3500367 Miti Archetipi e Simboli

September 16, 2017 | Author: adamkadmon1991 | Category: Alchemy, Archetype, Homo Sapiens, Symbols, Nature
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PARMA

25/09/2004

MITI, ARCHETIPI E SIMBOLI: L’IMMAGINE COME DIMENSIONE TRASCENDENTALE E LE DICOTOMIE INSOLUTE.

Scozzari Daniele

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Premessa

Da sempre i Simboli, i Miti e gli archetipi, sono stati sinonimo di mistero da un lato e semplicità dall’altro, tanto che per questi due motivi essi sono passati, rispetto alla scienza ed anche alla comunità umana (occidentale), in secondo piano. Molto del materiale umano, artistico, filosofico, antropologico e psicologico ha la sua ragione di esistere in corrispondenza della forza dei miti e dei simboli o dei sogni, delle leggende, fiabe, ecc.., di ispirare l’animo umano. Senza la pretesa di essere esaustivi, il mio intento è quello di avvicinare il lettore alla comprensione iniziale della profondità di alcuni simboli che come delle perle intessono le vie di comunicazione e rivelazione dal lontano passato finanche ai giorni nostri. Molti simboli operano a livello inconscio, o meglio sono recepiti dalla parte destra del cervello. La vista è il canale privilegiato dai simboli, mentre l’udito lo è per i miti o le leggende, soprattutto quelle di natura non scritta. Si insiste molto nei riti di iniziazione, come ad esempio in quello di Eleusi, o in quelli egizi di Osiride, nel trasformare il mystes (l’iniziato ai misteri), i cui occhi erano chiusi e velati, in epoptes (veggente). Questo passaggio importante è testimoniato da alcuni simboli, come quello della 2

luce, dell’ Occhio, dell’Acqua (nel battesimo), e via dicendo. Ciò che lega insieme tutti i discorsi del libro è la ricerca di quei simboli che rappresentano l’immagine della Totalità, della Trascendenza e della Unità cosmologica e umana. Possiamo dire i simboli che sono il sogno ricorrente dell’intera umanità che ad un livello profondo percepisce i medesimi stimoli e sensazioni di natura simbolica. Spesso i significati originari dei simboli si sono perduti nel tempo, o sono stati sostituiti, camuffati o si sono evoluti. “Tutto cambia per rimanendo uguale”, è un altro modo di intendere la rilettura di taluni simboli o archetipi. È dunque un viaggio interiore, dove si annullano i confini spaziotemporali, dove tutto ritorna all’origine, dove l’identità si frantuma per integrarsi alla fonte di origine universale e uscirne più completa, forgiata. Io attraverso questo viaggio che propongo ad altri, ho riscoperto, con semplicità e umiltà alcuni valori quali l’Amore, la Solidarietà, la Conoscenza, la Spiritualità intesa come apertura a tutto ciò che vibra fuori e dentro di ognuno di noi, tensione propositiva verso l’alto e verso il centro, l’origine di ogni cosa. Mentre scrivo queste righe una sfilata di cavalli in pieno centro città attira la mia attenzione. Sincronicità? I simboli sono chiavi di accesso. Qualsiasi modo di vedere la natura, il cosmo, l’essere umano, passa necessariamente per una dimensione simbolica che racchiude l’ astratto e universale e il concreto, materiale. La chiave, a sua volta è simbolo di liberazione, conoscenza, iniziazione e mistero. Ogni divinità ha “le chiavi” per aprire e chiudere, per mostrare e celare. Da Giano a San Pietro, da Epona a 3

Mitra, e via dicendo. Interessante sarebbe vedere tutti i vari simboli presentarti in questo libro come delle chiavi che aprono porte di collegamento tra due dimensioni: il cielo e la terra, il materiale e lo spirituale, il mistero e la conoscenza.

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Capitolo 1 L’essere è…

…totale “La coscienza dell’Io risiede nella coscienza Universale”

(Keysertling). Il Sutra diciotto indica la strada della liberazione. Quando si

unisce il sé

individuale con il sé universale, il cuore, eliminate tutte le forme di ignoranza (avidya, ecc…) diviene limpido e puro e non si limita più a riflettere la luce ma la manifesta. Comprende che l'idea del sé è solo un'idea che riposa su un frammento della luce di Om ed abbandona in questo modo l'idea dell'esistenza separata. A questo punto si unisce a Sat, la sostanza eterna, Dio; tale unione è chiamata Kaivalya. (Sutra XVIII)

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Immergendomi nella lettura di alcuni libri mi sono reso conto di un concetto centrale che in vari modi trapelava da taluni libri. Gli autori di questi libri, partendo da una diversa impostazione epistemologica, sono giunti a simili conclusioni ora prosaiche ora poetiche. Tra gli autori compaiono: Mark Hedsel, un iniziato; Josheph Campbel un antropologo di fama mondiale; Karl Pribram, neurofisiologo; David Bohm, fisico; Michael Talbot, scrittore, Jung, psicologo e tanti altri ancora. Che cosa accomuna questi autori? Perché “dottrine” come la fisica quantistica, l’antropologia e i miti, la psicologia e gli archetipi, i simboli, l’arte e le immagini, l’esoterismo, l’alchimia e l’Egitto, la filosofia, la religione, la magia, eccetera, trovano punti di convergenza e spiegano alcuni “misteri” con nomi diversi? Una linea sottile e invisibile collega tutto, anche i libri che, uno dietro l’altro sto leggendo: mi si riapre continuamente un sipario dietro al quale si intravedono realtà e possibilità che superano la contingenza spaziale e temporale dove mi trovo immerso per aprire un varco al di là della realtà visibile che in sanscrito equivale al termine maya. Il messaggio chiave che cercherò di far emergere da questo lavoro è che i miti, i simboli e gli archetipi raccontano in chiave “poetica” i misteri dell’unità cosmica che trascende le dualità così come si manifestano attraverso la contingenza fisica spaziotemporale. Mi sono più volte soffermato a “contemplare” un simbolo per estrapolarne, attraverso il suggerimento e le tracce contenute nei vari

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libri, i loro livelli di significato (che per la tradizione ermetica sono almeno sette); oppure cercare una fonte di illuminazione nella potente luce di saggezza degli archetipi, o collegare i miti tra loro ritrovando quella sensazione di unità originaria che accomuna tutte le culture, che risalendo dalla china dell’inconscio collettivo attraversano la sagoma di un’immagine e fanno vibrare nella mente delle risonanze che trascendono spazio e tempo. L’Occidente e l’Oriente, la religione Cattolica e l’Induismo, il capitalismo e il comunismo , sono termini che derivano da un modo di pensare al mondo e di concepirlo, spesso staticamente, in maniera dicotomica, oppositiva e per categorie di separazione. In un mondo che segue la marcia della globalizzazione a senso unico possiamo aspettarci che i contrari trovino una loro sublimazione, una loro trascendenza? In natura ciò avviene in modo del tutto spontaneo, come per esempio nel ciclo metamorfico della farfalla, nella società invece, si opera diversamente, tendendo alla supremazia di uno dei poli opposti, quello che si riterrà dominante. In molti casi le dicotomie oppositive assumono diverse conformazioni. Una è per esempio quella della continuità, e cioè che una categoria è la continuazione speculare dell’altra, oppure scorrono parallele, oppure ancora danno origine ad una terza via quella dell’embricazione nella quale gli opposti trovano un’altra soluzione che non è quella dell’opposizione ma dell’attrazione e del “superamento” di prospettiva. Dati due opposti come piccolo e grande, finito e infinito, materia

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e spirito, ad un certo livello di complessità troveranno l’equilibrio nel centro della bilancia e daranno origine ad una via di mezzo (1+1=3) che è comunque diversa dagli estremi pur conservandone le caratteristiche di base. È una nuova proprietà emergente scaturita dalla fusione dei due elementi opposti e complementari. Ciò è vero per maschio e femmina, luna e sole, universo e atomo legati da un infinito connubio, passato e futuro che formano il presente, immagini e parole che danno origine alla lingua, alla scrittura. Credo che la pacificazione dei contrari sia una risposta alla permanente crisi che sta attraversando il mondo sia dal punto di vista materiale che spirituale. L’embricazione, cioè il superamento della dualità è un atto d’amore: per il fatto che dalla congiunzione di due si ottenga tre. Il passaggio al numero tre che nella simbologia cristiana ma anche pagana, esoterica, antica, non è casuale. Già gli egizi parlavano del terzo occhio, l’auraeus, che permette una visione delle realtà superiori. Il tre indica la perfezione, la sublimazione del corpo nello spirito, la visione nella coscienza universale al di là della mera realtà, che è maya, cioè apparenza. Il tre è equilibrio. Ciò che scaturisce da due individui diversi che si incontrano è sempre una terza emergenza, e non parlo solamente di quella biologica tra una coppia, l’amore ha molti modi di “fare tre”. La dimensione ultima dell’amore che è la creazione non si esaurisce nell’abitudine materiale, ma la trascende essendo l’amore un concetto spirituale capace di superare spazio e

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tempo. Amore o Philos come lo chiamavano i Greci significa dunque unione, relazione, tra due persone, tra due forze, tra due entità, tra due diversità, eccetera. Promuovendo le diversità e favorendo il loro connubio otterremo risultati creativi immediati. La creatività, quindi la ricerca di nuove soluzioni, di strategie di coping e di risposta, è favorita dalla formazione di gruppi eterogenei, come è risaputo in psicologia sociale. Per cui tentiamo delle nuove fushion. Lo facciamo con la cucina cosiddetta cooke, attraverso la musica che assurge a veicolo di trasmissione interculturale, con l’arte. L’artista di oggi ha un ruolo molto simile allo sciamano di un tempo. Entrambi comunicano i miti ai suoi contemporanei, entrambi sperimentano una realtà più vasta e in un certo senso inafferrabile tramite i comuni sensi, entrambi sanno andare oltre la paura e il desiderio, staccarsi dalla quotidianità, oltre la coppia di opposti; si identificano con la coscienza e con una vita della quale il tuo corpo non è che un veicolo. Mancano, almeno nella società postmoderna occidentale, dei validi miti/guide che un tempo rappresentavano de capisaldi nell’azione sociale con i quali vi si identificava un intero popolo e le sue generazioni. Parlo dell’incontro di esperienze soggettive diverse e su diversi livelli per poter maturare il concetto del relativismo sociale e culturale, della comprensione e aiuto reciproco. L’incontro delle diversità nella loro interdipendenza e con interscambio reciproco. È tempo anche per l’uomo di superare le dicotomie nelle quali rimane in un certo senso intrappolato.

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Se l’uomo è capace di amore può operare la magia dell’incontro creativo di due realtà opposte. L’amore è sviluppo interiore e speranza. Secondo la dottrina induista la nonconoscenza, impedisce all'anima individuale di comprendere la natura universale, non-duale dell'essere unico; essa percepisce dunque solo individui e oggetti separati (cioè l'intero mondo dell'esistenza materiale, temporale) e non comprende mai che tutte le esistenze separate sono essenzialmente irreali (questa illusione è nota come maya, e la radice ma significa anche terra, cioè materialità). Dobbiamo riappacificare anche gli opposti che albergano nella nostra mente e nelle sue abitudini più o meno condizionate. Siamo ancora alla totalità, la sintesi degli opposti, l’integrità del Sé, di mente e corpo. Se integrità e unità equivale a benessere, individuale e sociale, perché non si adoperano gli strumenti necessari a permettere una tale ricomposizione? Da qualsiasi punto di vista si parta per osservare un fenomeno esso ci dimostra che anche nella totale mancanza di elementi in comune con il resto, conserva una qualche impronta dell’unico grande principio che sorregge l’universo: l’interezza e la continuità, in poche parole l’Unità. È anche di questo che parlano i miti. Il problema che tutti i miti o le immagini simboliche pongono, secondo il mio modesto parere, è quello di non fermarsi all’apparenza delle cose, “l’essenza è invisibile agli occhi”. Ad esempio nella ricerca del Graal ciò che si cercava era soltanto un calice sacro oppure ciò che esso rappresenta in termini di conoscenza

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dell’Assoluto e di sintesi degli opposti. Secondo molti studiosi di miti, il Graal è la metafora rappresentata dall’itinerario spirituale che si trova tra le coppie di opposti, tra la paura e il desiderio, tra il bene e il male. Ma le persone vedono solo l’aspetto materiale delle cose, cercano il Graal/calice reliquia preziosa e non il Graal/simbolo di vita autentica. Il Graal non si trova quindi in qualche punto remoto della terra ma alberga dentro la nostra coscienza. Abraham sosteneva che non creiamo i simboli sono già dentro di noi e la loro forza spesso rimane assopita. Joseph Campbel sostiene che i miti sono riflessi delle potenzialità spirituali di ciascuno di noi. Ognuno di noi contiene l’intero che ci contiene. Come direbbe il grande fisico quantistico David Böhm: “tutto è uno… ogni cellula del nostro corpo cela l’intero cosmo” (secondo il principio definito olografico). Ed aggiunge che nonostante l’apparente separatezza delle cose a livello esplicito e percettivo, tutto è un’estensione indivisa di ogni altra cosa. Tutto nell’universo “caotico” (che caos non è, bensì un ordine incomprensibile, implicito) è parte di una continuità, la quale lega ogni essere con il resto dell’universo. Così ogni cosa si lega all’altra. Le relazioni e la loro complessità è qualcosa di affascinante che ancora non è stato compreso a pieno. “Ogni cosa nasce in mutua relazione con ogni altra…è quasi come se ci fosse, dietro a tutto ciò, un’unica intenzione, che in qualche modo produce sempre un senso, sebbene nessuno di noi sappia quale possa essere il senso o abbia potuto comprendere quello della sua vita” [J. Campbell, 1990].

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Le persone, che si tratti di eminenti scienziati o dell’amico di merenda, sono instancabilmente assuefatte alle loro credenze; come dicono Talbot e Siegel (1997) “siamo assuefatti alle nostre credenze e ci comportiamo davvero come tali quando qualcuno tenta di sradicare da noi il potente oppio dei nostri dogma, il quale annebbiandoci la mente ci fa vedere solo una parte di realtà”, guardacaso sempre quella che si preferisce vedere, quella più rassicurante e “certa”. Ci convinciamo che le nostre convinzioni sono convenzioni alle quali aderire conformandoci in modo tacito e irreversibile. Invece, è proprio questo uno dei peggiori mali della società: l’aderire in modo incondizionato a modelli paradigmatici che assurgono a verità prestabilite. Tale male va di pari passo con il meccanismo di divisione retto dalla Ratio Menti, che opera irreparabili tagli e scissioni tra individui e all’interno dello stesso individuo. Tutto nella società è separato o tende a tale condizione che in apparenza sembra consentire ordine e stabilità. Joseph Campbell eminente antropologo contemporaneo ha capito perfettamente la condizione in cui ci troviamo a vivere come esseri umani e cioè il fatto che “tutto ciò che si trova nella dimensione del tempo e dello spazio è duale… e si può ricondurre a coppie di opposti”. Bisogna trascendere questi opposti, cioè superarli attraverso una coscienza superiore che integra gli opposti nell’uomo e quindi attorno all’uomo. Gli archetipi, i simboli (la stessa parola simbolo indica in origine l’unione di due principi, di due cose), i miti, i sogni, e la sublimazione

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alchemica rendono conto nel loro potere trascendentale e relazionale di una dimensione superiore dove gli opposti si ritrovano a convivere in una sintesi costruttiva e onnicompren- siva delle potenzialità di entrambi i poli. Le nazioni sono separate, le famiglie, le fazioni religiose, politiche, razziali, l’uomo con la natura. La stessa psiche in molti casi è frammentata, e non solo quando si tratta di schizofrenia o nel Disturbo di Personalità Multipla. La società e le regole capitalistiche, consumistiche e in definitiva della Ragione materiale (che è opposta al sentimento) ci porta a separarci sempre più dal tutto, dall’integrità e dalla completezza, dandoci in cambio dei falsi sogni, degli ideali che non ci appartengono, delle false chimere con le quali identificarsi passiva- mente. Il potere delle Lobby e dell’Industria culturale e mass mediatica è estremamente plagiante ed orientato ad un unico obiettivo: il consumo e la vendita. In definitiva, dove regnano frammentazione e scissione non vi può albergare altro che ipocrisia, finzione, malattia, disintegrazione, guerre, ed è un dato di fatto. D’altronde tutto ciò fa parte della vita che è comunque conflitto, dove c’è il tempo c’è il dolore. L’integrità comporta anche e soprattutto trovare e riscoprire il fatto di appartenere alla comune razza umana; il fatto di non rinnegare quelle dimensioni del carattere o della società che più temiamo, con le quali non ci vogliamo identificare che vorremmo invece cambiare e integrarle in una visione più ampia della vita nell’universo. Il nostro sé è separato. Siamo

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nati per essere liberi e totali. I miti ci trasmettono messaggi di unione e totalità in tutte le cose. Ci comportiamo o ci identifichiamo con i frammenti dell’esistenza, specchi rotti di realtà inconciliabili e fragili. La completezza e la realizzazione di un sé totale sappiamo dove e come trovarlo (e cioè tramite un’altra persona, un partner, un familiare, attraverso l’autoconsa- pevolezza) ma non sappiamo o non vogliamo rischiare di ritrovarci ancora più soli, ancora più frammentati lungo il cammino. È il percorso dell’eroe che deve lasciare il cero per l’incerto, la casa di origine per ritrovare se stesso nei riflessi cupi delle ordalie del mondo. Qualsiasi sia il vostro modo indiscutibile di pensare, il vostro credo religioso, la vostra appartenenza razziale e culturale, la vostra estrazione sociale, il vostro modo di essere e di conoscere, una cosa è certa: siamo tutti esseri viventi. Il punto è che l’infinita diversità che esiste nell’Universo è scaturita (e continua a scaturire) da un principio (forza, mistero, chiamatelo come vi pare..) che è Uno, ed è anche Tutto e Totalizzante (totipotente ed olistico). L’Uno tende alla moltitudine e alla complessità, cioè alla relazione. Anche l’essere umano è uno, ma la sua essenza si manifesta non solo nell’unità ma nella diversità: non esiste una persona uguale ad un’altra, la natura umana che è una contempla diverse dicotomie nelle sue più vaste accezioni: unomolti, interno-esterno, maschile-fem- minile, materiale e spirituale, cittadino-cosmopolita, razionale-sentimentale, naturale-artifi- ciale. Quanti opposti da coniugare…

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Lo scopo di alcune “scienze” arcane come la Cabala, l’Alchimia (in cui Mercurio è la personificazione ideale degli opposti e che tra l’altro regge in mano un bastone nel quale due serpenti vi si attorcigliano e incrociano il corpo e gli sguardi all’estremità a sua volta guardati da mercurio stesso) e alcuni riti di iniziazione esoterica è quello di raggiungere una dimensione superiore anche durante la vita terrena e ciò attraverso il congiungimento di elementi dicotomici e contrapposti, come Yin e Yang, simbolo supremo e indivisibile di integrità e della complemen- tarità creativa delle antinomie oppositive in relazione in tutto l’universo. Vi sono svariati trattati sulla Congiuntio o cupola degli opposti e della loro sublimazione e trascendenza. Vi è un motivo mitologico di base secondo cui in origine tutto era Uno e poi c’è stata una separazione, che di solito si fa coincidere con la Caduta dell’uomo, l’abbandono del Giardino dell’Eden, il passaggio da un mondo sovradimensionale ad uno, il nostro, racchiuso nello schema di spazio e tempo limitati: cielo e terra, notte e giorno, maschio e femmina, inizio e fine, tutto era un unicum. “Nelle upanishad indiane c’è un’immagine dell’energia originaria, concentrata, che è il big bang della creazione che ha dato origine al mondo, consegnando tutte le cose alla frammentazione del tempo.. Il divenire riguarda sempre una frazione. L’essere è totale”. [cfr. J. Campbell, 1990]. Come abbiamo fatto a perdere i contatti con questa unita? È una domanda che si chiede il noto antropologo Joseph Campbell che ci invita a riflettere sul fatto che “in un certo senso è a causa della nostra mente che viviamo in

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questo stato di separazione”. Forse questo bisogno di integrità è sempre esistito nel rapporto con l’uomo e la natura, con l’uomo e l’universo. Adesso ciò che rimane di questo antico mito sono poche tracce. La tensione dell’umanità verso qualcosa di totalizzante e unitario ha da sempre accompagnato i riti delle culture più eterogenee e remote del pianeta. Oggi, riusciremo a ritrovare le radici di quell’antica sapienza taumaturgica che guidava il complesso cammino dell’umanità attraverso i secoli? Non siamo più abituati a leggere nei simboli le chiavi d’accesso alle nostre origini che abbiamo smarrito. L’unica “forza” che guida la gente è l’economia che retta dalla luce della ragione (materiale) assurge a bene massimo. L’architettura modera dei grattacieli e delle grandi costruzioni non rappresenta l’elevazione spirituale dell’uomo bensì l’elevazione economica della società. La ragione, intesa in questo modo è una tensione che divide, che accumula in quantità e non in qualità, che distorce il senso ultimo della vita che sembra tendere verso una dimensione trascendente. Nelle scuole non si insegna ad accostarsi con umiltà e trasparenza ai simboli, ai miti e agli archetipi, che pur avrebbero tanto da insegnare. I genitori non stanno più, nella maggior parte dei casi a raccontare favole e storie come facevano una volta le nonne, tra una persona e un’altra, come può essere tra genitori e figlio vi sono innumerevoli intermediari artificiali che in alcuni casi accentuano il distacco. Si sono persi alcuni

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valori di comunità, sostituiti con surrogati usa e getta costruiti artificialmente per tale scopo. Le bande di ragazzini teppisti non passano attraverso riti che preparano con cautela il loro inserimento nella società, sono invece lasciati allo sbaraglio e l’unico rito che gli rimane è quello che loro stessi fabbricano poiché nessuno gli ha dato la possibilità di apprenderlo e guardacaso cosa fanno? Dipingono, si danno all’arte. Attraverso i murales si impadroniscono degli spazi “grigi” delle metropoli fredde e apatiche. Attraverso le gare di velocità e abilità con gli skateboards si sentono i padroni del tempo e degli spazi, diventano eroi. Nessuno gli ha insegnato che molto tempo prima di loro i maya facevano un gioco con la palla in cui alla fine il capitano della squadra vincente veniva sacrificato sul campo dal capitano della squadra perdente per cui rappresentava l’eroe che muore come un dio. Gli veniva tagliata la testa che come la palla rappresentava un simbolo di assoluto, la sfera, la perfezione. I giovani, inconsapevolmente, tentano di riappropriar- si dei miti storici dell’inconscio collettivo e lo fanno in modi che vanno a volte a urtare la vita dei “grandi” o della società. Si tratta di una protesta del giovane: “perché non mi insegni tu quale via devo percorrere invece di fabbricarmela da solo”? E la “via da percorrere non si insegna solo attraverso le lezioni a scuola o i libri ma attraverso l’esempio e, in ultima analisi, attraverso le immagini, i simboli che racchiudono mille parole e mille esperienze vissute e da vivere,

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sic et simpliciter. Il simbolo come disse Jung: «può trasformare la natura stessa dell’uomo».1 Parlavamo prima di economia. Mi sono davvero stupito nel notare i mille rimandi simbolici che può contenere ad esempio una banconota come il dollaro (one dollar) americano, ciò vale per molte altre monete dove si riscontra sempre un elemento distintivo simbolico I due simboli chiave, la Piramide nel lato sinistro della banconota e l’Aquila nel lato desto sono intrisi di riferimenti massonici, esoterici (soprattutto rosacrociani ed egizi). Vi è tutto il simbolismo qabbalistico dei numeri (in particolare il 13 e il 17): Al di là dell’ovvio riferimento ai tredici stati che formarono la prima confederazione america- na (tuttora presenti come numero nelle tredici strisce bianche e rosse della bandiera statunitense), il significato del «tredici» in numerologia potrebbe riempire tranquillamente una intera enciclopedia. Nei 22 Arcani Maggiori dei Tarocchi è raffigurato con la «Morte», intesa come trasformazione, cambiamento e rinascita. Nella tradizione cristiana, in cui Giuda il traditore è legato al tredici (Gesù più dodici apostoli), è considerato il numero della gerarchia infernale. Per alcuni studiosi dell'alfabeto ebraico il «tredici» è simbolo di distruzione e morte. Secondo invece Carmen Rettore, il tredici «oltre ad essere il numero cosmico del perdurare della presenza è anche il numero del “trasporto” e del “volo” ». Cosa significa questo? «In pratica con questo numero 1

«La psicologia di C.G. Jung» edizione Boringhieri

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continua Carmen Rettore - viene data alla banconota la pulsazione di un movimento universale», della serie: un movimento di «circolazione» che «perdura, trascende e resiste per l’eternità». La conferma di quest’ultima affermazione, e cioè della «circolazione che perdura», sta nel fatto che il dollaro è sicuramente la banconota che circola maggiormente nel mondo e da tantissimo tempo. L’intento iniziale, rappresentato sotto forme simboliche nel dollaro era l’attuazione di un nuovo ordine del mondo (come compare nella scritta “Novo Ordo Seclorum”, composta da 17 lettere..), retto dalla Democrazia, dalla pace, dalla Ragione, intesa come forza rivelatrice e guida spirituale del mondo. Ma ancora una volta le persone, come per il Santo Graal, non sanno andare oltre il livello materiale delle cose, in questo caso quello economico. Cosa è rimasto dei buoni propositi contenuti sotto forma di messaggi cifrati nel dollaro? Ma questo alla sua nascita e cioè all’epoca dell’Illuminismo, nel 1789, data di nascita della banconota del dollaro sotto la Presidenza di J. Washington nonché data ufficiale della Rivoluzione Francese tra l’altro preparata da esponenti massonici, come di ispirazione massonica erano i primi fondatori degli Stati Uniti. Dove sono andati a finire oggi i valori originali con i quali è sorta l’America (e lo stesso vale per l’Europa a cui si lega la storia del Graal e tutto l’Occidente, anche se l’Oriente, soprattutto Cina, Giappone e India stanno tentando di percorrere la medesima via che sta portando noi occidentali verso un mondo materiale e consumistico). Un simbolo

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di unità come la moneta o la carta moneta (facce della stessa medaglia) può far riflettere come elementi dicotomici compaiono anche attraverso l’econo- mia. La banconota come quella statunitense viaggia su due dimensioni: materiale (economico) e spirituale (messaggi massonici: il concetto di massoneria è legato al costruire, essi sono i “muratori” del nuovo mondo, o almeno questa sembrava essere una delle missioni). Un altro paradosso, se così si può chiamare, è il seguente: per secoli gli alchimisti e gli ermetici (ma non solo) si sono sforzati di raggiungere la cosiddetta “Pietra Philosofale”, la quintessenza rappresentato dalla realizzazione dell’oro dal piombo e parallelamente l’accrescimento spiritua- le, che costituiva la vera e più grande trasformazione. Per far ciò essi partivano da uno stato in cui la materia e la forma venivano definiti di “nigredo” nerezza. In poche parole l’Opus, ovvero il processo alchemico di sublimazione dello Spirito e della materia partiva dal nero che essi associavano alla notte, alla malinconia, alla non-unità degli opposti, per arrivare al bianco ovvero all’oro come principio superiore e trascendente e da lì riperpetuare il ciclo che non era mai compiuto se non forse dopo la morte! Era ciclico. Oggi assistiamo ad una guerra che riguarda due culture, Occidente e Medio-Oriente e implicita- mente anche due Religioni da molti secoli in combutta, ovvero la Cattolica e la Musulmana, due modelli di pensiero. Tutto per l’oro nero, che a differenza dell’oro alchemico non eleva spiritualmente ma al contrario sta

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portando l’umanità ad una sfrenata esigenza di potere e di distruzione. L’oro nero, mi sa tanto che, alla luce dei fatti odierni è la controparte negative e materiale dell’oro (bianco). Il primo “ti trasforma” in consumatore materialista, il secondo attraverso la sua trasformazione (che è un atto che compi di persona) ti trasforma a sua volta.. Sono due principi contrapposti. Il compito per i “nuovi alchimisti” è quello di trasformare l’oro nero, o la nigredo, in oro, in luce così da compiere quella necessaria trasformazione interiore che ci innalza al di là della materia, del potere sulle cose e sulle persone. Questa è la nuova missione che spetta a tutti noi alla luce del messaggio lasciatoci dai miti, dai simboli e dagli archetipi. Finché vivremo sotto l’ombra della materialità intesa come attac- camento morboso alla cose, agli oggetti, al denaro, la vera luce della consapevolezza del nostro essere rimarrà eclissata. Bisogna trasformare la nerezza della quotidianità.

A proposito di nerezza, bisogna constatare che anche la condizione di essere umano sta diventando lentamente, sotto i nostri occhi increduli, un’attività part-time. Chi per un motivo chi per un altro è portato a criticare la sua o la di altri condizione di uomini e ciò per varie ragioni: culturali, politiche, religiose, sessuali, razziali, intellettuali, eccetera. Bisogna ritornare ad essere uomini a tempo pieno, uomini che pensano e interagiscono in vista di una concezione globale del mondo, la casa di tutti, ma purtroppo

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patrimonio di pochi affittuari nonché “sfrattatori” alias Lobby e Co. Ogni individuo di questo pianeta ha le stesse esigenze di qualunque altro, vive con le stesse aspettative di ogni altro, sente e prova le medesime emozioni, le quali ci insegnano ad essere più umani, ma la cui voce che grida dal profondo è nascosta e si perde nel traffico roboante di desideri materiali ed effimeri nel traffico globale dell’ingiustizia e dell’ipocrisia. A forza di rin-negare le emozioni, non abbiamo armi per superare le crisi della ragione capitalistica e tecnocratica, abbiamo disimparato a sorride- re intensamente anche alla vista delle cose semplici e genuine, a stupirci delle cose veramente belle come un tramonto, un dipinto, o la nascita di un cucciolo. Tutto è nel complesso, semplicemente meccanico e freddo? Ho chiesto ad un mio amico quale fosse la sua aspirazione più grande. La risposta è stata: “fare soldi”. L’ uomo del xx secolo vuole semplicemente essere simile ad una macchina, efficiente ed efficace, che poi sappia trapelare qualche rudimentale e incerta emozione come ad esempio l’amore, è cosa di poco conto, magari ci penseranno le macchine a fabbricare qualche pillola della felicità facendo le veci dei nostri naturali ormoni e neurotrasmettitori. Mah!!! Tuttavia, siamo ancora in grado di recuperare dai ruderi della civiltà postmoderna brandelli di essere umano e ricostruire quell’essere imperfetto e inarrestabile che siamo.

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Se l’uomo non tornerà ad essere Sè stesso, cioè autentico e totale, non frammentato sarà imperdo- nabilmente il responsabile del decadi- mento culturale e sociale cui purtroppo sta andando incontro autoconvincendosi che quella che si accinge a percorrere sia la strada giusta, che per certi versi è all’indietro. Più si darà spazio alla tecnocultura più si sedimenteranno a fondo i veri bisogni e-motivi dell’uomo e più essi si sostituiranno ad altri più effimeri da fast-food consumistici. L’uomo tende sempre più a diventare elettromec- canico, di contro, le macchine tendono sempre più ad avvicinarsi a modelli umanoidi. Il mondo alla rovescia. In un futuro, forse non troppo lontano, la specie umana rappresenterà per le macchine quello che le scimmie antropoidi rappresentano adesso per noi: antenati o predecessori, discendenti ancestrali giunti ad uno stadio evolutivo “inferiore”. Einstein, nella sua grande lungimiranza, in una sua celebre massima scriveva: “un giorno le macchine potranno risolvere tutti i problemi, ma nessuna di esse potrà mai porne uno”. Certo è anche vero il fatto che abbiamo pochi validi esempi cui far riferimento per “restaurare” la s-cultura umana; invece sono tanti, forse troppo i contromodelli (purtroppo quelli più emulati) a fare da cornice alla società, sulle quali si basa: sto parlando di modelli de-generazionali quali quelli di scissione e dissociazione tra Stati, politiche, religioni, famiglie, classi e gruppi di ogni genere…gli esempi sarebbero interminabili,

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tutto è diviso nella società, e lo continuo a ripetere. Ci sono poche idee che propinano messaggi di unione e sodalizio. La scissione operata a livello sociale, in linea con il modo analitico e divisorio con il quale opera la Ratio, si ripercuote inesorabilmente nelle menti più fragili di bambini e adolescenti, o di persone robotizzate e per ciò disumanizzate. Fate circolare idee di unione, messaggi di solidarietà: siamo tanto bravi a vendere e condizionare tramite le pubblicità e il marketing prodotti (senza offesa per nessuno) stupidi, che spingono alla ricerca di chimere effimere, allora, mi chiedo, come mai non riusciamo a far attecchire propositi più utili per l’uomo, che ridanno il senso della coesione umana e della svolta decisiva per un mondo a misura d’uomo - e non a uomo da misurare da soppesare e rivendere. Per i propositi saggi e creativi ci vuole impegno e tempo. Oggi il tempo è prezioso, tutto corre vorticosamente, se un progetto, come la pace nel mondo è troppo lungo, beh, non c’è tempo. Meglio la guerra, più veloce e decisa. Prima delle macchine devono “muoversi” e funzionare gli ingranaggi del cervello (e non solo nella sua parte sinistra), se non vogliamo veramente essere ridotti a robot a tempo pieno (con tutto il rispetto per i medesimi) o al massimo umani part-time, magari pronti a cambiare “lavoro” non appena si presentano le prime condizioni avverse di cui la società, nella sua infinità varietà di situazioni, è pronta ad offrirci.

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Capitolo 2 I

miti:

perle

racchiudono/dischiudono cosmica

collegandola

che l’unità all’unità

interiore.

La scienza sta iniziando nell’ accostarsi alle dimensioni del mistero, entrando nella sfera di cui parla il mito. La fisica Quantistica, la teoria Olografica e la teoria della Complessità sono un valido tentativo per scoprire i “veli di Iside” e per spiegare ciò che è stato considerato inco- noscibile, il Logos non fenomenico, eccetera. Ciò che non si può esperire con i

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sensi è considerato privo di discernimento scientifico; ma quanta parte della realtà viene esclusa dai sensi? Colori, frequenze, radiazioni, il regno del micro e del macro, le esperienze subliminali, eccetera. L’energia, che investe ogni cosa, era già oggetto di venerazione mitica [J. Campbell, 1988], l’energia è in ogni cosa e in qualsiasi organiz- zazione della materia dalla più elementare alla più evoluta con diversi gradi e livelli. I miti, le immagini ed i simboli racchiudono stati energetici che vanno al di là della materia, sconfinando invece in una forma di energia universale che è il Pensiero (cfr. Bohm), ovvero l’Idea che investe energicamente i suoi tre “rappresentanti” in ogni epoca storica e in ogni popolo e nazione. Si tratta del Mito, dell’immagine simbolica e dell’archetipo. Dicevamo tre elementi che stanno alla base del pensiero, che sono in qualche modo immagini speculari dello stesso fenomeno ma operanti a diversi livelli. Si manifestano, infatti, sia a livello di coscienza individuale, sia a livello collettivo, ciò che Jung chiama inconscio collettivo. Tutti e tre gli elementi o “forze” si trasmettono quindi nel tempo, si materializzano in una dimensione storica e sociale, prendono innumerevoli forme che sono le loro diverse possibilità di presentarsi e accompagnano l’umanità lungo il suo tortuoso cammino ed inducono all’azione partendo da un livello, diciamo, subliminale di contagio emotivo. Sappiamo bene quanto potere può avere un immagine mediatica, un cartellone

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pubblicitario, prima a livello subliminale e poi spronando all’azione date certe condizioni. La pubblicità ricicla vecchi miti, trasformandoli in chiave moderna, arriva a condizionare con le immagini il desiderio di possesso e il bisogno di colmare dei vuoti, o più semplicemente soddisfa curiosità, distrae, comunque opera a più livelli. Forse la pubblicità, i media e la tecnologia si stanno sostituendo ai miti e agli archetipi di un tempo? Le celebrità di oggi, le notorietà stanno forse rimpiazzando il modello di eroe classico? In una scuola superiore di Brooklyn, è stato fatto circolare un questionario che domandava: “A chi vorresti assomigliare?” Due terzi degli studenti risposero: “A una celebrità”. La società dell’immagine propina modelli sempre più fittizi con i quali identificarsi. I vecchi miti sono sempre presenti, nel cinema, nei romanzi, ma forse hanno perso quel valore originario o forse siamo noi ad essere troppo immersi nella quotidianità. La vita oggi è complessa, cambia a ritmi frenetici, manca così il tempo perché qualcosa si sedimenti, si fissi davvero nella mente. Un tempo nell’antico Egitto le costruzioni sacre come le piramidi duravano anche per un’intera generazione dall’inizio dei lavori fino alla loro realizzazione. I figli dei costruttori diventavano i nuovi costruttori e completavano le opere dei padri i quali li istruivano affinché tramandassero ai loro nipoti le loro arti e tutti erano coinvolti nella costruzione di queste immemorabili opere, in un modo o nell’altro, con tempi lenti ma catartici. Al giorno d’oggi una celebrità dura una stagione e si fa presto a cambiare “eroe” per identificarsi subito in un nuovo

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“mito”. I miti, i simboli e gli archetipi hanno un altro aspetto in comune: sono immagini della Totalità in quanto possono avere infinite connessioni e rimandi con altri simboli, miti e archetipi, tutto è in relazione armonica ed è proprio questo messaggio di integrità armonica che bisogna cogliere dietro di essi. Gli archetipi sono il simbolo universale della totalità e circolarità che racchiudono e che è, in definitiva racchiusa dentro di noi. Si pensi al ciclo nascita, concepimento, morte. La forza trasformativa degli archetipi ricompongono in noi una cornice più grande dove inserire il quadro della nostra vita, della nostra storia in armonia con le altre storie del mondo, al di là delle dicotomie che dividono. Certi eventi quindi facevano sentire i nostri antenati parte integrante del cosmo e dell’universo. Capita lo stesso a noi, o almeno il fatto di sentirci parte di una storia più grande di cui ne costituiamo le pagine. Per esempio Il significato ultimo della sincronicità ci trasmette l’idea che siamo tutti in un modo o nell’altro collegati, come dice giustamente Hopke “il significato della nostra vita e l’intreccio delle nostre storie non includono semplicemente quello che sappiamo di noi ma giungono da una fonte molto più profonda, dalla nostra innata capacità di vivere l’integrità in forma di vita simbolica”, come lo è nell’inconscio collettivo formulato da Jung. Oggi più che mai si ha bisogno di integrità: le famiglie che sono afflitte dalle troppe separazioni; gli stati in combutta per problemi religiosi, economici, sociali, politici, ecc.; gli scienziati per creare un’interdipendenza polidisciplinare e creativa; la nostra stessa psiche è soggetta a

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disgregazione e va ricondotta ad una unità più grande in armonia con la mente e con li corpo e con l’intera società. I miti hanno tracciato le vie per realizzare con pienezza carismatica la coesione dell’uomo con la natura e con le società. Gli archetipi ci possono insegnare a percorrere tale via come fanno il Viandante, il Ricercatore o l’Eroe. I simboli e le immagini faranno da segnaletica per non smarrire la strada. Bisogna seguire il nostro bisogno di empatia e coesione. L’autore dell’Avatamsaka Sutra induista paragonò l’ intero universo a un reticolato leggendario di perle che diceva pendesse sopra lo splendido palazzo del dio Indra (dio che ricorda la parola Idra cioè acqua al quale il suo potere è associato essendo fluido e circolare) e “disposto in modo tale che se guardi una [perla], vedi tutte le altre riflesse in essa”. Come l’autore del Sutra spiegò, “allo stesso modo, ogni oggetto nel mondo non è soltanto se stesso, ma include ogni altro oggetto e, in effetti, è ogni altra cosa” [cfr., M. Talbot, 1997, p. 305]. Come spiega la fisica quantistica di Bohm, (1980), al livello subquantistico, la localizzazione come la intendiamo noi nello spazio e nel tempo cessa di esistere: “tutti i punti nello spazio divenivano equivalenti a tutti gli altri punti nello spazio, ed era insignificante parlare di qualsiasi cosa come separata da qualunque altra”. I fisici definiscono questa proprietà “nonlocalità.” Ma la cosa più sorprendente è, e qui sta la grande scoperta della teoria olografica, e cioè che tutte le particelle sono nonlocalmente interconnesse. Ogni cosa nel

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cosmo è costituita dal materiale ininterrotto dell’ordine implicito, non visibile (la realtà è maya), tutto nell’universo è parte di una continuità. I miti non raccontano, in diverso modo anche di questo? La separazione che opera la mente ad un certo livello è solo apparente, tutto è in relazione, in modi e termini che non possiamo cogliere nell’immediato, che ci prescindono e preformano. La società tende a dividere, a dicotomizzare, a “ragionare” in modo utilitaristico e materiale. Noi dobbiamo essere gli eroi della nostra vita, il mito della nostra storia, il simbolo della redenzione e dell’unità, l’archetipo che illumina gli altri, ognuno nel suo piccolo grande microcosmo. Bisogna dunque conciliare ciò che in definitiva era un tempo unito. La scienza/ragione, hanno seguito un cammino divergente rispetto al mito/sentimento. Esse sono invece due facce della stessa medaglia cui l’umanità deve dare ascolto alternativamente, come un individuo dovrebbe sentire in modo complementare sia la parte destra (emotiva) sia la sinistra (razionale) del cervello. Anche le Rune celtiche esprimono questo bisogno di unità, soprattutto quella dell’uomo, formata da due P contrapposte e la Runa della realizzazione, formata da due triangoli uniti alla base (vedi immagini più avanti): tale runa rappresenta un progetto. Simbolo di fertilità e di nascita, parla di una realizzazione, ma anche di un rinnovamento. Forse, a titolo di ipotesi, vi è un’influenza geografica non solo sulla cultura umana ma anche sulla parte del cervello che sviluppiamo maggiormente: per cui l’occidente ha

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sviluppato di più la parte analitica del cervello e forse l’oriente la parte emotiva e sintetica del cervello, la quale reagisce con più forza ad immagini visive, ai suoni melodiosi del mantra, ascolta di più ed che è aperta alla voce dei sentimenti.

Capitolo 3 Simboli Mitici

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L’ Albero…. Un importante simbolo, nonché archetipo è l’immagine dell’ albero. Esso compare in diversi miti e indica pressappoco le medesime cose: tutto il complesso della manifestazione; la sintesi di cielo, terra e acqua; la vita dinamica in antitesi con la vita statica della pietra. Rappresenta anche l’imago mundi e l’axis mundi dato che congiunge i tre mondi e rende possibile la comunicazione tra loro. I rami sono il simbolo della varietà nell’unità, i quali si levano da una sola radice e ritornano all’unità nella potenzialità del seme del frutto portato da quegli stessi rami. Ogni tradizione associa all’albero (caratteristico della zona di origine, come ad esempio l’agave e il cactus per il Messico) un valore cosmologico di manifestazio- ne dell’Uno, della riconciliazione degli opposti, che è in definitiva il filo conduttore del mio lavoro di ricerca. Anche ogni religione e quindi ogni Dio o personificazione di un dio ha un albero cui identificarsi. L’albero Cosmico è talvolta raffigurato con 9 rami che si dividono e si ricongiungono di nuovo, oppure con due tronchi che hanno la stessa radice e rami che si congiungono, il che indica la manifestazione universale che procede dall’unità alla varietà per tornare all’unità, l’unione dei principi complementari, maschile e femminile, Bene e Male, terra e cielo, oppure l’androgino. Sopra o attorno questi alberi spesso compare un serpente, un uccello, un diamante o un frutto a seconda della tradizione religiosa e culturale.

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L’ Albero della Vita i cui frutti danno l’immortalità è al/un centro e simboleggia la rigenerazione, il ritorno allo stato primordiale della perfezione; è l’asse cosmico ed è unitario; trascende gli opposti del Bene e del Male, Mentre l’Albero della Scienza del Bene e del Male è, secondo le varie tradizioni, per sua stessa natura, essenzialmente dualistico; è associato quindi al primo uomo e alla sua caduta dall’Eden. Il Dio destinato a morire viene sempre ucciso su un albero. Cristo, in una raffigurazione di Giovanni da Modena compare crocefisso sullo stesso albero da cui Adamo ed Eva mangiarono il frutto della Caduta, unendo in uno stesso simbolo i due estremi del mistero della Redenzione, Alfa e Omega. Buddha raggiunse l’illuminazione sotto un albero di fico (ficus religiosa) , simbolo del Grande Risveglio da cui prende il nome il Buddha. Nella saggezza indù il cosmo è un grande albero che ha radici nell’oltretomba, il tronco appartiene al mondo dell’uomo e alla terra e i suoi rami al cielo. L’albero dalla Vita è Aditi, l’essenza dell’indivi- dualità, mentre Diti, la divisione, è l’albero dualistico della Conoscenza, o Samara, che Visnù abbatte con la sua ascia. Anche per il Tao l’albero (che è il pesco) racchiude in sé le coppie di opposti, yin e yang, nell’unità taoista. L’albero inoltre è ciò che meglio di qualsiasi altro simbolo riesce a rappresenta- re la natura strutturale umana: l’albero diventa per estensione l’asse dell’uomo, ovvero la colonna vertebrale (vi è una terminologia parallela quale tra radici/nervi, linfa vitale, corteccia cerebrale e via dicendo). Le tradizioni storiche sono intrise

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di figure che come l’albero hanno tre funzioni principali: a) rappresentare una moltitudine di elementi che si rimandano l’un l’altro, ad indicare che dietro la complessità apparente vi sono dei principi base unificanti e integranti. Hanno inoltre diversi livelli di significato. “Gli elementi del simbolo racchiudono polarità in continua metamorfosi” (Cacciari). b) Servono a collocare l’uomo e le sue azioni dentro uno scenario più vasto e comunque non dualistico ma trascendentale. c) sono tramandate e compaiono in diverse forme adattandosi di volta in volta al substrato culturale o background sociale del luogo e del tempo storico-politico; servono come spiegazione dell’ordine delle cose, spiegazione alla quale ormai pochi attingono. Non ci si identifica con certi miti, forse perché sentiamo che non ci appartengono quando invece i miti sono per tutti, di tutti…e in tutti noi.

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….Ed il Serpente

Anche l’immagine del serpente, come quella dell’albero compare in molte mitologie. Nella tradizione cristiana viene considerato un principio negativo; esso è ambivalente, ossia può essere considerato positivo o negativo. Diversa è invece la concezione che ne hanno le culture orientali, primitive e altre ancora, soprattutto se lo si considera nell’archetipo rappresentato come Ouroboros, un serpente o drago che si morde la coda: le sue rappresentazioni comunque non si limitano ai due animali mitici, ma tutto ciò che è ciclico, origine-fine e nuovo ciclo, sono associate al significato che racchiude l’Ouroboros, ovvero “la mia fine è il mio inizio”. Simboleggia quindi l’indifferenziato, la Totalità, l’unità primordiale, l’autosufficienza, l’Androgino, il ciclo eterno o se si vuole usare un termine cibernetico il ciclo retroattivo del feedback. Insieme con l’Ouroboros sono raffigurati l’Alfa e l’Omega; nella mitologia Orfica racchiude l’Uovo Cosmico ed è Eone, l’arco temporale dell’univer- so. Un’espressione Greca che racchiude il suo significato è “tutto è Uno”. Come diceva Epicureo: “Il Tutto era all’inizio come un uovo, con un serpente (pneuma) che lo cingeva come un cerchio o una banda”. Anche nel simbolismo Sumerico-semitico l’Ouroboros rappresenta l’Uno e il Tutto e la

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ruota del Samara ne svela tutto il suo affascinante mistero. Più avanti ho inserito alcune immagini dell’Ouroboros prese da differenti tradizioni ed epoche storiche. La raffigurazione del primo emergere dell'Essere, chiamato Matrice Uno, è spesso un "Uovo di Luce" o "Uovo d'Oro", spesso con un centro in cui a volte vi è l'immagine di una divinità, archetipo dell'essere e dell'unità di coscienza che compare in tutti i miti delle origini sotto forma di immagini, quando ancora il linguaggio non era presente. La spirale, (che ha un’incredibile assonanza con spire o scaglie del serpente) che assume differenti forme, come il serpente, la svastica che tra l’altro è associata al Sole, il fiore o il tao. Insomma il serpente o l’Ouroboros sono di cero alcuni dei simboli più comuni e ricorrenti dell' umanità, attorno ai quali ruotano storie e miti di ogni genere. Incisa sulle pareti di roccia o dipinta nei luoghi sacri, la spirale rappresenta il senso del movimento creativo centrifugo, dal nulla centrale alla manifestazione fisica verso l'esterno, e del movimento inverso di involuzione centripeta, dalla manifestazione fisica al nulla. Un ciclo che l'essere umano primitivo osservava ogni primavera, quando dal ramo nudo apparivano i germogli e da essi le foglie e soprattutto i fiori, con i loro petali disposti a spirale, pensate alla rosa o al girasole. La spirale è anche raffigurazione del sole e di tutti i cicli solari diurni-notturni e stagionali che scandiscono il tempo e la vita stessa. In ultima analisi il principio fluido del serpente e il suo corrispettivo simbolo dell’Ouroboros ci

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riconducono alla simbologia atavica del cerchio (o dello zero) che meriterebbe una trattazione in separata sede. Possiamo dire che il mondo intero ed i pianeti sono un cerchio. Tutte le immagini circolari, secondo J. Campbell (1990) riflettono la psiche “per cui dev’ essere una relazione tra l’architettura di questi disegni e la struttura delle nostre funzioni spirituali”. Il cerchio rappresenta la totalità nel tempo e nello spazio. Ciò che sta dentro al cerchio è separato e allo stesso tempo connesso con tutte le cose. E se tutto fosse rappresentato circolarmente? L'alba della cultura umana inizia, secondo Joseph Campbell, circa 15.000 anni fa con il mito evolutivo dell'albero e del serpente. L’essenza del mito, differenziato in infinite varianti, è che l'essere umano può diventare un fiore del giardino di Dio, che ogni essere umano, se ristabilisce l'armonia interiore degli elementi esterni (maschile e femminile, terra e cielo), se utilizza in modo evolutivo le forze primordiali dell'energia sessuale-creativa, simboleggiata dal serpente, può sviluppare i suoi frutti potenziali, reintegrarsi e godere dell'unità, della re-ligio con il divino. In ogni cultura antica troviamo varie rappresen- tazioni di questo mito, un punto chiave nella visione olistica della realtà umana e del suo potenziale evolutivo; i simboli che vi ricorrono sono gli elementi essenziali che i primi esseri umani hanno concepito per spiegarsi le leggi e il funzionamento della misteriosa esistenza, in cui, a differenza degli animali, erano diventati consapevoli di esistere. Questo mito rivela innanzitutto una profonda venerazione per l’intera esistenza,

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proprio come se ogni elemento del misterioso gioco della vita fosse intrinseca- mente sacro. Gli archetipi in esso presenti sono l’albero, il serpente, la dualità polare maschile-femminile, sole-luna e l’unità di tutti questi elementi: il Dharma o legge armonica dell’esistenza. Il primo archetipo è l’albero: mediatore tra Cielo e Terra, che ha la capacità di produrre frutti ed ha un'intrinseca analogia con l’essere umano. L’albero, con i suoi frutti, è il primo e più elementare dono che la natura offre all’essere umano per il suo sostentamento. La pianta viene venerata perché in essa si manifesta la divinità benevola e il simbolo stesso dell’albero diventa, poi, un archetipo della struttura umana e cosmica: le gambe a contatto con la terra, le braccia e gli occhi al cielo ed il cuore aperto sulla bellezza e i doveri umani. “Ma se i frutti di un semplice albero possono dare la vita agli esseri umani, quali potranno mai essere i frutti dell’albero-uomo? Come può un piccolo insignificante essere umano, perso nell'immensità della natura, esprimere del tutto la sua potenzialità e unirsi all’armonia dell’esistenza? Qui entrano in gioco la saggezza e l’energia creatrice e ispiratrice, simboleggiate dal serpente”. Il serpente - archetipo di onda e flusso spirale dell'energia intelligente e creatrice - sale lungo l’albero e la sua innata saggezza rende divina la pianta. La saggezza profonda dell’energia vitale, rappresentata dal serpente, permette a colui che cerca il divino di trasformarsi interiormente, unificando e integrando le forze maschili e femminili e le altre dicotomie, portando così a maturazione le proprie potenzialità, i propri frutti spirituali: la

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conoscenza del bene e del male e la consapevolezza dell’eternità della vita. Il serpente, che invecchiando cambia la vecchia pelle ritrovando brillantezza e vitalità, è anche il simbolo del potere di trasformazione e rigenerazione dell'energia vitale, elemento chiave dell'intero processo di evoluzione interiore. La pianta, espressione primaria della grande Dea della Terra, e il serpente, espressione maschile e fallica del Dio Creatore, si uniscono simbolicamente, generano e producono frutti sacri. L’unione interiore nell’essere umano delle sue forze polari maschili e femminili porta alla fioritura delle sue potenzialità spirituali, espande la sua coscienza, lo rende partecipe di un "Tutto" più vasto e sacro. Non a caso in molte scene ritratte da pittori alchemici si vede in primo piano un albero con frutti al quale poggia una scala i cui gradini sono numeri simbolici. Rappresenta la possibilità di sublimazione (uccelli sopra l’albero) e quindi superamento delle dicotomie.2 Quando mi accingevo a scrivere questo libro , ho collegato albero e serpente, in modo del tutto naturale e spontaneo. È solo dopo e con 2

L’uomo che salendo l’albero supera le dicotomie terrene è un’immagine ricorrente in molti autori come Hieronymus Bosch (“Il figliol Prodigo”, “Trittico dell’Epifania”) pittore vissuto intorno al 1450, che ancora non ci è stato restituito in tutto il suo grande spessore dall’interpretazione perniciosa di taluni “critici”; S. Trismosin ( “Arbor Philosophorum”); Dǜrer , J. Jamsthaler che ha come soggetto l’albero Sefirotico e altri pittori del Rinascimento. Tra i contemporanei citiamo Victor Brauner (“La pietra filosofale”, del 1940).

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mio grande stupore che effettivamente i due elementi si esplicano insieme, che si ritrovano nei vari miti, ed implicano un caleidoscopio di collegamenti e concetti, sono dunque un ottimo esempio di unità. Anche il mio intuito aveva pescato in quell’immenso archivio fluido di immagini e miti che riaffiora nell’inconscio collettivo, nei sogni, in certe esperienze mistiche e di estasi. “Il simbolo è vivo e in continua espansione” [J. C. Cooper, 1987]. Dietro a tali concetti, più o meno aneddotici e metaforici si celano misteri che ancora la scienza non ha penetrato del tutto, non ha avuto l’ultima parola in merito, come si suol dire. Come afferma Joseph Campbell “si dice che la mitologia sia la penultima verità, la penultima perché l’ultima non può essere tradotta in parole..”. Più avanti torneremo a parlare del simbolismo del serpente, come vedremo esso è un tema ricorrente che ha origini lontanissime nel tempo e acquista significati diversi in associazione con altri simboli.

- Ebbene, dopo questa disamina di simboli e miti non mi resta altro da dire se non far parlare direttamente le immagini visto che, come abbiamo detto, un’immagine vale mille parole, di seguito propongo la visione di alcune di esse, di modo che la loro forza creatrice possa accendere barlumi di saggezza e coesione -

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Bibbliografia

“Chissà perché nessuno cita mai nella propria bibliografia l’inconscio collettivo o semplicemente le idee/pensieri che ci attraversano”…

Bohm David, 1980, Wholeness and the Implicate Order. N.Y. Buchanan M., 2003, Nexus: Perché la natura, la società,l’economia, la comunicazione, funzionano allo stesso modo; Mondadori, Milano. Bussagli M., Bosch, Giunti, Art Dossier. Calvesi M., 2004, Arte e Alchimia, Giunti, Art Dossier. Campbell J., 1988, Il potere del Mito, Intervista di Bill Moyers, Le fenici Tascabili, Ugo Guanda Ed., Parma. Cooper J. C., 1987, Enciclopedia illustrata dei simboli, Franco Muzzio Ed., Milano. De Luca A., 2003, La Psicologia Transpersonale: una concezione ampliata; Xenia, Milano. Jung C. G., 1997, Tipi Psicologici, G. Berrettoni, a cura di, Libritalia, Città di Castello (PG).( La psicologia di C.G. Jung» edizione Boringhieri) 56

Hedsel Mark, 1999, L’iniziato: un viaggio alla ricerca della verità nascosta negli antichi misteri; Oscar Mondadori, Milano. Hopke R. H., 2004, Nulla succede per caso: Le coincidenze che cambiano la nostra vita; Oscar Mondadori, Cles (TN). Tosonotti P. A., 1999, La Numerologia, Milano.

Xenia,

Talbot M., 1997, Tutto è uno: ipotesi della scienza olografica; Urra, Ed. Feltrinelli, Milano.3

Pagine web consultate

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Ho volutamente inserito nella bibliografia solo i libri che ho letto dai quali ho tratto spunto per questo lavoro. Per citare tutti i libri e gli autori che affrontano tematiche del genere ci voleva proprio un intero altro libro…

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http://www.globalvillage.it.com/enciclopedia/spi/s pi02.htm. (IMITIUNIVERSALI
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