The Italianist, 33. 1, 32–48, February 2013
‘DI RETRO AL SOL’: NOTA PER UNA DIVERSA LETTURA DI INFERNO XXVI.117* ANNA PEGORETTI
This paper suggests a new interpretation of Ulysses’ expression ‘di retro al sol’ in Inf. XXVI.117, based on the astronomic and poetic heritage of Antiquity. Instead of the usual interpretation of the phrase as ‘westwards’, it is possible to consider this indication as a reference to the annual pathway of the sun, and to infer that it means ‘beyond the tropic of Capricorn’. The hypothesis is reinforced by the interpretation of a similar expression found in Virgil’s Aeneid. Petrarca’s development of the theme of the Antipodes is also considered. KEYWORDS: Dante Alighieri, Commedia, Ulysses, Antipodes, ptolemaic astronomy, Francesco Petrarca Nel XXVI canto dell’Inferno Dante disegna per Ulisse un itinerario di viaggio oltre le colonne d’Ercole verso la montagna del Purgatorio. La descrizione — come afferma Maria Corti — ‘e` precisa e coerente, oltre che ricca di un fascino strano, che coinvolge’:1 […] volta nostra poppa nel mattino de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. (Inf.
XXVI.124–26)
2
Ulisse supera lo stretto di Gibilterra dirigendosi verso gli antipodi con una rotta che punta a sud-ovest, sbilanciata dunque — adottando il punto di vista dei naviganti — a sinistra, ‘dal lato mancino’. La meta e` stabilita pochi versi prima: ‘non vogliate negar l’esperienza, / di retro al sol, del mondo sanza gente’ (vv. 116– 17). Come finisca l’avventura e` noto: la nave arriva in vista di una montagna altissima, identificabile con quella del purgatorio e del paradiso terrestre, e viene travolta da un improvviso turbine. Il viaggio e` ben raffigurato nella fig. 1. Il purgatorio si trova esattamente agli antipodi di Gerusalemme, con cui condivide il medesimo orizzonte:
* Vorrei ringraziare Lucia Battaglia Ricci, Yahis Martari, Gian-Luca Galletti, Mara Ioriatti e Michele Spadaccini per aver letto e discusso diverse redazioni di questo contributo. Correre dietro al sole pare essere un’ossessione di famiglia: questo saggio e` dedicato al sistema 3S e alla magnifica avventura dell’Elettropiemme.
# Italian Studies at the Universities of Cambridge, Leeds and Reading 2013
DOI: 10.1179/0261434012Z.00000000037
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FIG. 1.
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Il viaggio di Ulisse.3 […] imagina Sio`n con questo monte in su la terra stare sı` ch’amendue hanno un solo orizzo`n e diversi emisperi. (Purg. IV.68–71)
Rispetto alla citta` santa, dunque, la montagna si trova alla medesima latitudine sud e spostata longitudinalmente di 180u, ovvero a 12 ore di fuso orario. Questo ci viene detto alla fine dell’Inferno, quando Dante e Virgilio oltrepassano il centro della terra: ‘qui e` da man, quando di la` e` sera’ (Inf. XXXIV.118). Il cambio d’ora di cui veniamo messi al corrente rende infatti necessario ‘supporre che nel passaggio dall’uno all’altro emisfero i due poeti abbian percorso un tratto della linea inclinata sull’asse del mondo, che unisce Gerusalemme al punto opposto del suo meridiano, ove si trova la montagna dell’Eden’.4
LE INTERPRETAZIONI TRADIZIONALI A giudicare da uno spoglio dei commenti al canto ventiseiesimo dell’Inferno, ad apparire poco chiaro e` soprattutto il significato di ‘di retro al sol’.5 Dal Settecento in poi l’inciso viene sostanzialmente inteso in due modi leggermente diversi:6 il primo, preponderante, legge ‘seguendo il corso del sole’; il secondo, non troppo
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diversamente, intende ‘andando oltre il corso del sole, oltre la linea del tramonto’. Poiche´ seguire il corso diurno del sole significa andare verso ovest, tali spiegazioni appaiono almeno in parte contraddittorie rispetto a quanto appena detto della rotta effettivamente seguita e sulla posizione della montagna purgatoriale, dunque non pienamente soddisfacenti.7 Si potrebbe risolvere la questione evitando di mettere in bocca a Ulisse determinazioni troppo precise: le letture correnti, d’altra parte, permettono di elaborare ipotesi allettanti, che attribuiscono all’eroe una rotta verso occidente simbolicamente coerente con la sua scelta insana e autodistruttiva, oltre che con la sua vecchiaia.8 La presente nota, pero`, non rinuncia alla ricerca di una piu` puntuale spiegazione e si augura di riportare alla luce una discussione che ha avuto poca fortuna. Nelle glosse post-settecentesche dominano soprattutto una certa genericita` e mancanza di precisione. Daremo un solo recente esempio, emblematico per lo sforzo compiuto da Anna Maria Chiavacci Leonardi nel cercare una soluzione e per l’importanza del suo commento: di retro al sol: alle spalle del sole, oltre il sole, cioe` oltre il limite dove lo vediamo tramontare. Altri intende: seguendo il cammino del sole, andando dietro al sole. Ma la posizione dell’inciso (il mondo sanza gente e` appunto l’emisfero opposto al nostro dove nasce il sole quando da noi tramonta; cfr. Par. I.43–44) e il maggior ardire e rischio che questo significato comporta (andare oltre al sole a noi visibile, cosa mai tentata) ci convincono a preferirlo (cosı` sembra intendere la chiosa di Benvenuto: ‘ad aliud hemispherium inferius, ad quod sol accedit, quando recedit a nobis’).
L’esposizione, per quanto precisa, puo` risultare contraddittoria, specie qualora la si legga assieme alla nota successiva: mondo sanza gente: cioe` l’emisfero opposto a quello di Gerusalemme, o delle terre emerse (come si deduce dal volgere a sud-ovest, v. 126), che si credeva occupato soltanto dall’oceano.
Cosa si intende con ‘emisfero opposto’? L’unica risposta plausibile che si puo` desumere dalla prima glossa e` che si tratti dell’emisfero occidentale, diviso da quello dell’ecumene abitata lungo una linea meridiana coincidente con l’orizzonte dell’osservatore. Una divisione degli emisferi lungo i meridiani, anziche´ lungo i paralleli, sembra caratterizzare molte delle discussioni sull’altra meta` del mondo. Essa sembra ritrovarsi ad esempio in Giovanni Scoto Eriugena e in un commento latino a Marziano Capella, ma non arriva a scalfire l’impostazione generale che voleva gli antipodi nella parte ‘inferiore’ del globo,9 nell’odierno emisfero australe (salvo poi trovare maggior fortuna nell’epoca della scoperta delle Americhe).10 La citazione di Benvenuto proposta da Chiavacci Leonardi non appare da questo punto di vista delle piu` felici per chiarire la questione. In effetti, a causa della diversa longitudine, il sole sorge sul purgatorio quando tramonta su Gerusalemme, ma il commento parla esplicitamente di emisfero inferiore, il che ha poco a che fare con il corso diurno del sole. Benvenuto, ad ogni modo (e qualunque sia il suo ragionamento), ha ragione e l’emisfero opposto non e` quello occidentale, tanto che la stessa commentatrice e` obbligata alla specificazione che si tratta dell’‘emisfero opposto a Gerusalemme’, implicante una divisione obliqua del globo, che segua la
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linea dell’orizzonte condiviso dalla citta` santa e dalla montagna del Purgatorio, ben segnalato nella fig. 1. Ora: non si capisce in quale relazione stiano l’emisfero inferiore cui accenna l’imolese e l’andare oltre ‘il limite dove […] vediamo tramontare’ il sole, che e` pur sempre a ovest.11 La confusione — presente fin nei commenti antichi, che non si discostano in modo significativo dalle interpretazioni moderne descritte12 — sembra nascere dalla non perfetta sovrapponibilita` dell’emisfero australe con quello di cui il purgatorio e` il centro e con gli antipodi. In particolare questi ultimi sono argomento estremamente dibattuto nella cosmologia e geografia medievali e strettamente dipendente dalla dottrina della divisione del globo in cinque zone climatiche,13 che viene enunciata per la prima volta da Aristotele nei Meteorologica,14 e si trasmette al Medioevo per il tramite di Macrobio:15 alle sfere polari, troppo fredde per essere abitate, si aggiunge quella equatoriale (o torrida), eccessivamente calda; le due rimanenti — una in ciascun emisfero — sono invece temperate.16 Diversa si presenta la questione per quanto riguarda l’esistenza dei popoli Antipodi, che Macrobio divide addirittura in piu` gruppi, a seconda della loro posizione rispetto all’ecumene boreale: antoeci alla medesima longitudine sud, antipodi al punto diametralmente opposto.17 Abitate o meno (e per larga parte del Medioevo esse sono considerate disabitate — il ‘mondo sanza gente’ — se non inesistenti), queste terre, poste all’incirca sotto il tropico del Capricorno, erano comunque ritenute per lo piu` irrangiungibili a causa del troppo calore della zona torrida intermedia.18 In questa situazione, il succedersi di albe e tramonti non puo` essere di grande aiuto nella risoluzione della nostra crux, poiche´ utile unicamente ad indicare l’andare verso ovest, non una direzione che vada anche verso meridione, a sud dell’equatore. Si tentera` dunque di seguire il corso del sole da un altro punto di vista.
QUALE SOLE? Nella scienza tolemaica i movimenti del sole (cio` che oggi definiamo moti apparenti) erano due: uno diurno da est a ovest, parallelo alla linea dell’equatore; l’altro annuale, ‘da ovest ad est, obliquo e di senso contrario rispetto al primo’.19 Il secondo e` il movimento che fa spostare annualmente il sole da un tropico all’altro lungo il piano inclinato dell’eclittica compreso fra i due tropici (fig. 2). Dante stesso lo illustra in questi termini: ’l cielo del sole si rivolge da occidente in oriente, non dirittamente contra lo movimento diurno, cioe` del die e della notte, ma tortamente contra quello; sı` che ’l suo mezzo cerchio, che equalmente e` ’n tra li suoi poli [scil. l’eclittica, n.d.a.], nel quale e` lo corpo del sole, sega in due parti opposite lo [mezzo] cerchio delli due primi poli [scil. l’equatore celeste, n.d.a.], cioe` nel principio dell’Ariete e nel principio della Libra, e partesi per due archi da esso, uno ver settentrione e un altro ver mezzogiorno. Li punti [di mezzo] delli quali archi si dilungano equalmente dal primo cerchio, da ogni parte, per ventitre´ gradi e uno punto piu`; e l’uno punto e` lo principio del Cancro e l’altro e` lo principio del Capricorno.20
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FIG. 2.
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Il percorso annuale del sole.
Allo stesso fenomeno astronomico il poeta fa poi riferimento nel gia` citato quarto canto del Purgatorio: […] quello specchio che su e giu` del suo lume conduce; (Purg. IV.52–53) […] il mezzo cerchio del moto superno che si chiama equatore in alcun’arte, e che sempre riman tra il sole e il verno, per la ragion che di’, quinci si parte verso settentrion, quando li Ebrei vedevan lui verso la calda parte. (Purg. IV.79–84)
La ‘via del sole’, come la chiama innumerevoli volte Restoro d’Arezzo,21 attraversa dunque tutta la fascia zodiacale, passando nel corso dell’anno di segno in segno, iniziando da ovest e procedendo nella sua risalita verso est. Per questo Dante dice, in un celebre passo del Paradiso, ‘Surge ai mortali per diverse foci / la lucerna del mondo’ (I.37–38). Il sole, infatti, non sorge mai due giorni di seguito nello stesso identico punto. L’unica spiegazione plausibile per ‘di retro al sol’ e` che Dante si riferisca a questo movimento annuale del sole e che Ulisse voglia andare oltre il punto meridionale estremo dell’eclittica, ovvero il tropico del Capricorno.22 Per questo e`
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corretto parlare — come fa Benvenuto — di un emisfero inferiore, verso il quale il sole si dirige quando inizia ad allontanarsi, a partire dal solstizio d’estate, da quello boreale e viceversa.23 Corollario dell’interpretazione qui proposta e` il fatto — chiaramente intuito da Pagliaro — che ‘di retro al sol’ sia non la direzione, bensı` la meta del viaggio, la parte di mondo agli antipodi di Gerusalemme, sotto il tropico del Capricorno.24 Sulla giusta strada per una corretta interpretazione del problema, la lettura di Pagliaro restava tuttavia ancorata al moto diurno del sole.25 Alla lettura qui proposta, invece, da` man forte la fonte virgiliana riconoscibile dietro all’emistichio dantesco, ovvero il passo in cui Anchise, nel quarto libro dell’Eneide, celebra le future conquiste di Augusto:26 Hic vir, hic est, tibi quem promitti saepius audis, Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet saecula qui rursus Latio regnata per arva Saturno quondam, super et Garamantas et Indos proferet imperium: iacet extra sidera tellus, extra anni solisque vias, ubi caelifer Atlas axem umero torquet stellis ardentibus aptum. (Aen.
VI.791–97)
Una prima lettura che tenga in considerazione quanto detto sul moto annuale del sole gia` chiarisce come Virgilio intenda dire che i regni dell’imperatore oltrepasseranno la fascia dello Zodiaco, si estenderanno cioe` oltre le stelle e oltre le vie del sole e dell’anno. Uno spoglio dei commenti a questi versi conferma l’interpretazione: ‘extra sidera […] extra anni solisque vias’ non sembra avere pressoche´ mai ricevuto, dall’Antichita` fino ai nostri giorni, una spiegazione diversa da ‘oltre la linea dello Zodiaco’.27 Servio afferma: ‘perite addidit extra anni solisque vias, ut ostenderet xii signa in quibus est circulus solis. Significat autem Maurorum Aethiopiam, ubi est Atlas: de qua Lucanus ,III 253.’,28 con chiaro riferimento allo zodiaco e all’eclittica. Bernardo Silvestre chiosa: ‘Alius enim Saturnus fuit extra vias solis, id est zodiaci’.29 L’immagine virgiliana — che non si puo` escludere sia basata a sua volta su testi geografico-astronomici: Atlante, figura mitologica e monte, e` tradizionalmente reggitore della volta celeste30 — non e` peraltro isolata. Il passo lucaneo citato da Servio nel commento a Virgilio usa lo stesso riferimento zodiacale per indicare la posizione dell’Etiopia.31 L’idea di andare oltre le stelle e` inoltre ripresa da Stazio in Silvae, IV.iii, 155–157, dedicata a Domiziano e alla via a lui intitolata: ‘ibis […] / ibis sidera flammumque solem / et Nili caput et nives Atlantis’.32 Per quanto questo poema fosse ignoto al Medioevo e a Dante, esso costituisce un ulteriore tassello di una tradizione alla quale si potrebbe a questo punto ascrivere anche la fonte assolutamente medievale proposta da Singleton nel suo commento a Inf. XXVI.117, l’Alexandreis di Gualtiero di Cha ˆ tillon (X.5309), la quale riprende invece l’aspetto riguardante il corso del sole: ‘quaeramus alio sub sole iacentes Antipodum populos’. E` interessante notare, almeno en passant, come tutti questi passi si riferiscano a imprese di esplorazione e/o di conquista da parte di grandi dell’Antichita`,33 un fatto che ben si accorda con la vicenda dell’Ulisse dantesco. La tradizione offriva dunque a Dante ben collaudati motivi poetico-retorici per l’invenzione del viaggio
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dell’eroe, oltre che per la sua orazione, tanto piu` credibili in quanto saldamente ancorati a nozioni cosmografiche note. A chiudere il cerchio viene nuovamente in soccorso Restoro d’Arezzo, che nel descrivere insistentemente l’eclittica come ‘via del sole’ doveva avere in mente qualche eco classica. Quando si accinge, nella sua Composizione del mondo, a illustrare le parti della terra, egli prende come punto focale proprio la fascia zodiacale, affermando che gli animali dello zodiaco hanno il capo rivolto verso nord: E questo mondo n’e` deventato rotondo, e ha quatro parti oposite l’una a l’altra, come la parte de settentrione e quella del mezzodie, e la parte la` o’ stanno revolti li animali del zodiaco (e quella parte potemo chiamare per rascione parte denanti) e l’altra parte oposita, la quale per rascione potemo chiamare dirietro.34
SED CONTRA: PETRARCA A convalidare l’interpretazione tradizionale dell’inciso ‘di retro al sol’ come ‘verso Occidente’ non vi e` solo una secolare tradizione di commento, per quanto confusa e indecisa. Vi e` soprattutto l’ingombrante presenza di Francesco Petrarca.35 Mi riferisco in particolare all’incipit della canzone L dei Rerum vulgarium fragmenta: Ne la stagion che ’l ciel rapido inchina verso occidente, et che ’l dı` nostro vola a gente che di la` forse l’aspetta … (Rvf L.1–3)
Il componimento, che Folena emblematicamente chiamo` ‘canzone del tramonto’,36 e` intessuto di una fitta trama di echi danteschi. Essi si riconoscono nella ripresa letterale di espressioni e di una preziosa serie di rimanti:37 la sequenza ‘ombra : sgombra : ingombra’ (vv. 17, 20, 21) e` infatti presa dalla petrosa Io son venuto al punto della rota, di cui Petrarca imita anche lo schema generale.38 La condizione dell’innamorato e` contrapposta da Dante agli effetti della stagione invernale sulle creature, da Petrarca al riposo notturno degli esseri viventi a lui negato (situazione peraltro gia` enfatizzata dal predecessore in apertura di Inf. II).39 Il legame con l’avventura dell’Ulisse dantesco e` creato dall’aretino non solo attraverso il nesso, sfruttato in apertura, fra corso del sole e antipodi (sul quale si tornera` a breve), ma anche con l’evidente riferimento alla rotta seguita da Ulisse fin oltre lo stretto di Gibilterra:40 Ma io, perche´ [’l sol] s’attuffi in mezzo l’onde, et lasci Hispagna dietro a le sue spalle, et Granata et Marroccho et le Colonne, […] fine non pongo al mio obstinato affanno. (Rvf L.46–52)
Il verso 3, ‘a gente che di la` forse l’aspetta’, e` un evidente riferimento ai popoli Antipodi e alle loro terre, tema caro al poeta, che lo richiama e vi riflette in piu` di
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un’occasione, spinto probabilmente dalle recenti esplorazioni atlantiche e dalla scoperta delle Canarie avvenuta nel 1336.41 All’interno dello stesso Canzoniere, l’esistenza degli Antipodi e` data per certa nella sestina XXII, A qualunque animale alberga in terra (fortemente imparentata a Ne la stagion e, ancora una volta, alle Rime dantesche): Quando la sera scaccia il chiaro giorno, et le tenebre nostre altrui fanno alba ecc. (Rvf
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XXII.13–14)
Nell’Africa, sulla scia del Somnium macrobiano, Petrarca fa descrivere al padre di Scipione (difficilmente dimentico di Par. XXII.151–53 e XXVII.79–86) l’esiguita` della terra (II.338 ss.), divisa in cinque climi solo in parte abitabili. La presenza di uomini anche nel clima temperato australe e` proposta come razionalmente accettabile, esattamente come in Macrobio.43 Nel Secretum (III.200), d’altra parte, Agostino ricorda a Francesco quanto scritto nel De civitate Dei, XVI.ix: gli Antipodi sono inabitati a causa dell’inattraversabilita` della zona torrida, che mal si concilia con la necessita` teologica di postulare una discendenza unitaria del genere umano. Il tema torna nella Familiare IX.13 indirizzata a Philippe de Vitry, in cui si parla dello sguardo inesausto di chi indaga curioso i confini della terra (e in cui, piu` avanti, si cita espilicitamente Ulisse):44 Quid autem miri si angusta animo litteratissimi hominis terra erat, in hunc assidue celi verticem qui supra nos gelido temone convertitur; inque illum alterum quem siqui sunt antipodes, australi clarum regione suspiciunt, in obliquum denique solis callem inque fixas et errantes stellas infatigabili studio conscendentis? (Fam. IX.13, 9)
I riferimenti agli antipodi nei componimenti L e XXII del Canzoniere riguardano entrambi il corso diurno del sole e il suo splendere sui popoli dall’altra parte del globo una volta tramontato sull’ecumene conosciuta. I numerosi e rilevati riferimenti danteschi messi in opera da Petrarca non devono pero` in alcun modo influire sull’interpretazione di ‘di retro al sol’. Innanzitutto, l’affermazione che in entrambi i casi l’aretino fa e` esatta: a qualunque latitudine si trovino gli antipodi, infatti, essi sono a un diverso fuso orario rispetto a quello dell’Europa in cui scrive Petrarca. A ben vedere, inoltre, cio` che in entrambi i casi interessa e` il corso giornaliero del sole, funzionale a quella retorica del tramonto e a quel senso del tempo ben individuati da Folena. Ne la stagion si apre su un’indicazione stagionale: e` inverno; a partire dal v. 4, quando entra in scena la figura della ‘vecchierella’, l’attenzione si sposta nettamente all’alternanza giorno/notte, che domina tutto il resto del componimento. L’indicazione della stagione invernale ottenuta seguendo il corso diurno del sole e` procedimento preso di peso dall’incipit della dantesca Io son venuto. Se pero` in quest’ultima l’apertura cosmica dello sguardo si muove su osservazioni costantemente relative all’inverno e alla geografia astronomica (Saturno, lo Zodiaco e il tropico del Cancro ai vv. 7– 9, le migrazioni degli uccelli e le stelle dell’Orsa ai vv. 27–29), la canzone petrarchesca si muove esclusivamente nell’ambito della dicotomia giorno/notte, concentrandosi su figure minute (la vecchierella, lo zappatore, il pastore, i naviganti, i buoi). La medesima alternanza giorno/notte risulta infine confermata
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nella sestina XXII, che ha per diretta corrispondente la canzone sestina di Dante Al poco giorno e al gran cerchio d’ombra, la quale conserva anche questa volta una focalizzazione stagionale (si veda in particolare il richiamo alla primavera ai vv. 10–12). Il ‘giorno’ dell’incipit di Dante diventa in Petrarca parola-rima, assieme (emblematicamente) ad ‘alba’ e a ‘sole’, di contro ad una serie di rimanti danteschi in cui l’unico riferimento astronomico e` di ben altra densita` tecnica: ‘ombra’. All’estremo tecnicismo astronomico-geografico delle cosiddette ‘canzoni invernali’ di Dante sembra dunque subentrare in Petrarca una predilezione tematica per il portato metaforico dell’alternanza giorno/notte.45 Il riferimento al nesso corso del sole-antipodi non puo` che portare con se´ il ricordo dell’Ulisse dantesco e del suo andare ‘di retro al sol’ verso un mondo ritenuto ‘sanza gente’. Esso, pero`, non conserva obbligatoriamente il medesimo tasso di tecnicismo, altissimo in Dante.
CONCLUSIONI Ritengo dunque che ‘di retro al sol’ sia da leggersi come ‘oltre il tropico del Capricorno’, ovvero ‘al di la` del percorso annuale del sole’, secondo una tradizione scomparsa dal secolare commento a Dante, ma ben viva e presente nell’esegesi dell’omologo passo di Aen. VI.795–96. Questa appare come l’unica interpretazione in grado di dare senso specifico, tecnico, alle parole di Ulisse, cosı` come sempre e` nelle indicazioni geografiche e astronomiche offerte dal poeta nella Commedia e non solo. Rimarra` come unico dubbio il significato da darsi a ‘volta nostra poppa nel mattino’ (Inf. XXVI.124), ancora ancipite fra una lettura temporale (l’orazione viene pronunciata di notte) e una strettamente geografica (mattino 5 est):46 basti notare che l’interpretazione qui proposta non modifica i termini del problema, che sono dati unicamente dalla rotta di Ulisse, piu` che certa e raffigurata efficacemente nella fig. 1. L’operazione compiuta da Dante con il viaggio di Ulisse e`, da un punto di vista cosmografico, quanto mai sincretica. Da un lato il poeta rende il globo attraversabile fino agli antipodi, seguendo la posizione innovativa di Alberto Magno47 e smentendo di fatto una lunga schiera di pensatori a partire da Agostino; sotto questo profilo, il tecnicismo individuato non diminuisce in alcun modo il valore dell’inaudita esplorazione di Ulisse, anzi: se possibile, lo aumenta. Dall’altro lato Dante immagina l’altra parte del globo come disabitata, anzi, abitata dai morti, secondo una tradizione che risale a Pitagora e che lo stesso Alberto illustra per poi respingere: dixit Pythagoras inferius hemisphaerium esse locum poenarum et tartari, vocans dispositionem orbis super inferius hemisphaerium orbem terrestrem, sub quem deprimunt homines peccata sua, et gemere eos qui ibi sunt sub aquis infinitis.48
La tradizione di associare alla divisione delle zone climatiche anche una linea di limite fra la vita e la morte e` pero` piu` vasta, cosı` come la sua rappresentazione nella Sfera di Pitagora (o di Apuleio, ma attribuita anche a Petosiris, Democrito, Platone), diffusissima nei manoscritti medievali, specialmente medici e computazionali. L’entrata dell’Ade nell’emisfero inferiore e` anche nelle Tavole facili di
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Tolomeo, parte complementare dell’Almagesto sopravvissuta esclusivamente nella versione datane da Teone di Alessandria, la cui lettura era raccomandata dalle Institutiones di Cassiodoro.49 Quanto la tradizione sia antica lo testimonia d’altra parte la grotta delle Naiadi a Itaca (Odissea, XIII.102 ss.), la cui porta a nord e` riservata ai mortali, quella a sud agli immortali. A norma dell’interpretazione data da Porfirio nel suo saggio sull’Antro delle Ninfe, esse rappresentano rispettivamente il tropico del Cancro e quello del Capricorno. Porfirio intende in senso lato le parole di Omero, che aveva parlato di immortali per la porta sud, ed estende l’immortalita` anche all’anima: ‘The southern regions belong to the gods but more properly to those ascending to the gods’.50 La lettura allegorica delle porte della grotta, probabilmente molto antica, si riversa nel diffusissimo commento macrobiano al Somnium Scipionis. Afferma Macrobio che i due tropici: Solis portas physici vocaverunt […]. Per has portas animae de caelo in terras meare et de terris in caelum remeare creduntur. Ideo hominum una, altera deorum vocatur […]. Et hoc est quod Homeri divina prudentia in antri Ithacensis descriptione significat.51
Naturalmente i morti del Purgatorio sono del tutto speciali, medievali e cristianissimi. La continuita` del significato liminare-cosmico dato ai due tropici, il loro legame con il ciclo della vita umana e la persistente indicazione di quello australe come confine oltre il quale si trova l’aldila`, pero`, hanno certamente il loro peso e fascino e vanno tenuti nella dovuta considerazione. Altrettanto affascinante mi pare, a chiudere il cerchio, la circostanza narratami da un amico: ancor’oggi gli egiziani, quando vogliono riferirsi alla morte di persone scomparse a seguito di un arresto governativo, dicono che sono andate ‘oltre il sole’.
NOTE 1
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Maria Corti, ‘La ‘‘favola’’ di Ulisse: invenzione dantesca?’, in Percorsi dell’invenzione: il linguaggio poetico e Dante (Torino: Einaudi, 1993), pp. 113–45 (p. 126). Rinuncio in partenza a ripercorrere la bibliografia sull’Ulisse dantesco: viene in questa sede citato unicamente quanto utile al proposito del contributo. Si cita la Commedia da Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi (Milano: Mondadori, 1966). Da Giovanni Buti-Renzo Bertagni, Commento astronomico della ‘Divina Commedia’ (Firenze: Sandron, 1966), p. 94. Bruno Nardi, ‘Il canto XXXIV dell’Inferno’, in ‘Lecturae’ e altri studi danteschi (Firenze: Le Lettere, 1990),
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pp. 81–89 (p. 87). Sui tentativi di definire esattamente le coordinate geografiche della montagna del Purgatorio e sui disaccordi fra gli studiosi, cfr. Alessandro Scafi, Mapping Paradise: A History of Heaven on Earth (London: British Library, 2006), pp. 183 e 190 n. 127; trad. it. Il paradiso in terra: mappe del giardino dell’Eden (Milano: Bruno Mondadori, 2007). Mi pare che la questione sia relativamente semplice: il viaggio di Dante e Virgilio, che si sviluppa intorno a un asse verticale, costringe a pensare che Gerusalemme sia esattamente agli antipodi della montagna, il che aiuta a determinarne sia la latitudine che la longitudine. Un rapido controllo delle edizioni Petrocchi e Sanguineti non evidenzia
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alcuna problematica ecdotica rilevante. Sanguineti, sulla base del ms. Urbinate, scrive ‘di rietro’. Cfr. Dantis Alagherii Comedia, a cura di Federico Sanguineti (Tavarnuzze (Firenze): SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2001), ad loc. Lo spoglio e` stato condotto sul database del Dartmouth Dante Project (,http:// dante.dartmouth.edu/., giugno 2011), da cui si cita ogni commento, salvo diversa indicazione. Si sono verificati ad loc. anche i commenti, lı` non presenti, di Fredi Chiappelli (Milano: Mursia, 1965), David H. Higgins (Oxford: Oxford University Press, 1993), Robert M. Durling e Ronald L. Martinez (Oxford: Oxford University Press, 1996), e di Giorgio Inglese (Roma: Carocci, 2007). Del problema si era accorto Gioachino Berthier (cfr. commento ad loc.), il quale pero` non arrivava a una spiegazione soddisfacente: ‘Diretro al sol, dietro al sole, cioe` seguendolo verso l’occidente. Cosı` il piu` degli interpreti. Altri intendono: al di la` del luogo dove cade il sole. Ma che non si potrebbe intendere meglio della linea equatoriale? Mi pare cosı`, a) Perche´ i vv. 118 e 125–129, danno questo senso, in quanto vi si asserisce che sia quel paese circa l’emisfero australe, andando a mancina; b) Perche´ infatti i viaggiatori non seguono il corso del sole; ma piuttosto al sud navigano, come appare dai vv. suddetti; e quanto all’andare oltre a dove il sol cade, quale l’intendono taluni, non credo che avesse tal senso nella mente di Dante, giacche´ secondo lui, il sole tutto il mondo gira (Conv. III.5), ma si deve intendere in senso generico, e per rispetto al luogo dove stavano’. Emblematica delle letture metaforiche della rotta mi sembra quella offerta da Piero Boitani, L’ombra di Ulisse: figure di un mito (Bologna: il Mulino, 1992), che a p. 42 scrive: ‘Il sole, che pure deve avere illuminato quella parte di mondo tanto quanto il nostro, sembra essere scomparso. Ulisse naviga ora ‘‘di retro al sol’’: segue cioe`, come vuole l’esegesi tradizionale, il cammino del sole da
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oriente a occidente, ma e` certo anche, metaforicamente, passato dietro (‘‘di retro’’), aldila` del sole’. Sulla stessa linea e` la lettura di ‘a mancina’ come abbandono della retta via a favore del lato infausto: cfr. ad es. Guglielmo Gorni, ‘Le ‘‘ali’’ di Ulisse, emblema dantesco’, in Lettera, nome, numero. L’ordine delle cose in Dante (Bologna: il Mulino, 1990), pp. 175–97 (p. 184). Non c’e` dubbio alcuno che l’andare verso sinistra abbia sempre una connotazione negativa: non e` un caso che questa sia la direzione costantemente tenuta da Dante e Virgilio nell’inferno. Il significato allegorico del lato verso cui si dirige Ulisse ha pero` una ben salda base nei dati letterali, geografici, offerti dal poema. Ha ben dimostrato Stabile come si tratti in realta`, nella cosmografia aristotelica e dantesca, dell’‘alto del mondo’: cfr. Giorgio Stabile, ‘Cosmologia e teologia nella Commedia: la caduta di Lucifero e il rovesciamento del mondo’, in Dante e la filosofia della natura: percezioni, linguaggi, cosmologie (Firenze: SISMELEdizioni del Galluzzo, 2007), pp. 137– 72, ripubblicato con il titolo ‘Cosmologia, teologia e viaggio dantesco’, in L’idea e l’immagine dell’universo nell’opera di Dante (Ravenna: Centro Dantesco dei OFMConv., 2008), pp. 21–59. Cfr. Jeffrey Burton Russell, Inventing the Flat Earth: Columbus and Modern Historians (New York: Praeger, 1991), p. 14. Frutto non casuale della confusione creata dal passo dantesco e` d’altra parte l’identificazione in Ulisse di un Colombo ante litteram. Su tutti, si veda Luigi Benassuti, commento a Inf. XXVI.126: ‘anche Colombo tenne a mancina non pero` tanto quanto Ulisse’. Nella medesima fascinazione caddero anche il Tommaseo (cfr. la sua Nota a Inf. XXVI) e De Sanctis. Sia ribadito che discuto il commento di Chiavacci Leonardi come uno fra i molti e anzi il maggiormente impegnato nella ricerca di una spiegazione. Gli altri lettori antichi intendono per lo piu` alla maniera dei moderni, oppure
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indicano l’emisfero inferiore senza ulteriori specificazioni. Ambiguo appare Pietro Alighieri (terza red.), ad loc.: ‘‘‘nolite negare habere mecum experientiam de remanente’’, idest ‘‘de residuo alio mundo inferiori post solem sine gente’’’. Una spiegazione alternativa, tutt’altro che peregrina, era data da Guiniforte Barzizza, ad loc.: ‘andiamo a provare di vedere il mondo dell’altro emisperio, nel quale non e` gente, ed a cui volendo noi andare, facendo nostra navigazione verso le parti meridionali in processo di cammino ne rimarra` il sole dietro alle spalle sull’ora del mezzodı`, mirando noi verso l’altra tramontana opposita a quella del mondo abitato’. Non c’e` testo che si occupi di geografia e cosmologia medievali che non tratti anche il tema degli antipodi. Mi limito a rimandare all’ancora utilissimo articolo di Giuseppe Boffito, ‘La leggenda degli antipodi’, in Miscellanea di studi critici edita in onore di Arturo Graf (Bergamo: Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1903), pp. 583–601. Per una breve introduzione alla cosmologia e geografia del poema e per una bibliografia al riguardo, sia concesso il rimando a Anna Pegoretti, Dal ‘lito diserto’ al giardino: la costruzione del paesaggio nel ‘Purgatorio’ di Dante (Bologna: Bononia, 2007), pp. 13– 36, e Ead., ‘Alle´gorie et conscience de l’espace dans le Purgatoire de Dante’, in Le paysage alle´gorique: entre image mentale et pays transfigure´, a cura di Christophe Imbert e Philippe Maupeu (Rennes: Presses Universitaires de Rennes, 2011), pp. 125–39 (pp. 127–32). Cfr. Aristotle, Meteorologica: Translatio Guillelmi De Morbeka, Corpus Philosophorum Medii Aevi. Aristoteles Latinus, 10.2 (Turnhout: Brepols, 2008), II.5, rr. 558 ss. Cfr. inoltre Barbara Obrist, La cosmologie me´die´vale: textes et images (Tavarnuzze (Firenze): SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 2004), pp. 148–51. Macrobii Ambrosii Theodosii Commentariorum in Somnium Scipionis libri duo, a cura di Luigi Scarpa (Padova: Liviana, 1981–83), II.v. Cfr. almeno Scafi, pp. 165–70.
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In Som. Sc., II.v, 31 ss. Una versione della stessa definizione ristretta degli antipodi propriamente detti e` quella di Alberto Magno, De natura loci, I, 10, in Alberti Magni Opera Omnia, V, a cura di Paul Hossfeld (Aschendorff: Monasterii Westfalorum, 1980), 1–44, che pero` calcola solo 90u di distanza longitudinale e quindi 6 ore di fuso orario. Spicca su tutte l’opinione di Agostino, De civ. Dei, XVI.ix. Gli eventuali abitatori degli Antipodi erano oggetto delle opinioni piu` fantasiose e si intrecciavano alle numerose leggende sui popoli mostruosi che si riteneva abitassero l’India e l’Africa. L’anonimo lettore di questo saggio, che ringrazio vivamente, si domanda se queste ipotesi abbiano qualcosa a che fare con l’esortazione di Ulisse a non ‘viver come bruti’. La suggestione ha certamente un suo fascino, ma, sul piano dell’analisi interna dell’orazione, mi pare contraddirebbe il piano di andare a vedere il ‘mondo sanza gente’. Non e` detto, pero`, che Dante autore non stia giocando su questa possibile ambiguita` linguistica. Buti-Bertagni, p. 37. Dante Alighieri, Convivio, a cura di Franca Brambilla Ageno (Firenze: Le Lettere, 1995), III.V.13, 80–90. Tutta la spiegazione contenuta nel capitolo V postula due citta` immaginarie — Maria e Lucia — rispettivamente al polo nord e sud. Poiche´ l’ipotesi e` unicamente al servizio di una migliore visualizzazione e comprensione dei fenomeni astronomici (‘imaginando adunque, per meglio vedere, [che] in questo luogo ch’io dissi sia una cittade e abbia nome Maria […]. E qui[vi] imaginiamo un’altra cittade, che abbia nome Lucia’, 11 10–11), non mi pare che la citta` di Lucia implichi un’ipotesi di antipodi abitati. Trattasi caso mai di una modalita` caratteristica del linguaggio scientifico, anche se i nomi conferiti alle due citta` nascondono naturalmente una venerabile simbologia. Dante poteva avere contezza del percorso annuale del sole da numerosissime fonti e da qualunque buon testo di cosmografia di base. Cito unicamente, come fonte poetica, il
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Virgilio di Georgica I.233–39, dove si descrivono le cinque zone in cui veniva solitamente divisa la terra e la fascia zodiacale che unisce le due abitabili: ‘idcirco certis dimensum partibus orbem / per duodena regit mundi sol aureus astra. / Quinque tenent caelum zonae […] / […] duae mortalibus aegris/munere concessae divum, et via secta per ambas, / obliquus qua se signorum verteret ordo’. Cfr. inoltre Brunetto Latini, Tresor, a cura di Pietro G. Beltrami (Torino: Einaudi, 2007), I, 113. Cfr. Restoro d’Arezzo, La composizione del mondo colle sue cascioni, a cura di Alberto Morino (Firenze: Presso l’Accademia della Crusca, 1976), I, 13, ma le occorrenze sono numerose anche nel prosieguo. Come riferisce Antonino Pagliaro, Ulisse. Ricerche semantiche sulla ‘Divina Commedia’ (Messina-Firenze,: G. D’Anna, 1967), p. 410 n. 22, l’ipotesi che Dante alludesse al corso annuale del sole era stata avanzata da Assunto Mori, L’ultimo viaggio di Ulisse: osservazioni sul canto 260 dell’Inferno (Milano: G. Pirola, 1909), p. 7 ss. Contro quell’ipotesi lo stesso Pagliaro opponeva ‘il fatto che nel discorso di Ulisse manca una specifica determinazione temporale, che si possa collegare con i dati addotti. La navigazione dura cinque mesi, durante i quali il sole compie ‘‘quasi’’ interamente il suo movimento amplitudinale tra i due tropici, confondendo e sovvertendo la eventuale direzione di ogni rotta’ (ibid.). Non mi sembra un’obiezione valida: il corso annuale del sole tra i due Tropici si intende noto e dato una volta per tutte. Da questo punto di vista, la durata del viaggio o il momento del suo svolgimento sono del tutto ininfluenti. Qui e` anche la differenza fra quanto da noi sostenuto in questa sede e quanto detto da Mori: non di un movimento si parla, ma di coordinate geografico-astronomiche stabili. Si badi pero` che l’intenzione dell’imolese poteva comunque essere differente e riferirsi cioe` — come tutti i commentatori tre-quattrocenteschi — al corso diurno del sole. Infatti, era normale
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riferirsi agli antipodi anche secondo l’alternanza giorno/notte, a partire almeno da Virgilio: ‘Illic, ut perhibent, aut intempesta silet nox, / semper et obtenta densentur nocte tenebrae, / aut redit a nobis Aurora diemque reducit’ (Georg. I.112). Cfr. inoltre Brunetto Latini, Tresor, I, 112. Cfr. Pagliaro, pp. 409–10: ‘l’interpretazione corrente di diretro a sol come ‘‘seguendo il corso del sole’’ (Sapegno) non puo` soddisfare. Essa, che e` comune anche agli antichi commentatori (‘‘andare oltra e`, o era, andare di retro al sole; e se fossono potuti andare, sarebbono tornati all’oriente’’, Buti), introduce un riferimento alla direzione del viaggio, che e` qui fuori posto, e contraddice sostanzialmente a quella che, di fatto, sara` la nuova rotta, cioe` verso sud. E` piu` probabile che la determinazione diretro al sol sia intesa a qualificare l’altro emisfero, dal punto di vista cosmografico, insieme con l’altra qualifica propriamente geografica sanza gente. Dovendo indicare l’altro emisfero, Ulisse fa riferimento alla posizione di esso rispetto al sole, quando appare sul nostro emisfero […]. La preposizione ‘diretro a’, nell’uso dantesco, oltre che a verbi di moto (‘andare dietro a …’) si accompagna anche a verbi di stato (‘essere dietro a…’); cfr. Purg. X.72. In sostanza, diretro al sol e` la determinazione spaziale dell’emisfero australe, non abitato; e` questo il mondo senza gente, che rimane alle spalle del sole, quando nel suo giro intorno alla terra si affaccia nel nostro emisfero’. Raccoglieva la suggestione solo Giacalone, comm. ad loc.: ‘oggi il Pagliaro ritiene che di retro al sol non significhi seguendo il corso del sole, bensı` e` ‘la determinazione spaziale dell’emisfero australe, non abitato […] che rimane alle spalle del sole, e cita a sostegno una lettera del geografo Baldacci’. Tant’e` che che respinge fortemente la proposta di Mori. La fonte, lampante, mi risulta segnalata dal solo Theodor J. Cachey, ‘Dante e le Isole Fortunate: un locus deperditus nella geografia del poema’, in Le Isole Fortunate: appunti di storia letteraria
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italiana (Roma: ‘L’Erma’ di Bretschneider, 1995), pp. 17–81 (pp. 61– 63). Essa non compare nei commenti, ne´ in molti dei maggiori saggi sull’argomento, ad esempio Bruno Nardi, ‘La tragedia di Ulisse’, in Dante e la cultura medievale. Nuovi saggi di filosofia dantesca (Bari: Laterza, 1942), pp. 89–99; Giorgio Padoan, ‘Ulisse ‘‘fandi fictor’’ e le vie della sapienza’, in Il pio Enea e l’empio Ulisse. Tradizione classica e intendimento medievale in Dante (Ravenna: Longo, 1977), pp. 170– 99; Corti, pp. 113–45. L’intera questione qui trattata non mi sembra risolta nemmeno dal pur puntuale e riassuntivo commento di Massimo Seriacopi, All’estremo della ‘prudentia’: l’Ulisse di Dante (Roma: Zauli arti grafiche, 1994), pp. 139–41. Cfr. Carlo Santini, ‘Zodiaco’, Enciclopedia Virgiliana (Roma: Istituto dell’ Enciclopedia Italiana, 1996), pp. 659– 60. Utile risulta P. Virgilii Maronis Opera, a cura di Christian G. Heyne e Georg P. E. Wagner (1830–1841; reprint Hildesheim: Georg Holms, 1968), II, ad loc.: ‘Solis viae propriae sunt intra Tropicos Cancri et Capricorni per eclipticam. […] Romani quidem vix ad Tropicum Cancri pervenerunt, multo minus arma ultra aequatorem protulerunt et alterum tropicum; sed poetae licuit haec amplificare et locum ultra tropicos memorare, adeoque ultra sidera, hoc est, Zodiacum, ultra Solis vias et anni, qui illo solis decursu conficitur, ad eas Africae plagas designandas, quae ultra notas terras usque ad Atlantem’. Cfr. inoltre ad loc. il commento di Frank Fletcher (Oxford: Clarendon, 1941); di R. Deryck Williams (Bristol: Bristol Classical Press, 1992); quello in P. Vergili Maronis Aeneidos, a cura di R. G. Austin (Oxford: Clarendon, 1977); di Paratore (Milano, Fondazione VallaArnoldo Mondadori Editore, 1978–83). L’edizione Virgile, E´ne´ide: Livres V–VIII, a cura di Jacques Perret (Paris: Les Belles Lettres, 1982), p. 73, traduce: ‘par dela` les constellations, par dela` les chemins du soleil et de l’anne´e’. Un’eccezione e`
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rappresentata dall’edizione dell’Eneide a cura di Enrico Oddone (Feltrinelli: Milano, 1995), che traduce (p. 765): ‘al di la` degli astri, dell’annua strada / del sole e` la terra, dove ecc.’, salvo poi commentare (ad loc.): ‘Si accenna allo Zodiaco […]. Il passo e` variamente interpretato; extra sidera puo` intendersi ‘‘al di la` delle costellazioni boreali’’, e quindi il Settentrione; extra […] vias l’Occidente’. Servii Grammatici In Vergilii Carmina commentarii, II. Aeneidos librorum VI– XII commentarii, a cura di Georg Thilo e Hermann Hagen 1881–1902; reprint (Hildesheim: Georg Holms, 1961). Meno soddisfacente Tiberii Claudii Donati Interpretationes virgilianae, a cura di Heinrich Georges (Lipsia: Teubner, 1905), p. 609, ad VI, 795,: ‘Caesar […] domabit gentis et terram quae iacet extra sidera et extra anni vias et solis, [ubi] annus noctibus concurrit et deficitur solis et ceterorum siderum motibus’, che sembra influenzata dall’idea di antipodi bui. The Commentary on the First Six Books of the Aeneid of Vergil Commonly Attributed to Bernardus Silvestris, a cura di Julian W. Jones e Elizabeth F. Jones (Lincoln-London: University of Nebraska Press, 1977), VI.792–95. Per la figura mitica di Atlante e per il monte Atlante in Virgilio, cfr. Vincenzo La Bua, ‘Atlante’, Enciclopedia Virgiliana, pp. 390–91. Phars. III.253–55: ‘Aethiopumque solum, quod non premeretur ab ulla / signiferi regione poli, nisi poplite lapso / ultima curvati procederet ungula Tauri’. Cfr., pur con qualche cautela sull’interpretazione di Lucano, Alfred E. Housman, ‘The Silvae of Statius’, The Classical Review, 20 (1906), 37–47 (pp. 44–45). Il passo virgiliano sembra ripreso anche da Augusto nelle sue Res gestae. Cfr. Roger Dion, ‘Explication d’un passage des Res gestae divi Augusti’, in Me´langes d’arche´ologie, d’e´pigraphie et d’histoire offerts a` Je´roˆme Carcopino (Paris: Hachette, 1966), pp. 249–69. Nel
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quadro della discussione sulla raggiungibilita` degli antipodi, Alberto Magno, De nat. loci, I.10 (pp. 14, rr. 56 ss.), cita le spedizioni augustee ‘ad reges Aegypti et Aethiopiae’. Restoro d’Arezzo, La composizione, II.3, 4–5. Corsivo mio. Ricordava il passo Baldacci in una corrispondenza con Pagliaro, citata in A. Pagliaro, p. 410 n. 22. Senza troppo indugiare sul complesso problema dei rapporti fra Dante e Petrarca, considero acquisito quanto ormai appurato da un’agguerrita critica pluridecennale, ovvero il costante e sofferto dialogo intrattenuto dall’aretino con i testi e l’esperienza dello scomodo predecessore. Gianfranco Folena, ‘La canzone del tramonto’, in Textus testis: lingua e cultura poetica delle origini (Torino: Bollati Boringhieri, 2002), pp. 290–312 (p. 299), riconosce il ‘fatto curiosamente non rilevato dai commentatori: chi conosce i rapporti cosı` complessi e spesso sotterranei fra il Petrarca e Dante, vede in quell’affermazione, anche se dubitativa, un evidente riferimento polemico o controcanto al verso della ‘‘orazion picciola’’ dell’Ulisse di Dante’ (p. 299). A p. 294 si parla di ‘volonta` architettonica’ del Petrarca, di ‘meditazione poetica costruita sul movimento del sole nelle fasi del tramonto’. ‘L’eterna luce’ del v. 14 e` citazione letterale di Par. V.8; la descrizione del calare del sole richiama Purg. VII.85; ‘s’attuffi’ (v. 46) e` verbo dantesco (Inf. XXI.46; XXII.131): cfr. le puntuali annotazioni in Francesco Petrarca, Canzoniere, a cura di Marco Santagata (Milano: Mondadori, 1996), e di Folena, pp. 302–03. Infine, la ‘viva petra’ del verso conclusivo rimanda inevitabilmente alle rime petrose. Sui dantismi in Petrarca si vedano Marco Santagata, ‘Presenze di Dante ‘‘comico’’ nel Canzoniere del Petrarca’, Giornale Storico della Letteratura Italiana, CXLVI (1969), 163–211; Paolo Trovato, Dante in Petrarca: per un inventario dei dantismi nei ‘Rerum vulgarium fragmenta’ (Firenze: Olschki, 1979). Sull’influenza centrale del Dante petroso su Petrarca cfr. Domenico De
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Robertis, ‘Petrarca interprete di Dante (ossia leggere Dante con Petrarca)’, Studi danteschi, 61 (1989), 307–28; Corrado Bologna, ‘PetrArca Petroso’, Critica del Testo, VI (2003), 367–420. ‘Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno / toglieva li animai che sono in terra / da le fatiche loro; e io sol uno / m’apparecchiava a sostener la guerra / sı` del cammino e sı` de la pietate’ (Inf. II.1–5). Cfr. la precisa introduzione a Io son venuto al punto della rota in Dante Alighieri, Rime, a cura di Domenico De Robertis (Tavarnuzze (Firenze): SISMELEdizioni del Galluzzo, 2005). ‘L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, / fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, / e l’altre che quel mare intorno bagna. / Io e’ compagni eravam vecchi e tardi / quando venimmo a quella foce stretta / dov’Ercule segno` li suoi riguardi / accio` che l’uom piu` oltre non si metta; / da la man destra mi lasciai Sibilia, / da l’altra gia` m’avea lasciata Setta’ (Inf. XXVI. 103–11). Non avrei dubbio alcuno che Petrarca avesse qui in mente questi versi danteschi. Si tratta forse di un’eccezione a quanto rilevato da Manlio Pastore Stocchi, ‘Petrarca e Dante’, Rivista di studi danteschi, 4 (2004), 184–204 (p. 189), ovvero che ‘al di la` delle molte corrispondenze verbali, di regola non sono perseguite nel Canzoniere analogie tematiche o strutturali con il poema di Dante, insomma non e` facile identificare segmenti piu` elaborati che […] autorizzino un riscontro sui contenuti’. Si veda innanzitutto Giorgio Padoan, ‘Petrarca, Boccaccio e la scoperta delle Canarie’, in Il Boccaccio, le Muse, il Parnaso e l’Arno (Firenze: Olschki, 1978), pp. 277–91. Nota Folena, pp. 290–312, che il ‘forse’ della canzone L (v. 3) potrebbe riferirsi in realta` a ‘l’aspetta’, anziche´ essere spia di un dubbio relativo all’esistenza di popoli abitatori degli antipodi. Cfr. l’ottimo commento a Secretum III.200 in Francesco Petrarca, Il mio segreto, a cura di Enrico Fenzi (Milano: Mursia, 1992). Si veda anche il passo, del
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tutto omologo, di Afr. VIII.1–3: ‘Pronus ad Occeanum, cupiens narrare profundis / Antipodum populis nostro que viderat orbe, / Sol rapidos stimulabat equos’. Nathalie Bouloux, Culture et savoirs ge´ographiques en Italie au XIVe sie`cle (Turnhout: Brepols, 2002), p. 41, commenta cosı` le numerose allusioni petrarchesche al tema degli antipodi: ‘il n’y a […] pas lieu d’interpre´ter les allusions de Pe´trarque comme des preuves d’une conception moderne du monde mais bien comme l’utilisation de donne´es ge´ographiques banales, issues de la lecture de Macrobe et d’un savoir partage´’. Cfr. 1124–25 dove, nella rassegna dei viaggiatori dell’Antichita`, Petrarca annovera l’eroe omerico, che ‘maria lustravit ac terras’. Sulle presenze del mito di Ulisse in Petrarca, cfr. Giulio Ferroni, ‘Tra Dante e Petrarca’, in Ulisse: archeologia dell’uomo moderno, Atti del Convegno Internazionale (Roma, 29–31 maggio 1996), a cura di Piero Boitani and Richard Ambrosini (Roma: Bulzoni, 1998), pp. 165–85. Non mancano comunque in Petrarca i riferimenti al corso annuale del sole. Si veda ad es. la descrizione degli Sciti, gente ‘tutta lontana dal camin del sole’ (Rvf XXII.48), ovvero dalla fascia zodiacale, a conferma di una tradizione poetica di lungo corso. Si rilegga anche il passo riportato sopra della Fam. IX.13, 9, in cui lo sguardo si volge verso il polo settentrionale, quello meridionale, verso il corso obliquo del sole e infine verso le stelle fisse ed erranti. Si veda ancora Pagliaro, pp. 411–12. Alberto Magno, De nat. loci, I.12 (p. 20, rr. 68–69): ‘credo […] quod difficilis sit transitus et non impossibilis’. Ricordo che il testo e` citato, assieme al IX libro della Pharsalia, in Conv. III.v, 12 nel quadro della spiegazione del moto annuale del sole. Sull’attraversabilita` del mare nella fascia tropico-equatoriale cfr. J.B. Russell, p. 15 e n. 34. Sulla complessa elaborazione di Alberto, cfr.
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Scafi, pp. 179–82, dove si estende l’analisi anche a Tommaso. Alberto Magno, De nat. loci, I.12 (p. 20, rr. 51–56). Alla stessa tradizione che collocava nell’emisfero meridionale il mondo dei morti appartiene quel curioso testo antico di divinazione che e` la greca Epistola di Petosiris, che ricompare in traduzione latina in eta` carolingia: cfr. Thomas G. Tolles, ‘The Latin Tradition of the Epistola Petosiridis’, Manuscripta, 26 (1982), 50–60. Cfr. Obrist, p. 157 ss. Cfr. Porphyry, On the Cave of the Nymphs, a cura di Robert Lamberton (Barrytown, NY: Station Hill Press, 1983), pp. 21–22. In Som. Sc. I.12, 1–3. Sulla diffusione del porfiriano De antro nympharum cfr. Jean Pepin, ‘La fortune du De antro nympharum de Porphire en Occident’, in Plotino e il Neoplatonismo in Oriente e in Occidente (Roma: Accademia Nazionale dei Lincei, 1974), pp. 527–36. Qualunque sia il tramite oltre a Macrobio, l’interpretazione porfiriana ha raggiunto molti dei maggiori pensatori del basso Medioevo: cfr. anche Robert Lamberton, Homer the Theologian: Neoplantonist Allegorical Reading and the Growth of the Epic Tradition, (Berkeley-London: University of California Press, 1989), p. 270; cfr. inoltre p. 70 ss., pp. 318–24; alle pp. 290–92 non si esclude che Dante possa aver conosciuto direttamente il saggio di Porfirio, estremamente rilevante sotto il profilo della tradizione esegetica allegorica in generale. Per quanto interessa qui, la testimonianza macrobiana e` sufficiente a far supporre che Dante avesse presente la grotta di Itaca e il significato dato alle sue porte. Sull’antro omerico, si veda anche Gioachino Chiarini, ‘Percorsi astrali. I viaggi di Ulisse e l’immagine del cosmo in eta` arcaica’, in Ulisse: archeologia dell’uomo moderno, pp. 77–86, soprattutto pp. 80–81.
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