AGAMBEN Giorgio - Archeologia Dell'Opera
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AGAMBEN Giorgio - Archeologia Dell'Opera...
Description
Università della Svizzera italiana ccademia di architettura stituto di storia e teoria dell'ae e dell'architettura
Giorgio Agamben chl dll'p CATTEDRA BORROMINI 2012-2013
endrisio cademy Press
Con isttuzone della Catedra Borromn, un nsegnamento annuale d alto lvello nel campo degl stud stud umanstc - che s assegna a ntervall d due due ann a partre dall'anno accademco 20 12-20 13 - l'Unve l'Unverstà rstà della Svzze Svzzera ra talana, talana, I!ccade I!ccade ma d archtettura e l suo Isttuto d stora e teora dell'are e dell'archteura /SA) ntendono sotolneare l propro mpegno a favore delle scenze umane ntese n senso ampo e a sostegno del ruolo ntegrante che esse hanno svolto e contnua no a svolgere nella creazone arstca e archtetonca. Christoph Fank
Giorgo Agamben fi fillosofo osofo,, s laurea nel 1965 all'Unvesà d Roma con una es
s pensero potico d Smone Wel Negl ann Sessanta a Roma feqena nten samene Elsa Morane, Per Paoo Pasoln lngeborg Bachmann e paecipa a se mnai d ain Heidegger a Le Thor Neg anni Setanta siede a Paigi dove com pe sud d lngsca e d cla med evae evae,, srnge amcza con P ee Klossows e lalo Cavno. Nel 974-1975 svolge lavor d rcerca ala Bb bllota ota de Wabug lnsute d ondra e pepara l bro Stanze La parla e l antasma nella cultura oc cdentale (Torino 977 ornao n Ital dal 1978 dige pe Einaud ledzione delle mpot an manoscr Dal 986 Opere complete d Water Benjamn d c itova mpota al 1993 è Dreceur de pogramme al Coège lnernaonal de Phi losophe d Parig nsegna Eseca alUnversià d Macerata e allUnvesà d Veona e dal 2003 al 2009 è ordnaro aa Facoltà d A e Desgn dellUnversà UAV d Venez A patre dagl anni Novana lavora sla loso losoa a polca ed elabora na eora de apporo fa drto e vta e una crica del conceto di sovranà ( Homo sacer l Il potere sovrano e la nuova vta Toino 995, segio da Homo sacer Il Stato d ecce zone Torno 2003. È proessore honors causa delle Unversà d d F Fborgo Buenos Ares e Ro de la Pata e Albes-Magns-Proessur dell'Un ves vesà d Colon
.
Con isttuzone della Catedra Borromn, un nsegnamento annuale d alto lvello nel campo degl stud stud umanstc - che s assegna a ntervall d due due ann a partre dall'anno accademco 20 12-20 13 - l'Unve l'Unverstà rstà della Svzze Svzzera ra talana, talana, I!ccade I!ccade ma d archtettura e l suo Isttuto d stora e teora dell'are e dell'archteura /SA) ntendono sotolneare l propro mpegno a favore delle scenze umane ntese n senso ampo e a sostegno del ruolo ntegrante che esse hanno svolto e contnua no a svolgere nella creazone arstca e archtetonca. Christoph Fank
Giorgo Agamben fi fillosofo osofo,, s laurea nel 1965 all'Unvesà d Roma con una es
s pensero potico d Smone Wel Negl ann Sessanta a Roma feqena nten samene Elsa Morane, Per Paoo Pasoln lngeborg Bachmann e paecipa a se mnai d ain Heidegger a Le Thor Neg anni Setanta siede a Paigi dove com pe sud d lngsca e d cla med evae evae,, srnge amcza con P ee Klossows e lalo Cavno. Nel 974-1975 svolge lavor d rcerca ala Bb bllota ota de Wabug lnsute d ondra e pepara l bro Stanze La parla e l antasma nella cultura oc cdentale (Torino 977 ornao n Ital dal 1978 dige pe Einaud ledzione delle mpot an manoscr Dal 986 Opere complete d Water Benjamn d c itova mpota al 1993 è Dreceur de pogramme al Coège lnernaonal de Phi losophe d Parig nsegna Eseca alUnversià d Macerata e allUnvesà d Veona e dal 2003 al 2009 è ordnaro aa Facoltà d A e Desgn dellUnversà UAV d Venez A patre dagl anni Novana lavora sla loso losoa a polca ed elabora na eora de apporo fa drto e vta e una crica del conceto di sovranà ( Homo sacer l Il potere sovrano e la nuova vta Toino 995, segio da Homo sacer Il Stato d ecce zone Torno 2003. È proessore honors causa delle Unversà d d F Fborgo Buenos Ares e Ro de la Pata e Albes-Magns-Proessur dell'Un ves vesà d Colon
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CATTEDRA BORROMINI 2012-2013
Università della Svizzera italiana Accademia di arhitettra Itituto toria e teoria de'ate e del del archtettura Cattedra Borromin
Giorgio Agamben Archeologia dell'opera
Direttore della cllana Chtph Fk Crdamento generale D T Cratela B tt
Coordinamento editoriale T: Ct Redaione Gb N Grafca e impaginazone ltt
Edzione fuor comeco e a tiaua lmiata.
© 2013 Acadia i aha, Mnisio Univeà della Sviea iaiaa
Mendriiso Academy Press Mendr
«Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire.» Martin Heideger
Una voa Aber Aber Einsein, ne coneso di una a amosa mosa poemica con Nies Bohr e a sua meccanica quanisica, ha aermao di non credere «che Dio giochi a dadi»: agi occhi de ceebre auore dea eoria dea rea reaivià, ivià, 'universo appariva inai come un' archie ura ordinaa, defnia secondo "sii e eggi precise, quasi osse un ibro scrio «in ingua maemaica» maemaica» ( per usare un' immagine di Gaieo Gaiei) e composo da un sapiene demiurgo (per usarne una paonica). Sebbene e sperimenazioni successive abbiano sosanziamene dao ragione a Nies Bohr (che a coega avrebbe causticamene repicao: «non dire a Dio come deve giocare»), dimosrando che a reaà subaomica è caraerizzaa caraerizzaa daa casuaià, come fsico po sso comprendere i ascino subìo da Aber Einsein davani ala beezza dea maeria, dee sue orme, dee sue sruure: da gioco dei voumi in un crisao ae "voe di un campo magnico, dai "p aazzi disegnai dai egami ra aomi in moecoe compesse fno a cosmo con con e sue " vie, i suoi " quarier quarieri i in espansione, a sua enropia e i suoi miseri miseri di " cià infnia, scoprire quano aascinan aascinan
«Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire.» Martin Heideger
Una voa Aber Aber Einsein, ne coneso di una a amosa mosa poemica con Nies Bohr e a sua meccanica quanisica, ha aermao di non credere «che Dio giochi a dadi»: agi occhi de ceebre auore dea eoria dea rea reaivià, ivià, 'universo appariva inai come un' archie ura ordinaa, defnia secondo "sii e eggi precise, quasi osse un ibro scrio «in ingua maemaica» maemaica» ( per usare un' immagine di Gaieo Gaiei) e composo da un sapiene demiurgo (per usarne una paonica). Sebbene e sperimenazioni successive abbiano sosanziamene dao ragione a Nies Bohr (che a coega avrebbe causticamene repicao: «non dire a Dio come deve giocare»), dimosrando che a reaà subaomica è caraerizzaa caraerizzaa daa casuaià, come fsico po sso comprendere i ascino subìo da Aber Einsein davani ala beezza dea maeria, dee sue orme, dee sue sruure: da gioco dei voumi in un crisao ae "voe di un campo magnico, dai "p aazzi disegnai dai egami ra aomi in moecoe compesse fno a cosmo con con e sue " vie, i suoi " quarier quarieri i in espansione, a sua enropia e i suoi miseri miseri di " cià infnia, scoprire quano aascinan aascinan
te possa essee la c osa più semplice o quella più immensa conduce a domande che ano olte la scienza e chiamano in causa 'uomo (non è un caso ce Einstein osse inteessato aa flosofa e in pa ticolae a Spinoza. Ance l'achiteta, come la fsica, sa suggeie questo "ote: e ome, gli spazi e e oze ce modellano una stuttua o una città potano impessa imponta dell'umano, e mui, pasti, vote e vo lute si tasomao in un discoso sul nosto appoto con la natua e con i ceae, sue noste sfde ala gavità e aa tempoità, sulla nosta iceca de belezza. achitetto, dunue, non può imitasi ad essee un bavo tecnico, ma deve essere anche espeto di "cose umane: è popio pe questo ce l'Accdemia di achitettua de'Univesità dea Svizzea itaiana icosce da sempe ae scienze umane (daa stoia e teoia de'ate a fosofa, da'antopologia al'economia umana, dala geogafa uana ala cutua de teitoio) un uolo onda mentae nel poceso omativo, adopeandosi pe pomuovene a disione e a creita. La Catteda Bomini, un insegnamento di alto liveo ne campo degli studi umansici ce si as segna ogni due anni, appesenta un consoidamento di tae impegno e uno svuppo de caattee ua
nistico del'Accademia, confguandosi quale uteioe "mattone di una visione dell'achitettua che la vu ole distante da'essee (e da consideasi) niente più ce una tecnica. Istituita ne'anno accademico 20122013 al'inteo delle attività del nuovo Istituto di stoia e teoia de'ate e de'acitettua (ISA) , la Catteda Boomini è intitolata al celebe Fancesco, uno dei po tagonisti del Baocco. Oiginaio di Bissone, le conache accont ano che da intagliatoe di piete sia divenuto achitetto dopo ess esi "innamoato dele ome concepite da Michelangeo Buonaoti a San Pieto. l suo è dunque un pecoso atistico ed esistenziale che va olte gi aspetti tecnici de'acitettua pe diventae in qualce modo discoso osofco ntono a'umano. Tovo dunque paticolamente appopiato ch e a inauguae la Catteda dedicata a Fancesco Boo mini sia stato un losoo e un flosoo d'eccezione, Giogio Agamben, ce a saputo accompagnaci in un suggestivo cao dento l'opea de'uomo, aa iceca di quea capacità di leggea e abitaa ce è pesupposto pe costuia. Piero Martin oli
Pesidente Univesità dea Svzzea itaiana
te possa essee la c osa più semplice o quella più immensa conduce a domande che ano olte la scienza e chiamano in causa 'uomo (non è un caso ce Einstein osse inteessato aa flosofa e in pa ticolae a Spinoza. Ance l'achiteta, come la fsica, sa suggeie questo "ote: e ome, gli spazi e e oze ce modellano una stuttua o una città potano impessa imponta dell'umano, e mui, pasti, vote e vo lute si tasomao in un discoso sul nosto appoto con la natua e con i ceae, sue noste sfde ala gavità e aa tempoità, sulla nosta iceca de belezza. achitetto, dunue, non può imitasi ad essee un bavo tecnico, ma deve essere anche espeto di "cose umane: è popio pe questo ce l'Accdemia di achitettua de'Univesità dea Svizzea itaiana icosce da sempe ae scienze umane (daa stoia e teoia de'ate a fosofa, da'antopologia al'economia umana, dala geogafa uana ala cutua de teitoio) un uolo onda mentae nel poceso omativo, adopeandosi pe pomuovene a disione e a creita. La Catteda Bomini, un insegnamento di alto liveo ne campo degli studi umansici ce si as segna ogni due anni, appesenta un consoidamento di tae impegno e uno svuppo de caattee ua
nistico del'Accademia, confguandosi quale uteioe "mattone di una visione dell'achitettua che la vu ole distante da'essee (e da consideasi) niente più ce una tecnica. Istituita ne'anno accademico 20122013 al'inteo delle attività del nuovo Istituto di stoia e teoia de'ate e de'acitettua (ISA) , la Catteda Boomini è intitolata al celebe Fancesco, uno dei po tagonisti del Baocco. Oiginaio di Bissone, le conache accont ano che da intagliatoe di piete sia divenuto achitetto dopo ess esi "innamoato dele ome concepite da Michelangeo Buonaoti a San Pieto. l suo è dunque un pecoso atistico ed esistenziale che va olte gi aspetti tecnici de'acitettua pe diventae in qualce modo discoso osofco ntono a'umano. Tovo dunque paticolamente appopiato ch e a inauguae la Catteda dedicata a Fancesco Boo mini sia stato un losoo e un flosoo d'eccezione, Giogio Agamben, ce a saputo accompagnaci in un suggestivo cao dento l'opea de'uomo, aa iceca di quea capacità di leggea e abitaa ce è pesupposto pe costuia. Piero Martin oli
Pesidente Univesità dea Svzzea itaiana
Una elce concdenza ha voluto che, poco dopo la ondazone nel 20 1 1 dell'Isttuto d stora e teoria dell'arte e dell'archtettura pres so l'Accadema d archtettura con sede a Mendrso, un gesto d mecenatsmo llumnato permettesse al nostro isttuto d creare la Cattedra Borromn, e questo n una localtà a poch pass dal borgo dove nacque colu che molt rtengono geno archtettonico per eccellenza della sua epoca È dunque con proonda riconoscenza che va elogata l'eccezonale generostà de'anonmo donatore che ha permesso all'Accadema e all'Unverstà della Svzzera talana d mbarcars n questa ambzosa avventura Un'altra elce concdenza ha po voluto che flosoo talano Giorgio Agamben potesse accettare nostro nvto a rcoprre la cattedra naugurale nell'anno accademco 201213. E ch altr se non Agamben, uno de pù autorevoli pensatori e critc del nostro tempo, avrebbe potuto aprre le attvtà della cattedra arontando la grande questone Archeologia dell'opera? Una questone centrale non solo per no tutt e per quant s cmentano ne ca mp dea creatvtà, ma rlevante n partcolare per nostr student I semnar e le conerenze d Agamben rimarranno ndmenticabl per quant v hanno assstito Ma per coloro che non hanno potuto partecpare dal vivo all'llumnante eserczo ntellettuale
Una elce concdenza ha voluto che, poco dopo la ondazone nel 20 1 1 dell'Isttuto d stora e teoria dell'arte e dell'archtettura pres so l'Accadema d archtettura con sede a Mendrso, un gesto d mecenatsmo llumnato permettesse al nostro isttuto d creare la Cattedra Borromn, e questo n una localtà a poch pass dal borgo dove nacque colu che molt rtengono geno archtettonico per eccellenza della sua epoca È dunque con proonda riconoscenza che va elogata l'eccezonale generostà de'anonmo donatore che ha permesso all'Accadema e all'Unverstà della Svzzera talana d mbarcars n questa ambzosa avventura Un'altra elce concdenza ha po voluto che flosoo talano Giorgio Agamben potesse accettare nostro nvto a rcoprre la cattedra naugurale nell'anno accademco 201213. E ch altr se non Agamben, uno de pù autorevoli pensatori e critc del nostro tempo, avrebbe potuto aprre le attvtà della cattedra arontando la grande questone Archeologia dell'opera? Una questone centrale non solo per no tutt e per quant s cmentano ne ca mp dea creatvtà, ma rlevante n partcolare per nostr student I semnar e le conerenze d Agamben rimarranno ndmenticabl per quant v hanno assstito Ma per coloro che non hanno potuto partecpare dal vivo all'llumnante eserczo ntellettuale
di un gand floso docn, abbiamo dciso di accoglin l connz n qelo ch appsn a il pimo libo di una sei ch la Cada Boomini alimnà ni possimi anni. Un isiuo p a sia la oia dll'a dl'achiua com qullo nao n coso d una impoan scuola di achiua com la nosa di ndisio, psna caai ch lo disinguono da isiui simi, ti nll'ambio adizional di acoà di L flosofa o da poi di icca xaaccadmici. n noso uoo è in qualch mo più aicolao, il noso dialogo più dicil ch in consi seamn scinifci. Ma a nosa sponsabilià vso l u gneazioni iman nondimno inalaa. Com soici dll'a dll'achiua, ppsnani di una disciplina ch n'ulimo scolo a viso moli cambiamni nl'inpazion dl passao, abbiao conmao il noso inss ciico p lo sudio dl op lla bllzza, ch pò sbbo incompn sibil s insim non sudiassimo anch i podoi dlla buzza psino auni oo snza pcdni da soia. Fdo Dosovskij Iidiota a ponuncia a uno di poagonisi d omanzo uamazion ch a noi smba non av pso nulla dla sua prinnza: «Signoi, il pincip sosin ch saà la bzza a savae i mondo! Ma io dico ch adsso gi vngono
in mn qusi allgi pnsii pché è innamoao». È in quso snso ch l oz dll'Accadmia di achiua sanno ccando di lavoa insim p miglioa i consi in cui viviamo gli ambii con cui collaboiamo. I nosi ingaziamni di cuo vanno innanzi uo al'anonimo donao, mn com sponsabil di qusa si di pubbli cazioni è con gand piac ch vogio ingazia in odin alabico Coado Bologna, aio Boa, Anda C avalli, Maco Dlla To, Pio Mainoli, Buno Pdi, Vga Tscai Anoin Tun p il loo incssan sosgno afdabil sup poo , gaanio anch dai moli ali ch lavoano dio quin d'Accadmia. «Il caa è il dsino», dic il flosoo gco. Il mio psonal ingaziamno a Giogio Agambn non ha co bisogno di n asi. Christoph Frank Dio Isiuo di soia oia dll'a dll'achiua Accadmia di achiua Univsià dlla Svizza ialiana
di un gand floso docn, abbiamo dciso di accoglin l connz n qelo ch appsn a il pimo libo di una sei ch la Cada Boomini alimnà ni possimi anni. Un isiuo p a sia la oia dll'a dl'achiua com qullo nao n coso d una impoan scuola di achiua com la nosa di ndisio, psna caai ch lo disinguono da isiui simi, ti nll'ambio adizional di acoà di L flosofa o da poi di icca xaaccadmici. n noso uoo è in qualch mo più aicolao, il noso dialogo più dicil ch in consi seamn scinifci. Ma a nosa sponsabilià vso l u gneazioni iman nondimno inalaa. Com soici dll'a dll'achiua, ppsnani di una disciplina ch n'ulimo scolo a viso moli cambiamni nl'inpazion dl passao, abbiao conmao il noso inss ciico p lo sudio dl op lla bllzza, ch pò sbbo incompn sibil s insim non sudiassimo anch i podoi dlla buzza psino auni oo snza pcdni da soia. Fdo Dosovskij Iidiota a ponuncia a uno di poagonisi d omanzo uamazion ch a noi smba non av pso nulla dla sua prinnza: «Signoi, il pincip sosin ch saà la bzza a savae i mondo! Ma io dico ch adsso gi vngono
in mn qusi allgi pnsii pché è innamoao». È in quso snso ch l oz dll'Accadmia di achiua sanno ccando di lavoa insim p miglioa i consi in cui viviamo gli ambii con cui collaboiamo. I nosi ingaziamni di cuo vanno innanzi uo al'anonimo donao, mn com sponsabil di qusa si di pubbli cazioni è con gand piac ch vogio ingazia in odin alabico Coado Bologna, aio Boa, Anda C avalli, Maco Dlla To, Pio Mainoli, Buno Pdi, Vga Tscai Anoin Tun p il loo incssan sosgno afdabil sup poo , gaanio anch dai moli ali ch lavoano dio quin d'Accadmia. «Il caa è il dsino», dic il flosoo gco. Il mio psonal ingaziamno a Giogio Agambn non ha co bisogno di n asi. Christoph Frank Dio Isiuo di soia oia dll'a dll'achiua Accadmia di achiua Univsià dlla Svizza ialiana
Sommario
15
Archeoogia de'opera d'arte
29
Che cos'è lato di creazione?
45
Linappropriabie
69
Che cosè un comando?
85
n
98
Nota bibliografca
capitaismo come reigione
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Sommario
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Archeoogia de'opera d'arte
29
Che cos'è lato di creazione?
45
Linappropriabie
69
Che cosè un comando?
85
n
98
Nota bibliografca
capitaismo come reigione
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Archeologia de'opera d'arte
Lidea che guda queste me rilessoni sul concetto di opera d'arte è che larcheooga è a soa va di accesso a presente. È in questo senso che va nteso il titolo Archeologia dell'opera darte. Come ha suggerito Mche Foucault, lndagine sul passato non è che l'ombra portata di un'nterrogazione rivolta al presente. È cercando d com prendere presente che gli uomni- ameno noi uomin europe - c trovamo costrett a interrogare passato Ho precsato "no europei perché mi sembra che ammesso che la parola "Europa abba un senso esso comè ogg evidente non può essere né polit co né regioso e tanto meno economco ma consste forse n que sto, che 'uomo europeo a derenza ad esempo degli asatci e deg amercani per qual la stora e i passato hanno un signicato competamente diverso- può accedere ala sua verità soo attraver so un conronto co passato solo acendo conti con a sua storia. Molti ann fa un osofo che era anche un alto unzionario dellEu ropa nascente Alexandre Kojève soseneva che homo sapiens era gunto aa ne dea sua storia e non aveva orma davanti a sé che due possbità: laccesso a unanimatà poststorica (incarnato dal american way o/ lze) o o snobsmo ncaato da gapponesi che continuavano a celebrare e loro cerionie de tè svuotate però da ogni sgnicato storico) Tra un'America integralmente ranaiz
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Archeologia de'opera d'arte
Lidea che guda queste me rilessoni sul concetto di opera d'arte è che larcheooga è a soa va di accesso a presente. È in questo senso che va nteso il titolo Archeologia dell'opera darte. Come ha suggerito Mche Foucault, lndagine sul passato non è che l'ombra portata di un'nterrogazione rivolta al presente. È cercando d com prendere presente che gli uomni- ameno noi uomin europe - c trovamo costrett a interrogare passato Ho precsato "no europei perché mi sembra che ammesso che la parola "Europa abba un senso esso comè ogg evidente non può essere né polit co né regioso e tanto meno economco ma consste forse n que sto, che 'uomo europeo a derenza ad esempo degli asatci e deg amercani per qual la stora e i passato hanno un signicato competamente diverso- può accedere ala sua verità soo attraver so un conronto co passato solo acendo conti con a sua storia. Molti ann fa un osofo che era anche un alto unzionario dellEu ropa nascente Alexandre Kojève soseneva che homo sapiens era gunto aa ne dea sua storia e non aveva orma davanti a sé che due possbità: laccesso a unanimatà poststorica (incarnato dal american way o/ lze) o o snobsmo ncaato da gapponesi che continuavano a celebrare e loro cerionie de tè svuotate però da ogni sgnicato storico) Tra un'America integralmente ranaiz
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mentae (sebbene non registrato come t�e nei anuai di osoa) potrà rendere comprensibie i processo che secondo i noto pa radigma psicoanalitico de rito o de rimosso i forme patoogiche ha portato a pratica artistica ad assumere que caratteri che 'arte cosiddetta contemporanea ha estremizzato in forme inconsapevo mente parodiche. ( arte contemporanea come rtorno in forme patoogice de rimosso "opera ) . Non è certo questo i uogo per tentare una siie geneaogia. Mi imito piuttosto a presentare quache riessioe su tre momenti che mi sembrano particoarmente signicativi. Occorrerà, per i primo, che vi spostiate nea recia cassica, grosso modo al tempo di Aristotee, cioè ne I secoo prima di Cristo. Qual è a situazione de'opera d 'arte e, più i generae, de' ope ra e del'artista in questo momento? Assai diversa da quea a cui siamo abituati. artista, come ogni atro artigiano, è cassicato fra i technitaz cioè fra coloro che, praticando una ecnica, producono cose. L a sua attività non è però mai presa in conto come tae, ma è sempre e sotanto consider ata da punto di vist de'opera pro dot ta. Ciò è testimoniato con evidenza da fatto, sorprendente per gi storici del diritto, che i contratto che egi stipua con i committente non menziona mai a quantità di avoro necessaria, ma soo l'opera che egi deve fornire. Per questo gi storici moderni sono soiti ripetere che i nostro co ncetto di avoro o di attivtà produttiva è de tutto sconosciuto ai Greci, che mancano pern di un termine per esso. Io credo che si dovrebbe dire, più precisamente, come vedremo, che essi non distinguono il avoro e 'attiità produttiva da ' opera, perché, ai oro occhi, 'attività produttva risiede ne'opera e non ne'artista che 'ha prodotta. Vi è un passo di Arstotee in cui tutto ciò è esresso con carez za. n passo si trova ne ibro theta dea Metafica che è dedicato a probema dea potenza (dynamis) e de'atto energeia). n termi
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ne energeia è un'invenzione di Aristotee i oso, come i poeti, hanno bisogno di creare dee parole e la terminoogia, è stato detto a ragione, è l'eemento poetico de pensiero ma, per un orecchio greco, esso è immediatamente inteligibile. "Opera, attività si di ce in greco ergon e 'aggettivo energos signica "attivo, operante: energeia signica allora che quacosa è "in opera, attività, ne senso che ha raggiunto i suo ne proprio, 'operazione a cui è de stinata. Cur iosamente, per denire 'opposizione fra potenza e atto, dynamis e energeia Aristotee si serve di un esempio tratto proprio daa sfera che noi deniremmo artistica: Hermes, egli dice, è in potenza ne egno non ancora scopito, è invece in opera nea statua scopita. opera d'arte appartiene, cioè, costitutivamente aa sfera de' energeia a quae, d'altra parte, rimanda ne suo stesso nome a un essereinopera. E qui comincia passo ( 050a 2 1 ) che m'interessa eggere insieme con voi. n ne, i telos egi scrive è l' ergon 'opera, e 'opera è energeia operazione e essereinopera: infatti i termine energeia deriva da ergon e tende perciò verso a compiutezza, ' entelecheia (un atro termine forgiato da Aristotee: i possedersi nel proprio ne) . Vi sono però dei casi in cui il ne utimo si esaurisce nel'uso , come nea vista (ops, a facotà di vedere) e nea visione ('atto de vedere, oras) in cui otre aa visione non si produce nu'atro; vi sono, invece, atri casi in cui si produce quacos'atro, come, ad esempio, da'arte di costruire (oikodomze) otre a'operazione de costruire (oikodomesis) si produce anche a casa . . . In questi casi, 'atto de costruire, ' ozodmesis risiede nea cosa costruita (en toi oikodomoumenoi) essa viene in essere (gignetaz; si genera) ed è insieme aa casa. In tutti i casi, cioè, in cui viene prodotto quacos'atro otre a'uso , l' energeia risiede nela cosa fatta (en toi poioumenoi) come l'atto de costruire è nea casa costruita e 'atto di tessere nel tessuto. Quando, invece, non vi è un atro ergon, un'altra opera otre a' energeù aora ' energeia 'essereinopera,
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mentae (sebbene non registrato come t�e nei anuai di osoa) potrà rendere comprensibie i processo che secondo i noto pa radigma psicoanalitico de rito o de rimosso i forme patoogiche ha portato a pratica artistica ad assumere que caratteri che 'arte cosiddetta contemporanea ha estremizzato in forme inconsapevo mente parodiche. ( arte contemporanea come rtorno in forme patoogice de rimosso "opera ) . Non è certo questo i uogo per tentare una siie geneaogia. Mi imito piuttosto a presentare quache riessioe su tre momenti che mi sembrano particoarmente signicativi. Occorrerà, per i primo, che vi spostiate nea recia cassica, grosso modo al tempo di Aristotee, cioè ne I secoo prima di Cristo. Qual è a situazione de'opera d 'arte e, più i generae, de' ope ra e del'artista in questo momento? Assai diversa da quea a cui siamo abituati. artista, come ogni atro artigiano, è cassicato fra i technitaz cioè fra coloro che, praticando una ecnica, producono cose. L a sua attività non è però mai presa in conto come tae, ma è sempre e sotanto consider ata da punto di vist de'opera pro dot ta. Ciò è testimoniato con evidenza da fatto, sorprendente per gi storici del diritto, che i contratto che egi stipua con i committente non menziona mai a quantità di avoro necessaria, ma soo l'opera che egi deve fornire. Per questo gi storici moderni sono soiti ripetere che i nostro co ncetto di avoro o di attivtà produttiva è de tutto sconosciuto ai Greci, che mancano pern di un termine per esso. Io credo che si dovrebbe dire, più precisamente, come vedremo, che essi non distinguono il avoro e 'attiità produttiva da ' opera, perché, ai oro occhi, 'attività produttva risiede ne'opera e non ne'artista che 'ha prodotta. Vi è un passo di Arstotee in cui tutto ciò è esresso con carez za. n passo si trova ne ibro theta dea Metafica che è dedicato a probema dea potenza (dynamis) e de'atto energeia). n termi
ne energeia è un'invenzione di Aristotee i oso, come i poeti, hanno bisogno di creare dee parole e la terminoogia, è stato detto a ragione, è l'eemento poetico de pensiero ma, per un orecchio greco, esso è immediatamente inteligibile. "Opera, attività si di ce in greco ergon e 'aggettivo energos signica "attivo, operante: energeia signica allora che quacosa è "in opera, attività, ne senso che ha raggiunto i suo ne proprio, 'operazione a cui è de stinata. Cur iosamente, per denire 'opposizione fra potenza e atto, dynamis e energeia Aristotee si serve di un esempio tratto proprio daa sfera che noi deniremmo artistica: Hermes, egli dice, è in potenza ne egno non ancora scopito, è invece in opera nea statua scopita. opera d'arte appartiene, cioè, costitutivamente aa sfera de' energeia a quae, d'altra parte, rimanda ne suo stesso nome a un essereinopera. E qui comincia passo ( 050a 2 1 ) che m'interessa eggere insieme con voi. n ne, i telos egi scrive è l' ergon 'opera, e 'opera è energeia operazione e essereinopera: infatti i termine energeia deriva da ergon e tende perciò verso a compiutezza, ' entelecheia (un atro termine forgiato da Aristotee: i possedersi nel proprio ne) . Vi sono però dei casi in cui il ne utimo si esaurisce nel'uso , come nea vista (ops, a facotà di vedere) e nea visione ('atto de vedere, oras) in cui otre aa visione non si produce nu'atro; vi sono, invece, atri casi in cui si produce quacos'atro, come, ad esempio, da'arte di costruire (oikodomze) otre a'operazione de costruire (oikodomesis) si produce anche a casa . . . In questi casi, 'atto de costruire, ' ozodmesis risiede nea cosa costruita (en toi oikodomoumenoi) essa viene in essere (gignetaz; si genera) ed è insieme aa casa. In tutti i casi, cioè, in cui viene prodotto quacos'atro otre a'uso , l' energeia risiede nela cosa fatta (en toi poioumenoi) come l'atto de costruire è nea casa costruita e 'atto di tessere nel tessuto. Quando, invece, non vi è un atro ergon, un'altra opera otre a' energeù aora ' energeia 'essereinopera,
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risiederà nei soggetti stessi, come, ad esempio , a visione ne veden te e a contempazione (a theoria cioè a conoscenza più alta) ne contempante e a vita nel'anima . Soffermiamoci un momento su questo passo straordinario. Comprendiamo ora megio perché i Greci priviegiassero 'opera rispetto a'artista (o a'artigiano). Nee attività che producono quacosa, ' energeia 'attività produttiva vera e proria non risiede, per quanto questo possa sorprenderi, ne'artista, a ne'opera ' operazione di costruire nea casa e 'atto di tessere ne tessuto. E comprendiamo anche perché i Greci non potessero tenere in mota stima l'artista. Ment re la contempazione, 'atto dea conoscenza è ne contempante, 'artista è un es sere che ha i suo ne, i suo tels ori di sé, ne'opera. Egi è, cioè, un essere costitutivamente incompiuto, che non possiede mai i suo telos che manca di entelecheia. Per questo i Greci consideravano i technites come un banausos, ter mine che indica una persona da poco, non proprio decorosa. Ciò non signica, ovviamente, che essi non fossero in grado di vedere a differenza fra un cazoaio e Fidia: ma, ai oro occhi, essi avevano entrambi i oro ne fuori di essi, nea scarpa i primo e nee statue de Partenone i secondo; in ogni caso, a oro energeia non gi apparteneva. n probema non era, cioè, estetico, ma metasic. Accanto ae attività che producono opere , ve ne sono atre senz' opera che Aristotee esempica, come abbiamo visto, nea visione e nea conoscenza in cui ' energeia è invece ne soggetto stesso. Va da sé che queste sono, per un greco, superiori ae atre, ancora una volta, non perché essi non fossero in grado di apprezzare 'impor tanza dee opere d'arte rispetto aa conoscenza e a pensiero, ma perché nee attività improduttive, com'è appunto i pensiero (a theoria) i soggetto possiede perfettamente i suo ne. op era, ' er gon è invece, in quache modo, un intracio che espropria 'agente dea sua energeia che risiede non in ui, ma nel'opera. La prassi, 'azione che ha in se stessa i suo ne, è per questo, come Aristte
e non si stanca di ribad ire, in quache modo superiore aa poiesis a'attività produttiva, cui ne è ne'opera. energeia ' operazione perfetta, è senz'opera e ha i suo uogo ne'agente. (Gi antichi distinguevano coerentemente e artes in e/ectu come a pittura e a scutura, che producono una cosa, dale artes actuosae come a danza e i mimo, che si es auriscono nea oro esecuzione). Mi sebra che questa concezione de'agire umano contenga in sé i gere di un'aporia, che concerne i uogo proprio de' energeia umana, che in un caso nea poies- risiede ne'opera e ne'atro ne'agente. Che si tratti di un probema non trascurabie, o che comunque Aristotee non considerava tae, è testimoniato da un passo d'Etica nicomachea in cui il osofo si chiede se esista quacosa come un ergon un'opera che denisca 'uomo come tae, ne senso in cui 'opera de cazoaio è fare la scarpa, 'opera de autista suonare i auto e quea de'architetto costruire a casa. Oppure, si chiede Aristotee, dovremmo dire che mentre cazoaio, i autista e 'architetto hanno ciascuno a oro opera, l'uomo come tae è, invece, nato senz'opera? Aristotee ascia subito cadere quest'ipotesi, che a me pare interessantissima, e risponde che 'opera del'uomo è 'energeia de'anima secondo logos cioè, ancora una vota, un 'attività senz' opera, o in c ui 'opera coincide co n i suo stesso eserc izio, perché è sempre già inopera. Ma, potremmo chiedere, che ne è allora de cazoaio, de autista, de'artista, insomma de'uomo in quanto technites e costruttore di oggetti? S arà egi un essere con dannato aa scissione, perché vi saranno in ui due opere diverse, una che gi compete in quanto uomo e un'atra, esteriore, che gi compete in quanto produttore? Se confrontiamo questa concezione de'opera d 'arte con la nostra, possiamo dire che ciò che ci separa dai Greci è che, a un certo punto, attraverso un ento processo i cui inizi possiamo far coincidere co Rinascimento, 'arte è uscita daa sfera dee attività che hanno a oro energeia fuori di esse, in un'opera, e si è spostata ne'ambi
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risiederà nei soggetti stessi, come, ad esempio , a visione ne veden te e a contempazione (a theoria cioè a conoscenza più alta) ne contempante e a vita nel'anima . Soffermiamoci un momento su questo passo straordinario. Comprendiamo ora megio perché i Greci priviegiassero 'opera rispetto a'artista (o a'artigiano). Nee attività che producono quacosa, ' energeia 'attività produttiva vera e proria non risiede, per quanto questo possa sorprenderi, ne'artista, a ne'opera ' operazione di costruire nea casa e 'atto di tessere ne tessuto. E comprendiamo anche perché i Greci non potessero tenere in mota stima l'artista. Ment re la contempazione, 'atto dea conoscenza è ne contempante, 'artista è un es sere che ha i suo ne, i suo tels ori di sé, ne'opera. Egi è, cioè, un essere costitutivamente incompiuto, che non possiede mai i suo telos che manca di entelecheia. Per questo i Greci consideravano i technites come un banausos, ter mine che indica una persona da poco, non proprio decorosa. Ciò non signica, ovviamente, che essi non fossero in grado di vedere a differenza fra un cazoaio e Fidia: ma, ai oro occhi, essi avevano entrambi i oro ne fuori di essi, nea scarpa i primo e nee statue de Partenone i secondo; in ogni caso, a oro energeia non gi apparteneva. n probema non era, cioè, estetico, ma metasic. Accanto ae attività che producono opere , ve ne sono atre senz' opera che Aristotee esempica, come abbiamo visto, nea visione e nea conoscenza in cui ' energeia è invece ne soggetto stesso. Va da sé che queste sono, per un greco, superiori ae atre, ancora una volta, non perché essi non fossero in grado di apprezzare 'impor tanza dee opere d'arte rispetto aa conoscenza e a pensiero, ma perché nee attività improduttive, com'è appunto i pensiero (a theoria) i soggetto possiede perfettamente i suo ne. op era, ' er gon è invece, in quache modo, un intracio che espropria 'agente dea sua energeia che risiede non in ui, ma nel'opera. La prassi, 'azione che ha in se stessa i suo ne, è per questo, come Aristte
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e non si stanca di ribad ire, in quache modo superiore aa poiesis a'attività produttiva, cui ne è ne'opera. energeia ' operazione perfetta, è senz'opera e ha i suo uogo ne'agente. (Gi antichi distinguevano coerentemente e artes in e/ectu come a pittura e a scutura, che producono una cosa, dale artes actuosae come a danza e i mimo, che si es auriscono nea oro esecuzione). Mi sebra che questa concezione de'agire umano contenga in sé i gere di un'aporia, che concerne i uogo proprio de' energeia umana, che in un caso nea poies- risiede ne'opera e ne'atro ne'agente. Che si tratti di un probema non trascurabie, o che comunque Aristotee non considerava tae, è testimoniato da un passo d'Etica nicomachea in cui il osofo si chiede se esista quacosa come un ergon un'opera che denisca 'uomo come tae, ne senso in cui 'opera de cazoaio è fare la scarpa, 'opera de autista suonare i auto e quea de'architetto costruire a casa. Oppure, si chiede Aristotee, dovremmo dire che mentre cazoaio, i autista e 'architetto hanno ciascuno a oro opera, l'uomo come tae è, invece, nato senz'opera? Aristotee ascia subito cadere quest'ipotesi, che a me pare interessantissima, e risponde che 'opera del'uomo è 'energeia de'anima secondo logos cioè, ancora una vota, un 'attività senz' opera, o in c ui 'opera coincide co n i suo stesso eserc izio, perché è sempre già inopera. Ma, potremmo chiedere, che ne è allora de cazoaio, de autista, de'artista, insomma de'uomo in quanto technites e costruttore di oggetti? S arà egi un essere con dannato aa scissione, perché vi saranno in ui due opere diverse, una che gi compete in quanto uomo e un'atra, esteriore, che gi compete in quanto produttore? Se confrontiamo questa concezione de'opera d 'arte con la nostra, possiamo dire che ciò che ci separa dai Greci è che, a un certo punto, attraverso un ento processo i cui inizi possiamo far coincidere co Rinascimento, 'arte è uscita daa sfera dee attività che hanno a oro energeia fuori di esse, in un'opera, e si è spostata ne'ambi
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Laach nì con l'essere denito liturgische Bewegung, proprio come molte avanguardie di quegli anni si qualicavano come " movimenti artistici o letterari. accostamento fra la prati ca delle avanguardie e la liturgia, fra mo vimenti artistici e movimento liturgico non è pretestuoso . Alla base della dottrina di Case sta infatti l'idea che la liturgia (si noti che termine greco leourgia signica " opera, prestazione pubblica , da las, "popolo, e ergon) sia essenzialmente un "mistero Mistero non signica però, in alcun modo, secondo Case, insegnamento nascosto o dottrna segreta. In origine, come nei miseri eleusini che si celebravano nella Grecia lassica, mistero signica una prassi , una sorta di azione teatrale, fatta di gesti e parole che si compiono nel tempo e nel mondo per la salvezza degli uomini. T cristianesimo non è, in questo senso, una "religione o una " confessione nel senso moderno del termine, cioè un insieme di verità e di dogmi che si tratta di riconoscere e di professare: è, invece, un "mistero, cioè una actio liturgica, una performance, i cui attori sono Cristo e suo corpo mistico, cioè la Chiesa. E quest'azione è, sì, una prassi speciale ma, insieme, essa denisce l'attività umana più universale e più vera, in cui è in gioco la salvezza di colui che la compie e di coloro che vi partecipano. La liturgia cessa, in questa prospettiva, di apparire come la celebrazione di un rito esteriore, che ha altrove (nella fede e nel dogma) la sua verità: al contrario, solo nel compi mento hic et n un di questa azione assolutamente performativa, che realizza ogni volta ciò che signica, credente può trovare la sua verità e la sua salvezza. Secondo Case, infatti, la liturgia (ad esempio, la celebrazione del sacricio eucaristico nella messa) non è una "rappresentazione o una "commemorazione dell'evento salvico: è essa stessa l'evento. Non si tratta, cioè, di una rappresentazione in senso mimetico, ma di una (ri)presentazione in cui l'azione salvica (lo Heilstat) di Cri sto è resa eettivamente presente attraverso i simboli e le immagini
che la signicano. Per questo, l' azione liturgica agisce, come si dice, ex opere operato, cioè per fatto stesso di essere compiuta in quel momento e in quel luogo, indipendentemente dalle qualità morali del celebrante (anche se questi fosse un criminale se, a d esempio, battezzass e una donna con l'intenzione di farle violenza l'atto liturgico non perderebbe per questo la sua validità). È a partire da questa concezione " misterica della religione che vorrei proporvi l'ipotesi che fra l'azione sacra della liturgia e la prassi delle avanguarde artistche e dell'are etta contemporanea vi sia qualcosa di più che una semplice analogia. Una speciale attenzone per la liturgia da parte degli artisti era già apparsa negli timi decenni del XIX secolo, in particolare in quei movimenti artistici e letterari che si deniscono solitamente con i termini quanto mai vaghi di "simbolismo , " estetismo , " decadentismo . Di pari passo al processo che, con la pra apparizione dell'industria culturale, respinge i seguaci di un'arte pura verso i margini della produzione sociale, artisti e poeti (basti, per questi ultimi, fare nome di Mallarmé) cominciano a guardare alla loro pratica come alla celebrazione di una liturgia liturgia nel senso proprio del termine, in quanto comporta tanto una dimensione soteriologica, in cui sembra essere in questione la salvezza spirituale de'artista , quanto una dimensione performativa, in cui l'attività creativa assume la forma di un vero e proprio rituale, svincolato da ogni signicato sociale ed efcace per semplice fatto d essere celebrato. In ogni caso è anche e proprio questo secondo aspetto che viene ripreso con decisione dae avanguardie del Novecento, che di quei movimenti costituiscono una estremizzazione radicale e, talvolta, una parodia. Credo di non enunciare nulla di stravagante suggerendo l'ipotesi che le avanguardie e le loro derive contemporanee guadagnino a essere lette come la lucida e spesso consapevole ripresa di un paradigma ess enzialmente liturgico. Come, secondo Case, la celebrazione liturgica non è un'imitazione
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Laach nì con l'essere denito liturgische Bewegung, proprio come molte avanguardie di quegli anni si qualicavano come " movimenti artistici o letterari. accostamento fra la prati ca delle avanguardie e la liturgia, fra mo vimenti artistici e movimento liturgico non è pretestuoso . Alla base della dottrina di Case sta infatti l'idea che la liturgia (si noti che termine greco leourgia signica " opera, prestazione pubblica , da las, "popolo, e ergon) sia essenzialmente un "mistero Mistero non signica però, in alcun modo, secondo Case, insegnamento nascosto o dottrna segreta. In origine, come nei miseri eleusini che si celebravano nella Grecia lassica, mistero signica una prassi , una sorta di azione teatrale, fatta di gesti e parole che si compiono nel tempo e nel mondo per la salvezza degli uomini. T cristianesimo non è, in questo senso, una "religione o una " confessione nel senso moderno del termine, cioè un insieme di verità e di dogmi che si tratta di riconoscere e di professare: è, invece, un "mistero, cioè una actio liturgica, una performance, i cui attori sono Cristo e suo corpo mistico, cioè la Chiesa. E quest'azione è, sì, una prassi speciale ma, insieme, essa denisce l'attività umana più universale e più vera, in cui è in gioco la salvezza di colui che la compie e di coloro che vi partecipano. La liturgia cessa, in questa prospettiva, di apparire come la celebrazione di un rito esteriore, che ha altrove (nella fede e nel dogma) la sua verità: al contrario, solo nel compi mento hic et n un di questa azione assolutamente performativa, che realizza ogni volta ciò che signica, credente può trovare la sua verità e la sua salvezza. Secondo Case, infatti, la liturgia (ad esempio, la celebrazione del sacricio eucaristico nella messa) non è una "rappresentazione o una "commemorazione dell'evento salvico: è essa stessa l'evento. Non si tratta, cioè, di una rappresentazione in senso mimetico, ma di una (ri)presentazione in cui l'azione salvica (lo Heilstat) di Cri sto è resa eettivamente presente attraverso i simboli e le immagini
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che la signicano. Per questo, l' azione liturgica agisce, come si dice, ex opere operato, cioè per fatto stesso di essere compiuta in quel momento e in quel luogo, indipendentemente dalle qualità morali del celebrante (anche se questi fosse un criminale se, a d esempio, battezzass e una donna con l'intenzione di farle violenza l'atto liturgico non perderebbe per questo la sua validità). È a partire da questa concezione " misterica della religione che vorrei proporvi l'ipotesi che fra l'azione sacra della liturgia e la prassi delle avanguarde artistche e dell'are etta contemporanea vi sia qualcosa di più che una semplice analogia. Una speciale attenzone per la liturgia da parte degli artisti era già apparsa negli timi decenni del XIX secolo, in particolare in quei movimenti artistici e letterari che si deniscono solitamente con i termini quanto mai vaghi di "simbolismo , " estetismo , " decadentismo . Di pari passo al processo che, con la pra apparizione dell'industria culturale, respinge i seguaci di un'arte pura verso i margini della produzione sociale, artisti e poeti (basti, per questi ultimi, fare nome di Mallarmé) cominciano a guardare alla loro pratica come alla celebrazione di una liturgia liturgia nel senso proprio del termine, in quanto comporta tanto una dimensione soteriologica, in cui sembra essere in questione la salvezza spirituale de'artista , quanto una dimensione performativa, in cui l'attività creativa assume la forma di un vero e proprio rituale, svincolato da ogni signicato sociale ed efcace per semplice fatto d essere celebrato. In ogni caso è anche e proprio questo secondo aspetto che viene ripreso con decisione dae avanguardie del Novecento, che di quei movimenti costituiscono una estremizzazione radicale e, talvolta, una parodia. Credo di non enunciare nulla di stravagante suggerendo l'ipotesi che le avanguardie e le loro derive contemporanee guadagnino a essere lette come la lucida e spesso consapevole ripresa di un paradigma ess enzialmente liturgico. Come, secondo Case, la celebrazione liturgica non è un'imitazione
o una rappresenazione dell'evento salvico, ma è es sa stessa l' even to, ao stesso o do, ciò che denisce la prassi delle avanguardie del Novecento e dee loro derive contemporanee è il deciso abband ono del paradiga mimeticorapp resentativo in nome di una pretesa genuinamene ragmatica azione dell'artista si emancipa dal suo tradizional e e produttivo o riproduttivo e diventa una performan ce assoluta, un ura "liturgia che coincide con la propria celebra zione ed è efce ex opere operato e non per le qualità intellettuali o morali dell'arsta. In un celebre aso l'Etica nicomachea, Aristotele aveva distinto i fare (poiesis), ce mira a un ne esterno (la produzione di un ' opera) , dall'agire (axis, che ha in se stesso (nell'agir bene) i l suo ne Fra questi due odelli, liturgia e performance insinuano un ibrido terzo, in cui l'azne stessa pretende di presenarsi come opera A questo punto per terzo momento di questa mia sommaria archeologia, vi into a spostarvi a New York intorno al 1916. Qui un signore che on saprei come denire, forse un monaco come Case, in qualce modo un asceta, certamente non un artista , di no me Marcel Ducamp inventa ready-made. Come aveva compreso Giovanni Urbai, Duchamp, proponendo quegli atti esistenziali (e non opere d'arte) che sono i ready-made, sapeva perfettamente di non operare coe artista. Sapeva anche che la strada dell'arte era sbarrata da un stacolo insormontabile, che era l'arte stessa, ormai costituita dal'estetica come una realtà autonoma. Nei termini d questa archeogia, io direi che Duchamp aveva capito che ciò che bloccava l'ate era proprio quella che ho denito la macchina artistica, che aa raggiunto nea liturgia delle avanguardie la sua massa critica. Che cosa fa Duchamp pe r far esplodere o almeno disattivare la macchina operaartitaoperazione? Egli prende un qualsiasi oggetto d'us o, magari un orinatoio, e, introducendolo in un museo, lo forza
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a presentarsi come un'opera d'arte Naturalmente tranne che per il breve istante che dura l'eetto dell'estraneazione e della sorpresa in realtà nulla viene qui alla presenza: non l'opera, perché si tratta di un oggetto d'uso qualsiasi prodotto industrialmente, né l'operazione artisti ca, perché non vi è in alcun modo poiesis, produzione, e nemmeno l' artista, p erché colui che sigla con un ironico nome fal so l'orinatoio non agisce come artista, ma, semmai, come losofo o critico o, come amava dire Duchamp, come «uno che respira», un semplice vivente. n ready-made non ha più luogo, né nell'opera né nell'artista, né ne'ergon né nellenergeia, ma soltanto nel museo, che acquista a questo punto un rango e un valore decisivo. Come sapete, quel che poi è avenuto è che una congrega, purt rop po tuttora attiva, di abili speculatori e di gonzi ha trasformato il rea dymade in opera d' arte Non che essi siano riusciti a rimettere vera mente in moto la macchina artistica questa, gira ormai a vuoto , ma la parenza di un movimento riesce ad alimentare, io credo non per molto tempo ancora, quei templi dell'a ssurdo che sono i musei d'arte contemporanea Non intendo dire che l'arte contemporanea o, se volete, l'arte postDuchamp non abbia interesse. contrario, ciò che in essa viene alla luce è forse l'evento più interessante che si po ssa immagi nare: l'apparire del conitto storico, in ogni senso decisivo, fra arte e opera, energeia e ergon La mia critica, se di critica si può parlare, si rivolge alla perfetta irresponsabilità con cui molto spesso artisti e curatori eludono il confronto con questo evento e ngono che tutto continui come prima
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Vorrei ora concludere la mia breve archeologia dell'opera d'arte suggerendovi di abbandonare la macchina artistica al suo destino. E, con essa, di abbandonare anche l'idea che vi sia qualcosa come una suprema attività umana che, tramite un soggetto, si realizza in un'opera o in un'energeia che traggono da essa il loro incomparabi
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o una rappresenazione dell'evento salvico, ma è es sa stessa l' even to, ao stesso o do, ciò che denisce la prassi delle avanguardie del Novecento e dee loro derive contemporanee è il deciso abband ono del paradiga mimeticorapp resentativo in nome di una pretesa genuinamene ragmatica azione dell'artista si emancipa dal suo tradizional e e produttivo o riproduttivo e diventa una performan ce assoluta, un ura "liturgia che coincide con la propria celebra zione ed è efce ex opere operato e non per le qualità intellettuali o morali dell'arsta. In un celebre aso l'Etica nicomachea, Aristotele aveva distinto i fare (poiesis), ce mira a un ne esterno (la produzione di un ' opera) , dall'agire (axis, che ha in se stesso (nell'agir bene) i l suo ne Fra questi due odelli, liturgia e performance insinuano un ibrido terzo, in cui l'azne stessa pretende di presenarsi come opera A questo punto per terzo momento di questa mia sommaria archeologia, vi into a spostarvi a New York intorno al 1916. Qui un signore che on saprei come denire, forse un monaco come Case, in qualce modo un asceta, certamente non un artista , di no me Marcel Ducamp inventa ready-made. Come aveva compreso Giovanni Urbai, Duchamp, proponendo quegli atti esistenziali (e non opere d'arte) che sono i ready-made, sapeva perfettamente di non operare coe artista. Sapeva anche che la strada dell'arte era sbarrata da un stacolo insormontabile, che era l'arte stessa, ormai costituita dal'estetica come una realtà autonoma. Nei termini d questa archeogia, io direi che Duchamp aveva capito che ciò che bloccava l'ate era proprio quella che ho denito la macchina artistica, che aa raggiunto nea liturgia delle avanguardie la sua massa critica. Che cosa fa Duchamp pe r far esplodere o almeno disattivare la macchina operaartitaoperazione? Egli prende un qualsiasi oggetto d'us o, magari un orinatoio, e, introducendolo in un museo, lo forza
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a presentarsi come un'opera d'arte Naturalmente tranne che per il breve istante che dura l'eetto dell'estraneazione e della sorpresa in realtà nulla viene qui alla presenza: non l'opera, perché si tratta di un oggetto d'uso qualsiasi prodotto industrialmente, né l'operazione artisti ca, perché non vi è in alcun modo poiesis, produzione, e nemmeno l' artista, p erché colui che sigla con un ironico nome fal so l'orinatoio non agisce come artista, ma, semmai, come losofo o critico o, come amava dire Duchamp, come «uno che respira», un semplice vivente. n ready-made non ha più luogo, né nell'opera né nell'artista, né ne'ergon né nellenergeia, ma soltanto nel museo, che acquista a questo punto un rango e un valore decisivo. Come sapete, quel che poi è avenuto è che una congrega, purt rop po tuttora attiva, di abili speculatori e di gonzi ha trasformato il rea dymade in opera d' arte Non che essi siano riusciti a rimettere vera mente in moto la macchina artistica questa, gira ormai a vuoto , ma la parenza di un movimento riesce ad alimentare, io credo non per molto tempo ancora, quei templi dell'a ssurdo che sono i musei d'arte contemporanea Non intendo dire che l'arte contemporanea o, se volete, l'arte postDuchamp non abbia interesse. contrario, ciò che in essa viene alla luce è forse l'evento più interessante che si po ssa immagi nare: l'apparire del conitto storico, in ogni senso decisivo, fra arte e opera, energeia e ergon La mia critica, se di critica si può parlare, si rivolge alla perfetta irresponsabilità con cui molto spesso artisti e curatori eludono il confronto con questo evento e ngono che tutto continui come prima
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le valore. Ciò implica che si disegni da apo la mappa dello spazio in cui la modernità ha situato soggetto e le sue facoltà. Artista o poeta non è colui che ha la potenza o facoltà di creare, che un bel giorno, attraverso un atto di volontà o obbedendo a un'ingiunzione divina (la volontà è, nella cultura occidentale, dispositivo che permette di attribuire le azioni e le tecniche in proprietà a un soggetto), d ecide, come Dio dei teologi, non si sa come e perché, di mettere in opera. E, come poeta e pittore, così falegname, calzolaio, autista e, ine, ogni uomo, on sono i titolari trascen deti di una capacità di agire o di produrre opere: sono, piuttosto, dei viventi che, nell'uso e soltanto nell'uso delle loro membra come del mondo che li circonda, fanno esperienza di sé e costituiscono s é come forme di vita. Larte non è che modo in cui l'anonimo che chiamiamo artista mantenendosi costantemente in relazione con una pratica, cerca costituire la sua vita come una forma di vita: la vita del pittore, del falegname, dell'architetto, del contrabbassista, in cui, come in ogni forma divita, è in questione nulla di meno che la sua felicità.
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Vorrei ora concludere la mia breve archeologia dell'opera d'arte suggerendovi di abbandonare la macchina artistica al suo destino. E, con essa, di abbandonare anche l'idea che vi sia qualcosa come una suprema attività umana che, tramite un soggetto, si realizza in un'opera o in un'energeia che traggono da essa il loro incomparabi
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Che cos'è l'ato di creazone?
Il titolo di questa mia lezione riprende quello di una conferenza che Gilles Deleuze tenne a Parigi nel marzo del 1987. Se vi è ca pitato di vedere il bel video che ne è st ato tratto, ricorderete che Deleuze denisce l'atto di creazione come un «atto di resistenza». Resistenza alla morte, innanzitutto, ma resistenza anche al paradigma dell'informazione attraverso il quale il potere si esercita in quelle che Deleuze, per distinguerle dalle «società di disciplina» analizzate da Foucault, chiama «società di controllo». Ogni atto di creazione resiste a qualcosa: per esempio, dice Deleuze, la musica di Bach è un atto di resistenza contro la separazione del sacro e del profano. Come vedete, Deleuze non denisce che cosa signichi resistere e sembra dare al termine signicato corrente di opporsi a una forza o a una minaccia esterna . N ella conversazione sua parola "resistenza nell', Deleuze aggiunge, a proposito dell'opera d'arte, che resistere signica sempre liberare una potenza di vita che era stata imprigionata o oesa; anche qui, tuttavia, manca una vera denizione de'atto di creazione come atto di resistenza. Dopo tanti anni passati a leggere, scrivere e studiare, capit a, a vol te, di capire che cosa facciamo, qual è nostro modo speciale, se ve n' è uno, di procedere nel pensiero e nela ricerca. Io ho capito che
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le valore. Ciò implica che si disegni da apo la mappa dello spazio in cui la modernità ha situato soggetto e le sue facoltà. Artista o poeta non è colui che ha la potenza o facoltà di creare, che un bel giorno, attraverso un atto di volontà o obbedendo a un'ingiunzione divina (la volontà è, nella cultura occidentale, dispositivo che permette di attribuire le azioni e le tecniche in proprietà a un soggetto), d ecide, come Dio dei teologi, non si sa come e perché, di mettere in opera. E, come poeta e pittore, così falegname, calzolaio, autista e, ine, ogni uomo, on sono i titolari trascen deti di una capacità di agire o di produrre opere: sono, piuttosto, dei viventi che, nell'uso e soltanto nell'uso delle loro membra come del mondo che li circonda, fanno esperienza di sé e costituiscono s é come forme di vita. Larte non è che modo in cui l'anonimo che chiamiamo artista mantenendosi costantemente in relazione con una pratica, cerca costituire la sua vita come una forma di vita: la vita del pittore, del falegname, dell'architetto, del contrabbassista, in cui, come in ogni forma divita, è in questione nulla di meno che la sua felicità. z w m
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Che cos'è l'ato di creazone?
Il titolo di questa mia lezione riprende quello di una conferenza che Gilles Deleuze tenne a Parigi nel marzo del 1987. Se vi è ca pitato di vedere il bel video che ne è st ato tratto, ricorderete che Deleuze denisce l'atto di creazione come un «atto di resistenza». Resistenza alla morte, innanzitutto, ma resistenza anche al paradigma dell'informazione attraverso il quale il potere si esercita in quelle che Deleuze, per distinguerle dalle «società di disciplina» analizzate da Foucault, chiama «società di controllo». Ogni atto di creazione resiste a qualcosa: per esempio, dice Deleuze, la musica di Bach è un atto di resistenza contro la separazione del sacro e del profano. Come vedete, Deleuze non denisce che cosa signichi resistere e sembra dare al termine signicato corrente di opporsi a una forza o a una minaccia esterna . N ella conversazione sua parola "resistenza nell', Deleuze aggiunge, a proposito dell'opera d'arte, che resistere signica sempre liberare una potenza di vita che era stata imprigionata o oesa; anche qui, tuttavia, manca una vera denizione de'atto di creazione come atto di resistenza. Dopo tanti anni passati a leggere, scrivere e studiare, capit a, a vol te, di capire che cosa facciamo, qual è nostro modo speciale, se ve n' è uno, di procedere nel pensiero e nela ricerca. Io ho capito che
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si tratta, ne mio caso, di percepire quea che Feuerbach chiamava a «capacità di sviuppo» contenuta ne'opera degli autori che amo. eemento genuinamente osoo contenuto in un'opera sia essa opera d'arte, di scienza, di pensiero è la sua capacità di essere sviuppata, quacosa che è rimasto, o è stato voutamente lasciato, non detto e che si tratta di saper trovare e raccogiere. Perché questa ricerca del'eemento suscettibile di essere sviluppa to mi aascina? Perché s e si segue no in fondo questo principio metodoogico, si arriva fatamente a un punto in cui non è possibie distinguere fra ciò che è nostro e ciò che setta invece a'autore che stiamo eggendo. Raggiungere questa zona impersonae di indiferenza, in cui ogni nome proprio , ogni diritto d' autore e ogni pretesa di originaità vengono meno, mi riempie di gioia. Proverò pertanto a interroga re ciò che è rimasto non detto ne'idea deeuziana de'atto di creazione come atto di resistenza e, in questo modo, cer cherò di continuare e proseguir e, ovviamente sotto a mia piena responsabiità, i pensiero di un autore che amo. Devo premettere che provo un certo disagio di fronte a'uso , purtroppo oggi assai diuso, de termine "creazion e in riferimento ae pratiche artistiche. Mentre indagavo a geneaogia di quest'uso, ho scoperto, non senza una certa sorpresa, che una parte della responsabiità incombeva proprio sugi architetti. Quando i teologi medievali devono spiegare a creazione de mondo, essi ricorrono a un esempio che era già stato usato dagi stoici. Come a casa preesi ste nea mente de'architetto, scrive Tommaso, così Dio h a creato i mondo guardando a modeo che era nea sua mente. Natura mente Tommaso distingueva ancora tra i creare ex nihilo che denisce la creazione divina, e i /acere de materia che denisce i fare umano. In ogni caso, i paragone fra 'atto del'architetto e queo di Dio contiene già in germe a trasposizione de paradigma dea creazione a'attività de'artista Per questo preferisco parlare piuttosto di " atto poetico e , se continuerò per comodità a servirmi de
termine " creazione , chiedo che venga inteso senza acuna enfasi, ne sempice senso di poiein "produrre. Intendere a resistenza sotanto come opposizione a una forza esterna non mi sembra suciente per una comprensione del'atto di creazione. In un progetto di prefazione ale Philosophische Bemerkungen, Ludwig Wittgenstein ha osserato come i dover resistere aa pressione e a'attrito che un epoca d'incutura oppone aa creazione nisca co diserdere e frammentare le forze de singoo. Ciò è tanto vero che, 'Abecedario Deeuze ha sentito i bisogno di recisare che 'atto di creazione ha costitutivamente a che fare con a iberazione di una potenza. Penso, tuttavia, che a potenza che 'atto di creazione ibera debba essere interna alo stesso atto, come interna a questo deve essere anche 'atto di resistenza. Soo in questo modo a reazione tra resistenza e creazione e quea tra creazion e e potenza potranno diventare comprensibii. n concetto di potenza ha, nea osoa occidentae, una unga sto ria, che possiamo far cominciare con Aristotee. Aristotee oppone e, insieme, ega a potenza (dynam) a'atto (energeia) e questa op posizione, che attraversa tanto a sua Metafsica quanto a sua Fisica è stata da ui trasmessa in eredità prima aa osoa e poi alla scien za medievae e moderna. È tramite questa opposizione che Aristotee spiega quei che noi chiamiamo "atti di creazione, che per ui coincidevano più sobriamente co n 'esercizio dee technai (arti, ne senso più generae dea paroa) . Gi esempi cui ricorre per iustrare i passaggio dalla potenza al'atto so no in questo senso signicativi: 'architetto (oikodomos) suonatore di cetra, o scutore, m a anche i grammatico e, in generae, chiunque possieda un sapere o una tec nica. L a potenza di cui Aristotee para ne ibro IX dea Metafsica e ne ibro II de De anima non è, cioè, a potenza generica secondo cui diciamo che un bambino può diventare architetto o scutore,
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si tratta, ne mio caso, di percepire quea che Feuerbach chiamava a «capacità di sviuppo» contenuta ne'opera degli autori che amo. eemento genuinamente osoo contenuto in un'opera sia essa opera d'arte, di scienza, di pensiero è la sua capacità di essere sviuppata, quacosa che è rimasto, o è stato voutamente lasciato, non detto e che si tratta di saper trovare e raccogiere. Perché questa ricerca del'eemento suscettibile di essere sviluppa to mi aascina? Perché s e si segue no in fondo questo principio metodoogico, si arriva fatamente a un punto in cui non è possibie distinguere fra ciò che è nostro e ciò che setta invece a'autore che stiamo eggendo. Raggiungere questa zona impersonae di indiferenza, in cui ogni nome proprio , ogni diritto d' autore e ogni pretesa di originaità vengono meno, mi riempie di gioia. Proverò pertanto a interroga re ciò che è rimasto non detto ne'idea deeuziana de'atto di creazione come atto di resistenza e, in questo modo, cer cherò di continuare e proseguir e, ovviamente sotto a mia piena responsabiità, i pensiero di un autore che amo. Devo premettere che provo un certo disagio di fronte a'uso , purtroppo oggi assai diuso, de termine "creazion e in riferimento ae pratiche artistiche. Mentre indagavo a geneaogia di quest'uso, ho scoperto, non senza una certa sorpresa, che una parte della responsabiità incombeva proprio sugi architetti. Quando i teologi medievali devono spiegare a creazione de mondo, essi ricorrono a un esempio che era già stato usato dagi stoici. Come a casa preesi ste nea mente de'architetto, scrive Tommaso, così Dio h a creato i mondo guardando a modeo che era nea sua mente. Natura mente Tommaso distingueva ancora tra i creare ex nihilo che denisce la creazione divina, e i /acere de materia che denisce i fare umano. In ogni caso, i paragone fra 'atto del'architetto e queo di Dio contiene già in germe a trasposizione de paradigma dea creazione a'attività de'artista Per questo preferisco parlare piuttosto di " atto poetico e , se continuerò per comodità a servirmi de
termine " creazione , chiedo che venga inteso senza acuna enfasi, ne sempice senso di poiein "produrre. Intendere a resistenza sotanto come opposizione a una forza esterna non mi sembra suciente per una comprensione del'atto di creazione. In un progetto di prefazione ale Philosophische Bemerkungen, Ludwig Wittgenstein ha osserato come i dover resistere aa pressione e a'attrito che un epoca d'incutura oppone aa creazione nisca co diserdere e frammentare le forze de singoo. Ciò è tanto vero che, 'Abecedario Deeuze ha sentito i bisogno di recisare che 'atto di creazione ha costitutivamente a che fare con a iberazione di una potenza. Penso, tuttavia, che a potenza che 'atto di creazione ibera debba essere interna alo stesso atto, come interna a questo deve essere anche 'atto di resistenza. Soo in questo modo a reazione tra resistenza e creazione e quea tra creazion e e potenza potranno diventare comprensibii. n concetto di potenza ha, nea osoa occidentae, una unga sto ria, che possiamo far cominciare con Aristotee. Aristotee oppone e, insieme, ega a potenza (dynam) a'atto (energeia) e questa op posizione, che attraversa tanto a sua Metafsica quanto a sua Fisica è stata da ui trasmessa in eredità prima aa osoa e poi alla scien za medievae e moderna. È tramite questa opposizione che Aristotee spiega quei che noi chiamiamo "atti di creazione, che per ui coincidevano più sobriamente co n 'esercizio dee technai (arti, ne senso più generae dea paroa) . Gi esempi cui ricorre per iustrare i passaggio dalla potenza al'atto so no in questo senso signicativi: 'architetto (oikodomos) suonatore di cetra, o scutore, m a anche i grammatico e, in generae, chiunque possieda un sapere o una tec nica. L a potenza di cui Aristotee para ne ibro IX dea Metafsica e ne ibro II de De anima non è, cioè, a potenza generica secondo cui diciamo che un bambino può diventare architetto o scutore,
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ma quela che compete a ch ha gà acqusto 'arte o saper e corrspondente. Astotee chama questa potenza hex, da echo, "avere l'abto, cioè i possesso d una capactà o abtà. Cou che posede, o ha l' abto d, una potenza può tanto mettera n atto che no mettera n atto. La potenza questa è a tes genae, anche se apparenza ovva, d Arstotele è nsomma denta essenziamen dala possbtà de suo noneserczo. archteto è potente n quanto può non costrure, a potenza è una sospensone de'atto. (In potca, cò è ben noto, ed esste anz una gura, detta "provocatore che ha appunto compto d obbgare ch ha potere a eserctar, a mettero n atto). È n questo modo che Arstote e rsponde, nea Metafsica, aa tes de megarc, che aermavano, peraltro non senza buone ragon, che a potenza esse soo nel'atto, «energei mn dynast; otan m e energei ou dynastai» (1 046b 2930). Se ciò fosse vro, obetta Arstotee, no non potremmo considerare architetto l'arctetto quando non costrusce, né chamare medco medco ne moento n cu non sta esercitando a sua arte. In que stone è, qun modo di essere dea potenza, che esste nea forma dela hexis dela sgnora s u una privazone. V è una forma, una presenza d cò he non è n atto, e qu esta presenza prvativa è a potenza. Come Aistotele aerma senza rsere n un passo straordnaro dea sua Fca (193b 1920), la steresis, a prvazone, è come una forma (ezos ti una spece d voto: ezos da ezenai, vedere). Secondo s gesto caratterstco, Arstotee spinge a'estremo questa tes a punto n cu ess sembra quas trasormars n un'apora. Dal atto che la potenza sia denta daa possbtà de suo noneserco, eg trae la conseguenza d una costtutva coappartenenza d tenza e mpotenza. mpotenza (adynamia) - eg scrve ( 1046a 932 ) è una privazone contrara ala potenza (dy nam). Ogn ptenza è mpotenza deo stesso e rspetto alo stesso (d cu è poteza): «tou autou kai kata to auto pasa dynam adyna mia». Adynam, mpotenza, non sgnca qu assenza d ogn po
tenza, ma potenzadinon (passare al'atto): dynam me energein. La tes densce, coè, ' ambivaenza specca d ogn poenza uma na, che nea sua strùttura orginaria s mantene in rapporto con a propra privazone, è sempre, e rspetto aa stessa cosa, potenza d essere e di nonessere, d fare e d nonfare. È questa reazone che costusce, per Arstotele, 'essenza dea poenza. l vivente, che esse ne modo dela potenza, può a propra mpotenza, e soo in questo modo possede la propra potenza. Eg può essere e fare, perché s tene n reazone co propro nonessere e non are. Nea potenza, a sensazone è costtutivamente anestesa, pensero nonpensero, 'opera inoperostà. Se rcordamo che g esemp dea potenzadnon sono quas sempre tratt da'ambto dele tecnche e de saperi uman (a grammatca, a musca, 'archtettura, a medicina ecceera) , possamo aora dire che 'uomo è vivente che esste in modo emnente nela d mensone dea potenza, del potere e de poternon. Ogn poenza umana è, coorgnaramente, impotenza; ogn poteressere o fare è, per 'uomo, costiutivamente in rapporto ala propra prvazione. Se tornamo aa nostra domanda su'atto d creazone, cò sign ca che questo non può essere in acun modo compreso, secondo la rappresentazone correne, come un sempce transto dala poten za a'atto. artsta non è coui che possiede una potenza di creare che, a un certo punto, decide, non s sa come e perché, d reazzare e mettere n atto. Se ogn potenza è costtutivamente impotenza, potenzadinon, come potrà avvenre passaggio a'atto? Poiché 'atto dea potenza d suonare piano è certamente, per panista, 'e secuzione di un pezzo sul panoforte; ma che cosa avene dea potenza di non suonare ne momento n cu eg comncia a suona re? Come s reazza una potenza d non suonare? Possamo ora comprendere in modo nuovo la relazone fra creazo ne e resstenza d cu parlava Deeuze. Vi è, n ogni atto d creazone, quacosa che resste e s oppone a'espressone. Resistere, da
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ma quela che compete a ch ha gà acqusto 'arte o saper e corrspondente. Astotee chama questa potenza hex, da echo, "avere l'abto, cioè i possesso d una capactà o abtà. Cou che posede, o ha l' abto d, una potenza può tanto mettera n atto che no mettera n atto. La potenza questa è a tes genae, anche se apparenza ovva, d Arstotele è nsomma denta essenziamen dala possbtà de suo noneserczo. archteto è potente n quanto può non costrure, a potenza è una sospensone de'atto. (In potca, cò è ben noto, ed esste anz una gura, detta "provocatore che ha appunto compto d obbgare ch ha potere a eserctar, a mettero n atto). È n questo modo che Arstote e rsponde, nea Metafsica, aa tes de megarc, che aermavano, peraltro non senza buone ragon, che a potenza esse soo nel'atto, «energei mn dynast; otan m e energei ou dynastai» (1 046b 2930). Se ciò fosse vro, obetta Arstotee, no non potremmo considerare architetto l'arctetto quando non costrusce, né chamare medco medco ne moento n cu non sta esercitando a sua arte. In que stone è, qun modo di essere dea potenza, che esste nea forma dela hexis dela sgnora s u una privazone. V è una forma, una presenza d cò he non è n atto, e qu esta presenza prvativa è a potenza. Come Aistotele aerma senza rsere n un passo straordnaro dea sua Fca (193b 1920), la steresis, a prvazone, è come una forma (ezos ti una spece d voto: ezos da ezenai, vedere). Secondo s gesto caratterstco, Arstotee spinge a'estremo questa tes a punto n cu ess sembra quas trasormars n un'apora. Dal atto che la potenza sia denta daa possbtà de suo noneserco, eg trae la conseguenza d una costtutva coappartenenza d tenza e mpotenza. mpotenza (adynamia) - eg scrve ( 1046a 932 ) è una privazone contrara ala potenza (dy nam). Ogn ptenza è mpotenza deo stesso e rspetto alo stesso (d cu è poteza): «tou autou kai kata to auto pasa dynam adyna mia». Adynam, mpotenza, non sgnca qu assenza d ogn po
tenza, ma potenzadinon (passare al'atto): dynam me energein. La tes densce, coè, ' ambivaenza specca d ogn poenza uma na, che nea sua strùttura orginaria s mantene in rapporto con a propra privazone, è sempre, e rspetto aa stessa cosa, potenza d essere e di nonessere, d fare e d nonfare. È questa reazone che costusce, per Arstotele, 'essenza dea poenza. l vivente, che esse ne modo dela potenza, può a propra mpotenza, e soo in questo modo possede la propra potenza. Eg può essere e fare, perché s tene n reazone co propro nonessere e non are. Nea potenza, a sensazone è costtutivamente anestesa, pensero nonpensero, 'opera inoperostà. Se rcordamo che g esemp dea potenzadnon sono quas sempre tratt da'ambto dele tecnche e de saperi uman (a grammatca, a musca, 'archtettura, a medicina ecceera) , possamo aora dire che 'uomo è vivente che esste in modo emnente nela d mensone dea potenza, del potere e de poternon. Ogn poenza umana è, coorgnaramente, impotenza; ogn poteressere o fare è, per 'uomo, costiutivamente in rapporto ala propra prvazione. Se tornamo aa nostra domanda su'atto d creazone, cò sign ca che questo non può essere in acun modo compreso, secondo la rappresentazone correne, come un sempce transto dala poten za a'atto. artsta non è coui che possiede una potenza di creare che, a un certo punto, decide, non s sa come e perché, d reazzare e mettere n atto. Se ogn potenza è costtutivamente impotenza, potenzadinon, come potrà avvenre passaggio a'atto? Poiché 'atto dea potenza d suonare piano è certamente, per panista, 'e secuzione di un pezzo sul panoforte; ma che cosa avene dea potenza di non suonare ne momento n cu eg comncia a suona re? Come s reazza una potenza d non suonare? Possamo ora comprendere in modo nuovo la relazone fra creazo ne e resstenza d cu parlava Deeuze. Vi è, n ogni atto d creazone, quacosa che resste e s oppone a'espressone. Resistere, da
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e a'sprazon quas e mpedsce d recars ne'opera: ' artsta sprato è senz' pera. E , tuttava, a potenzadnon non può es sere a sua vota parneggata e trasformata n un prncpo autonomo che rebbe cn 'mpedre ogn opera. Importante è che 'opera rsut sempre da una daettca fra ques due prnc p ntmamente congunt. In un bro mrtante, Gbert Smondon ha scrtto che 'uomo è, per così dre n essere a due fas, che rsuta dala dalettca fra una parte non dvduata e mpersonae e una parte ndvduae e personale. n prndvduae non è un passato cronoogco che, a un certo punto, si realzza e rsove ne'ndvduo: esso coesste con uesto e resta ad esso rrducbe. E possbe pensre, n questa prospettva, 'atto d creazone come una compcata daettca fra un eemento mpersonae che precede e scavaca sggetto ndvduale, e un eemento personae che ostnaamene g resste. m personae è a potenzad, geno che spnge verso l'oera e 'espressone; a potenzadnon è a retcenza che 'ndvae oppone a'mpersonae, carattere che tenacemente resste l'espressone e la segna con a sua mpronta. Lo stle d un'opera on dpende soo dal'eemento mpersonae, daa poenza creatva ma anche da cò che resste e quas entra n contto con essa. La potenzadinon non nega, però, a potenza e a forma, ma, attraverso a sua ressnza, n quache modo la espone , come a manera non s oppone smplcemente ao ste, ma può, a vote, mettero n rsalto. n verso d Dante è, n questo senso, una profeza che annunca a tarda pttura d Tzno, quae s mostra, ad esempo, l'Annunazione dea Chesa d San Salvador. Ch ha osserato questa tea straordnara non pu on essere copto da modo con cu, non soo nee nub che sovraso e due gure, ma pero sue de'angeo, coore s'ngorga e, nseme, s scava n queo che è stato a ragone
dento un magma creptante, n cu , 'ha fatta e rfatta coè, quas, dsfatta. n fatto che e radgrae abbano rveato sotto questa scrtta la formua consueta /aebat , no� sgnca necessaramente che s tratt d un'aggunta posterore. E possbe, a contraro, che Tzano 'abba canceata per sotoneare a partcoartà dea sua opera, che, come suggerva Rdol, forse rferendo una tradzone orale che poteva rsare ao stesso Tzano, commttent avevano gudcato «non rdotta a perfettone». In questa prospettva, è possbe che a scrtta che s egge n basso sotto vaso d or «ignis ardens non comburens», che rmanda a'epsodo de roveto ardente nea Bbba e, secondo teoog, smboegga a vergnà d Mara , possa essere stata nserta da Tzano propro per sottoneare carattere partcoare de'atto d creazone, che brucava sua superce dea tela senza tuttava consumars, metafora perfetta d una potenza che arde senza esaurrs . Per questo a sua mano trema, ma questo tremto è a suprema maestra. Cò che trema e quas danza nea forma è a potenza: ign ardens non comburens. D qu a pertnenza d quee gure dea creazone così frequent n Franz Kaa, n cu grand e artsta è d to precsamente da un'assoluta ncapacà rspetto aa sua arte. E, da una parte, a confessone de grande nuoatore: «Ammetto d detenere un record mondae, ma se m chedeste come 'ho conqustato, non sapre rsponder n manera soddsfacente. Perché, n reatà, o non so nuotare. Ho sempre vouto mparare, ma non ne ho ma avuto 'occasone»; da' atra, a straordnara cantante de popoo de top, Josephne, che non soo non sa cantare, ma a maapena resce a schare come tutt suo sm, e tuttava, propro n questo modo «raggunge eett che un artsta de canto nvano cercherebbe presso d no e che appunto soo a suo mezz nsucent sono concess»
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zione l' inopersità e la festa altrimenti che come riposo o negazione del lavoro Poiché noi cerchiamo invece di denir � l'inoperosità in relazione alla potenza e l'ato di creazione va da sé che non possiamo pensarla come ozisità o inerzia ma come una prassi o una potenza di un tipo specie che si mantiene costitutivamente in rapporto con la propria inoperosità Spinoza ne' s i serve di un concetto che mi sembra utile per comprendere ciò di cui stiamo parlando Egli chiama acquiescentia in se ipso «un letizia nata da ciò che l'uomo contempa se sesso e la sua potenza i agire» (IV Di Prop 52). Che cosa signica contemplare la prria potenza di agire? Ch e cos'è una inoperosià che consiste nel cemplare la propria potenza d agire? Si tratta io creo di una inoperosità intea per così dire alla stessa operazione di una prassi sui gener che nell'opera espone e contempla innzitutto la poenza una potenza che non precede l'opera ma l'accmpagna e fa vivere e apre in possibilità La vita che contempla a propria potenza di agire e di non agire si rende inoperosa in tue le sue operazioni vive soltanto la sua vivibilità Si comprende lora la funzione essenziale che la tradizione dea losoa occidenale ha assegnato alla vita contemplativa e all'inoperosità: la pra ssi propriamente umana è quella che rendendo inoperose le opere e nzio ni speciche del vivente le fa per così dire girare a vuoto e in questo modo le apre in possibità Con templazione e inopersità sono in questo senso gli operatori metasici dell'antropogenesi che liberando il vivente uomo da ogni destino biologico o scale e da ogni compito predeterminato lo rendono disponibile pe quella paricolare assenza di opera che siamo abituati a chiamare politica e " are Politica e arte non sono compiti né semplicemene op ere : esse nominano piutosto la dimensione in cui le operzini linguistiche e corporee materiali e immateriali biologiche e sali vengono disativae e contemplate come tali
Spero che a questo punt o ciò che intendevo parlando di una poetica dell'inoperosità sia in qualche modo più chiaro Forse il modello per eccellenza d questa operazione che consiste nel rendere inoperose tutte le opere umane è la stessa poesia Che cos' è infatti la poesia se non un'o perazione nel linguaggio che ne disattiva e rende inoperose le nzioni comunicative e informative per aprirle a un nuovo possibile uso? O, nei termini di Spinoza puno in cui la lingua che ha disattivato le sue nzioni utilitarie riposa in se stessa conempla la sua potenza di dire In queso senso la Commedia o i Canti o I seme delpiangere sno la contemplazione della lingua italiana la sestina di Arnauld Daniel la conemplazione della lingua provenzale Trilce e i poemi posumi di Vallejo la contemplazione della lingua spagnola Le illuminazioni di Rimbaud la contemplazione della lingua francese gl i Inni di Hlderlin e le poesie di Trakl la contemplazione della lingua tedesca eccetera E ciò che la poesia compie per la poenza di dire la politica e la losoa devono compiere per la potenza di agire Rendendo inoperose le operazioni economiche e sociali esse mostrano che cosa può il corpo umano lo aprono a un nuovo possibile uso Spinoza ha denito l'essenza di ogni cosa come il desiderio il conatus di perseverare nel proprio essere Se è possibile esprimere una piccola riserva rispetto a un grande pensiero direi che mi sembra ora che anche in quest'idea spinoziana occorra come abbiamo visto per l'ato di creazione insinuare una piccola resistenza Certo ogni cosa desidera e si sforza di perseverare nel suo essere; ma insieme essa resiste a questo desiderio almeno per un attimo lo rende inoperoso e contempla Si tratta ancora una volta di una resistenza interna al desiderio di un'inoperosità interna all'operazione Ma soltanto essa conferisce al conatus la sua giustizia e la sua verità In una parola e questo è almeno nell'arte l' elemento decisivo la sua grazia
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zione l' inopersità e la festa altrimenti che come riposo o negazione del lavoro Poiché noi cerchiamo invece di denir � l'inoperosità in relazione alla potenza e l'ato di creazione va da sé che non possiamo pensarla come ozisità o inerzia ma come una prassi o una potenza di un tipo specie che si mantiene costitutivamente in rapporto con la propria inoperosità Spinoza ne' s i serve di un concetto che mi sembra utile per comprendere ciò di cui stiamo parlando Egli chiama acquiescentia in se ipso «un letizia nata da ciò che l'uomo contempa se sesso e la sua potenza i agire» (IV Di Prop 52). Che cosa signica contemplare la prria potenza di agire? Ch e cos'è una inoperosià che consiste nel cemplare la propria potenza d agire? Si tratta io creo di una inoperosità intea per così dire alla stessa operazione di una prassi sui gener che nell'opera espone e contempla innzitutto la poenza una potenza che non precede l'opera ma l'accmpagna e fa vivere e apre in possibilità La vita che contempla a propria potenza di agire e di non agire si rende inoperosa in tue le sue operazioni vive soltanto la sua vivibilità Si comprende lora la funzione essenziale che la tradizione dea losoa occidenale ha assegnato alla vita contemplativa e all'inoperosità: la pra ssi propriamente umana è quella che rendendo inoperose le opere e nzio ni speciche del vivente le fa per così dire girare a vuoto e in questo modo le apre in possibità Con templazione e inopersità sono in questo senso gli operatori metasici dell'antropogenesi che liberando il vivente uomo da ogni destino biologico o scale e da ogni compito predeterminato lo rendono disponibile pe quella paricolare assenza di opera che siamo abituati a chiamare politica e " are Politica e arte non sono compiti né semplicemene op ere : esse nominano piutosto la dimensione in cui le operzini linguistiche e corporee materiali e immateriali biologiche e sali vengono disativae e contemplate come tali
Spero che a questo punt o ciò che intendevo parlando di una poetica dell'inoperosità sia in qualche modo più chiaro Forse il modello per eccellenza d questa operazione che consiste nel rendere inoperose tutte le opere umane è la stessa poesia Che cos' è infatti la poesia se non un'o perazione nel linguaggio che ne disattiva e rende inoperose le nzioni comunicative e informative per aprirle a un nuovo possibile uso? O, nei termini di Spinoza puno in cui la lingua che ha disattivato le sue nzioni utilitarie riposa in se stessa conempla la sua potenza di dire In queso senso la Commedia o i Canti o I seme delpiangere sno la contemplazione della lingua italiana la sestina di Arnauld Daniel la conemplazione della lingua provenzale Trilce e i poemi posumi di Vallejo la contemplazione della lingua spagnola Le illuminazioni di Rimbaud la contemplazione della lingua francese gl i Inni di Hlderlin e le poesie di Trakl la contemplazione della lingua tedesca eccetera E ciò che la poesia compie per la poenza di dire la politica e la losoa devono compiere per la potenza di agire Rendendo inoperose le operazioni economiche e sociali esse mostrano che cosa può il corpo umano lo aprono a un nuovo possibile uso Spinoza ha denito l'essenza di ogni cosa come il desiderio il conatus di perseverare nel proprio essere Se è possibile esprimere una piccola riserva rispetto a un grande pensiero direi che mi sembra ora che anche in quest'idea spinoziana occorra come abbiamo visto per l'ato di creazione insinuare una piccola resistenza Certo ogni cosa desidera e si sforza di perseverare nel suo essere; ma insieme essa resiste a questo desiderio almeno per un attimo lo rende inoperoso e contempla Si tratta ancora una volta di una resistenza interna al desiderio di un'inoperosità interna all'operazione Ma soltanto essa conferisce al conatus la sua giustizia e la sua verità In una parola e questo è almeno nell'arte l' elemento decisivo la sua grazia
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Linappropriabile
Vorrei parlarvi di u n conceo che è , pe r ovvie ragioni, esremamene auale e, nello sesso empo, assoluamene inatuale. A dire vero, quesa coincidenza degli opposi in uno sesso ermine non dovrebbe sorprendere: mi era capiao, qualche anno fa, riettendo proprio sul problema di cosa è conemporaneo, di dover concludere che conemporaneo è l'inauale, che qualcosa ci è tano più urgente e vicino quanto più sembra escluso dall'ambito di ciò che, con un ermine che ormai ha una connoazione giusamene dispregiaiva, si chiama }'"attualià. Queso ermine atualissimo e insieme inauale è "poverà: atualissima perché è dovunque, inauale perché, in quano essa coincide con disvalore assoluo, sembra che nostro tempo po ssa pensare solanto suo conrario: la ricchezza e denaro. Mi ero occupao del problema della poverà menre sudiavo quei movimenti spiriuali dell'XI e XII secolo che culminarono nel francescanesimo. Come sappiamo, la poverà non è solano rivendicaa come bene più alo (« altissima poverà») , ma essa coincideva perfeamene con la forma di via che i francescani professavano come la propria e che Francesco aveva espress o araverso le formule vivere sine proprio e vivere secundum /ormam sancti evangeli. Si ratava della rinuncia pura e semplice a qualsiasi forma di proprietà. C iò
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Vorrei parlarvi di u n conceo che è , pe r ovvie ragioni, esremamene auale e, nello sesso empo, assoluamene inatuale. A dire vero, quesa coincidenza degli opposi in uno sesso ermine non dovrebbe sorprendere: mi era capiao, qualche anno fa, riettendo proprio sul problema di cosa è conemporaneo, di dover concludere che conemporaneo è l'inauale, che qualcosa ci è tano più urgente e vicino quanto più sembra escluso dall'ambito di ciò che, con un ermine che ormai ha una connoazione giusamene dispregiaiva, si chiama }'"attualià. Queso ermine atualissimo e insieme inauale è "poverà: atualissima perché è dovunque, inauale perché, in quano essa coincide con disvalore assoluo, sembra che nostro tempo po ssa pensare solanto suo conrario: la ricchezza e denaro. Mi ero occupao del problema della poverà menre sudiavo quei movimenti spiriuali dell'XI e XII secolo che culminarono nel francescanesimo. Come sappiamo, la poverà non è solano rivendicaa come bene più alo (« altissima poverà») , ma essa coincideva perfeamene con la forma di via che i francescani professavano come la propria e che Francesco aveva espress o araverso le formule vivere sine proprio e vivere secundum /ormam sancti evangeli. Si ratava della rinuncia pura e semplice a qualsiasi forma di proprietà. C iò
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volontà propria (cfr. Adm., cap. 2: mangia dell'albero della scienza qui suam voluntatem appropriat). La concentrazione esclusiva sugli attac ( r
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samente da quelo che avviene nell'animale, si riutano a noi nella misura stessa in cui siamo inchiodati ad esse. «esserci si trova così consegnato all'ente che si riuta nella sua totalità». uomo, annoiandosi, è consegnato, cioè, a qualcosa che gli si riuta, esatta mente come l'anmale, nel suo stordimento, è esposto in una non rivelazione. Ma, a dierenza de'animale, l'uomo, dimorando nella noia, sospende rapporto immediato con l'ambiente: egli è un animale che si annoia e percepisce così per la prima volta come tale cioè come un ete il disinibitore che gli si riuta Ciò signica, aoa , che il mondo non si apre su uno sp azio nuovo e ulteriore, più pio e luminoso, conquistato al di à dei limiti dell' ambiente anime e senza relazione con esso. A contrario, esso si è aperto solo attraerso una so spensione e una disattivazione del rapporto animale c disinibitore. aperto, il libero spazio dell'essere , non nominano qualco sa di radicalmente altro rispetto al nonaperto de'animale: ess ono soltanto l'aerramento di un indisvelato, la sospensione e la cattura del nonvederel'alodolal'aperto. apertura che è in quesione nel mondo è essenzialmente apertura a una chiusura, e colu he guarda nell'aperto vede solo un richiudersi, vede solo un nonvedere. Per questo in quanto, cioè, mondo si è aperto solo attraverso l' interruzione e la ncazione del rapporto del vivente col suo disinibitore l'ess er è n dall'inizio traversato dal nulla e il mondo è costitutivamente sgnato da negatività e spaesamento. Si comprende che cos'è il paesaggio solo se s'intende che esso rappresenta, rispett a'a mbiente animale e al mondo umano, uno stadio ulteriore. Quando guardiamo un paesaggio, noi certo vediamo l'aper to, contempiamo il mondo, con tutti gli elementi che lo compongono (le fonti antiche elencano fra questi i boschi, le colle, gli specchi d' acqua, e ville, i promontori, le sorgenti, i torrenti, i canali, le greggi e i pasti, gente a piedi o in bar ca, che va a caccia o vendemmia . . . ); ma q esti, che non erano già più parti di un ambiente
animale, sono ora per così dire disattivati uno a uno sul piano dell' essere e percepiti nel loro insieme in una nuova dimensione. Li vediamo, perfettamente e limpidamente come non mai, e tuttavia non li vediamo già più, perduti felicemente, immemorabilmente perduti nel paesaggio. essere, en état de paysage, è sospeso e reso inoperoso, e il mondo, divenuto perfettamente inappropriabile, va per così dire al di là dell'es sere e del nulla. Non più animale né umano, chi contempla il paesaggio è soltanto paesaggio. Non cerca più di comprendere, guarda soltanto. Se il mondo era l'inoperosità del'ambiente animale, il paesaggio è, per così dire, inoperosità del'inoperosità, essere disattivato. Né disinibitori animali né enti, gli elementi che formano il paesaggio sono ntologicamente neutri. E la negatività, che, nella forma del nulla e della non apertura, ineriva al mondo poiché questo proveniva dalla chiusura animale, di cui era sotanto una sospensione è ora congedata. In quanto si è portato, in questo senso, al di là dell'essere, il paesaggio è la forma eminente dell'uso. In esso, uso di sé e uso del mondo coincidono senza residui. La giustizia, come stato del mondo in quanto inappropriabile, è qui l'esperienza decisiva. paesaggio è la dimora nell'inappropriable come formadivita, come giustizia. Per questo, se nel mondo l'uomo era necessariamente gettato e spaesato, nel paesaggio egli è nalmente a casa. Pays!, paese! (da pagus, villaggio) è in origine, secondo gli etimologisti, il saluto che si s cambiavano coloro che si riconoscevano dello stesso v aggio. paesaggio è la casa dell'essere.
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samente da quelo che avviene nell'animale, si riutano a noi nella misura stessa in cui siamo inchiodati ad esse. «esserci si trova così consegnato all'ente che si riuta nella sua totalità». uomo, annoiandosi, è consegnato, cioè, a qualcosa che gli si riuta, esatta mente come l'anmale, nel suo stordimento, è esposto in una non rivelazione. Ma, a dierenza de'animale, l'uomo, dimorando nella noia, sospende rapporto immediato con l'ambiente: egli è un animale che si annoia e percepisce così per la prima volta come tale cioè come un ete il disinibitore che gli si riuta Ciò signica, aoa , che il mondo non si apre su uno sp azio nuovo e ulteriore, più pio e luminoso, conquistato al di à dei limiti dell' ambiente anime e senza relazione con esso. A contrario, esso si è aperto solo attraerso una so spensione e una disattivazione del rapporto animale c disinibitore. aperto, il libero spazio dell'essere , non nominano qualco sa di radicalmente altro rispetto al nonaperto de'animale: ess ono soltanto l'aerramento di un indisvelato, la sospensione e la cattura del nonvederel'alodolal'aperto. apertura che è in quesione nel mondo è essenzialmente apertura a una chiusura, e colu he guarda nell'aperto vede solo un richiudersi, vede solo un nonvedere. Per questo in quanto, cioè, mondo si è aperto solo attraverso l' interruzione e la ncazione del rapporto del vivente col suo disinibitore l'ess er è n dall'inizio traversato dal nulla e il mondo è costitutivamente sgnato da negatività e spaesamento. Si comprende che cos'è il paesaggio solo se s'intende che esso rappresenta, rispett a'a mbiente animale e al mondo umano, uno stadio ulteriore. Quando guardiamo un paesaggio, noi certo vediamo l'aper to, contempiamo il mondo, con tutti gli elementi che lo compongono (le fonti antiche elencano fra questi i boschi, le colle, gli specchi d' acqua, e ville, i promontori, le sorgenti, i torrenti, i canali, le greggi e i pasti, gente a piedi o in bar ca, che va a caccia o vendemmia . . . ); ma q esti, che non erano già più parti di un ambiente
animale, sono ora per così dire disattivati uno a uno sul piano dell' essere e percepiti nel loro insieme in una nuova dimensione. Li vediamo, perfettamente e limpidamente come non mai, e tuttavia non li vediamo già più, perduti felicemente, immemorabilmente perduti nel paesaggio. essere, en état de paysage, è sospeso e reso inoperoso, e il mondo, divenuto perfettamente inappropriabile, va per così dire al di là dell'es sere e del nulla. Non più animale né umano, chi contempla il paesaggio è soltanto paesaggio. Non cerca più di comprendere, guarda soltanto. Se il mondo era l'inoperosità del'ambiente animale, il paesaggio è, per così dire, inoperosità del'inoperosità, essere disattivato. Né disinibitori animali né enti, gli elementi che formano il paesaggio sono ntologicamente neutri. E la negatività, che, nella forma del nulla e della non apertura, ineriva al mondo poiché questo proveniva dalla chiusura animale, di cui era sotanto una sospensione è ora congedata. In quanto si è portato, in questo senso, al di là dell'essere, il paesaggio è la forma eminente dell'uso. In esso, uso di sé e uso del mondo coincidono senza residui. La giustizia, come stato del mondo in quanto inappropriabile, è qui l'esperienza decisiva. paesaggio è la dimora nell'inappropriable come formadivita, come giustizia. Per questo, se nel mondo l'uomo era necessariamente gettato e spaesato, nel paesaggio egli è nalmente a casa. Pays!, paese! (da pagus, villaggio) è in origine, secondo gli etimologisti, il saluto che si s cambiavano coloro che si riconoscevano dello stesso v aggio. paesaggio è la casa dell'essere.
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Che cos'è un comando?
Cercherò ogg i semplicemente di presentai il renconto di una ri cerca in corso, che concerne l'archeologia del comando. Più che di una dottrina da trasmettere, si tratterà di concetti nea loro relazio ne strategica a un problema o di strumenti nella lor relazione a un possibile uso, che starà a voi, se ne avrete voglia, praticare. 'inizio della ricer ca, mi resi subito conto che dovevo confrontarmi con due dicoltà preliminari non preventivae. a prima era che la formulazione stessa della ricerca archeoloa del comando conteneva qualcosa come un'aporia o una contraddizione. L archeologia è la ricerca di un'arché, di un'origine, m i termine greco arché ha due signicati: signca tanto "origine, prncpio, quanto "comando, ordine. Così, verbo archo signica "inziare, essere il primo a fare qualcosa, ma signica anche "candare, essere capo. Senza dimenticare che l'arconte (letteralente "colui che comincia) era in Atene la suprema magistratura. Questa omonimia o, piuttosto, questa polisemia è nelle nostre lingue un fatto così comune che non ci stupiamo d rovare elencati sotto uno stes sa lemma nei nostri dizionari signict almeno in apparenza lontanissimi fra lro, che poi paziente lavoro dei linguisti cerca di ricucire in un etimo comune. o credo ce questo doppio movimento di disseminazione e di riunicazione semantica sia con
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Che cos'è un comando?
Cercherò ogg i semplicemente di presentai il renconto di una ri cerca in corso, che concerne l'archeologia del comando. Più che di una dottrina da trasmettere, si tratterà di concetti nea loro relazio ne strategica a un problema o di strumenti nella lor relazione a un possibile uso, che starà a voi, se ne avrete voglia, praticare. 'inizio della ricer ca, mi resi subito conto che dovevo confrontarmi con due dicoltà preliminari non preventivae. a prima era che la formulazione stessa della ricerca archeoloa del comando conteneva qualcosa come un'aporia o una contraddizione. L archeologia è la ricerca di un'arché, di un'origine, m i termine greco arché ha due signicati: signca tanto "origine, prncpio, quanto "comando, ordine. Così, verbo archo signica "inziare, essere il primo a fare qualcosa, ma signica anche "candare, essere capo. Senza dimenticare che l'arconte (letteralente "colui che comincia) era in Atene la suprema magistratura. Questa omonimia o, piuttosto, questa polisemia è nelle nostre lingue un fatto così comune che non ci stupiamo d rovare elencati sotto uno stes sa lemma nei nostri dizionari signict almeno in apparenza lontanissimi fra lro, che poi paziente lavoro dei linguisti cerca di ricucire in un etimo comune. o credo ce questo doppio movimento di disseminazione e di riunicazione semantica sia con
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pura origine, un semplice "venire alla presenza disgiunto da ogni
quasi per abbandonare comando, quando trova nalmente un reg
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pura origine, un semplice "venire alla presenza disgiunto da ogni comando. n secondo che non sarà ilegittio denire l'interpre tazione democratica di Heidegger è il tentativo simmetricamente opposto di Jacques Derrida di neutralizzare l'origine per raggiungere un puro imperativo, senz' altro contenuto che l'ingiunzione: interpreta! (anarchia mi è sempre parsa più interessante della democrazia, ma va da sé che ciascuno è qui libero di pensare come crede) . In ogni caso, credo che possiate ora intendere senza dicoltà a che cosa mi riferivo quando evocavo le aporie con cui un'archeologia del comando deve confrontarsi. Non vi è 'arché per il comando, perché il comando stesso è l'arch è l'origine o, almeno, è nel luogo dell'origine.
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La seconda dicoltà con cui dovevo confrontarmi era l'assenza quasi completa nea tradizione losoca di una riessione sul co mando. Vi sono state e vi sono tuttora ricerche sull'obbedienza, su perché gli uomini obbediscono, come il bellissimo Dcorso sulla servitù volontaria di La Boétie; ma nulla o quasi troviamo sul necessario presupposto dell'obbedienza, cioè sul comando e su perché gli uomini comandino. o mi ero invece formato la convinzione che il potere non sia denito soltanto dalla sua capacità di farsi obbedire, ma innanzitutto dalla sua capacità di comandare. Un potere non cade quando non è più o non è più integralente obbedito, ma quando cessa di dare ordini I uno dei più bei romanzi del X secolo, Lo stenrdo di exander LeetHolenia, vediamo l'esercito plurazionale de'impero austroungarico nel punto in cui comincia a disgregarsi, verso la ne della pra guerra mondiale. Un reggiento di ungheresi riuta im provvisamente di obbedire all'ordine di marcia ipartito dal comandante austriaco. n comandante, sbalordito di fronte a questa inattesa disubbidienza esita, consulta gli altri uciali, non sa che fare e sta
quasi per abbandonare comando, quando trova nalmente un reg gimento di un'altra nazionalità che obbedisce ancora ai suoi ordini e fa oco sugli insorti. Ogni volta che un potee è in disfacimento, nché qualcuno dà ordi, si troverà sempre anche qualcuno, magari uno solo, che gli obbedirà: un potere cessa di esstere soltanto quan do smette di dare ori. È quello che è success Germania al mo mento della caduta del muro e Italia dopo 1'8 settembre 1945: non era cessata l'obbedienza, era venuto meno il coando. Di qui l'urgenza e la necessità di un'archeologia del comando, di una ricerca che interrogasse non solo le ragioni ell'obbedienza, ma anche e innanzitutto quelle del co mando Dal momento che la losoa non sembrava però fornirmi alcuna denizione del concetto di comando, decisi di cominciare innanzitutto con un'analisi della sua forma linguistica. Che cos'è un comando dal punto di vista dea lingua? Qua l è a sua grammatica e quale la sua logica? A questo proposito la tradizione osoca m foiva uno spunto decisivo: la fondamentale divisione degli enunciati linguistici che Aristotele stabilisce in un passo del Peri hermn eias, che, escludendo una parte di essi dalla considerazione osoca, s rvelava essee all'origine della scarsa attenzione che la logica ccientale ha ac cordato al comando. «Non ogn iscorso» scrive Aristotele (De int. , 17 a 1 7 ) «è apofantico, ma è tale solo quel discoso in cui è possibile dire il vero o il falso (aletheuein e pseudesthai Ciò non avviene in tutti i discorsi: ad esempio, la preghiera è un discorso (logos), ma essa non è né vera né falsa. Non ci oc cuperemo pertanto di questi altri discorsi, perché la loro indagine compete alla retorica e alla poetica; oggetto del presente studio sarà solo il discors apofantico». Aristotele sembra qui aer mentito, perché, se apriamo il suo trat tato sulla Poetica, scopriamo che l'esclusione della preghiera è cu riosamente ripetuta ed estesa a un vasto insieme di discorsi non apofantici che comprende anche il comando:
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