto inglese la risposta, no? – E lady Armilda rise. – E però dà esattamente la sensazione della differenza che passa tra i due paesi. Razza vecchia, gli inglesi, esausta, amano le cose serie e taciturne, le cose da vecchi: leggono, giocano al golf. Mentre fanno tutto questo pensano, però –. Volubilmente cambiando discorso lady Armilda disse: – Vorrei fare un bridge, stasera. Uno dei due fratelli gioca abbastanza bene ma, naturalmente, senza fantasia. Lei, io... e si potrebbe dire a quell’ufficiale, come si chiama?, Venier, deve essere dei Venier di Venezia, è simpatico, è un signore, ormai è tanto difficile trovare in

Letteratura italiana Einaudi

408

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

marina persone cosí. Sí; lo diremo a Venier, le fa la corte, no? Mi pare. Un piccolo bridge soltanto, stasera, aveva detto lady Armilda: – Bisogna andare qualche volta a letto presto, fa bene, dopodomani saremo ad Alessandria; e da lí si va al Cairo. Il mio amico egiziano sa che arriviamo, chi sa che accoglienza ci preparerà. Io sono sempre di buon umore quando sbarco in Egitto. Sybil stava al bar bevendo coi due studenti americani, cosí ogni notte, fino all’alba; molto divertente, Sybil; e loro giocavano in un salottino raccolto, una lampada sul tavolo. Ogni poco qualcuno dei passeggeri apriva la porta per vedere che si faceva là dentro. Presso l’oblò, chiacchierando con l’altro fratello inglese e il pastore, stava appoggiato il vecchio principe; parlavano di politica, calmi, con grandi parentesi di silenzio nelle quali il vecchio tirava fuori il foglietto di carta, e cominciava a ripiegarlo mentre alzava gli occhi al soffitto, scrollava la testa con aria dubbiosa; eh sí, non c’è che fare, il mondo va in rovina. Arrivavano ai quattro giocatori brani della loro conversazione: – E la Cina? Che farà la vecchia Cina? – L’inglese tirava boccate di fumo dolciastro dalla pipa e il vecchio, imbarazzato dalla barchetta che aveva nelle mani, finiva per gettarla dall’oblò, sul lucido mare. Poi, liberato, guardava in faccia il pastore, quasi per attendere da lui la spiegazione, apriva le braccia: – Che può fare la Cina? – I giocatori parlavano soltanto alla fine di ogni partita, poi avevano grandi pause di silenzio, appena le parole necessarie al gioco, giocavano seriamente. Emanuela che sedeva di fronte a Venier guardandolo ripensava a ciò che lady Royl le aveva detto: «Le fa la corte, Venier». E lei s’era schermita. Non le faceva la corte, davvero. Le aveva detto soltanto: – Ha fatto male a scendere a Istanbul con gli altri. Perché non è scesa con me? Io le avrei

Letteratura italiana Einaudi

409

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

mostrato Istanbul mia, cioè una Istanbul che non può rassomigliare a quella di nessun altro. Ognuno ha un suo modo di guardare una città, di interpretarla, di decifrarla, direi. A taluno poi certe città si negano addirittura: rimangono per lui mute, segrete, inviolabili. Una volta condussi per Napoli un mio amico francese; gli feci vedere Napoli con i miei occhi. Vi tornò da solo qualche tempo dopo: e quando lo rividi, mi disse che la città gli era parsa un’altra. È naturale: l’aveva guardata coi suoi occhi. Credo che lei farebbe bene a scendere con me in Egitto: anche il mio Egitto avrebbe questa volta un’anima nuova. Era caldo; i silenzi ronzavano del respiro vorticoso del ventilatore che smuoveva aria calda, infastidendo senza recare refrigerio. – Si sente che è vicino l’Egitto – disse lady Armilda – è caldo: un caldo diverso, afoso. – Un caldo umido – corresse Venier. – Tre mani, centocinquanta punti sotto – segnava lady Royl: – le carte sono a lei, Venier –. E poi, non tenendosi piú, gli chiese volubilmente: – Dei Venier di Venezia, vero? Egli dando le carte, uno, due, tre, quattro, annuí con un cenno della testa: – Sí – uno due tre quattro – sí, la mia famiglia è di Venezia; ma io, tanti anni che viaggio e non so piú quale sia il mio vero paese. Si esce di casa a sedici anni, l’Accademia, e da allora finita la casa, finita la famiglia. Dopo tanti viaggi si finisce per non appartenere piú a nessun paese, né a quello dal quale partiamo, né a quello al quale arriviamo. In fondo – uno due tre quattro – la nostra vera patria è il ponte. Aveva finito di dare le carte, sollevava le sue, le apriva. Lady Armilda continuava a lagnarsi del caldo, che sete, si versava selz nel whisky. Emanuela ricordava che Silvia sempre diceva non so che del ponte. E Venier riprese:

Letteratura italiana Einaudi

410

Alba De Cèspedes - Nessuno torna indietro

– C’è ogni volta l’entusiasmo di partire, di ricominciare. Tanti anni che viaggio e ogni volta, quando odo la sirena, lo credereste? mi batte il cuore. – Anche a lei? – chiese. Emanuela, sorpresa. – Anche a me; ogni volta è come se partissi per la prima volta, anzi m’illudo che sia veramente la prima. E questo è forse l’essenziale. – E al ritorno? – fece ancora Emanuela. – Già, ecco: ad ogni ritorno sento di avere un viaggio di piú sulle spalle, e che gli anni passano. Lady Armilda, finito di bere, accese la sigaretta, prese le carte e gli altri la imitarono. – Due cuori. – Due picche. Calmamente il vecchio principe seguitava a far scivolare barchette dall’oblò; e poi avvicinava la testa all’apertura, quasi per seguirle nel viaggio. Dense volute di fumo partivano dalla pipa dell’inglese, si sfacevano mollemente. Il pastore guardava il mare che pareva un cupo smalto. E tacevano. Dice bene lady Armilda: bisogna riposarsi ogni tanto, non ci si può divertire sempre, ma è divertente anche stare qui a giocare, il bicchiere del cognac vicino. Cognac con selz. A forza di berlo, a poco a poco, piace. – Quattro picche. – Contre. – Sta bene. È Venier che gioca: dei Venier di Venezia, quelli del Doge. Ha ragione lady Royl: è difficile trovare un ufficiale cosí. – Si giocano quattro picche, allora.

Letteratura italiana Einaudi

411

View more...

Comments

Copyright ©2017 KUPDF Inc.
SUPPORT KUPDF