9 - Considerazioni Sull_iniziazione

August 31, 2017 | Author: Aristocratos | Category: Freemasonry, Homo Sapiens, Reason, Existence, Western Esotericism
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Quaderni del Gruppo di Ur IX CONSIDERAZIONI SULL'INIZIAZIONE I ediz. : Equinozio di Primavera 2005; II ediz. Novembre 2007

Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.

Come nei precedenti quaderni, alcune osservazioni pertinenti, fatte in messaggi privati, sono state riportate sotto il nome collettivo di "Turba Philosophorum". Nella II edizione è stato aggiunto il capitolo "Controiniziazione, Deviazione Iniziatica, Misticismo" ed altri interventi. Lo scritto è diviso in più sezioni: I) Confrontando Evola e Guenon: 1a) Sui Limiti della Regolarità Iniziatica; 1b) Evola-Guenon: Un confronto sull'Iniziazione (Prospetto Sinottico); 1c) Evola: Il Fondo Personale e le Prime Esperienze. II) L'Iniziazione secondo il M° Giuliano Kremmerz III) L'Iniziazione Politeista: 3a) Evola: L'equivoco del 'nuovo paganesimo'; 3b) Esiste oggi una iniziazione politeista? 3c) Manifesto Politeista. IV) L'Iniziazione Massonica: 4a) Vivificazione dei segni e delle prese; 4b) Qualificazioni Iniziatiche e Massoneria; 4c) Massoneria Operativa e Speculativa; 4d) A. Reghini: La morale ed il lavoro massonico. V) L'Ermetismo può identificarsi con l'Alchimia? VI) Iniziazione Cristiana e Antroposofia 6a) E' mai esistito un esoterismo cattolico? 6b)Esistono Prove Scritturali dell'Esistenza dell'Esoterismo Cristiano?: 6b1) Exoterismo ed Esoterismo; 6b2) "Cani e Porci"; 6b3) La "Porta Stretta" e la "Cruna dell'Ago"; 6b4) Il "Deposito"; 6b5) Il Battesimo "Uno e Trino"; 6b6) La Resurrezione. 6c) L'Antroposofia: 6c1) Evola e Steiner; 6c2)Teosofia e Teosofismo; 6c3)Atteggiamenti "old age" e "new age". VII) L'Iniziazione "Orientale": l'Arabismo 7a) M. Scaligero: L'Arabismo e l'Equivoco Esoterico; 7b) L. Caetani: La funzione dell'Islam nell'evoluzione della civiltà VIII) Controiniziazione, Deviazione Iniziatica, Misticismo IX) L'Iniziazione: Una Sintesi

I Confrontando Evola e Guenon Nel III vol. di Introduzione alla Magia, si può trovare la monografia "Sui Limiti della Regolarità Iniziatica", firmata "Ea". In essa viene preso in esame lo schema teorico, relativo all'iniziazione, formulato da Renè Guenon e si prendono le distanze in più punti da tale schema. Si deve tener presente che tale saggio non è mai comparso nella rivista Ur/Krur e perciò deve ritenersi espressione del solo Evola e non del Gruppo di Ur nel suo complesso. Evola, peraltro, ha dedicato al problema dell'iniziazione svariati altri saggi; diversi riferimenti ad essi si potranno trovare nel seguito. Per il momento, ci limitiamo a riportare una delle frasi conclusive del suo saggio "Renè Guenon e il Tradizionalismo Integrale" (in Ricognizioni, Roma 1974): "Il problema per i più resta aperto e forse deve essere riformulato in termini diversi da quelli indicati dal

Guénon". E' proprio ciò che pensiamo. Anzi, visto l'indirizzo "teosofico-contemplativo" e non "magico" seguito da Guenon, abbiamo motivo di credere che il confronto evoliano con lui sia stato inopportuno e finanche fuorviante per gli studiosi venuti dopo, viste le diverse premesse dei due autori e visto che, in campo magico, esistevano schemi iniziatici assai più lineari e consistenti, come quelli di Giuliano Kremmerz.

1a) SUI LIMITI DELLA «REGOLARITÀ» INIZIATICA Fra i pochi scrittori. che in Occidente, non per erudizione, ma per un sapere effettivo su base iniziatica, han dato un contributo di orientamento e di chiarificazione nel dominio delle scienze esoteriche e della spiritualità tradizionale, René Guénon ha un posto di rilievo. In genere, consigliamo lo studio delle opere del Guénon a quei nostri lettori che non le conoscessero, perché sono uniche nel loro genere e nel loro valore, mentre esse possono fare da controparte integrativa a molto di ciò che noi stessi abbiamo esposto - almeno, per quel che riguarda l'essenziale. Invece, quanto ad alcuni punti particolari, s'impongono da parte nostra delle riserve, perché spesso l'orientamento dd Guénon risente di una linea di pensiero diversa da quella che sta a base delle nostre formulazioni. e, inoltre, perché, mentre l'indirizzo del Guénon è essenzialmente teorico, il nostro è invece essenzialmente pratico. Sarà utile, pertanto, considerare brevemente come stanno le cose a tale riguardo, onde chi ci segue possa stabilire il modo con cui egli può utilizzare adeguatamente quanto espone il Guénon, ai fini dell'integrazione anzidetta. Per quel che riguarda le divergenza in fatto di dottrina, noi qui le accenneremo semplicemente, senza fermarvici. Noi dissentiamo dal Guénon circa i rapporti esistenti fra iniziazione regale e iniziazione sacerdotale, circa il suo schema relativo ai Piccoli e ai Grandi Misteri, infine circa la restrizione del, termine «magia» ad un suo significato inferiore e peggiorativo. I tre punti, del resto, sono in una certa misura collegati insieme. Ma ciò che ora vogliamo trattare è il problema, in genere, dell'iniziazione (I). (I) Ci riferiamo essenzialmente al libro Aperçus sur l'initiation (Paris, 1945), che, per comodità del lettore, citeremo nella traduzione italiana uscita col titolo Considerazioni sulla via iniziatica (ed. Bocca, Milano, 1949). La veduta del Guénon è, in sintesi, la seguente. L'iniziazione consiste in un superamento della condizione umana e in una realizzazione degli stati superiori dell'essere; cosa impossibile coi soli mezzi dell'individuo (p. 31). Ciò poteva ancora accadere nelle origini, presso ad un tipo umano assai diverso da quello attuale; oggi sarebbe invece necessario un intervento esterno e cioè la trasmissione di una «influenza spirituale» nell'iniziando (47, 57). Questa trasmissione si effettua ritualmente col collegarsi ad una organizzazione iniziatica regolare. Tale è la condizione-base, non soddisfacendo la quale, per il Guénon, non vi è iniziazione effettiva, ma solo una vana parodia di essa (la «pseudo-iniziazione») (46). La «regolarità» di una organizzazione consiste nel suo essere a sua volta collegata, direttamente o tramite altri centri, con un centro supremo ed unico; consiste inoltre nel suo rimandare ad una catena ininterrotta di trasmissione che si continua nel tempo attraverso rappresentanti reali, mentre retrocede fino alla «tradizione primordiale» (92). Affinché la trasmissione delle influenze spirituali che condizionano lo sviluppo iniziatico sia reale basta che i riti richiesti siano eseguiti esattamente da chi sia regolarmente designato a tale funzione; che, poi questi comprenda o no i riti, creda o no nella loro efficacia, ciò non ha influenza (152). Anche in questi casi la catena non è interrotta ed una organizzazione iniziatica non cessa di esser «regolare» e capace di conferire l'iniziazione: anche quando essa non comprenda che «iniziati virtuali », perché privi di un vero sapere (83). Come è noto, vedute analoghe ha la Chiesa nei riguardi dell'ordinazione sacerdotale e dell'efficacia dei riti regolarmente eseguiti. Quanto all'iniziando, per ottenere la trasmissione delle «influenze spirituali» si richiede che egli sia a ciò qualificato. Una tale qualificazione riguarda sia il piano fisico, nel senso di assenza di certi difetti corporei da

considerarsi come segni di corrispondenti disposizioni negative interne, sia una certa preparazione mentale («speculativa»), sia la presenza di, una precisa aspirazione - o, come noi diremmo, vocazione. Più in genere, uno stato di disarmonia e di squilibrio rende squalificati a ricevere l'iniziazione (149,150, 359). Con la trasmissione delle «influenze spirituali» si diviene un «iniziato virtuale»; si produce un mutamento interno che - come la stessa appartenenza all'organizzazione a cui ci si è collegati - sarà indelebile, sussisterà una volta per tutte; tuttavia l'iniziazione effettiva ha bisogno di un lavoro attivo, «operativo», di attualizzazione (259) che si deve fare da sé e che nessun Maestro può compiere in sua vece (dato che esistono vari gradi di iniziazione, ciò viene inteso verosimilmente per ogni grado) (49, 274). I rappresentanti di una organizzazione iniziatica possono solo indirizzare, controllare ed appoggiare questo sviluppo e prevenire possibili deviazioni. Il collegamento con stati superiori dell'essere, stabilito con la trasmissione delle influenze spirituali, non ha sempre bisogno di esser cosciente per esser reale (151). In particolare, il Guénon distingue nettamente fra misticismo e iniziazione, perché il mistico non è «attivo» nelle sue esperienze, di solito non ha anzi nemmeno i mezzi per interpretarle adeguatamente - ma soprattutto perché egli.è un isolato e la condizione-base per l'iniziazione, ossia il collegamento con un «centro» e con una «catena », non è soddisfatta (41-46 sgg.). In secondo luogo, il Guénon nega ogni possibilità di un collegamento - come egli lo chiama - «ideale» con una tradizione, cioè ogni collegamento che non si effettui per la via rituale anzidetta e per contatto con rappresentanti viventi, esistenti, presenti e autorizzati di quella tradizione. Una iniziazione «spontanea», infine, viene parimenti esclusa, perché quasi equivarrebbe ad un nascere senza l'ausilio di chi a ciò fornisca la possibilità, allo svilupparsi di una pianta senza che prima vi sia un seme, il quale a sua volta rimanda ad altre piante nate l'una dall'altra (48). Questo, in breve, è lo schema guénoniano della «regolarità iniziatica». Vediamo che si deve pensare in proposito. Contro lo schema in sé, non vi sarebbe un gran che da obiettare; solo che esso, con riferimento alla situazione esistente di fatto per la grandissima maggioranza di coloro ai quali si indirizzano gli stessi scritti del Guénon, appare come un semplice schema astratto. Si può assentire a questo schema; ma quando, dopo di ciò, si chiedesse come poter venire al fatto per ricevere l'iniziazione, dal Guénon non si riceverebbero troppi lumi, al contrario. Egli, in effetti, dichiara di voler solo chiarire il concetto della vera iniziazione; quanto ad occuparsi del problema pratico, cioè a dire dove ci si debba rivolgere e a dare, insomma, indirizzi concreti, ciò - egli afferma (21) - è cosa che non lo riguarda in alcun modo e che non può menomamente rientrare nei suoi còmpiti. Così, pel singolo, mentre dal Guénon sente parlare tutto il tempo di «organizzazioni iniziatiche» come se ne esistessero a iosa e ad ogni angolo di via, egli, nel punto in cui voglia far sul serio e non aver semplici chiarimenti dottrinali, si trova quasi di fronte ad una via chiusa, qualora lo schema della «regolarità iniziatica» dovesse esser davvero assoluto ed esclusivo. Noi pensiamo, naturalmente, all'uomo occidentale. In Oriente - dai paesi islamici al Giappone - possono ancora esistere alcuni centri che conservano sufficientemente le caratteristiche indicate dal Guénon. Ma non vi si può fare troppo assegnamento, anche qualora uno si risolvesse a trasportarsi sul luogo pur di ricevere una iniziazione regolare e autentica. Bisognerebbe infatti, a tanto, aver la ventura di entrare in rapporto con centri di una purità, per così dire, assolutamente supertradizionale, perché, in caso diverso, si tratta di iniziazioni la giurisdizione delle quali (come lo stesso Guénon lo riconosce) è l'àmbito di una data religione positiva, che non è la nostra. E qui non si tratterebbe di «convertirsi» o meno; è un co~plesso di fattori fisici e sottili, razziali, atavici, di forme specifiche di culto e di divinità, fino a giungere al fattore rappresentato dalla mentalità e dalla stessa lingua, che entra in linea di conto. Si tratterebbe di trapiantarsi in un ambiente psichico e spirituale diverso. Cosa che non è certo per i più, né si lascia realizzare con un semplice viaggio. Se invece ci si rivolgesse alla tradizione venuta a predominare in Occidente, non se ne farebbe nulla, perché il cristianesimo è una tradizione mutila della sua parte superiore, esoterica e iniziatica. All'interno del cristianesimo tradizionale - il che vale quanto dire del cattolicesimo non vi è una gerarchia iniziatica; qui le prospettive si limitano a sviluppi mistici per iniziativa individuale, su base carismatica. Solo sporadicamente qualche mistico è passato oltre, in via affatto individuale si è elevato fino al piano metafisico. Da qualche sparso accenno dei primi secoli della nostra era o di quelli che si è creduto di rilevare nell'esicasmo (Chiesa.

greco-ortodossa) a cui sono andati a caccia alcuni guénoniani, qui si può e si deve prescindere. Se dopo aver riconosciuto tutto ciò si cerca ancora, quel che si ode dal Guénon non è molto consolante. Egli riconosce, infatti, che sole ad esistere ai nostri giorni nel mondo occidentale sono delle organizzazioni iniziatiche finite in uno stato di degenerescenza, delle «vestigia incomprese da quelli stessi che le hanno in custodia» (315-21). Non solo: quel che egli aggiunge in fatto di precisazioni è tale da lasciar. ancor piu perplessi e da render, d'altra parte, visibili i pericoli che derivano dall'assumere incondizionatamente lo schema astratto della «regolarità iniziatica». Qui non possiamo non esprimere il nostro dissenso preciso circa due punti. L'uno è che anche attraverso organizzazioni degradate si potrebbe ottenere qualcosa di simile ad una vera iniziazione. La continuità delle «influenze spirituali», secondo noi, è invece illusoria quando non esistano piu rappresentanti degni e consapevoli in una data catena e la trasmissione sia quasi divenuta meccanica. Esiste di fatto la possibilità che le influenze veramente spirituali in tali casi si «ritirino», per cui ciò che resta e che si trasmette è solo qualcosa di degradato, un semplice «psichismo» aperto perfino a forze oscure, per cui l'aggregazione alla corrispondente organizzazione, per chi aspiri davvero verso l'alto, diviene spesso piu un pericolo che non un aiuto. Il Guénon sembra non pensarla così, crede che se la continuità esterioristicamente rituale si è mantenuta si possa sempre ottenere ciò che egli chiama l'«iniziazione virtuale». Piu grave è il nostro dissenso quando il Guénon dice che il risultato delle investigazioni da lui fatte in un'epoca già lontana è «la conclusione formale e indubitabile» che, «a parte il caso della sopravvivenza possibile di qualche «gruppo di ermetismo cristiano del Medioevo, fra tutte le «organizzazioni a pretese iniziatiche attualmente esistenti «in Occidente non ve ne sono che due le quali, per quanto «decadute... possono rivendicare un'origine tradizionale autentica e una trasmissione iniziatica reale: il Compagnonaggio e la Massoneria. Tutto il resto non è che fantasticheria «o ciarlatanismo quand'anche non serva a dissimulare qualcosa di peggio» (60, cfr. 139). Ora, qui non faremo entrare considerazioni particolari dicendo che segni sufficientemente certi vi sono circa persone che, in Occidente, sono o sono state in possesso di conoscenze iniziatiche effettive senza esser aggregate né al Compagnonaggio, né alla Massoneria. Lasciando dunque da parte ciò, diremo che, quanto al Compagnonaggio, si tratta di una organizzazione iniziatica residua d'origine corporativa di portata assai ristretta e di cui, fuor della Francia, si ignora perfino il nome. Per pronunciarsi nel riguardo, non possediamo dati sufficienti, né crediamo che la cosa valga la pena. Ma, quanto alla Massoneria, le cose stanno diversamente. Il Guénon può aver avuto in vista qualche nucleo superstite dell'antica Massoneria «operativa» privo di rapporto con ciò che la Massoneria moderna concretamente è. Quanto a quest'ultima, essa almeno per quattro quinti non ha assolutamente nulla di iniziatico, è un sistema fantasioso di gradi costruito sulla base di un inorganico sincretismo, tanto da rappresentare un caso tipico di quel che il Guénon chiama pseudo-iniziazione. Di là da questo artificioso edificio, ciò che può trovarsi con carattere «non-umano» nella Massoneria moderna ha, se mai, un carattere piu che sospetto; molte cose rendono legittima la supposizione che, nel riguardo, si tratta proprio di uno dei casi di organizzazioni dalle quali l'elemento veramente spirituale si è ritirato e nelle quali il «psichismo» rimasto ha servito da strumento a forze tenebrose. Chi si attiene al principio di giudicare dai frutti, nel riconoscere la precisa «direzione d'efficacia» della Massoneria nel mondo moderno, la sua costante azione rivoluzionaria, la sua idelogia, la sua lotta contro ogni forma positiva di autorità dall'alto e via dicendo, non può nutrir ,dubbi circa la natura di questo fondo occulto della organizzazione in parola, là dove essa non si riduce ad una pura e semplice scimmiottatura dell'iniziazione e della gerarchia iniziatica. Il Guénon nori si sente disposto ad aderire ad una interpretazione del genere (259). Ma non è che, per questo, le cose cambino: La responsabilità che egli che pur non intende «condurre o togliere aderenti ad una qualche organizzazione» (21) - indirettamente si prende con tali considerazioni, è tutta sua e noi non possiamo condividerla nemmeno in minima parte (II). (II) E' anche discutibile che la Massoneria sia «una forma iniziatica puramente occidentale» (61): bisognerebbe ignorare tutta la parte che nel suo rituale e nelle sue «leggende» ha

l'elemento ebraico. Così, dovendo chiudere il bilancio, il problema pratico nei quadri della pura «regolarità iniziatica» si presenta, per l'uomo occidentale, piuttosto male. Bisogna vedere quali altre vedute, legittime e fondate, possono entrare in linea di conto per porlo in una luce migliore. Il merito, da riconoscere, della concezione del Guénon è il risalto dato alla difficoltà della realizzazione iniziatica nelle condizioni attuali e il porre un limite di contro a certe vedute circa 1'«iniziazione individuale» e 1'«autoiniziazione », da alcuni (per es. dallo Steiner) data addirittura come la sola che l'uomo occidentale dovrebbe perseguire. Ma non bisogna cadere dall'un eccesso nell'altro. È verissimo che, causa il processo di involuzione cui l'umanità ha soggiaciuto, certe possibilità di realizzazione diretta, presenti nelle origini, se non del tutto perdute, sono almeno divenute estremamente rare. Ma non si deve cadere in un equivalente della concezione cristiana, secondo la quale l'uomo, irrimediabilmente tarato dal peccato originale, nulla potrebbe da sé nel campo propriamente sovrannaturale - come equivalente della «grazia» e dei « sacramenti» qui apparendo l'intervento imprescindibile di chi può trasmettere ritualmente le «influenze spirituali», base, pel Guénon, di tutto. Un'altra considerazione importante da fare è la seguente. Lo stesso Guénon ha messo in luce, in altro libro, che uno degli aspetti dell'accennata involuzione è una solidificazione, da intendersi sia come quella onde la realtà oggi si presenta nelle forme rigide di una materialità disanimata, sia - aggiungeremmo noi - come quella che determina una chiusura interna dell'individuo umano. Ora, deve ritenersi che in tali condizioni il potere e quindi l'ausilio proprio alle «influenze sottili» nel campo dei riti non solo iniziatici, ma anche religiosi, sia ,quanto mai ridotto e, in dati casi, addirittura nullo. In effetti, bisognerebbe domandarsi, alla fine, che natura abbiano queste «influenze spirituali», e se chi, in qualità di «iniziato virtuale», le possiede, con ciò sia protetto di fronte ad ogni specie di errori dottrinali e di deviazioni. In verità, conosciamo fin troppi casi di persone - e non solo di Occidentali - che sono a posto quanto a «regolarità iniziatica» in senso guénoniano (in prima linea massoni), ma che mostrano una tale incomprensione e confusione circa tutto ciò che è veramente esoterico e spirituale, da farle apparire molto al disotto di persone che non abbiano avuto quel dono ma abbiano un giusto intuito e la mente sufficientemente aperta. Anche qui non si può non far entrare in linea di conto il criterio: «Li giudicherò dai frutti» e, dunque, non ci si debbono fare illusioni circa quel che, allo stato attuale, le «influenze» in parola da sole possono dare. Ciò posto, come connsiderazione generale e decisiva bisogna terier presente questo: l'uomo venuto a nascere nell'epoca attuale è un uomo che ha accettato ciò che i teosofisti chiamerebbero un karma collettivo: è l'uomo associatosi ad una «razza», che «ha voluto fare da sé», sciogliendosi perfino dai vincoli che servivano solo per sorreggerla e guidarla. In che misura quest'uomo che «ha voluto fare da sé» e che è stato lasciato fare sia andato incontro solo alla propria rovina, è noto ad ognuno che sappia intendere il volto della civiltà moderna. Ma il fatto resta: oggi in Occidente ci si, toova in un ambiente, da cui le forze spirhuali si sono ritirate e nel quale il singolo su di esse non può fare troppo assegnamento qualora, per un felice concorso di circostanze, egli non sappia aprirsi, in una certa misura, la via da sé. In ciò non vi è nulla da cambiare. Trovandosi dunque in una situazione che già di per sé stessa costituisce una anomalia, praticamente anche nel campo dell'iniziazione, più che le vie regolari, bisogna considerare quelle che esse stesse hanno un carattere di eccezione. E che ve ne siano, in una certa misura lo stesso Guénon lo ammette. I centri spirituali - egli dice (98) - sia pure con modalità estremamente difficili a definire, possono intervenire di là dalle forme della trasmissione regolare, «sia in favore di individui particolarmente qualificati ma che si trovino isolati in un ambiente ove l'oscuramento sia arrivato ad un punto tale che non vi sussista quasi piu nulla di tradizionale e che l'iniziazione non possa esservi ottenuta, sia in vista di uno scopo piu generale, ed anche piu eccezionale, come quello consistente nel riannodare una catena iniziatica rotta accidentalmente». Esistono dunque possibilità non normali di «contatto» diretto. Ma il ,Guénon aggiunge: «È essenziale ritenere che, anche se avviene che un individuo apparentemente isolato pervenga ad una iniziazione reale, questa iniziazione non potrà mai essere spontanea che in apparenza, perché di fatto implicherà sempre

il collegamento, per un mezzo qualsiasi, ad una catena effettivamente esistente» (ibid.). Ora, proprio a tale riguardo bisogna intendersi, e vedere da che parte venga l'iniziativa che determina il contatto. Noi diciamo contatto perché l'essenziale non è un collegamento «lungo l'orizzontale», cioè con una data organizzazione continuatasi storicamente, bensì il collegamento «sulla verticale», cioè, come partecipazione interiore ai princìpi e agli stati superindividuali, di cui ogni particolare organizzazione di uomini non è che una manifestazione sensibile epperò, in un certo modo, solo una esteriorizzazione contingente (III). (III) Del resto, a proposito dei Rosacroce il Guénon parla della collettività di coloro che sono pervenuti ad un determinato.. stadio, superiore a quello della comune umanità, che hanno conseguito lo stesso grado iniziatico (315). Per cui, di rigore, non si dovrebbe parlare non solo di «società» ma nemmeno di «organizzazioni». In altra occasione il Guénon ha ricordato che le gerarchie iniziatiche altro non sono che quelle dei gradi dell'essere. Tutto ciò può dunque esser inteso in senso spirituale e metafisico, e non personalizzato e organizzatorio. Così nei casi in quistione si può sempre chiedere: È davvero l'intervento di un centro che ha determinato l'iniziazione o, al contrario, è l'iniziativa attiva del singolo portatosi avanti sino ad un certo punto che ha provocato quell'intervento? A tale riguardo si può parlare di una qualificazione che non rientra del tutto in quelle indicate dal Guénon, una qualificazione attiva creata da una speciale disciplina: da una speciale preparazione individuale, che rende atti non solo ad essere «eletti», ma, in certi casi, appunto ad imporre l'elezione e l'iniziazione. Il simbolo di Giacobbe che lotta contro l'angelo fino ad imporre che esso lo benedica, come tanti altri, fino a quello di Parsifal (in Wol£ram von Eschenbach) che si apre la via al Graal «con le armi alla mano», cosa «fino ad allora mai udita», corrispondono a tale possibilità. Nei libri del Guénon, purtroppo, non si trova nulla circa quel che può essere una disciplina attiva di preparazione, la quale, in certi casi, può condurre perfino senza soluzione di continuità alla stessa illuminazione (IV): allo stesso modo che il Guénon nulla indica, come discipline concrete, quanto all'opera di attualizzazione che dell'«iniziato virtuale» fa un iniziato vero e, alla fine, un adepto. (IV) Tale è tipicamente il caso nell'ascesi del buddhismo delle origini. Il buddhismo ha anche un termine tecnico a designare appunto «coloro che si sono svegliati da sé» Come si è detto, il dominio del Guénon è quello della semplice dottrina, laddove a noi interessa essenzialmente quello della pratica. Ma anche in quel dominio il Guénon, in altra occasione, ha scritto qualcosa che può creare disorientamento. Egli riferisce un insegnamento islàmico, secondo il quale «chi si presenta ad una certa "porta" senza esservi pervenuto per via normale e legittima vede questa porta chiudersi dinanzi a lui ed egli è costretto a tornare indietro, «ma non come un semplice profano - cosa ormai impossibile - bensì come sâhar (stregone o mago in senso inferiore) ». Contro di ciò bisogna avanzare precise riserve, dicendo anzitutto che se chi è giunto a quella «porta» per via non normale ha una intenzione retta e pura, questa intenzione sarà certamente riconosciuta da chi di dovere e la porta si aprirà, secondo il principio: «Bussate e vi sarà aperto». E qualora la porta non dovesse aprirsi, ciò - sempre nel caso accennato - vorrà solo dire che l'iniziando è posto dinanzi alla prova di aprirla lui usando violenza, secondo il principio che la soglia dei Cieli soffre violenza; perché, in via generale, è esattissimo quel che dice Éliphas Levi, ossia che la conoscenza iniziatica non la si dona, essa la si prende, ciò essendo, del resto, l'essenza di quella qualità attiva che, entro certi limiti, lo stesso Guénon riconosce (V). Volere o non volere, un certo tratto «prometeico» ben inteso apparterrà sempre al tipo piu alto dell'iniziato. Il Guénon ha ragione a non prender sul serio l'«iniziazione in astrale» (139) se ha in vista quel che in proposito, divagando, se ne pensa in certi ambienti «occultistici». Ma anche qui non bisogna mettere nello stesso sacco ciò di cui vedute del genere possono essere solo una distorsione (VI). A parte il fatto che, in qualsiasi caso, l'iniziazione vera si compie in una condizione che non è quella della coscienza desta ordinaria, è possibile elevarsi attivamente a

stati, in cui i contatti essenziali per lo sviluppo superindividuale sono propiziati. Nello stesso esoterismo islàmico si parla della possibilità di conseguire lo shath, stato interiore speciale che fra l'altro rende eventualmente atti a collegarsi col Khidr, essere enigmatico in cui risiede il principio di una iniziazione diretta, cioè senza l'intermediario di una tariqa (organizzazione) e di una sìlsila (catena) (VII). Benché concepita come eccezionale, questa possibilità è ammessa. L'essenziale, qui, è la nyyah, cioè l'intenzione giusta, da non intendersi in senso astratto e soggettivo, ma altresì come direzione magica d'efficacia. (V) E' su questa base che, in uno dei suoi aspetti, va inteso il principo della «incomunicabilità ». La vera conoscenza metafisica è sempre un «atto» e ciò che ha qualità di «atto» non può venire da altro; secondo l'espressione greca si può raggiungerlo solo "kath'autò" (da sè stesso). (VI) Si può anche ricordare la parte rilevantissima che fra le popolazioni selvagge ha l'iniziazione ricevuta in sogno; su ciò cfr. p. es. M. ELIADE, Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi, trad. it., Roma 1953. (VII) Su ciò si cfr. uno scritto di ABDUL HADI (Études traditionnelles, agosto 1946, p. 318). Egli parla di due catene, di cui una sola è storica e tale che l'iniziazione è impartita da un maestro (sheikh) vivente, autorizzato, possedente la chiave del mistero: è l'et-talimurrijâl, poggiante su uomini, distinta dall'et-talimur-rab-bani, nel quale non si tratta di un maestro vivente come uomo, ma di un maestro «assente», sconosciuto o perfino «morto» da molti secoli. A questa seconda via si riconnette la nozione del Khidr (Seyidna El-Khidr), attraverso cui si può ricevere l'iniziazione per via diretta. Tale veduta ha particolare risalto nell'Ismaelismo. Fra i Rosacroce la figura misteriosa di «Elia l'artista» era in un certo modo l'equivalente del Khidr. Veniamo ad ancora un punto. Come si è visto, il Guénon esclude il collegamento «ideale» con una tradizione, perché «ci si può collegare solo con ciò che ha una esistenza attuale» (53-54), intendendo dire una catena di cui esistano ancora rappresentanti viventi in una filiazione regolare. Senza di che l'inizi azione sarebbe impossibile e inesistente. Anche qui vi è una curiosa confusione fra l'elemento essenziale e quello contingente e organizzatorio. Che significa, insomma, «esistenza attuale»? Ogni esoterista sa bene che quando un principio metansico cessa di avere una manifestazione sensibile in dato ambiente o periodo, non è che per questo esso sia meno «attuale» ed esistente: su un altro piano (cosa che, del resto, il Guénon più o meno riconosce - cfr. p. 319). Ora. se per collegamento «ideale» s'intende una semplice aspirazione mentale, si può esser d'accordo col Guénon; altrimenti stanno però le cose nei riguardi delle possibilità " di una evocazione effettiva e diretta sulla base del principio magico delle corrispondenze analogiche e sintoniche. Insomma, lo stesso Guénon ammette - e fors'anche piu del dovuto - che le «influenze spirituali» hanno anche le loro leggi (224). Ciò non equivale, in fondo, ad ammettere, in via di principio, la possibilità di un'azione determinante su di esse? Il che può esser concepito perfino in sede collettiva, potendosi creare una catena psichica e disporla così che serva come un corpo che, in base a «sintonia» e, appunto, a corrispondenza «simpatica», attiri una influenza spirituale nei termini di una «discesa» da un piano, ove le condizioni di tempo e di spazio non hanno un valore assoluto. La cosa può riuscire o non riuscire. Ma non è da escludersi, né da confondersi col semplice, inconsistente «collegamento ideale». Infine il Guénon nega che una iniziazione possa realizzarsi in base a quanto è già avvenuto in precedenti esistenze (203). Ora, siccome noi ammettiamo così poco quanto il Guénon la teoria reincarnazionistica, se è a questa che ci si riferisce, siamo d'accordo. Ma non è che con ciò resti esclusa quella che si potrebbe chiamare una speciale eredità trascendentale in dati individui, tale da conferire ad essi una particolare «dignità» quanto alla possibilità di conseguire per via diretta il risveglio iniziatico. Nel buddhismo ciò viene riconosciuto esplicitamente. L'imagine del Guénon di una pianta o di un essere vivente che non. nasce, quando non sia posto un seme (che sarebbe l'«inizio» determinato dall'iniziazione rituale dall'esterno) non è valida che entro certi limiti. Assolutizzandola, si andrebbe a con tradire la veduta metansica fondamentale della non-dualità e, insomma, a riportare uniformisticamente tutti gli esseri ad un minimo comun denominatore. Vi è chi può già portar in sé il «seme» del risveglio. Con ciò abbiamo indicato gli elementi essenziali da far valere di fronte allo schema unilaterale

della «regolarità iniziatica». Noi in un certo modo squalificheremmo noi stessi se a questo schema non riconoscessimo il dovuto valore. Ma non bisogna esagerare e perdere di vista le condizioni speciali, diciamo pure anomale, in cui si trovano in Occidente anche coloro che hanno la , migliore intenzione e qualincazione. Chi non sarebbe lieto se, si trovassero organizzazioni iniziatiche come il Guénon le concepisce, anche se non negli aspetti secondo cui esse fanno pensare quasi ad un sistema burocratico di «legalità» formale? Chi non le cercherebbe, chiedendo semplicemente di esser giudicato e «provato»? Ma non è così e chi legge il Guénon si trova un po' nella situazione di chi oda dire che cosa bella sia il possedere una certa affascinante ragazza ma, nel punto di chiedere dove essa sia, essendosi eccitato, abbia per risposta il silenzio ovvero un: «Non è affar nostro». Perché, quanto alle indicazioni date in via indiretta dal Guénon circa quel che sussisterebbe in Occidente in fatto di organizzazioni iniziatiche regolari, si è già detto quali precise riserve si impongano. Vi è poi una quistione che, a dir vero, avremmo dovuto porre proprio al principio, dicendo che l'idéa stessa dell'iniziazione rituale, quale il Guénon l'espone, ci sembra cosa assai indebolita. Troppo poco è, infatti, una trasmissione di mal individuate «influenze spirituali », della quale ci si può perfino non accorgere, che rende uno un semplice «iniziato virtuale» il quale, in concreto, come dicemmo, è esposto ad ogni errore e ad ogni deviazione proprio come l'ultimo «profano». Per quel che sappiamo, e per quel che si può desumere da tradizioni precise, comprese quelle dei Misteri antichi, l'iniziazione reale è invece assimilabile ad una specie di operazione chirurgica, avente per controparte una esperienza vissuta particolarmente intensa, lasciante come è detto in un testo - «una traccia eterna di frattura» . Incontrare chi sia capace di dare una iniziazione in questi termini, non è cosa facile, né dipendente dalla sola qualificazione (per la ragione già detta, debbonsi porre varie restrizioni, oggi, in Occidente, al principio: «Quando il discepolo è pronto, anche il Maestro è pronto»). Nel caso, si tratta essenzialmente di elementi, per così dire, «distaccati» (nel senso militare), che nella vita si possono incontrare e non incontrare. Non ci si deve illudere di trovare una «scuola» vera e propria con tutto quanto occorre per uno sviluppo regolare, con un sistema sufficiente di «sicurezze» e di controlli. Le «scuole» che in Occidente presumono di esser tali, e tanto più, per quanto più lo presumono, con «iniziati» che per poco non mettono questa loro qualifica sul loro biglietto da visita o nell'elenco telefonico, sono volgari mistificazioni, e uno dei meriti del Gtiénon è di aver esercitato, nei riguardi di molte di esse, una giusta critica distruttrice. Quanto poi a coloro che, assunto il karma della civiltà in cui hanno voluto nascere essendo ben certi della loro vocazione, vogliono portarsi avanti da sé cercando di giungere a dei contatti diretti sulla «verticale» cioè come contatti metafisici, al luogo del collegamento «orizzontale» con orgamzzazioni apparse nella storia che forniscano loro un sostegno -, costoro imboccano naturalmente una via pericolosa, cosa che qui teniamo a sottolineare esplicitamente: è come l'avventurarsi in un paese selvaggio, senza avere «credenziali» né una carta geografica esatta. Ma, in fondo, se nel mondo profano si considera naturale che una persona ben nata metta in giuoco la propria vita quando lo scopo ne vale la pena, non vi è ragione di pensarla diversamente nei riguardi di chi, date le circostanze, non abbia altra scelta per quanto concerne la conquista dell'iniziazione e rimozione del vincolo umano. Allah akbar! - si può dire con gli Arabi, cioè: Dio è grande - mentre fu già di Platone il detto: «Ogni cosa grande è pericolosa». Janus: Se si analizza quanto scritto dal Guènon - in particolare in Considerazioni sulla Via Iniziatica e Iniziazione e Realizzazione Spirituale - si può ben notare come le differenze che "Ea" evidenzia siano già accennate, nel senso di casi straordinari. Il tradizionalista francese ha voluto inquadrare la questione, come fa sempre nei suoi scritti e per tutti gli argomenti, in un senso rigoroso e generale, in maniera ortodossa e fedele alla Dottrina. "Ea", ad un livello operativo e diverso, esprime la necessità di come i casi eccezzionali, nel Kali-yuga, si manifestano come unica realtà, per ovvi motivi; da ciò, la complementarietà tra Dottrina e Metodo. Abraxa: Credo far cosa utile agli studiosi della tradizione, presentando loro questo prospetto sinottico, relativo ad alcuni aspetti dell'iniziazione, che mette a confronto le rispettive posizioni di Renè Guenon e di Julius Evola. Per un approfondimento, rimandiamo alla lettura integrale dei testi citati.

1b) J.Evola - R. Guenon

Un Confronto sull'Iniziazione

OPERE CITATE

ABBREVIAZIONI USATE

Guenon_Considerazioni sulla Via Iniziatica, Milano 1949

CVI

Guenon_Iniziazione e Realizzazione Spirituale, Torino 1967

IRS

Guenon_Errore dello Spiritismo, Milano 1974

ES

Guenon_Oriente e Occidente, Torino, 1965

OO

Ea_ Sui Limiti della Regolarità Iniziatica (in Introd. Alla Magia III, Roma1971)

LRI

Evola_ Il Problema Spirituale (in Cavalcare la Tigre), Milano 1973

PS

SG Evola_Renè Guenon e la Scolastica Guenoniana (ne Il Ghibellino gennaio 1963, ora anche nel Quaderno di Testi Evoliani n°19 Roma 2001) Evola_Sul Concetto di Iniziazione (in L'Arco e la Clava, Milano 1971)

CI

Evola_L'iniziazione nel Mondo Moderno (in Testimonianze su Evola II ed. Roma 1985)

IMM

Evola_Correnti Iniziatiche e Alta Magia (in Maschera e Volto dello Spiritualismo Contemporaneo, Roma 1971)

CIAM

Guenon 1.1 Definizione L'iniziazione consiste essenzialmente e Aspetti nella trasmissione di una certa influenza Principali spirituale e questa trasmissione può essere operata solo mediante un rito, quello appunto con cui si effettua il ricollegamento ad un'organizzazione avente lo scopo precipuo di conservare e trasmettere l'influenza di cui si parla. (IRS p. 51) Nell'iniziazione è di fondamentale importanza un collegamento ad una Organizzazione Tradizionale , che non

Evola Presa nella sua accezione rigorosa e legittima l'iniziazione corrisponderebbe, nell'uomo, ad un reale cambiamento ontologico e esistenziale di stato, all'apertura di fatto della dimensione della trascendenza...E noi possiamo dichiarare categoricamente che a questo riguardo i casi possibili si riducono a tre soltanto. Il primo caso è che il diverso potere lo si possegga già per natura. È il caso eccezionale di quella che fu

può, beninteso , dispensare in alcun modo dal lavoro interiore che ognuno deve compiere da se stesso, ma che è richiesto come condizione preliminare perché questo lavoro stesso possa effettivamente dare i suoi frutti. Bisogna capire fin da ora che coloro che sono stati costituiti depositari della Conoscenza Iniziatica, non possono comunicarla in maniera più o meno paragonabile a quella di un professore che nell'insegnamento profano comunica ai suoi allievi formule attinte dai libri, formule che essi dovranno soltanto immagazzinare nella loro memoria; si tratta qui di una cosa che, nella sua essenza stessa, è propriamente incomunicabile, poiché sono Stati dell'Essere da realizzare interiormente. Si possono insegnare invero soltanto certi metodi preparatori per ottenere questi Stati; a tale riguardo, dal di fuori, non può essere fornito che un aiuto, un appoggio per facilitare grandemente il lavoro da compiersi, ed anche un controllo per allontanare gli ostacoli ed i pericoli che possono presentarsi. Nella iniziazione occorre sviluppare la virtualità che essa costituisce; ma altresì è anche necessario, in primo luogo, che questa virtualità preesista. E' dunque in un modo diverso che deve essere intesa la trasmissione iniziatica propriamente detta, e non sapremmo meglio caratterizzarla che dicendola essenzialmente la trasmissione di un'influenza spirituale. Le fasi dell'iniziazione riproducono quelle del processo cosmogonico; una tale analogia , basantesi direttamente su quella del 'microcosmo' e del 'macrocosmo', permette meglio di ogni altra considerazione di chiarire la questione . Infatti si può dire che le attitudini o possibilità incluse nella natura individuale non sono in un primo momento in sé stesse che una materia prima, vale a dire una pura potenzialità, in cui non v'è niente di sviluppato o di differenziato; è quindi lo stato caotico e tenebroso, che il simbolismo iniziatico fa corrispondere precisamente al mondo profano, e nel quale si trova l'essere non ancora pervenuto alla 'seconda nascita. Perché questo Caos possa cominciare a

chiamata lla «dignità naturale »e non derivante dalla semplice nascita umana; è paragonabile a ciò che nel dominio religioso è l'elezione...Gli altri due casi riguardano una «dignità acquisita». In primo luogo si può considerare la possibilità dell'apparire del potere in questione, con una conseguente, brusca rottura esistenziale e ontologica di livello, in casi di profonde crisi, di traumi spirituali, di azioni disperate. In cui è possibile che l'individuo, se non va in rovina, sia portato a partecipare a quella forza, anche senza che se lo sia posto consapevolmente come scopo. La situazione effettiva deve però essere chiarita dicendo che in casi del genere era stata già accumulata una energia che le circostanze accennate hanno fatto d'un tratto manifestare, con l'effetto di un cambiamento di stato: per cui, quelle circostanze appaiono come una causa occasionale ma non determinante, necessaria ma non sufficiente. Del pari l'ultima goccia non farebbe traboccare il vaso ove esso non fosse già colmo, e lo spaccare una diga non farebbe prorompere l'acqua se non premesse già dietro di essa. Il terzo e ultimo caso riguarda l'innesto del potere in parola nell'individuo in. virtù dell'azione dell'esponente di una organizzazione iniziatica preesistente, che a tanto sia qualificato. È l'equivalente di quel che nel campo religioso è l'ordinazione sacerdotale, la quale in teoria imprimerebbe nell'individuo un character indelebilis che lo qualifica per l'esecuzione efficace dei riti....Renè Guenon...considera quasi esclusivamente questo terzo caso. Per conto nostro, riteniamo invece che ai nostri giorni esso praticamente sia pressoché da escludere per via dell'inesistenza quasi completa delle

prendere forma ed a organizzarsi, è necessario che gli sia comunicata una vibrazione iniziale dalle potenze spirituali che la Genesi ebraica designa come gli Elohim; questa vibrazione è il Fiat Lux che illumina il Caos, e che è il punto di partenza necessario per tutti gli sviluppi ulteriori. Dal punto di vista iniziatico, questa illuminazione è rappresentata precisamente dalla trasmissione dell'influenza spirituale di cui si è detto più sopra. In virtù di questa influenza le possibilità spirituali dell'essere non sono più la semplice potenzialità che erano prima; esse sono diventate una 'virtualità' pronta a svilupparsi in atto nei diversi stadi della realizzazione iniziatica. L'iniziazione, quindi, implica 3 condizioni che si presentano in modo successivo, e che si potrebbero far corrispondere rispettivamente ai 3 termini di 'potenzialità' , di 'virtualità' e di 'attualità' : 1) la potenzialità è la qualificazione costituita da certe possibilità inerenti alla natura propria dell'individuo, e che sono la materia prima su cui il lavoro iniziatico dovrà effettuarsi; 2) la virtualità è la trasmissione, per il tramite di un collegamento ad un'organizzazione tradizionale regolare, di un'influenza spirituale che dia all'essere la illuminazione , che gli permetterà di ordinare e di sviluppare quelle possibilità che porta con sé; 3) l'attualità è il lavoro interiore per cui, con l'aiuto di 'cooperanti' o di 'appoggi' esteriori, se è il caso ,e soprattutto nei primi stadi , questo sviluppo sarà realizzato gradualmente, facendo passare l'essere, di gradino in gradino, attraverso i differenti gradi della gerarchia iniziatica, per condurlo allo scopo finale della 'Liberazione' o dell 'Identità Suprema' . Lo scopo essenziale e finale dell'iniziazione oltrepassa il dominio dell'individualità e le sue possibilità particolari. Da un tale semplice rilievo, e senza nemmeno andare al fondo delle cose, si può dunque immediatamente concludere che sia necessaria la presenza di un elemento non umano, e tale è proprio infatti il carattere dell'influenza spirituale la cui trasmissione

organizzazioni accennate.(PS pp.210-213) Può servire a chiarire il concetto di iniziazione l'opposizione fra «superuomo» e «iniziato» quali tipi. Il superuomo si è presentato come il potenziamento estremo e problematico della specie «uomo ». Invece, in via di principio, l'iniziato non appartiene piu a questa specie. Se si ha in vista l'alta iniziazione, si può dire che il « superuomo » appartiene ad un piano prometeico (l'uomo resta tale ma cerca, prevaricatoriamente, di far propria una dignità e un potere superiori), mentre l'iniziato in senso proprio appartiene ad un piano olimpico. (ha connaturata una diversa, legittima dignità). (CI pp. 94-95) Gruppi effettivamente seri ed attivi nel campo dell'iniziazione è ben raro trovarne o indicarne in Occidente. Ci sono tuttavia delle vene sparse qua e là, le cui origini sono difficilmente rintracciabili: le rappresentano senza dubbio le organizzazioni di Giuliano Kremmerz, che pare avessero una dimensione iniziatica; ma non si sa bene quale sia il primo anello della catena. (IMM p.337) La scuola del Kremmerz - la Myriam - si era costituita infatti come una vera e propria unità magica, organizzata da riti, contrassegnata da simboli, da gradi di iniziazione e da cerimoniali. È da escludere che tutto ciò sia stato creato ex novo dal Kremmerz: si tratta piuttosto dell'affiorare di una vena di una preesistente tradizione la, cui origine non è facile individuare. (CIAM p.201)

costituisce l'iniziazione propriamente detta. ....E' facile capire come 'la parte' dell'individuo che conferisce l'iniziazione ad un altro individuo (profano) sia invero una parte di trasmettitore, nel senso più esatto della parola; questi infatti non agisce in quanto individuo, ma in quanto appoggio di una influenza non appartenente all'ordine individuale; è unicamente un anello della "catena " il cui punto di partenza è al di fuori e al di là dell'umanità. In tal modo, egli non può agire in nome proprio, ma in nome dell'organizzazione cui è collegato e da cui detiene i suoi poteri, o, ancora più esattamente, in nome del Principio che questa organizzazione rappresenta visibilmente. Ciò spiega d'altronde come 1'efficacia del Rito compiuto da un individuo è indipendente dal valore stesso di quest'individuo in quanto tale; se l'individuo non possiede il grado di conoscenza necessario per comprendere il senso profondo del Rito e la ragione essenziale dei suoi diversi elementi, questo rito non per tal motivo avrà meno il suo pieno effetto se, essendo regolarmente investito della funzione di 'trasmettitore' , egli lo adempirà osservando tutte le regole prescritte, e con una intenzione che sia sufficientemente determinata dalla coscienza del suo collegamento all'Organizzazione Tradizionale. Di contro, la conoscenza anche completa del Rito, se è stata ottenuta al di fuori delle condizioni regolari, è interamente sprovvista di ogni valore effettivo; e così diremo, per prendere un esempio semplice (poiché il Rito si riduce essenzialmente nella pronuncia di una parola o di una formula), che, nella Tradizione Indù, se il Mantra non è appreso dalla bocca di un Guru autorizzato, è senza alcun effetto, poiché non è 'vivificato' dalla presenza dell'influenza spirituale di cui è unicamente destinato ad essere il veicolo. La consacrazione dei Templi, delle immagini, degli oggetti rituali, ha lo scopo essenziale di farne il ricettacolo effettivo delle influenze spirituali senza la cui presenza i Riti , ai quali debbono servire, sarebbero sprovvisti di efficacia.

Le ''formule ritmate, corrispondenti esattamente ai Mantra Indù, sono formule la cui ripetizione ha lo scopo di produrre un'armonizzazione dei diversi elementi dell'essere, e di determinare vibrazioni suscettibili, con la loro ripercussione attraverso la serie degli stati in gerarchia infinita, di aprire una comunicazione con gli Stati Superiori, che è d'altronde, in generale, la ragione d'essere essenziale e primordiale di tutti i riti". (CVI passim)

1.2 Oriente e Occidente

Per quanto roguarda l'Oriente, dobbiamo convenire che i danni causati dalla modernizzazione sono andati considerevolmente aumentando, almeno dal punto di vista esteriore; nelle regioni che più a lungo vi avevano resistito, il cambiamento sembra ormai effettuarsi a ritmo accelerato; l'India stessa ne è un esempio caratteristico. Tuttavia nulla di tutto ciò ha ancora raggiunto il cuore della Tradizione: dal nostro punto di vista, questa è la sola cosa che importi e sarebbe senza dubbio errato attribuire un'importanza eccessiva ad apparenze che possono essere solanto transitorie; ad ogni modo, è sufficiente che il punto di vista tradizionale, con tutto ciò che esso comporta, sia integralmente preservato in Oriente in qualche luogo inaccessibile all'agitazione della nostra epoca. (OO p.250)

Se organizzazioni del genere in Occidente ebbero già sempre un carattere più o meno sotterraneo a causa della natura della religione venuta a predominarvi e delle sue iniziative repressive e persecutorie, nei tempi ultimi esse sono quasi del tutto scomparse per quel cbe riguarda altre aree, soprattutto l'Oriente, esse si sono rese sempre più rare e inaccessibili, quando anche le forze di cui erano le portatrici non si siano da esse ritirate, parallelamente al processo generale di degenerescenza e di modernizzazione che ormai ha investito anche quelle aree. Di massima, oggi lo stesso Oriente ai più non è in grado di fornire che dei sottoprodotti, in un «regime di residui», cosa evidente solo che si esamini la statura spirituale degli Asiatici che si sono messi ad esportare e a divulgare fra noi la «sapienza orientale». (PS 213)

1.3 Le iniziazioni tribali

I selvaggi, i quali secondo noi non sono dei "primitivi", ma dei degenerati, possono aver conservato certi riti senza comprenderli, e questo fin da tempi assai remoti; la tradizione di cui si è perduto il significato, ha in essi lasciato il posto alla consuetudine o alla "superstizione" nel senso etimologico della parola. (ES p. 158)

La teoria che l'essere presenta stati multipli, dei quali quello umano è soltanto uno particolare, è dunque la premessa del concetto di iniziazione. Vanno però considerati stati dell'essere non soltanto superiori ma anche inferiori a quello che definisce la comune e normale personalità umana. Casi è concepibile una duplice possibilità di apertura di questa personalità, verso l'alto e verso il basso; in corrispondenza, un trascendimento «ascendente»

(conforme al senso etimologico rigoroso del termine transcendere = «andar al di là innalzandosi») va ben distinto da un trascendimento « discendente». Per questo poco sopra abbiamo parlato specificamente di «alta iniziazione» ... Nelle iniziazioni tribali dei primitivi ed anche nelle loro iniziazioni delle cosidette «classi di età» ci si trova in genere sulla direzione discendente. Il singolo si apre alla forza mistico-vitale del proprio ceppo, si integra in essa, ne fa la vita della propria vita. Ovvero l'integrazione può riguardare le potenze profonde che agiscono formativamente nell'organismonei vari periodi dell'esistenza. Ciò che pel singolo può risultarne, le nuove facoltà che egli così può acquisire comportano però quasi sempre qualcosa di collettivizzante, di subpersonale. Su questo caso qui non abbiamo da fermarci ulteriormente. Esso ci si presenta in forme tipiche, ad esempio, nel totemismo e in alcune varietà dei culti primitivi dei morti. (CI pp. 95-96) 1.4 Piccoli e Grandi misteri

I Grandi Misteri concernono propriamente la realizzazione degli stati sovrumani. (CVI p. 326) I G.M. sono in relazione diretta coll'iniziazione sacerdotale. (id., 327) I Grandi Misteri comportano essenzialmentela conoscenza di ciò che è oltre la natura. La conoscenza metafisica pura appartiene dunque propriamente ai I Grandi Misteri (id., 328) I Piccoli Misteri comprendono tutto quanto si rifensce allo sviluppo delle possibilità dello stato umano considerato nella sua integralità. (CVI p. 325) I Piccoli Misteri sono in relazione diretta coll'iniziazione reale. I Piccoli Misteri comportano essenzialmente la conoscenza della natura. (id., 327) La conoscenza delle scienze tradizionali appartiene propriamente ai Piccoli Misteri (id., 328) E' a questa tecnica concernente il maneggio delle influenze spirituali che si

Un cenno merita una differenziazione che si presenta anche nell'area delle civiltà superiori. Essa riguarda la dualità di iniziazione ai Piccoli Misteri che genericamente si possono chiamare demetrico-ctoni, e di iniziazione ai Grandi Misteri che si possono chiamare uranici o olimpici. Talvolta i Piccoli Misteri sono stati presentati come una fase preliminare, i Grandi Misteri come il compimento. Tuttavia altre volte i Piccoli e i Grandi Misteri insieme a molte altre forme di iniziazione diversamente denominate che si possono far corrispondere rispettivamente agli uni e agli altri non hanno presentato questo carattere di fasi successive, sono stati distinti e perfino contrapposti gli uni agli altri. In effetti, essi possono anche

riferiscono propriamente espressioni come quelle di ''arte sacerdotale'' ed ''arte reale'' designanti le applicazioni rispettive delle iniziazioni corrispondenti (vedi più oltre); d'altra parte, si tratta qui di Scienza Sacra e Tradizionale, ma che, pur essendo sicuramente di un ordine del tutto diverso dalla scienza profana, non è perciò meno ''positiva'', anzi lo è realmente molto di più se si prende questa parola nel suo significato vero, che invece è abusivamente svisato dagli ''scientisti'' moderni. (CVI)

2. Religione e Iniziazione

riportare ad orientamenti, vocazioni e significati differenti. Semplificando, si può dire che lo sfondo dei Piccoli Misteri ha un carattere «cosmico» e, in un certo senso, panteistico. Il loro limite è la fysis nel senso più vasto e originario del termine, ossia la natura, Mater Natura, Mater Magna, il mondo manifestato. I Grandi Misteri stanno invece sotto il segno della trascendenza, di ciò che non è «vita» nemmeno in senso cosmico, ma super-vita, essere. Si potrebbe dunque parlare di un rinascere nella Vita per gli uni, di un rinascere nell'Essere per gli altri, come fine delle corrispondenti iniziazioni. Però il concetto di iniziazione acquista la pienezza delle sue valenze superiori essenzialmente con riferimento alla seconda direzione. A parte, come una varietà dei Piccoli Misteri sono da considerarsi le iniziazioni che miravano a stabilire o a rinnovare un contatto con particolari potenze della natura. Diverse iniziazioni facenti da controparte, nel mondo tradizionale, ai mestieri rientrano in tale tipo. (CI p. 96)

Dopo di ciò, conviene distinguere, per prima cosa, il mondo della religione da quello dell'iniziazione. Qui non si può evitare una certa schematizzazione. Infatti esistono religioni nelle quali è presente una iniziazione, e dal punto di vista della storia delle religioni è un fatto che alcune religioni si sono sviluppate da un dominio che in origine aveva avuto un carattere iniziatico attraverso un processo di volgarizzazione, di appiattimento e Molta gente sembra dubitare della necessità, per chi aspira all'iniziazione, di di esteriorizzazione degli riallacciarsi come prima cosa ad una una insegnamenti e delle pratiche originarie. A tale riguardo un forma tradizionale exoterica e di esempio caratteristico è costituito osservarne tutte le prescrizioni;... dal buddhismo: esiste un vero iato ma è invece inammissibile che chi ha fra ciò che si può chiamare la pura delle pretese all'esoterismo possa ignorare l'exoterismo, anche solo nei suoi «dottrina del risveglio» e la corrispondente prassi del aspetti pratici, in quanto il "più" deve buddhismo delle origini, e il necessariamente contenere il "meno". Possiamo dividere le organizzazioni tradizionali in exoteriche ed esoteriche ; per exoteriche intenderemmo le organizzazioni che in una certa forma di civiltà sono aperte a tutti indistintamente; sono invece esoteriche quelle riservate ad una élite, o, in altri termini, dove sono soltanto ammessi coloro che posseggono una particolare qualificazione. Queste ultime sono propriamente le organizzazioni iniziatiche. (CVI)

(IRS p.77)

buddhismo come religione successivamente diffusosi. Però si può ammettere che in un sistema tradizionale completo religione e iniziazione sono due gradi gerarchicamente ordinati, il rapporto fra i quali è quello che nel campo dottrinale è espresso dai termini exoterismo e esoterismo, semplice fede e gnosi, devozione e realizzazione spirituale, piano dei dogmi e dei miti e piano della metafisica. L'attuale storia delle religioni dà un risalto scarso o nullo a questa articolazione essenziale, e il modo di concepire la religione venuto a predominare in Occidente, modo del quale anche molti studiosi indipendenti subiscono senza accorgersene la suggestione, dimostra che la « religione» può effettivamente rappresentare una categoria a sè, ben determinata, definita perfino da una opposizione rispetto a tutto ciò che è iniziatico e metafisico. Questa concezione deriva in gran parte dalle credenze di ceppo semitico, ossia dall'ebraismo, dal cristianesimo e dall'islamismo, caratterizzate, nelle loro forme positive, dal teismo, dal creazionismo e dal concetto dell'uomo come generato per iatum (ossia: fatto sorgere dalla divinità come un essere staccato). L'islamismo conosce bensi una tradizione esoterica e iniziatica nel quadro della Sh'ya e come sufismo; l'ebraismo ha una tradizione corrispondente, nella Kabbala; ma queste correnti sono in un certo modo disgiunte dall'ortodossia, mentre nel cattolicesimo manca del tutto un loro equivalente, al posto dell'esoterismo e dell'esperienza iniziatica avendosi una semplice mistica mentre, in particolare, nel cattolicesimo, come rileveremo piu oltre, s'incontra il curioso fenomeno di strutture che come forma sono di tipo iniziatico, che però sono applicate ad un piano non iniziatico. Possiamo fissare

sinteticamente il carattere specifico dell'orizzonte propriamente religioso rispetto a quello iniziatico dicendo che il primo ha per centro la concezione della divinità come persona (= teismo) ed è definito da una distanza essenziale, ontologica, fra questo Dio-persona e l'uomo, in secondo luogo, di conseguenza, da una trascendenza tale da ammettere soltanto rapporti di dipendenza, di devozione, al massimo di trasporto e di estasi mistica, restando fermo il limite corrispondente alla relazione Io umano -Tu divino. L'iniziazione ha invece come premessa la rimuovibilità di questo limite e il cosidetto principio della «identità suprema» la cui controparte è una concezione superpersonale del Principio Primo. Di là dal Dio come persona vi è l'Incondizionato come una realtà superiore sia all'essere che al non-essere e ad ogni imagine specificamente religiosa (vi è chi ha parlato di un «Superdio »). Come si sa, ad esempio nella metafisica indù e nel buddhismo delle origini il Dio personale, gli dèi e i regni celesti sono stati riconosciuti, ma ad essi è stato dato un grado minore di realtà, sono stati considerati come appartenenti essi stessi al condizionato. L'assoluto sta di là da essi. Nel neoplatonismo, di cui sono attestate le relazioni col mondo dei Misteri.ellenistici, s'incontrano concezioni analoghe. Questo secondo punto mostra quanto sia arbitrario parlare promiscuamente di «religione» dovunque si tratti di rapporti dell'uomo con un mondo piu che umano. (CI pp.97-98) E' da respingere ciò che il Guénon scrisse in un infelice articolo sulla «Necessità di un exoterismo tradizionale», offrendo pericolosi incentivi e alibi ad un conformismo codino e piccolo-borghese. (SG)

2.1 Mistica e Iniziazione

L'iniziazione appartiene all'individuo; l'iniziativa di una 'realizzazione' che si perseguirà metodicamente, sotto un controllo rigido ed incessante, e che dovrà condurre a superare le possibilità stesse dell'individuo come tale. E' indispensabile aggiungere che questa iniziativa non basta, poiché è evidente che l'individuo non può superare sé stesso solo con i suoi mezzi propri, ma, ed è ciò che ci interessa, è questa iniziativa a costituire obbligatoriamente il punto di partenza di ogni 'realizzazione' per l'iniziato. Ogni realizzazione iniziatica è dunque essenzialmente e puramente 'interiore', contrariamente a quella 'uscita da sé' che costituisce 'l'estasi' nel senso esatto ed etimologico della parola. E in questo consiste non certo la sola differenza, ma almeno una delle grandi differenze esistenti tra gli stati mistici, interamente appartenenti al dominio religioso, e gli stati iniziatici. (CVI)

Quel che si è detto fin qui fa capire anche che fra mistica e iniziazione deve essere tracciata una frontiera. Questo punto è generalmente trascurato, la confusione fra i due domini è corrente, per cui sarà bene aggiungere qualche breve considerazione. A dire il vero, se ci si tiene all'etimologia il misticismo riporta al mondo iniziatico perché il «miste» (da cui «misticismo») era l'adepto degli antichi Misteri. Ma anche qui ci si trova di fronte ad un caso tipico della corrosione delle parole. Nella sua accezione ormai corrente il termine «misticismo» può essere legittimamente usato soltanto per designare un fenomeno avente una fisionomia sua propria e da considerarsi come il limite estremo del solo mondo della religione. Anzitutto si tratta dell'orientamento fondamentale. Per usare i termini già riferiti, il misticismo sta nel segno dell'estasi, l'iniziazione nel segno dell'enstasi; movimento estroverso nell'un caso, movimento introverso nell'altro. Conformemente alla struttura dello spirito religioso, la posizione del mistico rispetto alla trascendenza è essenzialmente «eccentrica» (= discentrata). Da qui, un prevalente carattere di passività nel caso del misticismo, di attività nel caso dell'iniziazione. Un simbolismo assai ricorrente nella mistica, specie occidentale, quello delle nozze spirituali nelle quali l'anima umana ha la parte feminile di una sposa, sarebbe assurdo sul piano iniziatico. Sotto un altro aspetto, la passività del mistico è quella inerente alla predominanza dell'elemento affettivo, emozionale e sub-intellettuale, ed essa si riflette nel carattere prevalente delle esperienze mistiche le quali sopraffanno e travolgono il principio cosciente dell'Io, più che venire da questo controllate e dominate. Cosi quasi sempre il mistico non ha un senso preciso

della via percorsa né è in grado di cogliere e indicare il contenuto reale e oggettivo delle proprie esperienze. Il momento soggettivo qui prevale in aspetti pur sempre umani, l'anima avendo il sopravvento sullo spirito (è quel che rende quasi insopportabile la lettura dei testi con le monotone, effusioni emozionali della grandissima parte dei mistici cristiani - si può scorrere, ad esempio, l'antologia intitolata «I Mistici» a cura di E. Zolla). Cosi può legittimamente parlarsi, per simboli, della via mistica come di una via essenzialmente umida, di contro a quella secca iniziatica. Non è da negarsi che alcuni mistici abbiano raggiunto talvolta altezze metafisiche, però senza una vera trasparenza e, si può dire, per dei balenamenti e dei rapimenti, pel sollevarsi momentaneo di una cortina che sùbito dopo è ricaduta. Inoltre il mistico in quanto tale è un viandante solitario. Egli si avventura nel dominio del sovrasensibile senza avere dei veri principi per orizzontarsi e senza disporre di una vera protezione. Abbandonato il suolo della tradizione positiva e dogmatica, egli va da sé. Non esistono catene di mistici, cioè di maestri che si trasmettono la tradizione mistica in modo ininterrotto; con una corrispondente, adeguata dottrina e pratica. In effetti, il misticismo si presenta prevalentemente come un fenomeno sporadico e irregolare. Esso fiorisce soprattutto in quelle tradizioni che hanno un carattere incompleto, cioè nelle quali quel che è semplice religione e exoterismo non ha la sua integrazione e il suo coronamento in una iniziazione e in un esoterismo. Essenzialmente, di contro al carattere precipuo dell'esperienza propriamente mistica si deve mettere in evidenza il carattere cosciente, noetico e intellettuale, di chiarezza

sovrarazionale, attribuito alla vera esperienza iniziatica. (CI pp. 102-104) Domanda: Quindi non esiste la catena, quindi attualmente sarebbe difficile fare questo trasbordo... Evola: Veramente, a voler essere onesti, se legge Meister Eckart spesso si incontra: "Il mio maestro mi ha detto...", eccetera. Ciò presuppone che riceveva da qualcuno quelle dottrine. (IMM p.350) 3.1 Iniziazione La distinzione fra l'iniziazione effettiva e Virtuale ed l'iniziazione virtuale è tanto importante da indurci a precisarla meglio; a tal riguardo, Effettiva faremo rilevare in primo luogo che, tra le condizioni dell'iniziazione enunciate in precedenza, il collegamento ad una organizzazione tradizionale regolare (collegamento che naturalmente presuppone la qualificazione) è sufficiente per l'iniziazione virtuale, mentre, il lavoro interiore che ne consegue concerne proprio l'iniziazione effettiva; insomma, questa è a tutti i suoi gradi lo sviluppo '' in atto'' delle possibilità cui l'iniziazione virtuale dà accesso. Questa iniziazione virtuale è dunque l'iniziazione intesa nel significato più stretto del termine, vale a dire come una '' entrata '' o un '' principio''; il che, bene inteso, non significa minimamente che essa possa essere considerata come qualche cosa di sufficiente a se stessa, ma soltanto come il punto di partenza necessario per tutto il resto; quando si è entrati in una via, bisogna altresì sforzarsi di seguirla, ed anzi, se è possibile, di seguirla fino in fondo. Si può riassumere tutto in poche parole: entrare nella via è l'iniziazione virtuale; seguire la via è l'iniziazione effettiva; disgraziatamente, di fatto, molti restano sulla soglia, non sempre per colpa della loro incapacità nel procedere oltre, ma anche, nelle condizioni attuali del mondo occidentale soprattutto, a causa della degenerescenza di certe organizzazioni che, divenute troppo '' speculative '', come abbiamo spiegato precedentemente (...), non possono per tal motivo aiutarli in alcun modo nel

Vi è poi una quistione che, a dir vero, avremmo dovuto porre proprio al principio, dicendo che l'idéa stessa dell'iniziazione rituale, quale il Guénon l'espone, ci sembra cosa assai indebolita. Troppo poco è, infatti, una trasmissione di mal individuate «influenze spirituali », della quale ci si può perfino non accorgere, che rende uno un semplice «iniziato virtuale» il quale, in concreto, come dicemmo, è esposto ad ogni errore e ad ogni deviazione proprio come l'ultimo «profano». Per quel che sappiamo, e per quel che si può desumere da tradizioni precise, comprese quelle dei Misteri antichi, l'iniziazione reale è invece assimilabile ad una specie di operazione chirurgica, avente per controparte una esperienza vissuta particolarmente intensa, lasciante - come è detto in un testo - «una traccia eterna di frattura» .(LRI p.174) Qui non possiamo non esprimere il nostro dissenso preciso circa due punti. L'uno è che anche attraverso organizzazioni. degradate si potrebbe ottenere qualcosa di simile ad una vera iniziazione. La continuità delle «influenze spirituali », secondo noi, è invece illusoria quando non esistano più rappresentanti degni e consapevoli in una . data catena e la trasmissione sia quasi divenuta meccanica.

lavoro '' operativo'', fosse pure nei suoi stadi più elementari, e nulla forniscono di ciò che almeno possa permettere ad essi di avere il semplice sospetto dell'esistenza di una qualsiasi '' realizzazione''. Epperò, anche in queste organizzazioni, si parla è vero ad ogni istante di '' lavoro '' iniziatico, o almeno di qualche cosa che si considera tale; ma ci si può porre allora legittimamente la questione: in qual senso e in qual misura ciò corrisponde ancora a qualche realtà? Per rispondere ad una tale questione, ricorderemo che l' iniziazione è essenzialmente una trasmissione, ed aggiungeremo che un tal fatto può intendersi in due modi differenti:da una parte, trasmissione di una influenza spirituale,e, d'altra parte, trasmissione di un insegnamento tradizionale. E' la trasmissione dell'influenza spirituale che dev'essere soprattutto considerata, non soltanto perché deve logicamente precedere ogni insegnamento ( il che è troppo evidente quando si comprende la necessità del collegamento tradizionale), ma anche e principalmente perché proprio questa trasmissione costituisce essenzialmente l'iniziazione in senso stretto, sicché, se non dovesse trattarsi che di iniziazione virtuale, tutto si potrebbe insomma limitare a ciò, senza nemmeno porsi la questione di aggiungervi ulteriormente un insegnamento qualsiasi. In effetti, l'insegnamento iniziatico non può essere altro che un aiuto esteriore apportato al lavoro interiore di realizzazione, alfine di appoggiarlo e guidarlo per quanto possibile; donde in fondo la sua unica ragion d'essere, ed è solo in ciò che può consistere il lato esteriore e collettivo di un vero ''lavoro'' iniziatico, se si intende realmente quest'ultimo nel suo significato legittimo e normale. (CVI passim)

Esiste di fatto 'la possibilità che le influenze veramente' spirituali in tali casi si «ritirino», per cui ciò che resta e che si trasmette è solo qualcosa di degradato, un semplice «psichismo» aperto perfino a forze oscure, per cui l'aggregazione alla corrispondente organizzazione, per chi aspiri davvero verso l'alto, diviene spesso piu un pericolo che non un aiuto. Il Guénon sembra non pensarla così, crede che se la continuità esterioristicamente rituale si è mantenuta si possa sempre ottenere ciò che egli chiama 1'«iniziazione virtuale ». (LRI p.165) Un'altra considerazione importante da fare è la seguente. Lo stesso Guénon ha messo in luce, in altro libro, che uno degli aspetti dell'accennata involuzione è una solidificazione, da intendersi sia come quella onde la realtà oggi si presenta nelle forme rigide di una materialità disanimata, sia aggiungeremmo noi - come quella che determina una chiusura interna dell'individuo umano. Ora, deve ritenersi che in tali condizioni il potere e quindi l'ausilio proprio alle «influenze sottili» nel campo dei riti non solo iniziatici, ma anche religiosi, sia ,quanto mai ridotto e, in dati casi, addirittura nullo. In effetti, bisognerebbe domandarsi, alla fine, che natura abbiano queste «influenze spirituali», e se chi, in qualità di «iniziato virtuale», le possiede, con ciò sia protetto di fronte ad ogni specie di errori dottrinali e di deviazioni. In verità, conosciamo fin troppi casi di persone - e non solo di Occidentali - che sono a posto quanto a «regolarità iniziatica» in senso guénoniano (in prima linea massoni), ma che mostrano una tale incomprensione e confusione circa tutto ciò che è veramente esoterico e spirituale, da farle apparire molto al disotto di persone che non abbiano avuto quel dono ma abbiano un giusto

intuito e la mente sufficientemente aperta. Anche qui non si può non far entrare in linea di conto il criterio: «Li giudicherò dai frutti» e, dunque, non ci si debbono fare illusioni circa quel che, allo stato attuale, le «influenze» in parola da sole possono dare. (LRI pp. 167-168) 3.2 Ascesi e Iniziazione

...Vi sono certi ignoranti i quali si immaginano che ci 'si inizi' da sé, il ché è in qualche modo una contraddizione dei termini; dimenticando, seppur l'hanno mai saputo, che la parola initium significa 'entrata' o 'principio' ; essi confondono il fatto stesso dell'iniziazione, intesa nel senso strettamente etimologico, col lavoro da compiersi ulteriormente affinché questa iniziazione, da virtuale nel primo momento, divenga più o meno completamente effettiva. L'iniziazione, compresa in tal modo, è ciò che tutte le tradizioni si accordano nel designare come 'seconda nascita'; come un essere potrebbe agire da se stesso prima ancora di essere nato?... non siamo più in un'Epoca Primordiale, quando tutti gli uomini possedevano normalmente e spontaneamente uno stato spirituale che oggi può dipendere solo da un alto grado di iniziazione...stato spirituale e sviluppo spirituale che si compiva in essi tanto naturalmente quanto lo sviluppo corporeo. (CVI)

Il merito, da riconoscere, della concezione del Guénon è il risalto dato alla difficoltà della realizzazione iniziatica nelle condizioni attuali e il porre un limite di contro a certe vedute circa l'«iniziazione individuale» e l'«autoiniziazione », da alcuni (per es. dallo Steiner) data addirittura come la sola che l'uomo occidentale dovrebbe perseguire. Ma non bisogna cadere dall'un eccesso nell'altro. È verissimo che, causa il processo di involuzione cui l'umanità ha soggiaciuto, certe possibilità di realizzazione diretta, presenti nelle origini, se non del tutto perdute, sono almeno divenute estremamente rare. Ma non si deve cadere in un equivalente della concezione cristiana, secondo la quale l'uomo, irrimediabilmente tarato dal peccato originale, nulla potrebbe da sé nel campo propriamente sovrannaturale - come equivalente A dir il vero, vi sarebbe pertanto, in della «grazia» e dei « sacramenti» questo stesso dominio religioso cui qui apparendo l'intervento appartiene il misticismo, qualche cosa che, per certi riguardi, potrebbe prestarsi imprescindibile di chi può trasmettere ritualmente le meglio ad un avvicinamento o piuttosto «influenze spirituali », base, pel ad un'apparenza d'avvicinamento; è ciò Guénon, di tutto. (LRI p.167) che si designa col termine di "ascetica", poichè v'è in essa almeno un metodo Inoltre qui andrebbero esaminate "attivo", invece dell'assenza di metodo e le relazioni fra ascesi e iniziazione. della passività che caratterizzano il Nei casi ora accennati questa misticismo e su cui ritorneremo più relazione è reale, sempreché innanzi; ma è evidente che queste l'ascesi non sia considerata nelle similitudini sono puramente esteriori e, sue forme mortificatorie, d'altra parte questa ascetica non ha forse penitenziali e gravate da elementi che scopi troppo visibilmente limitati per accessori morali e religiosi. poter essere vantaggiosamente utilizzata L'ascesi può venire concepita in tal modo (CVI pp.26-27) come un'azione intrapresa La parola ascesi definisce propriamente dall'individuo coi propri mezzi, la uno sforzo metodico per raggiungere un quale può provocare la «discesa»

certo. scopo che, nel caso in questione, è di ordine spirituale (IRS.p. 163) Il termine ascesi, come lo intendiamo noi qui, è quello che, nelle lingue occidentali, ha maggiore affinità col sanscrito Tapas. Il senso primitivo di Tapas è quello di "calore "; nel caso in questione si tratta evidentemente del fuoco interiore che deve distruggere tutto ciò che nell'essere è d'ostacolo ad una realizzazione spirituale. (id., 167) In fondo ogni vera ascesi è essenzialmente un "sacrificio" che, in tutte le tradizioni e sotto qualsiasi forma si presenti, costituisce l'atto rituale per eccellenza, quello nel quale si riassumono in qualche modo tutte le altre forme. Quello che nell'ascesi viene gradualmente sacrificato, in questo modo, è l'insieme delle contingenze di cui l'essere deve giungere a sbarazzarsi, trattandosi di altrettanti ostacoli che gli impediscono di innalzarsi ad uno stato superiore. (id., 168) Il termine ascetico ha assunto un significato più ristretto che non ascesi, in quanto viene applicato quasi esclusivamente al dominio religioso (IRS p. 163). Quando si parla di ascetismo, quello che normalmente doveva ,essere soltanto un mezzo a carattere preparatorio troppo spesso viene preso come un vero e proprio fine; non crediamo affatto di esagerare dicendo che per molti spiriti religiosi l'ascetismo non ha minimamente per scopo la realizzazione effettiva di stati spirituali, ma ha come unico fine la speranza in una salvezza che si concreterà solo nelll'altra vita. (IRS p. 165)

e l'innesto in lui di una forza dall'alto (in questo caso si ha un collegamento che può dirsi «verticale» o diretto, a differenza del collegamento «orizzontale» mediato da una catena iniziatica) con l'incontro integrante della forza che dal basso va verso l'alto con quella non individuale e non umana dall'alto verso il basso (sul piano religioso, si parlerebbe dell'innesto della «grazia» - ma qui, fra l'altro, vi è la differenza essenziale dovuta al carattere determinante dell'azione «ascetica», in quanto essa crea nell'uomo una qualità come quella del magnete che attira un metallo qui, l'influenza trascendente: questo senso si potrebbe dare, fra l'altro, al detto che la porta dei Cieli può subire violenza). Con tale incontro è aperta la via allo sviluppo iniziatico, è realizzata la premessa pel mutamento di stato per via autonoma. (CI p. 105) Il giudizio originario del Guénon sul buddhismo attestava una stupefacente incomprensione; già soppresso nell'edizione inglese di Orient et Occident, il Guénon in seguito lo ha mutato solo in parte, perché ha fatto delle concessioni solo ad un buddhismo «brahmanizzato», il che equivale a dire ad un buddhismo privato di ciò che esso, nelle origini, ebbe di specifico e di più valido. Questo elemento specifico riguardò una via di realizzazione in un certo modo autonoma, la situazione in cui l'azione dell'individuo qualificato che si svolge verso l'incondizionato, perfino con la violenza (lo stesso cristianesimo conosce la violenza di cui la porta dei Cieli è suscettibile a subire, e il detto «voi siete dèi») è la controparte imprescindibile della discesa di una forza dall'alto senza «burocrazie iniziatiche». (SG) A tale riguardo si può parlare di una qualificazione che non rientra del tutto in quelle indicate dal

Guénon, una qualificazione attiva creata da una speciale disciplina: da una speciale preparazione individuale, che rende atti non solo ad essere «eletti», ma, in certi casi, appunto ad imporre l'elezione e l'iniziazione. Il simbolo di Giacobbe che lotta contro l'angelo fino ad imporre che esso lo benedica, come tanti altri, fino a quello di Parsifal (in Wol£ram von Eschenbach) che si apre la via al Graal «con le armi alla mano», cosa «fino ad allora mai udita», corrispondono a tale possibilità. Nei libri del Guénon, purtroppo, non si trova nulla circa quel che può essere una disciplina attiva di preparazione, la quale, in certi casi, può condurre perfino senza soluzione di continuità alla stessa illuminazione (1): allo stesso modo che il Guénon nulla indica, come discipline concrete, quanto all'opera di attualizzazione che dell'« iniziato virtuale» fa un iniziato vero e, alla fine, un adepto. (1) Tale è tipicamente il caso nell'ascesi del buddhismo delle origini. Il buddhismo ha anche un termine tecnico a designare appunto «coloro che si sono svegliati da sé» (LRI p.170) Come si è detto; il dominio del Guénon è quello della semplice dottrina, laddove a noi interessa essenzialmente quello della pratica. Ma anche in quel dominio il Guénon, in altra occasione, ha scritto qualcosa che può creare disorientamento. Egli riferisce un insegnamento islàmico, secondo il quale «chi si presenta ad una certa "porta" senza esservi pervenuto per via normale e legittima vede questa porta chiudersi dinanzi a lui ed egli è costretto a tornare indietro,«ma non come un semplice profano -cosa ormai impossibile - bensì come sàhar (stregone o mago in senso inferiore)». Contro di ciò bisogna avanzare precise riserve, dicendo anzitutto che se chi è giunto a quella « porta» per via

non normale ha una intenzione retta e pura, questa intenzione sarà certamente riconosciuta da chi di dovere e la porta si aprirà, secondo il principio: «Bussate e vi sarà aperto ». E qualora la porta non dovesse aprirsi, ciò - sempre nel caso accennato - vorrà solo dire che l'iniziando è posto dinanzi alla prova di aprirla lui usando violenza, secondo il principio che la soglia dei Cieli soffre violenza; perché, in via generale, è esattissimo quel che dice Éliphas Levi, ossia che la conoscenza iniziatica non la si dona, essa la si prende, ciò essendo, del resto, l'essenza di quella qualità attiva che, entro certi limiti, lo stesso Guénon riconosce. Volere o non volere, un certo tratto «prometeico» ben inteso apparterrà sempre al tipo piu alto dell'iniziato.(LRI p.170).

4.Qualificazioni Le prove iniziatiche costituiscono un e Prove insegnamento dato sotto forma simbolica Iniziatiche e destinato ad essere meditato ulteriormente, e contengono in sé un significato che appartiene ad ognuno di approfondire secondo la misura delle proprie capacità. Per maggior precisazione, diremo che le prove sono riti preliminari o preparatori all'iniziazione propriamente detta; esse ne costituiscono il preambolo necessario, sicché l'iniziazione stessa è come la loro conclusione o il loro scopo immediato. E' da rilevare che esse rivestono spesso la forma di ' viaggi simbolici'; non facciamo che notare questo punto di sfuggita, poiché non possiamo pensare a dilungarci qui sul simbolismo del viaggio in generale, e diremo soltanto che, sotto questo aspetto, esse si presentano come una ''ricerca'' (o meglio una ''questua'' come si diceva nel linguaggio del medio evo) conducente l'essere dalle ''tenebre'' del mondo profano alla luce iniziatica; ma anche questa forma, che si comprende in tal modo da sè stessa, non è in qualche maniera che accessoria, per quanto

Però anche per l'iniziazione «regolare» col suo collegamento «orizzontale» esistono delle condizioni, in relazione alla qualificazione richiesta nell'iniziando. Questa qualificazione non ha nulla da vedere con qualità di carattere profano; cosi può accadere che un eminente esponente della cultura, uno scienziato o un filosofo moderno siano meno qualificati per l'iniziazione di una persona quasi analfabeta, mentre per quel che riguarda le qualità morali abbiamo già spiegato in che senso esse possono entrare in quistione e avere un valore sul piano iniziatico. In genere, la qualificazione per l'iniziazione riguarda una speciale situazione esistenziale e si riferisce ad una tendenza virtuale all'autotrascendimento, ad una apertura attiva di là dall'umano. Quando essa manca, l'individuo non è suscettibile di iniziazione

possa essere appropriata a ciò di cui si tratta. In fondo, le prove sono essenzialmente 'dei riti di purificazione' , ed è in un tal fatto che si trova la vera spiegazione di questa parola stessa di ''prove'', che ha qui un significato nettamente alchemico, e non quello volgare che ha dato luogo agli equivoci segnalati precedentemente. Si può comprendere ora perché, quando le prove rivestono la forma di ''viaggi'' successivi, questi siano messi rispettivamente in rapporto con i differenti elementi della natura; e ci resta soltanto da indicare in quale senso, dal punto di vista iniziatico, il termine stesso di ''purificazione'' debba essere inteso. Si tratta di ricondurre l'essere ad uno stato di semplicità indifferenziata, paragonabile, come abbiamo detto in precedenza, a quello della materia prima (intesa naturalmente qui in senso relativo), alfine che sia atto a ricevere la vibrazione del Fiat Lux iniziatico; è necessario che l'influenza spirituale, la cui trasmissione gli darà questa prima ''illuminazione'', non incontri in lui alcun ostacolo dovuto a ''preformazioni'' disarmoniche provenienti dal mondo profano; e perciò deve essere ridotto in primo luogo a questo stato di materia prima, il che, se si vuole riflettere un poco, mostra abbastanza chiaramente come il processo iniziatico sia la conquista della Luce divina che è l'unica essenza di ogni spiritualità. La ''seconda nascita'', intesa come corrispondente alla prima iniziazione, è propriamente, come abbiamo detto, ciò che può chiamarsi una rigenerazione psichica; ed è infatti nell'ordine psichico, vale a dire nell'ordine in cui si situano le modalità sottili dell'essere umano, che debbono effettuarsi le prime fasi dello sviluppo iniziatico; ma queste ultime non costituiscono uno scopo in sè stesse e non sono ancora che preparatorie in rapporto alla realizzazione delle possibilità di un ordine più elevato, vogliamo dire dell'ordine spirituale nel vero senso di questa parola. II punto del processo iniziatico cui abbiamo alluso è dunque quello che segnerà il passaggio dall'ordine psichico all'ordine spirituale. (CVI passim)

perché o l'azione iniziatica non avrebbe effetto, o sarebbe pericolosa e distruttiva. Non avrebbe effetto nel caso dell'«iniziazione virtuale », ossia quando viene semplicemente trasmessa una influenza spirituale come un germe che l'individuo deve sviluppare da sé (assumendo subito una parte attiva realizzatrice autonoma - il che corrisponde ad uno sviluppo più o meno articolato fino all'adeptato). Essa agirebbe in modo distruttivo nei casi di una iniziazione diretta e massiccia da parte di un maestro. Se il potere, che viene attribuito ad alcune personalità, specie in Oriente, di provocare direttamente l'apertura iniziatica della coscienza con l'una o l'altra tecnica, incontrasse una rigidità nella struttura dell'Io del neofita, l'effetto sarebbe un trauma, una distruzione dell'unità della persona. Da qui il senso di varie prove preliminari iniziatiche, talvolta descritte in termini spettacolari; esse sono sempre volte a saggiare la capacità di autotrascendimento portando il singolo perfino sulle frontiere della morte e della pazzia. L'affinità fra iniziazione e morte è stata sempre sottolineata. Classiche sono le espressioni che a tale riguardo si trovano in Plutarco e in Porfirio. In essenza, la qualificazione iniziatica è quella richiesta per poter affrontare attivamente e «trionfalmente» già da vivi una esperienza corrispondente a quella della morte. Spesso come requisito per l'iniziazione viene indicata anche una certa unificazione e armonizzazione dell'essere. Viene spiegato che quando esistono squilibri e scissioni nell'individuo, essi risultano potenziati al contatto con forze trascendenti e invece dell'integrazione dell'essere l'effetto può essere la sua disgregazione e la rovina. Di passata, ciò mette in chiaro

l'errore delle interpretazioni di quella psicanalisi che ha «valorizzato» alcuni procedimenti iniziatici nei termini di equivalenti della terapia psicanalitica: si pretende che, in forme «prescientifiche», le iniziazioni avrebbero mirato a mettere in sesto una individualità scissa, un Io alle prese con l'inconscio, con la libido e via dicendo. Invece ogni alta iniziazione richiede come punto di partenza e come «qualificazione» l'uomo sano, unificato e perfettamente cosciente. L'unica eccezione è costituita dai casi in cui certe malattie offrono alcune possibiiità virtuali di autotrascendimento, e hanno carattere di malattie solo perché queste possibilità non agiscono come tali. Allora le tecniche iniziatiche le utilizzano dando loro la giusta direzione e integrandole nel processo complessivo. Ciò risulta attestato nello stesso caso delle iniziazioni sciamaniche. Ci si può riferire anche, in parte, a quelle che nell'antichità furono chiamate le «malattie sacre» e qui, come nuovo còmpito, si presenterebbe il mettere a punto le cose anche nei riguardi di quelle interpretazioni psichiatriche «positive» che, specie nel periodo precedente, hanno preteso di gettar luce scientifica su molti fatti delle antiche iniziazioni, della mistica e anche della demonologia dando luogo a gravissimi disconoscimenti. (CI pp. 105-107) 5.1 Iniziazione in "astrale" e preesistenza

Non si opponga a ciò che abbiamo detto il fatto che i "poteri" spontanei potrebbero essere il prodotto di qualche iniziazione ricevuta "in astrale", se anche non addirittura in "esistenze anteriori"; dev'essere evidente che, quando parliamo d'iniziazione, intendiamo parlare unicamente di case serie e non di fantasmagorie di gusto equivoco. (CVI p. 203 n.3)

Il Guénon ha ragione a non prender sul serio l'«iniziazione in astrale» se ha in vista quel che in proposito, divagando, se ne pensa in certi ambienti «occultistici». Ma anche qui non bisogna mettere nello stesso sacco ciò di cui vedute del genere possono essere solo una distorsione. A parte il fatto che, in qualsiasi caso, l'iniziazione vera si compie in una condizione che non è quella della

coscienza desta ordinaria, è possibile elevarsi attivamente a stati, in cui i contatti essenziali per lo sviluppo superindividuale sono propiziati. Nello stesso esoterismo islàmico si parla della possibilità di conseguire lo shath, stato interiore speciale che fra l'altro rende eventualmente atti a collegarsi col Khidr, essere enigmatico in cui risiede il principio di una iniziazione diretta, cioè senza l'intertnediario di una tariqa (organizzazione) e di una silsila (catena). Benché concepita come eccezionale, questa possibilità è ammessa. L'essenziale, qui, è la nyyah, cioè l'intenzione giusta, da non intendersi in senso astratto e soggettivo, ma altresì come direzione magica d'efficacia.(LRI p. 171) Infine il Guénon nega che una iniziazione possa realizzarsi in base a quanto è già avvenuto in precedenti esistenze. Ora, siccome noi ammettiamo così poco quanto il Guénon la teoria reincarnazionistica, se è a questa che ci si riferisce, siamo d'accordo. Ma non è che con ciò resti esclusa quella che si potrebbe chiamare una speciale eredità trascendentale in dati individui, tale da conferire ad essi una particolare «dignità» quanto alla possibilità di conseguire per via diretta il risveglio iniziatico. Nel buddhismo ciò viene riconosciuto esplicitamente. L'imagine del Guénon di una pianta o di un essere vivente che non nasce, quando non sia posto un seme (che sarebbe 1'« inizio» determinato dall 'iniziazione rituale dall' esterno) non è valida che entro certi limiti. Assolutizzandola, si andrebbe a contradire la veduta metafisica fondamentale della non-dualità e,insomma, a riportare uniformisticamente tutti gli esseri ad un minimo comun denominatore. Vi è chi può già portar in sé il « seme» del risveglio.(LRI p.173)

5.2 Forme extra normali di contatto

Si possono così intravvedere certe possibilità d'azione dei centri spirituali, anche al di fuori dei mezzi che si possono considerare norma1i, e soprattutto quando le circostanze sono di per se stesse anormali, vogliamo dire in condizioni tali da non più permettere l'uso di vie più dirette e di una regolarità più apparente. Anche senza parlare di un intervento immediato del centro supremo, che è possibile sempre e dovunque, un qualsiasi centro spirituale può agire al di fuori della sua zona d'influenza normale, sia in favore d'individui particolarmente «qualificati», ma che si trovino isolati in un ambiente ove l'oscuramento sia arrivato ad un punto tale che non vi sussista quasi più nulla di tradiziouale e che l'iniziazione non possa esservi ottenuta, sia in vista di uno scopo più generale, ed anche più eccezionale, come quello consistente nel riannodare una «catena» iniziatiea rotta accidentalmente. Una talee azione, producendosi particolarmente in un periodo o in una civiltà dove la spiritualità è quasi completamente perduta, e dove, per conseguenza, le cose dell'ordine iniziatico sono più nascoste di quanto non lo siano in alcun altro caso, non bisognerà meravigliarsi se le sue modalità siano estremamente difficili a definire, tanto più che le condizioni ordinarie di luogo e qualche volta anche.di tempo vi divengono per così dire inesistenti. Non v'insisteremo dunque ulteriormente: ma è essenziale ritenere che, anche se, avviene che un individuo apparentemente isolato pervenga ad una iniziazione reale, questa iniziazioue non potrà mai essere spontanea che in apparenza, poichè di fatto implicherà sempre il collegamento, per un mezzo qualsiasi, ad un centro effettivamente esistente (6); al di fuori di un tale collegamento, non può essere in alcun modo questione di iniziazione. (6) Certi misteriosi incidenti della vita di Jacob Boehme, ad esempio, non possono spiegarsi realmente che in tal modo. (CVI pp. 98-99)

E che ve ne siano, in una certa misura lo stesso Guénon lo ammette. I centri spirituali - egli dice - sia pure con modalità estremamente difficili a definire, possono ,intervenire di là dalle forme della trasmissione regolare, «sia in favore di individui particolarmente qualificati ma che si trovino isolati in un ambiente ove l'òscuramento sia arrivato ad un punto tale che non vi sussista quasi piu nulla di tradizionale e che l'iniziazione non possa esservi ottenuta, sia in vista di uno scopo piu generale, ed anche piu eccezionale, come quello consistente nel riannodare una catena iniziatica rotta accidentalmente ». Esistono dunque possibilità non normali di «contatto» diretto. Ma il Guénon aggiunge: «È essenziale ritenere che, anche se avviene che un individuo apparentemente isolato pervenga ad una iniziazione reale, questa iniziazione non potrà mai essere spontanea che in apparenza, perché di fatto implicherà sempre il collegamento, per un mezzo qualsiasi, , ad una catena effettivamente esistente». Ora, proprio a tale riguardo bisogna intendersi, e vedere da che parte venga l'iniziat.iva che determina il contatto. Noi diciamo contatto perché l'essenziale non è un collegamento «lungo l'Orizzontale », cioè con una data organizzazione continuatasi storicamente, bensì il collegamento «sulla verticale», cioè, come partecipazione interiore ai principi e agli stati superindividuali, di cui ogni particolare organizzazione di uomini non è che una manifestazione sensibile epperò, in un certo modo, solo una esteriorizzazione contingente (l). Così nei casi in quistione si può sempre chiedere: È davvero

l'intervento di un centro che ha determinato l'iniziazione o, al contrario, è l'iniziativa attiva del singolo portatosi avanti sino ad un certo punto che ha provocato quell'intervento? (l) Del resto, a proposito dei Rosacroce il Guénon parla della collettività di coloro che sono pervenuti ad un determinato.. stadio, superiore a quello della comune umanità, che hanno conseguito lo stesso grado iniziatico. Per cui, di rigore, non si dovrebbe parlare non solo di «società» ma nemmeno di «organizzazioni ». In altra occasione il Guénon ha ricordato che le gerarchie iniziatiche altro non sono che quelle dei gradi dell'essere. Tutto ciò può dunque esser inteso in senso spirituale e metafisico, e non personalizzato e organizzatorio. (LRI p.169) 5.3 Collegamento reale e ideale

Il collegamento di cui si tratta dev'essere reale ed effettivo e un cosiddetto collegamento "ideale", come alcuni si sono compiaciuti a volte di considerarlo nella nostra epoca, è interamente vano e di nessun effetto. (CVI p. 53) Coloro che a partire dal XIV secolo furono chiamati i Rosa-Croce in Occidente, e che ricevettero diverse denominazioni in altri tempi e in altri luoghi, (poiché il nome ha qui soltanto un valore puramente simbolico e deve esso stesso essere adattato alle circostanze), non formarono mai una associazione qualsiasi; essi sono la collettività degli esseri pervenuti ad uno stesso stato superiore a quello dell'umanità ordinaria, ad uno stesso grado di iniziazione effettiva, di cui abbiamo indicato uno degli aspetti essenziali, e posseggono così gli stessi caratteri interiori, il che è sufficiente per riconorscersi fra loro senza aver bisogno di alcun segno esteriore. Per tale motivo, non hanno altro luogo di riunione che '' il Tempio dello Spirito Santo, che è dovunque '', sicché le sue descrizioni date talvolta non possono essere intese che simbolicamente; ed è anche per un motivo simile che restano

Veniamo ad ancora un punto. Come si è visto, il Guénon esclude il collegamento «ideale» con una tradizione, perché «ci si può collegare solo con ciò che ha una esistenza attuale», intendendo dire una catena di cui esistano ancora rappresentanti viventi in una fi1iazione regolare. Senza di che l'iniziazione sarebbe impossibile e inesistente. Anche qui vi è una curiosa confusione fra l'elemento essenziale e quello contingente e organizzatorio. Che significa, insomma, «esistenza attuale»? Ogni esoterista sa bene che quando un principio metansico cessa di avere una manifestazione sensibile in dato ambiente o periodo, non è che per questo esso sia meno «attuale» ed esistente: su un altro piano (cosa che, del resto, il Guénon piu o meno riconosce). Ora, se per collegamento «ideale» s'intende una semplice aspirazione mentale, si può esser d'accordo col Guénon; altrimenti stanno però le cose nei riguardi delle possibilità

necessariamente sconosciuti dai profani fra cui vivono, esteriormente simili a loro, sebbene in realtà interamente differenti da questi ultimi; infatti i loro soli segni distintivi sono puramente interiori e non possono essere percepiti che da quelli che hanno raggiunto lo stesso sviluppo spirituale; in tal modo, la loro influenza, più legata ad una ''azione di presenza'' che ad un'attività esteriore qualsiasi, si esercita per vie totalmente incomprensibili agli uomini comuni. Quello che esso rappresenta è ciò che può chiamarsi la perfezione dello stato umano, poiché il simbolo stesso della Rosa-Croce figura, per i due elementi da cui semplicemente è composto, la reintegrazione dell'essere al centro di questo stato e la piena espansione delle sue possibilità individuali a partire da questo centro; esso designa dunque molto esattamente la restaurazione dello '' stato primordiale '', o, ed è lo stesso, il compimento dell'iniziazione in senso stretto. Dopo la distruzione dell'Ordine dei Templari, gli iniziati all'esoterismo cristiano si riorganizzarono, d'accordo con gli iniziati dell'esoterismo islamico per mantenere, nella misura del possibile, il legame apparentemente rotto da questa distruzione; ma una tale riorganizzazione dovette farsi in modo più nascosto, in qualche maniera invisibile, e senza prendere appoggio in una istituzione esteriormente conosciuta, che , come tale avrebbe potuto essere distrutta ancora una volta. I veri Rosa-Croce furono propriamente gli ispiratori di questa riorganizzazione, o se si vuole, furono i possessori del grado iniziatico di cui abbiamo parlato, considerati specialmente in quanto rappresentarono questa parte che si continuò fino al momento in cui, in seguito ad altri avvenimenti storici, il legame tradizionale considerato fu definitivamente rotto per il mondo Occidentale, il che si produsse durante il XVII secolo. E' detto che i Veri Rosa-Croce si ritirarono in Oriente, vale a dire, da quel momento, non vi fu più in Occidente alcuna iniziazione atta a far raggiungere effettivamente questo grado; in conseguenza l'azione che vi si era esercitata fino ad allora, per il

di una evocazione effettiva e diretta sulla base del principio magico delle corrispondenze analogiche e sintoniche. Insomma, lo stesso Guénon ammette e fors'anche più del dovuto - che le «influenze spirituali» hanno anche le loro leggi. Ciò non equivale, in fondo, ad ammettere, in via di principio, la possibilità di un'azione determinante su di esse? Il che può esser concepito pernno in sede collettiva, potendosi creare una catena psichica e disporla così che serva come un corpo che, in base a «sintonia» e, appunto, a corrispondenza «simpatica», attiri una influenza spirituale nei termini di una «discesa» da un piano, ove le condizioni di tempo e di spazio non hanno un valore assoluto. La cosa può riuscire o non riuscire. Ma non è da escludersi, né da confondersi col semplice, inconsistente «collegamento ideale». (LRI p.172)

mantenimento dell'insegnamento tradizionale corrispondente, cessò di manifestarsi almeno in modi regolare e normale. (CVI cap. 38°) I Riti hanno sempre lo scopo di mettere l'essere umano in rapporto, direttamente od indirettamente, con qualche cosa che supera la sua individualità e che appartiene ad altri stati di esistenza. Non è necessario in tutti i casi che la Comunicazione così stabilita sia cosciente per essere reale, poiché si opera abitualmente mediante certe modalità sottili dell'individuo, modalità in cui la maggioranza degli uomini è attualmente incapace di trasferire il centro della propria coscienza. Ad ogni modo, sia l'effetto apparente o no, sia immediato o differito, il Rito porta sempre in se stesso la sua efficacia, a condizione beninteso, che sia compiuto in conformità alle regole tradizionali che ne assicurano la validità, e al di fuori delle quali , non sarebbe più che una forma vuota ed un vano simulacro. Questa Efficacia non ha niente di ''meraviglioso'', né di ''magico'', come talora pensano e dicono alcuni con una palese intenzione di denigrazione e di negazione, poiché risulta semplicemente dalle leggi nettamente definite secondo cui agiscono le Influenze Spirituali, leggi di cui la Tecnica Rituale non è insomma che l'applicazione e la messa in opera (N.d.T. : un po'' come accade nella Tecnica dell'Ipnosi Medica ove la semplice lettura del manuale da parte del Medico, ritmando e modulando opportunamente la voce, induce lo stato di coscienza particolare denominato 'stato ipnotico'). E' dunque un errore grave usare, come abbiamo spesso visto fare da uno scrittore massonico francese, apparentemente molto soddisfatto di questa " trovata" piuttosto disgraziata, 1'espressione di "giocare al rituale" parlando dell'adempimento dei riti iniziatici da parte di individui che ne ignorano il senso e che non cercano nemmeno di penetrarlo; una tale espressione non può convenire che nel caso di profani i quali simulassero i riti, non avendo qualità per adempierli validamente; ma, in un'organizzazione iniziatica regolare, per quanto degenerata

possa essere in riguardo alla qualità dei suoi membri attuali, il rituale non è qualche cosa con cui si giochi; è e resta sempre una cosa seria e realmente efficace, seppure all'insaputa di coloro che vi partecipano. Un altro punto di importanza capitale è il seguente: l'iniziazione, a qualsiasi grado, rappresenta per l'essere che l'ha ricevuta, un'acquisizione permanente, uno stato che, virtualmente od effettivamente, egli ha raggiunto una volta per sempre, e che ormai nulla può togliergli. Il Legame stabilito dal carattere iniziatico non dipende affatto da contingenze quali possono essere quelle di una dimissione o di una esclusione, che sono semplicemente d'ordine ''amministrativo'', come già detto, e non toccano che le relazioni esteriori; se nell'ordine profano tutto si riduce a queste relazioni, per cui un'associazione non può dare altro ai suoi membri, queste stesse relazioni esteriori non sono invece nell'ordine iniziatico che un mezzo del tutto accessorio e non necessario, relativamente alle realtà interiori che soltanto interessano in verità. Per prendere, come applicazione di quanto abbiamo detto in ultimo, l'esempio più semplice , in riguardo alle organizzazioni iniziatiche, è del tutto inesatto parlare di un ''ex-Massone'', come si fa comunemente; un Massone dimissionario od anche escluso non fa più parte di una Loggia né di una Obbedienza, ma non per tal motivo è meno Massone; lo voglia o no, nulla cambia. Prova ne sia che , se in seguito viene reintegrato non lo si inizia nuovamente, e non lo si fa ripassare per i gradi già ricevuti. Così l'espressione inglese di unattached Mason è la sola che si addica correttamente a casi simili. ...In un tal fatto risiede la confusione, veramente strana per chi abbia pretese più o meno confessate di servire da 'guida' ad altri in un dominio dove sono precisamente i riti ad avere una parte essenziale e della più grande importanza, essendo ' veicoli' indispensabili delle influenze spirituali senza le quali non può essere questione del minimo contatto effettivo con realtà di ordine superiore, ma solamente d'aspirazioni vaghe ed

inconsistenti, d' ''idealismo'' nebuloso e di speculazioni nel vuoto. Il Rito comporta in sé stesso sempre, relativamente alla sua essenza, un elemento 'non umano'. Colui che adempie un rito, se ha raggiunto un certo grado di conoscenza effettiva, può e deve anche avere coscienza che vi è qualche cosa che lo supera, che non dipende in alcun modo dalla sua iniziativa individuale. (CVI passim.) 6. Conoscenza Iniziatica e Segreto iniziatico

Ogni organizzazione iniziatica è altresì "inafferrabile" dal punto di vista del suo segreto, quest'ultimo essendo tale per natura e non per convenzione, e non potendo per conseguenza in alcun caso essere penetrato dai profani,..., poiché il vero segreto iniziatico non è altro che l'incomunicabile, e l'iniziazione sola può dare accesso alla sua conoscenza. Valuteremo ora , parlando dei diversi generi di segreti di ordine più o meno esteriore che possono esistere in certe organizzazioni iniziatiche, del segreto riferito ai nomi dei costituenti tali organizzazioni. A prima vista può sembrare che sia da classificare fra le semplici misure precauzionali destinate a garantirsi contro i pericoli che possono provenire da un nemico qualsiasi. In realtà in questo segreto coesistono ragioni ben più profonde. Questo segreto, come vedremo, in realtà riveste un carattere veramente simbolico. L'interesse moderno di voler insistere su questo punto è accresciuto dal fatto che la curiosità dei nomi è una delle manifestazioni più ordinarie dell'individualismo moderno, e che, quando pretende di applicarsi alle cose del dominio iniziatico, testimonia di un grave disconoscimento della realtà di quest'ordine e di una deprecabile tendenza a volerle ridurre al livello delle contingenze profane. Il cosiddetto 'storicismo' dei nostri contemporanei è insoddisfatto se non attribuisce nomi propri ad ogni cosa, vale a dire se non li attribuisce ad individualità umane determinate, secondo la concezione più ristretta possibile, quella che ha corso nella vita profana e non tiene conto che della sola modalità

Nell'esoterismo non si tratta di conoscenze che siano state monopolizzate e tenute segrete in modo artificiale bensi di verità che risultano evidenti solamente a un livello della coscienza diverso da quello dell'uomo comune, del profano e anche del semplice credente. (CI p. 108) Nel mondo moderno fuor dallo «spiritualismo» di tipo teosofista, antroposofico, neo-mistico e simili, la tendenza verso il sovrannaturale ha agito in alcune correnti aventi un carattere che si può chiamare iniziatico e magico. Anche in questo campo non sono mancate deviazioni, specie quando vi si è associato l'atteggiamento «occultistico », ossia il gusto del parlare oscuro, del pronunciarsi ex cathedra e ex tripode con un ostentato tono di mistero e d'autorità, dicendo le cose a metà tanto da dare ad intendere che si «sa», mentre nella gran parte dei casi non si sa nulla e si mira solo a crearsi, dinanzi agli ingenui, l'aureola di «Maestri» possessori di chi sa quali tremendi arcani. Se si deve ammettere che certi insegnamenti, è bene non spiattellarli dinanzi a chi non ha la capacità di comprenderli ma solo quella di travisarli, questo necessario e sano riserbo (peraltro già adottato da analoghe scuole dei tempi passati) è lungi dall'avere a che fare con lo stile «occultistico» ora accennato, di cui purtroppo non sono esenti, ad esempio, alcuni

corporea. Tuttavia, il fatto che l'origine delle organizzazioni iniziatiche non può mai essere riferita a tali individualità dovrebbe già far riflettere a tal riguardo; e, quando si tratta delle organizzazioni dell'ordine più profondo, i loro stessi membri non possono essere identificati, non perché si dissimulino, il che, per quante precauzioni si possano prendere, non può essere sempre efficace, ma perché, a stretto rigor di termini, non sono ''personaggi'' nel senso che vorrebbero gli storici; chiunque credesse dunque di poterli nominare sarebbe inevitabilmente e proprio per tal motivo in errore. Quando l'essere passa ai ''grandi misteri'', vale a dire alla realizzazione di stati sopra-individuali, passa per tale motivo oltre il nome e la forma, poiché, come insegna la dottrina indù, questi ultimi (nama-rupa) sono le espressioni rispettive dell'essenza e della sostanza dell'individualità. Un tal essere in vero non ha dunque più nome, trattandosi di una limitazione di cui egli si è ora liberato; occorrendo, egli potrà prendere un nome qualsiasi per manifestarsi nel dominio individuale, ma questo nome non lo toccherà in alcun modo e gli sarà ''accidentale'' al pari di un semplice abito che si può lasciare o cambiare a volontà. Questa è la spiegazione di quanto dicevamo in precedenza: allorché si tratta di organizzazioni di quest'ordine, i loro membri non hanno nome, e d'altronde neppure esse stesse ne hanno; in tali condizioni, da che cosa può ancora essere suscitata la curiosità profana? Se anche le capita di scoprire dei nomi, questi ultimi non avranno che un valore del tutto convenzionale. (CVI passim)

ambienti di ermetisti francesi. È bene rispondere alla obiezione, che il «segreto» è necessario data la pericolosità di alcuni insegnamenti riguardanti la pratica. Ebbene, vi è da dire che in tali casi esiste quasi sempre una «autoprotezione», nel senso che chi non ha una certa qualificazione, con tali pratiche realizzerà un bel niente, mentre chi la ha e viene ben indirizzato si trova già in grado di affrontare. eventuali pericoli.(CIAM pp. 187-188)

Janus: Ringrazio Abraxa per la tabella in questione, che ritengo molto utile per ribadire come, da un confronto, diretto, emerga un'essenziale complementarietà di visione. Naturalmente si evidenziano ancor di più le differenze prodotte, come già spiegato in precedenza, da una diversa ottica, che è di Dottrina per il Guènon e di Metodo per Evola (1). (1) Un metodo che deriva da una dottrina non la contraddice ad ogni piè sospinto. Se lo fa è perchè deriva da un'opposta dottrina. Ma per decidere, in via definitiva, se tra la posizione di Evola e quella di Guenon vi sia complementarità, come sostiene Janus, ovvero opposizione, lasciamo la parola ad Evola stesso [n.d.u]

1c) Evola Il Fondo Personale e le Prime Esperienze (dalla sua Autobiografia "Il Cammino del Cinabro") Per fornire una guida attraverso i miei scritti il meglio è, pertanto, dire succintamente della loro genesi, delle loro premesse e delle intenzioni avute stendendoli. Se dei cenni autobiografici non potranno essere evitati, essi saranno però ridotti al minimo indispensabile e serviranno piu che altro a spiegare quel che nei miei libri ha un carattere non rilevante... Ciò premesso, quanto a equazione personale due disposizioni sembrano caratterizzare la mia natura. La prima è stata un impulso alla trascendenza, impulso manifestatosi fin dalla primissima gioventù. Come conseguenza da tempo mi è stato proprio un certo distacco dall'umano. Vi è chi ha ritenuto procedere, tale posizione, da un residuale ricordo prenatale. È anche il sentimento che io ho avuto. Solo dopo che ebbi lasciato dietro di me il piano delle esperienze estetiche e filosofiche l'impulso ora accennato si manifestò nella sua forma autentica. Ma già prima era accaduto che qualcuno, che in cose del genere aveva una competenza specifica, fosse sorpreso nel rilevare in me, sia pure in germe, in relazione a ciò, l'orientamento che generalmente deriva non da teorie, ma dal mutamento di stato causato da certe operazioni a cui in prosieguo avrò spesso da accennare. Cosi potrei parlare di una linea preesistente, o celata eredità, che ner corso della mia esistenza è stata ravvivata da varie influenze. Da ciò deriva la sostanziale autonomia del mio sviluppo. È probabile che ad un dato momento due personalità labbiano esercitato su di me una insensibile ma reale azione risvegliatrice. Ma già il fatto che io ne abbia avuto il sospetto solo a distanza di anni, dimostra che non si trattò di un innesto estrinseco. Il naturale distacco dall'umano nei riguardi di molto di ciò che, specie nel campo affettivo, viene solitamente considerato come normale, si manifestò in me in età giovanissima, direi anzi soprattutto in essa. Come aspetto negativo, dovunque questa disposizione si è manifestata ibridamente, impegnando la mia semplice individualità, essa ha ingenerato una certa insensibilità e freddezza d'animo. Però nel campo che più importa è stata essa a rendermi possibile il riconoscimento diretto di valori non condizionati, esulanti del tutto dal modo di vedere e di sentire dei miei contemporanei. La seconda disposizione la si potrebbe chiamare - ad usare un termine indù - da kshatriya. La parola in India ha designato un tipo umano incline all'azione e all'affermàzione, «guerriero» in senso lato, opposto a quello religioso-sacerdotale o contemplativo del brahmana. Anche questo è stato un mio orientamento, benché solo a poco a poco esso si precisò nel modo giusto. Esso potrebbe derivare da una seconda, nascosta eredità, o oscuro ricordo. In un primo periodo della mia vita questa disposizione si manifestò in una forma grezza, portando ad una non equilibrata affermazione dell'Io, con la controparte speculativa della dottrina della potenza e dell'autarchia da me formulata. Ma essa è stata anche la base esistenziale che, malgrado il loro anacronismo, mi ha fatto sentire come assolutamente evidenti valori e realtà di un diverso mondo, del mondo di una civiltà gerarchica, aristocratica e feudale. È stata anche la base esistenziale per la mia critica immanente all'idealismo trascendentale e pel suo superamento in una teoria dell'Individuo Assoluto. Infine, come disposizione generale mentale, debbo ad essa l'impulso a posizioni nette, senza compromessi, una specie di intrepidezza intellettuale esprimentesi, a parte le estrinsecazioni polemiche, in coerenza e rigore logico. Come è evidente, vi era una certa antitesi fra le due predisposizioni. Mentre l'impulso alla trascendenza ingenerava un senso di estraneità per la realtà e - in gioventù - quasi il desiderio di una liberazione o evasione non esente da sfaldamenti mistici, la disposizione da kshatriya mi portava all'azione, all'affermazione libera centrata sull'Io. Può darsi che il contemperare le due tendenze sia stato il compito esistenziale fondamentale di tutta la mia vita. Assolverlo, ed evitare, anche, un tracollo, mi è stato possibile nel punto in cui giunsi ad assumere l'essenza dell'uno e dell'altro impulso su di un piano superiore. Nel campo delle idee, la loro sintesi sta alla base della formulazione precipua da me data, nell'ultimo periodo della mia attività, al «tradizionalismo », in opposto a quella, piu intellettualistica e orientaleggiante, della corrente facente capo a René Guénon.

II L'Iniziazione secondo il M° Giuliano Kremmerz Abraxa: L'iniziazione è, per la sua complessità, uno di quei concetti sui quali si sono maggiormente "arrovellate" e si arrovellano le menti di molti studiosi contemporanei della tradizione. Questo concetto va studiato in sé stesso e, successivamente, in relazione ad altri termini, indicanti anch'essi un ascenso spirituale, cioè ad es. termini come ascesi e misticismo. Cominciamo dal concetto di iniziazione considerato in sé stesso. Nell'ambito dell'Italica Schola, esso fu formulato con grande chiarezza dal maestro Giuliano Kremmerz. Egli dice: "L'INIZIAZIONE nella pratica è il complesso di tutte le operazioni che un maestro perfetto può fare su un discepolo per concedergli, conferire, confermare e sviluppare le virtù ascose nel suo organismo di uomo volgare (La Scienza dei Magi 1° v. pp. 140-141). "L'iniziazione era l'atto di penetrare nel tempio ricevendo da un sacerdote provetto il 'seme che deve fruttificare'- perciò anche nel linguaggio moderno si dice INIZIATO chi è entrato nella conoscenza dei misteri, e adepto chi è riuscito a realizzare" (1° v. p. 249). L'iniziazione può essere classificata in base a vari criteri. Ad es., in base al modo di attuarla, si distingue l'iniziazione diretta dall'iniziazione per conferimento e dall'iniziazione per riti (l° v. p. 249): - "L'INIZIAZIONE DIRETTA è la comunione che un Maestro fa di sé stesso direttamente a un discepolo o Beniamino - ed in questo caso è una vera dedizione del maestro al discepolo. Questa avviene nel solo caso di un mandato extraumano, diversamente nessun maestro si dona". - "L'INIZIAZIONE PER CONFERIMENTO è quella delle Società costituite visibilmente: gerarchia di gradi, quindi, e potere di iniziazione conferito da un Maestro a seggi di praticanti". Con l'espressione "seggi di praticanti" hanno da intendersi quindi ad es. società come il Grande Oriente Egiziano. - L'INIZIAZIONE PER RITI fu quella prescelta dal Kremmerz (si vedano il 'rito di Novembre' e il 'rito di Marzo') per fondare in Italia una scuola di magia (la Miriam). Come dice l'espressione, essa consiste nell'assegnare ai neofiti dei riti da attuare. Su questa iniziazione Kremmerz si esprime così: "II Maestro che la dà, dev'essere in grado di sentire il suo discepolo che è entrato nella zona di purificazione, dovunque si trovi, e mettersi in determinati momenti in rapporto con esso o assegnare ad esso un suo sostituto nella zona extra-umana"; e aggiunge: "E' una 'iniziazione virtuale', perché per se stessa non vale che a spingere il presunto neofito a traversare la corrente astrale umana e tentare di afferrare la mano o la parola del maestro che aspetta i vincitori della lotta col serpente, fuori la corrente della terra. Di là comincia la vera iniziazione ai misteri della natura intelligente". Ovviamente anche l'iniziazione diretta e quella per conferimento comportano dei riti iniziatici, più o meno semplici o complessi a seconda dei casi. L'iniziazione per riti si distingue dalle prime due, perchè in tal caso il rito viene eseguito integralmente dall'iniziando, senza il concorso del maestro, che si limita a fornire il rito. Considerando invece, come criterio di classificazione, il metodo usato per trasformare l'iniziato in adepto, si distingue l'iniziazione isiaca da quella osiridea (3° v. p. 231): - INIZIAZIONE ISIACA (ad es. quella della confraternita di Miriam) "così detta da Iside o dalla Luna: consiste nel mettere il proprio interiore in istato recipiendario, in modo da ricevere le impressioni delle forze esteriori. Questo è il metodo più lungo ma più facile. Con questo si

diventa Maestro Isiaco". - INIZIAZIONE OSIRIDEA (ad es. quella del Grande Oriente Egiziano) - "così detta da Osiride, ossia dal Sole, generatore per eccellenza, datore a tutto l'universo di forza attiva. L'iniziazione osiridea o solare è quella che mette il praticante nella possibilità di esteriorizzare la sua forza. Questa iniziazione è più rapida, ma è difficilissima. Chi arriva diventa Maestro Osirideo". Janus: Ringrazio Abraxa, per averci riportato le preziose precisazioni del maestro Kremmerz, che testimoniano, quanto sia poliedrico l'argomento trattato, che va, quindi, sentito, visto ed esplicitato nella sua unità organica. Turba Philosophorum: Come altri esempi di "Iniziazione per Conferimento", possono citarsi quelli delle logge massoniche aventi finalità iniziatiche e quello di ordini cavallereschi aventi analoghe finalità. Se un maestro guida una società iniziatica piuttosto vasta, spesso conferisce ad iniziati di livello intermedio la facoltà di iniziare i neofiti in sua vece. Un iniziato intermedio al quale sia stato dato il potere di iniziare può esser detto, in latino, "promagister" (upaguru in sanscrito). E' da evidenziarsi come Guenon, che come è noto vantava una iniziazione islamica, non abbia mai ricevuto, dal suo maestro, la facoltà di trasmettere e pertanto, nonostante le sue pretese di infallibilità, egli non può essere considerato neppure un upaguru.

III L'Iniziazione Politeista Si ricorderà come Evola, pur pubblicando, in Introduzione alla Magia, il saggio di Ekatlos "La Grande orma: la scena e le quinte", manifestasse qualche perplessità per quell'orientamento, che pur sembrava voler far rinascere, in qualche modo, la Tradizione Romana. Se non era completamento d'accordo neppure con l'atteggiamento di Ekatlos, si può ben capire perchè, a maggior ragione, prese ufficialmente le distanze da quel tipo di neo-paganesimo, che si stava imponendo a quel'epoca, soprattutto in Germania. Lo fece nel n.2/1936 della rivista "Bibliografia fascista", in un saggio intitolato L'equivoco del 'nuovo paganesimo'. Tale scritto non è solo di interesse storico, ma ha anche una certa attualità, visto che una rinascita del paganesimo può constatarsi in tutta Europa, ma che, oggi come allora, buona parte di esso non è condivisibile, non possedendo delle effettive basi metafisiche. L'atteggiamento religioso, pagano o cristiano che sia, si limita a propiziarsi il Dio Personale (Giove, Geova) e la sua corte: poco conta che i membri di questa corte li si chiami dei o angeli. L'esoterismo europeo ha fatto uso sia delle divinità greco-romane (e di quelle di altri pantheon pre-cristiani), sia delle gerarchie angeliche cristiane, ma lo ha fatto a scopo evocatorio, coniscitivo e dominativo, mai per adorarli (si veda quanto abbiamo già detto sull'argomento dell'Evocazione Dinamica, in alcuni messaggi del forum). Inutile dire che, oltre alla via evocatoria, l'esoterismo europeo conosce anche altre vie.

3a) Julius Evola L'equivoco del 'nuovo paganesimo'

Recentemente a Vienna, in occasione di una intervista, un giornalista, cui era noto come noi già molti anni fa in Italia avemmo a difendere un "Imperialismo Pagano", ci disse che ormai la nostra ora, in un altro paese almeno, poteva dirsi venuta. Egli alludeva naturalmente alla Germania, alle correnti più o meno affiancate al nazismo, intese a creare un nuovo spirito religioso germanico e non-cristiano. Noi rispondemmo che il tempo, piuttosto, ci sembra venuto, in cui ci troviamo quasi costretti a dichiararci, se non cristiani, almeno cattolici. In realtà, quello del "nuovo paganesimo" d'oltralpe è un grosso equivoco, chiarire il quale non può non offrire dell'interesse, sia per la cosa in sè, che, in una certa misura, appunto per un fatto personale di chi scrive. Noi infatti avemmo ad indicare il valore che la ripresa di alcune nostre grandi tradizioni precristane potrebbe avere per una ricostruzione in senso eroico, imperiale ed integralmente "romano" della nostra civiltà occidentale: ed oggi siamo ben lungi dal pensare diversamente che nel 1928, quando fra una certa sensazione uscí un nostro libro recante appunto il titolo Imperialismo Pagano. Senonché fra le idee da noi riprese, e ciò che viene oggi affermato in Germania come "nuovo paganesimo", esiste non solo una differenza, ma anche un'antitesi. Per cui - notiamolo di passata, e non senza riferimento alle dicerie di qualche interessato - se è vero che certe nostre opere trovano ora in Germania una risonanza maggiore che in Italia, altrettanto vero è però che una tale risonanza si riferisce assenzialmente ad ambienti dell'antica Germania conservatrice e per nulla alle nuove correnti pagane, con le quali insomma non abbiamo nessun rapporto, e con lo stesso fronte semi-ufficiale di Alfred Rosenberg. Il Rosenberg tanto interesse dimostrava per noi quando credeva, per sentito dire e per l'equivoco, appunto, del termine generico "pagano", che fossimo sulla sua stessa linea, altrettanta frigidità sembra dimostrare ora che è venuto propriamente a conoscenza dei nostri veri punti di vista. I quali, se possono avere un'azione in Germania, è quella di mostrare la deformazione che molte idee, suscettibili di un significato superiore, hanno subíto in una adattazione avente per mira scopi puramente empirici e tendenziosamente politici. Ma vediamo ora in che consiste propriamente ed oggettivamente l'equivoco del neopaganesimo nordico e proponiamoci di esaminare la quistione nel modo più impersonale: chiediamo venia a coloro che forse perferirebbero vederci usare le parole d'ordine oggi, a tale riguardo, più d'uso fra noi, ma ormai più o meno note a tutti. Il primo punto da fissare è che la scelta del termine "pagano" per designare in genere visioni del mondo e tradizioni estranee ai quadri del cristianesimo è tutt'altro che felice, onde noi stessi ci rammarichiamo di aver precedentemente usato questa espressione. Paganus, infatti, è un termine essenzialmente dispregiativo se non ingiurioso, adoperato ad uso polemico dalla prima apologetica cristiana. Senonché non solo come termine, cioè come parola, bensí anche come contenuto e come concetto esiste un "paganesimo", che è una escogitazione polemica e che trova ben poco riscontro nel mondo pre-cristiano e non-cristiano quale veramente fu, prescindendo da periodi di palese decadenza. Per affermare e glorificare la nuova fede, una certa apologetica cristiana procedette ad una deformazione e ad una svalutazione spesso sistematica di quasi tutte le dottrine e le tradizioni precedenti, alle quali poi si fece corrispondere la designazione complessiva e dispregiativa di "paganesimo". Orbene, noi ci troviamo di fronte più o meno al seguente paradosso: un tale "paganesimo" mai esistito, generato polemicamente dell'apologetica cristiana militante, minaccia proprio oggi di esistere per la prima volta, appunto per opera dei neopagani e degli anticristiani della nuova Germania. Quali sono i tratti principali della visione pagana della vita, così come detta apologetica l'ha supposta e l'ha diffusa? Anzitutto: naturalismo. La visione pagana della vita avrebbe ignorato ogni trascendenza. Essa sarebbe rimasta in una promiscuità fra spirito e natura. Il suo limite, sarebbe stato una mistica delle forze naturali (é la vecchia storia della "Selva" opposta al

"Tempio") e una divinificazione superstiziosa delle energie delle razze, allevate da altrettanti idoli. Da cui, in primo luogo, un particolarismo e un politeismo condizionato dalla terra e dal sangue. In secondo luogo, l'assenza del concetto di personalità e di libertà, uno stato di innocenza, che è semplicamente quello proprio agli esseri di natura, a coloro che ancora non si sono destati a nessuna aspirazione veramente sovranaturale. Di contro al determinismo e al naturalismo "pagano" sorge per la prima volta col cristianesimo un mondo della libertà sovramondana, cioè della grazia e della personalità; un ideale "cattolico", vale a dire, etimologicamente, universale; un sano dualismo, che permette la subordinazione della natura ad un ordine superiore, ad una legge dall'alto. Questi sono i tratti principali, schematici, della concezione più corrente del paganesimo. Tutto quel che essa presenta di inesatto e di unilaterale, vi è appena bisogno di farlo rilevare a chiunque abbia, in fatto di storia delle civiltà e delle religioni, una conoscenza diretta anche soltanto elementare: e del resto già nei quadri della prima patristica - in un Origene, in un Clemente Alessandrino, in un Giustino, ecc. - assai spesso si dette prova di una comprensione assai maggiore dei principi e dei simboli della precendente civiltà. Qui non possiamo mettere in risalto che qualche punto. Anzitutto, ciò che caratterizzò il mondo non-cristiano in tutte le sue forme superiori, non fu una divinificazione superstiziosa della natura, bensì una comprensione simbolica di essa, per via della quale ogni fenomeno ed ogni azione apparì come la manifestazione sensibile di un mondo sovrasensible: la concezione "pagana" dell'uomo e del mondo abbe essenzialmente carattere simbolico-sacrale. In secondo luogo, il modo "pagano" di vita non fu per nulla una naturalistica licenza: nelle forme originarie e di alta tensione dell'antica Roma, dell'antica Ellade, delle antiche civiltà indogermaniche, d'Oriente, ecc., non vi fu aspetto della vita, sia individuale che collettiva, che non fosse accompagnata, sorretta e animata da un rito corrispondente, cioè da una azione e da una intenzione spirituale concepite come oggettivamente efficaci. In terzo luogo, il mondo "pagano" conobbe già un sano dualismo: esso si ritrova non solo in grandi concezioni speculative - limitiamoci a nominare un Platone e un Çankara - ma altresì in visioni religiose generali, come quella antigonistica a tutti nota degli Indoeuropei dell'antico Iran, come l'opposizione ellenica fra le "due nature", come quella fra mondo degli Asen e mondo elementare degli antichi Nordici, o quella fra "via solare" e "degli Dei" e "via della terra", fra "vita" e "liberazione della vita" degli antichi indú, e via dicendo, in connessione a ciò, l'aspirazione ad una libertà sovrannaturale, cioè ad un compimento metafisico della personalità, fu comune a tutte le grandi civiltà precristiane, le quali conobbero tutte una "iniziazione" e celebrarono i loro "misteri". L'innocenza naturalistica pagana è una tale favola, che essa non si ritrova nemmeno fra i selvaggi: quella forma che, per alcuni, sarebbe il suo limite, cioè l'ideale classico, non sta al di qua, ma al di là del dualismo fra spirito e corpo essendo l'ideale di uno spirito resosi così dominante, da plasmare interamente il corpo e l'anima a sua imagine, in perfetta corrispondenza di contenente e contenuto. In quarto luogo, un'aspirazione universalistica è da constatarsi dovunque, nel mondo "pagano", nel ciclo ascendente di una razza superiore, si manifestò una vocazione all'impero: e una tale vocazione spesso fu anche metafisicamente potenziata e apparve come una naturale conseguenza dell'estensione dell'antica concezione sacrale dello Stato e come la forma propria in cui tende a manifestarsi una presenza vittoriosa del sovra-mondo nel mondo. A tale riguardo potremmo ricordare l'antica concezione iranica dell'impero quale "corpo" del "Dio di Luce", la tradizione indo-aria del "Signore Universale" o "çakravarti", e così via, fino a giungere alla teoria "solare" del tardo impero romano, il quale ebbe un contenuto rituale e sacrale nel culto imperiale, che si pose non come la negazione, bensí come la culminazione gerarchia unificatrice di un pantheon, cioè di una serie di culti condizionati della terra e dal sangue. E per moltiplicare rettificazioni del genere, senza un'ombra di tendenziosità vi sarebbe solo l'imbarazzo della scelta. Colui che si rendesse ben conto di tutto ciò, e riconoscesse che è una pessima tattica difendere la propria tradizione discreditando quella degli altri, avrebbe facile modo di vedere la via per superare ogni unilateralezza dettata da spirito di parte, per dare ad ognuno il suo, per separare il positivo dal negativo, e dal contingente nelle varie forme storiche, ma soprattutto per venire ad

una visione più completa, ad un punto di vista veramente universale, tale che ad esso possa davvero applicarsi l'assioma "cattolico" quod ubique, quod ab omnibus et quod semper. Si potrebbe cioè enucleare un corpo di principi, da dirsi "tradizionali" in senso eminente, perché essi apparirebbero, in fondo, anteriori e superiori - metafisicamente - a qualsiasi particolare di queste tradizioni o religioni. È su questo piano, e senza la minima animosità, con la fermezza, invece, che proviene dalla giusta visione, che si potrebbe poi anche procedere ad una revisione dei valori, sia nel senso di limitare o gerarchicamente subordinare la validità di alcune concezioni particolari, specificatamente ebraiche, del cristianesimo, sia nel senso di riportare alla loro giusta luce molti aspetti dimenticati di grandi tradizioni di un passato più remoto, anteriore al cristianesimo, per saggiare quali fra di essi, senza anacronismi, potrebbero eventualmente ancora oggi venir chiamati a vita e agire in modo creativo, non contro la Chiesa e il Cristianesimo, ma, se mai, di là dall'una e dall'altro, in una determinata èlite. Orbene, assolutamenta nulla di simile è da ritrovarsi nel neo-paganesimo germanico. Anzitutto, come dicevamo, e quasi cadendo in una trappola appositamente preparata, i neopagani finiscono col professare e difendre dottrine riducentesi più o meno al paganesimo fittizio, naturalistico, privo di luce, privo di trascendenza, vincolato dal sangue, pervaso da un misticismo sospetto, creato polemicamente proprio dalla dialettica dei loro avversari. Ma, come se ciò non bastasse, si ripete quell'opera partigiana di tacitamento degli aspetti superiori, di risalto degli aspetti contingenti o deteriori del cristianesimo e del cattolicesimo, che già era stata esercitata sul "paganesimo" vero, e, infine, si mette mano a sinistre concezioni di tipo prettamente moderno, illuministico e razionalistico, che già erano scese in campo contro la Chiesa e il cristanesimo sotto il segno - miracolo dei miracoli - del liberalismo, della socialdemocrazia e della massoneria. Infatti, null'altro che questo può ravvisarsi, quando il nuovo paganesimo si dà all'esaltazione dell'immanenza, della "vita" e della "natura" creando una nuova superstiziosa religione che è nel più stridente contrasto con ogni superiore ideale "olimpico" delle antiche civiltà d'Oriente e d'Occidente e andando ad accusare in ogni dualismo ascetico un prodotto di degenerescenza antiariana inoculalto dalla razza levantina; quando nega ogni verità superiore alla razza e alla mistica della razza e non esita a mettere ogni concezione sovrannaturale del conoscere e dell'agire, e così anche il "sovrannaturalismo" cristiano e l'intera dottrina cattolica dei sacramenti e del miracolo, a carico delle superstizioni dell'"oscuro Medioevo" e della tattica di dominio dei preti per esaltare invece le "conquiste" proprie al cosiddetto libero esame e alle scienze profane moderne; quando riesuma le vecchie storielle anticattoliche circa l'inquisizione e la donazione costantiniana e si scandalizza di fronte a quella pretesa di infallibilità, che, in civiltà normali, sempre veniva tranquillamente riconosciuta a tutti coloro che fossero veramente pervenuti alla conoscenza metafisica; quando, verosimilmente sotto l'inconscia angoscia per orizzonti troppo vasti, nell'universalismo non sa vedere che una creatura del despotismo ebraico-romano letale per le nazionalità o un prodotto del caos etnico di un clima di decadenza, invece che una superiore unità gerarchia e una esigenza spirituale; quando, associando un fanatismo per la nazione di sapore alquanto giacobino col sospetto romanticismo dell'"eroismo tragico" e dell'"amore per il destino" esso da un lato ridesta a vita la mistica dell'orda primordiale, dall'altro fomenta una rivolta del potere temporale contro ogni autorità spirituale, fino al tentativo di ridurre la seconda ad una mera promanazione del primo. Tutto ciò è sul serio "paganesimo" nel senso negativo desiderato dall'antica apologetica militante, ma, in più, è confusione, regressione, perdita di ogni vero orientamento, soggiacenza a suggestioni irrazionali e, infine, dilettantismo, fanatismo e incultura. Qualcuno, in Italia, ha trovato una espressione assai felice nel dire che, mentre il nazismo accusa il cattolicesimo di far della politica, la verità vera è che esso spesso fa della religione. Ciò è, in larga misura, vero. Il nuovo paganesimo è il prodotto di una trasposizione della politica nella religione, per cui perfino la religione si fa politica, laddove, nei tempi antichi si faceva religione. Esso, lungi dal rappresentare, come pretenderebbe, un ritorno alle origini, ci si presenta essenzialmente come una deformazione delle origini e come la risultante di elementi derivati esclusivamente della disgregazione anti-tradizionalistica moderne e, più propriamente, da questi tre elementi: dal pathos della "nazione" divinificata più o meno giacobinamente, dell'immanentismo naturistico moderno e infine di una attrezzatura di tipo razionalistico e scientista, la quale si ritrova, poi,

nello stesso paradossale connubio con il misticismo, in ciò che è propriamente tecnica "razzista". Certo, noi non vogliamo contestare che presso a tali elementi si agitino, nel fermento dell'ultima cultura tedesca, anche esigenze di diverso valore e per questo ci siamo astenuti dal riferimento a particolari autori: ma si deve in ogni modo constatare che il tono generale è dato dal "paganesimo" ora accennato e che è soprattutto in funzione di esso che si stanno formando, in Germania, nuovi miti, e che si esasperano gravi conflitti spirituali. Ma se cosi stanno le cose, dovendo uscire dalla neutralità di fronte ad un conflitto fra un nuovo paganesimo ed il cristianesimo, è evidente che ad onta di ogni buona volontà sarebbe impossibile schierarsi dalla parte del primo, specie poi se, più che non di cristianesimo in genere, si tratti di Cattolicesimo e di Chiesa cattolica. Se non altro, il Cattolicesimo può assolvere ad una funzione di sbarramento portatore di una dottrina della trascendenza, finché esso sussisterà, impedirà che la mistica dell'immanenza e le invasioni prevaricatrici dal basso si portino oltre un certo segno. Inoltre, si può essere simpatizzanti finché si vuole con una teoria del superuomo, negli aspetti in cui essa può riflettere i valori più virili dei periodi di alta tensione delle nostre più antiche civiltà; purtuttavia la stessa etica cristiana della rinuncia, del sacrificio e dell'umiltà viene ad avere una funzione ben precisa - la funzione di un necessario contrappeso - quando ogni dottrina dell'eroismo, dell'affermazione, della potenza e della virilità resti su di un piano affatto secolare, umanistico e materialistico come oggi quasi senza eccezione si vede accadere. Questa rivista non è precisamente dedicata a menti non adulte, da non disturbare con punti di vista diversi da quelli della mentalità corrente e conformista. Perciò si può dire che secondo la prospettive di chi scrive il Cattolicesimo non si presenta come l'unico ed esclusivo portatore dei valori sopra accennati, e nemmeno come la dottrina nella quale un punto di vista integralmente "tradizionalista" può trovare una espressione completa ed inattenuata di tipo schiettamente metafisico. Ma è evidente che di fronte a tendenze, per le quali, alle fine, il Cattolicesimo rappresenta già un "troppo" e per questo esse cercano di "superarlo", per fare, col ritmo di avanzata del gambero, in confusioni, deviazioni e soggiacenza alla forze meno intellettuali e meno controllabili del mondo attuale, è evidente che di fronte a tali tendenze è inutile riferirsi a tali più vasti orizzonti e far sì che, per un capovolgimento distruttivo, un punto di vista che potrebbe esser di "supertradizione" vada comunque a confortare e fomentare punti di vista, che sono semplicemente di antitradizione.

3b) Ekatlos Esiste oggi una iniziazione politeista? Sui limiti di un certo paganesimo, rinato unicamente per ribellione al cristianesimo exoterico e spesso identificantesi, quasi per ripicca, proprio col ridicolo clichè del paganesimo, creato dagli apologeti cristiani, ebbe già ad esprimersi Evola nel saggio "L'equivoco del nuovo paganesimo". E' chiaro che tale paganesimo è meramente exoterico e perciò non riveste per noi più interesse di quanto ne abbia l'exoterismo cristiano. Tuttavia come ha evidenziato Sandro Consolato nel saggio Aeternitas Romae(1) "Julius Evola, anziano e malato, poteva sorprendere il sufi persiano Seyyed Hossein Nasr, recatosi a visitarlo(2), dicendogli di credere ancora alla speciale dignità spirituale degli Italiani quali eredi di Roma". Questa eredità spirituale si è fatta valere, nel corso dei tempi, in due maniere. La prima all'interno dello stesso cristianesimo, tramite confraternite, come quelle rosacrociane, che hanno sintetizzato l'esoterismo pitagorico-romano con quello proprio al cristianesimo delle origini. La seconda in forma ancora più occulta, perpetuando gli antichi riti italici. Della prima maniera altri hanno già accennato. Riguardo alla seconda, essa ha dato vita, in epoca recente, ad una ripresa anche pubblica di quella ritualità (non senza qualche reazione da parte cattolica). Tra i vari esempi che si potrebbero portare, alleghiamo di seguito il Manifesto Politeista(3) dei politeisti vicentini. Esso presenta il "neo" di parlare genericamente di

cristianesimo, mentre le sue critiche possono valere essenzialmente per l'exoterismo cristiano, la cui prevaricazione è stigmatizzata da coloro che si definiscono - non discuto qui se a ragione o a torto - esoteristi cristiani non meno che dai politeisti. In fondo, tutto il compito attuale dell'Occidente consiste nel ricondurre l'exoterismo al suo giusto e subordinato ruolo. Fatto questo, la stessa reazione materialista, che l'exoterismo dogmatico ha suscitato e suscita, è destinata a scemare. Esattamente come, in Tibet, il Buddhismo Vajrayana coesiste con il precedente esoterismo Bon, in Occidente possono benissimo coesistere esoterismo cristiano e politeista, poichè ciascun uomo ha diritto a seguire la via che ritiene migliore per lui. Nei fenomeni sociali, nei quali R.Guenon ha voluto vedere una decadenza della tradizione occidentale, noi vediamo invece una dissoluzione dell'exoterismo religioso, indispensabile affinchè si ristabiliscano i giusti rapporti tra esoterismo ed exoterismo. Di conseguenza consideriamo miopi e con una mentalità da servi ("cani bisognosi di un padrone") coloro che vorrebbero sostituire l'invasivo exoterismo cristiano con altre forme altrettanto invasive di exoterismo, come ad es. quello islamico. L'elite europea ha ben altri obiettivi. (1)La Cittadella, aprile-giugno 2001. "La Cittadella", come è noto, è la rivista del Movimento Tradizionale Romano (M.T.R.) (2) Forse illudendosi di convincere Evola ad additare ai suoi seguaci l'Islamismo, come via possibile per loro. (3) Pubblicato sul numero di aprile 1986 del bollettino 'Pagus'

3c) Manifesto Politeista 'Facciamo prigioniero in nome di Cristo ogni pensiero' Gregorio di Nazianzo 'Il cane che annusa il vento non crede nel vento, cerca semplicemente di captarlo, e di cogliere quel che va dicendo'. Molti aspetti della repressione sociale e culturale sono indiretti: la libertà non è perseguitata manifestatamente, ma piuttosto viene limitata dall'uniformità e povertà del progetto vitale: lavorare e produrre, consumare e accumulare oggetti, arricchirsi per godere oggetti più numerosi, più grandi e più lussuosi. Altrettanto si potrebbe dire per le restrizioni di altre libertà, da quella sessuale a quella del tempo libero: ambedue sono pause pianificate nei tempi produttivi. L'altra grande istituzione repressiva, il cristianesimo, invece si occupa di questi spazi in modo più diretto e consapevole. La regolamentazione è aperta, diretta, minuziosa. La costrizione non è fisica ma mentale e, alla lunga, insistendo solo sulla responsabilizzazione psichica, il cristianesimo ci porta in tanti vicoli ciechi sbarrati da muri: soggettivismo, prova certa, lo status dell' 'oggetto di fede', delirio, illusione, fede; il problema del dubbio e tutti i tormenti della colpevolizzazione. Basterebbe solo che ci liberassimo da questo bagaglio per camminare diritti e leggeri nel vento. Per converso, il cristianesimo non è riuscito a cancellare la vera religiosità, lasciando così un vuoto spirituale che può, oggi, essere solo riempito dal politeismo. E' attraverso il politeismo che si attua il ri-appropriarsi della propria vita. Il politeismo non è un 'ritorno al passato'. Non consiste nel richiamarsi ad un passato contro un altro passato. Non si manifesta nel desiderio di ritornare al 'paradiso perduto', tematica di origine giudeo-cristiana, d'altronde è uno spettacolo grottesco vedere denunciati 'idoli pagani' da cristiani adoratori del proprio abito nero; è comico vedere rifiutato il nostro passato politeista da chi non cessa di vantarsi della continuità giudeo-cristiana e di ricordarci come esempio Abramo, Giacobbe, Isacco ed altri beduini proto-storici, d'altronde la stessa chiesa non rifiutò come vuote fantasie gli antichi Dei, ma conferì loro una effettiva esistenza, affermando per altro che quelle divinità erano semplicemente esseri diabolici. Al momento della cristianizzazione, furono, i 'grandi Dei' che mobilitarono la maggiore ostilità dei predicatori cristiani. I 'piccoli Dei', considerati come meno pericolosi, furono più facilmente 'amnistiati'; battezzati in modo più o

meno ingegnoso, essi divennero dei santi locali (esempio la Madonna nera). Non si tratta di rifarsi al politeismo come un fatto cronologico, ma riferirsi ad una funzione mitologica, per ricercare quello che attraverso il tempo, supera il tempo e ci possa parlare anche oggi. Il politeismo non è una regressione, ma al contrario la scelta di liberarci ad un avvenire più autentico, più armonioso; gli Dei ci parlano altro che le avventure di Giuseppe. Non c'è bisogno di credere in Juppiter o in Odino (che tuttavia non è più ridicolo che credere in Jahvè) per essere politeisti, il politeismo oggi giorno non consiste nell'innalzare altari a Apollo o a resuscitare il culto di Odino. Il politeismo ci serve per cercare una determinata concezione della divinità e del sacro, una certa interpretazione del mondo, il politeismo pone tra l'uomo e l'universo, una relazione fondamentalmente religiosa, una spiritualità molto più intensa, più grave, più forte di quella che il giudeo-cristianesimo reclama, lontano da desacralizzare il mondo, lo sacralizza nel vero senso. Per il politeismo il sacro non è opposto al profano, ma lo ingloba per donargli un senso. NON C'E' BISOGNO DI UNA CHIESA PER FARE DA MEDIATRICE TRA L'UOMO E GLI DEI. Il politeismo è l'esempio più grandioso di una religiosità assolutamente adogmatica, che non contraddice nessuna esperienza naturale pur penetrando e comprendendo tutta l'esistenza. Non è stato proprio il dogma che ha fatto 'ammalare' le nostre anime? Non è stato il dogma a far ammalare l'anima del mondo di questa civiltà, tagliandola da fatti della vita, dalle cose così come esse sono? Il politeismo sacralizza, e per questo esalta questo mondo, là dove il cristianesimo santifica, e per questo si ritira da questo mondo. Possiamo definire il politeismo come una concezione eminentemente aristocratica della persona umana, un etica fondata sull'onore (sull'onore piuttosto che sul 'peccato'), una attitudine eroica difronte alle sconfitte dell'esistenza, l'esaltazione e la sacralizzazione del mondo, della bellezza, del corpo, della forza e della salute. Il cristianesimo si basa sulla distinzione dell'essere creato (il mondo) e dell'essere increato(dio), il mondo non è il corpo di Dio, non è eterno è radicalmente diverso dall'assoluto. Alle basi del Politeismo si trova l'idea che il mondo è anima e che l'anima del mondo è divina. Il mondo rappresenta lo sviluppo degli Dei nello spazio e nel tempo. La sostanza e l'essenza degli Dei è la stessa di quella del mondo. Per il Politeismo gli Dei non sono esseri dissociati dal mondo, il politeismo non è una teologia della natura, ma una teologia del mondo. Il Politeismo ha concepito le cose di questo mondo col più potente senso di realtà che sia mai esistito, e tuttavia, anzi certamente per questo motivo, riconobbe in essere le linee meravigliose del divino. Il divino è il fondo di ogni essere e accadere. Nessuna immagine di vita è priva di elemento divino. Il politeismo è il frutto di una visione del mondo, del riconoscimento e dell'adesione ad una realtà che il cristianesimo ha ridotto a livello di fantasia, invenzione poetica, realtà demoniaca etc., il concetto fondamentale è quello di una creazione organica, di un tutto visto come organismo vivente e, in più, popolato da esseri che, a vari livelli, hanno il compito di regolarne lo sviluppo. Ogni manifestazione naturale ha il suo sovrintendente, spirito 'elementare', elfo, angelo di zona. Lo stesso globo terrestre 'vive', avvolto da energia che si raccoglie particolarmente in alcuni puti dove, a seconda delle epoche, sono sorti monumenti megalitici e templi. Alla domanda dove cessi l'umano e cominci il divino non può venir data risposta alcuna, perché la certezza nell'esperienza è radicata nel fatto che l'uno viene concepito dall'altro ed entrambi coincidono. La divinità non agisce da un al di là nella vita interiore dell'uomo, sull'anima; è una col mondo e si fa incontro all'uomo nelle cose del mondo, quando egli è per via prende parte alla sua via prende parte alla sua vita movimentata. Non è rientrando in se stesso che egli ne fa esperienza, ma uscendo da se stesso, affermando ed agendo. Una delle devastazioni più tragiche operate dal cristianesimo è la distruzione della nostra vita psichica. Il cristianesimo si nutre, come Crono, degli Dei che divorava. Via via che il cristianesimo si diffondeva la nostra vita veniva privata di ogni riferimento superiore (gli Dei) e di conseguenza ogni manifestazione superiore veniva fatta apparire, adesso, come manifestazione patologica. Gli Dei potevano tornare, ma attraverso la porta di servizio dell'aberrazione mentale. La più significativa di tutte questi ricorrenti aberrazioni è il concetto di 'inconscio'. Un tempo, nel periodo classico, c'era un mondo infero profondo, che ospitava i nostri sogni e il lato notturno della nostra anima. Ma il cristianesimo devastò l'Ade e lo trasformò in inferno, cosicché tutti i fenomeni del mondo infero divennero peccaminosi e malati.

Parrebbe quasi che, nella nostra vita e nella società, le trasformazioni riflettano le contese degli Dei che, se rimossi e dimenticati, diventano una maledizione quotidiana. C'è nei racconti degli Dei, una comprensione delle nostre crisi culturali maggiore di quanto ce n'è in tutte le teorie socio-politiche messe insieme. Il tecnologismo contemporaneo si sviluppa in armonia con Prometeo. Prometeo ruba il fuoco e finisce legato alla roccia, artigliato dal potere a cui si era sostituito. La diffusione epidemica della depressione segue il modello della storia di Crono. Crono divorava i propri figli, consumava ciò che egli stesso produceva, senza mai consentire alla propria creatività una vita autonoma. L'onnipresenza di esplosioni di violenza è opera di Pan, la cui onnipresenza gli ha valso un nome che significa 'tutto'. Pan e Ares la violenza e la guerra. La natura di Pan catapultarsi giù dalla montagna violando qualunque cosa si trovi sul suo cammino. Diventare consapevoli del Pantheon divino che sfila nei nostri pensieri, al di là del nostro controllo e perfino contro la nostra volontà. Vuol dire ritrovare un contatto con le dimensioni più profonde del pensiero e delle idee, riconoscere il Politeismo che non possediamo ma che in effetti ci possiede. 'Il Politeismo è la via alla verità, e pertanto è la verità stessa'. Il ritorno agli Dei è più simile a un ri-volgersi, un rivolgersi a/in quel cerchio i cui orizzonti si aprono all'infinito, e il cui centro, essendo ovunque, è molteplice. Sarà un nuovo circolo, non più vizioso bensì alleviante e liberante. SALUTIAMO LA LIBERAZIONE RELIGIOSA, SALUTIAMO IL RITORNO DEGLI DEI

IV Considerazioni sull'Iniziazione Massonica 4a) Vivificazione dei segni e delle prese Leo Young: Cari amici del Gruppo di UR, prima di tutto vorrei prentarmi a voi come fratello e amico dell'Arte reale, il mio nome è Leo Young e sono uno studioso, un 'L..M.', ma soprattutto un praticante di esoterismo che per molti anni si e interessato allle prestigiose publicazioni del Gruppo UR, avendo avuto la fortuna di avere un padre che, nella sua libreria, aveva sia tesoro di conoscenza, che però non ho mai potuto veramente approfondire con altri perchè vivo da 10 anni all'estero, dove solo recentemente e stato pubblicato con grande successo il primo volume d'Introduzione alla Magia. Mi sembra che ora abbiano pubblicato anche il secondo, ma non in Inghilterra stranamente solo negli Stati Uniti...ed è proprio a proposito di questo secondo volume che vorrei farvi qualche domanda. Perchè il ritardo nella distribuzione della publicazione inglese del secondo volume sembra essere dovuta alla presenza dei fatidici esercizi di von Sebottendorff, che sono descritti in dettaglio nella monografia di Arvo,Vivificazione di "segni" e "prese" (in Introduzione alla Magia Volume lI, pp118-128, Edizioni Mediterranee). di Arvo, pseudonimo dietro cui si celava il Barone Colonna di Cesarò(1), un intervento che venne inserito per la prima volta solamente nella riedizione degli anni 50 dei tre volumi della rivista Ur/Krur ....Perchè ci domandiamo tanto mistero intorno a questo soggetto? Perchè esso non compare nell'edizione originale del 1928? Quel che so è che si deve al gran burattinaio della

Thule, G. Rudolf von Sebbottendorf, la prima publicazione europea della pratica operativa dell'antica massoneria turca nel 1924 (Die Praxis Der Alten Turkishen Freimaurerei) e voi che ne pensate? (1) Come in altri casi (ad es. i saggi firmati Leo ed Abraxa), fu in realtà Evola a dare forma letteraria al saggio, servendosi di indicazioni e pubblicazioni, ottenute da Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, per il tramite di antroposofi tedeschi [n.d.u]. EA: Per comprendere il saggio di Arvo, è necessario fare alcune considerazioni preliminari sulla massoneria. Trascurando, almeno per il momento, le associazioni massoniche prevalentemente etico-politiche e soffermandoci unicamente sulla massoneria iniziatica, diremo che essa ha assunto in Occidente due forme principali. La prima, in ordine storico, è la massoneria operativa, un insieme di organizzazioni di mestiere costituito perciò prevalentemente da operatori del settore edilizio-architettonico, anche se non mancavano "massoni accettati" provenienti da altri ambienti. La seconda è rappresentata dalle emanazioni massoniche del cosiddetto "Ordine Egizio", come l'organizzazione del barone Tschoudy e quella di Cagliostro, che furono un tentativo di ricondurre in direzione iniziatica la cosiddetta massoneria speculativa, cioè quella prevalentemente etico-politica. Si tratta, come è noto, di quello stesso Ordine Egizio, che circa un secolo dopo emanò la confraternita (non massonica) di Miriam. Il Gruppo di Ur era ideologicamente più vicino a questo secondo tipo di massoneria iniziatica, come è facile capire tenendo presente, oltre alla presenza di kremmerziani, l'interesse ad es. di Arturo Reghini per Cagliostro o le connessioni dell'Ordine Egizio con gli ambienti Rosacrociani, sicuramente interessanti per gli antroposofi. La "Vivificazione dei segni e delle prese" ha invece a che fare con il primo tipo di massoneria iniziatica, quella di mestiere. Essa era prevalentemente organizzata in sette gradi, che possono essere rispettivamente chiamati: 1) Apprendista esterno, 2) Apprendista interno, 3) Compagno d'Arte, 4) Maestro del Marchio, 5) Maestro Muratore, 6) Maestro dell'Arco, 7) Ex Maestro. Due gradi erano "esterni al tempio": il primo e il settimo. L'apprendista esterno doveva compiere l'importantissima preparazione necessaria per la sua iniziazione effettiva e l'ammissione al tempio come apprendista interno. L'Ex Maestro, avendo percorso tutto l'iter iniziatico, non aveva più bisogno delle pratiche nel tempio, anche se ovviamente in esso era più che benvenuto e i suoi insegnamenti ritenuti una autentica benedizione. Gli altri cinque gradi erano "interni al tempio": tre erano fondamentali, cioè implicavano forti cambiamenti di prospettiva rispetto ai gradi precedenti (si tratta dei tre gradi rimasti nella massoneria inglese: Apprendista interno, Compagno d'arte, Maestro muratore); gli altri due (Maestro del Marchio e Maestro dell'Arco) erano di perfezionamento rispetto al grado a loro precedente . In ciascuno dei cinque gradi interni si studiava una delle cinque prese (o segni) di cui parla Sebottendorf. Esse costituivano un modo per attivare l'energia interna, e venivano coadiuvati da logodìnami (mantra), da marce (per far circolare la medesima energia), da toccamenti e strette di mano, per lavorare energeticamente con altri iniziati in coppia o in gruppo (catena di unione). Soltanto nel grado di Maestro dell'Arco, avendo studiato tutte e cinque le prese, era possibile combinarle tra loro per la realizzazione finale. Sebottendorf ed altri, ad es. Krebs, avevano probabilmente trovato manoscritti relativi al grado di Maestro dell'Arco, ma non manoscritti relativi ai gradi precedenti ed avevano cercato di supplirvi come potevano (vedi le giaculatorie in Sebottendorf e gli esercizi respiratori in Krebs). Arvo rilevò giustamente che tali escogitazioni possono funzionare solo in casi di specialissime disposizioni interiori, ma non possono certo sostituire l'intero iter tradizionale. E perciò l'iniziato "medio" ben difficilmente può trarre qualcosa di positivo dalle pratiche di Sebottendorff, se è a conoscenza solo di esse. Leo Young: Caro Ea, riguardo alla tua risposta molto interessante sul saggio di Arvo noto che hai delle informazioni diverse da quelle proposte da Arvo, che parla solamente di tre fasi racchiuse apparantemente in un sistema operativo di tre gradi, legati a quella che Sebottendorff chiama "l'Opera spirituale", la "Scienza della Chiave", praticata da quegli iniziati orientali che definiscono sé stessi come "Figli della Chiave" e adoperano un sistema alchemico di trasformazione mediante l'uso Kabalistico del Corano, che si svilupperà nel verde, colore sacro del l'Islam.

EA: Non vi è corrispondenza tra le tre fasi e i gradi massonici, dal momento che, come ho già accennato, le tre fasi sono applicabili solo da chi conosca tutte e cinque le "prese". Sono queste a corrispondere ai gradi "interni al tempio". Dice ad es. Sebottendorf: in relazione alla presa mediana: "Questa presa non è più conosciuta dalla massoneria attuale, veniva attuata un po' al di sotto della presa del petto;" La presa mediana era appunto appresa e studiata nel grado di Maestro del Marchio, immediatamente successivo a quello di Compagno Leo Young: Sistema alchemico ma anche piu' ermetico quello dei tre gradi del Rito Egizio di Giuseppe Balsamo il Gran copto; per quanto riguarda invece il barone Tschoudy, il nostro caro Chevalier de Lussy, non dobbiamo sopravvalutarlo nel suo sapere iniziatico, che senza dubbio aveva, perchè il suo catechismo ermetico e il suo sapere vengono (come sappiamo anche da recenti studi in proposito) dalla Societa dei Filosofi Incogniti (des Philosophes inconnus) e da F.M. Santinelli (alias Crassellame) per essere più precisi e dalla sua Ode alchemica "Lux Obnubilata", pubblicata a Venezia presso Alessandro Zatta nel 1666. EA: Al di là della sua realizzazione personale, che però non abbiamo elementi per valutare, Tschoudy fu indubbiamente il tramite di un autentico insegnamento esoterico. Sui Filosofi Incogniti puoi vedere, oltre al saggio "Brevi Note sul Cosmopolita" di Arturo Reghini, anche alcuni messaggi del nostro forum. Leo Young: Ma hai per caso preso, caro Ea, le tue informazioni sui turchi, che sembrano più dettagliate, su una copia del libro publicato dalla C.E. Il Delfino di Torino nel 1980? Il libro si chiamava "La pratica operativa dell'antica massoneria Turca". EA: Sono uscite due traduzioni italiane del testo di Sebottendorff. Quella di Torino, da te ricordata, è accompagnata da una breve introduzione. Di utile (per chi non lo ha letto) una citazione tratta dal Domenicano Bianco di Meyrink (citato più brevemente da Arvo), in cui tale scrittore accenna al medesimo tipo di pratiche descritte da Sebottendorff. Consiglio, potendo, di leggere il Domenicano Bianco per intero. Un'altra traduzione è stata fatta dalle Edizioni Arktos. Nell'introduzione ad essa, senza nulla togliere all'esistenza della Massoneria Turca, il curatore, studioso dell'Islam, dimostra l'assoluta improbabilità di una effettiva derivazione "coranica" delle pratiche esposte da Sebottendorff. In realtà, come già accennato e come Krebs, Meyrink ed altri dimostrano, esse erano praticate dall'antica massoneria operativa europea, dalla quale anche quella turca deriva.

4b) Qualificazioni Iniziatiche e Massoneria di Frater Petrus La classificazione tradizionale degli esseri umani si basa sulla prevalenza dell'una o dell'altra tra le principali funzioni psicofisiche: la funzione motoria, quella emotiva e quella intellettuale. Ciascuno dei tre tipi umani, quando decide di evolversi spiritualmente, tende a seguire una via basata soprattutto sulla funzione in lui prevalente. Perciò, le vie che la Tradizione consiglia ai suddetti tipi sono rispettivamente: la via dell'azione, la via della devozione e la via della conoscenza. Viene poi considerata una quarta via, che sintetizza le altre tre ed è detta via del re: quest'ultimo, secondo la Tradizione, dovrebbe possedere in forma essenziale ed equilibrata le qualità di tutte le caste (artigiani, guerrieri, sacerdoti) da lui governate. Il termine casta significava, in origine ed essenzialmente, "natura interiore" ed è con questo significato originario che useremo tale parola nel presente documento. La determinazione delle caste per via ereditaria (detta impropriamente "regime delle caste") è invece un metodo accessorio, che gli esponenti della Tradizione adottarono nelle epoche e nei luoghi, nei quali ritennero che il fattore ereditario e l'ambiente familiare dell'infanzia fossero i migliori indizi della suddetta natura interiore. Non avrebbe ovviamente senso applicare tale metodo nella civiltà occidentale moderna, dove è abituale vedere figli che desiderano e fanno attività completamente diverse da quelle dei padri. Per le quattro vie, esiste sia un ordine di derivazione (via del re, via della conoscenza, via della devozione, via dell'azione) sia un ordine di eccellenza (via della conoscenza, via del re, via della devozione, via dell'azione). In altri termini, tutte le vie derivano

da quella del re, perchè non sono altro che specializzazioni di tale via. L'ordine di eccellenza delle quattro vie pone invece per prima la via della conoscenza. Ciò è facilmente intuibile se si pensa che il sacerdote, al quale tale via compete, può dedicare tutta la sua vita alla spiritualità, mentre il re deve occuparsi anche di cose più terrene. Perciò la via del re contiene sinteticamente anche la via della conoscenza, ma non con la stessa estensione con la quale può essere praticata da un sacerdote. Un individuo può ricevere, oltre all'iniziazione corrispondente alla propria natura, anche le iniziazioni corrispondenti alle vie inferiori nella scala di eccellenza, ma non può accedere normalmente a quelle superiori. Ciò ha una perfetta corrispondenza anche con ciò che accade nella vita profana. Ad es. un grande fisico può generalmente, con un po' di pratica, svolgere il lavoro di un elettricista o di un idraulico, ma non è affatto detto che un elettricista o un idraulico possano, con analogo periodo di studio, comprendere operativamente ad es. la teoria della relatività. In ambito cristiano, i sacerdoti non costituirono mai una casta indipendente, ma i suoi membri provenirono per lungo tempo dalle famiglie nobili, di solito guerriere. Perciò i sacerdoti cristiani adottarono la via della devozione propria della casta guerriera, anzichè la via della conoscenza. Quando una tradizione è soggetta a decadenza, le ultime vie iniziatiche a permanere sono quelle relative alla via dell'azione, giacchè a tale via possono aspirare un maggior numero di persone. Tra le iniziazioni attinenti alla via dell'azione si situa anche l'iniziazione massonica. Fatte queste premesse assolutamente generali, possiamo analizzare le qualificazioni iniziatiche specifiche della Massoneria. Per farlo cominceremo con l'esaminare alcuni dei documenti più antichi, relativi alla Massoneria stessa. Si tratta della Carta di Bologna, del Poema Regius e del Manoscritto Cooke. La Carta di Bologna, che raccoglie gli Statuti e i Regolamenti della Società dei maestri del muro e del legno del Comune di Bologna, reca la data 8-Agosto-1248 . E', in assoluto, il più antico documento massonico che si conosca. E' conservata nell'Archivio di Stato di Bologna assieme ai successivi Statuti della medesima società (che hanno permesso di ricostruire talune parti danneggiate della "Carta") e ad una Matricola (un piè di lista) datata 1272. Il più antico documento massonico anglosassone attualmente conosciuto è, invece, il "Poema Regius", così chiamato perché faceva parte della Royal Library di Inghilterra, donata al British Museum da Giorgio II nel 1757. È detto anche "Manoscritto di Halliwell", perché nel 1840 James 0. Halliwell lo pubblicò per la prima volta. La copia della Royal Library è stata scritta nel 1390, ma la tesi più accreditata sostiene, sulla base dell'analisi scritturale, che la stesura del documento originario sia da collocarsi tra il 1250 e il 1300. La datazione del Manoscritto Cooke è anch'essa controversa; gli studiosi la collocano comunque tra il 1400 e il 1440. Si presenta come un codice deontologico preceduto, come nel Poema Regius, da un racconto sulle origini mitiche della Massoneria, che occupa circa metà dell'intero documento. Confrontiamo, con l'ausilio di una tabella sinottica, i passi dei tre documenti, che indicano le qualificazioni necessarie per accedere alla Massoneria. Qualificazione Carta di Bologna Età

[IV]... Aggiungiamo che il figlio di un maestro della Società non debba né possa essere partecipe delle elezioni «ad brevia» se non ha almeno quattordici anni. E suo padre non sia obbligato ad immetterlo nella Società prima di questa età e il figlio stesso non sia accettato nella società prima del tempo stabilito. E che nessuno prenda un

Poema Regius

Manoscritto Cooke

Apprendista che abbia meno di dodici anni, sotto pena di un'ammenda di venti soldi e della nullità del contratto. [VII]... E se un maestro ha un figlio o più figli che conoscono il mestiere, o che sia stato per due anni ad apprendere il mestiere, allora sia suo padre ad immetterlo nella Società di diritto e senza alcuna cerimonia dì entrata, col pagare egli stesso [quanto dovuto] alla Società nella forma sopraddetta, sotto pena di un'ammenda di venti soldi. E una volta pagata l'ammenda nondimeno sia tenuto a fare entrare il figlio nella Società... [XXXIII] "Del fatto che i maestri siano tenuti a fare accogliere i discepoli (apprendisti) nella Società entro due anni" Noi stabiliamo ed ordiniamo che ciascun maestro sia tenuto a fare accogliere come discepolo il suo (apprendista) nella Società dopo che questi sia rimasto con lui per due anni e a garantire per questo discepolo una e buona e sufficiente sicurezza (per la) sua entrata nella Società. E che coloro che contraverranno siano puniti con venti soldi Bolognesi per ogni contravvenzione e in ogni caso se non recepiscono questa (garanzia di idoneità).

Apprendistato [XXX] "Del fatto che minimo nessuno possa assumere un'apprendista per meno di 4 anni" Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società debba in alcun modo o mezzo assumere un'apprendista (discepolo) per meno di quattro anni.

Articolo terzo Il maestro, per educare alla sua arte e metterla a profitto, deve prendere un apprendista soltanto se è sicuro di poterlo tenere con lui sette anni. Un periodo più breve, cosa evidente se ci si pensa, non sarà utile né per lui né per il committente.

Articolo terzo. Nessun maestro prenderà un apprendista per un periodo inferiore a sette anni almeno, questo perché con un periodo minore, l'apprendista, non sarebbe all'altezza della sua Arte, di conseguenza non potrebbe servire in modo leale il suo signore e considerare l'Arte come un massone dovrebbe.

Libertà

Articolo quarto Il maestro deve prestare attenzione a non assumere un servo della gleba come apprendista, né assumerne uno per avarizia, giacché il signore che possiede il servo della gleba può venire a richiederlo in ogni momento. Se un servo della gleba fosse preso in una loggia, creerebbe molti problemi e sarebbe causa di danni per uno o tutti, giacché i muratori di una regione si tengono uniti. Se un servo della gleba fa parte dell'arte, aspettatevi di avere delle noie; per la pace, e in tutta onestà, prendete un apprendista di nobile stato. Negli antichi trattati, ho letto che l'apprendista deve essere di nascita nobile e si è visto di figli di nobili praticare la geometria.

Articolo quarto. Nessun maestro, qualunque possa essere il vantaggio, assumerà apprendista nato da sangue servile, giacché il signore, a cui l'apprendista è asservito, lo toglierebbe alla nostra Arte e potrebbe chiamarlo a sé fuori dalla Loggia o dal luogo del suo lavoro; i suoi compagni rischierebbero allora di accorrere in suo aiuto, di provocare un alterco a cui potrebbe seguire un’uccisione. Questo è vietato. Senza considerare che la sua Arte ebbe inizio con i figli dei grandi signori, nati liberi, com’è raccontato sopra.

Articolo quinto L'apprendista deve essere di nascita legittima. Il maestro non deve, in nessun caso, prendere un apprendista malformato; questo significa che è indispensabile che le sue membra siano integre. Per

Articolo sesto. Nessun maestro, per avarizia o cupidigia prenderà per l'insegnamento apprendista che sia deforme, o che presenti qualche difetto che gli impedisca di lavorare

Nascita legittima e salute corporea

[XXXII] "Del fatto che nessuno possa assumere chi non sia della città o del contado di Bologna o chi sia servo (al servizio) di qualcuno" Noi stabiliamo ed ordiniamo che nessuno della Società possa tenere né debba avere come apprendista qualcuno che sia un servo o sia di un altro territorio (distretto). E chi contravverrà sia punito con cento soldi Bolognesi per ogni infrazione. E prescriviamo che se qualche socio sposerà una serva (non libera), paghi a titolo di ammenda dieci libre e che sia escluso (espulso) dalla Società. E ciò sia irrevocabile.

Religiosità; amore per il maestro, i compagni, etc.

l'arte sarebbe una vergogna assumere uno storpio, uno zoppo, un invalido o un uomo di sangue impuro, questo sarebbe pregiudizievole all'arte. Ciascuno di voi saprà così che l'arte accetta chi è forte; uno storpio non ha forza, ci si renderà rapidamente conto di questo."

come dovrebbe.

"Altri punti adottati in questa assemblea dai grandi signori e dai maestri." Primo punto. Chi vuole abbracciare quest'arte, ovunque sia, nei campi o nei boschi, deve amare Dio la santa Chiesa e il maestro presso cui vive; e amerà anche i suoi compagni, perché così lo prescrive l'arte.

"Altri consigli. Questi consigli vengono dai diversi signori e maestri di differenti province e assemblee di Massoneria." Primo punto. Bisogna sapere che chi desidera abbracciare lo stato dell'Arte in questione deve per prima cosa amare Dio, la santa Chiesa e tutti i santi, il suo maestro, i suoi compagni e tutti i suoi fratelli.

Le qualificazioni richieste erano ritenute valide tanto per l'aspetto exoterico, quanto per quello esoterico dell'arte muratoria. Occorrerà però distinguere ciò che deve essere ritenuto definitivamente valido per tale arte, da ciò che invece dipende dal tempo e dal luogo nel quale operarono gli antichi massoni. 1. Come risulta dalla Carta di Bologna, nessun maestro può assumere un apprendista, se questi non ha almeno dodici anni , perchè, solo a questa età, si può ritenere che egli abbia le caratteristiche psico-fisiche e intellettuali necessarie. L'entrata effettiva nella Società Massonica richiede invece che siano già trascorsi due anni di apprendistato. Tale entrata richiede una cerimonia di iniziazione, tranne che per coloro che sono figli di un maestro, ai quali è sufficiente il rito di iniziazione paterno. Questo perchè si ritiene che il figlio di un maestro sia, tramite il padre, in collegamento materiale e sottile con la confraternita, sin dalla sua nascita e perciò a lui si trasmetta più facilmente e direttamente l'influsso iniziatico. Questo collegamento si realizza, ma solo parzialmente, anche per i figli di apprendisti e compagni; questi ultimi costituiscono dei veicoli dell'influenza iniziatica ancora imperfetti e perciò ad essi è interdetta la trasmissione dell'iniziazione. 2. Per quanto riguarda l'istruire un apprendista solo se si prevede che egli possa rimanere un buon numero di anni con il proprio maestro, è evidente l'inutilità di iniziare una persona disposta ad accettare una assunzione momentanea, ma che abbia a breve altri propositi. E' altresì inutile l'iniziazione di un postulante di passaggio, che non si abbia possibilità di seguire successivamente, a meno che non si possa affidarlo, nel luogo dove ha stabile dimora, ad un altro maestro di conosciute qualità. Ma, anche in tal caso, sarà da valutarsi se non è meglio che egli venga iniziato direttamente in quella sede. 3. Riguardo al fatto che l'apprendista non debba essere un servo è importantissima la frase del Poema Regius "giacché il signore che possiede il servo della gleba può venire a

richiederlo in ogni momento". Servo, in senso ampio, è dunque chiunque svolga un lavoro, che può richieder la sua presenza in qualunque momento, non permettendogli o disturbando l'attività di loggia. Da questo punto di vista, è iniziabile un modesto operaio, che terminate le sue ore di lavoro è libero da impegni; non lo è invece un manager, che debba essere sempre pronto a fiondarsi alla sua azienda alla bisogna.Si obietterà che esistono anche persone iper-impegnate, che sono tali, non perchè sono schiave del denaro, della notorietà o del potere, ma perchè svolgono un servizio sociale: medici, agenti di polizia, missionari, etc. A parte dover discernere, anche in questi casi, quanto dell'impegno è effettivamente servizio sociale, e quanto invece è dovuto a più o meno consapevoli forme di arrivismo, occorre notare che, per tali persone, la Tradizione ha sempre previsto forme di iniziazione specifiche. Ai suoi tempi, Renè Guenon ebbe a dire che le uniche forme iniziatiche autentiche rimaste in Occidente erano la Massoneria e il Compagnonaggio. Oggi questa frase ha perso, in gran parte, la sua validità, sia perchè nel frattempo sono riaffiorati filoni esoterici occidentali, che Guenon non ebbe modo di contattare, sia perchè svariati maestri orientali sono venuti a risiedere stabilmente in Europa. L'iter iniziatico, in Massoneria, si basa sia sui riti individuali, sia su quelli collettivi. La forza della catena iniziatica si fa sentire particolarmente nei rituali d'iniziazione ai vari gradi, ma anche in quei punti morti dello sviluppo iniziatico, nei quali un individuo solo potrebbe desistere. L'iniziazione massonica non è trasmessa da un maestro che opera isolatamente, ma una loggia è tale solo se sono presenti in essa almeno tre maestri. A tal proposito la leggenda di Hiram non lascia dubbi: nonostante che re Salomone e re Hiram di Tiro conoscessero la "'Parola Sacra", morto Hiram Abif, cioè il terzo maestro, essi non furono più in grado di trasmetterla e la parola andò "perduta". Viene però ritrovata ogniqualvolta Hiram risorga, attraverso il rituale di iniziazione di un Fratello a Maestro Massone. Questa leggenda fornisce due importanti informazioni. Da un lato, indica che, salvo qualificazioni del tutto eccezionali, per l'iniziazione di un apprendista o di un compagno sono normalmente necessari in loggia tre maestri. D'altro lato, indica invece che il terzo maestro non è necessario per l'iniziazione di un compagno a maestro. Il compagno ha già infatti percorso un certo tratto del cammino iniziatico e perciò comincia a dipendere di meno dal sostegno fornitogli dalla catena iniziatica. Ritornando al concetto di servo, aggiungeremo che, anticamente, erano annoverati tra i servi anche i galeotti, essendo essi privi di libertà. La Carta di Bologna aggiunge che anche la moglie di un maestro non può essere una serva. Ciò viene affermato non solo per motivi di ordine sociale, ma anche perchè, come vedremo, nella Massoneria le mogli dei maestri, analogamente ai figli, facevano parte di diritto della loggia. 4. L'importanza di una nascita legittima, indicata dal Poema Regius, è un chiaro residuo del periodo in cui, come abbiamo già detto, le caste erano determinate per via ereditaria e si riteneva che nascite avvenute fuori dei normali schemi sociali contribuissero a creare confusione tra le caste stesse. La richiesta dell'assenza di malformazioni corporee e di altre invalidità non è da imputarsi alle sole necessità del lavoro muratorio esteriore, ma anche alla non meno importante necessità di poter usare, senza rischi, le energie sottili dell'organismo. Per fare un parallelo, diremo che alcune iniziazioni tantriche, che utilizzano le medesime energie, richiedono, tra gli altri preliminari, che l'allievo sia in grado di eseguire giornalmente un certo numero di prostrazioni complete, dalla posizione in piedi a quella prona (talvolta addirittura cento). Non si tratta di un esercizio devozionale, ma di un esercizio psicofisico, che, oltre che con i muscoli, va eseguito con la volontà: esso comincia a stimolare proprio quelle energie sottili, che dovranno essere successivamente affinate. Naturalmente il guru è normalmente disposto ad aspettare che l'aspirante, se già non le possiede, raggiunga le capacità fisiche richieste, tramite un opportuno allenamento. 5. Per quanto riguarda l'atteggiamento religioso richiesto che, nelle epoche in cui sono stati scritti i documenti esaminati, si identificava con l'accettazione del teismo cristiano-cattolico, esso venne modificato dalle costituzioni di James Anderson, in prospettiva di una diffusione della massoneria fuori dagli ambienti cristiano-cattolici. Nelle Costituzioni dei Liberi Muratori del 1723, si legge infatti: " 1. Concernente Dio e la religione: Un muratore è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se

intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso. Ma sebbene nei tempi antichi i Muratori fossero obbligati in ogni Paese ad essere della religione di tale Paese o Nazione, quale essa fosse, oggi peraltro si reputa più conveniente obbligarli soltanto a quella Religione nella quale tutti gli uomini convengono, lasciando loro le loro particolari opinioni; ossia essere uomini buoni e sinceri o uomini di onore ed onestà, quali che siano le denominazioni o le persuasioni che li possono distinguere; per cui la Muratoria diviene il Centro di Unione, e il mezzo per conciliare sincera amicizia fra persone che sarebbero rimaste perpetuamente distanti." Il termine "ateo stupido" ha suscitato un gran numero di discussioni, relative al suo significato. Da un punto di vista iniziatico, tale termine è, invece, facilmente intellegibile. Sono infatti sempre esistiti sia atei materialisti, sia atei spiritualisti. Per quanto riguarda i primi, non credendo essi nella sopravvivenza personale dopo la morte, non avrebbe alcun senso iniziarli. Si può, al più, indirizzarli verso ideali di fraternità e di socialità, affinchè vivano almeno in armonia con la società. Per lo stesso motivo, non possono essere iniziati neppure coloro che aderiscono a forme di materialismo camuffato. Ci riferiamo ad es. a quella particolare forma di panteismo, che si può chiamare "panteismo nichilistico". Tale dottrina afferma che tutto è Dio, ma che il destino degli esseri dopo la morte è semplicemente di riassorbirsi nella divinità, senza alcuna possibiltà di sopravvivenza personale. E' evidente che il panteismo nichilistico non è altro che un materialismo, che chiama "Dio", anzichè "materia", il principio unico e annichilente. Anche in questo caso, l'iniziazione è inutile poichè non viene ammessa la sopravvivenza personale. Ovviamente tale interdetto non vale per altre dottrine panteistiche, che ammettono la sopravvivenza personale. Per atei spiritualisti si deve invece intendere coloro che, pur credendo nella sopravvivenza personale e nella possibilità di evoluzione spirituale, non fanno di un dio personale o panteistico il centro della propria visione del mondo. Sono tali ad es. i seguaci della filosofia Samkhya e i Buddhisti. E' logico che non vi sia alcuna difficoltà ad accettare siffatti atei spiritualisti in Massoneria . L'amore per il proprio maestro, infine, è una qualificazione richiesta praticamente da qualsiasi tipo di iniziazione ma, quando questa avviene nell'ambito di una confraternita, esso deve essere necessariamente esteso ai confratelli della propria loggia e delle altre logge. In nessuno dei manoscritti esaminati viene indicata, come qualificazione indispensabile per l'iniziazione, l'esecizio effettivo delle attività di muratore. Anzi, nel piè di lista del 1272, che accompagna la Carta di Bologna risultano 371 Maestri, dei quali oltre una ventina svolgono altre attività; tra essi vi sono ad es. anche 2 notai, 2 frati e 6 nobili. Già a quell'epoca, perciò, era in uso la prassi dell'Accettazione, in virtù della quale si ammetteva e si ammette all'iniziazione massonica anche individui non esercitanti l'Arte Muratoria. La validità di tale prassi discende direttamente dai principi generali sulle qualificazioni iniziatiche, che abbiamo indicato nell'introduzione e in particolare dal fatto che una iniziazione della via dell'azione (che è la più bassa nella scala di eccellenza) è praticabile non solo da chi è normalmente qualificato per tale via (artigiani, operai e commercianti), ma anche dai membri delle caste superiori, che posseggano le qualità specifiche indicate e che siano disposti ad adattarsi alle caratteristiche simbolico-operative di tale iniziazione. Nei manoscritti citati non viene neppure indicata come qualificazione indispensabile l'appartenenza dell'iniziando al sesso maschile. Al contrario nel Poema Regius si trovano frasi nelle quali viene fatto esplicito riferimento sia a fratelli sia a sorelle delle confraternite massoniche. Le riportiamo di seguito: "Il nome di questo grande maestro era Euclide e la sua fama si diffuse ovunque. Ordinò che quello che era più dotato doveva istruire quello che lo era meno per migliorarlo in questa onesta arte; così dovevano istruirsi l'un l'altro e dovevano amarsi tutti come fratelli e sorelle." "Articolo decimo: Nell'arte, un maestro non ne deve escluderne mai un altro, essi devono vivere insieme come fratelli e sorelle, perché la nostra arte è esigente." "Nono punto: Se l'attendente [steward] della nostra grande sala e te vi trovate insieme in camera, servitevi l'un l'altro, con gioia. I nobili compagni, saranno a turno tutti attendenti, settimana dopo settimana; saranno tutti sorveglianti e dovranno aiutarsi gli uni con gli altri con amore come conviene a fratelli e sorelle."

Del resto, nella storia si trovano altre tracce, che attestano l'ammissione delle donne, con parità di diritti e doveri, nelle Gilde degli Artigiani. In Francia il "Livre des Métiers" di Etienne Boileau (1268) prevedeva l’accesso delle donne nelle Corporazioni artigiane, e la loro elevazione al grado di Maestro, anche in mestieri tradizionalmente maschili. Gli Statuti della Gilda dei Carpentieri di Norwich (1375) sono indirizzati " ai Fratelli ed alle Sorelle ". La catena tradizionale delle ammissioni femminili continua fino all'albeggiare della Massoneria Speculativa. Lo Statuto della Loggia di York (1693) riporta che: " Colui o Colei che deve esser fatto Massone pone le mani sul Libro [la Bibbia] ed allora le istruzioni vengono date". L’accettazione di membri anche femminili si può quindi considerare d’uso comune nella cosìddetta Massoneria Operativa o Massoneria Antica. Non partecipando direttamente ai lavori muratori, le donne venivano a trovarsi sullo stesso piano dei membri "accettati" di sesso maschile. Curiosamente, sembra che, solo con il sorgere della Massoneria Speculativa, venne interdetta alle donne l'iniziazione massonica (salvo eccezioni che in questa sede non tratteremo). Il problema dell'iniziazione femminile ha suscitato e suscita, sempre più, molte controversie. In realtà le diatribe sono inutili. L'unica possibilità di dirimere il problema è un'analisi dei riti massonici (particolarmente dei primi tre gradi) che metta in evidenza quali aspetti sottili dell'uomo essi mettano in gioco. Tale analisi potrà portare, con ogni probabilità, ad uno dei seguenti possibili risultati: 1. I riti non sono legati alla struttura sottile specifica del l'uomo. In tal caso "nihil obstat" a che essi vengano usati, così come sono, per iniziare anche le donne. 2. I riti sono legati alla struttura sottile specifica dell'uomo per il quale sono stati concepiti, ma non così strettamente da non poter essere adattati alla struttura sottile della donna. Allora ella potrà essere iniziata a dei riti adattati. 3. I riti sono così strettamente dipendenti dalla struttura sottile dell'uomo, da non essere adattabili a quella della donna. In tal caso, ispirandosi ai soli simboli massonici (ma non alla rituaria maschile), occorre elaborare una rituaria "toto genere" diversa, che si confaccia alla struttura sottile femminile. La donna potrà allora essere iniziata a tale specifica rituaria. *** Janus: Ho letto con attenzione ed interesse il saggio di Frater Petrus e permettetemi alcune considerazioni. Considero davvero ben esplicitata la differenza delle tre vie d'iniziazione, dell'azione, della devozione e della conoscenza, che, come fece Guènon, sono state accostate ai tre 'varna' dei produttori, dei guerrieri e dei sacerdoti. Vi è scritto, giustamente, di una quarta via, del Rex e qui non comprendo e non condivido il perchè la si debba sottovalutare rispetto alla via della conoscenza. Il Rex, inteso primordialmente, ma anche ermeticamente, è anche Pontifex, cioè l'ativarna, colui che è al di là delle caste, incorporandole in sè. Se analizziamo la dottrina ermetico-alchemica, l'Ars Regia, al rosso rugine si associa l'elemento Marte non purificato (che platonicamente si può assimilare all'aretè della passione) proprio dei guerrieri; al bianco si associa la conoscenza dei bramhana, cioè la ritrovata edenicità, ma al rosso purificato, all'oro puro, a Saturno raggiunto tramite Marte che lotta e vince in Giove, corrisponde il Rex, l'invictus, simile al Sole, come si diceva di Mithra e di Horus. Non dimentichiamoci che proprio Evola, dopo l'esperienza di Ur, ha sviluppato tali argomenti in uno dei suoi testi più illuminanti, La Tradizione Ermetica. Inoltre, interessanti ho trovato le dissertazioni sulla Massoneria, ma ho qualche dubbio sulle critiche a Guènon. Credo che le parole di Guènon siano superate in peggio e certamente non in meglio, nel senso che la Massoneria è ormai da considerarsi un'organizzazione al servizio di Arimanne a tutti gli effetti, senza pie illusioni e che quelli che vengono definiti nuove sorgenti esoteriche o maestri venuti dall'Oriente non siano altro che ennesime dimostrazioni di come la spiiritualità alla rovescia dell'ultima yuga sia ormai imperante (ovviamente sono considerazioni personali). Sono sempre più convinto che Evola aveva visto giusto nell'indicare la via eroica come l'unica svolta possibile nel Kali-yuga, una via tanto solitaria quanto solitaria (sic!), senza sostegni di alcun tipo! Turba Philosophorum: Ma perchè un esponente di una via così "solitaria" partecipa ad un forum? Se cerca "compagni di via" cade in contraddizione. Se invece vuol suggerire agli altri di

andarsene "ognuno per i fatti propri", perchè parla di Tradizione? E' invece un fautore dell'individualismo più totale! Ha tutta l'aria di uno specchietto per le allodole il fatto di difendere Guenon a spada tratta, per poi concludere in maniera completamente opposta. Il Vicario di Satana: Vorrei soffermarmi su quei passi de "Il Camino del Cinabro", ove Evola parla delle sue "qualificazioni" iniziatiche ed accenna a due misteriose personalità, che forse agirono iniziaticamente su di lui. Il punto che io ritengo più interessante, per gli studiosi, è quando egli dice: "Infine, come disposizione generale mentale, debbo ad essa l'impulso a posizioni nette, senza compromessi, una specie di intrepidezza intellettuale esprimentesi, a parte le estrinsecazioni polemiche, in coerenza e rigore logico". Tener conto di quanto questo impulso a posizioni nette influenzi, in Evola, l'esposizione del suo pensiero è di capitale importanza per chi lo studia. Evola una volta ebbe a dire che esistevano sia evoliani e sia "evolomani". Tutti i suoi seguaci naturalmente pensavano di essere evoliani e, altrettanto ovviamente, ritenevano che evolomane fosse qualche tizio a loro antipatico. Invece esiste un criterio oggettivo per distinguere gli evoliani dagli evolomani . Evola era ben consapevole, quando assumeva posizioni nette, che le stava assumendo ed era altrettanto consapevole del contesto (e perciò dei limiti) in cui le assumeva. Evoliano può dirsi colui che, studiando Evola, quando trova in lui assunzioni nette le associa indissolubilmente al loro contesto. Per gli evolomani invece quelle assunzioni diventano affermazioni apodittiche e veri e propri slogan. Un esempio? Ne prendo uno dalla mia borsa dei veleni. In Cavalcare la Tigre, Evola afferma. "Ciò che bisogna negare nel modo più reciso è la trasposizione in questo campo [iniziatico] della veduta individualistica e democratica del self-made man, cioè l'idea che ognuno che lo voglia possa divenire un iniziato, e possa anzi divenirlo da sé, con le sue sole forze, ricorrendo ad esercizi e pratiche di vario genere. Questa è una illusione, la verità essendo che con le sole forze dell'individuo umano non si saprebbe andare di là dall'individuo umano, che qualsiasi risultato positivo in tale campo è condizionato dalla presenza e dall'azione di un potere reale d'ordine diverso, non individuale". L'evoliano autentico allora (come già fece il Buddha) si dedicherà proprio ad esercizi e pratiche di vario genere, lasciando impregiudicato se e quando otterrà una qualche forma di realizzazione: non presumendo egli, ma neppure negando di possedere quell'indispensabile "quid" sovraindividuale. L'evolomane invece non praticherà un bel niente. Prenderà le sue "incazzature" e/o depressioni per quel che Evola (sempre in Cavalcare la Tigre) definisce "brusca rottura esistenziale e ontologica di livello" e se ne andrà in giro profferendo frasi perentorie su quella "merda di mondo che lo circonda" e affermando di praticare una non meglio precisata "via eroica". EA: Ho letto con grande piacere le note di Frater Petrus sulle caste, che completano quanto diceva, qualche tempo fa, in un suo saggio di metapolitica(1), in relazione alla primordiale "casta unica". Condivido il suo schema, che, nel succedersi dei cicli, si riferisce ad una distribuzione delle caste immediatamente successiva alla "casta unica". E' da notare che, in un epoca così primordiale, la "conoscenza" fa tutt'uno con l'atto magico: è ciò che Evola tentò di descrivere, anche in termini filosofici, nel suo "idealismo magico". In una tale epoca, i Brahmani o Sacerdoti sono tali nel significato originario del termine: essi sono coloro che dominano il Brahman (la Possibilità Universale) mediante il potere del rito. In questa situazione, di solito il regno è dominato da due "capi". Il primo, che è il Rex propriamente detto, è il capo supremo ed è il brahmano con il più alto potere magico. Egli è cioè il più eccellente nella via della conoscenza, che segue come tutti gli altri brahmani. E' il Rex-Pontifex Maximus. L'altro capo, più esteriore rispetto al primo, è invece quel brahmano che ha il compito di governare le altre caste (guerrieri e artigiani), stando a diretto contatto con i più alti esponenti di queste. Rispetto a tali caste, egli è un Dux (cioè un Duce, uno Shogun). Per la sua particolare funzione di intermediario tra la casta brahmana e le altre, gli compete l'iniziazione alla "quarta via", che altro non è che la pratica armonica e "in essenza" di tutte e tre le "vie". L'espressione "in essenza" significa che esse vengono praticate in modo certamente adeguato alla funzione ricoperta, ma ovviamente non con quella medesima estensione applicativa, che è possibile a chi si specializza in una sola via. Ma è risaputo che la degenerazione incombe. Così può verificarsi che la casta brahmana passi

da un atteggiamento magico nei confronti del Brahman ad un atteggiamento contemplativo in senso deteriore, cioè di un mero "guardare" al sovrasensibile, che allora assume, per i sacerdoti, i connotati di una "realtà autonoma", che non si può più dominare, ma solo "propiziare", ottenendo "grazie". Se ciò si verifica, automaticamente il Rex decade nella condizione di mero Rex Sacrorum, termine qui da intendersi nel senso di semplice capo di sacerdoti contemplativi, cioè praticanti una forma speciale di via della devozione. Se, in una tale situazione, il Dux ha invece avuto la fortuna di conservare intatta la sua via iniziatica, si ritrova ad essere l'unico detentore, sia pure in forma essenziale, anche della via della conoscenza. Viene dunque ad essere il personaggio spiritualmente più elevato del regno e compete a lui allora "de iure" il pontificato massimo. Il Dux-Pontifex Maximus è ciò che, con altro termine, può dirsi Imperator e che io, in un precedente scritto e con altra terminologia, indicai come quel "re-mago" che domina (in una tale epoca di mezzo) sia i sacerdoti, sia i guerrieri. Ma i guai sembrano non finire mai. Così può capitare che l'Imperator scada al livello di un semplice capo di guerrieri e di folle, e non sia più, neanche lui, in grado di seguire la via della conoscenza. La sua quarta via si riduce allora alle sole vie della devozione e dell'azione. In tale situazione, il capo dei sacerdoti, il rex sacrorum che normalmente è più esperto dell'Imperator nel campo della devozione, avanza pretese sul pontificato massimo e talora (come accadde al vescovo di Roma) lo ottiene. Naturalmente, con queste poche parole, non ho potuto far altro che schematizzare all'estremo ciò che avviene in tempi assai lunghi e con le più svariate sfumature, a seconda degli innumerevoli possibili casi. (1) Frater Petrus: Europa Unita - Elite e Triarticolazione Sociale Frater Petrus: Ringrazio Ea per aver completato quanto io avevo molto schematicamente accennato, riguardo alle vie iniziatiche. Esiste una corrispondenza simbolica tra le varie caste (e le loro vie) e i cinque elementi della tradizione. All'indifferenziazione dell'etere corrisponde la primordiale "casta unica". All'aria, di poco più differenziata, corrisponde la quarta via di colui che Ea ha definito, con vari termini, Dux, Imperator, Re Mago. Occorre tener presente che tale via compete non ad una persona singola, ma ad un entourage patrizio, in grado di garantire un successore al Dux. Al fuoco corrisponde la via della conoscenza della casta brahmana. All'acqua corrisponde la via devozionale della casta guerriera, manifestantesi sia come devozione ad un Dio, sia come devozione al Dux. In taluni casi (come quelo dell'Imperator romano) le due devozioni potevano anche coincidere. Alla terra infine corrisponde la via dell'azione della casta degli artigiani e dei mercanti. Come è noto esistono varie sequenze dei cinque elementi. Quella appena usata è la sequenza di "derivazione" di un elemento dall'altro. Esiste poi una sequenza detta "per sottigliezza", identica alla precedente salvo per il fatto che il fuoco segue l'etere e precede l'aria, la quale, come è noto, dà luogo a un elemento più sottile di lei (il fuoco) e ad uno più grossolano (l'acqua). La sequenza di derivazione degli elementi, corrisponde a quella che ho chiamato scala di derivazione delle vie iniziatiche. Invece la sequenza per sottigliezza corrisponde alla scala di eccellenza delle vie, nella quale la via della conoscenza magica dei brahmani precede la via meno differenziata del Dux. Così che, come ha indicato Ea, nell'epoca immediatamente successiva a quella della casta unica, il capo dei brahmani era il vero capo supremo o Pontifex. Titolo che il Dux potè rivendicare solo dopo il decadere della casta brahmana stessa e che, a sua volta, il Rex Sacrorum (qui in Occidente il papa cattolico) potè rivendicare solo in seguito alla decadenza del Dux. E' importante rilevare che la decadenza di una certa casta non implica la totale scomparsa della corrispondente via iniziatica. Infatti essa può conservarsi in gruppi molto ristretti, costretti a divenire più o meno "occulti", dovendo vivere nell'incomprensione dell'ambiente che li circonda. Nel caso estremo, cioè di totale scomparsa della forma comune di trasmissione iniziatica, vale sempre il detto buddhista: "Quando è scomparso l'ultimo degli Uditori, compaiono i Buddha Solitari". Teniamo ora presenti le "qualità" tradizionalmente attribuite agli elementi: l'aria è umida e calda; il fuoco è secco e caldo; l'acqua è umida e fredda; la terra è secca e fredda. Queste qualità si ritrovano ovviamente nelle "vie", tenendo presente che "calda" è una via che si serve della conoscenza magica e perciò "fredda" una via che non se ne serve; "umida" è invece una via che si serve di

pratiche devozionali e perciò "secca" è una via che non se ne serve. Ne consegue che la via del Dux è umida per la presenza di una componente devozionale, ma anche calda per la presenza di una componente della via della conoscenza, che prevale (in condizioni normali) sulla componente della via dell'azione. La via del brahmano è secca e calda per la sola presenza della via della conoscenza. La via del guerriero è umida perchè è basata sulla via devozionale e fredda perchè non è praticata la via della conoscenza. Infine la via dell'azione degli artigiani e dei mercanti è secca perchè manca di devozione e fredda perchè manca della conoscenza magica. Quando nella quarta via del Dux si perde l'aspetto "conoscenza", rimangono la componente devozionale (umida e fredda) e la componente dell'azione (secca e fredda), così che il Dux decaduto viene ad essere una sintesi di guerriero e artigiano, onde la predilezione di certi re per gli Ordini Cavallereschi, ma anche per la Massoneria. Abbiamo detto altrove che l'attuale mescolanza delle caste, se si è abbastanza furbi da evitare avvenimenti apocalittici, può essere semplicemente la preliminare "brutta copia" di una nuova casta unica. In simili momenti, assurge a particolare importanza proprio la quarta via del Dux, integralmente sopravvissuta in qualche gruppo occulto, ovvero rievocata tramite una rigorosa ascesi spirituale. Infatti, per la sua essenzialità rispetto alle altre vie più specializzate, essa risulta essere la via più simile a quella praticabile dai membri di una casta unica, che, come tali, posseggono vocazioni poco specializzate. Non è un caso che G. I. Gurdjieff abbia trasmesso proprio una forma della quarta via. La sua, però, non è l'unica forma possibile di tale via e forse, visto che proviene da ambienti orientali, non è una forma molto adatta agli occidentali. E' probabile che si riveli a loro più adatta una sintesi dell'immenso patrimonio iniziatico, preservato dall'Italica Schola. Ho letto le obiezioni fattemi da Janus. Per quel che concerne la "quarta via" ho risposto sopra, spero esaurientemente. Riguardo alla Massoneria, viste le sue affermazioni non molto gentili, non ritengo di dovergli dare risposta: che non siano solo "rose e fiori" è risaputo, ma esistono anche studiosi seri e bisognerebbe evitare certe espressioni che li coinvolgono: c'è bisogno anche del loro contributo. Analogamente non posso condividere quanto egli dice (non bisognerebbe mai generalizzare) sugli orientali arrivati in Occidente: come sempre ci sono persone più valide ed altre meno valide. Altrove egli ripropone lo slogan "Guenon=Dottrina e Evola=Metodo". Questo slogan è stato definitivamente confutato (nel Quaderno relativo alla Polemica sul Vedanta) dagli interventi di "Tarquinio Prisco" e della "Turba Philosophorum", così che non è necessario occuparsene oltre.

4c) Massoneria Operativa e Speculativa Ea: Il saggio "Iniziazione al Grado di Apprendista" di P.M. Schepis fornisce una prima idea di quella Massoneria Operativa, strutturata originariamente in sette gradi, della quale io stesso mi sono brevemente occupato e alla quale si riferisce la monografia "Vivificazione deiSegni e delle Prese". Afrodite Urania: In effetti, è solo, leggendo "Iniziazione al Grado di Apprendista", che sono riuscita a intuire effettivamente cosa intendevi, quando dicevi che era solo nel grado di Maestro dell'Arco Reale, che era possibile combinare segni e prese (come insegna Sebottendorff) acquisiti singolarmente nei gradi precedenti. Mi è anche più chiara la differenza che facevi tra apprendista "esterno" ed "interno". Non è un caso che quest'ultimo, in lingua inglese, sia infatti chiamato "Entered Apprentice" (letteralmente: apprendista entrato). Se, nella massoneria speculativa, il grado di apprendista esterno si è perso è probabilmente perchè è venuta meno la fondamentale fase di preparazione, messa in evidenza dall'autore del saggio. Trovo che egli abbia anche sviluppato, almeno in relazione al grado di apprendista, quel tipo di ricerche sulle parole sacre, che si trovano ad es. nell'opera di Reghini "Le Parole Sacre e di Passo". Mi sembra poi finalmente chiaro come nella massoneria operativa potessero esservi delle donne, senza che esistessero per esse riti specifici di iniziazione. Pietro Negri: Un'altra cosa che quel saggio rende evidente è la differenza tra iniziazione effettiva o attuale e iniziazione virtuale. La prima richiede il concorso dell'iniziando e della

catena iniziatica, al fine di ottenere un primo livello di realizzazione. La seconda, pur essendo sempre presente un inevitabile influsso della catena iniziatica, (e quando mai, nel contatto tra due esseri, non vi è un influsso reciproco?) è principalmente costituita da una istruzione rituale, che l'iniziando deve mettere in atto. Come altri hanno giustamente notato, l'iniziazione indicata sia da Kremmerz, sia da Steiner è di tipo virtuale. L'iniziazione "effettiva" ha un carattere più "lunare", essendo maggiormente determinante l'influsso della catena; l'iniziazione virtuale è più "solare", ma è ovviamente più difficile e rimane virtuale, fino a quando l'iniziando non assurge al necessario grado di solarità. Pietro Negri: Come dimostra il saggio di Massimo Scaligero la "Croce degli eteri", il camuffamento steganografico ha costituito nei secoli passati un mezzo abbastanza sicuro per trasmettere insegnamenti esoterici. Chi, infatti, non possiede la chiave interpretativa e non è messo sull'avviso tenderà a ritenere il manto steganografico (che è volutamente anch'esso di contenuto tradizionale, ma più esteriore) il vero contenuto. Per quanto riguarda la Massoneria, un esempio tipico di camuffamento steganografico è quello morale. In questo forum, gli scritti di Ea, P.M. Schepis ed altri hanno messo in evidenza come, in origine, nella Massoneria operativa, l'insegnamento iniziatico era oggetto di trasmissione diretta ed immediata. Venne però un tempo nel quale molti aristocratici, non trovando più, con sufficiente facilità, iniziazioni cavalleresche a loro idonee, cominciarono a richiedere sempre più frequentemente di entrare in Massoneria. Lo stesso comportamento si verificò da parte di esponenti dell'alta borghesia. Non era facile dir di no ai suddetti richiedenti, perchè si trattava di persone che avevano notevole peso politico e spesso erano proprio loro a fornire lavoro alle confraternite muratorie, così che nei loro confronti la "tegolatura" era solo un pro-forma. Il numero di massoni "accettati", e non praticanti il mestiere, si fece allora preponderante rispetto ai massoni "antichi" (passaggio dalla Massoneria operativa a quella speculativa, che spesso ha riguardato sé stessa, visto il gran numero di aristocratici, come un ordine cavalleresco). Divenne importante difendere l'insegnamento iniziatico nei confronti di coloro che non erano pronti a riceverlo e che nello stesso tempo, per le ragioni già viste, era impossibile non ammettere in loggia. Diventò prassi abituale, particolarmente nell'iniziazione ai primi gradi, camuffare l'insegnamento esoterico con norme etiche. Il vero insegnamento era impartito solo a chi, percorrendo i vari gradi, avesse dimostrato reale attitudine per la realizzazione iniziatica. Per meglio gestire e giustificare il "centellinamento" dell'insegnamento, spesso nacquero gerarchie caratterizzate da un gran numero di gradi. Che le norme etiche siano solo un camuffamento è dimostrato dal seguente saggio di Arturo Reghini, pubblicato nel 1925 su "Era Nuova", organo ufficiale della Grande Loggia d’Italia.

4d) Arturo Reghini La morale ed il lavoro massonico L'articolo I degli «Statuti Generali della Franca Massoneria in Italia. Seconda edizione. Dalla stamperia del G.O. d'Italia, 5812 (1812)» dice: «L'Istituzione della Reale Franca Massoneria è uno dei più antichi monumenti dell'umana sapienza, e appartiene alla classe degli Ordini Cavallereschi. Essa ha per fine il perfezionamento degli uomini col mezzo dei Membri che la compongono». E gli Statuti de1 1820, da questi derivati (Statuti Generali della Massoneria Scozzese. Edizione la più accurata e completa di quante sin oggi ne apparvero in Cosmopoli. All'Or. di Napoli 1820), dicono la stessa cosa. Infatti l'art. 1 dice: «L'Ordine dei Liberi Muratori appartiene alla classe degli Ordini Cavallereschi e ha per fine il perfezionamento degli uomini». E l'art. 14: «Se il fine della Istituzione è il perfezionamento dell'uomo è indispensabile che il Libero Muratore pratichi la vera morale che suppone la cognizione e l'esercizio dei doveri e diritti dell'uomo...». E l'art. 15: «Estendendosi lo scopo dell'Istituzione al perfezionamento di tutta la specie umana, il Libero Muratore impiega tutti i mezzi di fortuna e d'ingegno per giungervi».

Questi Statuti del 1820 sono stati tradotti in spagnolo dal F. Tadeo C. Carvallo di Caracas, perché giudicati (insieme a quelli di Milano del 1806 e 1812) i meno incompleti e più autentici, e stampati dal Cassard nella sua autorevole opera (CASSARD ANDRES - Manual de la Masoneria ò sea el Tejàdor de los Ritos Antiguo escoces, frances y de Adoption - Nueva Y ork 1871, 6a ediz.; pagg. 119 e 122-181). Ristampati nel 1863 per cura di Domenico Angherà, Venerabile della Madre Loggia La Sebezia all'Or.'. di Napoli, sono stati poi ripetutamente stampati con delle modificazioni in Italia. Nell'edizione del 1923 (Statuti Generali dell'Ordine dei Liberi Murateri del Rito Scozzese Ant. ed. Acc. per l'Italia, Dipendenze e Colonie) il primo articolo così dice: «L'Ordine dei Liberi Muratori del Rito Scozzese Antico ed Accettato appartiene alla classe degli Ordini Cavallereschi. Esso si propone il perfezionamento degli uomini ed il bene della patria e dell'umanità». L'articolo 425 dei nostri Statuti Generali dice: «unico scopo dei Liberi Muratori è il perfezionamento dell'uomo», e per questo è necessario come prescrive l'art. 343 che l'iniziando possegga «attività ed ingegno per penetrare, svolgere e conoscere da sè medesimo le alte scienze che l'arcano istituto massonico offre all'esame dei suoi seguaci». In una nota a pag. 16 del numero di ottobre-dicembre della Rassegna Massonica dicevamo a questo proposito: «Ma questo perfezionamento non va inteso in senso morale, come si crede generalmente, specialmente nei paesi anglosassoni, ma in senso iniziatico, scientifico, ermetico. Le alte scienze, che noi consideriamo, hanno a che fare con la morale quanto l'algebra o l'astronomia. Chi non vuole o non può comprendere questo è destinato a divenire ed a restare un uomo buono, tre volte buono, ma non un iniziato». Poiché il nostro pensiero, forse per colpa nostra, è stato da qualche fratello inglese frainteso, torniamo di proposito sull'importante argomento per meglio chiarirlo. E ricordiamo anzitutto che sin dalle Costituzioni dell'Anderson, da tutte le Massonerie regolari seguite, è detto che per entrare a far parte della Massoneria bisogna essere un uomo libero e di buoni costumi, ossia un uomo morale nel senso etimologico della parola (Mos in latino, come Ethos in greco, non è altro che il costume). Questo dimostra che il profano prescelto, essendo già morale, non ha bisogno di divenirlo in Massoneria e che perciò il perfezionamento da raggiungere lavorando alla pietra grezza per trasformarla in pietra cubica si riferisce ad un campo diverso, superiore, e non a quello morale. È perciò un errore il credere che tutta l'arte reale consista nel perfezionare la morale profana, ossia nel diventare un profano perfezionato. Inoltre osserviamo che la morale, appunto perché sostanzialmente non è altro che un complesso di regole di condotta sociale e non fa che contemplare i rapporti degli uomini fra di loro, è evidentemente estranea alla operazione che il massone deve, secondo gli statuti, compiere da sé-medesimo, da solo, per penetrare, svolgere e conoscere le alte scienze che l'arcano istituto massonico offre all'esame dei suoi seguaci. Naturalmente estranea non significa antitetica. Come per apprendere la chimica non occorre essere né buono, né cattivo, né morale, né immorale; così accade per l'arte della costruzione. Sarebbe infatti un ingenuo chi credesse di imparare la chimica alla scuola, semplicemente portandosi bene e non molestando i compagni; tale credenza lo porterebbe a restare, per quanto riguarda la conoscenza della chimica, un ignorante. La stessa considerazione vale, evidentemente, per ogni scienza ed in particolare per la scienza suprema, per la sapienza metafisica, la quale dovendo attingere l'universalità deve necessariamente sottrarsi alle limitazioni di tutte le contingenze. È proprio del misticismo il cercare di raggiungere la «grazia illuminante» per mezzo della fede, del sentimento, della devozione e della morale. La scienza, quella iniziatica come tutte le altre, non si basa, invece, che sull'esperienza. San Tommaso, come Dante, partono dalla ragione per arrivare alla fede, e non viceversa (la quale fede non è affatto una credenza filosofica o religiosa, ma «sustanzia di cose sperate»). Perciò sono vittima di una grave illusione coloro i quali credono che per ottenere il perfezionamento iniziatico basti o sia necessario basarsi sopra i buoni sentimenti e la buona condotta. Quando poi si volesse sostenere che la morale è anche essa una scienza, si andrebbe incontro a serii guai, perché carattere fondamentale della scienza è l'essere vera e l'essere la stessa in tutti i tempi ed in tutti i paesi. I teoremi di matematica, le leggi di fisica e le reazioni chimiche che sono vere oggi, lo erano ieri e lo saranno domani; lo sono a Roma, come a Pechino, ed a

Washington. Per la morale è giusto l'opposto, essa varia da luogo a luogo, da tempo a tempo; è un'osservazione che ogni viaggiatore, da Erodoto a Marco Polo, ha fatto. Le manca dunque quel carattere di verità universale, che è il fondamento di ogni scienza e di quella reale in specie; ed anche per questa ragione non è la morale pagana, o la cristiana, o la buddista, l'antica o la moderna, che può bastare od essere indispensabile per raggiungere quel perfezionamento dell'uomo di cui parlano gli Statuti e le antiche tradizioni muratorie. Storicamente, poi, questo perfezionamento è il medesimo che era oggetto, e che era raggiunto, nei misteri iniziatici eleusini, in cui, come è noto, la catarsi o purificazione non aveva alcun carattere morale, ma semplicemente tecnico, rituale. Insomma come nei trattati di Calcolo Integrale non si trova mai menzionato né il Vangelo, né il Corano, e nessuno se ne meraviglia o se ne duole; così nella «grande opera della edificazione spirituale» non entra e non può entrare nessun concetto o credenza filosofica o religiosa. Essa si compie mediante le virtù (intese nel senso originario della parola) dell'anima umana e del Grande Architetto dell'Universo. Con questo, lo ripetiamo a scanso di equivoci e di allarmi, non si predica l'immoralità, ma si mette moralità ed immoralità al loro vero livello, eminentemente sociale, che non arriva né alla scienza né alla metafisica. Quanto alla esistenza di una morale universalmente vera, essa non può essere basata che sopra i caratteri universali della vita e dell'uomo, e quindi per costituirla e per conoscerla occorre avere raggiunto la piena ed assoluta conoscenza della vita e della natura umana. Essa è dunque un frutto del perfezionamento dell'uomo, e non il punto di partenza; ed essa si identifica allora, non con le credenze e le usanze contingenti e transitorie degli uomini, ma con la natura della vita, ossia con la natura del Grande Architetto dell'Universo, e con la conoscenza delle alte scienze che l'arcano Istituto massonico offre ai suoi seguaci. Ed il nome stesso di «Morale» non le si addice più, etimologicamente parlando. Questa nostra attitudine è perfettamente ortodossa e tradizionale. Secondo Gesù, per entrare nel regno dei cieli è necessario nascere di nuovo e tornare come un piccolo bambino, il quale nella sua innocenza ignora che cosa sia il bene ed il male, e non ha ancora appreso a seguire la morale dell'ambiente in cui nasce; e per rapire il «Regno dei cieli» ci vuole la violenza, e non la moralità, dice Gesù. In simil modo, secondo i misteri pre-cristiani e post-cristiani, e secondo quelli massonici in particolare, il profano muore alla vita profana, rinasce di nuovo, impara a camminare indifferentemente sul bianco e sul nero del pavimento di Loggia, ed impara a conoscere la stella fiammeggiante grazie al libero ed intelligente uso dei suoi cinque sensi, come insegna il catechismo del secondo grado. Anche la resurrezione iniziatica del terzo grado non ha nulla di moralistico. Essa mostra solo che all'esperienza ed all'insegnamento dei cinque sensi ordinari del compagno, occorre aggiungere qualche cosa di trascendente per divenire maestro, e precisamente quegli stessi mezzi di cui dispone chi ha lasciato o superato la vita umana e la vita individuale. Simile concezione, che si. basa sopra la indistruttibilità dello spirito, è perfettamente ortodossa massonicamente parlando, ed è la stessa che conobbe e seguì il Fr. Albert Pike. È evidente che la transumanazione non può essere ottenuta seguitando a restare quanto più è possibile umani, come è evidente che non è aumentando il numero e perfezionando la robustezza delle sue zampe che il verme dantesco può trasformarsi nell' «angelica farfalla, che vola alla giustizia senza schermi».

V L'ermetismo può identificarsi con l'alchimia? Abraxa: Come è noto, furono le riviste Ur e Krur a riportare in anteprima quei saggi evoliani, che poi costituirono la base del testo "La Tradizione Ermetica". Si veda a tal proposito l'edizione Tilopa di Introduzione alla Magia. Che ne è dell'ermetismo oggi? In un'opera di divulgazione sull'alchimia intitolata “L’Alchimia questa sconosciuta” si legge: "Ebbene l'Alchimia prende avvio dalla dissociazione dallo scopo utilitaristico dei fenomeni fisicochimici ( in Egitto la ricerca. della fabbricazione dell'oro. comune era vecchia di. almeno 12 secoli!) dell'interesse metafisico che se ne leva in via simbolica (in Egitto i principali simboli, alchimici erano conosciuti da secoli!). Ne è riprova il fatto che negli scritti alchimici è evidente il disinteresse per i fenomeni in concreto e di laboratorio, senza con ciò escludere che possa essersi iterata - more antiquo - una operosità gestuale, piuttosto che rituale, sulle sostanze e/o in ordine a operazioni specifiche, fondata sull'accezione magica del "ex operae operato", come dire: tanto faccio fuori di me e tanto perciò realizzo dentro di me. Ma nei procedimenti nulla è di scientifico e neppure di coerente con la pratica artigiana, né con la sperimentazione di una qualche utilità. La Chimica e la Metallurgia dell'Alchimia hanno da essere correttamente considerate ed intese non alla lettera, se pur può darsi che sin da gli inizi siano anche state intese e fraintese, visto che nel IV secolo il filosofo Cristianos avvertiva che la pratica altro non era se non un pretesto per l'esercizio dello spirito, e nel VII secolo Stefano fermamente ammoniva a mettere da parte "la teoria materiale", poiché "la chimica leggendaria" è una cosa, ma "l'opera mentale segreta" un'altra, ed esortava: "non preoccupatevi dei fornelli materiali, di storte di vetro, di alambicchi, di flaconi e sublimati... ". Così distinguere fra un'Alchimia interna spirituale ed. una esterna o materiale è del tutto gratuito, poiché storicamente non esistono due specie siffatte; al più si. possono riscontrare nell'autentica operatività alchimistica, di ordine egizio, due stili di approccio e di conduzione: uno purista, di stretta osservanza, secondo il quale la Grande Opera di trasmutazione del "piombo" in "oro", nei suoi ingredienti, è assunta e mantenuta in tutto il processo, ed uno temperato, per non dire minus quam, che pur nella consapevolezza del simbolismo si appoggia ad actum o ad acta ad una certa gestualità di sostegno, in via simpatetica. Oggi, piuttosto che di Alchimia si parla di Ermetismo alchimico, per il fatto che ad un certo simbolismo strettamente chimico, fattosi desueto, come desueti diventano certi modi di dire - che in fondo sono modi di pensare si è sostituito un simbolismo adeguato ai tempi, come d'altronde in tutta la storia dell'Alchimia, comunque rimanendo identica la tematica, la problematica, e cioè di sopravvivere in primis alla morte individuale ossia dell’IO" e "in secundis" di "unificare", grazie alla presa di coscienza della profonda identità transpersonale dell'operatore (espressione moderna dell'"artifex") con il Principio dei Principii, in lui medesimo... visto come "deus absconditus" - il dio nascosto". Abbiamo trascritto questo testo perchè, paroloni a parte, è tipico del modo di pensare di coloro che assimilano "sic et simpliciter" l'alchimia con l'ermetismo. Evola era invece ben consapevole della differenza tra questi due termini. In un'intervista a G. de Turris "L'Iniziazione nel mondo moderno", riportata in appendice a "Testimonianze su Evola" si legge: "D: Mi fa piacere che lei pronunci alchìmia e non alchimìa. Evola: Dipende dunque da che cosa si mira: se uno fa dell'alchìmia o alchimìa; per fare l'oro, vale un detto noto, che dice che "per fare l'oro bisogna avere l'oro", e in qualche caso non è escluso perfino il fenomeno materiale, ma ciò presuppone una raggiunta dimensione trascendente l'individuo. In quanto quindi l'alchìmia intesa in quel senso, i maestri alchemici...ce ne sono ermetici semmai, il che è un po' diverso". Naturalmente il nostro divulgatore rimprovererebbe ad Evola di dire alchemici anzichè alchimici. Dice infatti in un altro passo dell'opera citata : "Errore grossolano, comunque, l'aggettivo alchemi-co/a in luogo di alchimico/a, forma che sola deriva da Alchimia". E si dimentica così di ciò che egli stesso dice solo qualche riga prima: "D'altronde kimiya può anche collegarsi all'egizio ... chem (da "kmt" - nero) Gli egizi infatti chiamavano la Valle del Nilo Kemi (la Nera) per il colore scuro dato dal limo del fiume, ... , tanto

che si dicevano Remru Kemi, ossia uomini della (terra) nera... Allora la parola Alchimia (stante Al come articolo determinativo) ben potrebbe significare la dottrina e pratica che viene dalla (terra) nera, cioè dall'Egitto". Vista la probabile derivazione di Alchimia da Kemi, perchè stupirsi che alchimico abbia come legittima variante alchemico? Lo stesso autore deve infatti riconoscere: "in greco esisteva pure la forma chemia". Ma lasciamo da parte questi discorsi linguistici e chiediamoci perchè Evola faceva giustamente differenza tra maestri alchemici e maestri ermetici. Egli stesso si considerava studioso ermetico e "La Tradizione Ermetica" si intitola perciò la sua principale opera sull'argomento. Correttamente non la intitolò "La Tradizione Alchimica", perchè in essa non si parlava, in senso stretto, di alchimia. La differenza tra alchimia e ermetismo è, per certi versi, analoga a quella tra massoneria operativa e massoneria speculativa. La massoneria operativa era legata all'esercizio del mestiere corrispondente, quella speculativa non lo è. Analogamente l'alchimia (checchè ne pensi il nostro divulgatore) era legata all'esercizio del mestiere di alchimista, mentre l'ermetismo non lo è. Tanto nella massoneria speculativa che nell'ermetismo i riferimenti al mestiere corrispondente sono limitati e affiancati da altri simboli di differente provenienza, col fine iniziale di renderli adatti a persone che non esercitano il mestiere. Inutile dire che l'allontanamento dal mestiere e perciò da una base simbolica concreta e ben definita, costituisce un pericolo, perchè nelle mani di persone non all'altezza o di controiniziati è facile che il simbolismo divenga, col tempo, arbitrario, lussureggiante e fuorviante. Quante stupidaggini si dicono al giorno d'oggi sull'alchimia, affermando di essere studiosi di ermetismo? Occhi di Ifà: In effetti l'autore che citi, in un altro passo di quel libro, dice: "Se la metafora è quella traslazione retorica che manda da una immagine ad una idea (mentre l'allegoria è una metafora prolungata) il simbolo manda da una immagine a più idee, epperciò l'una e l'altro sono di uso generale e consolidato nell'immaginario ermetico alchimico, che ricorre a simbologie numeriche (del 3, del 4, del 7, del 9, del 12 etc.) al simbolismo geometrico (del triangolo, del quadrato, del cerchio), al più svariato bestiario (drago, aquila, leone, corvo, colomba etc.) - non meno che ad anagrammi, ad acrostici - ove si assumono soltanto le iniziali delle parole di una frase, a formare la parola -come pure a crittografie (tipi di rebus) e, dopo il Rinascimento, a mi-temi (temi mitici) della mitologia pagana nella esposizione di Operazioni e Fasi dell'Opera, fermo il vocabolario chimico o metallurgico quale asse portante nel discorso sull'Alchimia quale "scienza che insegna a trasformare i metalli di una specie in metalli di un'altra specie" (Paracelso)". Inutile dire che l'alchimia propriamente detta non ha affatto bisogno di un simile lussureggiante (per usare un tuo termine) e confusionario simbolismo, bastandole i simboli propriamente alchimici. Esattamente come alla massoneria operativa bastavano e bastano i simboli architettonico-muratori. Le forme "speculative" delle arti e scienze tradizionali (e l'ermetismo è una forma "speculativa" dell'alchimia) sono sempre pericolose, perchè il proliferare sincretico dei simboli permette a ciarlatani e controiniziati... di dire ciò che vogliono, o, come oggi avviene di frequente, di scrivere un mucchio di libri, senza dire sostanzialmente...niente. A differenza di Evola che, come rilevi giustamente, ebbe l'onestà di intitolare Tradizione Ermetica e non Tradizione Alchimica la sua opera, l'autore citato pretende di parlarci de "L'Alchimia questa sconosciuta", non rendendosi conto che la sua può considerarsi al più una interpretazione dell'ermetismo. Sarebbe, più o meno, come se qualcuno scrivesse un libro sulla massoneria speculativa e ingannasse poi i suoi lettori, intitolando l'opera "La massoneria operativa".

VI) Iniziazione Cristiana e Antroposofia 6a) E' mai esistito un esoterismo cattolico? di Occhi di Ifà Talvolta, anche in relazione a membri del gruppo di Ur, si sente parlare di esoteristi cattolici (o di cattolici esoterici). Ad es. vengono definiti tali Guido de Giorgio (Havismat) e Nicola Moscardelli (Sirio o Sirius). E si dice anche che antroposofi come Girolamo Comi (Gic) e Corallo Reginelli (Taurulus) siano poi diventati esoteristi cattolici. Ma è mai esistito un esoterismo cattolico (o cattolicesimo esoterico)? Per poter rispondere affermativamente, occorre rispondere alle seguenti domande: 1) E' mai esistito un esoterismo cristiano ? (c'è chi dice di no, perfino tra i cristiani) 2) In caso affermativo, è mai esistito un esoterismo cattolico, che possa distinguersi da altre forme di esoterismo cristiano? Rispondere affermativamente alla prima domanda significa dimostrare che vi sono stati dei "maestri perfetti", come li chiama Kremmerz, che abbiano trasmesso un'iniziazione, avente come simbolo centrale la figura di Cristo. Cercheremo di rispondere in futuro a tale domanda, occorrendo molto più che lo spazio di un messaggio. Per il momento, assumeremo, con beneficio di inventario, che tale esoterismo sia esistito e forse esista. Questa nostra assunzione provvisoria ci permette di parlare anche di esoterismo cattolico? Il cattolicesimo si distingue ad es. dalla chiesa ortodossa, principalmente perchè: a) afferma che lo Spirito Santo "procede dal Padre e dal Figlio" (e non dal solo Padre); b) afferma l'esistenza del Purgatorio; c) proclama il dogma dell'Immacolata Concezione; d) proclama l'infallibilità pontificia. Si potrà affermare che esiste un esoterismo cattolico, soltanto se si riuscirà a dimostrare che tutte o alcune di tali caratteristiche peculiari del cattolicesimo siano state assunte quali simboli fondamentali di una qualche via iniziatica. In caso contrario, si dovrà ammettere (se si risponde affermativamente alla domanda n° 1) che esistono più exoterismi cristiani, ma un unico esoterismo cristiano. In tale eventualità, il termine esoterista cattolico non avrà alcun significato, dovendosi più correttamente parlare di un esoterista cristiano che agisce in ambiente cattolico: ad es. in relazione a Comi e Reginelli non si potrà dire che essi sono passati all'esoterismo cattolico, ma (se si considera l'antroposofia una manifestazione dell'esoterismo cristiano) si potrà dire soltanto che essi, dopo aver agito in ambito antroposofico, sono passati ad agire in un ambiente cattolico.

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6b)Esistono Prove Scritturali dell'Esistenza dell'Esoterismo Cristiano? 6b1) Exoterismo ed Esoterismo

Occhi di Ifà: E' cosa arcinota agli studiosi delle religioni che esse, normalmente, hanno presentato e presentano un aspetto exoterico, che si rivolge a tutti gli aderenti ed un aspetto esoterico, più elevato, rivolto solo a chi è in grado di comprenderlo e praticarlo. Occorre dunque chiedersi, visto che è un quesito posto sia da cristiani, sia da non cristiani, se il Cristianesimo offre a riguardo le stesse possibilità delle altre religioni o se, per sua intrinseca anomalia, non presenti l'aspetto esoterico, ma solo l'exoterico. Cominciamo col portare la nostra attenzione sui seguenti brani tratti dai Vangeli e degli Atti degli Apostoli: Vangelo di Marco, IV, 10-12 e 33-34 [10]Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: [11]«A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, [12]perché: guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato». [33]Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. [34]Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa. Vangelo di Matteo, XIII, 34-36 [34]Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, [35]perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. [36]Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Vangelo di Luca, VIII, 9-10 [9] I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola. [10]Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perchè vedendo non vedano e udendo non intendano. Vangelo di Giovanni, XVI, 12-15. [12] Ho ancora molte cose da dirvi; ma non sono per ora alla vostra portata; [13] quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire. [14] Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. [15] Tutte le cose che ha il Padre, sono mie; per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annuncerà. Atti degli Apostoli, I, 3-5. [3]Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. [4]Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me: [5]Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece

sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni». In questi brani viene innanzitutto differenziato l'insegnamento dato a "quelli di fuori" (gli exoterici) consistente unicamente nell'esposizione letterale delle parabole e l'insegnamento dato "in privato" o "in casa" ai soli apostoli e discepoli. Di questo insegnamento privato i Vangeli riportano solo le spiegazioni allegoriche e morali. Ma è tradizione da tutti riconosciuta (Chiesa Cattolica inclusa) che esistesse un quarto livello di significato detto anagogico (= "traente in alto"), che, come indicano le stesse scritture, sarebbe stato alla portata degli stessi apostoli solo dopo la "discesa" in loro dello Spirito Santo. A riguardo, riproduciamo testualmente quanto dice il catechismo della Chiesa Cattolica (riportato nel sito http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p1s1c2a3_it.htm) : I sensi della Scrittura 115 Secondo un'antica tradizione, si possono distinguere due sensi della Scrittura: il senso letterale e quello spirituale, suddiviso quest'ultimo in senso allegorico, morale e anagogico. La piena concordanza dei quattro sensi assicura alla lettura viva della Scrittura nella Chiesa tutta la sua ricchezza. 116 Il senso letterale. È quello significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l'esegesi che segue le regole della retta interpretazione. « Omnes [Sacrae Sripturae] sensus fundentur super unum, scilicet litteralem – Tutti i sensi della Sacra Scrittura si basano su quello letterale ». 138 117 Il senso spirituale. Data l'unità del disegno di Dio, non soltanto il testo della Scrittura, ma anche le realtà e gli avvenimenti di cui parla possono essere dei segni. 1. Il senso allegorico. Possiamo giungere ad una comprensione più profonda degli avvenimenti se riconosciamo il loro significato in Cristo; così, la traversata del Mar Rosso è un segno della vittoria di Cristo, e quindi del Battesimo. 139 2. Il senso morale. Gli avvenimenti narrati nella Scrittura possono condurci ad agire rettamente. Sono stati scritti « per ammonimento nostro » (1 Cor 10,11). 140 3. Il senso anagogico. Possiamo vedere certe realtà e certi avvenimenti nel loro significato eterno, che ci conduce (in greco: anà-ago) verso la nostra Patria. Così la Chiesa sulla terra è segno della Gerusalemme celeste. 141 118 Un distico medievale riassume bene il significato dei quattro sensi: « La lettera insegna i fatti, l'allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare, e l'anagogia dove tendere ». 142 (138) San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, I, q. 1, a. 10, ad 1: Ed. Leon. 4, 25. (139) Cf 1 Cor 10,2. (140) Cf Eb 3,1–4,11. (141) Cf Ap 21,1–22,5. (142) Agostino di Dacia, Rotulus pugillaris, I: ed. A. Walz: Angelicum 6 (1929) 256.

Turba Philosophorum: Inevitabilmente, quando viene fondata una nuova religione, si tende ad enfatizzare la differenza tra gli aderenti consolidati ("quelli che stanno dentro") e coloro che semplicemente vengono fatto oggetto della nuova propaganda e che sono solo possibili nuovi

aderenti ("quelli di fuori"). In questo caso la differenza tra "interni" ed "esterni" non indica affatto una differenza di livello spirituale, ma solo l'essere dentro o meno alla nuova religione. L'ammissione dello stesso Vaticano che esista un significato anagogico, indica inequivocabilmente che non si tratta dell'esoterismo propriamente detto (mai riconosciuto e considerato eretico dal Vaticano) ma di semplice misticismo.

6b2) "Cani e Porci" Occhi di Ifà: Vi sono diversi altri passi dei Vangeli, nei quali le parole di Cristo alludono in modo assai chiaro, all'insegnamento esoterico presente nella Chiesa di allora. Uno di questi, al quale altrimenti sarebbe difficile dare significato, è il seguente: Vangelo di Matteo, VII, 6. [6]Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi. Questo versetto si riferisce chiaramente ai destinatari dell'insegnamento, che, se è esoterico, cioè se, come dice la parola, è riservato a coloro che "sono dentro" alla cerchia iniziatica, non può che essere dato selettivamente. Il cane è, tradizionalmente, un simbolo ambivalente. Da un lato, essendo carnivoro e dotato di forte istintualità, è associato alla concupiscenza egoica, che non si cura degli altri: in particolare non disdegnando le carogne è associato con il regno delle ombre e con gli inferi. Dall'altro, per questa sua familiarità con l'invisibile, è assunto come simbolo di entità psicopompe, in grado di condurre e proteggere l'anima umana durante il viaggio nel mondo "al di là". Nel versetto evangelico il simbolo è assunto nella prima accezione negativa e viene perciò chiaramente indicato che la concupiscenza egoica costituisce una "non qualificazione" per l'iniziazione. Questa frase evangelica fa definitiva giustizia di chi ritiene che l'insegnamento di Cristo non andasse mai al di là dell'ambito morale. Se così fosse non vi sarebbe motivo di escludere i concupiscenti, i quali anzi potrebbero trovar giovamento da un insegnamento morale. Ciò è confermato dal seguente versetto evangelico: Vangelo di Marco, VII, 26-29. [26]Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia. [27]Ed egli le disse: «Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». [28]Ma essa replicò: «Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli». [29]Allora le disse: «Per questa tua parola và, il demonio è uscito da tua figlia». In esso si afferma che l'insegnamento esoterico (il pane) è per gli iniziati (i figli), ma che le applicazioni etiche (le briciole) di tale insegnamento possono essere dati anche ai non iniziati (i cani). Anche il maiale è, per la tradizione, un simbolo ambivalente: per il suo aspetto florido rappresenta la fertilità e la ricchezza (la scrofa è simbolicamente associata alla Grande Madre); per il suo modo di mangiare e per la sua abitudine a rotolarsi nel fango è invece simbolo di voracitá, ingordigia, lussuria. Nei Vangeli è questo secondo significato a prevalere. Possiamo ricordare a tal proposito l'episodio degli indemoniati di Gadara: Vangelo di Matteo VIII, 28-32 [28]Giunto all'altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. [29]Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?».

[30]A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare; [31]e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria». [32]Egli disse loro: «Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti. Qui dunque i porci appaiono come un involucro materiale gradito ai demoni. Sul significato delle perle ci illumina un altro passo evangelico: Vangelo di Matteo 13, 45-46 [45]Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; [46]trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Le perle preziose sono simbolo degli stati sovraindividuali, che sono tutti contenuti e sintetizzati nell'ultimo "il Regno dei Cieli". Non gettar perle ai porci significa dunque non offrire gli insegnamenti relativi agli stati sovraindividuali a chi è ancora avido solo di cose materiali. I porci, infatti, credono che le perle siano qualcosa da mangiare, e vedendosi delusi, le calpestano coi loro piedi, e poi si rivoltano contro chi le ha gettate loro. Dare, senza discernimento, insegnamenti agli individui incapaci di apprezzarne il valore ha il solo effetto che essi li sminuiscano al livello della loro stessa insipienza ("le calpestino"), deformando le più elevate verità in idolatria, superstizione e fanatismo, che viene rivolto non di rado proprio contro chi ha comunicato loro quegli insegnamenti ("si voltino per sbranarvi"). Tale stato di avidità, peraltro, non è una condizione necessariamente definitiva, come indica la parabola del "figliuol prodigo": Vangelo di Luca XV, 14-20 14Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20Partì e si incamminò verso suo padre. E' dunque grazie a quell'esperienza, cioè essere guardiano dei maiali, e perciò fare i conti con ciò che i maiali simboleggiano, che il figliol prodigo prenderà la decisione di ritornare alla "casa del padre". Turba Philosophorum: Quel che dici dimostra soltanto che veniva fatta differenza tra i non cristiani e i cristiani e, in questo secondo ambito, tra semplici fedeli e mistici. Tu stesso, trattando dei simboli del cane e del porco, hai indicato alcuni loro diversi significati. Come mai, se si fosse trattato di reale esoterismo, è sempre stato scelto dai cristiani il significato peggiorativo e moraleggiante?

6b3) La "Porta Stretta" e la "Cruna dell'Ago" Occhi di Ifà: Continuando ad esaminare i passi evangelici, nei quali è palese il riferimento all'esoterismo, ci imbattiamo in un simbolo inequivocabile: quello della "Porta Stretta": Vangelo di Matteo, VII, 13-14. [13]Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; [14]quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!

Vangelo di Luca, XIII, 23-30 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Rispose: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. 26Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. 27Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità! 28Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi». La porta è dichiarata stretta, perché tutti coloro, che hanno un io ancora gonfio delle sue presunzioni, non vi passano. La via poi è angusta perchè irta di difficoltà e di tentazioni spirituali. Dante, nella Divina Commedia, fa uso della medesima simbologia. In Inf., V, 19-20 Minosse ammonisce Dante con la seguente frase: "guarda com’entri e di cui tu ti fide; non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!" E nel Purgatorio si legge: "Noi salavam per entro ‘l sasso rotto, e d’ogne lato ne stringea lo stremo…" (Purgatorio IV, 33) …ma quinci e quindi l’alta pietra rade (Purgatorio XII, 108). Simbolo equivalente a quello della Porta Stretta è il simbolo della "Cruna dell'Ago": Vangelo di Matteo, XIX, 23-26 [23]Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. [24]Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli». [25]A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: «Chi si potrà dunque salvare?». [26]E Gesù, fissando su di loro lo sguardo, disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile». Vangelo di Luca XVIII, 24-27 [24]Quando Gesù lo vide, disse: «Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. [25]E' più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!». [26]Quelli che ascoltavano dissero: «Allora chi potrà essere salvato?». [27]Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». Il "ricco", come si è già detto non è che l'ego gonfio delle sue presunzioni, che spiritualmente sono solo di impaccio. Questi versetti chiariscono che, se nell'uomo vi fosse solo ciò che è umano e individuale, qualsiasi realizzazione spirituale sarebbe semplicemente impensabile. Ma nell'uomo vi è una "scintilla divina", come la chiamerebbe Eckhart, alla quale tutto è possibile. E' infatti al "Dio in Noi" (Emmanuel) che Cristo sta facendo riferimento. L'Emmanuel, di cui Cristo è perfetta umana manifestazione (Vero Dio e Vero Uomo) è perciò il bifronte guardiano della Janua.

Cristo Bifronte Turba Philosophorum: Il parallelo con Dante è fuorviante, giacchè egli è tra coloro - e sono molti - che hanno cercato di tener viva la fiamma dell'esoterismo pagano anche durante i secoli bui del cristianesimo. Ovviamente, spesso, per riuscirci senza danno per la propria incolumità, hanno dovuto servirsi dei simboli stessi del cristianesimo, donando loro dei significati che per la chiesa mai ebbero. Infatti, il senso della "porta stretta" e della "cruna dell'ago" è tranquillamente spiegato da qualunque sacerdote cristiano, senza minimamente ricorrere all'esoterismo e neppure al misticismo, ma in riferimento alla comune religiosità. Lo stesso simbolo del Cristo Bifronte, segnalato da Charbonneau-Lassay, non è preso di peso dal simbolismo di Giano?

6b4) Il "Deposito" Occhi di Ifà: Soprattutto nelle Epistole di S. Paolo a Timoteo, vi sono diversi riferimenti ad un dono spirituale che viene conferito dagli "anziani", per imposizione delle mani, una volta accertate, anche in modo extranormale ("per indicazione di profeti") certe qualificazioni. Esso costituisce un "deposito", che va poi trasmesso ad altri con prudenza, pena l'impurità dell'incauto iniziatore. Tutti termini indicatori di ciò che, con altre parole, viene comunemente definita "tradizione iniziatica". I Timoteo, IV, 14. Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri.

I Timoteo, V,22 Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati puro! I Timoteo, VI, 12. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni. I Timoteo VI, 20-21. [20] O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza, [21]professando la quale taluni hanno deviato dalla fede. La grazia sia con voi! II Tlmoteo, I, 13, 14. [13]Prendi come modello le sane parole che hai udito da me, con la fede e la carità che sono in Cristo Gesù. [14]Custodisci il buon deposito con l'aiuto dello Spirito santo che abita in noi. II Timoteo, II, 1-2. [1]Tu dunque, figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo Gesù [2]e le cose che hai udito da me in presenza di molti testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in grado di ammaestrare a loro volta anche altri. Turba Philosophorum: Ancora una volta si deve rilevare che termini come “Anziani” o “Deposito” possono benissimo spiegarsi in senso religioso-exoterico, come fa la chiesa comunemente.

6b5) Il Battesimo "Uno e Trino" Occhi di Ifà: In origine, il battesimo di Cristo, a differenza di quello di Giovanni Battista, non era solo un battesimo "in acqua", ma anche un battesimo "in Spirito Santo" e "in fuoco": Mt. 3, 10-12 Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero, dunque, che non fa buon frutto si taglia e si getta nel fuoco. Io vi battezzo in acqua per la penitenza, ma colui che viene dopo di me è più potente di me; ed io non sono degno neanche di portargli i sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco: nella sua mano tiene il ventilabro e purgherà la sua aia, e raccoglierà il suo grano nel granaio; brucerà, invece, la pula con un fuoco inestinguibile” . Non si tratta tuttavia di tre battesimi, come a volta si sente dire, ma di tre aspetti di un unico battesimo, come indica categoricamente S. Paolo: Ef. 4: 5-6 [5]un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. [6]Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti. Si tratta di un passo importantissimo, oltre che per l'affermazione sul battesimo anche per la concezione di una divinità che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti, concezione ben diversa da quella del "Dio personale", poi venuta a prevalere nel cristianesimo exoterico. Anche dopo il periodo apostolico, nei primi quattro secoli della chiesa, l'unico rito di iniziazione cristiana consisteva in tre atti successivi: l'immersione, l'imposizione delle mani, e la partecipazione all'eucaristia. Un eco del "triplice battesimo" si ha ancora oggi ad es. nella chiesa ortodossa, secondo la quale battesimo, cresima e comunione devono essere amministrati contemporaneamente, con l'unica

sostituzione dell'imposizione delle mani con l'unzione. Nella chiesa ortodossa, il battesimo è valido solo per triplice immersione. La chiesa romana, dopo il sec. XIII, ha sostituito il battesimo per "immersione" con quello per "aspersione" e, dopo il Concilio di Trento (1543-1563), ha posticipato l'amministrazione della Cresima al momento in cui il bambino raggiunge l'età della ragione e può dare una conferma personale della fede. Uno dei motivi per cui il battesimo veniva effettuato per immersione è che andare sott'acqua simboleggia andare nella tomba, immedesimandosi nella morte di Cristo e realizzando la propria "morte" alla vita precedente di peccato e ignoranza. Uscire dall'acqua corrispondeva perciò ad una "seconda nascita", prefigurazione di una futura completa resurrezione: Rom. 6:3-5 "O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione". Tale tipo di battesimo faceva parte di quelle tecniche iniziatiche, che si servono di una sorta di «anticipazione della morte» tramite l'uso misurato dell'asfissia. Esso dunque andava fatto non alla nascita, ma alla "nuova nascita", cioè quando, volontariamente si era deciso di seguire Cristo "in novità di vita". In origine perciò non si iniziavano bambini, uso che si diffuse dopo il VI sec. L'imposizione delle mani era lo stesso rito che S.Pietro attuò sui samaritani per conferire loro lo Spirito Santo (At 8, 14-117) e il gesto compiuto da S.Paolo ad Efeso quando «impose le mani» sui discepoli di Giovanni Battista (già perciò battezzati in acqua) donando loro lo Spirito Santo; infatti quelli dopo l'imposizione «si misero allora a parlare in lingue e a profetizzare» (At 19, 1-7). L'importanza di battezzare, oltre che in acqua, anche nello spirito è chiaramente indicata da Gesù e ricollegata alla seconda nascita: Giovanni 3:1-8 "C'era fra i farisei un uomo chiamato Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù di notte, e gli disse. - Rabbi, sappiamo che sei un Maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui - Gli rispose Gesù: "in verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio ". Gli disse Nicodemo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?" - Gli ripose Gesù: "In verità, in verità ti dico se uno non nasce da acqua e da spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo spirito è spirito". Come si può notare qui Gesù parla di due soli battesimi quello con l'acqua e quello con lo spirito. Ciò si deve al fatto, che il battesimo con lo spirito ha, a sua volta, due aspetti: il battesimo con l'aria e quello con il fuoco: Il battesimo con l'aria è il gesto che il Cristo risorto compì sui discepoli la sera di Pasqua: «I discepoli gioirono a vedere il Signore... Egli soffiò su di loro edisse: Ricevete lo Spirito Santo!» (Giovanni 20,20-22). Il battesimo con il fuoco avvenne, invece, nel giorno di Pentecoste: Atti degli Apostoli 2:1-4 [1]Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. [2]Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. [3]Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; [4]ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.

Come si può notare, i tre aspetti del battesimo originario si ricollegano al simbolismo delle tre lettere madri dell'antico alfabeto caldeo (poi ereditato dagli ebrei): mem legata all' acqua, non tanto nel senso di "elemento", bensì di tendenza discendente (tamas o nigredo); aleph legata all'aria, nel senso di tendenza espansiva (rajas o rubedo); shin legata al fuoco nel senso di tendenza ascendente (sattva, albedo). Come è intuibile dallo stesso attributo di "madri", queste lettere sono quelle più direttamente connesse alla "seconda nascita", ed anche quelle che presiedono alle tre fasi dell'opus realizzativo. Turba Philosophorum: Affermare che Dio è in ogni luogo, e perciò anche in noi, è affermazione che fanno anche i teologi personalisti e il comune catechismo - non discuto qui se ciò sia coerente o meno - e non è perciò indice di una concezione esoterica della Divinità. Che battesimo, cresima e comunione inizialmente costituissero un unico sacramento non depone per la loro esotericità. Anche il fatto che venissero conferiti unicamente agli adulti indica soltanto che si riteneva importante una scelta volontaria nell’aderire ad essi. Le tre lettere madri caldee, esattamente come i tre guna che giustamente dici loro corrispondono, presiedono a qualunque processo che avvenga in Natura (Prakriti - la Grande Madre) e non solo alla rinascita iniziatica, la quale peraltro non può prescindere dal Corpo Solare (Purusha), che non è soggetto ai tre guna.

6b6) La Resurrezione Occhi di Ifà: Come è noto Ermete è "Tre volte grandissimo" (Trismegisto) quando, grazie al "grano d'oro" originariamente in suo possesso (Corpo solare), ha trasmutato in oro il Mercurio (Corpo mercuriale), l'Argento (Corpo lunare) e il Piombo (Corpo Fisico). Lo stato di perfezione corrisponde dunque alla trasmutazione finale del corpo fisico che, vincendo definitivamente la morte, "risorge". Questo concetto di resurrezione è presente già nell'Antico Testamento. Giobbe esprime la sua fede nella risurrezione della forma corporea, tramite queste parole: "Ora, quant’è a me, io so che il mio Redentore vive, e che nell’ultimo giorno egli si leverà sopra la polvere; e quantunque, dopo la mia pelle, questo corpo sia roso, pur vedrò con la mia carne Iddio; il quale io vedrò, gli occhi miei lo vedranno, e non un altro…" (Giob. 19:25-27). La speranza di Isaia fu identica: "Risorgeranno i morti e si sveglieranno quelli che sono nei sepolcri" (Is. 26:19). Daniele, da parte sua, afferma: "Allora risorgeranno quelli che sono nella polvere della terra: questi alla vita eterna, questi altri invece alla vergogna e alla confusione eterna" (Dan 12:2). Ed Ezechiele: "Ecco, io aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dai vostri sepolcri" (Ez 37:12). Quando avverrà tale resurrezione? Su questo punto, exoterici ed esoterici, generalmente, affermano cose ben diverse. Gli exoterici ritengono che si tratti di qualcosa che avverrà in una ipotetica "fine del tempo". Si tratta di una concezione assolutamente contraddittoria, perchè equivale ad affermare la scomparsa del mutamento e quindi di ogni forma di volontà (divina inclusa) che si manifesta proprio attraverso il mutamento. Gli esoteristi sanno invece che, se si va indietro nel tempo, non si trova alcun inizio del divenire e che, se si va avanti, non è possibile trovare alcuna fine. Possono perire pianeti, stelle e galassie, interi mondi fisici e iperfisici, ma mai il divenire nel suo complesso. Quando, in un testo sacro, si afferma, usando il verbo al passato, che una certa cosa "è avvenuta in illo tempore" (ad es. la 'creazione') si intende sempre che quel qualcosa si realizza nel tempo inteso quale eternità e che perciò si verifica in ogni istante. Quando invece si afferma, usando il verbo al futuro, che una certa cosa "avverrà in illo tempore", si intende sempre che essa si verifica nel tempo necessario alla realizzazione interiore, che è diversissimo per ciascuno. La realizzazione spirituale non pone fine al tempo e al mutamento, impedisce solo di essere trascinati, più o meno passivamente, dall'eterno flusso del divenire. Dunque divenire e realizzazione non sono due cose diverse, ma due modi diversi di vivere la medesima cosa. Il momento della resurrezione è dunque quello (diverso per ciascun realizzato) nel quale si passa dall'uno all'altro modo di esistenza. La differenza tra la concezione exoterica e quella esoterica venne messa in evidenza proprio da Cristo. Nel racconto della

morte di Lazzaro, Gesù disse: "Tuo fratello resusciterà". L’immediata risposta di Marta, sorella di Lazzaro, mostra che quella speranza, exotericamente intesa, fosse a lei nota: "Gli rispose Marta: So che risusciterà nell'ultimo giorno" (Giov. 11:23,24). Cristo invece dimostrò, come è noto, che quella possibilità era reale proprio in quel momento. Naturalmente il corpo risorto di Lazzaro non poteva essere incorruttibile, perchè la resurrezione era stata operata per miracolo altrui (di Cristo), mentre l'autentico corpo di resurrezione, traendo energia unicamente dal proprio spirito, esige esser prodotto dall'adepto, operando su se stesso. Cosa che Cristo dimostrò con la sua resurrezione. Vi è qualche indizio su come sia il "corpo di resurrezione"? Nel vangelo di San Marco, 12:18,27 c'è il seguente passo: "I Sadducei, che dicono non esserci Resurrezione, vennero presso Gesù e gli chiesero: Maestro, ecco quanto Mosè ci ha prescritto se qualcuno muore lasciando una moglie senza aver avuto figli; il fratello di costui ne sposerà la vedova e darà una discendenza a suo fratello. Ora, c'erano sette fratelli, il primo si sposò e morì senza lasciare discendenti; il secondo prese in moglie la vedova e mori anch'esso senza figli; così fu per il terzo ed i successivi; infatti nessuno lasciò dei discendenti. Alla fine morì anche la donna. Alla Resurrezione, a quale dei fratelli andrà la donna, dato che tutti e sette l'hanno avuta per moglie? - Gesù rispose: - Non siete forse nell'errore perché non comprendete né le scritture, né la potenza di Dio? Infatti, alla Resurrezione dei morti, gli uomini non prenderanno moglie, né le donne marito, ma saranno come angeli nei cieli. Per ciò che riguarda la Resurrezione dei morti, non avete letto nel libro di Mosè a proposito del roveto come Dio gli parlò dicendo: - Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti, ma dei viventi, voi siete in grande errore." Il paragone è quindi con un corpo angelico, che di solito è descritto come invisibile all'occhio umano e tuttavia in grado, all'occorrenza, di rendersi visibile. Che si tratti di un corpo spirituale è confermato da S.Paolo: "...così pure della risurrezione dei morti. Il corpo è seminato corruttibile, e risuscita incorruttibile; è seminato ignobile, e risuscita glorioso; è seminato debole e risuscita potente; è seminato corpo naturale, e risuscita corpo spirituale" (1 Cor. 15:42-44). E' proprio la capacità di rendersi visibile al comune occhio umano che differenzia il vero corpo di resurrezione (corrispondente alla trasmutazione del "piombo") dallo stadio immediatamente precedente di realizzazione (trasmutazione dall'argento) che, non investendo ancora il corpo fisico, permette di apparire agli altri, solo quando essi sono in stati analoghi al sogno. Questa apparizione visibile è spesso accompagnata dal fenomeno della "prosopopesi", cioè dalla capacità di mutare più o meno sensibilmente le proprie sembianze, così da non essere riconosciuti. In Giovanni 20:14-17 si narra dell'apparizione di Gesù a Marta di Magdala e si dice fra l'altro: [14] Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. [15] Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». ..." In Giovanni 21:4-6 si narra un fenomeno analogo: "[4] Quando già era mattina, Gesù si presentò sulla riva; i discepoli però non sapevano che era Gesù. [5] Allora Gesù disse loro: «Figlioli, avete del pesce?» Gli risposero: «No». [6] Ed egli disse loro: «Gettate la rete dal lato destro della barca e ne troverete». Essi dunque la gettarono, e non potevano più tirarla su per il gran numero di pesci. Il corpo spirituale può "entrare" anche in luoghi chiusi: " La sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» " (Giovanni 20:9) Il corpo di resurrezione può rendersi indistinguibile, anche al tatto, da un comune corpo fisico: [26] Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace a voi!» [27] Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non

essere incredulo, ma credente». [28] Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!» [29] Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» ((Giovanni 20: 26-29). I riferimenti evangelici all'esoterismo, non ancora esaminati, sono veramente numerosi ed un esame approfondito richiederebbe troppo tempo. Per ora mi sono limitato, pertanto, all'essenziale. Turba Philosophorum: Condivido in gran parte quello che dici sull’ermetismo e sul divenire. Tuttavia, citare l’Antico Testamento non risolve il problema, perché semmai apre quello della cosiddetta tradizione ebraica e delle sue origini e di quanto quella cristiana ne sia erede. Riguardo alla resurrezione di Cristo, i cristiani non la spiegano certo con l’esoterismo, ma con la sua asserita divinità, tanto che neppure i suoi primi discepoli seppero ripetere l’impresa. Anche la cosiddetta resurrezione dei corpi “alla fine dei tempi” non viene spiegata esotericamente, ma semplicemente con la volontà di Dio. Apprezzo i tuoi sinceri tentativi di donare al cristianesimo un esoterismo, ma a che pro? Le gerarchie cristiane -salvo rarissime eccezioni- aborrono da tutto ciò che ricorda loro il paganesimo ed espressione di questo è per loro l’esoterismo. Onde, prima di te, non poterono non fallire nell’impresa: i Templari, i Fedeli d’Amore, i Rosacroce, Eliphas Levi, i Martinisti, Leadbeater e la Besant, Rudolph Steiner e tanti altri. Noi e la chiesa concordiamo in una cosa: nell’affermare che l’esoterismo è pagano e che perciò il cristianesimo non lo ha mai posseduto. ***

6c) L'Antroposofia 6c1) Evola e Steiner Massimo: Premetto che ho grande stima per l'imponente opera complessiva di J.Evola; tuttavia con qualche riserva. Una di esse riguarda il poco convincente apprezzamento evoliano, per metà negativo, dell'altrettanto imponente opera di R. Steiner. Il prof. Renato del Ponte, che certo nessuno potrà mai accusare di parzialità nei confronti del suo maestro Evola, scrive nell'opera "Evola e il Magico Gruppo di Ur" (ediz. SeaR 1994 p. 58 nota 45): " La posizione di Evola nei confronti di Steiner e dei suoi discepoli da una parte e del suo pensiero dall'altra sembra presentare qualche contraddizione, dal momento che, pur pronunciandosi in maniera netta contro l'antroposofia (ad esempio in Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo: ma in modo da non soddisfare R. Guénon - cfr. "Le Voile d'Isis", 1932, p. 658), ha dimostrato talvolta una certa simpatia per l'autore dell'Iniziazione, sì che due fotografie di R. Steiner figurano in Sintesi di dottrina della razza (1941), intervallate dalle foto dei due duchi d'Aosta, fra quelle di chi appare dotato di 'elemento solare' in una 'direzione ascetica' e tale da 'far presagire delle forme d'illuminazione e un potere di penetrazione spirituale'. D'altronde, nelle riedizioni di Introduzione alla Magia del 1955-56 e 1971 Evola non soppresse la maggior parte dei contributi dei collaboratori steineriani". Cerchiamo di capire, documenti alla mano, i motivi reali di una tale contraddizione. Scrive Evola in "Imperialismo Pagano" (Roma, 1928, p. 41) in relazione alla figura del 'Dominatore': "Ecco dunque che siamo portati ad un piano più sottile, ove l'azione e il dominio si esercitano mediante idee. Idee - si badi - non come nozioni astratte, ma invece come idee-forza, come miti (nel senso sorelliano), cioè come principi volti a destare energie, movimenti e correnti sociali attraverso le varie suggestioni morali, emozionali, di credenza, di tradizione, ecc. che esse sono capaci di esercitare sulle masse. Ma qui debbono restare fermi due punti base; in primo luogo, il Dominatore deve restare signore delle varie idee o miti, non deve, credendovi, subirne egli stesso la suggestione, divenendo un ossesso, uno schiavo degli spiriti che ha evocato; non deve riconoscere ad esse un qualunque valore assoluto - ma deve invece assumerle

freddamente come mezzi, come strumenti fascinatori con cui, presso ad una precisa scienza della psicologia delle folle, eserciterà quelle influenze che vuole, destando e dirigendo le forze cieche delle collettività associate. Il secondo punto si connette al primo, e consiste nel comprendere il lato assolutamente positivo di questa nostra attitudine, che va di là sia dalla ideologia della forza pura, sia dall'idealismo dei 'valori', degli. 'immortali principi', ecc.. Che la forza puramente materiale non basti a sè stessa, che essa sarà sempre strumento di idee questo è semplicemente un fatto da constatare. Senonchè, da un punto di vista positivo, all'idea non si può nè si deve dare altro valore fuor di quello che le risulta appunto da questo fatto constatato, cioè valore di principio suggestivo, misurato dale sue conseguenze pratiche. L'idea in altre parole - ha valore in quanto agisce e finchè agisce: non perchè è 'buona', 'giusta', 'vera', ecc.; tutto ciò non è che nebbia rispetto alla sua realtà di idea-forza. Controllare i 'potenziali suggestivi' di cui sono caricate le varie idee, dosarli, combinarli, usarli, scaricarli o sospenderli, questa è un'arte superiore, invisibile e terribile di dominio che, resa cosciente, comunica, come si dirà, con la magia". Lasciamo per ora impregiudicato il reale valore metafisco-magico, nonchè etico di questo brano. In questo momento siamo interessati invece a scoprire se Evola fece concretamente uso di qualche "idea-forza", cioè adoperò qualche idea a prescindere, come lui dice, dal fatto che essa sia "buona", "giusta" o "vera". Sicuramente lo fece almeno in una occasione, perchè lo ammette esplicitamente lui stesso. Premettiamo che, nel numero 6-7 (Giugno-Luglio 1925) della rivista Ignis, Evola rivolse la prima critica all'opera steineriana nel saggio intitolato "Che cosa vuole l'antroposofia di R. Steiner". Non molto tempo dopo, in una lettera del 1926 indirizzata all'amico e poeta Arturo Onofri, così Evola spiega il suo atteggiamento: "Quando più che altro ero preso dalla elaborazione filosofica di ciò che voglio, ho esaminato le dottrine dello Steiner con curiosità e niente affatto con acrimonia, prova ne sia l'intervento alle vostre riunioni e le citazioni nei miei libri. E' soltanto in questi ultimi tempi in cui, in circostanze non troppo ordinarie, sono venuto a constatare di fatto che cosa sia veramente iniziazione e sapienza iniziatica, che l'opera dello Steiner mi si è svelata nel suo senso ultimo e nella sua radicale decadenza, e quasi un dovere - quando ne riconoscessi - ho allora sentito nel reagire, nel colpire e nello smascherare. Mi si dice ora, che le mie critiche sono parziali: lo so, e non me ne importa. Chi si sente sulla breccia, chi è giunto a percepire quali forze spirituali siano oggi in lotta senza quartiere affinché l'Occidente prenda una direzione o un'altra opposta, non ha né il diritto, né il tempo di essere imparziale. Noi dobbiamo assolutamente finirla con il cristianesimo, epperò il tentativo steineriano di infiltrarlo subdolamente nella compagine tradizionale dell'esoterismo va combattuto senza pietà e con tutti i mezzi - anche se il pericolo che oggi presenta è più che trascurabile. Per converso, tutto ciò che volge verso il polo opposto, deve essere esaltato trascurando tutto il negativo da cui, per varie contingenze, sia intriso". L'uso della critica a Steiner come idea-forza, che se ne infischia dell'imparzialità, perchè vuole sbarazzarsi per sempre del cristianesimo è dunque ammessa, senza possibilità di equivoci, dallo stesso Evola. Ma le sorprese non finiscono qui. Ci sarebbe stato da aspettarsi, dopo il saggio critico pubblicato su Ignis (1925) e dopo le motivazioni addotte agli amici steineriani come Onofri (1926), che Evola prendesse definitivamente le distanze dal movimento antroposofico. Ma come tutti sanno non fu così. Infatti alla rivista Ur (1927-28) collaborò una forte componente steineriana, che divenne decisamente preponderante dopo la lite di Evola con Reghini e Parise, cioè nella rivista Krur (1929). A quersto punto è opportuno prendere in considerazione due documenti presenti nell' Archivio di Stato a Roma. Il primo di essi è datato Roma 23 marzo 1929 e proviene dall'ufficio provinciale di investigazione politica di Napoli. Esso riferisce in merito al diverbio tra Evola e Reghini, aggiungendo le seguenti notizie, riguardanti l'argomento di cui ci stiamo occupando: "L'impressione generale era che l'Evola non aveva agito per conto proprio, ma che da poche settimane andava svolgendo opera di fiancheggiamento di un servizio politico per un certo centro di difesa della Compagnia di Gesù. Oltre che un servizio informativo privato del Reghini, faceva supporre ciò il carattere che va assumendo la rivista "Krur" verso il cristianesimo, carattere favorevole, in contrasto con le precedenti affermazioni anti-cristiane dello Evola, con una tendenza sui generis verso la Società Antroposofica, di origine austriaca, fondata da Rudolf Steiner a Dornac. Nuovo redattore del "Krur" è ora il dottore in medicina Giovanni Colazza

(abitante al Corso d'Italia) che firma col pseudonimo di Breuno [sic]. Lo Steiner, morto qualche anno fa, ha lasciato vuoto il posto di Gran Maestro a Dornac. Una delle accuse lanciate contro quest'associazione Massonica-Cristiana-neoplatonica è, che essa sia un aspetto profano della Compagnia di Gesù. II Colazza è il capo dell'antroposofia in Roma, e pare che l'Evola pensi di impadronirsi della Società in Italia. [...] In merito dell'Evola suppongo che agisca per mire inconfessabili, e che queste, gli siano suggerite da quegli elementi stessi che hanno sollecitato il suo avvicinamento alla Società Antroposofica. E a tale riguardo ricordo che codesta associazione in tempo non sospetto fu sospettata da [omissis] di connivenza con la Compagnia di Gesù". E' facile, nonostante lo strafalcione, riconoscere in "Breuno" il "Breno" della rivista Krur. Il 27 maggio 1929, come si sa, il Concordato tra Stato e Chiesa coronò l'avvicinamento, già da tempo in corso, tra fascismo e chiesa cattolica. Evola comprese che il suo Imperialismo Pagano (variante di quello di Reghini e uscito appena l'anno prima) era divenuta un' idea-forza in netto contrasto con gli avvenimenti storici e perciò non più tale da potersi affermare facilmente. Da qui il suo moderarsi nei confronti delle associazioni cristiane e il suo tentativo di assumere una posizione di rilievo nel movimento antroposofico romano, per poi giungere eventualmente a succedere a Colazza. L'ipotesi iniziale di una combutta con La Compagnia di Gesù, venne smentita da successive indagini della polizia politica, che portarono ad identificare la vera società, con amicizie in ambito antroposofico, a cui Evola era interessato. Ciò è chiaramente espresso dal 2° documento, un appunto della Divisione Polizia Politica datato 3 marzo 1930. In esso si dice: "E' da notarsi l'atteggiamento assunto dal foglio letterario "La Torre" diretto dal barone Jules Evola, occultista e filosofo (ex appartenente alla redazione del Mondo e tuttora in ottimi rapporti con numerosi antifascisti). L'Evola ha iniziato dalle sue riviste, prima "Krur" ed ora "La Torre" una specie di propaganda per l'imperialismo tedesco. Questo fatto è avvenuto dopo un viaggio fatto dall'Evola in Austria e in Germania, viaggio che egli dichiara di aver compiuto di nascosto attraversando il confine senza passaporto e nel quale egli avrebbe avuto modo di incontrare molte persone della setta politica religiosa "Illuminati", setta imperialista e nel cui Consiglio dei 7 erano compresi il Kronprinz e la signora Krupp. Ora questa setta, che ha legami politici ed intellettuali con la setta svizzera degli Steineriani (di cui l'Evola è rappresentante per l'Italia) cercava di avere in Italia un agente generale disposto a lavorare con articoli di propaganda e con l'opera di propaganda e con "opera informativa" (spionaggio intellettuale e in parte politico) a favore dell'imperialismo tedesco per difendere il quale gli "Illuminati" hanno creato in Germania "Gli elmetti d'acciaio". L'Evola attraverso gli Steineriani sarebbe entrato in rapporto con gli "Elmetti" e forse in pari tempo con il Consiglio dei 7 e degli "Illuminati" e dal suo atteggiamento si può vedere che gli "Illuminati" hanno trovato il loro agente e il loro giornale in Italia." Come si può notare, Evola, pur non essendo ovviamente riuscito (come avrebbero potuto gli antroposofi dimenticarsi delle sue critiche a Steiner?) a soppiantare una personalità eccezionale come Colazza, aveva tuttavia potuto presentarsi in Austria e Germania con le credenziali di rappresentante del movimento antroposofico italiano. Da parte nostra se abbiamo stima di quella parte dell'opera evoliana, che deriva da effettivo rigore logico, vale invece per noi come inesistente, tutto ciò che, come la critica a Steiner, essendo palesemente mera idea-forza, venne adoperata da Evola con troppa spregiudicatezza, per potergli noi annettere un qualche effettivo valore metafisico. Faremo un unico esempio, in riferimento al problema dell'iniziazione. Ciò che Steiner definisce "autoiniziazione" equivale a ciò che nello schema kremmerziano dell'iniziazione viene chiamato "iniziazione mediante riti" (si veda quanto dice Abraxa). Cioè si tratta di una iniziazione virtuale, da attualizzarsi mediante opportune pratiche fornite da Steiner stesso. Evola gioca sull'equivoco del termine autoiniziazione, senza neanche preoccuparsi (cosa insignificante, secondo lui, pur di affermare la sua idea-forza) del reale significato di quel termine. Ciò non gli impedì, a partire dall'edizione 1955-56 di Introduzione alla Magia, di inserire nel vol. III una monografia, intitolata Liberazione delle Facoltà, dove riporta una traduzione dal tedesco di uno scritto, in un primo tempo risevato, di R. Steiner (senza minimamente citarlo), aggiungendo un commento fatto, in una conferenza del 1940, da Colazza (senza citare neppure lui).

Cogliamo l'occasione per esprimere tutto il nostro apprezzamento a quegli studiosi evoliani, presenti in questo forum, a cominciare dal moderatore, che parlano di Steiner, considerandolo per ciò che effettivamente ha detto ed "ex novo", mettendo da parte etichettature vecchie e probabilmente senza reale fondamento. EA: Concordo con Massimo nel giudicare inopportuno pubblicare anonimo il saggio "Liberazione delle Facoltà". Sarebbe stato preferibile inserirlo, ma firmandolo con lo pseudonimo di Leo, così come era stato fatto per le altre trascrizioni degli insegnamenti orali di Colazza e citando almeno in nota che erano insegnamenti steineriani. Ma perchè Evola riteneva così importanti gli insegnamenti contenuti in quel saggio? Scopo dell'iniziazione non è tanto quello, come a volte sbrigativamente e impropriamente viene detto, di "innestare" nell'individuo un quid sovraindividuale prima inesistente, perchè ciò equivarrebbe più o meno a identificare l'iniziazione con una forma sui generis di "possessione" provocata. La vera finalità dell'iniziazione è invece la rimozione di quei vincoli che impediscono la realizzazione iniziatica e, contemporaneamente o successivamente, la realizzazione stessa. Correttamente Massimo ha indicato come sia Kremmerz, sia Steiner abbiano scelto di utilizzare prevalentemente "l'iniziazione mediane riti". Come ha già accennato Abraxa in un precedente messaggio, questo termine non deve indurre in errore. Non si tratta, come in Massoneria, di riti effettuati dal maestro sul neofita. Nella terminologia kremmerziana indica, invece, una iniziazione virtuale, consistente nell'assegnare (in modo del tutto informale) al neofita dei riti, cioè delle pratiche che, se correttamente effettuate, renderanno l'iniziazione effettiva. Se esaminiamo i due riti iniziatici dati da Kremmerz, notiamo che nel rito di Novembre Kremmerz prescrive: "Nei ventotto giorni della luna, pregare col cuore la volontà intelligente del mondo che vi faccia degno di entrare nello studio delle leggi secrete dello spirito umano e guida a voi stesso sia la vostra intelligenza, che da voi si allontanino tutte le creature spirituali imperfette, tutte le ottenebranti e quelle che influiscono sui vostri sensi". Per il rito di Marzo egli invece dice: "Invocare la Forza che fa ritornare il sole in Ariete e che ridona la vita alle creature morte alla luce e che il genio di luce, disperso nel cammino dell'inferno della materia, riappaia". Si può notare come nel rito autunnale, sfruttando le analogiche forze cosmiche di degenerescenza in atto, viene posto l'accento sul "solve", sullo scioglimento dei vincoli da tutto ciò che è ottenebrante. Qui, come era prassi in svariate tradizioni antiche, ma anche nel cattolicesimo medievale, gli ostacoli vengono personificati in "creature" (in "demoni"), al fine di oggettivarli e di prendere più facilmente le distanze da essi. Nel rito di Marzo, sfruttando le forze cosmiche primaverili, che pongono in atto una nuova situazione, si pone l'accento sul "coagula", sulla fissazione della presenza del "genio di luce" (si confronti questo termine con quanto già scritto in altro messaggio sull'unione del "Sole Padre" con il "Sole Figlio"). Il saggio Liberazione delle Facoltà, descrive i famosi "cinque esercizi" steineriani (ma di probabile eredità rosacrociana) che mirano, con differente tecnica, più interiore che cerimoniale, allo stesso scopo del rito di Novembre kremmerziano. Come è noto i cinque esercizi sono: la concentrazione, per la liberazione del pensiero; l'azione pura, per la liberazione della volontà; l'equanimità, per la liberazione del sentimento; la positività, per la liberazione del giudizio e la spregiudicatezza, per la liberazione della memoria. Per i dettagli rimandiamo al saggio citato, come anche ai vari riferimenti, esistenti nei libri di Steiner e di Scaligero. Dal nostro punto di vista operativo, il "nodo" più interessante della critica evoliana a Steiner riguarda il valore da darsi alla chiaroveggenza. In futuro, senza preconcetti fideistici nei confronti di un qualunque autore, andranno esaminati ad es. punti come questi: 1) Cosa è mai la chiaroveggenza? 2) Ne esiste un unico tipo o più tipi? 3) Ha a che fare o no con l'iniziazione? 4) Se no, perchè? 5) Se sì a che serve? che estensione è opportuno darle rispetto alle altre pratiche? 6) Esiste una falsa veggenza? 7) Se sì, come evitarla? etc. Frater Petrus(1): R. Guenon aveva alcune riserve nei confronti di Steiner e così pure J. Evola.

Ciò fece sì che entrambi non approfondissero l'opera steineriana. Le riserve derivavano dal fatto che, almeno esteriormente, sembrava che Steiner avesse enucleato il movimento antroposofico dal Teosofismo. Tuttavia, lo stesso Guenon riconobbe ( ne "Il Teosofismo cap. XXII) che la cerchia più interna degli antroposofi aveva più somiglianze rituali con la Massoneria (della quale lo stesso Guenon fece parte) che con il Teosofismo. Evola, da parte sua, dovette riconoscere (in "Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo" cap. V) che Steiner considerava le norme morali come mezzo a fine e perciò non cadeva sotto l'accusa di moralismo, come era invece il caso dei teosofisti. Rimanevano le accuse, soprattutto evoliane, di aver fatto di Gesù, anzichè un iniziato, magari di alto livello, l'incarnazione del Logos Solare e di aver dato eccessivo peso a certe visioni chiaroveggenti, avute da Steiner stesso. Per quanto riguarda la prima accusa, bisogna osservare (a prescindere dal fatto che Steiner affermasse che fossero esistiti due Gesù) che il movimento antroposofico è un aspetto del Cristianesimo, cioè di un ambito in cui Gesù è, per tradizione, identificato con il Logos e che allora, analogamente, bisognerebbe ad es. rimproverare ai visnuiti di credere nelle periodiche incarnazioni di Visnù. Per quanto riguarda le visioni, occorre dire innanzitutto che Steiner non chiedeva ai discepoli di aver fede in esse, ma le esponeva per stimolarli a sviluppare le proprie facoltà e ad andare a vedere, con i propri occhi spirituali, come stavano le cose. Detto questo, da parte di chi non ha avuto le stesse visioni, è ragionevole nei confronti di Steiner, un atteggiamento analogo a quello che Guenon aveva per E. Swedenborg. Cioè si possono contestare non le visioni in sè stesse, ma semmai che esse corrispondessero effettivamente al livello di realtà che veniva loro attribuito e non si riferissero invece ad un piano più basso, ad es. che si trattasse, in diversi casi, di visioni semplicemente simboliche. (1) Brano tratto da Frater Petrus: "Europa Unita- Elite e Triarticolazione Sociale". [N.d.U.] Sadescan(1): Perchè Evola critica Steiner? Secondo Evola, Steiner aveva il torto di mettere troppo in evidenza i risultati delle sue veggenze personali. Veggenze che, secondo la concezione magica dell'universo, non hanno necessariamente il valore di una realtà oggettiva e universale, dipendendo, in buona parte, proprio dall'atto magico e dalla portata del suo effetto, cioè dal metodo seguito. Dice infatti Evola nel saggio "Cosa vuole l'Antroposofia di R. Steiner" (n° 6-7 1925 della rivista Ignis): "...Steiner dà dei metodi, seguendo i quali, ognuno può anche lui riuscire a vedere quel che l'altro vede. Con il che la quistione è semplicemente spostata: poichè una tale visione non è immediata e universale ma per giungere ad essa occorre un certo processo, non vi sono argomenti dimostrativi per affermare che quanto ad essa corrisponde non sia creato da questo processo stesso." Si può essere d'accordo con Evola, ma bisogna tener conto dell'ambiente nel quale Steiner ebbe ad operare: un ambiente cristiano (e perciò potenzialmente rosacrociano) influenzato dalle suggestioni del teosofismo anglo-indiano, il quale faceva proseliti proprio ostentando l'uso della veggenza. Steiner, facendo altrettanto, impedì che molte persone seguissero una strada orientaleggiante che presentava due difetti: non c'erano, almeno allora, maestri orientali qualificati in Europa e i metodi orientali spesso non si confacevano all'uomo occidentale moderno. Ma che Steiner avesse una visione magica dell'esistenza, dietro a quella apparente teosofico-contemplativa, lo dimostrano certi episodi della sua attività, come il (sia pur fallito) tentativo magico (del quale riferisce Scaligero in "Dallo Yoga alla Rosacroce"), al quale partecipò lo stesso Colazza, di dare diverso decorso a quegli eventi, che poi storicamente "precipitarono" nella I Guerra Mondiale. Anche Kremmerz si trovò ad operare in un ambiente nel quale spiritismo e teosofismo facevano proseliti. Mentre Evola e Reghini assunsero un atteggiamento intransigente e di aperta critica nei confronti di tali ambienti, Kremmerz, analogamente a Steiner, preferiva entrare in maniera più sottile in essi (non senza usare la sua tipica bonaria ironia) per poi volgerli verso una più alta verità. Infatti, se l'atteggiamento di Evola e Reghini è atto a creare manipoli di fedelissimi (che, in qualche caso, però scadono nel fideismo: ci sono evoliani ed evolomani, diceva lo stesso Evola) allontana a volte, per il tono intransigente, anche persone potenzialmente qualificate e crea (come avvenne) discordie interne a volte insanabili. (1) Brano tratto dal quaderno "Reincarnazione, Rinascita, Trasmigrazione, Palingenesi". Lo riproduciamo per la stretta attinenza con l'argomento trattato. [N.d.U.]

6c2)Teosofia e Teosofismo Frater Petrus(1): A chi non è troppo addentro in queste cose, ritengo utile dare qualche informazione sulla differenza, sottolineata da Guenon ed Evola , tra Teosofia e Teosofismo. Per Teosofia si intende una corrente dell'esoterismo cristiano che annovera tra i più noti rappresentanti Jacob Bhoeme, J.G. Gichtel, Franz von Baader, Karl von Eckartshausen, Louis Claude de St. Martin, etc. Il termine Teosofismo venne adoperato per la prima volta dal filosofo idealista Schelling (estimatore di Bhoeme e di Baader), per indicare dei pedestri imitatori della corrente teosofica. Venne poi ripreso da Renè Guenon, con analogo significato, nei confronti dell'organizzazione fondata da H.P.Blavatsky. Non si trattò peraltro di una forzatura, perchè il termine scelto dai teosofisti inglesi per indicare la propria organizzazione fu proprio Theosophism (e non Theosophy). E' soprattutto per colpa dei traduttori (francesi, italiani etc.) se i termini Theosophy, Teosophy, Teosofia e simili divennero (forse ad arte) prevalenti. Il Teosofismo ha avuto il merito di additare le tradizioni iniziatiche dell'Oriente, ai tempi in cui erano, qui da noi, poco conosciute. Tuttavia la rielaborazione che ne ha fatto, sulla base di idee personali dei suoi fondatori, è di scarsa utilità, soprattutto al giorno d'oggi, tenuto conto anche del fatto che diversi maestri orientali dimorano ormai stabilmente in Occidente. Curiosamente, sono proprio i libri teosofisti sulla tradizione cristiana quelli meglio scritti, forse perchè C. W. Leadbeater, uno degli esponenti di maggior spicco del movimento teosofista, era vescovo della Chiesa Cattolica Liberale di Sidney. (1) Brano tratto da Frater Petrus: "Europa Unita- Elite e Triarticolazione Sociale". [N.d.U.] Ida La Regina: Tra le soluzioni, proposte come alternative alla rigidità della Chiesa Cattolica e dell'exoterismo cristiano in genere, si possono citare la Chiesa Cattolica Liberale (derivata dalla Chiesa Vetero-Cattolica) e la Comunità Cristiana: 1) Vetero-Cattolici (o Vecchi Cattolici o Cattolici Antichi) vennero detti coloro che respinsero il dogma dell'infallibilità del papa, proclamato dal primo concilio Vaticano nel 1869, ma da essi ritenuto in contrasto con le Sacre Scritture e con la vecchia tradizione della Chiesa. Il primo vescovo della Chiesa Vetero-Cattolica fu Joseph Hubert Reinkens (1821-1896). Nel 1915, in Inghilterra, alcuni Vetero-Cattolici fondarono una nuova comunità, la Chiesa Cattolica Liberale, il cui primo vescovo fu J. I. Wedgwood, ordinato sacerdote nella Chiesa Vetero-Cattolica ed appartenente anche al Movimento Teosofico. La differenza fra la Chiesa Cattolica Liberale e tutte le altre chiese cattoliche e protestanti si trova nel fatto che al culto antico dei sette sacramenti è associata la più piena libertà intellettuale e il rispetto per la coscienza individuale. Un'importante opera di questa chiesa è la monumentale "Scienza dei Sacramenti", scritta da C. W. Leadbeater. Essa analizza minuziosamente il rito della messa cristiana e ne scompone gli elementi occulti ed esoterici, rivendicando al sacramento la realtà dell'azione magico-misterica rispetto a quanti vorrebbero limitarne la funzionalità al piano strettamente simbolico. "La Santa Eucaristia – scrive l'autore nella prefazione – è stata finora considerata come un mezzo di grazia per l'individuo e lo è indubbiamente. Ma io desidero, con tutta reverenza, mostrare che è anche molto di più. Essa è un mezzo per aiutare l'evoluzione del mondo con la frequente emanazione di onde di forza spirituale e ci offre un'occasione impareggiabile per divenire, come dice San Paolo, collaboratori di Dio e rendergli un vero e degno servizio, agendo come canali del Suo meraviglioso potere". 2) Nel 1921, alcuni giovani teologi, insieme ad alcuni studenti che s'interessavano di questioni religiose e avevano conosciuto l'antroposofia, domandarono a Steiner se li potesse aiutare a rinnovare la vita devozionale e rituale del cristianesimo. Egli rispose loro affermativamente, ponendo però bene in rilievo che il suo compito non era quello di fondare una nuova religione, ma di sviluppare i metodi dell'indagine spirituale. Negli anni 1921 e 1922 tenne tre grandi cicli di conferenze su teologia teorica e pratica nei quali dimostrò grandissima competenza.

Successivamente, fu anche in grado di dare il rituale dei nuovi sacramenti cristiani che permisero, nel 1922, l'instaurazione di un nuovo culto. Così, grazie all'appoggio e ai consigli di Rudolf Steiner, i futuri sacerdoti poterono fondare la Comunita Cristiana. Il dott. Friedrich Rittelmeyer (1872-1938), noto teologo evangelico, ne assunse per primo la guida. La Comunità Cristiana offre un rituale centrato sull’ "Atto di Consacrazione dell’Uomo", che ricorda nelle forme la messa cattolica, ma il cui contenuto è antroposofico, e su altri sei sacramenti (battesimo, confermazione, matrimonio, consultazione sacramentale (che ricorda la confessione) unzione e ordinazione. La Comunità Cristiana, similmente alla Chiesa Cattolica Liberale, rifiuta una dottrina con limiti dogmatici e aspira ad una sintesi tra fede e conoscenza, religione e esperienza del mondo sensibile e sovrasensibile. La comunità cristiana ha un ordinamento gerarchico: la direzione è affidata a sei guide, alle quali è preposta una arciguida. Nelle singole comunità i "pastori" sono affiancati da una cerchia di aiutanti. La Comunità Cristiana si è sviluppata notevolmente nel corso degli anni, soprattutto in Germania. La sede centrale è a Stoccarda dove c'è anche il seminario. L'attività ed i compiti della Comunità Cristiana si sono sempre svolti separatamente da quelli della Società Antroposofica, la quale non è un movimento religioso e l'appartenenza alla quale non comporta alcun culto. Occhi di Ifà: A proposito di Teosofismo, è da segnalarsi, a chi ancora non lo conosce, un importante saggio di Piero Fenili, intitolato "Rendiamo giustizia a Helena Blavatsky" e pubblicato in Politica Romana n° 2 del 1995. Egli ne rivaluta la figura, denigrata a suo tempo da R. Guenon, con una serie di argomenti che, rimandando per i dettagli alla lettura integrale del saggio stesso, ci limitiamo ad elencare: 1) H. Blavatsky esternò sempre avversione per ogni forma di passivo spiritismo medianico. 2) Promosse in Occidente la conoscenza dell'antica sapienza arya, custodita in India e in Tibet, come gli è stato riconosciuto da studiosi del Buddhismo di livello mondiale, ad es. Edward Conze. 3) Contrariamente alle insinuazioni di R. Guenon che ritiene "La voce del silenzio" un testo semi-inventato per adattarlo alle tesi teosofiste, vi sono dichiarazioni ufficiali del Dalai Lama e del Panchem Lama che indicano l'esatto contrario e l'accuratezza della traduzione della Blavatsky. 4) N. Richard Nafarre, in "Helena P. Blavatsky, ou le Réponse du Sphinx" (Parigi 1991), ha dimostrato, contro il parere di Guenon, e sulla scorta di precisi riferimenti dottrinali, che la concezione del karman esposta dalla Blavatsky è conforme alla dottrina induista ortodossa. 5) La stessa Society for Psychical Research, che il 31-12-1885 aveva bollato H. Blavatsky quale rea di impostura [ a causa di un intrigo in cui venne "incastrata" da due coniugi, venuti in contrasto con la Società Teosofica] dopo un accurato riesame del caso, ha scagionato completamente la Blavatsky dalle accuse che le aveva ingiustamente mosse. 6) H. Blavatsky prese parte, nelle file di Garibaldi, alla battaglia di Mentana (3 Novembre 1867), riportando numerose ferite sia d'arma da fuoco, sia d'arma bianca. Fu come Garibaldi, membro della Massoneria di "Rito egiziano". 7) H. Blavatsky fu anche membro della autentica Fratellanza di Luxor, mentre Guenon, come lui stesso ammette in lettere del 17 Agosto 1934 e del 11 Maggio 1936, appartenne al fasullo ordine, chiamato Hermetic Brotherhood of Luxor ((H. B. of L.), una sorta di tranello, attribuito da taluni ai Gesuiti, per instillare nei membri dottrine anti-reincarnazioniste, fatte passare come "ermetiche". 8) H. Blavatsky soggiornò alcuni mesi, a partire dall'Aprile del 1885, a Torre del Greco, con ogni probabilità per frequentare il capo di quel Grande Oriente non massonico, stimato dallo stesso Evola, e cioè Giustiniano Lebano. Ea: In effetti, la denigrazione di H. Blavatsky da parte di Guenon aveva fatto presa anche in Italia. Ad es. A. Reghini recensendo sulla rivista Ignis (Aprile-Maggio 1925) i "Saggi sull'idealismo magico" di J.Evola dice: " Per finire faremo alcune osservazioni relative alla forma. E per esempio vorremmo ben sapere...quale mai trattato di esoterismo indiano adoperi, come egli afferma, il termine Devakan, che è invece un ibrido sanscrito-mongolico partorito dalla

Blavatsky". Seguendo la tesi guenoniana degli "aggiustamenti" linguistici che avrebbe fatto H. Blavatsky, Reghini sembra credere che Devakan o Devachan (forma quest'ultima molto più frequente), che in teosofia indica lo stato di coscienza tra due incarnazioni, sia un termine composto dal sanscrito "deva" (divinità) e da una presunta parola tibetana o mongola "chan", significante mondo, luogo o residenza: avrebbe dunque il significato complessivo di "residenza divina" o "mondo divino". A quell'epoca, per mancanza di riscontri, era difficile sbugiardare Guenon, ma oggi che gli studi orientalistici sono più avanzati, Devachan è correttamente considerata una traslitterazione della parola tibetana bde-ba-can (pronunciata de-wa-chen ), composta da bde-ba 'felicità' + can 'possedente', e che perciò letteralmente significa "avente natura di felicità". Essa è il modo in cui i buddhisti tibetani hanno reso il sanscrito "sukhâvatî" , "la terra felice", termine che, ad un livello più exoterico, designa il paradiso occidentale del Buddha Amitâbha. Non è dunque affatto un ibrido linguistico, nè tanto meno è termine partorito da H. Blavatsky. E' da notare che la critica un po' astiosa del libro di Evola da parte di Reghini seguiva di poco una lettera del 21 Aprile 1925 a lui inviata da Guenon, dove questo signore si permetteva (fidando ovviamente sulla discrezione di Reghini) di criticare a priori (lui stesso dice di non averli letti!) la versione evoliana del Tao Te Ching e il suo lavoro sul Tantra (L'Uomo come Potenza). Chi non si fece mai ingannare dalle parole di Guenon, nonostante l'amicizia, fu invece Amedeo Armentano. Come è noto, Guénon entrò a far parte, segretamente, dell'Islam nel 1912, lo stesso anno che si sposò con rito cattolico! Si trasferì al Cairo soltanto nel Marzo del 1930, qualche anno dopo la morte della prima moglie. Nel frattempo si diede da fare, intrufolandosi in ambienti religiosi e occultistici europei di vario genere. Perchè mai? Non lo soddisfaceva la sua iniziazione islamica? o ... spiava? Fatto sta che, nel 1924, iniziò a far pressioni su Reghini e su Armentano, perchè gli iniziati occidentali si palesassero, costituendo una élite e si mettessero quindi in rapporto con l'Oriente. In ben tre lettere (1-9-1924, 10-11-1924, 12-12-1924) Reghini chiese ad Armentano come comportarsi di fronte a questa richiesta. Ricevette risposta dal Brasile, dove si trovava Armentano, solo nel Febbraio 1925 ed in seguito ad essa proseguì i contatti con Guenon, ma con molta più prudenza e lasciando cadere quella proposta. Infatti, perchè mai Guenon, che aveva sempre sottolineato che l'élite non deve avere assolutamente un carattere organizzativo, chiedeva ora che si organizzasse addirittura palesemente? e per conto di chi lo chiedeva? Qualcuno ha soprannominato Guenon "il Cartesio dell'esoterismo": mai soprannome fu più azzeccato! perchè, proprio come Cartesio, alla sua epoca, non riuscì mai a contattare i RosaCroce, così Guenon fu tenuto a debita distanza da quell'élite europea, che non aveva certo bisogno di aspettare Guenon per costituirsi, nè per continuare i rapporti (mai interrotti!) con l'Oriente.

6c3) Atteggiamenti "old age" e "new age" Pietro Negri: Renè Guenon , nel saggio "Alcune considerazioni sulla dottrina dei cicli cosmici" , afferma (1): " .. la base principale di questi [cicli], nell'ordine cosmico, è il periodo astronomico della precessione degli equinozi, la cui durata è di 25.920 anni, per cui lo spostamento dei punti equinoziali è di un grado ogni 72 anni". Recensendo un'opera di Gaston Georgel, aggiunge (2): ".. la durata di 25.765 anni si deve probabilmente a qualche calcolo ipotetico di astronomi moderni, la durata reale indicata tradizionalmente essendo di 25.920 anni". Dunque egli dissentiva quando vedeva, in relazione ai cicli cosmici, calcoli di qualche scienziato moderno, che si discostavano da quelli che (secondo lui) erano gli unici validi, perchè tradizionali. Ma Ipparco (I° sec. a.C.), che stimava quel periodo di 28.800 anni, certo non era uno scienziato moderno. Come sappiamo, nel campo che vien comunemente detto esoterico, oltre alla visione magica da noi professata, esiste anche una visione teosofico-contemplativa. Essa contiene errori di due tipi, a seconda che si parta da un atteggiamento "old age", oppure da un atteggiamento "new age".

Un teosofo-contemplativo "old age", come Guenon, ritiene che tutto ciò che proviene dalla scienza tradizionale antica debba per forza esser stato e continuare ad essere più esatto di ciò che è frutto della scienza attuale. Dopo gli eventi catastrofici degli ultimi giorni(3), diventa evidente quanto Guenon si sbagliasse. Infatti la durata dei cicli è legata al fenomeno della precessione equinoziale, a sua volta legato all'inclinazione dell'asse terrestre. Tale inclinazione, in un mondo magico e perciò mutevole come il nostro, varia nel tempo, in concomitanza di fenomeni planetari di una certa entità, come il terremoto-maremoto appena verificatosi sulle coste dell'Asia. Variando l'inclinazione, varia anche (di poco o di tanto non importa) il computo dei cicli cosmici, che perciò non è affatto costante, come pretendeva "l'eternalista" Guenon. Di conseguenza, quando ci si riferisce ad epoche antiche, i dati più attendibili sono probabilmente quelli antichi e lo scienziato moderno dovrebbe ben guardarsi dalla tentazione di "retrodatare" la validità dei suoi calcoli, basati su dati contemporanei, perchè in passato gli stessi dati potevano avere valori ben diversi. Ma quando ci si riferisce all'epoca a noi conteporanea, i dati da considerarsi per i calcoli scientifici sono proprio quelli attuali e quelli antichi diventano inattendibili. Se il teosofo "old age" rimane ingabbiato nel passato, il teosofo "new age" corre a farsi intrappolare nel futuro, illudendosi di conoscerlo sulla base di qualche presunta veggenza, che vuol descrivergli come sarà questo futuro. In un mondo magico, nessuna previsione può rivendicare valore di esattezza. Al più, soprattutto in riferimento al futuro più immediato, possono ravvisarsi "tendenze", che sta pur sempre all'uomo sposare, oppure rigettare. In generale, per ovvio effetto magico, una comunità che si aspetta calamità le attira. Che dire, allora, dei libri apocalittici? e della venuta dell'AntiCristo, poi sconfitto dal ritorno del Messia, credenza che accomuna cristiani e islamici? Si tratta di profezie? No! è bene dirlo una volta per tutte: quei libri sono, invece, un tentativo magico di "ipotecare il futuro". Le due religioni in questione sanno benissimo che anche per loro, come per tutte le cose di questo mondo, verrà il tempo della fine. Come rendere probabile un loro ritorno? tramite la propalazione di credenze, che affermino che vi sarà sì una fine, ma che sarà poi seguita dalla vittoria definitiva della religione in questione, la quale quindi ammonisce seguaci e non seguaci a trovarsi dalla parte giusta, al momento della resa dei conti. La speranza è che, per paura di tali presunte previsioni, molti non aderiscano alle eventuali nuove dottrine e che ciò permetta alle religioni suddette di ritornare. (1) In R. Guenon, "Forme Tradizionali e Cicli Cosmici", Roma 1974; p. 18 (2) op. cit. p. 24 (3) Il riferimento è al disastro dello "Tsunami" del 26 Dicembre 2004. [N.d.U.] EA: Naturalmente ciò non esclude che l'Apocalisse giovannea potesse essere, nelle intenzioni dell'autore, soprattutto un testo sapienziale, descrivente, in forma drammatica, un particolare iter iniziatico, collocato non nel futuro, bensì "in illo tempore", nel "tempo sacro" occorrente alla realizzazione iniziatica. L'interpretazione profetica può essere accessoria e avente quel carattere di "legatura delle sorti" (sortilegio) così ben evidenziato da Pietro Negri. Turba Philosophorum: Per il cattolicesimo non mi pare siano queste le condizioni: la materia non si distrugge ma muta in qualcosa di celestiale, di "più che materico". I fedeli invece non periscono del tutto neanche durante i tre anni di regno dell'anticristo, ma si riducono ad un "pusillus grex". EA: Ammettiamo pure, per un momento, questa personale interpretazione del testo apocalittico: tanto la presunta riduzione ad un "pusillus grex" (piccolo gregge), tanto l'altrettanto presunta trasformazione della materia non sono argomenti atti a rafforzare la fede dei seguaci? Turba Philosophorum: Per quanto mi riguarda la profezia è una visione più lucida della realtà stessa, sempre che sia qualcosa di verace, ovviamente. Ciò a cui fa riferimento Pietro non è quindi considerabile come "profezia" bensì come "profezia autoavverante" EA: Non bariamo! Una visione più lucida della realtà non si rivolge necessariamente al futuro, caratteristica che è peculiare della profezia. Per giunta le profezie apocalittiche, quando vennero create, si rivolgevano ad un futuro lontano e indeterminato e perciò assai poco "lucido"! Quel che sta dicendo Pietro è che moltissime sedicenti profezie non sono affatto "letture delle sorti",

bensì "legature delle sorti", cioè tentativi magici di ipotecare il futuro, mediante la propalazione preventiva di credenze. Turba Philosophorum: La profezia verace taglia la dimensione temporale perchè il tempo, in determinate condizioni, non esiste. La difficoltà sta solo nella "comunicazione", nella forma "tradizionale". EA: Rispetto questo approccio 'contemplativo', ma in magia non ci facciamo raccontare il futuro da nessuno. In un mondo magico, il presente e il futuro si costruiscono e ci si assume tutta la responsabilità di ciò che si fa e delle sue conseguenze(1). (1) Riguardo alle 'profezie' che si possono trovare nei testi del teosofismo anglo-indiano, come pure nei testi di R. Steiner, si può notare che, da un punto di vista magico, esse hanno il vantaggio, rispetto a quelle di tipo apocalittico, di assumere, in genere, un atteggiamento positivo riguardo al futuro. Esse possono essere, eventualmente, accolte in più maniere: a) come visioni simboliche; b) come visioni di "tendenze", che sta pur sempre all'uomo e agli altri esseri attuare o meno; c) come "sortilegi" di buon auspicio, nel caso si auspichi quel medesimo futuro. In nessun caso, se si segue una via magica, si potranno accogliere come fatti che debbano accadere ineluttabilmente, qualunque sia il comportamento degli esseri senzienti. [N.d.U.]

VII) L'Iniziazione "Orientale": l'Arabismo Alba: Il seguente saggio di Massimo Scaligero, che fa parte dell'opera "Lotta di classe e Karma" (Perseo, Roma 1970), mette in evidenza tutti i danni palesi e occulti che il cosiddetto aristotelismo arabo ha prodotto nel mondo occidentale, da quando venne conosciuto in Europa sino a tempi molto recenti, nei quali ha influenzato un certo tradizionalismo. Danni resi maggiori dall'avere gli intellettuali europei, nel corso dei secoli, sottaciuto e sottovalutato l'influenza di questa corrente filosofica, che ha così potuto agire più occultamente. 7a) MASSIMO SCALIGERO

L'Arabismo e l'Equivoco Esoterico La difficoltà ad afferrare il moderno pensiero razionale come attività pura, indipendente da nome e forma, l'impossibilità di concepire il conoscere come corrente di vita, l'identificarsi del pensiero con il guscio sensibile delle cose come con la propria forma dialettica, la chiusura dell'anima al Sovrasensibile, allato alle presunzioni esoteriche o iniziatiche circa il Sovrasensibile pensato di là dal pensiero, sono eventi la cui interrelazione rimanda all'influenza esercitata nel Medioevo dal pensiero arabo sul pensiero europeo: in particolare alla penetrazione in Occidente della Metafisica di Avicenna e di Averroè. Al pensiero mediante cui si sarebbe dovuto esprimere in Occidente il principio dell'

Autocoscienza, l'Aristotelismo alterato dai filosofi arabi precostituì un limite, che né la Scolastica, né in seguito Bacone, né Cartesio, né Kant, né Hegel riuscirono più a superare. A un tale precedente occorre risalire, se si vuole spiegarsi il venir meno della missione della Filosofia. L'impossibilità dell'uomo conoscente di avvertire il Logos nel pensiero, o di congiungere la coscienza pensante con l'Io, ebbe come analogo la perdita del Logos nella sfera religiosa, onde oggi è generalmente possibile un Cristianesimo etico o politico, senza Cristo. Dal deietto pensiero è stato posto alla Conoscenza un limite, che il Materialismo ha avuto ragione di assumere come fondamento e lo Spiritualismo ha creduto superare mediante vie antiche, impulsi del passato, fuori della corrente in atto del conoscere. Ambedue hanno manifestato l'incapacità di accogliere l'Io nel nascente processo della coscienza, l'iniziale presenza dello Spirito nella consapevolezza individuale. Nei tempi moderni, l'arenamento della missione dell'Idealismo, epperò la possibilità che da esso filiasse il Materialismo, e, in sede spiritualistica, la nascita di un Esoterismo occidentale capace di usare e tuttavia ignorare le nuove forze della Conoscenza, mediante impulsi della Tradizione, o della Gnosi cristiana, o della Teosofia anglo-indiana, incapaci di ravvisare l'inizio del reale Esoterismo nella connessione della coscienza conoscente con il proprio Principio interiore: sono fenomeni che si possono far risalire a ciò che penetrò nell'anima occidentale mediante l'insegnamento di Avicenna e di Averroè riguardo al principio dell'Io, secondo un'alterazione della dottrina dell'anima di Aristotele. La dialettica di Aristotele fu usata come forma di un contenuto appartenente all'anima islamica. Un'antica visione del Divino fece sua la logica di Aristotele: la quale, come primo strumento di una nuova consapevolezza del mondo, avrebbe dovuto recare nell'attività razionale la virtù del Logos, quale forza radicale dell' Autocoscienza. Questo moto subì la sua paralisi in Europa, ad opera dell'Arabismo, che negava all'intelletto individuale capacità sovrasensibile. L'Aristotelismo penetrò arabizzato in Occidente. Ma non fu tanto l'Aristotelismo alterato, quanto ciò di cui esso fu veicolo: l'elemento psichico avverso al Logos, sotto forma di un sostanzialismo metafisico, misticamente fascinoso, che, per altra via, costituì la forza dell'impulso simboleggiato, nella leggenda del Graal, da «Chastelmarveille», il centro «occulto» il cui còmpito nel Medio Evo fu avversare l'azione del Graal: come tuttora la avversa. Due sono le forme in cui ancora l'impulso arabo-siculo di Chastelmarveille tenta di ostacolare il Graal, mediante nuovi testi ed esegeti: la «arimanica», che tenta di far apparire il Graal un Mistero non cristiano, e la «luciferica» che, pur apparendo cristiana, edifica un contenuto mistico-sentimentale della sua simbologia, eludendo la via dell'Io, o del «pensiero Logos», che è il senso ultimo della vicenda di Parsifal. Si tratta di due forme dell'identico contenuto metafisico, affermante un mondo celeste o «sidereo» di là dalla coscienza che lo concepisce, secondo una separazione dal metafisico, possibile come riflesso di un sostanziale vincolo al mondo fisico. Questo vincolo è simboleggiato dalla figura dell'avversario del Graal, Klingsor, originariamente cavaliere della Sacra Coppa, espulso dalla Rocca di Titurel, per aver tentato di conseguire il valore metafisico del sesso mediante un fatto fisico: impresa anti-graalica, non dissimile a quella di una presunta conquista del Graal nello stato sognante di un artificioso raptus mistico. In ambo i casi si verifica l'affermazione della coscienza esoterica come coscienza di ciò che è altro da sé: l'elusione del Logos immediato all'essere della coscienza, l'inganno da cui origina ogni lotta contro lo Spirito, e ormai ogni esaltazione della Materia. Il dualismo averroistico, la separazione tra Spirito e Vita, si continuò con potenza razionale in Bacone, si ripeté in forma critica in Kant, indi, dopo il tentativo riunificatore di Hegel, dette luogo alla serie traumatica delle scissioni dello Hegelismo, sino all'attuale conciliabilità di Materialismo e Spiritualismo: conciliabilità che si può vedere come un analogo della duplice forma dell'impulso avverso al Graal, ossia della filiazione dallo stesso ceppo arabico, ora secondo un'opposizione semplicemente formale, dovuta alla non coscienza del comune fondamento. Quando lo Spiritualismo contempla il mondo contemporaneo, lo rifiuta, perché manca della consapevolezza dei mezzi interiori con cui lo contempla: respingendo l'attuale conoscere, del quale pertanto fruisce, si appella alla Tradizione, al passato. Analogamente, quando il Materialismo fonda la sua visione del mondo sul dato dei sensi, ignorando il senso delle forze connessive del pensiero, attua in forma nuova gli impulsi di un atavico Misticismo: rivolgendo alle conclusioni della Scienza la fede un tempo richiesta dalla

Rivelazione, resuscita il passato. Né Spiritualismo, né Materialismo sono capaci di avvertire l'elemento di perennità evocato e ogni volta alienato nel pensiero che opera nel mondo fisico. Ad ambedue manca.la consapevolezza del momento sovrasensibile con cui assumono cognitivamente il sensibile: lo cercano oltre il pensiero con cui lo pensano, oltre l'Io che lo sperimenta. Cercando enti metafisici o fisici di là dal conoscere, si aprono inconsciamente alla corrente istintiva. Non avvertono che questo conoscere pone a sé un limite, che esso solo può togliere. Ma il toglierlo non è operazione filosofica, o dialettica: è sperimentare il conoscere, piuttosto che come opus dialecticum, come fluire dello Spirito indipendente dal pensiero, epperò afferrabile entro il pensiero. Attraverso le controversie speculative cui dette luogo, l'Arabismo penetrò in Occidente come sottile impulso a separare l'elemento spirituale dal conoscere rivolto al mondo fisico, onde al conoscere divenne impossibile trovare in sé il proprio Principio: lo vide in un di là da sé, epperò di là dalla vita. Un simile impulso pregiudicò in Occidente la comprensione della funzione dell'Autocoscienza e la nascita della filosofia dell'Io. In talune espressioni dell'etica e del presunto Esoterismo, si è persino giunti a vedere nell'Io l'ostacolo allo Spirito, il principio della prevaricazione. Il germe del pensiero d'Avicenna penetrò nell'anima occidentale come idea della trascendenza dell'Io reale e della precarietà dell'Io quotidiano, che sedusse molti, ma falsò preventivamente l'esperienza della Scienza, iniziando una sottile alterazione del processo dell'Autocoscienza: che non si seppe vedere in rapporto con la nuova posizione del reale, onde fu inevitabile la caduta nel realismo sensibile. Non è stato più possibile comprendere che la trascendenza dell'Io può essere posta unicamente dall'Io immanente, affiorando in esso come potere di disporre di sé e d'intuire la propria identità trascendente: soltanto in esso è la possibilità di una decisione di ricongiungimento con l'Io Superiore, o con il Logos. Mediante l'Arabismo fu immesso nell'anima occidentale un impulso di trascendimento dell'Io, prima che questo Io ci fosse e realizzasse la propria immanenza: fu invero la prematura captazione imaginativa di una dimensione superiore dell'Io, senza realizzazione umana, o individuale, dell'Io: senza relazione con il processo reale dell'Io nella coscienza di veglia, alla vigilia dell'epoca in cui questo sarebbe stato possibile, essendo l'epoca della scienza e della razionalità. L'Io, che l'uomo cominciava appena a sperimentare come autocoscienza, venne separato da sé stesso. La concezione araba, eco tardiva di una remota conoscenza sovrasensibile, abbagliò taluni ambienti della cultura d'Occidente. La concezione di un Io superiore vivente in tutti gli uomini e animante in ciascuno un Io individuale, in sé effimero, in quanto dotato di vita soltanto tra nascita e morte, ridestò illecitamente esauriti impulsi spirituali, giovandosi della forma aristotelica originariamente sorta per ben altro contenuto: essa era la forma del pensiero preludente l'esperienza dell'Io nella coscienza umana, come principio individuale. L'Io come principio, nella concezione arabica, non è realizzabile se non di là dall'umano: onde, il giorno in cui affiorerà nell'umano, verrà misconosciuto: l'attuale civiltà, infatti, spiritualisticamente e materialisticamente, ignora l'Io. L'io effimero, secondo Avicenna, è un raggio del Divino, che dopo la morte si riassorbe nel Divino. Ma proprio mediante questo Io, a torto considerato effimero, si andava preparando la nascita dello Spirito in Occidente. La seducente concezione arabica, rispondente a una remota relazione dell'uomo con il Sovrasensibile, ostacola il fluire dello Spirito nella Vita, diviene deviante nell'epoca in cui l'originario Sovrasensibile affiora nell'umano come Io, ossia nell' epoca dell'anima cosciente, in quanto elimina il senso della funzione reale dell'Io quotidiano: che è congiungere la vita quotidiana con lo Spirito. Elimina la possibilità di comprendere che l'effimero non nasce da un Io effimero, ma dal fatto che l'uomo non afferra se stesso come Io: non afferra l'elemento vivente nel concetto, in cui si esprime il potere di sintesi dell'Io. Rimesso lo Spirito a un sognato Io Superiore, il concetto, in sé pregno di vita, viene assunto privo di vita, astratto. L'uomo rinuncia all'operazione chiave della sua missione sulla Terra: riconoscersi Soggetto, responsabile della sua Storia. Questo Soggetto, anche quando lo ravvisa, rimane per lui un'entità astratta: psicologica, o sociologica, o idealistica. L'Io che si crede contingente, non ha coscienza della propria realtà, non è sufficiente a sé, epperò aderisce ad altro, traendo il senso di sé da altro: né avverte che tale senso è sempre lui a fornirlo. La categoria di effimero, o di contingente, o di materiale, è sempre lui a produrla ed è

lui a non sapere di sé, e lui a negare la propria immanenza, con le forze dell'immanenza. La concezione arabica, inserendosi nel pensiero europeo, prepara l'eliminazione della possibilità che l'Occidente comprenda, quando sarà il momento, il senso della nascita dell'Io: i Materialisti ne negano l'esistenza, gli Spiritualisti si affannano a cercarlo oltre la persona quotidiana, come se il Soggetto delle loro azioni fosse altrove che in loro. L'influsso arabico, riconosciuto nella sua ambiguità spirituale soltanto da rari pensatori, ha agito occultamente nell'anima occidentale, contaminando la Religione e la Gnosi, la Filosofia e la Scienza, sino ad affiorare possente nel mondo attuale come impulso unitario della cultura. Al pensiero di Avicenna penetrato nell'anima occidentale, è riconducibile la concezione materialistica del mondo che, oggi, non potendo più scorgere un Io superiore, si trova ad avere a che fare soltanto con un Io contingente, ma, come tale, reale, onde è portata a contrapporre ad esso, ossia all'Individuo, la Società, come nuova trascendenza: parimenti è riconducibile una religiosità incapace di trovare la connessione del nascente Individualismo con il Divino: e parimenti un Esoterismo che, mediante le strutture tradizionali della trascendenza, fa leva su un Io ignaro del potere della propria immanenza, ossia su un Io incapace di ritrovare in sé e non in Tradizioni il Logos. Tra le forme del ripullulare di impulsi morti dello Spirito, riattizzati dalle forze avverse alla presenza attuale dello Spirito nella vicenda terrestre, va indicato il sedicente Esoterismo Cristiano, rifacentesi alla Kabbala, all'Esichasmo, al Martinismo e a residui gnostici: il cui còmpito è distogliere l'attuale ricercatore dal contenuto vivente del Cristianesimo, ossia dall'esperienza consapevole del Logos, quale è richiesta dalla struttura attuale del suo conoscere. Il fine è far ignorare lo Spirito dove direttamente si esprime nella coscienza, come moto interiore del conoscere, onde divenga impossibile riferire l'attività della coscienza razionale alla sua scaturigine, ossia al potere del Logos. Priva di tale riferimento, l'attività razionale viene di continuo alterata e tradotta in una produzione demonica, il contenuto della presente civiltà. In verità, il Materialismo si alimenta delle forze che il malaticcio Spiritualismo riesce a corrompere, assumendo come spirituali le soggettive sensazioni delle mistiche emotive e dello Yoga, ignorando la vera attività libera dal corpo e perciò capace di dominare il corpo, di lasciar agire in purezza le potenze del corpo: questa attività è il pensiero nel momento che precede il suo riflettersi, il momento intemporale del Logos. L'insolubilità dei problemi del presente tempo si può far risalire all'influenza che l'Arabismo esercitò in Occidente, preparando un'inconscia opposizione dell'Io alla percezione di sé, per l'epoca della sua nascita cosciente. E' venuta meno la possibilità che l'Io, come individualità nascente, volta a indagare il mondo con forze trascendenti divenute interiori, in quanto divenute pensiero indagante, attraverso personalità come Galileo, Newton, Keplero, Giordano Bruno ecc., riconoscesse in tali forze il Logos operante nell'intelletto e nella volontà: riconoscesse cioè la propria identità con sé, ossia con la scaturigine della sua forza: che non poteva essere più il Logos misticamente sentito, fuori della coscienza, bensì a suo fondamento. Parimenti è venuta meno la possibilità che l'effimerità dell'Io quotidiano si spiegasse non con la sua irrealtà, ma con l'insufficiente coscienza di sé dell'Io reale, onde il còmpito dell'uomo non dovrebbe essere l'estinguere l'Io contingente, ma rafforzarlo in rapporto alla vita dell'anima, così che rispetto al pensare, al sentire e al volere, esso sia realmente l'Io, non lo strumento dipendente. L'Io invero diviene contingente solo in quanto lega l'affermazione di sé ai valori sensibili. Dal germe dell' Arabismo derivano a ugual titolo il Materialismo e lo Gnosticismo moderno: deriva la difficoltà del Cristianesimo ad avvertire il potere di ogni reale mutamento della Natura e della Storia come potere del Logos, immanente e tuttavia sconosciuto all'uomo: d'onde, in parte, il problematicismo di attuali esoteristi riguardo alla figura del Cristo e la loro vana ricerca della Forza reintegratrice, ossia del Logos, nelle dottrine che precedono l'avvento del Logos. Dal germe dell' Arabismo deriva parimenti il male tipico dell'umanità attuale: l'Ateismo nelle sue diverse forme, religiose, filosofiche, psicologiche, sociologiche. Deriva altresì il fatto che l'individuo è divenuto un ente astratto, componente di una Società ritenuta, invece, concreta. Come per Avicenna l'Io non era individualmente valido, così è stato per Marx. Come per Avicenna era reale, di contro alla contingenza dell'individuo, l"ente cosmico originario, così per Marx è reale di contro all'individuo la Società che lo contiene. La cultura che oggi si chiude all'Io, in realtà rifiuta la verità dell'Autocoscienza, epperò il sorgere

della libertà come evento individuale: rifiuta perciò la Democrazia: rifiuta l'avvertire nel pensiero l'attività chiave della libertà e nella libertà l'affiorare dello Spirito e nello Spirito l'essere che solo può usare la libertà. In tale rifiuto è visibile il continuarsi dell'azione iniziatasi con l'Arabismo medioevale. L'attuale dialettica del pensiero riflesso è la logica senza Logos, ossia l'Aristotelismo utilizzato in ogni forma del sapere, in funzione di un Io attuato solo come relazione mistica con la percezione sensoria. L'Arabismo è l'antico Misticismo rivolto oggi al dato dei sensi e al verdetto della Scienza: il nuovo «oppio dei popoli» in realtà è l'antica fede un tempo rivolta alla Rivelazione, oggi rivolta ai risultati della Scienza della Materia che si ritiene il fondamento, ma il fondamento che non si riesce a scorgere, venendo presupposto allo Spirito che lo pone: la più strana contraddizione del pensiero, nell'epoca del pensiero cosciente. La contraddizione è spiegabile: la dialettica assume il ruolo totale della conoscenza, nell'epoca in cui il pensiero, salvo l'aspetto del reale riducibile a peso e misura, non può più decidere della verità, in quanto divenuto identico al suo moto riflesso. Alla difficoltà del pensiero a risalire dal riflesso alla propria luce, risponde la difficoltà a comprendere che nelle forze nuove della coscienza, producenti la scienza e la tecnologia, si affaccia la realtà di un Io, la cui apparente effimerità deriva dal suo annientarsi nell'oggetto esteriore, fisico o metafisico, secondo un inconscio misticismo della privazione di sé e l'attribuzione del valore a ciò che è di là dalla coscienza, eppur rappresentato dalla coscienza, onde esso arabicamente ignora la relazione che esso stesso fa sorgere, il reale, fisico o metafisico, a cui si rimette, come ad altro. L'alienazione dell'Io è il non avvertire sé stesso, epperò il suo mancare di reale coscienza di sé. Certi drammatici attacchi alla civiltà cadrebbero, se si scorgesse questa semplice verità. L'Io non può avvertire se stesso mediante il pensiero riflesso, ossia mediante l'inanimata imagine di sé. Non potendo afferrare sé stesso, non penetra nel proprio essere spirituale, perciò non penetra nella propria realtà né in quella della Terra. Il vedere la Terra come entità meramente fisica è per l'uomo moderno la conseguenza del suo essere vincolato mediante il pensiero riflesso alla propria entità fisica, i.e. all'incapacità dell'Io di afferrare la propria basalità. La scienza e la tecnologia sono espressione delle nuove forze della coscienza al livello del pensiero riflesso. Non è la produzione scientifico-tecnologica il fine di tali forze, bensì l'esperimentazione di sé, la conoscenza. Il pensiero scientifico è legittimamente normativo per l'aspetto misurabile della realtà, ossia per il mondo sensibile, ma non è normativo per la totale realtà. La normazione del reale il pensiero può conseguirla, attuando sé stesso là dove per ora si aliena, ossia assumendo coscienza della negazione di sé: ma deve sperimentare come idea obiettiva tale alienazione, per poterla superare: oggi il Materialismo è l'alienazione inconsciamente subita e codificata; lo Spiritualismo, o la Tradizione, è l'alienazione inconsciamente subita e proiettata in rappresentazioni spirituali donanti l'illusione del suo superamento: superamento che non è possibile come ulteriore forma dell'alienazione. Nell'indagine scientifica il pensiero dovrebbe ravvisare non ciò che ha il còmpito di condurre a conquiste fisiche, ma anzitutto l'attività in cui esso si aliena e perciò potrebbe compiere un'opera di reintegrazione, o di conversione obiettiva, realizzando consapevolmente un assunto dello Spirito, un tempo dato mistericamente in simboli e operazioni rituali: potrebbe cogliere obiettivamente forze più profonde di sé, sino alla percezione dell'Io. Esso dovrebbe utilizzare il potere della propria obiettivazione nel sensibile, per attingere alla proprià scaturigine, o all'Io: trarre da sé l'elemento di correlazione con il vivente o con l'estrasensibile nel mondo. E' questa l'operazione-chiave mancata come nucleo di vita alla cultura del presente tempo, per via della persistente impronta «arabica». Se, come riflesso, il pensiero prevale e diviene totale interprete dell'essere, la sua forza è bensì attinta all'Io ma sfugge all'Io, smarrisce il rapporto con la propria scaturigine: non può non vedere la realtà identica con il suo aspetto fisico misurabile, non può non negare il Sovrasensibile. In tal senso la dottrina più coerente è il Materialismo, mentre lo Spiritualismo, gnostico o teosofico, sedicente cristiano o esoterico o pagano, vive nell'equivoco di vocazioni, dottrine e tecniche interiori volte al Sovrasensibile, ma incapaci di sollevare l'anima dal livello sensibile, in quanto ignare del còmpito esoterico chiave: il passaggio dal pensiero riflesso al pensiero vivente. La funzione del pensiero riflesso in verità è esaurita, il pensiero riflesso non ha più nulla da dare all'uomo: ogni problema del tempo, in quanto impostato dal pensiero riflesso, è destinato a

rimanere problema, tema dialettico, pretesto di polemica politica. Il pensiero riflesso ha avuto una funzione necessaria sino all' epoca del Razionalismo e della Filosofia Critica: con Hegel doveva iniziarsi il passaggio dal riflesso alla sorgente del pensiero. Il tentativo di Hegel è fallito. Tuttavia la crisi attuale del «razionale» non è il segno della necessità di un Irrazionale, bensì di un Sovrarazionale. Mentre solo una parte dell'umanità è virtualmente matura per l'esperienza sovrarazionale, tutti i problemi presenti dell'uomo la esigono. Ma il razionale riflesso, mai come in questo periodo, è stato capace di fingere i superamenti della razionalità. E' l'estensione indefinita, sociologica, religiosa, gnostica, esoterica, del pensiero riflesso. La sua sostanza è una, ma le sue espressioni sono molte e formalmente inconciliabili tra loro, incapaci di incontro, perché prive di relazione viva. Raramente gli incontri e gli aggruppamenti tra gli uomini derivano dalla relazione delle libere individualità: essi sono suscitati da necessità istintive, che il pensiero riflesso codifica. Questi aggruppamenti non possono intendersi tra loro, perché il pensiero riflesso non ha capacità di identità spirituale. L'incontro degli Spiriti è reso impossibile dal persistere del pensiero che non esprime la reale natura dell'uomo, né perciò il livello della sua basale coscienza. Le forze che dànno modo all'uomo di produrre la scienza e la tecnologia, sorgono da una zona della coscienza che egli ignora. Sarebbe importante per lui scoprire che esse gli affiorano - come si è accennato - non tanto per fornirgli il sapere scientifico, quanto per dargli modo di conoscere il loro originario movimento. Il pensiero di Giovanni Scoto Eriugena è in tal senso attuale: l'uomo ragiona e conclude come uomo, ma in lui l'angelo conosce. In realtà l'uomo respinge quotidianamente ciò che lui stesso quotidianamente sollecita di più elevato in sé, l'elemento pragmatico dello Spirito. Non è il Materialismo l'errore, ma lo Spiritualismo che ignora le forze con cui l'uomo conosce la Materia. Né la scienza né la tecnologia, ma il vincolarsi dell'intelletto ai loro prodotti e alla visione quantica del mondo, oggi corrompe la cultura, sollecitando quotidianamente l'elemento deteriore dell'anima. Nel generale processo della conoscenza, l'essere reale dell'uomo, l'essere che conosce, viene ignorato: in tale ignoranza si può ravvisare l'effetto di ciò che fu la soggiacenza dell'anima occidentale al mistico contenuto dell'Aristotelismo arabico. La Scienza e la Tecnologia non valgono tanto per quello che producono, quanto per il loro sollecitare forze originarie della mente umana rivolta al sensibile, ai fini del superamento del limite sensibile; ma l'occulta impronta arabica impedisce l'avvertire tali forze e il ricongiungersi mediante esse con il Principio cosciente: che è il Principio stesso della Scienza. L'impronta ostacolante potrebbe essere riconosciuta solo dal pensiero autonomo capace di coscienza del proprio movimento epperò di indipendenza dalla psiche. Quest'impronta non potrebbe agire attraverso l'Io: essa perdura nella psiche, grazie all'equivoco Spiritualismo, allo Gnosticismo, all'Esoterismo presumente afferrare il Logos nel formulario tradizionalista di tipo arabico, secondo un sincretismo di nomenclature d'Oriente e d'Occidente, nell'epoca in cui l'impresa dell'Autocoscienza è ritrovare il Logos, non fuori, ma in sé. Solo al distorto Spiritualismo si deve il fatto che l'attuale coscienza razionale rifiuta di riconoscere nel proprio moto cognitivo le forze del proprio essere sovrasensibile, che le consentono l'esperienza sensibile. Queste forze di coscienza sono forze di un Io reale, non effimero, ma l'uomo rifiuta di essere l'Io: o lo nega, o lo ignora, o arabicamente lo cerca dove non è. E' incredibile come sia difficile far scorgere nell'incontro del pensiero con la realtà sensibile e nella correlativa esperienza l'estrinsecazione delle forze più elevate della coscienza: indubbiamente nella forma meno spirituale. Ma nella coscienza di tali forze lo Spirito può essere ritrovato. La correlazione con il sensibile esige dall'Io un potere di autonomia, che l'Io non può attingere se non dal profondo di sé: dalla individuale Forza-Logos. E' l'esperienza del mondo moderno: sul piano fisico, l'Io, privo di direzioni a lui trascendenti, stabilisce una correlazione che fa capo esclusivamente a lui, non si appella a memorie, a tradizioni, a dottrine preesistenti, ma solo al nudo e obiettivo rapporto con l'entità fisica. In questa correlazione l'Io attua l'interno potere di autonomia che lo affranca da antichi vincoli dell'anima: comincia a esprimere il suo essere autentico, ma nella forma più bassa, quella sensibile, perché soltanto questa gli dà modo di realizzare nell'isolamento soggettivo la propria «monade», ossia l'immanenza del Logos. Ma l'autonomia cosi nascente riguarda l'Io, non la psiche interessata soltanto con i suoi istinti alla correlazione sensibile: questa in sé è giusta solamente se viene sempre di nuovo ritrovata

dall'Io, o dallo Spirito, mediante cui ha inizio. L'anima affettivo-istintiva dovrebbe vivere la correlazione con il sensibile secondo l'Io, ossia secondo il Sovrasensibile che la rende possibile. Il Sovrasensibile è il basale livello dell'ordine gerarchico del creato, come dell'Io e della psiche. La psiche perde tale livello, se bramosamente o misticamente si impossessa essa della correlazione, escludendo l'Io. Se la mediazione del pensiero riflesso, necessaria all'Io e positiva solo in funzione dell'Io, viene afferrata dall'anima razionale-istintiva, l'esperienza della Scienza, da strumento di una nascita dell'Io diviene veicolo dell'antica anima istintiva, che si serve delle forze nuove della coscienza per esprimere se stessa. Il Soggetto del processo, l'Io, viene ignorato: la sua correlazione con il sensibile viene dominata dall'anima razionale-istintiva, che si giova delle forze dell'Io, escludendolo come Soggetto. La nascente autonomia dell'Io si esprime sul piano della correlazione sensibile, come libertà non consapevole del momento del suo sorgere: erroneamente essa crede riconoscersi nella sua espressione fisica. Sul piano fisico la libertà non ha senso, il suo senso potendo essere solo la scelta noetica che esprime il suo originario movimento. Per deficienza di consapevolezza dell'originario movimento, il nascente potere di scelta viene afferrato dagli istinti. Penserà poi Freud a rendere psicologicamente legittima l'appropriazione indebita. Praticamente viene smarrita la coscienza dell' autonomia con cui l'Io ha iniziato il processo della Scienza. L'iniziale visione scientifica sensibile, ove fosse stata congiunta con il suo Soggetto interiore, avrebbe portato il potere di penetrazione del sensibile a riconoscersi come sovrasensibile, o come elemento interiore del mondo, rispondente alla realtà del Soggetto umano. E' venuta meno la possibilità che l'elemento cosciente dell'Io si riconoscesse all'interno del pensiero, affrancandolo dalla riflessità, movendo nella sua iniziale luce. Senza un tale riconoscimento, l'Io non può essere libero. Le verità di fondo, l'uomo conoscente oggi può incontrarle soltanto superando la barriera del discorsivismo, eretta dall'intelligenza dominante. Tale discorsivismo è il pensiero che si è privato della propria vita, divenendo riflesso, per dar modo all'Io di incontrare l'esclusivo aspetto sensibile del mondo: solo questo poteva stimolare l'estrinsecazione dell'elemento più profondo dell'Io nel terrestre: il suo affrancarsi dall' antica matrice spirituale, il suo operare esclusivamente fondato su sé traente da sé il Logos. Il senso ultimo dell' esperienza razionale è la nascita dell'Io Superiore come evento della coscienza: la missione della dialettica, la cui struttura spirituale si affaccia per la prima volta in Occidente con il pensiero di Platone, sfugge all'uomo da Hegel in poi, sì da rendere possibile oggi, tra l'altro, l'equivoco della esistenza di una «dialettica cinese», in realtà mai esistita - se si deve attribuire al termine dialettica il senso datogli da Platone e dalla filosofia classica - e tuttavia affermante una sua priorità teoretica, per bocca di Mao-tse Tung, quando sono note le irregolari origini dell'esperienza filosofica cinese agli inizi di questo Secolo. Il pensiero riflesso, che dovrebbe essere il veicolo iniziale della penetrazione dello Spirito nella «obiettività» della Materia, può divenite il veicolo dell'imprigionamento dello Spirito nella Materia, ossia una irrealtà resa realtà dallo Spirito. Questo imprigionamento è però un'impossibilità; Mancando del veicolo della conoscenza liberatrice, lo Spirito è portato a spezzare la sua prigionia-maya mediante catastrofì-maya. Le attuali catastrofi sono il segno della Conoscenza respinta dall'uomo: sono la conseguenza delle strutture della cultura e della civiltà, contraddicenti il Principio a cui attingono, l'Ordine spirituale. Quest'Ordine non può non riaffermarsi: se s'intravvede il suo processo, di là dalle interpretazioni dovute alle filiazioni moderne della metafisica di Avicenna e di Averroè, si constata che esso esige come veicolo la coscienza autonoma: non l'ottusità delle teorie o dei provvedimenti esteriori, bensì l'elemento originario dell'anima, che un tempo veniva trovato nelle mistiche, o nelle metafìsiche, oggi è invece ritrovabile nel pensiero sollecitato dall'esperienza sensibile-razionale, ma rischia di essere identificato con l'oggettività fisica, per insufficiente coscienza della funzione del pensiero riflesso. Da una risoluzione interiore dell'uomo dipende il ristabilimento del circuito della Luce, epperò il fluire di forze morali nella Terra: che le attende come un suolo arso attende l'acqua che gli restituisca la vita. Solo il pensiero vivente può unire gli uomini di là dalle loro diversità: le Nazioni, le categorie, le associazioni, le correnti politiche, debbono mantenere le loro distinzioni, ma intendersi di là da queste, secondo incontri metadialettici, prima che secondo unifìcazione formale dei linguaggi.

La confusione delle lingue riguarda l'espressione del pensiero riflesso: il pensiero vivente è esperienza identica per ogni uomo, al di sopra dell'ordinaria razionalità. Non v'è stato nostro libro che non sia stato scritto in funzione della indicazione di tale Via del Pensiero. Questa può restituire all'uomo l'arte del meditare, che è l'arte di accordare l'Umano con il fondamento superumano, che non è certo l'umano potenziato, bensì ciò di cui l'umano è manifestazione, se la manifestazione non viene grossolanamente assunta come realtà in sé. Il Sovrasensibile può divenire esperienza interiore, ritornare ordine umano, mediante l'autoconoscenza pragmatica dell'individuo: pragmatica in quanto rispondente alla realtà della sua struttura, piuttosto che a dottrine espressive della incapacità di percepire tale struttura. Una nuova conoscenza dell'uomo deve nascere, ma da qualcosa di più che un apprendimento di dottrine: dalla coscienza delle forze interiori a cui l'Io dà forma mediante l'esperienza razionale-tecnologica. Il senso ultimo di tale esperienza è l'esperienza delle forze che la rendono possibile. Oggi è difficile identificare la direttrice impersonale, o l'intenzione di fondo di quel seducente intellettualismo mistico-metafisico, che previene, nei confronti del cercatore, la possibilità di una percezione diretta del contenuto dei simboli sacri e dei miti, con il fornirgli la loro interpretazione già fatta, mediante un sistema di signifìcazioni in cui il Trascendente appare compiutamente intuito. Venendo presupposta dagli espositori la loro conoscenza sottile dei simboli e dei miti, sarebbe stato indubbiamente più utile che essi avessero fornito all'uomo di questo tempo il metodo di tale conoscenza, acciocché egli con i suoi mezzi interiori penetrasse il senso del Sacro. Per l'indagatore attuale è decisivo sperimentare il Sovrasensibile nelle attività cognitive in cui immediatamente si manifesta: egli dovrebbe, con i propri mezzi interiori, poter percepire l'ètere vivente di un fiore, o di un cristallo, o la corrente di vita di un concetto trasparente, o la forza che si esprime nel lampo o nella bufera. Si tratta di un tipo di esperienza, per la quale l'uomo attuale sarebbe pronto, ove facesse un logico uso delle forze che invece lascia degenerare nella coscienza riflessa: non si tratta di «auto-Iniziazione», bensì della Conoscenza che libera dagli impedimenti del malaticcio Misticismo come dell'inerte Materialismo: ma è parimenti la preparazione individuale richiesta dall'Iniziazione. Le forze che occorrono oggi all'uomo per fronteggiare il Meccanicismo assoluto, sono quelle stesse che generano il Meccanicismo. La loro conversione dà modo di percepire il vivente nella natura e nella storia, il tramare delle forze cosmiche nella vicenda quotidiana, le entità supere ed infere che si esprimono nel pensare, nel sentire e nel volere: rispetto alle quali è libero soltanto colui che sa come contemplarle in sé. Accade invece che l'apprendista esoterico venga facilmente persuaso a cercare lo Spirito oltre lo Spirito che è in lui - e ciò, malgrado la dovizia delle dottrine, è un allontanarsi dallo Spirito - a considerare visionarismo la percezione sottile degli èteri degli elementi, a non considerare «regolare» la dottrina della Reincarnazione, e a catalogare sotto l'etichetta di «teosofismo» ogni insegnamento che non rientri nel quadro della Tradizione riesumata. In effetto, il meditare secondo i canoni della Tradizione può afferrare di questa soltanto ciò che è esaurito, se non conosce l'arte della conversione del pensiero riflesso: che è arte attuale, riguardante il pensiero del presente tempo e non quello tradizionale. Ove non superi il limite del pensiero riflesso, ciò che tale meditare ritiene rianimare del «tradizionale», è soltanto un sentimento che non esce dalla corporeità, attingendo a potenze concluse nell'inconscio fisico: tuttavia può chiamare ciò esoterico o iniziatico o gnostico. Non vi può essere uscita dal limite della psiche individuale, senza risoluzione del pensiero riflesso: che è operazione del pensiero autocosciente: operazione del pensiero nel pensiero, ma non operazione filosofica, bensì atto pragmatico che va dallo spirituale al fisico, momento sperimentale della conoscenza, coronamento di una connessione con le forze che, invero estranee a ciò che di esse esegeticamente viene detto, operano come perennità della Tradizione. Il male umano non è veramente là dove appare Materialismo, ma là dove sorge come alterazione del conoscere, propiziata dal presunto Esoterismo, ricco di kabbale e di omologie di dottrine, ma gelido perché anemico di pensiero: che è dire di forze morali. Il male sorge là dove si rinnova in forma moderna l'avversione al Logos, di cui fu inoculatore nell'anima occidentale l'Aristotelismo derealizzato. La visione dell'assoluto sensibile di Marx, Feuerbach, Lenin, Trotzkji, ecc. non è una causa, bensì una conseguenza. Questa causa non va ricercata in una

dottrina sociale o politica, o in un sistema dialettico, ma in qualcosa che è prima e tuttora persiste: in un culto metafisico-mistico, mirante a voluttà meditative ed estatiche, piuttosto che a conoscenze liberatrici: va ricercata in discipline del sentimento e dell'intelletto, che sviluppano un tipo psichico di forza, a condizione che non sorga l'autore, l'Io, ossia l'essere indipendente non soltanto dalla psiche, ma anche dalle facoltà interiori: a condizione che non sorga colui che usa le facoltà in quanto è lo Spirito. Le facoltà interiori divengono le forze dell'ego. L'essere inferiore dell'uomo diviene asceta, maestro di saggezza, geloso del suo sapere, soddisfatto della sua coscienza esoterica e persino dei suoi impulsi di fraternità. La consunzione della civiltà rimanda a un culto delle forze estraniate al centro da cui scaturiscono: inconsciamente usate in opposizione alla loro scaturigine. L'attuale ipnosi gnostica è identica a quella che l'anima occidentale subì ad opera dell' Aristotelismo arabico, della Metafisica senza Io, della Logica senza Logos. Quello che allora per via filosofica fu inserito nell'intelletto umano, perché non ritrovasse in sé lo Spirito, quello che successivamente è stato confermato come presupposto condizionante ogni conoscere, l'in sé kantiano, risponde in sede spiritualistica all'in sé del corpus rituale e delle discipline degli attuali metafisici, il cui còmpito è prospettare un'esperienza trascorsa dello Spirito articolata in tutte le sue analogie e i suoi nessi, da cui il Soggetto umano sia dipendente: l'indipendenza venendo trasferita all'ente metafisico, ritenuto reale fuori dello Spirito che lo metafisicizza. Dall'àmbito dello Spirito viene escluso l'Io, il Soggetto che lo realizza. E' l'operazione che ha come corrispettivo sul piano razionalistico una scienza della natura da cui viene escluso l'uomo. Questa esclusione si perpetra nel dominio dell'anima, come continuazione di impulsi a cui sin dal Medio Evo si deve la deviazione del pensiero. Gli impulsi oggi continuano nella forma della Scienza agnostica, come della Gnosi criticamente restaurata eppur priva di pensiero: sotto forma di un rifiuto della civiltà, in nome di un irreale mondo antico, e in funzione della rinuncia a riconoscere il reale dietro la parvenza della quantità. In effetto, là dove appare assolutamente negato, lo Spirito dovrebbe essere ritrovato. *** Abraxa: Il saggio che ora presentiamo, pubblicato per la prima volta nella rivista "Scientia" (Zanichelli, Bologna, 1912) è dell'illustre orientalista Leone Caetani, autore della monumentale opera in dieci volumi "Annali dell'Islam", dedicata ai primi quaranta anni dell'egira. Sull'Islam egli scrisse anche la "Chronographia Islamica" e l' "Onomastico Arabicum". Importante membro del Grande Oriente Egiziano, al contrario della zia Ersilia Caetani Lovatelli (l'Ekatlos del Gruppo di Ur), non credette nella possibilità di indirizzare il fascismo verso una concreta ripresa dell'aspetto magico della Tradizione Romana Prisca e preferì trasferirsi in Canada. Il seguente saggio, prescindendo da quel poco che si riferisce specificamente a fatti dell'epoca dell'autore, è di una attualità sorprendente. Si tratta di una chiarissima descrizione della nascita e dello sviluppo dell'Islam, come anche della sua irriducibile opposizione all'Occidente, che esclude ogni intimo accordo. Egli indicò anche l'unica via percorribile: "Il più alto compito civile nostro sarà di dimostrare all'Oriente la possibilità che la sua cultura fiorisca al lato della nostra in piena libertà e sicurezza...Soltanto in questo modo la crisi, quando mai verrà, potrà svolgersi per vie pacifiche e legali, per il maggior bene collettivo di tutto il genere umano." Purtroppo non è stato favorito, come egli indicava il crescere parallelo e indipendente delle due culture. Gli Occidentali hanno continuato a perseguire troppi interessi economici nell'oriente islamico e gli islamici, da parte loro, hanno cercato nuovamente di invadere l'Europa. Come? Prima creando da noi delle loro comunità; poi cercando di allettare alcuni intellettuali come R. Guenon, che gli facessero propaganda e nello stesso tempo minassero, creando sfiducia, non solo il materialismo, ma anche le basi spirituali dell'Occidente. Infine, attualmente, mediante minacce armate. La soluzione? Quella di Caetani, che al giorno d'oggi significa: 1) diventare il più possibile autarchici nei confronti del petrolio islamico e non impicciarsi delle beghe interne dei popoli islamici; 2) non accettare emigrati di religione islamica, i quali, per loro diversa struttura interiore, non smettono di odiare gli europei anche quando questi danno loro lavoro;

3) favorire l'emigrazione degli intellettuali europei filo-islamici nei paesi islamici; è coerente che essi si comportino come fece, anche se forse in ritardo, R. Guenon: perchè se ne stanno qui a lamentarsi del mondo occidentale, quando se ne possono andare felici e contenti nel mondo islamico? In particolare, a Claudio Mutti che, ne "La funzione dell'Islam e l'Occidente" (Parma 1981), sostiene l'esistenza di un hadith che prevederebbe l'islamizzazione di Roma, rispondiamo che non esiste alcun hadith del genere, anche se è certo facile inventarsene all'occorrenza e, che, anche se esistesse, sinceramente ce ne "faremmo un baffo".

7b) Leone Caetani La funzione dell'Islam nell'evoluzione della civiltà I rapporti politici, economici e religiosi tra l'Europa e l'Asia, tra Oriente ed Occidente, costituiscono la tela, sulla quale si disegna e si svolge la drammatica trama della storia del mondo civile. Le guerre tra la Grecia antica e l'impero persiano, le conquiste di Alessandro, l'età d'oro dell'Ellenismo mondiale, il dominio romano su tutto il bacino mediterraneo e sull'Asia Anteriore, la nascita del Cristianesimo, il repentino catastrofico apparire dell'Islamismo, le Crociate, la caduta di Costantinopoli e l'invasione turca in Europa sono alcune delle pietre miliari a tutti conosciute nel millenare progresso dell'umanità verso i suoi lontani destini in mezzo al perpetuo contrasto tra le due civiltà dell'Asia e dell'Europa. Ma la febbre d'indagine accurata e profonda sulle vere cause di tutti i fenomeni, sia naturali che umani, sospinge lo studioso moderno a non restar contento di conoscere le sole forme esterne, teatrali, abbaglianti della storia. Nei re, nei conquistatori, nei profeti, nei moti migratori di popoli, di idee e di religioni, e nelle intense passioni per cui battaglie furono vinte e perdute, imperi e civiltà sorsero e caddero noi vediamo sovrattutto i sintomi esterni, materiali, di intricate e oscure leggi sociologiche che, nei millenni ancora non contati della loro esistenza, hanno regolata tutta l'evoluzione spirituale e materiale degli uomini. Oggi che le nazioni europee dominano tanta parte del mondo orientale, oggi che per la divisione degli ultimi resti di trapassati imperi in Africa e in Asia, sì vive si sono accese le passioni imperialiste e le cupidigie di domini territoriali: oggi più che mai ha valore e urgenza il conoscere che cosa sia l'Oriente, qual significato abbiano le civiltà asiatiche e quali leggi ne abbiano determinato la genesi: l'ignoranza di queste leggi potrebbe essere causa di errori e di umiliazioni, da scontarsi presto o tardi con perdita di tesori e con orribile spargimento di sangue. Quanto sia necessario questo studio, quanto sia doverosa una sicura intelligenza del mondo orientale ci è parso dimostrato a sufficienza dalle prove quotidiane dell'ignoranza generale, rivelata non solo dalle ingenue improvvisazioni di giornalisti, ma persino da persone che hanno a lungo vissuto in Oriente senza tuttavia riuscire a penetrare nel fondo della coscienza orientale. Nell'estate scorsa, ad. esempio, nella "Nineteenth Century" abbiamo letto due bellissimi articoli, l'uno dello storico E. Bevan (agosto 1911) e l'altro di Sir Bampfylde Fuller (novembre 1911) già governatore d'una provincia indiana, ambedue intitolati East and West, ossia Oriente ed Occidente. Il primo ha voluto sostenere che tra orientali ed occidentali non esiste vera incompatibilità, e perciò non è impossibile una fusione intelettuale e religiosa. Il secondo, avendo avuto una conoscenza più pratica e diretta del mondo asiatico, ha insistito sulle differenze morali tra orientali e occidentali, e sul concetto profondamente diverso che gli uni e gli altri hanno della vita. Ambedue gli scrittori hanno però ignorato, o meglio trascurato, il coefficiente religioso, che costituisce invero l'elemento fondamentale di divario e d'incompatibilità tra europei cristiani ed asiatici di varie fedi, ma soprattutto musulmani. La corretta interpretazione dei fenomeni religiosi ci sembra l'argomento principalissimo di studio in questa ricerca; va considerato anzi come la chiave di volta di ogni giudizio sintetico sull'Oriente, e quindi come l'imprescindibile concetto ispiratore e direttore di ogni iniziativa, o politica o educativa, tra popoli non europei. Si tratta in altre parole di rispondere a vari quesiti singolarmente delicati a definire e difficili a

considerare con spirito veramente sereno ed imparziale. Dobbiamo cioè domandarci: gli orientali possono adottare la nostra civiltà, le nostre istituzioni e le nostre concezioni religiose, giuridiche e sociali? Le religioni che essi professano, e le tradizioni che gelosamente conservano, sono un impedimento al loro sviluppo ed alla loro elevazione morale e materiale? Dobbiamo quindi scalzare la loro civiltà e sostituirla con la nostra? L'azione morale della civiltà europea sugli orientali in quanto è un bene, e in quanto invece è per essi un danno ed un pericolo? E' nostro dovere di trasformarli in uomini come noi, di europeizzarli, o non conviene piuttosto di lasciarli invece quali sono e tentare la loro elevazione morale, eccitando le vigorie naturali senza distruggere quell'«orientalismo» che è prodotto di millenare adattamento alle esigenze ineluttabili della natura e della vita? Sono problemi pratici, immediati, che la continua espansione della moderna civiltà ha imposto a tutte le nazioni europee aventi sudditi orientali; ma che in nessun luogo e in nessun tempo hanno ancor trovato soddisfacente soluzione: tutti i governi hanno preferito andare innanzi empiricamente, alla cieca, senza concetti precisi, e senza un obbiettivo chiaro, distinto e voluto. Solo gl'Inglesi in Egitto e in India - in parte anche gli Olandesi nei loro possedimenti oceanici per felice intuito d'ingenita sapienza politica ed amministrativa, hanno compreso quale dovrebbe essere la soluzione pratica dei quesiti, ma senza approfondire l'indagine e senza elevare la pratica stessa a sistema teorico. Pochi mesi or sono tali argomenti sarebbero sembrati, a molti, questioni puramente accademiche per noi Italiani: ma gli eventi sono precipitati e l'Italia, con il decreto di annessione della Tripolitania e Cirenaica, ha assunto oggi alcune gravissime responsabilità civili, di cui è dovere rendersi conto. Fra non molto il Parlamento sarà chiamato a studiar leggi per l'ordinamento delle due nuove provincie africane ed a risolvere problemi oltremodo intricati, difficili e per di più costosissimi di uomini e di danaro, se l'azione legislativa non sarà ispirata ad una sicura conoscenza del mondo orientale e ad un sereno apprezzamento dei bisogni morali dei nostri nuovi sudditi o meglio concittadini musulmani. Questo fatto nuovo, di capitale importanza politica, è ragione sufficiente perchè oggi si ponga e si discuta brevemente, in linea sintetica, la diagnosi del fenomeno orientale e in particolar modo di quello musulmano, il quale per ragioni, che ora chiariremo, porge anche speciali facilitazioni alla nostra intelligenza e si lascia da noi più agevolmente intendere ed analizzare. Anzi possiamo dire che l'Islamismo è l'evento più tipico, più caratteristico nei rapporti tra Oriente e Occidente. La sua nascita e la sua ragion d'essere nell'evoluzione storica del mondo orientale, studiate con imparziale e serena attenzione, rivelano meglio che ogni altro argomento d'indagine la segreta ragione di tanti diversi ed in apparenza distinti fenomeni della storia passata e degli eventi contemporanei, gettano luce su tutto il mondo orientale e possono riuscire di speciale utilità per noi Italiani nell'imminenza immediata, direi quasi imperiosa di una nuova opera legislativa. Ma anche se questo non fosse, non è pur nostro dovere il rammentare e trarne insegnamento dai continui e secolari contatti che l'Italia ha avuto con l'Oriente musulmano? L'Italia moderna, uscita dalle lotte epiche del Risorgimento, è ormai quasi immemore del fatto che già sul finire del VII secolo le celeri navi dei Califfi depredavano le coste della Sicilia e tornavano in Africa con i calici d'oro, i reliquiari ed i preziosi candelabri delle chiese saccheggiate; mentre nella stiva, fra i negri rematori del naviglio saraceno, piangevano sconsolate donne e fanciulle, vedove le une, orfane le altre, condannate a mai più rivedere i patrii lidi e le ubertose zolle delle pendici etnee. Da quel giorno, o in commercio o in armi, per quasi tredici secoli, l'Italia ebbe, con varia vicenda, rapporti mai interrotti con i fedeli dell'Islam come padroni, o servi, o rivali. La Sicilia non fu per secoli una provincia musulmana? I corsari africani , non sono stati il flagello delle coste tirrene e ionie sin quasi ai tempi nostri? Tutta la vita politica e commerciale delle repubbliche marittime d'Italia si svolse in continua gara, ora pacifica e commerciale, ora militare e nemica, con gli stati musulmani lungo le coste del Mediterraneo. La teologia di San Tommaso d'Aquino, la medicina della Scuola salernitana, i rudimenti delle scienze fisiche nelle prime Università italiane, e perfino le visioni dantesche del mondo soprannaturale sono inspirate imbevute di scienza e di filosofia antica, raccolta, trasmessa e plasmata dai teologi arabi di Cordova e di Baghdad, un tempo maestri alla barbara Europa. Più tardi la fervida vita commerciale e politica delle nostre repubbliche annodò rapporti di continuo, immediato, contatto con il mondo musulmano. E negli ultimi anni il crescente scambio

di prodotti con l'Oriente, i moti nazionali in Turchia, le complicazioni marocchine, i possedimenti coloniali, le nostre ambizioni africane e le recentissime, dolorose, illusioni sui sentimenti delle popolazioni tripolitane verso di noi, ci ricordano, o almeno dovrebbero, a ogni pie' sospinto, ricordarci, che al di là del mare già nostro, esistono una civiltà e una fede sempre a noi irreducibilmente nemiche, barriera insormontabile di pregiudizi di razza, di odii religiosi e di secolari tradizioni. Oggi l'Italia con l'occupazione di Tripoli e della Cirenaica è venuta di nuovo in immediato, diretto, contatto con il cerbero islamico, e le stragi crudeli dei nostri fratelli fra le palme di Sciara Sciat nella giornata del 23 ottobre 1911 sono state per gli Italiani una dolorosa sorpresa, ma forse anche un utile insegnamento. L'lnghilterra, la Francia, la Russia nel costituire i loro immensi imperi fra popolazioni musulmane hanno acquistato una lunga e penosa esperienza, tutta istoriata di stragi di incendi e di tetre tragedie, Nonostante sforzi generosi, larga preparazione intellettuale e materiale, e sacrifici incalcolabili di vite e di danaro attraverso lunghi periodi di tempo, hanno tutte trovato nella civiltà e nei popoli islamici una irreducibile resistenza, forze sociali di tenace ribellione che niun mezzo civile poteva non già rompere, ma nemmeno piegare. Per tutte le nazioni europee ed oggi anche in particolar modo per l'Italia ha importanza, anzi è perciò un vero dovere, che non soltanto il solitario studio degli orientalisti e islamisti, ma il pubblico e l'anima popolare acquistino contezza dell'origine, della natura e delle ragioni del singolare fenomeno, che con bagliore sinistro d'incendi e di armi mise in forse, circa mille e trecento anni or sono la stessa esistenza del Cristianesimo e della civiltà europea, e che tiene ancora strettamente avvinta la coscienza di 260 milioni di uomini, tutti concordi in un unico e vivo sentimento, l'avversione al Cristianesimo ed alla civiltà europea, Ma non basta spiegare "come" avvenisse la nascita dell'Islam; per noi europei, dominatori o collaboratori di popoli musulmani soggetti, ha più diretto valore ed urgenza il conoscere "perchè" questa fede trionfasse così strepitosamente nel VII secolo, "perchè" ricacciasse vittoriosamente la nostra fede e la nostra civiltà dall'Asia e dall'Africa, e "perchè" oggi ancora, indomata ed invincibile, perseveri nella implacabile ostilità verso di noi, e con questa bandiera estenda sempre più i suoi confini in tutte le parti del mondo. Un fatto di proporzioni tanto grandiose, che serba pur dopo uno svolgimento lungo e svariato una vita ancora intensa e tenace, deve avere ragioni assai complesse e remote: deve avere le sue radici vitali nella parte più profonda della coscienza orientale ed esprimere i sentimenti essenziali di quella psiche etnica. Fa d'uopo dunque che il problema venga scrutato a fondo dalla nostra analisi, perchè solo una corretta interpretazione di esso potrebbe giovare, in un avvenire non lontano, a diminuire le resistenze più temibili e ad iniziare, tra buoni auspici, un armonico modus vivendi tra Italiani e musulmani in Tripolitania. Per deficienza di documenti e per pregiudizio di fede e di razza, errato e parziale fu sempre il nostro giudizio sulla fede venuta d'Arabia e sulla rivoluzione da essa suscitata nello svolgimento della civiltà orientale, Soltanto oggi, che la cultura critica moderna va lentamente disgregando e spegnendo antichi, vieti pregiudizi di fede e di razza, noi riusciamo ad intravedere, tra le nebbie d'un passato ormai remoto, le grandi linee e le principali ragioni di quel pauroso dramma musulmano, per cui i veloci guerrieri d'Arabia, in poche decine d'anni, percorsero una volta, trionfanti, da un capo all'altro, quasi tutto il mondo conosciuto. Quello stesso piccone demolitore dell'analisi scientifica, imparziale sì ma spietato, che si è appuntato contro tutti i nostri istituti sociali, morali e religiosi, penosamente eretti per imperioso bisogno dalle generazioni che ci hanno preceduto, intacca oggi anche i venerandi istituti dell'Islam, ne muta il significato e ne rivela le intime forze generatrici. La moderna analisi del fenomeno islamico ne trasforma tutto l'intimo significato, quale era sembrato agli studiosi del XIX secolo, ne allarga la base e ne rintraccia le intricate origini morali e materiali in tutta la storia antica dell'Asia e dei suoi rapporti con l'Europa. La nascita della nuova fede non appare più nella veste semplicista in cui la videro i nostri padri; non è più la vecchia storia di un profeta impostore, che accende improvvisamente nei suoi accoliti una fiamma religiosa e li lancia alla conquista del mondo abhagliandoli con l'illusione di convertire l'umanità al nuovo verbo, e di riscattare sè stessi e gli uomini tutti dal peccato o dall'errore, accecandoli con promesse elettrizzanti di paradisiache voluttà sensuali. Non è più vero che le schiere musulmane, animate da una fiammante fede religiosa, illuse di essere l'istrumento della volontà di Dio, trionfassero per la

forza irresistibile di tale sentimento sui loro nemici infiacchiti ed inseniliti da una civiltà millenare e corrotta. Queste sono fiabe, sono visioni di altri tempi. La verità è ben diversa: meno drammatica forse, ma assai più vasta, complessa; più gigantesca e sovrattutto meno personale: non l'opera cosciente di un uomo e di un pugno di temerari guerrieri, ma l'integrazione d'una mondiale rivoluzione sociale, iniziata secoli e secoli prima di Maometto, evoluzione che oggi ancora è lontana dal compimento della sua grandiosa parabola. Maometto, il Corano, l'Islam, furono gli incidenti determinanti, e la veste occasionale d'uno dei più intricati, maravigliosi e singolari eventi della storia umana, una nuova variazione del tema fondamentale della storia del mondo: l'incessante agire e reagire di Oriente ed Occidente, il perpetuo scambio di idee e di uomini e di cose, di religioni e di arti, di spedizioni militari e di conquiste morali tra l'Asia e l'Europa, tra i due massimi centri della umana civiltà. Maometto, l'inconscio creatore dell'Islam mondiale, non volle, non credè fondare una nuova religione: egli chiese un ritorno, o forse meglio, l'epurazione di una relgione secondo lui già esistente, e invocò soltanto l'abbandono di divinità minori per concentrare il culto sopra la maggiore, la sola vera divinità, a tutta Arabia già nota, perchè forse la più antica di tutte: Allah. Ma la riforma non aveva nella sua mente alcun carattere universale; il Profeta non divisò mai la conquista politica del mondo, nè la conquista morale del genere umano; non si prefisse nemmeno la conversione di tutta Arabia, ma si preoccupò unicamente di sé e dei suoi, ossia dei propri paesani e consanguinei, delle persone a lui meglio note e più vicine. Degli altri non si diede pensiero: si direbbe che ne ignorò perfino l'esistenza. Quando Maometto morì nel 632, sola una parte della penisola nativa obbediva al suo cenno; e la unione di tribù da lui creata nelle due città di Mecca e di Medina era assai più un principato politico e militare, che non un comunità religiosa. Gli Arabi erano per natura irreligiosi e non desideravano una nuova fede; ma riconobbero in Maometto un uomo di genio a cui conveniva sottostare. Maometto morì senza lasciare istruzioni, senza curarsi né dell'avvenire del suo stato, nè di quello delle sue dottrine: non provvide nemmeno a conservare il testo esatto delle sue rivelazioni. Quasi esclusivamente politico e militare fu lo svolgimento della comunità musulmana nei primi tempi che seguirono la morte del suo fondatore, svolgimento che ricorda in molte sue fasi l'espansione territoriale e militare di Roma. La comunità creata da Maometto, dacchè era diventata la più potente in Arabia, e dacchè sorse in mezzo ad una popolazione di natura pugnace, rapace ed irrequieta, fu fatalmente trascinata alla conquista della penisola durante il governo del primo Califfo. Terninata la conquista, l'improvvisa unione politica e militare di tutta l'Arabia, l'unità nazionale di tutto un popolo dotato delle più irrequiete energie di vita furono ragioni altrettanto fatali ed inevitabili, per le quali il popolo arabo, già assillato da crudeli bisogni, bramoso di fuggire da una patria inaridita, povera ed ingrata si precipitasse a depredare le ricchezze di Persia e di Roma. E così venne, non prevista, non ideata da alcuno, ma per naturale collegamento di cause ad effetti, la conquista dell'Asia e dell'Africa. Ma in ciò si sarebbe avuto finora soltanto la fortuita ripetizione d'una fra le tante vicende politiche, che avevano rimestato e funestato l'Asia dai tempi di Hammurabi a quelli di Zenobia e dei re Sassanidi: un altro impero, più o meno longevo, e nulla più. Senonché quel misterioso complesso di leggi, o accidentali o necessarie e predeterminate, regolatrici della vita di tutti gli esseri sul nostro pianeta, volle che l'erompere dei guerrieri d'Arabia coincidesse con una profonda crisi morale delle nazioni asiatiche e semitiche sottoposte contemporaneamente al dominio della razza ariana, affermatasi con le istituzioni politiche di Roma e con il Cristianesimo ellenizzato di Bisanzio. Tutto l'Oriente era allora in sorda, implacabile rivolta contro la dominazione bizantina ed agognava una liberazione non solo politica, ma anche morale e religiosa. Questa corrente di sentimenti e di idee separatiste non era di recente data, non era creata dal dominio romano-cristiano-bizantino, ma si può dire esistesse da tempo immemorabile, sebbene in forma latente ed inconsapevole. Era la manifestazione di quell'antichissimo, indistruggibile, contrasto morale, quell'istintivo conflitto spirituale che ha sempre reso impossibile ogni unione durevole di sentimenti fra i popoli dell'Asia e quelli dell'Europa. La scissione è sempre esistita, ed è di antichissima data, sebbene talvolta non fosse acuta e palese. Le vicende storiche la posero per la prima volta in evidenza ai tempi delle guerre tra i Greci ed i Persiani nel V secolo avanti l'èra volgare, l'accesero vieppiù con le conquiste di Alessandro Magno nel IV secolo e

con il dominio dei Seleucidi, i quali tentarono la vana impresa di fondere l'Oriente con l'Occidente. Si venne poi gradualmente maturando durante l'apogeo e la decadenza del predominio ellenistico in Asia Anteriore: perciò non rimase circoscritta al solo mondo semitico, ma si estese a tutto l'Oriente. Fu la forza morale propulsatrice che portò alla caduta dei Seleucidi in Asia; fu il sentimento più vivo che animasse il grande Mitridate nelle sue guerre spietate contro Roma: al suo odio per l'Occidente devesi l'eccidio tremendo dei 150.000 inermi italiani nelle città dell'Asia Minore l'anno 88 avanti l'èra volgare. Lo stesso odio antieuropeo assisté i Parti a combattere la potenza di Roma, e in India fece sorgere le dinastie nazionali contro i successori di Alessandro e prese forma religiosa nel Buddismo; il quale, pur subendo le influenze artistiche della Grecia, espulse l'Ellenismo dalle valli dell'Indo e del Gange. Crescendo di forza e di intensità il movimento anti-ellenistico cooperò al continuo regresso della cultura e dell'influenza europea in Asia Centrale, nel III secolo dopo l'èra volgare innalzò al potere la dinastia nazionale persiana dei Sassanidi, ed abbatté la potestà degli Arsacidi, perchè imbevuti anche essi di ellenismo. La stessa irresistibile corrente reazionaria di orientalismo cooperò infine alla restaurazione della religione nazionale dell'Iran, il Mazdeismo. Per effetto della cresciuta intensità dell'avversione antieuropea, Roma non poté mai imitare l'esempio di Alessandro Magno, e nemmeno estendere durevolmente i suoi confini al di là dell'Eufrate, dove le popolazioni, già accese di sentimenti contrari all'Occidente, rimasero sempre più tenacemente avverse alla cultura ellenistica. La propaganda nestoriana che portò il verbo cristiano sino nel cuore dell'Asia e della Cina rappresenta anch'essa un'aspirazione religiosa e un desiderio di elevazione spirituale, indipendente e persino ostile a Bisanzio e a Roma, ma il simbolo nestoriano ebbe vita effimera, perchè non sufficientemente orientale e scomparve come una nube innanzi alla tormenta islamica. Tale ardente e millenario nazionalismo orientale fu dunque moto generale non ispirato o diretto da alcuno, ma di genesi contemporanea inconscia in tutta quella parte d'Asia, dove le influenze europee si erano fatte sentire. Certi fenomeni nella storia per i loro caratteri di contemporaneità e di somiglianza nelle più diverse parti della terra, rivelano l'esistenza di leggi generali della psicologia umana, a cui tutti obbediamo ciecamente, e di cui avemmo sinora solo un vago barlume. La reazione anti-europea dell'Asia è uno di questi fenomeni, uno dei pochi che ci è dato più facilmente di studiare e comprendere. Il corso però di questo vitale contrasto tra le due parti del mondo civile fu complicato dalla comparsa del Cristianesimo, che costituì una delle maggiori innovazioni e rivoluzioni della storia umana. Occorre fermarci un momento ad esaminare il fenomeno. Quando circa sette secoli prima dell'Islam sorse la grande religione asiatica, destinata al dominio del mondo, il Cristianesimo di Gesù e di Paolo, le condizioni morali delle società civili erano diventate del tutto eccezionali, e mature per un rivolgimento morale; il quale però si svolse in tal modo da generare un'inestricabile confusione delle tendenze sociali fra loro in contrasto. La religione dei popoli occidentali al principio dell'era cristiana non aveva seguìto il grande progresso morale, intellettuale e politico di tutto il mondo ellenico e latino; il quale, tormentato nell'intima psiche da questo interno squilibrio, anelava ad elevare il contenuto e la manifestazione esterna del suo sentimento religioso. Sovrattutto Roma e l'Italia avevano in quell'età vivo bisogno di fervore religioso e di pietà mistica, sentimenti che più non trovavano di che appagarsi negli antichi culti patrii, e nella religione ufficiale dello Stato romano con il suo ritualismo positivo, secco ed interessato, religione troppo strettamente legata alle piccole vicende della vita politica priva di ogni calore di sentimenti. L'Occidente, rispetto all'Oriente, si trovava quindi in condizioni di manifesta inferiorità religiosa; i padroni del mondo per virtù dei loro ordinamenti militari e politici, e per virtù di alte qualità morali, erano per singolare intrinseca contradizione, in istato d'inferiorità religiosa rispetto ai sudditi orientali, ossia precisamente a quelli che i marziali cittadini di Roma più disprezzavano. Gli occidentali, obbedendo ad una fondamentale legge sociologica sentirono irresistibile il bisogno di elevare il contenuto delle loro credenze religiose al livello della progredita civiltà. Al bisogno vivissimo corrispose l'Oriente con esuberante larghezza, onde tutte le fedi asiatiche accorsero alla conquista di Roma. Data la superiorità morale, l'intensità del sentimento che le animava, il carattere commovente e drammatico delle varie tradizioni orientali, il trionfo delle fedi asiatiche fu grande e rapido. La rivoluzione morale e religiosa, che poi ebbe nome Cristianesimo, era inevitabile: fu evento fatale. A soddisfare il profondo bisogno morale, a colmare la lacuna dello

spirito tra le popolazioni occidentali, gareggiarono tra loro tutte le religioni del'Asia, fiammanti di zelo spirituale, piene di passione intensa: l'Occidente fu inondato, sommerso dall'Oriente religioso, il quale conquistò l'Europa per la vivacità e profondita di sentimenti che l'Occidente ancora ignorava, ed in cui si tuffò con frenesia. Fu un momento nella storia di Roma, in cui sembrò che si fosse avverata la unione di tutti i popoli civili d'Asia occidentale e d'Europa in una fusione, o poltiglia, o amalgama che si voglia dire, di religioni e di credenze. Roma divenne una vera Babele religiosa: non v'era culto esotico e bizzarro che non trovasse accoliti pronti ad ogni stranezza e ad ogni sacrificio. Sul trono imperiale salirono uomini di tutte le razze e in numero grande pure orientali, i quali protessero e favorirono quegli stessi culti orientali che il vecchio Senato di Roma repubblicana aveva un tempo vietati e banditi infliggendo persino la pena di morte. La fusione religiosa fu soltanto apparente, e l'apparenza anche di breve durata, sebbene i culti orientali, e tra questi principalmente il Mitraismo persiano, si diffondessero mercè le guarnigioni militari dalle rive del Danubio alle pianure soleggiate dell'Andalusia ed alle inospiti contrade della Mauritania. Dalla fusione delle varie fedi orientali tra di loro e dalla loro congiunzione intima con l'anima occidentale, ai cui bisogni facilmente si adattarono, nacque il Cristianesimo così detto cattolico, ibrido e singolare miscuglio di credenze e riti primitivi con altissime idealità religiose, e con sublimi insegnamenti morali. Questa fede, ottenuta da Costantino la sanzione ufficiale, divenuta sovrana in Occidente, e assunta veste e fisionomia spiccatamente europea, tornò trionfatrice in Oriente dove volle dominare nel campo spirituale, quanto l'autorità imperiale già vi dominava nel campo politico, economico ed amministrativo. L'Oriente perciò si vide invaso ed oppresso con le sue stesse armi: sebbene il Cristianesimo nella veste e nel contenuto, con cui dall'Occidente ritornò in Oriente, imbevuto di logica, di filosofia, di sentimento e di diritto occidentale, non fosse più quella fede, di cui la psiche orientale aveva bisogno, pure l'Oriente lo dovette subire. Ma non appena il Cristianesimo divenne anche la religione ufficiale dell'impero - istituto essenzialmente occidentale per origine, essenza e tradizioni - ricominciò, tra Oriente ed Occidente, sebbene velato ed inavverlito, l'intimo screzio morale e spirituale, che nulla poteva mai sanare, perchè fondato su incancellabili differenze di razza, di costumi, e di tradizioni. Anche altre circostanze accidentali vennero ad acuire questo sentimento primordiale, istintivo, che, pur variando d'intensità, ha sempre mantenuta netta ed insanabile la scissione morale fra il mondo asiatico e quello europeo. La mano pesante di Roma, implacabile verso ogni velleità politica entro i propri confini, aveva lasciato in Oriente, sovrattutto tra le razze semitiche dell'Asia Anteriore un profondo lievito di odio contro l'Occidente, impersonato nell'autorità imperiale di Roma. Ogni rivolta interna, ogni guerra civile fu causa di nuove, cocenti miserie e aggiunse sempre maggiore intensità all'insanabile dissidio fra dominatori e soggetti. Tanta perenne avversione del mondo semitico contro Roma ariana - che traluce ad es. dai Libri Sibillini, dalla letteratura apocalittica e da mille altri documenti del tempo - aveva fatto, nel primo periodo di lotte, il giuoco della propaganda orientale e cristiana, perchè l'odio contro Roma fu confuso con l'odio al paganesimo ellenico e romano. Ma più tardi, quando il cristianesimo sottentrò al culto ufficiale di Roma repubblicana ed imperiale, la Chiesa ortodossa, difesa dagli imperatori, vide convergere contro di sé quella stessa animosità che fu già sua preziosa ausiliaria nelle dure prove dei sanguinosi primordi. Sorsero allora numerose, aspre, pugnaci, le dottrine dissidenti, sovrattutto in Africa: dottrine che la Chiesa, suggestionata dall'unità politica dell'Impero romano a voler l'unità di fede nel genere umano, combattè senza requie con la sua rigida, esosa ed avida gerarchia, chiamandole errori, scismi ed eresie. L'uniformità non esiste nella natura e meno ancora nel mondo dei fenomeni morali e sociali. Le così dette eresie erano in realtà, nella loro intima essenza, incoscienti, istintivi moti sociali, ciechi sforzi della psiche orientale per emanciparsi dal giogo religioso e sacerdotale della Chiesa ufficiale, per ricuperare, nel distaccarsi e distinguersi da questa, la sua antica libertà di fede e le caratteristiche locali sì care al al sentimento primitivo, sempre individualista. L'Occidente impersonato dalla Chiesa mirò a fare della religione una cosa unica universale, un istituto che nella sua materiale costituzione rappresentasse l'unità monoteistica da essa professata, e introducesse nel mondo il dominio quasi diretto di Dio sul modello burocratico dell'impero romano. In questo modo il conflitto millenario tra Oriente ed Occidente

assunse nei primi secoli dell'era cristiana caratteri esclusivamente religiosi, i quali offuscarono l'intelligenza dei contemporanei e nascosero la vera natura della lotta. Nelle così dette eresie dei Siri, dei Copti, degli Armeni, degli Aramei sottomessi alla Persia, dei Nestoriani e di altri gruppi minori, non era tanto una convinzione profonda in una verità diversa da quella ortodossa, quanto una necessità psicologica, incosciente, irresistibile a pensare e credere diversamente dagli ortoodossi e in modo più asiatico. Messa in questi termini la lotta divenne sterile, insanabile e senza concepibile via d'uscita. Seguirono quattro secoli, dal III al VII di intenso strazio morale, per cui le popolazioni dell'Asia, esasperate, nauseate, avvilite, caddero in uno stato di acuta irrequietezza morale, ossia in quello stato psicologico più propizio a fecondare i semi delle grandi rivoluzioni. Dopo il trionfo del Cristianesimo, al dominio diretto di Roma seguì quello di Bisanzio che fu però l'erede politico di Roma imperiale e mantenne, con ordinamenti romani, l'egemonia della razza e della coltura ariana-europea in Asia: Bisanzio fondendo in sé le civiltà di Roma e di Grecia, continuò, con pertinacia che arrivava sino alla crudelà delle persecuzioni, il lavorio di europeizzare le nazioni asiatiche, tra le quali in prima linea tutte le nazionalità semitiche, i Siri, gli Aramei e gli Arabi che popolavano l'Asia Anteriore, nonchè le altre nazionalità più eterogenee dell'Egitto e dell'Africa settentrionale. L'Oriente, talvolta anche inconsapevolmente, ha sempre veduto un pericolo per la sua individualità spirituale nell'influenza diretta della civiltà occidentale, sia ellenistica, sia romano-bizantina, sia europeo-moderna con le sue tendenze commerciali, pratiche, dominatrici e razionaliste. La nostra civiltà dissolve come un acido la compagine morale degli Asiatici, ha azione precipuamente livellatrice ed uguagliatrice, e tendenze laiche e razionaliste, i caratteri cioè che l'Oriente appunto più aborre e teme, perchè un infallibile istinto intuitivo gli fa intravedere in essi la propria morte morale. Quindi, per spontaneo moto di conservazione, l'Oriente pur assorbendo inconsapevolmente dalla cultura ellenica ed occidentale non pochi elementi utili al suo sviluppo, e confacenti allo spirito, alle aspirazioni e alle tradizioni dell'Asia, non volle, non potè mai sottostare al dominio occidentale, sovrattutto quando questo pretese essere anche morale e religioso. Patria e razza sono concetti estranei alla mente orientale: nella quale invece predomina in tal misura il senso religioso, che in Oriente la religione racchiude tutta intera la vita sociale, politica, giuridica, letteraria ed artistica delle popolazioni. La psiche occidentale è invece ingenitamente sospinta a differenziare entro il campo religioso quello che può esistere e durare senza essere necessariante religioso. V'è cioè la tendenza a laicizzare: quella tendenza che ha portato alla creazione del diritto razionalista romano ed è la forza procreatrice dello spirito scientifico, positivista delle razze occidentali. Una Chiesa come quella di Roma con grandiosa gerarchia, con pretese al dominio mondiale e politico, non è, in realtà, che una laicizzazione, in forma cooperativa ed organica, di quanto per l'orientale deve rimanere nel campo del puro sentimento e conservare caratteri puramente individualistici. Il dissidio quindi è di sua essenza perenne, senza rimedio e senza possibilità di conciliazione, Ciò spiega come durante i lugubri secoli del Basso Impero l'opposizione dei Semiti, degli Asiatici e degli Africani al governo di Bisanzio si svolgesse soprattutto nel campo religioso, e rivolto contro il Cristianesimo ortodosso, quale era uscito dalla mente e dai sentimenti di generazioni di teologi filosofeggianti, imbevuti di ellenismo decadente. Le inestricabili difficoltà e sottigliezze dogmatiche e teologiche, di cui si compiaceva lo spirito ellenistico, sempre essenzialmente razionalista, ed in cui si erano smarrite le menti direttive del pensiero cristiano, avevano perturbato la coscienza religiosa orientale, per sua natura semplicista, più primitiva, ma più intensamente passionale e perciò spesso anche cieca ed illogica. In Siria, in Palestina ed in Egitto si svolse dunque dal III al VII secolo quella triste, monotona, serie di sterili lotte religiose tra sudditi orientali ed impero occidentale, che fu un perpetuo ed inutile strazio; conflitto sterile in cui l'Oriente privo di ogni unità morale e di ogni chiara coscienza dei suoi veri bisogni spirituali, privo altresì di ogni mezzo per raggiungere almeno la sua libertà morale, non potè mai liberarsi dal giogo opprimente della gerarchia chiesastica di Bisanzio. Dall'altra parte non potè e non volle mutare natura, animo e sentimenti, nè sottostare alle velleità di perfetta uniformità religiosa che Chiesa ed Imperatori ebbero la folle illusione di voler imporre ai sudditi asiatici ed africani. Le caratteristiche psicologiche di una popolazione sono

difficili a mutare quanto il colore della pelle e dei capelli e la conformazione del cranio. Quindi tutte le misure prese dagli Imperatori riuscirono vane: fallirono nel tentativo così caparbiamente ripetuto di spegnere le aspirazioni separatiste in materia religiosa tra i sudditi orientali; nè fu possibile plasmare con decreti imperiali e sentenze di concili ecumenici la psiche degli orientali entro le forme ortodosse volute dal sommo sacerdozio cristiano ed ufficiale. Per lunghi anni, e secoli ancor più lunghi e penosi, si venne accumulando in Oriente una forza immensa di concentrata esasperazione anti-bizantina ed anti-occidentale, la quale, sebbene ancora incapace di prendere forma ed unità d'indirizzo, non per questo cessò di creare alfine una scissione morale assai pericolosa per la quiete sociale e per l'unità politica dello stato bizantino. Dal contrasto sempre più aspro di tali e tante forze sociali, s'era prodotto, nel VII secolo, uno squilibrio interno della società civile, analogo a quello avveratosi al principio dell'èra cristiana. Il mondo romano-bizantino cadde in pieno sfacelo e tutti ne erano consapevoli. L'Oriente si sentì travolto nella ruina generale di Stato e di Chiesa, ed ebbe la coscienza di una intrinseca inferiorità morale, che lo condannava a perire anche prima dell'Occidente. Gli occorreva quindi un simbolo, una cosa indefinibile a parole, magari un'illusione che gli permettesse di salvarsi dall'incubo, e di ritenersi del tutto libero, separato, distinto - e nel distinguersi l'umano sentimento pone sempre il senso di superiorità - dal mondo e dalla coscienza occidentale. Nel periodo che corre dal IV al VII secolo dell'èra volgare, ossia alla vigilia dell'erompere dell'Islamismo, la parte dell'Oriente più vicina al mare Mediterraneo era quella in cui il contrasto psicologico fra le due civiltà aveva assunto caratteri più acuti, riducendo l'Asia Anteriore in un certo modo al campo di battaglia fra le due tendenze. Questa parte perciò del continente asiatico era diventata più di ogni altra matura e pronta per un grande rivolgimento spirituale e politico: in essa lo stato d'animo delle popolazioni era ridotto a materia infiammabile, pronta ad accendersi non appena avesse trovato quella data scintilla necessaria alla sua ormai anelata combustione, a quella intima reazione, cioè, a cui inconsapevolmente, ma intensamente tendeva per la propria salvezza. Della sua intensa aspettazione fu l'impeto espansionista sì brutalmente violento delle conquiste musulmane. Sul campo travagliato dalla psiche asiatica, fecondata da indicibili sofferenze e da irreducibili rancori, inconsciamente anti-occidentali ed anti-ariani, venne alfine a cadere il seme rozzo sì, ma schietto e semplicista della dottrina predicata dal Profeta d'Arabia. Al moto evolutivo del sentimento asiatico venne, del tutto fortuitamente, a dare unità e direzione l'appello del Predicatore meccano. Non fu già che egli annunziasse alcunchè di nuovo, perchè le sue idee religiose erano un imperfetto rimpasto di concetti giudaici e cristiani, rinvigoriti, per la psiche orientale, da un ritorno alle più genuine caratteristiche delle antichissime fedi dell'Asia. Maometto ebbe, senza saperlo, il solo merito di sfrondare, semplificare ed irrobustire una fede che, nella dogmatica cristiana, per le tendenze razionalistiche e filosofiche dell'Occidente, erasi perduta in una nebbia di sottigliezze teologiche e di sofismi astrusi, spogli di realtà materiale e di calore religioso, mentre l'anima asiatica, e soprattutto quella semitica aspirava a comunicare direttamente con Dio, libera da ciarpami ed imposizioni occidentali, e indipendente da monopoli e tirannie sacerdotali. L'Islam diede novella vita e vigore a tutto l'individualismo religioso dell'Oriente ribelle all'asservimento chiesastico di Bisanzio e di Roma, ancor più rigido e duro di quello civile e militare dell'impero. Ovunque la fede religiosa è veramente sentita, la tendenza a voler entrare in comunione diretta con Dio senza frapposizione d'intermediari è irresistibile. La Chiesa cristiana nel divenire fede ufficiale dell'impero si trasformò in un grande congegno amministrativo; usando un bruttissimo termine moderno, potremmo dire che si burocratizzò, come l'amministrazione dell'esercito e del fisco, vale a dire assunse quei caratteri che all'orientale sono in religione più odiosi; l'abolizione di ogni forma di sacerdozio fu uno dei meriti maggiori dell'Islam, e una delle ragioni della sua straordinaria fortuna. L'Oriente non cercava una nuova fede; non ne aveva bisogno. Anche il Cristianesimo era stato poco più di un nome nuovo con cui si era riverniciata l'antichissima, indistruggibile eredità pagana. Il bisogno vero era di riacquistare la libertà religiosa, e di distaccarsi da Bisanzio, dal suo clero e da tutto l'Occidente. Ambedue queste liberazioni furono largamente fornite dall'Islam, il quale sebbene modificasse alcune parvenze, alcuni riti, alcune forme esteriori di culto, e desse ad ogni cosa un nome nuovo, significò sovrattutto emancipazione completa assoluta

dall'Occidente, e lasciò intatta l'essenza stessa delle credenze e delle superstizioni, che sono l'anima della coscienza orientale nel suo tendere confuso vlerso il bene morale e materiale quale essa lo intende. Ne seguì perciò una prima imprevista trasformazione del movimento islamico: la dottrina novella voluta dal suo ideatore per il bene della sola regione nativa e dei suoi consanguinei, per effetto delle conquiste nella penisola e fuori, divenne nella prima fase il simbolo morale dell'unità politica, morale e nazionale, e della superiorità degli Arabi sulle altre nazioni della terra. Ma poi, con singolare celerità, seguì la seconda e assai più importante trasformazione, quella cioè che doveva dare all'Islam i caratteri di funzione storica di mondiale importanza nell'evoluzione dell'umanità. Gli Arabi infatti foggiarono il novello impero sul concelto fallace che essi sarebbero rimasti sempre i soli padroni e i soli musulmani: tutto il resto del mondo doveva rimanere perpetuamente nella condizione di soggetti e infedeli, la cui sola ragione di vivere sarebbe stata di porgere ai vincitori e padroni un continuo e copioso cespite di ricchezza. All'infuori degli Arabi nessuno era musulmano, perché in principio arabi e musulmani erano sinonimi: i musulmani, secondo i Califfi, dovevano vivere interamente a spese del mondo non-musulmano. Gli uni dovevano godere di tutti i vantaggi e di tutto il potere; gli altri dovevano sobbarcarsi a tutti gli oneri ed a tutti i gravami. A tale sistema sociale i primi Califfi credettero aver dato permanente assetto. Mai si ebbe in un popolo più ingenua e più fallace illusione. Gli Arabi, pur tanto geniali, arditi guerrieri ed intelligenti, erano uomini incolti, rapaci, sensuali e violenti; poco o nulla sapevano o si curavano dell'Islam, dei quali erano paladini solo in quanto esso era un moto nazionalista ed un'arma di governo. Gelosi della propria egemonia politica e dei vantaggi materiali che da essa derivavano, accecati inoltre da uno smodato orgoglio nazionale, ignorarono del tutto l'evoluzione morale dei sudditi, indegni delle cure e del pensiero della razza dominante. Di tanto disprezzo e di tanta indifferenza, i vinti approfittarono per prendersi la più trionfante delle rivincite sui dominatori, scegliendo una via così inaspettata, che gli Arabi, sebbene vivamente contrariati, non seppero opporre alcuna seria resistenza e si lasciarono quasi vilmente sopraffare e sommergere. In realtà non ne compresero affatto la portata e il significato, e furono perduti quasi prima che essi sapessero il loro dominio in pericolo. Avvenne cioè quello che nessuno si aspettava. Se i cristiani Orientali, Siri, Aramei, Copti e Africani, avevano lottato tenacemente per secoli contro i Bizantini, la Chiesa romana ed ortodossa e il Mazdeismo dualista dei re Persiani, apparentemente perché volevano rimanere fedeli ad un profondo convincimento religioso, era logico arguire che le stesse popolazioni avrebbero resistito con pari tenacia e costanza anche alla nuova fede venuta d'Arabia, per di più ispirata a sensi ostilissimi verso le concezioni fondamentali del Cristianesimo (Trinità, Incarnazione Figliolanza di Dio, ecc.). Invece avvenne tutto il contrario; la resistenza infrangibile rispetto agli occidentali Bizantini ed agli Ariani sassanidi, si liquefece senza contrasti dinanzi alla fede islamica; le popolazioni soggiogate dai Califfi di Medina e di Damasco, abbagliate dagli stupendi trionfi delle milizie arabe, inconsciamente sedotte dallo spirito islamico combattente nel nome dell'Oriente contro tutto l'Occidente, si appropriarono la religione, la lingua ed i costumi dei loro padroni. Più accorti di questi, intuirono nell'Islam un mezzo per equipararsi ai dominatori e godere dei medesimi loro vantaggi. Sentirono confusamente, nel nuovo ordinamento sociale venuto dal deserto arabico, l'epressione di un sentimento politico e religioso più schiettamente orientale e conforme in tutto al loro spirito. Infine ebbero, quasi istintivamente, la coscienza che l'Islam, per il suo carattere di guerra senza tregua all'Occidente cristiano, significava riscossa contro i dogmi incomprensibili, contro la tirannia della gerarchia chiesastica, contro l'oppressione di ordini monastici parassitari, contro tutto ciò che all'Oriente sembrava odioso nell'imperio ellenistico-ariano. Con l'Islam l'Oriente tornava ad essere Oriente vero, libero ed indipendente dalla tirannia dell'Occidente; nell'Islam trovò il suo riscatto e la sua salvezza. Così, quasi a dispetto degli Arabi stessi, l'Islam diveniva l'istrumento con cui l'Oriente, ossia i popoli dell'Asia e dell'Africa sottomessi dai primi Califfi, ritrovarono la morale e la emancipazione dal giogo d'una civiltà e di una religione, in cui stavano a disagio; onde, divenuti nuovamente e completamente orientali, tornavano ora a sentirsi gli eguali, anzi vittoriosamente superiori, al millenare nemico l'ariano occidentale. La comunanza di razza, di sentimenti, di tradizioni e la affinità di lingua favorirono la trasformazione dell'Oriente in senso islamico in modo così intenso e rapido che gli Arabi stessi

non ebbero nemmeno il tempo di intenderne la natura ed i pericoli. I sudditi, in meno di un secolo, si fusero con i loro padroni, e dopo un mezzo secolo divennero essi i padroni nell'impero arabo. I Semiti cristiani trovarono nella dottrina pur primitiva, imperfetta e persino in sè illogica e contradditoria, ma dogmaticamente semplice e chiara dell'Islam, una fede più consona alla loro psiche religiosa e nonostante i contrasti, sovrattutto fiscali e politici che furono opposti dal governo musulmano, essi si diedero in braccio alla nuova fede, abbandonando spontaneamente, con un senso quasi di sollievo, le perturbanti, annebbianti sottigliezze della dogmatica cristiana. Con queste parole non intendiamo già di formulare un giudizio comparatlvo, ma constatiamo unicamente un fatto. Ogni giudizio sul valore relativo delle religioni umane è intrinsecamente errato oltre ad essere odioso ed ingiusto. Ogni popolo pone nella propria religione tutta l'anima sua, e se la foggia come meglio gli conviene e gli piace. I Cristiani d'Oriente si diedero in braccio all'Islam, perchè questo meglio intendevano, che non il Cristianesimo, perchè l'Islam era più orientale e meglio rispondeva alle esigenze della loro coscienza. La conversione fu un moto libero, naturale, superiore ad ogni volontà individuale e ad ogni meditato calcolo; vero istintivo moto sociale, per cui assunse sin dai primi tempi carattere quasi precipitoso, raggiunse proporzioni impreviste e produsse incalcolabili conseguenze. Siccome l'Islam sorse condannando gli Ebrei di miscredenza, e negando i dogmi fondamentali cristiani, la divinità di Gesù, la Trinità e via discorrendo, la stessa ragion d'essere della nuova fede fu appunto combattere l'Occidente e la sua religione. A tutte le fedi asiatiche preesistenti mancava esplicitamente tale caratteristica di diretto e polemico contrasto che era invece elemento essenziale dell'Islam. Questo perciò fu causa che tra Oriente ed Occidente si aprisse ora un abisso morale, prima non mai esistito, fissando cioè tra questo e quello in perpetuo, anche nelle parvenze esteriori, quel contrasto e quell'incompatibilità essenziale che prima era solo confusamente avvertita, e che forse non sarà mai più possibile di cancellare. Per la popolazione travagliata dell'Asia Anteriore intensamente religiosa la nuova dottrina non servì già per carpire in maggior copia le ricchezze della terra e le gioie della vita, ma fu accolta perchè sembrò porgere allo spirito, alla grande tendenza anti-ariana, anti-europea, quello sfogo diretto, quell'unità d'indirizzo che prima faceva difetto ed a cui l'Asia inconsciamente anelava. Gli Asiatici divennero sinceramente, ardentemente musulmani, assai più che non gli Arabi stessi, rimasti nell'animo pagani e gaudenti, e i milioni di nuovi proseliti trasportarono nell'Islam tutto ciò che all'Oriente è più caro; in odio al vecchio nemico, infusero nella nuova fede quello stesso fanatismo che avevano assorbito dalle dottrine dell'antica fede, fanatismo soprattutto anti-cristiano ed anti-europeo, che purtroppo ha distinto la storia dell'Islam nelle sue lunghe e sì spesso sanguinose vicende. In altre parole l'Islam, non per volontà del suo Profeta, e contro la volontà e gl'interessi dei suoi primi seguaci, per modi e per ragioni da tutti impreveduti ed ignorati, divenne l'espressione tangibile, l'istrumento potentissimo della grande rivolta o reazione anti-europea nella coscienza asiatica; la quale pose nell'Islam quanto le era più proprio e più caro, e quanto perciò doveva più nettamente scinderla dall'Occidente. Per effetto di tal graduale evoluzione l'Islam fu nel passato e sarà sempre per l'avvenire l'inevitabile avversario della civiltà occidentale; tale fu la prima ragione d'essere, di tale spirito fu profondamente imbevuto dai popoli asiatici, e tale sarà il suo destino, la sua naturale missione per un avvenire incalcolabilmente lungo e lontano. Nel civile mondo europeo Cattolicesimo e Protestantesimo, un dì sì fieri nemici hanno potuto alfine ai nostri giorni posare le armi, onde i popoli occidentali dedicano ad altre più nobili battaglie le immense energie di cui dispongono. Nella nostra civiltà, sì essenzialmente nazionalista e così disposta a laicizzare ogni cosa, la religione ha cessato nell'ora presente d'essere la preoccupazione principale degli uomini; molti vivono ed operano anche senza darsi pensiero delle religioni. In Oriente questo è inconcepibile, è impossibile, perché la religione per gli orientali abbraccia e compendia tutta la loro vita, perché nel vivo senso di fedeltà alla fede professata la società musulmana sente istintivamente il suo solo sicuro sostegno morale, la maggiore forza di coesione e di solidarietà sociale. La sola fede possibile per molte e molte future generazioni dei popoli dell'Asia e dell'Africa è quella islamica, la quale consolida e consacra, quasi in forma perpetua, il grande divivorzio tra le due più celebri famiglie umane. L'Islam per le ragioni della sua genesi e per le funzioni storiche della sua lunga evoluzione è destinato dunque a rimanere,

finché avrà vita, la barriera per lungo tempo infrangibile, lo scudo di difesa che l'Oriente opporrà sempre all'avanzare aggressivo della nostra cultura. Se esso perciò in origine servì a riscattare politicamente e religiosamente una parte oppressa del genere umano, assunse in breve, e con il correre dei secoli sempre più, le funzioni di conservazione e di difesa della psiche orientale contro il suo dissolvimento, contro la sua morte morale in grembo alla civiltà europea. Come l'uomo, per legge naturale, ha vivo il senso e il bisogno della propria conservazione, come ugualmente potenti ed efficaci sono in ogni specie animale le forze che tendono a conservare le caratteristiche distintive in armonia con tutto ciò che circonda gli esseri viventi, così pure, per virtù inconscia, tutte le varie specie umane hanno insito in loro il bisogno di mantenere anche nel campo morale e spirituale ciò che le distingue dalle altre. La storia insegna che razze, nel senso voluto anticamente, non esistono, perchè nessuna stirpe umana è rimasta pura da connubi con altre famiglie. Tutti i popoli sono l'ultimo risultato d'un numero incalcolabile d'incroci e di mescolanze, ripetute senza interruzione nella millenaria nostra evoluzione, D'altra parte il clima, la configurazione geografica, le consuetudini, le tradizioni, le necessità della lotta per la vita che paiono radicate nel suolo delle varie terre abitate e sono sempre diverse in ognuna, si impongono a chi vi dimora e, qualunque essa sia, la razza immigrante cade sotto la naturale disciplina locale: nessuno si può sottrarre ad essa, e come l'acqua leviga e pulisce anche il duro granito, così pur le misteriose innumerevoli forze naturali, fisse nei luoghi, tendono a riprodurre sempre un tipo solo, che noi chiamiamo razza, ma che è sovrattutto la risultanza di un processo di adattamento fisiologico all'azione di tutte le forze locali. Questo stato fisiologico si fonde, con l'evoluzione della civiltà, in un insieme indissolubile con tutte le manifestazioni morali dell'uomo, lingua, costumi, arte, religione e via discorrendo. Via via che la cultura progredisce, aumentati e ripetuti contatti con altre varietà del genere umano, le varie stirpi locali divengono sempre più gelose di rimanere distinte dalle altre e più che mai tendono a conservare le divergenze etniche, quali ragioni essenziali di vita. E' la natura che vuole conservare il risultato prezioso di millenari adattamenti. L'Europa moderna ne è una prova lampante; la avanzata civiltà, pur mettendo fine a tante guerre, ha demolito le utopie unitarie del Medioevo il quale mirava a una sola fede e ad un solo imperio, ha acuito in tutte le nazioni la coscienza delle loro diversità, ed ha dato vita alle correnti nazionaliste, infiammando le passioni e gli ideali dell'irredentismo, del pangermanismo, del panslavismo e delle altre nazionalità europee: le complicazioni interne dell'Impero Austro-ungarico e quelle internazionali dei Balcani e dell'Asia Minore sono sì note, che non hanno bisogno di lunghi commenti. Tali energie di conservazione, che noi avvertiamo persino nel nostro paese, non solo nel nascente partito nazionalista, ma sovrattutto nelle gelosie e recriminazioni regionali e locali, sono quelle correnti naturali di sentimento insieme con cui le tendenze ataviche di conservazione della specie lottano istintivamente contro l'internazionalismo o il cosmopolitismo della nostra civiltà bancaria, proletaria, industriale e scientifica. Il progresso della cultura affina ed accentua il senso della propria individualità, distinta da quella degli altri. Tale senso più fine, proprio dell'individuo, diviene fenomeno sociale con la diffusione dell'istruzione, e coopera a quel processo evolutivo generale di sempre maggiore differenziazione di attività e di divisione del lavoro, sia intellettuale che materiale, che è legge universale del cosmos. La quale va riconosciuta nello sviluppo delle industrie, dei commerci e delle varie attività umane individuali e sociali, e traluce sorprendente nei meravigliosi congegni anatomici con cui gli organismi viventi si sono adattati alla infinita varietà delle condizioni della vita. Nell'Europa del XX secolo, continente moderno per eccellenza, le passioni particolariste - per la decrescente fede religiosa, per la diminuita tendenza chiesiastica dello spirito e per la nascita di altri grandi interessi sociali ed economici - hanno assunto un carattere principalmente politico ed economico e, in generale, pacifico. Nei tempi più remoti e d'inferiore cultura, il moto prese sempre forme o veste religiosa e caratteri violenti ed aggressivi. In Asia, quando viveva Maometto, la ragione politica era sconosciuta: dominava soltanto la ragione religiosa. Una religione, il Cristianesimo, era l'arma di penetrazione occidentale, era il coefficiente sfibrante

dell'orientalismo: solo un'altra religione poteva combatterlo. E questa religione poté essere soltanto l'Islam; il quale alla sua origine orientale pura aggiungeva lo splendore abbagliante, affascinante, del più grande trionfo militare e politico che la storia dell'Asia mai ricordasse. Nella multipla e torbida coscienza delle masse ignoranti, acefale, brute dell'umanità, nel corso di generazioni e di secoli si viene, a lunghi periodi, formando una specie di costante equilibrio sentimentale, la cui esistenza è dapprima solo confusamente, inconsapevolmente avvertita. Privo di un modo di esprimersi, o di una forma per sprigionarsi, lo squilibrio tra i fatti ed i sentimenti, tra realtà e aspirazioni, rimane a lungo ignorato o mal compreso: continua causa di disagio senza appparente rimedio. Viene poi o un uomo, o una classe, o una nazione, che, senza avvertirlo, dopo mille e mille mosse fallite di ignoti predecessori, coglie nel segno, trova la formula sospirata: allora scatta la scintilla fatale e seguono i cataclismi. Per l'improvvisa rottura dell'equilibrio, le forze potenzialmente raccolte, ma inerti, si tramutano in energie agenti, che si liberano, non di rado, con violenza catastrofica. Così Paolo diede espressione ed impulso al Cristianesimo universale, così Lutero alla Riforma, così la piccola borghesia francese del XVIII secolo abbagliò l'Europa con la grande Rivoluzione, così l'Italia del XX secolo ha voluto la conquista della Tripolitania, e così anche undici secoli prima gli Arabi uniti da Maometto riscattarono l'Oriente dal dominio europeo. Ponendo il fenomeno islamico nella luce speciale di necessario istrumento di differenziazione, di conservazione e difesa dell'Oriente contro l'Occidente, sorge spontanea la domanda: tale funzione è permanente? V'è modo o ragione di prevedere che la cultura europea possa trasformare ed elevare l'Oriente? O dobbiamo noi in perpetuo avere dinanzi la muraglia di bronzo di una fede e di una civiltà irriducibile e per sempre inadattabile alla nostra? Pur rinunziando ad ogni tentativo di leggere nell'avvenire, è obbligo nostro rispondere che gli indizi presenti sono ben contrari alla sognata fusione. Anzi, se fallì del tutto quello che poté sembrare possibile ai Seleucidi, quando il mondo era tutto pagano con molti tratti comuni ora scomparsi e quando da ambo le parti si tentò una tal fusione, oggi essa è più che mai difficile, perche, il processo evolutivo della storia ha creato una sempre maggiore differenziazione morale tra Oriente e Occidente. Così è avvenuto che da una parte abbiamo 260 milioni di uomini devoti ad una fede primitiva sorta in opposizione voluta all'Occidente e dall'altra abbiamo la civiltà europea che ha compiuto vertiginoso progresso, appunto in senso laico e razionalista, ossia in quello più contrario all'animo orientale. Ogni intimo accordo è dunque per ora impossibile, e dai fatti osservati sembra che tale debba rimanere anche in avvenire. Oggi in Oriente si matura una crisi non dissimile molto da quella che preparò il trionfo dell'Islam, e certo più acuta e più vasta di quella che già nel passato a noi più vicino, per reazioni a grandi movimenti ostili del mondo Cristiano e dell'Europa in generale, produsse, nel secolo XII, XVI e XIX, un risveglio ed esaltamento della coscienza orientale, specialmente islamica. I popoli asiatici, umiliati dalla potenza irresistibile degli Stati Europei, continuamente offesi dalle nostre energie dominatrici e prepotenze, dalla sprezzante indifferenza con cui trattiamo la loro cultura morale e religiosa, invidiosi della sterminata ricchezza che noi collettivamente possediamo, vanno accumulando un fondo immenso di odio, un'insaziabile brama di rivincita, che è grave minaccia di future bufere politiche. E i sintomi abbondano: ci sono offerti dal nazionalismo dei Giovani Turchi, degli Egiziani, dei Persiani e dagli Arabi; dal panislamismo o insieme di tendenze unitarie che mirano cioè a fare di tutti i 260 milioni di musulmani un'unità politica come sono un'unità religiosa; e, finalmente, dall'attività incredibilmente solerte e spesso benefica e civilizzatrice, ma sempre intollerante e fanatica, delle innumerevoli confraternite o ordini religiosi musulmani. Il moto anti-europeo s'è esteso anche oltre i confini dell'Islamismo, in India tra gli Indù, e persino tra i Giapponesi ed i Cinesi. Tutti i moti insurrezionali nel Celeste Impero da quello dei Boxers, in cui si distinsero i soldati musulmani di Tung-fu-hsiang nel 1900, fino all'odierno repubblicano che ha rovesciato la dinastisa mancese, sono di origine e di sentimento anti-europeo ed effetti diretti della nostra azione invadente. Nel perpetuo flusso e riflusso tra l'Europa e l'Asia, oggi l'Europa per la sua cultura, i suoi capitali, la sua influenza politica e morale, dovuta agli immensi mezzi anche militari di cui dispone, s'interna da per tutto in Asia, vi introduce i suoi sistemi amministrativi ed educativi, le sue idee, le sue merci, i suoi allettamenti corruttori, il suo industrialismo egoistico ed avido di lucri, le sue malattie ed i suoi vizi: ogni giorno offende e conculca i sentimenti delle popolazioni, che vedono

tutte le loro più care caratteristiche intaccate dall'acido dissolvente della nostra cultura e sentono per istintiva intuizione il pericolo di essere ridotte in umana poltiglia, tutta uniforme, producente ricchezza per i più potenti al di là dei mari. Ferrovie, alberghi, linee di navigazione, telefoni, telegrafi, scuole, strade, sistemi scientifici di trasformazione agricola, uniformità di ordinamenti militari e marini, stabilimenti industriali, accordi internazionali d'igiene sociale e soprattutto l'arma irresistibile del capitale e del benessere economico minacciano di cancellare ogni caratteristica, ogni distinzione nazionale e di porre sempre ed ovunque in disparte gli elementi religiosi. Persino la brutta anti-estetica foggia di vestire europea tende a diventare universale. La nostra civiltà in Oriente con il suo indirizzo positivista, razionale, dominato sovrattutto da preoccupazioni economiche, ignorando di proposito tutte le questioni religiose, produce un profondo dissenso morale con gravissime conseguenze sociali. Il crociato medievale venne in Oriente per abbattere con la sua spada la fede di Maometto e ottenere il trionfo della fede Cristiana. L'odierno crociato, sia commesso viaggiatore, sia speculatore di miniere, di concessioni, di forniture militari o di aree fabbricabili, non si cura dell'Islam; lo ignora quasi altrettanto quanto trascura la propria fede. Al contatto di questo nuovo indirizzo materialista, gli orientali, sempre essenzialmente religiosi, rimangono perturbati sin nel fondo dell'animo loro; si guardano bene dal rendersi cristiani, perché è troppo ingenita e profonda la loro ripugnanza per il Cristianesimo europeo quale è stato ridotto dalle condizioni morali del XX e rimangono più attaccati che mai alla propria fede tradizionale. Ma se alcuni, ben pochi ancora, si adattano ad europeizzarsi, allora si svolge in essi un fenomeno, socialmente fatale in Oriente, divengono o atei o areligiosi. La nostra cultura poco o nulla crea di socialmente utile nella psiche orientale, sembra anzi renderla vuota di contenuto morale: distrugge le ultime illusioni consolanti della fede avita e sembra sospingerla verso l'anarchia; ha effetti analoghi a quelli che l'alcool, il tabacco e gli abusi venerei hanno sugli organismi troppo giovani e ardenti. Ma un Oriente senza religione sarebbe come un Occidente senza legge: sarebbe morto. Oggi istintivamente, intuendo il pericolo di annientamento morale, l'Oriente cerca una via di salvezza: ma cieco, perplesso, diviso, povero ed ignorante, brancola nel buio ed accumula errori su errori. Nel XIl secolo l'Occidente opprimeva l'Oriente con una religione: la Chiesa ortodossa gerarchicamente costituita. Allora l'Oriente cercò salvezza in un'altra religione e la trovò, facendone una fede appunto con pochi dogmi, senza sacerdoti, senza gerarchie e senza ordini monastici. All'Oriente sì religioso di sentimento, fu facile allora di emanciparsi, e cullarsi nell'illusione di una superiorità assoluta, il possesso cioè della verità suprema per la grazia di una speciale rivelazione. Oggi le condizioni della lotta sono essenzialmente diverse: non è più lotta di religioni ma di interessi economici e di principi sociali, vuoti di religione intesa nel modo antico: l'Oriente l'ha sì bene compreso, che i moti nazionali delle popolazioni asiatiche, subendo istintivamente il suggerimento della difesa dalla natura dell'arma nemica, hanno mire sovrattutto politiche ed economiche. Noi abbiamo generato nell'animo loro il sentimento - giusto, in fondo - che la nostra superiorità proviene dalla nostra ricchezza, dallo sviluppo dei commerci e dalla bontà degli ordinamenti politici, e dei principi democratici. Negli animi loro è sorta la convinzione che parlamenti e corpi elettorali siano la panacea di tutti i mali, la fonte di tutti i beni: in quelle vane parole "libertà" e "costituzione" l'Oriente progressista ha riposto tutte le sue confuse, torbide aspirazioni. Da ciò provengono i boicottaggi in Cina, in India ed in Turchia, ed i cosi detti moti costituzionali nelle nazioni asiatiche. Vogliono vincerci con le nostre stesse armi! Vana illusione! Nei boicottaggi data la strapotenza economica delle razze europee, i perdenti finiscono sempre con l'essere gli orientali, i quali comperano la stessa merce a maggior prezzo da qualche altro intermediario. Nel campo politico la loro inferiorità risulta anche maggiore e più palese. Le aride e sterili logomachie delle assemblee nazionali sono per l'Oriente soltanto focolari di odi, ragioni di guerre civili e di eccidi. Il parlamento turco e il Maglìs persiano ce ne porgono la prova lampante. Come è possibile legiferare con consessi elettivi in regime parlamentare a cui prendono parte con eguali diritti musulmani e cristiani, là dove una "rivelazione divina" ha fissato le basi del diritto tutte ad esclusivo vantaggio dei musulrmani? In Oriente, date le condizioni

morali delle popolazioni, la ragione religiosa deve predominare su tutte: oggi quanto mille e trecento anni or sono. La funzione storica delle religioni asiatiche, tra le quali è in prima linea l'Islam, vive oggi in quella stessa intensa vitalità con la quale, sebbene dilaniato da discordie politiche, il mondo musulmano respinse vittoriosamente la grande minaccia delle Crociate nel XI e nel XII secolo. In Occidente le antiche religioni tradizionali hanno perduto assai più che non si creda il loro dominio sugli animi; ma in Oriente l'Islam non solo mantiene ma estende ancora il suo imperio, ed accumula in segreto riserve temibili di passione anti-europea, che un giorno, a tempi maturi, dovranno venire alla luce, prendere forma e diventare forse anche azione collettiva di resistenza e di conservazione. Non spetta a noi il sempre vano sogno umano di indagare e predire anche vagamente come e quando, negli anni lontani, ritroveranno nell'Islam, o in qualche suo germoglio novello, quell'unità di sentimenti e quella vigoria morale che è lor necessaria per non perire nella nostra civiltà; per rimanere buoni orientali e non diventare cattivi europei. Il movimento panislamico per quanto sinora debole, incerto, senza capi, e senza scopi chiari, ha per lo storico ed il sociologo il pregio di essere il primo sintomo unitario della tendenza difensiva della società orientale, la prima estrinsecazione moderna della grande legge di conservazione, per cui nacque l'Islàm mondiale undici secoli or sono. Per generare la crisi islamica del VII secolo occorsero circa mille anni di predominio ellenistico, e tale lentezza fu dovuta al maggior torpore dell'umanità poco evoluta, e in parte ancora barbarica. Il movimento panislamico moderno conta pochi decenni di vita, ma per quanto gli eventi e le trasformazioni succedano oggi con rapidità affannosa, arrischiata sarebbe ogni previsione circa il tempo che gli occorrerà per maturare e se avverrà mai che si trasformi in moto collettivo di azione. Quando si riconosca la giustezza delle precedenti considerazioni e il naturale diritto del mondo orientale a conservare le sue caratteristiche tradizionali ed a progredire nei limiti e nei modi più consoni ai suoi sentimenti: allora apparirà chiaro ed evidente quanto sia difficile e delicato il còmpito delle nazioni europee che hanno interessi diretti nel mondo orientale, e che per alte ragioni umanitarie vogliono elevare le popolazioni a loro soggette. Un sistema educativo laico mirante ad europeizzare gli orientali, come, per esempio, gli Americani hanno tentato nelle isole Filippine, è sicuramente destinato a fallire ed a produrre un'anarchia morale con danno precipuo per le nazioni soggette. O sviluppare la loro cultura aiutando e fortificando le tradizioni, le tendenze e le forze educative locali, e quindi favorire in tutti i modi anche la loro evoluzione religiosa; oppure lasciarli nelle tenebre intellettuali in cui si trovano, perchè la loro rigenerazione avvenga per le ingenite forze di ogni singolo popolo e senza artificiale accelerazione. In Oriente bisognerebbe bandire tanto le missioni cristiane che avessero scopo diretto di conversione, quanto le scuole laiche che ignorano e conculcano le fedi nazionali. Gli Asiatici debbono diventare buoni orientali e non imitatori scimmieschi di una cultura che non possono assimilare. Tra le forze morali e passionali che combattono in Oriente la cultura europea, l'Islam per la sua interna vigoria e il suo spirito pugnace si erge come gigante: perchè sarebbe pazzia ogni idea di abbatterlo, poiché esso è il prodotto della più intima necessità morale di centinaia di milioni di coscienze umane, e poiché la sua funzione storica e sociale avrà ancora lunghissima vita, si bandisca ogni concetto, o aperto o velato, di ostilità: si tenti almeno l'altra via, la sola razionale e scientifica. Si favorisca, si fortifichi il suo sviluppo, si dia libero gioco alle numerosi correnti evolutrici che esso nasconde in seno, e che dovranno agire in senso conforme ai veri interessi delle nazioni islamiche. Il più alto compito civile nostro sarà di dimostrare all'Oriente la possibilità che la sua cultura fiorisca al lato della nostra in piena libertà e sicurezza, non scevra da parte nostra di sinceri sensi di simpatia. Soltanto in questo modo la crisi, quando mai verrà potrà svolgersi per vie pacifiche e legali, per il maggior bene collettivo di tutto il genere umano. Noi europei non possiamo, non dobbiamo, volere la distruzione dell'Oriente:esso, per le più sacre ragioni di umana giustizia, ha diritto ad una vita propria, ad un proprio sviluppo lungo le tracce già segnate da una tradizione ancor più antica della nostra. Ciò è anche conforme alle leggi biologiche e fisiologiche della vita, leggi così alte e complesse, che per noi si perdono nelle nebbie del mistero, onde sarebbe vano ed imprudente di non volerci conformare ad esse. Siccome esistono e sono più forti di noi, se le ignoreremo esse agiranno lo stesso, e a nostro

grande smacco e danno: cooperiamo quindi con esse, perché la loro azione non può essere che per il bene, a beneficio del continuo illimitato progresso del genere umano. Saremo lieti allora di salutare nelle popolazioni d'Oriente non più uomini condannati dalla decrepitezza, ma sospinti ad una rissurrezione propria ed originale, manifestazione di forza e di elevazione morale. In quel giorno auguriamoci che l'Italia, messa dalla natura sulla soglia dell'Oriente, e legata ad esso da sì antiche e gloriose tradizioni, abbia saputo prendere il posto che le compete e le spetta come forza feconda di pace, di ricchezza, di cultura e di civiltà. *** LEONE CAETANI, ORIENTALISTA E SIONISTA di Claudio Mutti Il principe Leone Caetani di Sermoneta (1869-1935) proveniva dalla medesima famiglia che diede alla Chiesa Bonifacio VIII. Sulla scia paterna (Onorato Caetani fu sindaco di Roma e deputato al parlamento), Leone Caetani occupò un seggio parlamentare dal 1909 al 1913. Figlio non immemore del Risorgimento ne sentì fortemente le istanze laiche ed anticlericali: così il Gabrieli (La storiografia arabo-islamica in Italia, Napoli 1975, p. 50) in un volumetto dedicato appunto alla memoria di Leone Caetani). A redigere per l¹Enciclopedia Italiana la voce Caetani, Leone fu invece Giorgio Levi della Vida, che ne lodò la copia dell'erudizione, l'acuta critica delle fonti, la novità e genialità della costruzione storica. Levi della Vida era legato a Caetani da una comune formazione culturale, caratterizzata, dice il Gabrieli, dalla tendenza prevalente alla fine del secolo XIX, imbevuto di positivismo e di ottimistica fiducia nel progresso umano (op. cit., p. 50). Come il Levi, infatti, anche il Caetani fu un figlio dell'età positivistica (p. 56), sicché alla canonica storia sacra delle origini dell'Islam, espressa dalla storiografia musulmana, egli oppose un atteggiamento radicalmente scettico e razionalistico (ibidem). Risultato di ciò fu che il Caetani, in singolare coincidenza di vedute col gesuita P. Lammens, fu un negatore dell'autenticità della sira, cioè della biografia tradizionale del Profeta. Esplicito in tal senso l¹encomio del Levi: Nega l¹autenticità della maggior parte della tradizione sulla prima parte della vita di Maometto e svaluta l'efficacia dell¹elemento religioso nelle conquiste arabe, nelle quali ravvisa un movimento spontaneo di migrazione (Enciclopedia Italiana, s. v. Caetani, Leone). Il Caetani fu dunque un vero e proprio pioniere della storiografia di impronta materialista, poiché dietro gli asseriti motivi spirituali tende sempre a vederne degli altri d'ordine materiale (Babrieli, op. cit., p.58). Come ciò possa conciliarsi con il grado di grande iniziato attribuitogli da qualcuno, ci piacerebbe proprio saperlo. In realtà hanno perfettamente ragione, a rivendicarlo come uno dei loro, Levi della Vida e Gabrieli, poiché il Caetani, per usare ancora una volta le parole del Gabrieli, fu un democratico dalla inconcussa fede liberale e parlamentare (op. cit., p. 61, n. 9). In più, fu un antesignano del filosionismo nostrano. Un manifesto formato 98x70 del Comitato della pro-Israele (che non reca la data, ma dovrebbe risalire al periodo 1918-1920) annuncia una conferenza a favore dell'invasione sionista della Palestina, da tenersi al Teatro Nazionale di Roma, con la partecipazione del rabbino Dante Lattes. Nella parte inferiore del manifesto si leggono i nomi dei promotori dell'iniziativa. Tra questi, spicca il nome di Leone Caetani. Abraxa: Già il titolo la dice lunga sul contenuto del brano del sig. Mutti. Ci ricorda sgradevolmente certi politicanti, che, non essendo in grado di affrontare avversari che li sovrastano sul piano delle argomentazioni, cercano di denigrarli con parole-slogan, come fascista, comunista, sionista, antisemita ed altre amenità di questo genere. Infatti, Mutti, anzichè rispondere alle limpide argomentazioni di Caetani del saggio da noi proposto, pensa di denigrarlo, appioppandogli delle etichette e ricorrendo ad evidenti bugie (anche se non così grosse come la sua bufala dell'hadith sull'islamizzazione di Roma). Bugia è infatti quella di Gabrieli (e di Mutti che lo cita), che Caetani "dietro gli asseriti motivi spirituali

tende sempre a vederne degli altri d'ordine materiale". Chiunque abbia letto il saggio da noi proposto vede anzi come egli asserisca, soprattutto per i secoli passati, l'esclusiva e onnipervadente importanza del fattore religioso nel mondo islamico, che egli chiede esplicitamente all'Occidente di non distruggere. Certo Caetani non era uno di quegli allocchi disposti a credere alle favolette di Guenon circa un Oriente tutto spirituale e un Occidente fatto di imbecilli. Quando ai fattori religiosi se ne sovrapponevano altri di carattere emotivo o pratico egli lo riconosceva senza infingimenti. Ciò gli valse la giusta ammirazione anche degli studiosi positivisti. Che molte delle notizie su Maometto siano tardive e probabilmente inventate non è certo Caetani l'unico a sostenerlo. Riguardo al fatto che Caetani politicamente non fosse fascista, ciò esotericamente non è certo un demerito. Dimostra invece, ancora una volta, la sua lungimiranza: sin dalle prime avvisaglie si accorse che il fascismo (in parte per mancanza di uomini adeguati e soprattutto per mancanza di mezzi) era solo una parodia della Romanità. Non basta certo camminare impettiti, per ripetere le gesta dei Cesari e degli Scipioni. Non è un caso che lo stesso Evola non aderisse al partito fascista. A Mutti, poi, piacciono proprio le bufale. Cita addirittura un manifesto senza data, che potrebbe aver fatto chiunque, anche ... i suoi amici. Aggiungiamo che, se realmente Caetani ha appoggiato il ritorno degli Ebrei in patria, ha il nostro plauso. Secondo Mutti, era forse meglio obbligarli a rimanere in Occidente e magari spedirli nei lager? Ma ci stavamo dimenticando che Mutti è filo-islamico e certo lui vorrebbe tutto il vicino oriente in mano islamica per...dar maggior fastidio all'Europa! e magari coronare il suo sogno (di novello Massinissa) di riportare a Roma il puzzo...dei dromedari. Sia chiaro che il nostro atteggiamento nei confronti degli Ebrei è identico a quello che abbiamo per gli Islamici. Rispetto reciproco, nell'ambito di Culture Parallele, che evitino imbastardimenti pericolosi per tutti.

VIII) Controiniziazione, Deviazione Iniziatica, Misticismo Voda: Carissime/i amiche/i, sperando che sia di vostro interesse e in riferimento al tema "Controiniziazione" vi segnalo un articolo del noto saggista ed esoterista Roberto Negrini: "La leggenda della controiniziazione”. Sipex: Interessante il saggio di Negrini, nel quale esistono molti spunti per future discussioni. Vorrei fare subito una prima osservazione. Anche in questo forum siamo stati spesso critici nei confronti di Guénon ed è perciò ovvio che quando parliamo di Controiniziazione non la intendiamo col suo grezzo spirito di parte. Tuttavia è altrettanto inesatto pensare che tutto si riduca a costruita "leggenda". La Controiniziazione esiste nel senso letterale della parola: essa è tutto ciò che impedisce l'accesso all'Iniziazione. Da questo punto di vista rigoroso, qualche ben nota religione, che da secoli non riconosce più l'esoterismo e che cerca di farlo passare per eresia, è un evidente ostacolo all'Iniziazione ed è perciò ... controiniziatica! Atmabodha: Non mi pare basti il non riconoscere l'esoterismo per diventare una forza della controiniziazione. Controiniziazione è specialmente il porre consapevolmente e volontariamente la pratica iniziatica al servizio dell'ego. Questa purtroppo è realtà e non spirito di parte. È noto anche che il maggior artifizio di Satana è quello di far credere che non esiste… Quanto alle organizzazioni controiniziatiche si distinguono da quelle autenticamente iniziatiche dal loro combattere più o meno apertamente l'autorità spirituale e di Governo, cioè Chiesa e Monarchia come mette ben in risalto Evola nell'ultimo capitolo de "Il Mistero del Graal". Nel testo di Negrini

mi pare si faccia confusione tra le une e le altre. Tullio Quasimodo: Il non riconoscere l'esoterismo, cercare di screditarlo e perseguitarlo (e non solo coi roghi!) basta e avanza; cos'altro mai si dovrebbe fare, per impedire l'iniziazione a chi non ce l'ha? Concordo con Sipex nella necessità di definizioni rigorose, che non permettano nè interpretazioni "bizantine", nè del tipo "Cicero pro domo sua". Quella da te indicata non è "controiniziazione", perchè non impedisce l'iniziazione, ma semmai si propone di deviarla quando essa è già in atto - ad altri fini. Potendo essa operarsi solo su chi già è iniziato, essa deve perciò chiamarsi "deviazione Iniziatica". E il tipo di deviazione da te indicato non è certo l'unico. Anche l'interpretare, ad es. l'iniziazione alla stessa guisa del misticismo è una forma di deviazione iniziatica, perchè distoglie dal vero obiettivo e confonde differenti piani. Premetto che non sono evoliano ed anzi talvolta , in questo Forum, ho dovuto -dopo aver studiato la sua opera- metter in luce taluni limiti (chi non ne ha?) del suo pensiero. Tuttavia, se Evola dicesse veramente quello che gli metti in bocca, sarebbe in contraddizione con sè stesso, visto che, da sempre, fu apertamente critico nei confronti della Chiesa. Nel capitolo da te citato, egli dice invece: "L'iniziato, se è veramente tale, può porsi di là dalle forme storiche contingenti di una particolare tradizione, può accusarne - ove a ciò riceva il mandato - le limitazioni e porsi al di sopra della loro autorità, egli può respingere il dogma, perchè ha qualcosa di più, la conoscenza trascendente, e in ben altra sede sa dell'inviolabilità di questa conoscenza; infine può rivendicare per sé la dignità di un esser libero, perché egli si è disciolto dai vincoli della natura inferiore, umana: a tale stregua i 'liberi' sono anche i 'pari' e la loro comunità può essere concepita cone una 'confraternità. Ebbene, basta materializzare, laicizzare e democratizzare questi aspetti del diritto iniziatico e renderli in termini individualistici, per avere subito i principi-base delle ideologie sovversive e rivoluzionarie moderne". Dunque Evola non nega a sé stesso, e a quelli come lui, il diritto di criticare Chiesa e Stato, lo nega solo a chi lo fa ponendosi da un punto di vista meramente materialistico. Naturalmente il materialista potrebbe obiettare che ha il diritto di pensarla come crede, ma non - aggiungiamo noi - di perseguitare a sua volta chi non la pensa come lui. Detto questo, devesi notare, invece, che la Chiesa non condanna solo il materialismo, ma anche qualunque - nessuna esclusa forma di Iniziazione, dovendo secondo lei esser bastevoli i suoi sacramenti e la preghiera devozionale. Essa è dunque da sempre, caparbiamente, controiniziatica! Atmabodha: "Impedire" l'iniziazione a chi vi è chiamato secondo me non rientra nelle possibilità di nessuno, tanto meno della Chiesa che, essendo una struttura exoterica che pone uno iato incolmabile tra l'essere umano e Dio, non può comprendere le reali possibilità dell'uomo. Cosa diversa è il combattere il falso esoterismo e la controiniziazione cosa che ha sempre fatto anche Evola. D'accordo sull'esistenza di deviazioni personali sulla strada iniziatica ma quando la deviazione non è inconsapevole ma cosciente e volontaria e finisce col trascendere il problema personale andando ad agire sulla società in senso negativo inducendo il prossimo ad una spiritualità confusa ed egoistica, allora mi pare legittimo definire tutto ciò controiniziazione. Un muoversi per scelta verso le tenebre anzichè verso la luce. Evola ha ammorbidito parecchio, nel corso degli anni, la sua posizione negativa verso la Chiesa. Egli scrive anche: "Il lume della mera ragione umana subentra alla 'illuminazione’ e da luogo alle distruzioni del 'libero esame’ e della critica profana. Il sovrannaturale è messo al bando o confuso con la natura. La libertà, l'eguaglianza e la parità divengono quelle prevaricatoriamente rivendicate dal singolo 'conscio della sua dignità', non conscio però della sua schiavitù di fronte a se stesso, per ergersi contro ogni forma di autorità e costituirsi illusoriamente come estrema ragione a se stesso....". Indubbiamente la Chiesa non riesce a far distinzione tra organismi iniziatici o controiniziatici, specie la Chiesa moderna preoccupata solo del 'sociale’. Ma è anche soltanto su questo piano sociale che combatte le organizzazioni che l'avversano. Ora, a questo livello, secondo me non può parlarsi di controiniziazione: per farlo occorrerebbe almeno comprendere in che consiste l'iniziazione. Ovviamente non basta leggere i libri di un Evola, di un Guénon o di un Kremmerz per comprendere automaticamente di cosa parlano. Occorre anche una predisposizione interiore. Privi di questa dimensione spirituale i rappresentanti dell'exoterismo combattono

contro i mulini a vento. Tullio Quasimodo: Bruciare al rogo chi dovrebbe iniziarti o rinchiuderlo in carcere o costringerlo in un qualunque modo alla non operatività non impedisce la tua iniziazione? E bruciare te? Gli esseri umani non sono fatti ... solo di "vento"! e perciò le persecuzioni materiali, sociali e psicologiche costituiscono, eccome, un impedimento! Il brano di Evola da te trascritto non è affatto un ammorbidimento nei confronti della chiesa, ma proprio, come nel brano da me citato in precedenza, una critica al materialismo profano. Tutte le altre son solo belle parole. Ma i fatti ... Ti ho letto sovente in altri forum, come: http://groups.google.com/group/free.it.religioni.osho-rajneesh/ dove scrivi ad es: "A me pare che osservare il complesso pensieri-emozioni non li faccia affatto scomparire. Inoltre, sempre secondo me, osservare pensieri ed emozioni è necessario ma non sufficiente. Bisognerebbe intervenire sui pensieri, abbandonare quelli impuri (cioè che creano una dipendenza), eliminandoli o sostituendoli con altri più edificanti. Comunque la "notte oscura dell'anima" di San Juan de la Cruz era tutt'altra cosa. Un'esperienza mistica forte. L'Opera al nero degli Alchimisti. Ciao, Atmabodha". Non stai scientemente cercando di confondere il misticismo di S. Giovanni della Croce con l'Opera al nero degli alchimisti? Sipex: Al di là di ogni polemica, penso sia utile spendere qualche parola su questo argomento. Cioè se esistono o meno - e quali eventualmente siano- le relazioni tra ermetismo alchimico ed alchimia da una parte e mistica carmelitana e misticismo in genere dall'altra. Per quanto riguarda l'alchimia in senso stretto, cioè implicante anche una pratica di laboratorio esterno, ben difficilmente essa potè e può avere rapporti con il misticismo, basato in genere essenzialmente su un qualche tipo di religiosità interiore. Non si può escludere che qualche monaco, dedito alla preparazione di elixiri (interni ed esterni), abbia simulato, per evitare fastidi, un misticismo esteriore. Ma anche ad ammettere un tal caso, non si tratterebbe di un vero mistico, ma di un alchimista occultatosi ... nella tana del leone. Il paragone più interessante è perciò di certo quello con l'ermetismo alchimico. L'analisi è resa più difficile dal fatto che gli esoteristi hanno tentato per secoli di proporre al cristianesimo un completamento in ambito esoterico, pur essendo sempre ricambiati non solo con rifiuti - di chi temeva di doversi sottomettere a più alta e legittima autorità - ma anche con persecuzioni. Gli autori dei suddetti tentativi, per facilitare una conciliazione, non calcarono troppo la mano sulle differenze tra esoterismo e misticismo e qui, a mio parere, fecero ingenuamente il gioco delle autorità cristiane. Queste, infatti, approfittando dello scarso discernimento tra i due termini, ne approfittarono per condannare sistematicamente l'esoterismo come un misticismo eretico. Bisogna riconoscere che Renè Guénon fu forse il primo a distinguere nettamente - ritengo più di Evola - i due termini. Naturalmente su Guénon pesa il dubbio che lo abbia fatto per favorire il cosìddetto esoterismo islamico (ma il Sufismo è realmente islamico?). Qualche suo seguace, ad es. Titus Burckardt, gioca sulle parole: la Mistica sarebbe esoterica, il Misticismo no, distinzione controproducente e che rialimenta la confusione, perchè da secoli i due termini sono sinonimi. Evola, dal canto suo, considera la via mistica , come una possibilità della cosìddetta "Via Umida" e, a mio parere, non soffermandosi sufficientemente su di essa, perchè non conforme al suo temperamento, finisce con l'essere impreciso. Sussiste infatti, nella sua trattazione, una confusione tra "via devozionale esoterica" e "via devozionale mistica". La "via devozionale esoterica" (bhakti marga) rientra, come dice il secondo attributo, nell'esoterismo ed è impartita temporaneamente ad allievi che, per loro intima natura, non possono essere subito avviati ad una via basata sulla pura conoscenza (jnana marga). Sarà il maestro a decidere quando è opportuno per l'allievo cambiar strada, ma in ogni caso la strumentalità (il carattere di mezzo a fine) della bhakti è noto fin dall'inizio e non richiede affatto - si veda l'uso delle devata nel buddhismo - la fede in un dio creatore o trascendente. La via devozionale mistica invece è caratteristica di quelle forme religiose che hanno il dio creatore come estrema istanza. Esiste così un misticismo cristiano (da non confondersi con il Rosacrocianesimo), un misticismo islamico (da non confondersi con il Sufismo) ed un misticismo ebraico (da non confondersi con il

Kabbalismo). La via mistica non nasce dall'esoterismo, ma dall'impulso di taluni fedeli di andare al di là della comune vita religiosa. I mezzi a loro disposizione sono peraltro quelli stessi della comune vita religiosa - preghiere ed altre forme di devozionalità - che vengono perciò semplicemente esasperati, talvolta in modo masochistico, rispetto all'uso comune. Naturalmente può esistere quello che si potrebbe chiamare un "maestrato mistico", cioè un mistico già praticante può far da maestro - nel suo campo - ad un proficiente. Ed è a questo scopo che sono sorti ad es. gli scritti di S. Giovanni della Croce, che attirano molti per il loro carattere di "manuali", così che taluni - contribuendo così alla confusione - hanno preteso di paragonarli agli Yoga Sutras di Patanjali, accostamento che, per quanto abbiamo detto, si riduce in realtà al fatto esteriore di essere entrambi dei "manuali" sui generis. La confusione si deve anche all'uso, da parte di S.Giovanni della Croce di alcuni termini ad es. "notte oscura", che può far concludere affrettatamente che si tratti ad es. dell'opera al nero degli alchimisti, o addirittura degli stati di "non manifestazione" di certe dottrine. Noi riteniamo invece che, a causa degli orizzonti e dei mezzi limitati dei mistici, la fenomenologia descritta da S.Giovanni della Croce possa al più considerarsi equivalente a quella descritta da Massimo nel saggio "Appunti sul Distacco" (Introduzione alla Magia, vol. III ), con l'aggravante che, giunto al punto in cui "si verifica nella vita fisio-psichica di lui un arresto della direzione naturale di ogni suo processo vitale", una deviazione del mistico in mancanza di indicazioni di livello esoterico - è assai probabile. La vita non lunga di S. Giovanni della Croce (1542-1591) e la sua morte per malattia potrebbe costituirne una conferma. Forti dell'esperienza passata, è importante che gli odierni esoteristi non facciano più "proposte di completamento" alle religioni monoteiste. Le si abbandoni invece a loro stesse - la catena non gli sia più misurata, come direbbe Evola - così che si trovino concretamente di fronte all'alternativa di ravvedersi o ... sparire! Occhi di Ifà: Anch'io fui attratto, in un primo tempo, dai "dettagli manualistici" di S. Giovanni della Croce e da certe sue espressioni, che sembrano riecheggiare contenuti dell'esoterismo. Ad es., nella Salita del Monte Carmelo (Lib. I, cap.13, par.11) si legge: "E quando tu giunga ad avere il tutto, tu devi possederlo senza voler niente, poichè se tu vuoi possedere qualche cosa nel tutto, non hai il tuo solo tesoro in Dio." Dunque, anche qui, come nell’esoterismo magico, sembrerebbe essere indicato non un perdersi estatico nel tutto (alla maniera vedantina), ma piuttosto il "possesso" di esso, nel senso che tutte le possibilità di esistenza in esso contenute sono attuabili dall'asceta, che può volontariamente assumerle, senza però attaccarsi ad alcuna di esse. Sarebbe bello che il Dio di cui parlano questi versetti fosse la Divinità (Gottheit) di Eckhart, nel quale ogni ente ha le sue radici. Esse sono chiamate da Eckhart talvolta il "piccolo punto", talvolta la "favilluzza". Termini che equivalgono all'Emmanuel (= Dio in noi) dell'Antico Testamento. Ma è più probabile che -dato il suo orientamento mistico in senso stretto- S.Giovanni della Croce stia parlando semplicemente del Dio personale (Gott in Eckhart). Infatti, approfondendo, ci si accorge che egli non esce mai dai limiti del misticismo. A tal riguardo, ritengo piuttosto significativo riportare alcuni passi del capitolo IV della Notte Oscura, che reca il sottotitolo "Ove si parla di altre imperfezioni in cui abitualmente cadono i principianti relativamente alla lussuria, terzo vizio capitale": "... Qui tratto del vizio della lussuria, ma mio unico intento non è quello di parlare dei peccati relativi a questo vizio capitale, nei quali cadono le persone spirituali, bensi di occuparmi delle imperfezioni da purificare nella notte oscura. Ora, sono molte le imperfezioni dei principianti su questo punto: si potrebbero chiamare lussuria spirituale, non perché lo siano in realtà, ma perché derivano da cose spirituali. Molte volte, infatti, accade che durante gli stessi esercizi di pietà insorgano, anche se non si vogliono, moti di sensualità e atti disordinati. A volte ciò si verifica persino quando lo spirito è immerso in una profonda orazione o si sta celebrando il sacramento della penitenza o dell'eucaristia. Queste sensazioni, come ho detto, non dipendono da noi; derivano da una delle tre cause seguenti. La prima è il piacere che spesso la natura prova nelle cose spirituali. ...Accade così che l'anima, pur essendo tutta immersa con lo spirito in una profonda orazione alla presenza di Dio, nei

sensi provi passivamente agitazioni, fermenti e atti sensuali, non senza grande ripugnanza da parte sua. Ciò accade spesso durante la comunione: poiché l'anima prova gioia e soddisfazione a compiere quest'atto d'amore, perché il Signore le concede questo dono proprio a questo scopo, anche la sensualità vuole la sua parte, come ho detto, però a modo suo. ... La seconda causa, da cui provengono a volte queste agitazioni, è il demonio. Costui cerca d'importunare e turbare l'anima che è in preghiera o vi si prepara; suscita nella natura questi movimenti disordinati e reca all'anima, che vi presta attenzione, un grande danno. Difatti non solo per la paura che le insinua la rende svogliata nell'orazione, che è quanto egli vuole, dovendo l'anima lottare contro simili suggestioni, ma spinge alcune persone ad abbandonare completamente la preghiera. Tali anime credono che simili agitazioni si verifichino proprio durante la preghiera e non in altri momenti. Ciò è vero, perché il demonio le suscita più in questi momenti che in altri, proprio perché abbandonino questo pio esercizio. ... Ci sono, poi, delle anime dal temperamento così sensibile e delicato che, appena provano qualche gusto di devozione o di preghiera, si vedono pure immediatamente invase dallo spirito di lussuria. La sensualità le stordisce e le inebria a tal punto che sono come sommerse nelle attrazioni e nei piaceri di questo vizio. Entrambe queste sensazioni perdurano contemporaneamente e in modo passivo; a volte si constata anche che si sono verificati dei gesti grossolani e sconsiderati. Questo perché, come ho detto, hanno un temperamento sensibile e delicato; quindi alla minima emozione si agitano gli umori e il sangue, e provocano tali sconvolgimenti". L'approccio di un esoterista, anche del tipo "casto", sarebbe ben diverso. Egli sa che le "erezioni spontanee" - di esse sta parlando, con cincorlocuzioni, S. Giovanni della Croce - si verificano nei momenti in cui le energie corporee sono pienamente reintegrate e lo spirito è sereno. Nell'uomo comune si verificano ad es. nel dormiveglia mattutino, dopo il riposo notturno (le cosìddette "erezioni mattutine"). Nel mistico anche durante preghiere e devozioni. Nell'esoterista si verificano quando analoga pienezza energetica ed analoga serenità dello spirito sono indotte dalla concentrazione o dalla meditazione. Sapendolo, egli non è affatto preoccupato, nè suppone sé stesso invaso dal demonio, ma fa circolare l'energia in sovrappiù, per riparare eventuali piccoli malanni o per rafforzare il suo corpo eterico (lunare). Ad es., se è un taoista, metterà in moto la cosìddetta "ruota della legge" o "ruota ad acqua", immaginando che l'energia salga, dall'organo genitale, lungo il dorso fino alla sommità del cranio e poi scenda frontalmente, lungo il volto e il torace, completando il circolo nel basso ventre. Continuerà così, finchè l'erezione finisce. Voda: Vista la diatriba, che vi fu a suo tempo, tra Taurulus ed Evola su padre pio, segnalo il seguente articolo che riconferma i dubbi sul "sant'uomo": Sergio Luzzatto - 24 ottobre 2007 Corriere della Sera IL LIBRO DELLO STORICO SERGIO LUZZATTO APRE NUOVI DUBBI SUL FRATE DI PIETRALCINA Padre Pio, il giallo delle stigmate. Un farmacista: «Nel 1919 fece acquistare dell'acido fenico, sostanza adatta per procurarsi piaghe alle mani»” Sipex: Corallo Reginelli (Taurulus), dapprima antroposofo, passò poi sulle posizioni "cattolico-vedantine" di Guido de Giorgio (Havismat) e ne condivise la valutazione di Padre Pio. Riguardo alla visita che De Giorgio fece, nel dopoguerra, a S. Giovanni Rotondo, si può consultare il suo breve diario di viaggio "Ciò che mormora il vento del Gargano", Milano 1999. Voda: Il 17/07/2007 ho già riferito su questa Mail List, in una mia risposta a Vandermok, di questa mia esperienza che ormai si può definire "storica": ... Taurulus (membro in età giovanile del Gruppo di Ur, che diceva di aver ottenuto dal prete di San Giovanni Rotondo una intecessione per la figlia affetta da diffetto visivo e che perciò era diventato "devoto al sant'uomo") mi riferi' negli anni '80 di aver cercato una volta di convincere Evola ad andare a chiedere "la grazia" da padre pio. Ricevette dal Barone uno sprezzante diniego, del tipo "Ma non ci penso nemmeno! Piuttosto la morte ...". Andai in visita a Taurulis a Merano, dov'egli abitava, accompagnato e presentato da un Carissimo Fratello sia Libero Muratore che membro dell'Ordine Osirideo Egizio (che non nominerò per riservatezza). In tale occasione ebbi a discutere per un pò con il buon "Lanciafiamme" (altro nome che si era

dato il buon Reginelli, pseudonimo con cui scrisse anche due libri, intitolati "Lanciafiamme" e "Lanciafiamme con amore") sulla questione Evola-Padre Pio, ed il buon vecchio (buono e cortese ma anche irascibile e caustico se punto nel vivo), che a distanza di tanti anni era ancora convinto della stupidità manifestata da l Barone nella sua cocciutagine anticristiana nell'aver rifiutato la "visita salvifica". Sipex: Vi sono state varie edizioni delle sue opere. Nell'ultima edizione (1986) de "Il lanciafiamme. Discorsi sull'esoterismo" e de "Il Lanciafiamme con amore", lo pseudonimo è Alone C. R. In una prima edizione, compariva anche il nominativo dell'autore. Ad esso fa riferimento Asilas nella Nota Introduttiva a "La Tradizione Romana" di Guido de Giorgio:"In un chiaro mattino di primavera dell'anno 1970 ... ci eravamo recati in Campidoglio ... giungemmo poco dopo in una vicina libreria ove scegliemmo sugli scaffali un libro edito di recente. In esso vi era il nominativo di una persona ... Nei giorni successivi entrammo in contatto con tale persona, un anziano signore che in più giovane età aveva fatto parte del famoso ed esoterico Gruppo di Ur e che, per motivi suoi insindacabili, desidera conservare l'incognito. Egli era in procinto di lasciare definitivamente la capitale e, tra le poche cose di cui non si era ancora disfatto, vi era un voluminoso dattiloscritto di Guido de Giorgio sulla Tradizione Romana, che senza esitazione ci offerse". Tra gli amici romani di Reginelli vi era Paolo Virio, che lo cita frequentemente nelle sue lettere (vedi: P.Virio, "Corrispondenza Iniziatica", ediz. Sophia, Roma). Ad es., in una lettera datata "Roma, 17 Aprile 1951, Virio scrive: "Ogni tanto vedo Reginelli, il Taurulus di Ur, che dopo 15 anni di Antroposofia presso Colazza, si è finalmente svincolato e da circa 3 anni si è messo a seguire le conoscenze tradizionali". Con quest'ultimo termine Virio si riferisce ovviamente ad un orientamento affine al suo o a quello di De Giorgio. Voda: Quando lo incontrai, Reginelli era un uomo anziano e con forti sintomi di "indigestione di metalli" (per usare un termine Massonico). Dentro al suo appartamento non aveva porte, nemmeno nel bagno, poichè era convinto di aver compiuto un percorso alchemico interiore per cui anche le sue feci, secondo lui, odoravano di violette). D'altra parte, quando scrisse con il Gruppo di Ur era un giovane inesperto, che iniziava un viaggio iniziatico che evidentemente avrebbe avuto una fine piuttosto precoce nelll'incontro con l'Eggregore monoteista, anche se ho notato nell'opacato cristallo i riflessi dell'antica passione esoterica. A proposito di padre pio, a dire di Reginelli disse di essergli devoto perchè avrebbe salvato sua figlia dalla cecità (anche se non si può dire che dopo l'incontro col "santo" sia diventata un'aquila, i problemi di vista restarono). Il mio non è un tentativo diffamatorio ma solo una cronaca di un incontro (fra l'altro, tutto sommato, il personaggio mi è sembrato anche simpatico ed a modo suo altruista (nel dispensare ad altri il suo Illuminato Verbo). Comunque, per completare quanto sta emergendo in questi tempi su "padre pio", segnalo un altro interessante articolo di Corsera pubblicato, in data odierna, sui dubbi di Giovanni XXIII e sulle sue scoperte a proposito del "sant'uomo": «Padre Pio, un immenso inganno» Giovanni XXIII annotava: «I suoi rapporti scorretti con le fedeli fanno un disastro di anime» di Aldo Cazzullo, 25 ottobre 2007, Corsera”. Sipex: Come indicano i due articoli segnalati da Voda, ha fatto notevole scalpore -tanto da essere l'argomento dello Speciale TG1 dello scorso 28 Ottobre alle 23:35- il libro "Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento". L'autore, Sergio Luzzatto, è un giovane studiosio di tradizione ebraica, professore ordinario di Storia moderna nella Università di Torino. È considerato uno dei maggiori esponenti in Italia di quella corrente di indagine che -con termine anglosassone- viene chiamata "body history", perchè riconosce nei corpi umani una fonte privilegiata di storia. Riguardo ad essa, qualcuno ha parlato di "Nuova tendenza, vecchia tentazione", giacchè, seguendola, grave è il rischio di ridurre l'ideologia alla fisiologia, e i mali della storia alle malattie delle persone. A ciò si aggiunge, che Luzzatto, punzecchiato dai cattolici, ha pensato bene di aggiungere al suo articolo "Padre Pio, quando la storia si ribella ai luoghi comuni", del 30 Ottobre 2007 sul Corriere della Sera (1), il sottotitolo «Il mio libro contro intolleranza, agiografia e antisemitismo», confermando così i dubbi cattolici, che si tratti più del libro di un ebreo, che di uno studioso.

A noi esoteristi il libro di Luzzatto è sostanzialmente inutile. Dal momento che, per un giudizio definitivo su Padre Pio, si rivelò illuminante il suo scritto "Breve trattato sulla notte oscura", che Elemire Zolla riportò sul n°1-1970 della rivista Conoscenza Religiosa, indicando nella sua nota finale che "L'autografo è custodito nell'archivio Pagnossin di Padova" (2). Si tratta di un trattatello (una sorta di sommario scritto per quel discepolo) che si occupa della Notte Oscura, secondo i ben noti insegnamenti di S.Giovanni della Croce. In esso, Padre Pio si rivela un mistico, con tutte le conseguenze ed i limiti di un tale atteggiamento. Ad es., similmente a S.Giovanni della Croce, Padre Pio scrive: "L'anima spirituale, prima di entrare in questa purga, è facile che negli stessi esercizi di divozione senta sollevarsi nella carne movimenti non tanto puri, e quali non sono in potere dell'anima di poterli allontanare, nonostante che la poverina provi di tutto questo una grande ripugnanza e pena e si sforzi positivamente di allontanarli e di evitarli. Questo accade allo spirituale anche allorchè sia in una orazione di grande raccoglimento. Ora questi movimenti che in tali santi momenti lo spirituale esperimenta possono provenire dal demonio, il quale cerca tutte le maniere per allontanarlo dall'orazione o, se ciò non è possibile, almeno farlo andare all'orazione non tanto spedito. Lo fa ancora al fine di disturbarlo, di inquietarlo e di spaventarlo. Inoltre può ciò avvenire anche dalla natura molto debole, da soverchio timore che lo spirituale viene a concepire di queste sensazioni impure. Infine può ciò avvenire da una natura alquanto debole impressionabile per gusto e piacere in queste cose". Proprio come S.Giovanni della Croce, Padre Pio dunque si preoccupa delle erezioni spontanee, che possono verificarsi durante l'orazione. Non ha dubbi che la causa sia il demonio, non lo sfiora neanche l'idea che si tratti di una semplice manifestazione di accresciuta energia. Ignora come sapevano già gli antichi taoisti e come la scienza moderna ha confermato - che simili erezioni si verificano già nella quiete del feto, prima della nascita, e che perciò non hanno a che fare con la lussuria. Inutile aggiungere che sono le preoccupazioni sessuofobiche -piuttosto che il demonio- a disturbare le orazioni dei mistici di questo tipo (3). Ma torniamo a Luzzatto. Seguendo le tendenze della "body history", egli non può far altro che insinuare il dubbio che Padre Pio si procurasse le stimmate con sostanze chimiche, ma a ciò i seguaci del frate possono facilmente ribattere che -quando sorse il sospetto- la chiesa, si premurò di proibirgliene l'uso, anche per motivi comuni, e tuttavia le stimmate continuarono. È invece noto da tempo, a chi non si limita a considerare il "physical body", che le stimmate hanno, in genere, origine psicosomatica, tanto che i mistici le condividono con taluni semplici isterici. Nel caso di Padre Pio, la psicosomaticità è poi evidente: per il principio di causa-effetto le stimmate sparirono alla sua morte. Scomparsa infatti la causa (la psiche), cessò anche l'effetto (le stimmate): ben difficilmente sarebbero scomparse, senza traccia, se dovute a sostanze chimiche. Altrettanto difficilmente sarebbero scomparse se si fosse trattato di un miracolo; perchè Dio avrebbe mai dovuto occultarne la prova? Che si sia trattato di un fenomeno psicosomatico lo sa anche la chiesa che, pur essendo Padre Pio proclamato santo da Giovanni Paolo II, non ha mai riconosciuto ufficialmente le sue stimmate, tanto meno poi come fenomeno miracoloso. (1) http://www.corriere.it/spettacoli/07_ottobre_30/PADRe_pio_luzzatto_storia_luoghi_comuni.shtml (2) Si tratta di Giuseppe Pagnossin, ex industriale padovano e ben noto seguace di Padre Pio. (3) Si veda, in questo stesso quaderno, il precedente intervento di Occhi di Ifà. Tullio Quasimodo: Nell'articolo, segnalato da Voda e scritto da Aldo Cazzullo si legge tra l'altro: "... E, come documenta Luzzatto, quando «La Settimana Incom illustrata» sparò in prima pagina il titolo «Padre Pio predisse il papato a Roncalli », compreso il dettaglio di un telegramma di ringraziamento che il nuovo Pontefice avrebbe inviato al cappuccino, Giovanni XXIII ordina al proprio segretario di precisare all'arcivescovo di Manfredonia che era "tutto inventato": «Io non ebbi mai alcun rapporto con lui, né mai lo vidi, o gli scrissi, né maimi passò per la mente di inviargli benedizioni; né alcuno mi richiese direttamente o indirettamente di ciò, né prima, né dopo il Conclave, né mai»"

Questa invenzione di predizioni mai avvenute o di consensi mai dati, da parte di personaggi famosi, continua ancor oggi. Ad es., il 28-05-2007, nel forum di Politicaonline, uno che si definisce "pastore di capre" ha scritto: "...padre Pio, probabilmente uno dei pochi personaggi espressi dalla chiesa cattolica negli ultimi decenni in grado di detenere poteri reali (non a caso lo scetticissimo Evola sembrava dar credito al suo dono dell'ubiquità)". A parte che è veramente difficile immaginarsi una persona scetticissima nei confronti di qualcuno, che contemporaneamente gli riconosce addirittura l'ubiquità, il suddetto "pastore" si guarda bene dal precisare in quale scritto o circostanza Evola possa mai aver fatto una simile affermazione. Paolo Longhi: Ricordo nitidamente di aver letto un articolo nel quale Julius Evola faceva un rapido, fugace cenno su Padre Pio, attribuendogli non il dono dell'ubiquità - dono che, tra l'altro, mi pare non esista per nessun essere umano ma che sia essenzialmente un attributo relativo della Divinità stessa - ma il potere della bilocazione. Sono passati sicuramente più di trent'anni da quando lessi quell'articolo. Pubblicato forse sulla rivista di Gaspare Cannizzo 'Vie della Tradizionè? Onestamente non saprei ma ricordo che l'affermazione mi sorprese un pochino, sapendo che Evola non era di certo benevolo nei confronti del Cattolicesimo. Non vorrei giurare, ma mi pare che il Filosofo romano abbia citato anche altrove il Carismatico francescano. Secondo me - ma è un'idea mia che mi venne tanto tempo fa e che va pertanto presa con beneficio d'inventario - se Evola fece una simile affermazione è perchè ebbe probabilmente nel suo letto di infermo, che era anche un letto di dolore, una visita in bilocazione da parte del frate del Gargano. EA: Il saggio "I Centri iniziatici e la storia" comparve nella rivista "Vie della Tradizione" nel 1971 e fu incluso da Evola nella seconda edizione della raccolta "L'Arco e la clava" (Vanni Scheiwiller - All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano, 1971). Per comprendere il senso di quella frase occorre tener presente il suo contesto. Evola dice testualmente: "Ad esempio, con riferimento dalle cosìddette ricerche metapsichiche moderne, eseguite sotto severi controlli, è stata accertata la realtà dei 'fenomeni parafisici', ossia la possibilità che oggetti vengano spostati, mossi o sollevati a distanza, senza che a ciò si possa dare una spiegazione normale. Solo, che data la materia con la quale ha quasi esclusivamente ha da fare la ricerca metapsichica, si tratta di processi spontanei sporadici, non riproducibili a volontà, spesso medianici. Purtuttavia, è attestato il fatto che un agente psichico può provocare fenomeni che, come il sollevamento di un oggetto pesante, implica una forza indubbiamente superiore a quella necessaria per provocare, ad esempio, una lesione cerebrale con un esito mortale. Anche il fenomeno della bilocazione, ossia della proiezione della propria imagine in un posto lontano, è stato accertato (del resto sembra che ciò avvenisse anche con Padre Pio da Petralcina)". Una frase come "sembra che ciò avvenisse" non è affatto una testimonianza diretta del fatto, ma un semplice riportare ciò che si è sentito e - tenute presenti le amicizie di Evola con De Giorgio, Reginelli ed altri del medesimo indirizzo - non è difficile capire da chi. Vedi, caro Paolo, come sia importante ricordare e riportare i documenti come sono, altrimenti una semplice frase probabilistica sulla bilocazione rischia di diventare - in bocca a poco informati o ... ad interessati - addirittura una affermazione di ubiquità !!! Frater Petrus: Voda ci ha narrato l'amore di Reginelli per l' "open space", o meglio per una casa senza porte, visto che, per una pretesa alchimia, egli avvertiva tutti gli odori -compresi quelli del bagno- come fossero di violetta. Come accennava Voda, i suoi visitatori sentivano invece gli odori per quelli che erano, così che tutta l'alchimia si riduceva in pratica ad una autosuggestione olfattiva. Anni fa, feci amicizia con una signorina di Salerno, che come personalità rassomigliava per certi versi a Reginelli: si occupava di magia ed era una devota di Padre Pio. Più volte fui oggetto io stesso delle sue allucinazioni olfattive: asseriva di avvertire odore di violetta promanare dalla mia persona. Veniva prontamente a trarmi d'impaccio suo fratello, un simpatico studioso della famosa scuola medica salernitana, il quale - dopo avermi annusato - sentenziava che odoravo si, ma del comune sudore estivo.

Penso che anche a Padre Pio sarebbe convenuto qualche "salvataggio" del genere, anzichè favorire (se fu lui a favorirle) inutili e pericolose allucinazioni. Si pretende si trattasse di un codice con il quale comunicava, in presenza e a distanza, indicazioni ai suoi seguaci: non sarebbero state più comprensibili parole interiori? Il vecchio concetto di osmogenesi (emanazione di profumi), quale carisma posseduto da alcuni Santi o da alcuni luoghi sacri, è del tutto superato. Oggi si sa che sia le distorsioni degli odori (parosmie e cacosmie) sia le allucinazioni olfattive vere e proprie (phantosmie) hanno due cause principali: malesseri e suggestioni sia autoindotte che eteroindotte. Tra le malattie scatenanti vi sono: tabe dorsale, diabete grave, gravidanza, influenza, intossicazione da piombo, infezioni virali, traumi cranici, conseguenze di interventi chirurgici, uso di droghe, malattie psichiatriche, epilessie allucinatorie (che spesso non implicano convulsioni), emicrania, sifilide, tumori del cervello, sinusiti croniche, corpi estranei nasali, tonsilliti caseose, bronchiti, alcune affezioni gastriche ed epatiche. Per quanto riguarda le suggestioni, basterà ricordare come le suggestioni olfattive siano facilmente indotte dagli ipnotisti e che il provare ad immaginare un profumo non presente, ad es. di un'arancia, faccia parte della cosìddetta "scala di immaginazione creativa", un comune test di auto ed etero-suggestionabilità (BARBER T. X., Ipnosi: un approccio scientifico, Ubaldini, Roma, 1972). Afrodisia: Ad es. il calendario 2000 di Padre Pio, Edizioni Piemme, con rosario fosforescente in omaggio, riportava la seguente lista. Il livello delle indicazioni è inferiore perfino a quello della peggior astrologia da rotocalco: Aceto=piena vittoria sui nemici Acido fenico= Sofferenze fisiche e morali; Aglio= Seguire la strada temporaneamente presa, senza rimorso alcuno; Anice= Speranza; Basilico= Tenersi sempre in contatto spirituale con Padre Pio; Biancospino= compiacimento per il nostro comportamento da parte di Padre Pio; Caffè= Non agitarsi, non stare in ansia inutilmente; Canfora= Avviso alla guarigione fisica; Catrame= Seguire una corretta line di condotta spirituale e di vita, correggendo le storture; Cera= Essere profondamente innamorata della Fede; Cioccolato= Sostenersi dai problemi quotidiani; Confetti= Conferma all'impegno con Dio; Dolci= Benedizione di Padre Pio; Erbe amare= Giungeranno notizie di morte, si cerca il conforto del Padre spirituale; Farina o pane fresco= Segno del sopraggiungere della provvidenza; Fiori vari= Rassegnazione, sottomissione alla Fede; Fragola= Benefici per l'intercessione chiesta; Garofani= Ricevere piccole grazie spirituali, condurre una vita più sincera e fedele; Gelsomini= Matrimonio spirituale; Gerani= Riguardarsi dai strapazzi fisici; Giglio= Invito alla purezza; Gomma bruciata= Sono rimessi i tuoi peccati; Incenso= Invito a pregare, pregare con più fede; Latte bollito= Presto subirete un intervento chirurgico; Lavanda= Tranquillità e armonia in famiglia; Menta= Devozione alla Madonna; Olivo= Invito a pacificarsi con il prossimo; Papaveri= Non fare chiacchiere e pettegolezze inutili; Pino= Pregare per le persone a noi care; Rosa= Presenza ravvicinata di Padre Pio, dono di grazie; Salvia= Sospettare inutilmente ed infondatamente; Sangue= Fare sempre la volontà di Dio; Stalla= Pregare San Michele, visitare il Santuario a Lui dedicato; Tabacco= L'anima di Padre Pio é vicino alla nostra, presto ci convertiremo;

Tintura di iodio= Confessarsi dei propri peccati; Torta-Dolci= Benedizione di Padre Pio; Tuberose= La presenza di Padre Pio ci é vicina, segno di buon augurio; Vaniglia= Intercessione di Padre Pio per un intervento chirurgico, prossimo matrimonio; Viola= Grazia che presto viene concessa; Vino= Felicità, abbondanza, letizia; Zolfo= Presenza di satana, peccato mortale. Zucchero bruciato= presenza diabolica Frater Petrus: Un altro vanto dei seguaci di Padre Pio erano le sue presunte capacità di "intercessione" e di preveggenza. Anche a riguardo, ho avuto possibilità di conoscere talune persone direttamente interessate. Ad es., negli anni '70, conobbi Luciana Marchetti (autrice meglio nota come "Luciana Virio", moglie di "Paolo Virio"), la quale nel libro "Paolo M.Virio, esempio di vita" (p.144) dice: "È necessario ora che parli di Padre Pio, perchè per un misterioso concatenamento nei fini dell'Ordine della Provvidenza noi (io e Virio) siamo in certo qual modo legati al Padre". Recatasi in pellegrinaggio da P.Pio nel Luglio del 1953 e ritornata a Roma, ebbe una visione nella quale il frate, riferendosi al marito le diceva (p.156): "Soffre, soffre molto, lo aiuterò ad essere ancora più forte, ma deve compiere la Volontà di Dio, deve sottostare al suo Volere, non posso fare nulla!". Un anno dopo, si verificarano i seguenti fatti (pp. 162 e seg.) : "il giorno 27 Luglio del 1954, il male colse la sua veste terrena ... Nel mio disperato dolore per la gravità del male, mando un telegramma ad Ida (mia amica) che si trova da Padre Pio ... si reca con il telegramma in mano da Padre Pio. ... è ricevuta dal Padre, è ascoltata. ... A me viene telegrafato: Padre Pio ottenuto grazia, speri! ... Virio, la mattina del 13 settembre inizia a migliorare. ... Trascorre un mese di convalescenza ... Sembra stia veramente meglio e che sia completamente guarito. ... Finchè nel frattempo si giunge all'alba fatale del 13 aprile ... Tre volte invoca il mio nome! ... poi il suo sguardo rimane immobile, fisso: ha perso la coscienza ... i medici non sanno cosa dire ... E Ida, venuta anche lei, mi dice ciò che veramente Padre Pio aveva detto allora: altri sei mesi. E i sei mesi, alle sette del mattino del 13 aprile, erano scaduti! ... Erano circa le due quando Virio riacquista la conoscenza ... Padre Pio aveva concesso sei mesi per prepararmi: compiuti questi, per quale misterioso Volere, gli sono stati concessi altri 14 anni di vita sulla terra?". Quando parlammo di persona di questi fatti, non osai insinuare che la faccenda dei sei mesi poteva essere semplicemente ... una invenzione a posteriori della sua amica. Neppure sottolineai che -nonostante i suoi pretesi poteri- P. Pio si era sbagliato di ben 14 anni! Ma le ricordai - suo marito era stato anche uno studioso di Dante - i seguenti versi dal sapore "magico" di Purg. XVI: 67 e ss: "Voi che vivete ogne cagion recate per suso al cielo, pur come se tutto movesse seco di necessitate. Se così fosse in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per mal aver lutto. Lo cielo i vostri moventi inizia; non dico tutti, ma posto ch' i' 'l dica, lume v'è dato a bene e a malizia, e libero voler; che, se fatica nelle prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si notrica". Comprese il mio punto di vista. Anni dopo, mi trovai, per ragioni di lavoro, a Fuscaldo Marina, sul Tirreno in provincia di Cosenza. Là, conobbi un'anziana signora, che chiamerò nel seguito con il suo nome di battesimo: Rosalia. Subito dopo la II Guerra, Rosalia aveva insegnato nelle scuole elementari di S.Maria del Cedro,

un comune più a Nord di Fuscaldo, non distante da Scalea e dalla Torre Talao, dove come è noto si riunirono, per diverso tempo, personaggi come Armentano e Reghini. All'epoca, S.Maria era chiamata ancora con il suo vecchio nome, apparentemente buffo e in realtà squisitamente latino: si chiamava Cipollina (cioè Cis-pollina=località al di qua del Pollino). A Cipollina, Rosalia conobbe un giovane che intendeva fidanzarsi con lei. Nello stesso periodo, ritornò alla carica anche un suo ex fidanzato. Rosalia, incerta sul da farsi, ricorse a P.Pio, del quale era devota. Recò con sè le fotagrafie dei due fidanzati e glele mostrò. P. Pio rispose che il primo fidanzato era un poco di buono e, passando alla fotografia del secondo, affermò "e questo è peggio del primo". Rosalia decise di lasciarli entrambi. Sul primo dei due forse il frate ci aveva alla lontana azzeccato, trattandosi di un tipo che si rivelò piuttosto lunatico. Ma il secondo, sposatosi con un'altra donna, si era invece rivelato un onesto impiegato e un marito e padre affettuoso (di cinque figli). E su ciò Rosalia non aveva dubbi, perchè in quei piccoli paesi, soprattutto un tempo, nulla si sarebbe potuto nascondere. Con che diritto, mi chiesi tra me, P. Pio aveva espresso quei giudizi?

IX) L'Iniziazione: Una Sintesi di EA Per concludere, da parte mia, voglio aggiungere una breve sintesi di quanto emerso. L'iniziazione non è che un caso particolare dell'influenza che due o più esseri, che siano in relazione, hanno gli uni sugli altri. In realtà, poichè Tutto è Uno, ogni ente è in relazione con tutti gli altri, perfino quando non sia consapevole di tale relazione e perciò vi è sempre una qualche influenza reciproca. Perchè essa possa considerarsi "iniziatica", deve essere soddisfatto almeno un requisito: "L'influenza è iniziatica se agisce a favore della realizzazione del'individuo sul quale è esercitata". Cosa abbia da intendersi per 'realizzazione', lo abbiamo già spiegato nel Quaderno dedicato alla Porta Ermetica di Roma: è il triplice atto trasmutatorio, eseguendo il quale Ermete è detto "Tre volte grandissimo" (Trismegisto). Talvolta si afferma che un secondo requisito è la 'consapevolezza' della trasmissione dell'influenza stessa, tanto da parte del Maestro, tanto da parte del Recipiendario. Ma non è sempre così. A volte, agli inizi, il recipiendario è ignaro dell'influenza. Ciò si verifica soprattutto nel caso di familiari del Maestro, nei confronti dei quali egli, avendo un contatto molto più frequente che nel caso di estranei, talvolta preferisce agire gradualmente ed insensibilmente, così da aggirare più facilmente le resistenze egoiche. Non è un caso che, nella Massoneria Operativa, come testimoniano le Carte Associative più antiche, figli e mogli dei maestri entravano in Loggia, senza particolari formalità, non per nepotismo, ma per l'influenza costante che il Maestro aveva su di loro. A volte il Maestro stesso può avere un influenza involontaria su coloro con i quali entra in contatto. Egli si comporta, senza particolare intento, in un modo che può esser detto, per l'appunto, "magistrale" ed il suo esempio (a tacere del suo pensiero magico) può influenzare anche coloro sui quali non intendeva esercitare volontariamente una influenza. Ma cosa è mai questa influenza? e come si esercita? Occorre tener presente che l'umano "miscuglio", che Ermete deve sapientemente trasformare in immortale "composto", è costituito dai quattro 'corpi' ermetici: solare, mercuriale, lunare e saturnio. Il Corpo Solare (il Purusha del Samkhya, l'Enade di Proclo, l'Intelletto Attivo di Aristotele) è in "relazione esterna" con il resto dell'universo. Uso il

termine "relazione esterna" per indicare che il "Corpo Solare non è in 'relazione inclusiva' o di 'appartenenza' con la Natura o con altri Corpi Solari, ma gode, rispetto ad essi, di un'autonomia che non giunge all'estraneità, essendovi una relazione conoscitiva, che però non altera, se non in apparenza, il Corpo Solare medesimo. Gli altri tre 'corpi' ermetici appartengono invece alla 'Natura' e perciò sono soggetti ad influenze più marcate, che li alterano in bene e in male. In particolare, l'individualità, intesa in senso ristretto e inferiore, corrisponde soprattutto al Corpo Mercuriale, che, nel'uomo comune, è quello soggetto alla trasmigrazione (si veda il Quaderno dedicato a tale argomento). E' soprattutto sul corpo mercuriale, ma talvolta anche sul lunare e sul saturnio, che si esercita l'influenza di un Maestro. L'influenza che può trasmettersi tra due individui qualsiasi va da un minimo, dovuto al comportamento esemplare e alla parola esplicativa, ad un massimo, corrispondente all'influenza ipnotica di un individuo su di un altro. L'influenza iniziatica non può mai essere ipnotica; al contrario tra le qualificazioni iniziatiche si richiede che il recipiendario sappia resistere all'ipnosi, altrimenti pratiche come la concentrazione e la meditazione (e ancor più l'Ars Dormiendi e l'Ars Moriendi) sono semplicemente impossibili, giacchè devierebbero in forme medianiche passive. Tuttavia, si deve distinguere l'iniziazione solare (o osiridea) da quella lunare (o isiaca). La prima, riservata agli individui meno bisognosi di aiuto, si basa sull'esempio (il Maestro si limita a praticare assieme ai discepoli o assegna loro un rito da eseguirsi) e sulla parola esplicativa. La seconda, riservata a chi è più bisognevole di aiuto, implica invece una più profonda e diretta modellizzazione dei corpi sottili del recipiendario da parte del Maestro, al fine di eliminare gli impedimenti alla realizzazione. L'iniziazione solare, in mancanza di un Maestro (Guru, Magister), può essere impartita anche da un 'supplente' (Upaguru, Promagister(1)), che disponga del rito da trasmettere e sappia darne spiegazione: l'iniziato solare ha infatti abbastanza forza in proprio, da poter fare a meno dell'influsso di un Maestro propriamente detto. L'iniziazione lunare, al contrario, non può prescindere dall'azione di un Maestro effettivo, essendo l'iniziato lunare, agli inizi, troppo debole per procedere con le sole proprie gambe. Ciò rende le confraternite isiache più soggette a decadenza, nel caso vengano a mancare maestri effettivi e l'azione dei maestri passati non si eserciti in modo extranormale (cioè anche mancando la loro presenza fisica). Rientrano, ovviamente, nell'iniziazione solare quei casi limite, nei quali basta al recipiendario la sola conoscenza indiretta dell'insegnamento di un Maestro, appresa anche dalla semplice lettura di un testo sacro, per indurlo a dedicarsi all'ascesi spirituale. (1) Il termine latino "promagister" equivale all'italiano "assistente del maestro". Ad es., all'epoca dell'Impero Romano, l'Imperatore ricopriva anche la carica di Pontifex Maximus o Magister Pontificum. Quando, come avveniva, egli era altrove impegnato, un Promagister Pontificum lo suppliva alla guida del Collegium Pontificum.[N.d.U.]

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