ACROPOLI-AREOPAGO E PNICE -Longo Forma Urbis 2011.pdf

October 20, 2017 | Author: Athanasios N. Papadopoulos | Category: Athens, Rome, Ancient Greece, Archaeology, Greece
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UN PROGETTO PER LA TOPOGRAFIA DI ATENE L’IMPEGNO DELLA SCUOLA ARCHEOLOGICA ITALIANA DI ATENE DI

EMANUELE GRECO*

Si chiama SATAA (Studi di Archeologia e di Topografia di ta dai successivi Direttori, ho cercato, nei limiti consenAtene e dell’Attica) la nuova serie, l’ultima nata, della Scuotiti dai ritmi accademici e dai vari obblighi istituzionali, la Archeologica Italiana di Atene. Ad aprirla sono signifidi organizzare un seminario permanente di archeologia cativamente otto tomi di Topografia di Atene. Sviluppo urbaateniese. L’operazione che meglio mi è riuscita è stata no e monumenti dalle origini al III secolo d.C. con i quali si quella di suscitare entusiasmo intorno al progetto. Il lavovede concretizzato fattivamente un auspicio che avevo ro, svoltosi tra il 2001 e il 2007, ha visto impegnati, in formulato già nel corso del 2001. Mi auguravo allora che due distinti momenti dell’anno, più di una ventina di il pur prezioso volume di J. Travlos (Bildlexikon zur Topoallievi e di giovani studiosi coordinati da Fausto Longo e graphie des antiken Athen, 1971) e che l’imprescindibile, ma Maria Chiara Monaco. Nonostante le numerose diffiormai decisamente datata, opera di W. Judeich (Topocoltà e i non dimenticati e concreti rischi di chiusura, è graphie von Athen, 19312), potessero essere aggiornati non stato grazie alla loro eccellente preparazione e al loro solo quantitativamente, ma sulla base di un nuovo encomiabile attaccamento alla ricerca che proprio la approccio concettuale e editoriale. Scuola da me diretta, tra tutte le Istituzioni che operano Ora anche Atene, analogamente a Roma, ha un suo in Grecia, è riuscita nell’intento. monumentale lessico topografico. L’opera, finanziata da Il lavoro ha l’ambizione di rappresentare la storia topoARCUS SpA (Progetto “Lessico Topografico di Atene”) grafica di Atene senza trascurare l’apporto di tutta una e edita dalla Pandemos, consta di otto tomi. I primi quatserie di discipline e di punti di vista e senza dimenticare tro esaminano le evidenze archeologiche comprese il costante confronto con le fonti scritte non solo di per entro le mura temistoclee, unitamente al Ceramico sé, ma con il corollario di tutte le interpretazioni rese esterno e all’Accademia; il quinto tratta delle emergenze possibili dalla diversità degli approcci antropologici, storinvenute tra la città e il mare (Lunghe Mura, Falero e rico-politici, economici e religiosi. Dunque non solo un Pireo); il sesto, un vero e proprio lessico topografico, ha aggiornamento, ma un’opera che mira a ripensare la stocomportato il sistematico spoglio delle fonti epigrafiche ria dello spazio urbano ateniese sottoponendo continuae letterarie greche e latine al fine della redazione di un mente a verifica critica le opinioni accreditate dagli stulemmario in grado di archiviare finalmente l’unico reperdi passati. torio finora esistente della fine del XIX secolo (A. Milchhoefer, in E. Curtius, Die Stadgeschichte von Athen: mit *Emanuele Greco è Direttore della SAIA - Scuola einer Uebersicht der Schriftquellen zur Topographie von Athen, Archeologica Italiana di Atene 1891); di taglio diacronico il settimo tomo nel quale si propone una storia dello sviluppo urbano dall’età micenea a quella romana; infine la stoScheda volume ria degli studi, la bibliografia e gli indici sono compresi nel tomo finale, l’ottavo. Emanuele Greco, Topografia di I volumi (il primo, sull’Acropoli, l’Areopago e l’aAtene. Sviluppo urbano e monurea tra Acropoli e Pnice è stato pubblicato a marmenti dalle origini al III secolo zo, il secondo è in uscita, il terzo e il quarto pred.C., Tomo 1: Acropoli, Areopavisti nei prossimi mesi) sono arricchiti da numego, tra Acropoli e Pnice (con la collaborazione di Fausto Lonrose immagini, fotografie e piante, quasi tutte riego e Maria Chiara Monaco), laborate. Ad esse si aggiungono, nelle tasche Scuola Archeologica Italiana di esterne di ciascun tomo, dettagliate piante di area Atene - Pandemos, Atene – cui, nel quarto tomo, seguirà la carta archeologiPaestum 2010 – 304 pp.; 71 ill., ca complessiva dell’Asty. 2 piante f.t.; 27 cm (SATAA Rinnovando una tradizione di studi avviata alla 1.1) – ISBN 88-87744-34 Scuola, già da Alessandro Della Seta e continua-

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RITORNO AD ATENE STRADE, MONUMENTI, ABITAZIONI TRA STORIA SOCIALE, POLITICA E RELIGIOSA DALLE ORIGINI AL III SECOLO D.C. L’Acropoli: da manifesto delle vittorie sulla barbaritas ad area archeologica di Maria Chiara Monaco* ell’immaginario collettivo l’Acropoli di Atene sta per Pericle, per Fidia, per il Partenone. La rocca come specchio dell’età classica, come glorificazione marmorea di Atene vincitrice sui Persiani, come massima espressione artistica di quell’impero che, nel V secolo a.C., vide la città padrona dell’Egeo. Ma non è questa, è un’altra la storia che

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oggi, partendo dalle pagine del primo tomo della Topografia di Atene, vogliamo raccontare. Lontano ormai l’orizzonte pericleo, perso il fratricida conflitto con Sparta, svanite le effimere vittorie del IV secolo a.C., gli scarsi interventi ellenistici costituiscono una fondamentale premessa ideologica al significato che la rocca assumerà in età romana. Qui due dei figli di Attalo I celebrarono, con altrettanti pilastri sormontati da quadrighe, le rispettive vittorie nelle gare equestri delle Panatenee. Ma qui soprattutto Attalo I (o Attalo II) fece collocare, addossate al muro meridionale, lungo la fronte principale del Partenone (quella orientale), i quattro gruppi bronzei del celeberrimo Piccolo Donario raffiguranti una Gigantomachia,

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un’Amazzonomachia, una battaglia tra Greci e Persiani (Maratona) e una Galatomachia. La vittoria degli Attalidi contro i barbari Galati assurta quindi al rango delle vittorie sui Persiani e l’Acropoli tutta, ma in particolare il Partenone e la sua fronte principale, divenuti il punto di riferimento universale e il catalizzatore dei trionfi dell’Occidente sull’Oriente, della civiltà sulla barbarie. Ecco allora perché, dopo le distruzioni e i saccheggi sillani, l’unica significativa addizione monumentale di età romana, ancora una volta, è davanti alla fronte orientale del Partenone. Si tratta di un piccolo monopteros dedicato dal demos alla dea Roma e a Cesare Sebastos creato probabilmente nel 19 a.C. quando Augusto, rientrato dall’Oriente, dopo il successo diplomatico che gli fruttò la restituzione delle insegne cadute in mano ai Parti, visitò Atene per la terza volta. Sono numerose le nuove dediche (tra queste, accanto al Piccolo Donario, le statue di Marco Antonio e di Cleopatra) e i riutilizzi delle basi. I pilastri attalidi furono ridedicati, l’uno a Marco Agrippa, l’altro probabilmente ad Augusto. Non basta. È ancora sull’architrave della facciata orientale del Partenone che un notabile filoromano, nonché gran sacerdote del culto imperiale, fece incidere un’epigrafe per Nerone in lotta contro i Parti. Non meno ostentato il favore concesso ad Adriano, filelleno per eccellenza, che, in quanto rifondatore e protettore della città, ebbe il privilegio di vedere una sua immagine presso la cella del tempio. Pur non scemando la fama della rocca, tale file rouge si interruppe bruscamente a partire dal III secolo d.C. Sarà ora la barbaritas ad avere spesso la meglio e la valenza militare dell’Acropoli tornerà prepotente alla ribalta. A seguito del, pur controverso, sacco degli Eruli (267 d.C.) la rocca fu inglobata entro una ben più ristretta cortina difensiva comprendente la sola parte settentrionale della città e se ne rafforzò l’accesso con la cd. Porta Beulé. Nel secolo successivo ai Visigoti di Alarico si deve probabilmente l’incendio che distrusse il nucleo centrale del Partenone arrecando gravi danni alla Parthenos. I restauri compresero una nuova copertura del solo nucleo centrale del tempio, la creazione di una, ben più modesta, immagine della dea e di una 26

A pag. 21: La facciata orientale del Partenone (da SATAA 1.1) In alto: Restituzione del Tempio di Roma e Augusto e del Partenone (da SATAA 1.1) In basso: L’Eretteo (da SATAA 1.1)

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nuova peristasi della cella. Quando Giustiniano, a causa delle persistenti minacce barbariche, decise di rinforzare i bastioni dell’Acropoli, la sua delibera del 529 d.C. era già in atto. Con l’intento di porre termine alle dottrine che distoglievano dalla religione cristiana sancì la definitiva chiusura delle scuole filosofiche e dei templi cittadini. Non fece eccezione il Partenone che, già spogliato del simulacro della dea, fu trasformato in chiesa dedicata alla Madre di Dio. Nonostante gli indispensabili adattamenti, il nuovo edificio di culto ne lasciò comunque inalterata la struttura. Presto anche l’Eretteo e parte dei Propilei furono convertiti in chiese. Nel 1204 i Franchi, impossessatisi della città, fortificarono i Propilei con poderosi bastioni difensivi. Consistenti segni di attività edilizia si registrano tra il 1388 e il 1456, quando gli Acciaiuoli, potenti mercanti e banchieri fiorentini, si impadronirono di Atene. L’Acropoli assunse allora l’aspetto di rocca medievale fortificata, i Propilei furono trasformati nella loro residenza, la cd.Torre Franca ne occupò l’ala meridionale e l’Eretteo divenne sede vescovile.

Pochi i viaggiatori occidentali. Alcuni pellegrini che, diretti in Terra Santa, facevano tappa in città e uomini d’affari in visita agli Acciaiuoli. Tra questi Ciriaco de’ Pizzicolli d’Ancona che tra il 1436 e il 1444 visitò l’Acropoli, trascrisse l’epigrafe del monopteros di Roma e Augusto e disegnò il Partenone. Con l’occupazione turca (1456) l’isolamento della città si accrebbe ulteriormente e anche i pellegrini predilessero rotte più meridionali. Bisognerà attendere la seconda metà del XVII secolo perché Atene torni a essere visitata da viaggiatori occidentali, in particolare francesi. Nonostante i numerosi mutamenti subìti, le trasformazioni in moschee, i danni riportati dai Propilei a seguito di un’esplosione, i principali monumenti restarono sostanzialmente intatti fino alla prima metà del XVII secolo. Prova ne sono i disegni, le descrizioni e le vedute dell’epoca. I maggiori danni dovevano sopraggiungere di lì a poco, a seguito dei combattimenti che un’alleanza di potenze europee, capeggiata da Venezia e finanziata dal Papa, ingaggiò contro i Turchi. I Veneziani, guidati dal generale Francesco Morosini, cinsero d’assedio l’Acropoli. Per prepararsi alla difesa gli assediati avevano già provveduto a smantellare il tempietto di Atena Nike e a riutilizzarne le porzioni nel bastione occidentale. Il 26 settembre 1687 una bomba lanciata dai Veneziani squarciò il Partenone pieno di polveri. Morosini, non pago di quanto già fatto, tentò invano di rimuovere le sculture centrali dal frontone occidentale del tempio. Di stampo opposto, ancorché circoscritto a un solo secolo, l’approccio settecentesco. L’Età dei Lumi registra infatti l’arr ivo di numerosi viaggiatori occidentali che studiarono, descrissero, misurarono e disegnarono le vestigia dell’Acropoli rispettandone l’integrità (tra gli altri: James Stuart, Nicolas Revett, Richard Chandler). Diversamente il XIX secolo si schiuse nel segno delle razzie. Lord Elgin, ambasciatore della Gran Bretagna presso Costantinopoli, ottenuto un fir mano, rimosse gran parte della decorazione scultorea del Partenone, una delle korai della Loggia delle Cariatidi, una colonna del portico orientale dell’Eretteo e alcune lastre del fregio del tempietto di Atena Nike. Grande e unanime lo sdegno che Lord Byron ben manifestò e che, a tutt’oggi, sta alla base della richiesta greca della restituzione dei Marmi Elgin. Nel 1833, con la nascita dello stato unitario e indipendente, fu il 27

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molto controverso progetto dell’architetto tedesco Leo von Klenze a condizionare le vicende della rocca. Se da un lato si prefiguravano Acropoli e pendici come una vera e propria area archeologica, dall’altro si prevedeva la sistematica rimozione di tutte le evidenze di età più tarda. Le due operazioni, scaturite dalla precisa volontà di ripristinare solo quanto era classico, procedettero di pari passo. L’ideologia infatti collegava in modo diretto la cultura del nuovo Stato con la conservazione e il restauro dei monumenti antichi di periodo pericleo, in particolare con il Partenone, già assurto a simbolo per eccellenza. Nel marzo 1835, la guarnigione bavarese, che aveva preso il posto delle truppe ottomane, scese dalla rocca e la gestione passò dall’autorità militare a quella culturale. Pochi giorni più tardi, in base a una ordinanza emessa dal Direttore Generale delle Antichità, l’Acropoli fu dichiarata area archeologica e aperta al pubblico. *Maria Chiara Monaco è professore di Archeologia Greca e Romana presso l’Università degli Studi della Basilicata. Collabora da anni con la Scuola Archeologica Itaiana di Atene a numerosi progetti scientifici e a ricerche sul campo (Lemno, Rodi, Messenia). Sotto la direzione di Emanuele Greco e insieme a Fausto Longo, coordina il seminario permanente di studi sulla Topografia di Atene. È autrice di monografie e di diversi saggi e articoli dedicati in particolare all’archeologia del mondo greco.

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In alto: Veduta dell’Acropoli e dei Propilei dalla Pnice (da SATAA 1.1) In basso: Plastico ricostruttivo dei Propilei trasformati nella residenza degli Acciaiuoli A pag. 25: Pianta dell’Acropoli di Atene (da SATAA 1.1. arch. O. Voza)

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Tra Acropoli, Areopago e Pnice: un angolo di Atene antica di Fausto Longo* a passeggiata lungo una delle più belle strade di Atene moderna, la via dedicata all’Apostolo Paolo che visitò la città nel tentativo, non riuscito, di convertire gli Ateniesi al Cristianesimo, offre l’opportunità di soffermarci su un angolo cittadino, mai urbanizzato. È qui, nell’avvallamento tra la collina della Pnice e l’Acropoli, immediatamente a sud-ovest dell’Areopago, che alla fine del XIX secolo gli scavi dell’Istituto Archeologico Germanico di Atene portarono alla luce un denso quartiere abitativo i cui resti sono spesso trascurati da visitatori distratti o, più spesso, attratti dalla bellissima veduta del Tempio di Atena Nike e dei Propilei alle cui spalle svetta, maestoso, il Partenone. Eppure presso le pendici occidentali dell’Acropoli, che hanno dato il nome a una classe ceramica a vernice nera, graffita o sovraddipinta, in uso tra il IV e il I sec. a.C. (WestSlope Pottery), vi è una delle poche aree della città dove sarebbe ancora possibile effettuare scavi. Nonostante queste potenzialità, svelate tra il 1891 e il 1898 grazie alle intense ricerche effettuate dall’archeologo tedesco Wilhelm Dörpfeld, nessuna équipe ha proseguito le indagini che, negli anni Sessanta (e poi ancora di recente), si sono limitate a piccoli interventi mirati allo studio e al restauro delle strutture ancora a vista. L’area archeologica, purtroppo visibile solo dal muro di delimitazione della strada moderna, è caratterizzata dalla presenza di una via che attraversa la valle da nord a sud e che mette in collegamento la parte meridionale della città con le pendici settentrionali dell’Areopago e il Ceramico interno. Su questo importante asse viario si innestano strade di minori dimensioni, non ortogonali, alcune delle quali, mediante tagli nella roccia, si prolungano sulle pendici delle colline adiacenti. Ancora oggi è possibile apprezzare la densità abitativa di un quartiere fondamentale per l’organizzazione urbana: da questa strada si raggiungevano a est l’Acropoli, a nord-est l’Areopago e l’Agorà del Ceramico, a ovest la Pnice con l’ekklesiasterion, a sud-ovest Koile e, a sud-est, i quartieri meridionali e la valle dell’Ilisso. Questo asse stradale principale, dopo aver delimitato a occidente l’Areopago, si diramava in tre ulteriori percorsi: a nord-ovest piegava in direzione dell’Agorà, a nord proseguiva in direzione del Dipylon (era questa la via di Melite, nel quartiere abitato da Temistocle), mentre a sud-ovest si dirigeva verso la Pnice, sede delle assemblee cittadine. Molto probabilmente questa strada corrisponde allo stenopos Kollytos menzionato nelle fonti. Se l’identificazione è corretta tutto il settore della città in esame doveva far parte del demos di Kollyttos, un quartiere molto vivace, abitato da etere, come ricordano Plutarco e Alcifrone, e dove i bambini, come testimonia Tertulliano, non certo per caso,

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Il cd. Baccheion (da SATAA 1.1)

cominciavano a parlare prima che altrove. Oggi il ‘quartiere’ è convenzionalmente identificato con il nome del direttore dell’Istituto Archeologico Germanico che diresse gli scavi nell’ultima decade del XIX secolo. I risultati di quella intensa stagione di ricerche sul campo furono rapidamente pubblicati in relazioni preliminari apparse sulle Athenische Mitteilungen dalle quali si comprendono le modalità di scavo consistenti per lo più in ampi sterri che oggi rendono difficile la comprensione dei contesti di rinvenimento e le cronologie dei differenti complessi monumentali. Se grande attenzione fu posta alle aree di culto, scarso fu l’interesse verso le strutture abitative sebbene queste siano ancora in buono stato di conservazione e presentino, a volte ancora a vista, decorazioni musive. L’attività di indagine, e quindi i risultati raggiunti da Dörpfeld, furono condizionati da una lettura pregiudiziale: lo studioso tedesco pensava infatti di aver localizzato la primitiva Agorà di Atene. Più precisamente Dörpfeld aveva ritenuto di riconoscere l’Enneakrounos (la fontana realizzata da Pisistrato e ricordata da Pausania) in una fontana-cisterna alle pendici orientali della Pnice e il santuario di Dionysos en Limnais, da lui assimilato al Lenaion, nella stessa area dove in epoca tardo29

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A destra: La collina dell’Areopago (da SATAA 1.1) In basso: Restituzione della planimetria e dell’alzato della casa Omega alle pendici nord-orientali dell’Areopago (da SATAA 1.1) A pag. 29: Pianta dell’Areopago e del demos Kollyttos (quartiere Dörpfeld) (da SATAA 1.1. arch. O. Voza)

imperiale sorgeva un edificio a tre navate identificato, sulla base di un’iscrizione del II sec. d.C., come Baccheion, la sede della corporazione degli Iobacchi. Ricostruire il quadro dell’occupazione privata di quest’area in epoca arcaica è pressoché impossibile in assenza di dati. Frustuli di muri, pozzi e cisterne testimoniano la densità abitativa, ma la mancanza di una dettagliata documentazione non consente di affrontare una discussione di carattere diacronico e, quindi, di cogliere il processo di trasformazione dell’area. In epoca tardo classica il quartiere è occupato da alcune abitazioni; di queste conosciamo i nomi di proprietari costretti a ipotecare i loro beni: è il caso di Periandro di Cholargos, un personaggio politico del IV secolo a.C., e di Aristodemo di Aphidna, non altrimenti noto. Con difficoltà riusciamo a seguire lo sviluppo urbanistico in età ellenistica e poi romana. Della fase romana si conserva un bel pavimento musivo del II secolo d.C. realizzato all’interno di un vano di una casa tardo classica e un grande complesso abitativo di 750 m2 risalente al III secolo d.C. che ci fa appena intuire la continuità abitativa del quartiere. 30

Per l’età romana meglio note sono le case alle pendici nord-occidentali e nord-orientali dell’Areopago, la collina in epoca arcaica e classica sede del tribunale che giudicava i delitti di sangue. Tra le case romane se ne distingue una che imita modelli abitativi occidentali e che è al momento unica nel panorama dell’architettura domestica della città: la casa presenta infatti un peristilio con otto colonne e un giardino con vasca rettangolare. Di ben altre dimensioni le strutture abitative tardo antiche sulle pendici nord-orientali che giungono a coprire superfici fino a 1800 m2. Tra queste grandi dimore si segnala la Casa Omega della seconda metà del IV secolo a.C. che si articola in tre nuclei distinti ciascuno centrato su un cortile. Di recente lo studioso Athanassiadi ha creduto di riconoscere in questa abitazione, che presentava una ricca decorazione scultorea di tradizione classica, la residenza-scuola di Damascius, l’ultimo scolarca dell’Accademia. La mutilazione e il reimpiego di diverse statue sono stati ritenuti conseguenza della chiusura delle scuole filosofiche da parte dell’imperatore Giustiniano nel 529 d.C., mentre il ritrovamento di una mensa e di alcune lucerne recanti come simbolo una croce è stato messo in relazione con la presenza cristiana. A prescindere da queste interpretazioni è certo che la Casa Omega, come le altre ricche dimore ateniesi dell’epoca, doveva essere abitata da ricchi personaggi, non sempre intellettuali di professione. Questo mondo ateniese, ancora molto vivace nel corso della prima metà del VI sec. d.C., sarà destinato presto a spegnersi definitivamente. n

*Fausto Longo è ricercatore presso l’Università degli Studi di Salerno dove insegna Urbanistica del Mondo Greco. Dal 2000 collabora a diversi progetti scientifici della Scuola Archeologica Italiana di Atene (scavi e ricognizioni in Acaia - Peloponneso) e in particolare al Progetto del Lessico Topografico. Dal 2007 co-dirige la missione archeologica italogreca a Festos (Creta). È autore di saggi e articoli dedicati alla topografia del mondo greco.

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