A.juvarra-Il Canto e Le Sue Tecniche

May 11, 2017 | Author: musilopes129 | Category: N/A
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Antonio Juvarra Il canto e le sue tecniche trattato RICORDI 1996 ISBN 88-7592-047-8 Indice Prefazione pag. 4 Introduzione I principi che regolano l'emissione corretta 7 1. Le sensazioni fonatorie e la terminologia vocale 12 2. Le classificazioni vocali 18 3. Cenni anatomici e funzionali sulla fonazione 23 4. La realizzazione dell'appoggio nel canto 31 5. Il ruolo del fiato nell'emissione e l'evoluzione dell'appoggio 36 6. Il "passaggio" o meccanismo di copertura della voce 43 7. Aspetti fonetici della risonanza 48 8. Il controllo dei risuonatori 53 9. L'emissione "sul fiato" 65 10. La percezione e il controllo mentale-immaginativo dell'emissione 69 11. Gli approcci pedagogici nazionali al canto 81 Conclusione 86 Bibliografia 89 Prefazione Cantare non e ovviamente cosa che si possa apprendere SOLO dai libri, ma dato che delle due ipotesi - costruire o distruggere una voce - la seconda è, se non la più frequente, di certo la più grave (essendo lo strumento "voce" insostituibile), riuscire a raggiungere uno scopo puramente "negativo" (la non-distruzione della voce) è da considerarsi già un risultato dei più importanti. Purtroppo l'elenco dei caduti continua a registrare nuove vittime dentro e fuori dei conservatori, oltrechè sulle scene. Imputare questo stato di cose all'incompetenza degli insegnanti sarebbe riduttivo, anche se indubbiamente la categoria degli insegnanti di canto annovera un cospicuo numero di micidiali ciarlatani. È facile tuttavia rendersi conto come il nocciolo del problema non risieda semplicemente in una questione di coscienza professionale, quando si pensi che tutto sommato può andare incontro agli stessi pericoli anche l'allievo di un cantante professionista. Questo può accadere perchè nel mondo del canto non sono rari i casi di persone che intraprendono gli studi vocali avendo già a disposizione un'emissione del suono, ossia una tecnica, che altre raggiungono invece soltanto dopo anni e anni di studio: è il fenomeno delle voci cosiddette "naturali", che non trova riscontro nell'ambito delle tecniche strumentali. È evidente ora che il problema di queste persone, una volta diventate insegnanti, è di tipo gnoseologico: non si può comunicare agli altri nè spiegare un processo, come quello vocale, di cui si è del tutto inconsapevoli, avendolo ricevuto in dote casualmente. Ma la casistica degli insuccessi nell'apprendimento del canto offre esempi di altro tipo e non mi riferisco tanto ai casi più eclatanti di tecniche vocali spudoratamente cervellotiche (più facilmente smascherabili a una prima verifica del rendimento sonoro) quanto a quelli più insidiosi in cui a una impostazione difettosa si accompagna un risultato acustico tutto sommato apprezzabile. Tecniche vocali di questo tipo possono spesso sopravvivere e diffondersi anche perchè

l'impegno vocale richiesto per esempio in un quinquennio di conservatorio non è tale da mostrarne l'intrinseca

fragilità e inconsistenza, ma una volta applicate sul palcoscenico, non reggono alla prova di una carriera professionale. La spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che un suono, a parità o quasi di rendimento acustico, può essere emesso con un grado ben diverso di fatica laringea. Ne deriva che la correttezza di una tecnica vocale deve essere giudicata innanzitutto misurandone il grado di affaticabilità, che a livello laringeo e faringeo deve essere zero, o per

lo meno irrilevante. Chi, per fare un esempio, dopo aver cantato un'ora di seguito, accusa in questa zona sensazioni di algesia, di malessere o di fastidio per cui proseguire diventa non dico impossibile, ma gravoso semplicemente, può star sicuro che nella sua tecnica c'è qualcosa di sbagliato. In questo senso la nozione di bel canto racchiude in sè un significato universale di buona tecnica vocale (il "cantare

sugli interessi e conservare il capitale della voce" del Rubini), prima ancora che un valore stilistico storicamente determinato, così come il canto spinto o quello poitrinée è il frutto di una cattiva impostazione che solo in un secondo momento diventa anche scelta estetica per una specie di circolo vizioso. Purtroppo il principio in base al quale solo l'emissione facile è l'emissione giusta difficilmente viene accettato per quello che è, cioè come un dato scientifico: talmente connaturata è in molti l'idea che l'"iniziazione" e il progresso in qualsiasi attività (quindi anche in quella vocale) debbano comportare sacrifici anche in termini di fatica e sforzo fisico, che molte volte il senso di costrizione e di affaticamento laringeo, conseguente a una tecnica difettosa, viene erroneamente interpretato come fase normale di un "allenamento" indispensabile "per irrobustire le corde vocali". Siamo arrivati così al punto cruciale del nostro discorso: abbiamo visto che l'accettabilità dal punto di vista estetico di un suono prodotto in base a una certa tecnica vocale non ne garantisce l'assoluta correttezza di emissione e d'altra parte gli insegnanti di canto dotati di un orecchio diagnostico così perfezionato da saper distinguere in base alle sole qualità acustiche un suono bello e corretto da un altro quasi altrettanto bello, ma scorretto, sono rarissimi e si confondono in mezzo ai tanti che, sprovvisti di questa dote, non possono che affidarsi all'empiria di metodi il più delle volte arbitrari, acriticamente ereditati dalla tradizione. In questa situazione di anarchia per cui ogni metodo vocale ne contraddice un altro, possono perpetuarsi le assurdità più nefaste in fatto di tecnica vocale; di qui la necessità di avvalersi del contributo della ricerca scientifica e didattica in questo campo al fine di passare al vaglio quanto di giusto, di superfluo o di nocivo è contenuto nelle varie tecniche.

Purtroppo da questo punto di vista la situazione nel nostro paese è di estrema arretratezza e bastino due fatti a dimostrarlo: 1) dei pochi libri di canto pubblicati in Italia i più importanti hanno un'impronta storicistica o saggistica così pronunciata da risultare inservibili come trattati di tecnica vocale; 2) all'ultimo Congresso internazionale per la ricerca scientifica del canto, che ha recentemente riunito a Rotterdam foniatri, ricercatori scientifici, cantanti e insegnanti di canto di tutto il mondo, figuravano i nomi di due soli italiani, e di questi due nessuno è un insegnante di canto. Dove trovare la spiegazione di tale disinteresse? Forse nella nostra cultura idealistica, per la quale le faccende dello

Spirito (fra cui rientra anche l'arte del [bel] canto) non devono avere niente a che fare con quelle della scienza e della tecnica (benchè, a dire il vero, lo stesso problema sia lamentato anche in paesi come l'Inghilterra a cultura pragmatistica). Più verosimilmente le cause sono da ricercarsi nella mentalità e nella concezione della Voce come dono di natura che per secoli hanno avuto i nostri cantanti. Se come "primedonne" poterono permettersi molte volte il lusso di restare analfabeti musicali, una volta divenuti insegnanti di canto avranno con tutta probabilità continuato a ritenere assolutamente superfluo l'approfondimento di un processo che per loro avrà sempre avuto i caratteri della "naturalezza", dell'"istintività" o della "soggettività". Oggi per fortuna anche in Italia (nonostante perduri nei conservatori un programma ministeriale ad usum cantorum) la forma mentis e la figura stessa del cantante e dell'allievo di canto stanno cambiando: sempre di più essi tendono a considerarsi ormai come semplici professionisti alla stregua degli strumentisti, sempre più di conseguenza si avverte

l'esigenza di libri di tecnica vocale che in concreto e non per magia verbale, come in molte scuole succede, aiutino a capire e a risolvere sulla base di una teoria scientifica credibile i problemi che via via si presentano. Introduzione I principi che regolano l'emissione corretta Un pregiudizio diffuso considera il canto appannaggio esclusivo dei pochi fortunati "nati con la voce"; di conseguenza anche lo studio del canto, secondo questa concezione, risulta un'attività alquanto misteriosa, dai mezzi e dai fini indefiniti, senza i crismi della tangibilità oggettiva e della razionalità metodologica che sarebbero proprie della didattica strumentale. Ed è proprio la natura di strumento musicale che viene spesso negata alla voce, la tecnica vocale assolvendo semplici compiti di limatura delle imperfezioni e non già di formazione globale. Così mentre non ci si meraviglia se un allievo di pianoforte per la prima volta davanti alla tastiera non sa coordinare le due mani, da un allievo di canto alle prime armi troppe volte si pretendono un volume e un'estensione di tipo operistico, pena il marchio di persona senza voce. In realtà i casi non rari di cantanti anche illustri che si sono "costruiti" da zero la voce, ci fanno capire come l'elemento determinante nell'apprendimento del canto sia dato non dalla voce, ma da quello che alcuni chiamano talento, altri predisposizione, altri ancora intelligenza, con cui s'intende un insieme di sensibilità acustica e di duttilità nel controllo della coordinazione muscolare, tali da far riuscire ad emergere (ovviamente con l'aiuto di una guida esterna) la parte nascosta di quell'iceberg che è la voce e di cui la punta rappresenta la voce parlata. In questo senso l'affermazione per cui chi ha voce per parlare ha anche voce per cantare (purchè ovviamente l'organismo sia sano) perde molto del suo carattere semplicistico e propagandistico per avvicinarsi molto alla realtà. Fare emergere o costruire il proprio strumento vocale non significa necessariamente aver trovato uno Stradivari, essendo la qualità della voce ovviamente condizionata anche dal materiale fisiologico a disposizione. Volendo tuttavia considerare la questione da più punti di vista, si può anche affermare che molti proprietari di materiale vocale di prim'ordine si scontrano dopo anni di studio con la propria incapacità di plasmarlo e di progredire, superati spesso da altri meno forniti di mezzi naturali, ma che hanno saputo valorizzare ed esaltare particolari qualità della propria voce. Queste possono essere rappresentate non solo e necessariamente dall'intensità, dal volume e dal colore, ma anche dalla morbidezza, dalla leggerezza, dalla pastosità, dalla brillantezza e così via, lavorate e perfezionate a tal punto da divenire spesso caratteristiche distintive di determinati cantanti. È triste vedere enormi potenzialità vocali rimanere tali dopo anni e anni di studio ed è per contro esaltante assistere al crescere graduale, da semi insignificanti, di lussureggianti voci. Il primo problema che più o meno tutti gli allievi devono all'inizio affrontare è rappresentato da un senso di "inafferrabilità" o "impalpabilità" della voce, percepita come qualcosa di indefinito e sgusciante. Niente ci appare più vicino e nello stesso tempo più lontano della vóce: estremamente duttile nell'espressione immediata delle più sottili emozioni che percorrono la nostra comunicazione parlata, sensibilissima nel registrare automaticamente le più piccole variazioni di umore (tanto da plasmarsi gradualmente a

immagine e somiglianza del carattere che andiamo costruendoci), essa diventa per contro dura, rigida, inafferrabile e ingovernabile quando cerchiamo di utilizzarla consapevolmente come mezzo di espressione artistica e strumento musicale. È superfluo chiedersi se sia nata prima la voce parlata o quella cantata: in principio erano dei suoni, pure manifestazioni dell'istinto, che gradualmente sono andati piegandosi e colorandosi dei vari moti e stati d'animo. In questo modo la voce è espressione viva, diretta e globale del nostro essere, tanto da rimanere spesso condizionata

negativamente dalle mille tensioni e blocchi che inconsapevolmente ci "abitano". Il non sapere "da che parte prenderla" ha creato nella mentalità comune il pregiudizio che vuole il possesso della voce cantata un dato naturale e non una questione di apprendimento con l'educazione. Purtroppo il diverso livello di preparazione tecnica dimostrato dai vari cantanti professionisti che vengono quotidianamente proposti all'attenzione

dei mezzi di comunicazione di massa, contribuisce a confondere invece che a chiarire le idee; nell'ambito della musica leggera cantanti con tipi di emissione diversissimi si affiancano ad altri, totalmente sprovvisti di qualsiasi tecnica, mentre i cantanti lirici restano confinati in una dimensione irreale, resi artificiali e incomprensibili da mezzi di comunicazione come la radio e la televisione, assolutamente inadatti a restituire il significato espressivo e funzionale di quella particolare vocalità. Abbiamo parlato di tecnica: essa ha lo scopo di fornire all'emissione cantata la stessa facilità e spontaneità di quando parliamo, consentendoci di modulare e plasmare a nostro piacimento la voce anche in zone

molto lontane dall'altezza della voce parlata, senza essere costretti a gridare per "far uscire" la voce, esperienza penosa e a lungo andare distruttiva per le corde vocali. Raggiungere un'emissione fisiologica significa quindi mettere l'organo vocale in condizione di funzionare al meglio, nel rispetto del principio della massima resa per il minimo sforzo. Questa ricerca del suono libero e rilassato deve costituire il punto di partenza di ogni tipo di educazione vocale (compresa quella operistica) e si attua sostituendo quei comportamenti muscolari abituali (e come tali scambiati spesso per naturali) che sono di freno e ostacolo a un'emissione libera, con altri che invece assecondano il corretto funzionamento. Le "cattive abitudini" sono in buona parte conseguenza diretta della tendenza a fare sempre qualcosa "in più" rispetto allo strettamente necessario, nel tentativo di aumentare il volume della voce e di vincere le resistenze derivanti da una scorretta coordinazione. Un paragone può risultare utile per chiarire meglio le idee a riguardo: se vogliamo migliorare la ricezione di una stazione radio, non è certo aumentando il volume che: possiamo eliminare le interferenze, bensì sintonizzandoci con maggior precisione su quella stazione. Alla stessa stregua, volendo passare a un diverso campo di attività, ugualmente vicino all'esperienza comune, ciò che impedisce a una macchina da corsa di decollare e prendere il volo non è la velocità, di per sè sufficiente, ma un assetto aerodinamico non adatto a questo scopo. La stessa cosa succede cantando: finchè rimaniamo in quella zona centrale-bassa della voce, che corrisponde approssimativamente all'altezza del parlato, la coordinazione muscolare è complessivamente corretta e l'emissione risulta facile. I problemi cominciano quando cerchiamo di aumentare l'intensità del suono (naturalmente debole in quella zona) o di salire alle note più acute. Ecco che improvvisamente, se non si è abbastanza esperti, affiorano tensioni e costrizioni alla gola che compromettono la resa sonora e affaticano le corde vocali. Dare più voce rappresenta in questi casi il classico rimedio peggiore del male, con un pericoloso circolo vizioso da cui è difficile uscire. Com'è possibile allora imboccare la strada giusta? L'emissione cantata è un processo molto complesso che coinvolge mente e corpo. Controllare direttamente e consapevolmente il funzionamento delle corde vocali è impossibile e ogni tentativo in questo senso porterebbe a un

aumento delle tensioni nocive. Gli interventi coscienti di natura meccanica sono quindi relativamente pochi, interessano parti del corpo diverse dalla laringe e vanno attuati conservando al complesso della muscolatura una flessibilità, un'elasticità e un certo "gioco", tali da consentire allo strumento-corpo di attuare automaticamente gli aggiustamenti laringei necessari. Quando s'incomincia lo studio del canto, la coscienza della voce è localizzata nell'area della gola, dove si concentrano tutti i tentativi di modificazione dell'emissione. Al contrario, un cantante avanzato nella tecnica sperimenta la voce come un fenomeno che interessa e coinvolge tutto il corpo, a eccezione della laringe, che rimane soggettivamente al riparo in un centro di quiete paragonabile all'occhio del ciclone. Questo gli permette di cantare forte per lunghi

periodi senza stancarsi. La laringe dev'essere quindi liberata dalle tensioni negative che si accumulano e ne compromettono il corretto funzionamento. Espedienti di natura psicologica e fisiologica concorrono al conseguimento di quest'obiettivo. Ne parleremo in maniera più diffusa rispettivamente nel cap. 5 e nei capp. 6 e 10. Per quanto riguarda i primi, oltre all'invito a "dimenticare" la gola cantando, citiamo l'eliminazione (ed eventualmente il capovolgimento) della rappresentazione visiva tradizionale (qual è codificata e sancita dalla grafia musicale) delle note acute in alto e delle note gravi in basso. Trattandosi di un fenomeno puramente acustico, non ha senso parlare di note basse e note alte; sta di fatto che quando immaginiamo una nota acuta in alto e cerchiamo di "raggiungerla", immediatamente la laringe si alza e la gola si chiude. Se invece la concepiamo alla stessa altezza della precedente o addirittura più bassa, la laringe rimane nella stessa posizione rilassata e non c'è bisogno di "spingere" il suono con la gola per compensare la riduzione di sonorità che altrimenti si verifica. Veniamo ora a ciò che è possibile fare con interventi diretti e coscienti finalizzati al controllo della muscolatura, argomento che approfondiremo nei capitoli dedicati alla realizzazione dell'appoggio e al controllo della risonanza. Premettiamo che nessun singolo muscolo può essere azionato localmente senza influenzare l'aggiustamento di qualche altro muscolo, così come nessun osso o cartilagine può essere spostata senza influenzare la contrazione dei muscoli a quelli collegati. Bisogna quindi evitare di focalizzare eccessivamente l'attenzione, accentuandoli, su determinati aggiustamenti locali, che rischierebbero, soprattutto all'inizio degli studi, di compromettere l'equilibrio muscolare generale. Quest'ultimo viene raggiunto stabilendo correttamente: 1) la posizione del corpo, 2) la respirazione, 3) la pronuncia. La posizione del corpo dev'essere eretta, con la testa alta, le spalle abbassate in maniera rilassata, il petto in fuori (ma non la pancia in dentro) e un buon appoggio su ambedue le gambe, il tutto realizzato senza la rigidità della posa militare, ma con un atteggiamento psicologico di sicurezza tranquilla, di benessere e di fiducia. Anche la respirazione è facilitata, oltre che dalle giuste modalità meccaniche, da fattori psicologici. Attuare l'inspirazione avendo come riferimento le stesse sensazioni di benessere suscitate dalla classica boccata d'aria rigeneratrice quando siamo al mare o in montagna, è più importante che preoccuparsi di immagazzinare enormi quantità d'aria, che all'inizio degli studi vocali sono più nocive che utili, in quanto diffìcilmente controllabili. Quando si parla di respirazione profonda non ci si riferisce quindi tanto alla quantità d'aria inspirata, quanto alla modalità con cui si realizza l'inspirazione, che deve coinvolgere attivamente il diaframma e i muscoli intercostali. Il diaframma è un muscolo interno (e come tale non visibile superficialmente), ma contraendosi nell'inspirazione si abbassa, spingendo in fuori e facendo più o meno sporgere l'addome. Nella fase espiratoria invece esso viene risospinto in alto dall'addome che rientra sotto l'azione dei muscoli addominali. I movimenti (in fuori durante l'inspirazione e in dentro durante l'espirazione) dell'addome rappresentano quindi il primo mezzo di controllo della respirazione. Possiamo arrivare a percepire la sensazione del fiato che scende in profondità dilatando il corpo, se lasciamo che l'aria entri lentamente e in silenzio, mentre paradossalmente quando cerchiamo di immagazzinare in fretta grandi quantità d'aria, tendiamo ad attuare una respirazione "alta", solo clavicolare e perciò superficiale. Questo naturalmente prima che la respirazione corretta sia diventata un automatismo. Volendo sintetizzare, si può dire che la direzione del fiato è prima in basso e poi in fuori. Quest'ultima indicazione ci porta a un altro importante aspetto dell'inspirazione, che è consigliabile curare solo dopo che si sia ben consolidato il primo (controllo dell'addome) e ci riferiamo alla dilatazione delle costole inferiori. Esse devono essere mantenute per

quanto possibile in questa posizione espansa anche durante l'espirazione, in modo che gradualmente si stabilisca la sensazione del punto di fissazione da dove agisce il diaframma. Possono essere utili a questo scopo alcuni esercizi di respirazione, come per esempio il seguente: 1) inspirare contando fino a cinque; 2) lasciare ferma la muscolatura nella posizione raggiunta (senza cercare di trattenere l'aria con la gola) contando fino a dieci; 3) espirare contando fino a cinque, avendo cura di rimanere per quanto possibile col petto in fuori e lasciando ai muscoli addominali il compito di attuare l'espirazione. Inspirare attraverso la bocca e riprodurre le stesse sensazioni di apertura e di allargamento interno prodotte dalla fase iniziale dello sbadiglio, contribuisce a predisporre correttamente l'organo rematore e le cavità di risonanza. Per contro, l'inspirazione effettuata soltanto attraverso il naso, teoricamente più igienica e più profonda, non si concilia con l'esigenza pratica, frequente nel canto, di fiati veloci e non superficiali, per i quali l'azione di chiusura e di apertura della bocca risulterebbe di ostacolo. Immediatamente dopo l'inizio della fase espiratoria, mentre i muscoli addominali spingono in dentro l'addome, il diaframma è nuovamente sollecitato e abbassato leggermente in corrispondenza dell'attacco del suono. L'attacco del suono, in grado di condizionare in bene o in male tutta l'emissione sucessiva, dev'essere morbido e deciso nello stesso tempo. Perchè questo sia possibile è importante allenarsi, soprattutto nella zona centrale della voce. Espedienti utili per rilassare la gola nella zona acuta possono essere rappresentati dall'abitudine a immaginare il suono iniziale preceduto da una "h" e con una direzione verso il basso opposta a quella del fiato, ciò che contribuisce a stabilire il contatto della voce col diaframma, impedendo quelle tensioni e costrizioni alla gola derivanti dall'idea sbagliata di poter spingere in fuori la voce con la forza. Il terzo importante mezzo con cui è possibile condizionare indirettamente l'emissione e il funzionamento delle corde vocali è rappresentato dalla pronuncia. Lingua, labbra e mandibola, che svolgono un ruolo fondamentale nell'attuare la pronuncia, possono facilitare in maniera considerevole l'emissione quando ne venga rispettata la flessibilità e l'elasticità. Eccessivi spostamenti della mandibola e modificazioni vistose dell'apertura della bocca nel tentativo di articolare in

maniera più distinta le vocali e le consonanti, si traducono in tensioni eccessive che compromettono l'emissione. Allo stesso modo, impostare un padiglione acustico fisso, irrigidendo la lingua o la mandibola in una posizione unica, qualunque sia l'altezza del suono o l'effetto espressivo da realizzare, ostacola quel mobile gioco tra i diversi spazi di

risonanza (faringe, bocca e cavità nasale), che è quello che permette alla voce di "sintonizzarsi" automaticamente sulla frequenza esatta e rimanere sempre "a fuoco". Questa flessibilità e duttilità degli organi che presiedono al controllo delle risonanze è favorita da esercizi vocali di agilità o che comportino continui cambiamenti di vocali. Le vocali rappresentano le varie colorazioni che assume il suono laringeo, di per sè neutro, nel suo passaggio attraverso le diverse configurazioni del padiglione acustico. A determinarne il cambiamento sono gli spostamenti in

avanti e indietro della lingua. Nel primo caso si parlerà di vocali anteriori ("e", "i"), che mettono in luce la brillantezza della voce, nel secondo caso di vocali posteriori ("o", "u"), che al contrario esaltano il polo della pastosità e rotondità del suono. Le vocali anteriori, più ricche di armonici acuti che fanno "correre" la voce rendendola udibile in ampi spazi, sono le più adatte per "impostare" la voce, ma devono essere compensate e bilanciate soprattutto nel settore acuto, per evitare che il suono si "schiacci" e diventi stridente. Le varie modalità di correzione fonetico-acustica del suono sono l'argomento che verrà trattato nei capp. 6, 7 e 8. È possibile percepire il punto frontale di localizzazione di una pronuncia correttamente "raccolta" e "concentrata" in

avanti, pronunciando velocemente una serie di consonanti labiali e dentali (per esempio: t-p-t-p-t-p-t...) senza aprire troppo la bocca o muovere la mandibola, ma facendo lavorare le labbra e la punta della lingua. L'equilibrio armonioso tra le varie componenti dello strumento voce (i muscoli respiratori, che forniscono l'energia, e le cavità di risonanza) libera il vibratore dalle tensioni che ne impediscono un funzionamento rilassato e "a pieno regime", incanalando la voce in quella zona frontale, rappresentata dalla zona nasale esterna e dalle labbra, conosciuta da cantanti e insegnanti di canto col nome di "maschera". 1. Le sensazioni fonatorie e la terminologia vocale È noto come la pedagogia vocale si differenzi essenzialmente da quella strumentale per quella caratteristica della voce cantata che consiste nell'impossibilità di un controllo meccanico diretto dei muscoli interni laringei. Da sempre questo ha costituito croce e delizia per cantanti e insegnanti di canto, contribuendo al sorgere e all'accavallarsi dei più vari indirizzi pedagogici, la maggior parte dei quali accomunati dall'uso di una terminologia e di un frasario particolari. Chi fa il suo ingresso nel mondo dove s'insegna il canto s'imbatte così ben presto in espressioni che per orecchie profane hanno risonanze oscure, significati razionalmente indecifrabili. "Star seduto sul fiato", "raccogliere il suono", "coprire" o "girare la voce", "cantare sul fiato", "passare in testa", ecc. sono le formule misteriose e impenetrabili nel loro alone metaforico che più frequentemente vengono recitate nelle aule scolastiche. Nei casi più gravi (e purtroppo non rari) esse formano l'unica risorsa didattica a disposizione dell'insegnante e a esse si ricorre per scongiurare quasi magicamente quell'evento infausto e molte volte irreversibile che è la distruzione della voce; più spesso formano semplicemente un bagaglio di frasi suggestive ma vuote, del cui significato l'allievo possiederà la chiave non all'inizio dei suoi studi (quando più forte sarebbe l'esigenza di pochi concetti chiari, traducibili in regole pratiche) ma molto più tardi, quando per altre vie (se sarà fortunato) avrà raggiunto la cosiddetta "coscienza della voce". Frutto del lavoro e degli sforzi fatti da generazioni di cantanti per definire e far tesoro tramandabile ad altri delle proprie esperienze, questo insieme di modi di dire testimonia il problema cruciale dell'insegnamento del canto, che consiste in larga misura nel riuscire a trasmettere e suscitare in altri determinate sensazioni fisiche o psichiche (alcune delle quali oggettive e verificate scientificamente, altre del tutto soggettive) allo scopo di realizzare indirettamente l'aggiustamento muscolare che ne è la causa. Tutto ciò ricorda per molti aspetti i caratteri e i limiti di ogni sapere ermetico o mistico: l'impossibilità di "comunicare" un'esperienza superiore alle capacità umane di comunicazione fa si che si ricorra ai surrogati dei simboli, delle metafore; gli inviti a "cantare in maschera", "star seduto sul fiato", "girare la voce" ricordano la mano col dito teso a indicare la luna dei racconti zen, che non è essa stessa la meta ma serve a indicarla, non è la vera realtà ma a essa rimanda. Nel nostro caso la meta è rappresentata dall'emissione libera, "naturale", che dà origine a una serie di sensazioni di diversa natura, identificabili abbastanza precisamente e localizzabili in varie parti del corpo. Sono le cosiddette sensibilità interne fonatorie, che sviluppate con un'opera lunga e continua di introspezione e selezione, si configurano poi in quello che viene chiamato lo schema corporeo-vocale del soggetto e sono indispensabili per il controllo automatico dell'emissione. A livello laringeo la sensazione guida dev'essere di assoluta comodità e benessere fisico di modo che la

consapevolezza dell'esistenza dell'organo fonatore viene meno come succede per tutte le funzioni del corpo (quella visiva, digestiva, ecc.) quando si svolgano in maniera normale e non patologica. A questa condizione ci si riferisce parlando di suono staccato dalla gola; l'impressione mentale è solitamente di estraniazione: non siamo noi a cantare

ma è la voce che canta "da sola", oppure è come se suonassimo uno strumento, che come tale è separato dalla nostra identità corporea. L'esperienza è euforizzante in quanto normalmente nella coscienza di ognuno l'atto di "alzare la voce" è associato a sensazioni spiacevoli di costrizione e di fatica. In tal modo il grado di affaticabilità laringea è in

rapporto con la tecnica di emissione: se questa è corretta, è possibile cantare per lunghi periodi senza stancarsi; nel contempo l'assenza di tensioni nocive dà l'impressione della "naturalezza". Si parla anche di emissione sul fiato perchè la condizione di perfetto equilibrio tra le varie componenti del meccanismo vocale pone in primo piano la percezione delle funzioni respiratorie, dando l'illusione dell'automatismo e del fiato che "sostiene" il suono, il contrario essendo rappresentato dall'emissione spinta. Il secondo tipo di sensazioni fonatorie che bisogna considerare è di natura vibratoria: nell'emissione corretta queste interessano la zona palatale anteriore e naso-facciale (la cosiddetta "maschera") con un punto di massima concentrazione localizzato nella zona palatale anteriore e chiamato, dal nome dello scopritore, punto di Mauran. Sono queste che formano la "coscienza della voce" nel cantante; ciò significa che quando la voce è emessa correttamente il soggetto ne ha coscienza essenzialmente per gli effetti di risonanza nella maschera e non nella zona di produzione del suono (laringe) o della gola. Infine si hanno importanti sensazioni di tensione muscolare localizzate nella zona addominale e lombare, dove il corretto gioco e l'intensificarsi delle azioni dei muscoli respiratori realizza l'appoggio, da considerare in certo senso il motore della voce. Si può affermare così che grosso modo la presenza di queste sensazioni è in grado di indicarci con sicurezza se la maniera in cui si canta non rischia col tempo di danneggiare l'organo fonatore, condizione a cui deve sottostare ogni buona tecnica vocale per definirsi tale. Paradossalmente la funzione importantissima svolta da queste tracce sensoriali interne è stata chiarita e posta nel giusto rilievo non dalla pedagogia vocale, ma dalla scienza. A scoprirle e a intuirne l'importanza, proponendole come oggetto di ricerca scientifica, furono naturalmente i cantanti, ma a tutt'oggi la maggior parte degli insegnanti continua a farne un uso improprio, relegandole nel novero dei fenomeni soggettivi, quando non ne sia addirittura ignorata l'esistenza (pur restandone un'impronta precisa nella terminologia da essi usata). Mancavano una precisa analisi e una sistemazione di questi dati, cui ha provveduto recentemente la ricerca scientifica, ed è questo uno dei motivi per cui essi furono in molti casi travisati. La loro utilizzazione da parte dell'allievo ai fini di un'autovalutazione della propria tecnica di emissione presuppone intanto un periodo abbastanza lungo di studio: occorre qualche anno perchè lo "schema corporeo-vocale" si formi, il che significa che quando più ne avremmo bisogno, cioè agli inizi degli studi, ci troviamo sprovvisti di quello strumento che da solo potrebbe segnalarci se siamo sulla buona o sulla cattiva strada. Nel frattempo la voce s'incanala in una certa direzione e, giusta o sbagliata che sia, sappiamo che l'"impostazione" costituisce una sorta di seconda natura, da cui raramente e con estrema difficoltà l'allievo riesce a staccarsi da solo. Ma ciò che ha reso finora sostanzialmente improduttiva l'attenzione rivolta alle sensazioni interne non è stata soltanto la mancanza di una conoscenza precisa del nesso che le lega ai vari comportamenti fonatori e meccanismi vocali (cioè

in pratica l'incapacità di tradurle in regole pratiche), ma anche (e ancora una volta) la schematizzazione e l'estrema approssimazione con cui si è proceduto ad analizzarle e classificarle, condensandole in formulazioni o confuse o contraddittorie e comunque erronee. In questi casi infatti succede che, assecondando un'istintiva esigenza di spiegazioni razionali, l'allievo, consapevolmente o no, sia portato a chiarire i punti oscuri di questa terminologia con interpretazioni errate. I problemi incominciano con la nozione comune di voce di petto opposta a voce di testa. All'origine di entrambe stanno ovviamente delle precise sensazioni vibratorie, localizzate nelle rispettive regioni del corpo, ma ciò che con esse si postula è una netta separazione tra una zona della tessitura medio-bassa (che sarebbe affidata alle risonanze "di petto") e un'altra acuta (affidata alle risonanze "di testa"), in contraddizione evidente col concetto di maschera, che implica invece un'unica "posizione" o centro focale delle risonanze della voce, a prescindere dall'altezza tonale. In realtà studi recenti hanno messo in evidenza come le sensazioni vibratorie percepibili talvolta nella zona toracica possono essere avvertite anche cantando correttamente in maschera nella zona per definizione "di testa" (la massima stimolazione si registrerebbe addirittura nell'emissione in falsetto) fino a negare la stessa possibilità, attribuita comunemente al petto, di agire come risuonatore, per cui le sensazioni percepite trarrebbero origine da una trasmissione dell'energia vibratoria (subito assorbita) tramite i muscoli abbassatori della laringe, ma senza nessun effetto di amplificazione del suono prodotto. L'emissione da raggiungere (e la sensazione vibratoria corrispondente)

resta quindi quella in maschera, estesa all'intera gamma vocale. Al contrario, partendo dal concetto di risonanza di petto l'allievo è portato a accentuare le sensazioni in quella zona allo scopo di dare più consistenza e "polpa" alla nota, col risultato (facilmente raggiungibile abbassando troppo la laringe) di ingrossare e "intubare" la voce. Tutto ciò configura una data impostazione vocale (sbagliata perchè rigida e faticosa), che è impossibile poi adattare

alle diverse esigenze di coordinazione muscolare e di risonanza, proprie della zona acuta. Di qui la caratteristica di suono gridato, tipica degli acuti emessi in questo modo. Esso emerge chiaramente appena ci si sposti dalla zona centrale, dove la voce si presenta ingannevolmente profonda, oscura e "matura", verso quella acuta, mentre nell'emissione in maschera, grazie all'assorbimento degli armonici troppo acuti e dissonanti, il suono risulta morbido e può "aprirsi" eccessivamente solo dopo che si sia superata una determinata soglia tonale abbastanza alta, senza aver

attuato il "passaggio". Il passaggio (nel suo significato di copertura della voce oltre una certa altezza, in accordo con precise esigenze estetiche della tradizione ottocentesca italiana) è un meccanismo essenzialmente laringeo che consiste grosso modo in un lieve abbassamento della laringe e in un allungamento delle corde vocali a opera dei muscoli cricotiroidei. Contrariamente però all'opinione comune quale risulta da certe espressioni del tipo "passare in testa" o "passaggio dal registro di petto al registro di testa", esso di per sè non comporta nè una maggiore esteriorizzazione della voce nè tanto meno un arricchimento di risonanze "alte" Esso ha semplicemente l'effetto di evitare che la voce diventi stridente o eccessivamente aperta, conferendogli quel tipico timbro morbido e scuro a cui alludono le espressioni "coprire il suono" o "raccogliere il suono". Anzi paradossalmente esso comporta un lieve arretramento della voce verso la cavità faringea, percepibile anche a livello sensoriale, per cui l'attenzione del cantante dev'essere rivolta a mantenere per quanto possibile immutato nella maschera il punto di maggior concentrazione delle risonanze (il cosiddetto fare la punta al suono) pur estendendosi queste anche alla cavità faringea. Esistono quindi un passaggio fatto di gola (quando l'emissione è spinta o intubata), che dà un'impressione di eccessiva chiusura e costrizione, e un passaggio eseguito invece in maschera, che mantiene l'uguaglianza e la brillantezza della voce, arricchendola di un timbro vellutato, caratteristico dell'emissione "coperta". Che cosa succede a questo punto quando s'invita un allievo a "passare un suono acuto in testa"? Familiare per chi studia canto, questa frase solo casualmente o se filtrata da una elaborazione critica può trasformarsi nell'aggiustamento auspicato; tradotta alla lettera, essa implica un movimento o una proiezione generica della voce verso l'alto, con conseguente probabile innalzamento della laringe e/o del diaframma, che è esattamente il contrario di quello che in realtà deve accadere. E questo proprio perchè l'espressione "suono in testa" si riferisce agli effetti dell'emissione in maschera (vibrazioni localizzate nella zona nasale e dentale anteriore) e non ai presupposti che lo rendono possibile: 1) posizione sufficientemente bassa e rilassata della laringe; 2) aumentata pressione del

diaframma sui muscoli addominali; 3) attuazione oltre una certa altezza tonale del meccanismo del passaggio; 4) mantenimento di una cavità di risonanza aperta e libera da tensioni. Un ultimo requisito da non trascurare fa riferimento a quella impressione mentale che affiora in diverse importanti enunciazioni della tradizione, quali "girare il suono", "coprire la voce" e soprattutto "nel salire scendi e nello scendere sali". Essa consiste in un cambiamento della direzionalità soggettiva di proiezione dei suoni in rapporto agli intervalli ascendenti o discendenti da intonare e ha come base oggettiva una precisa coordinazione muscolare a livello laringeo e faringeo. Nella fonazione parlata, per esempio, e in quella "incolta" cantata l'aumento di intensità vocale (detto appunto "alzare la voce") o l'ascesa nella zona acuta suscitano la sensazione di proiettare la voce in direzione verticale verso la testa, quasi nel tentativo di "raggiungere" con la gola la nota acuta. Questo perchè l'incapacità di controllare l'altezza tramite i muscoli intrinseci della laringe determina un innalzamento di quest'ultima e una costrizione della faringe. L'eccesso di tensioni non bilanciate esercitate sulla muscolatura provoca dopo poco tempo affaticamento e difficoltà nel mantenere l'altezza. Nell'emissione "intubata" e "spinta" manca questa sensazione di direzionalità verticale, perchè la laringe è mantenuta in una posizione rigidamente bassa, ma appunto questa rigidità impedisce che si realizzi quella condizione "magica" che dicevamo, in cui la voce sembra che canti da sola. Così la fonazione continuerà a essere percepita dal soggetto come un'attività che parte coscientemente dalla laringe e che è tanto più faticosa quanto più la voce sale d'altezza o d'intensità; senza quindi quelle caratteristiche di processo passivo e funzionante autonomamente (quasi un correre in discesa invece che in salita), che è diretta conseguenza dell'emissione in maschera. La scomparsa della sensibilità fonatoria a livello laringeo e di ogni coscienza della "gola" è in quest'ultima il presupposto della sensazione del suono girato, coperto o preso dall'alto. La nota viene infatti attaccata e questo è qualcosa che oggettivamente avviene a livello laringeo ma soggettivamente viene percepito solo nei suoi effetti vibratori nella maschera: il loro espandersi e intensificarsi in rapporto all'altezza tonale non determina un cambiamento della posizione della voce, cioè del centro focale delle risonanze, che rimane localizzato nel punto-maschera sopra il palato.
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