3- Le Fasce _ Paoletti
April 23, 2017 | Author: gabriurso | Category: N/A
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osteopatia-anatomia e trattamento delle fasce...
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LE FASCE Ruolo dei tessuti nella meccanica umana di Serge Paoletti
Edizioni Sully
1
EMBRIOLOGIA Stiamo per fare un richiamo embriologico considerando l’uovo a partire dalla seconda settimana, che corrisponde alla formazione dei foglietti, fino alla ottava settimana, che corrisponde alla fine della formazione dell’embrione. Le tappe che seguono costituiscono la formazione del feto.
FORMAZIONE DEL DISCO EMBRIONARIO DIDERMICO Nel corso della seconda settimana il blastocita, formato nella prima settimana, s’impianta solidamente nella membrana o trofoblasta. Trofoblasta e bottone embrionario proseguiranno ciascuno il proprio sviluppo. Il trofoblasta si defferenzierà in: -
sinciziotrofoblasta
-
citotrofoblasta.
Le cellule del bottone embrionario formeranno due strati: -
l’ectoblasta
-
l’endoblasta, che forma il disco embrionario didermico
Inizialmente le cellule ectoblasiche sono in connessione con il citotrofoblasta, ma, in seguito appaiono delle piccole fessure intercellullari fra i due strati. Queste fessure divengono presto confluenti e danno vita alla cavità amniotica. Si stabilisce una giunzione tra l’amnioblasta e le cellule
dell’ectoblasta, che
prende il nome di giunzione amnio-ectoblastica. Il trofoblasta in seguito si sviluppa considerevolmente , particolarmente
al
polo
embrionario, dove si vedono apparire
dei
vacuoli
intracitoplasmatici, daranno lacunari. tempo,
vita
agli
Durante al
polo
che spazi questo anti-
embrionario, alcune cellule appiattite si slaminano sulla superficie
interna
del 2
citotrofoblasta e formano la membrana di Heuser che si continua col bordo dell’endoblasta e forma con questo il sacco vitellino primitivo o cavità exocelomica. All’undicesimo-dodicesimo giorno di sviluppo, il blastocita determina una leggera sopraelevazione della faccia interna dell’utero. Simultaneamente le cellule sinciziali penetrano più profondamente nello stroma, secernendo una sostanza vasodilatatrice che dilata i capillari materni, che prendono il nome di capillari sinusoidi (fig 1). Il sincizio lacunare si trova allora in continuità con le cellule endoteliali dei vasi e il sangue materno penetra nel sistema lacunare; finalmente verrà ad aprirsi nello spazio lacunare dei capillari arteriosi e venosi. Sotto l’effetto della differenza di pressione tra capillari arteriosi e venosi, si stabilisce una circolazione di sangue materno nel sistema lacunare trofoblastico: è la circolazione uteroplacentare. Nella faccia interna del citotrofoblasta le cellule continuano a slaminarsi per formare il mesenchima extra-embrionale. Presto in questo tessuto appariranno delle grandi cavità, che formeranno una nuova cavità, il celoma extra-embrionale che circonderà il sacco vitellino primitivo e la cavità amniotica eccetto che a livello della sua connessione con il trofoblasta. Il mesenchima extraembrionale
che
tappezza
il
citotrofoblasta e l’amnio è chiamato: somatopleura
extra-embrionale;
quello che tappezza il sacco vitellino: splancnopleura Verso
il
extra-embronale.
tredicesimo
giorno
il
foglietto ectoblastico embrionale, che comincia a formare uno strato di cellule epiteliali sulla faccia interna della membrana di Heuser, continua a proliferare e dà una nuova cavità: sacco
vitellino
secondario
o
lecitocele. Questa è molto più piccola della cavità exocelomica; importanti frammenti di quest’ultima sono eliminati, tuttavia persistono nel celoma esterno delle cisti axocelomiche (fig 2). Verso la fine della seconda settimana il disco embrionale è rappresentato da due dischi uniti: - il foglietto ectoblastico che forma il pavimento della cavità amniotica - il foglietto endoblastico che forma il tetto del lecitocele.
3
FORMAZIONE
DEL
DISCO
EMBRIONARIO TRIDERMICO È lo stadio gastrula. La
terza
settimana
di
sviluppo
è
caratterizzata dalla formazione della linea primitiva sulla superficie dell’ectoblasta che guarda verso la cavità amniotica (fig 3). L’estremità craniale di questa linea è chiamata nodo di Hansen e si presenta come una depressione leggermente sopraelevata. Le cellule dello strato ectoblastico si spostano sulla superficie del disco in dirazione della linea primitiva; in quel punto queste si invaginano nel solco e poi migrano nuovamente in direzione laterale tra ectoblasta ed endoblasta, per formare il mesoblasta. Le cellule che si invaginano nella regione del nodo di Hansen migrano in direzione craniale fino alla lamina procordale e formano una invaginazione a dita di guanto a partire dal nodo di Hansen: il canale cordale. Quest’ultimo si ferma alla regione procordale a causa di legami molto stetti tra ectoblasta ed endoblasta (fig 4). Verso il diciasettesimo giorno il cordomesoblasta separa interamente l’ectoblasta dall’endoblasta eccetto a livello della membrana cloacale e della placca procordale, il canale cordale si chiude e forma un cordone denso, la notocorda definitiva. La linea primitiva regredirà verso la quarta settimana (fig 5). Attorno
al
ventesimo
giorno
l’embrione
è
attaccato
al
trofoblasta
solo
tramite il peduncolo embrionale,
futuro
cordone ombelicale.
4
DIFFERENZIAZIONE DEI FOGLIETTI E DELIMITAZIONE Dalla quarta all’ottava settimana ciascuno dei tre foglietti formerà un certo numero di tessuti specifici e di organi (fig 6). Durante questo periodo la forma dell’embrione
cambia
notevolmente arrivando a forme riconoscibili verso la fine del secondo mese. A-I derivati del mesoblasta Verso il ventesimo giorno le cellule del mesoblasta accanto alla linea mediana proliferano per formare il mesoblasta para-assiale. Lateralmente il mesoblasta resta più spesso e forma la lamina laterale, che in seguito si sfalda in due strati: -
la somatopleura intraembrionale, che andrà a ricoprire l’amnios
-
la splancnopleura intraembrionale, che ricoprirà il sacco vitellino (fig 7).
Questi due strati delimiteranno il celoma interno. Il tessuto che unisce il mesoblasta para-assiale e la lamina laterale è chiamato mesoblasta intermedio. 1) Mesoblasta para-assiale Alla
fine
della
terza settimana il mesoblasta
para-
assiale si divide per
formare
i
somiti; questi si sviluppano direzione
in cranio-
caudale fino ad un numero di 42-44 paia.
5
All’inizio della quarta settimana i somiti migrano in direzione della corda dorsale e costituiscono lo sclerotoma, formato da tessuto connettivo giovane che possiede un alto potere di differenziarsi, potendosi trasformare in: -
fibroblasto, che forma le fibre reticolari, di collagene ed elastiche
-
condroblasto, che darà la cartilagine
-
osteoblasto, che darà lo scheletro osseo.
La parete del somite, dopo la migrazione dello sclerotoma, costituisce il dermomiotoma, dalla sua faccia interna si staccherà il miotoma che fornirà gli elementi muscolari del segmento metamerico corrispondente. Dopo la formazione del miotoma, le cellule rimanenti si disperdono sotto l’ectoblasto sottostante che le ricoprirà per formare il derma e il tessuto sottocutaneo. 2)
Mesoblasta intermedio (fig 8)
-
Nella regione cervicale e toracica superiore originerà i futuri nefrotomi.
-
Nella
regione
caudale
creerà il cordone nefrogeno, futuro
rene,
completato
che dal
sarà
sistema
secretorio 3) Le lamine laterali Abbiamo già visto che si differenziano in: somatopleura e splancnopleura e che tappezzano il celoma intraembrionale. Al momento dell’avvolgimento dell’embrione: -
la somatopleura forma, con l’ectoblasta che la ricopre, la parete laterale e ventrale dell’embrione
6
-
la splancnopeura si avvolge attorno all’endoblasta per formare la parete del tubo digerente (fig 9). A metà
-
della terza
settimana le cellule mesoblastiche, situate su ciascun lato della fila mediana e di fronte alla placca procordale, formeranno l’abbozzo del cuore e dei vasi; per gemmazione i vasi extraembrionali entreranno in connessione con i vasi intra-embrionali facendo comunicare la circolazione embrionale e placentare (fig 10). Il mesoblasta da dunque vita a differenti formazioni: -
tessuto connettivo, cartilagine, ossa, muscoli striati e lisci
-
pericardio, pleura e peritoneo
-
cellule sanguigne e linfatiche, pareti del cuore, dei vasi sanguigni e linfatici
-
rene, gonadi e i loro apparati escretori
-
le corticosurrenali e le midollo surrenali
-
milza
il tessuto connettivo che ci interessa in
primo
luogo
è
dunque
il
mesoderma e più in particolare il mesenchima. Le
cellule
mesenchimali
si
moltiplicano e migrano in tutto l’embrione riempendo gli spazi vuoti e insinuandosi tra le cellule degli organi. Dalle cellule mesenchimatose di questa rete primitiva derivano 7
direttamente o indirettamente tutti i costituenti del tessuto connettivo. Le cellule mesenchimatose rappresentano i precursori della maggior parte di tipi di cellule contenute nel tessuto connettivo adulto. Alcune cellule non si differenziano e persistono sotto la loro forma primitiva; queste sono le cellule indifferenziate, che giocano un ruolo preponderante nella crescita, riparazione e in certi meccanismi di difesa del corpo. Le cellule indifferenziate conservano la loro potenzialità embrionale nel moltiplicarsi e trasformarsi in nuove file di cellule specializzate. Il mesoblasta, come abbiamo visto, è avvolto da due foglietti, uno esterno, l’ectoblasta di cui una parte lo ricopre durante lo sviluppo embrilogico; l’altro interno, l’endoblasta, che lui stesso sosterrà.
B-I derivati dell’ectoblasta (fig 11) All’inizio
della
terza
settimana,
nello
stesso
momento in cui si forma la notocorda, il disco ectoblastico da vita al sistema nervoso centrale, che si allarga verso la linea primitiva formando la placca neurale. I bordi laterali di questa placca in seguito si solleverranno e formerranno le creste neurali, mentre la depressione mediana formerà il solco neurale. Le creste neurali si avvicinerranno l’una all’altra e si fonderanno per formare il tubo neurale.
Il sistema nervoso comprende allora una porzione
cilindrica stretta, il cordone midollare, e una porzione cefalica più larga, le vescicole cerebrali, che alla fine della quarta settimana da vita alle vescicole otica e ottica. Quindi durante lo sviluppo dell’embrione l’ectoblasta si scinde in due parti: -
una parte sarà ricoperta dal mesoblasto e forma il sistema nervoso che invierà delle espansioni durante lo sviluppo nel mesoblasto e attraverso di questo nell’endoblasto.
-
una parte ricoprirà il mesoblasta e formerà l’epidermide.
L’ectoblasta da dunque vita alle seguenti strutture: -
sistema nervoso centrale e periferico
-
epitelio sensoriale degli organi di senso 8
-
epiderma e suoi annessi (peli, unghie e ghiandole cutanee)
-
ipofisi
-
smalto dei denti
C-I derivati dell’endoblasta Dalla crescita del S.N.C. e dei somiti, l’embrione subisca una piegatura longitudinale ingloberà
una
e
trasversale, parte
del
che sacco
vitellino nella cavità così formata. Questa
incorporazione
vitellina
formerà l’abbozzo del tubo digerente (fig 12). L’endoblasta formerà l’intestino anteriore, medio e posteriore. -
l’intestino anteriore sarà provvisoriamente chiuso dalla membrana faringea
-
l’intestino posteriore sarà chiuso dalla membrana cloacale, che in seguito si dividerà in membrana urogenitale e anale (fig 13). In questo periodo, a causa della piegatura laterale, la delimitazione dell’embrione avverrà
con
formazione
la della
parete addominale, che contiene una formazione tubulare: l’intestino primitivo. seguito
In con
formazione
la della
piega caudale alla fine della quarta settimana, la vescicola ombellicale e il peduncolo embrionale si fondono per formare il cordone ombelicale. L’endoblasta dà dunque vita alle strutture seguenti: -
il rivestimento epiteliale del tubo digestivo, della vescica e dell’uretra
-
l’epitelio di rivestimento dell’apparato respiratorio
-
l’epitelio di rivestimento della cassa del timpano e della tromba di Eustachio 9
-
il parenchima dell’amigdala, della tiroide, della paratiroide e del timo
-
l’esofago, lo stomaco, il fegato, la cistifelia e le vie biliari, il pancreas e l’intestino
-
l’apparato tracho-bronchiale
-
la membrana faringea, la cloaca, l’allantoide
-
le tasche entobranchiali
Dalla quinta all’ottava settimana tutte queste formazioni prolifereranno con l’apparizione dell’abbozzo delle membra, la formazione degli organi e della testa. È il periodo dell’organizzazione, il feto è formato, la tappa ulteriore sarà incentrata soprattutto sulla crescita.
RIASSUNTO DELLO SVILUPPO EMBRIONALE 1. prima settimana : segmentaione dell’ovulo, formazione del blastocito 2. seconda settimana : trasformazione del blastocito in disco embrionale di dermico con due foglietti: l’endoblasto e l’ectoblasto 3. terza settimana : trasformazione del disco in disco embrionale tridermico: endoblasta, mesoblasta, ectoblasta 4. quarta settimana : delimitazione dell’embrione, apparizione delle gemme degli arti, abbozzo di numerosi organi, apparizione della circolazione feto – placentare 5. secondo mese : apparizione di numerosi organi, modellatura esterna del corpo, il volume della testa aumenta con l’arrivo degli occhi, delle orecchie e del naso; apparizione degli arti. 6. dal terzo al sesto mese : tutti gli abbozzi degli organi sono a posto e gli organi subiscono un fenomeno di crescita, di differenziazione, di maturazione. 7. alla fine del sesto mese il feto è diventato vitale.
DERIVAZIONE DEI FOGLIETTI -
Mesoblasto: tessuto connettivo, cartilagine, ossa, muscoli striati e lisci - pericardio, pleura e peritoneo.- cellule sanguigne e linfatiche,- pareti del cuore, dei vasi sanguigni e linfatici.- rene, gonadi e i loro apparati escretori.- le corticosurrenali e le midollo surrenali-, milza – le tuniche 10
muscolari e connettive del sistema digerente – il rivestimento epiteliale del tubo digerente, della vescica dell’uretra -
Endoblasto: il rivestimento epiteliale del tubo digestivo, della vescica e dell’uretra, - l’epitelio di rivestimento dell’apparato respiratorio, della cassa del timpano e della tromba di Eustachio il parenchima dell’amigdala, della tiroide, della paratiroide e del timo - l’esofago, lo stomaco, il fegato, la cistifelia e le vie biliari, il pancreas e l’intestino - l’apparato tracho-bronchiale l’allantoide e il foglietto interno delle membrane cloacale e faringea
-
Ectoblasto : sistema nervoso centrale e periferico - epitelio sensoriale degli organi di senso epidermide e suoi annessi (peli, unghie e ghiandole cutanee) – la ghiandola mammaria – ipofisi - smalto dei denti
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Appena fecondato l’ovulo è animato da un movimento continuo, ininterrotto, allo scopo di riuscire a costituire un essere straordinario. Formato all’inizio da tre foglietti sovrapposti, l’embrione crescerà e si svilupperà in maniera continua.Ogni foglietto
si
unisce,
si
associa,
si
interpenetra con il foglietto adiacente per crescere e sviluppare le diverse parti del corpo umano. A partire da uno stesso tessuto di base
le cellule costituenti si
differenziano per creare un muscolo, il fegato, l’osso, una fascia la pelle etc…e questo in maniera quasi perfetta poiché gli errori sono, tutto sommato, piuttosto rari. All’inizio l’embrione i avvolge su se stesso, in senso verticale con l’apparizione della curva cefalica,
laterale con la costituzione delle pareti e cavità. All’interno si
sistemeranno i vari organi ed appariranno le bozze degli arti inferiori e superiori. Alla fine del secondo mese il feto è costituito. Le tappe seguenti sono rivolte alla crescita e alla maturazione, il tutto con un ritmo, una pulsazione che si è formata al momento della fecondazione e cesserà con la morte. È questo ritmo che farà crescere, muovere, stimolare le funzioni fisiologiche del corpo umano, è il ritmo che proviene dalla memoria embriologica e che ritroveremo nel cranio, nelle fasce, negli organi, che permetterà al corpo (ambiente interno stabile) di adattarsi ad un ambiente esterno dalle condizioni fluttuanti al fine di mantenere l’equilibrio e la salute.
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Lo stato di questo ritmo ci permetterà, attraverso le nostre mani, di diagnosticare l’equilibrio o lo squilibrio di tutto o di alcune parti del corpo. MECCANISMO DI SVILUPPO EMBRIONALE Come può un uovo dare un essere umano? Come si manifesta la complessità durante lo sviluppo? Lo sviluppo embrionale è la sede dei fenomeni isto e biochimici oltre che dei fenomeni biocinetici e biodinamici che orientano e modellano la crescita cellulare. A) I FENOMENI ISTO E BIOCHIMICI Le cellule riconoscono la loro posizione nell’embrione dalla concentrazione dei morfogeni. Gli studi fatti sulla drosofilia hanno permesso di riconoscere questi morfogeni. Esistono nella drosofilia una trentina di morfogeni che definiscono il patrimonio dell’embrione. Solo tre di questi codificano dei segnali molecolari che determinano la struttura lungo l’asse antero-posteriore. Ciascuna di queste proteine di segnalazione appare in un sito specifico e dà inizio alla creazione di un tipo particolare di gradiente morfogenetico. Un segnale comanda la metà anteriore che darà la testa e il torace; un secondo segnale, all’addome; un terzo alle strutture situate alle due estremità della larva. Un gradiente di concentrazione in proteine Bicoid si stabilisce dai primi stadi; la sua concentrazione massima si situa all’estremità anteriore. Una certa soglia critica di concentrazione è necessaria perché essa divenga attiva. È capace di dare inizio alla produzione di un mRNA a partire dal DNA, quindi alla sintesi della proteina codificata dal gene a partire dal mRNA. Un gradiente di concentrazione agisce su due o tre geni determinando due o tre zone di attivazione. L’mRNA Bicoid contiene tutte le informazioni necessarie ad una cellula per riconoscerlo, trasportarlo e fissarlo; inoltre si sposta sempre nella stessa direzione lungo elementi strutturali chiamati microtubuli. La proteina Nanos determina la parte posteriore. I gradienti di concentrazione Bicoid e Nanos si stabilizzano solo in assenza di membrane cellulari, che ne bloccano la diffusione. Nel frattempo, nella maggior parte degli animali, le membrane cellulari separano, già dai primi stadi, le differenti parti dell’uovo. L’asse dorso-ventrale dell’embrionedella drosofila è definito attraverso un gradiente unico che si stabilisce anche in presenza di membrane cellulari. Questo gradiente deve rassomigliare a quello che esiste negli altri organismi. La proteina Dorsale determina le prime strutture embrionali lungo l’asse dorso-vertebrale. Questa proteina è sia un attivatore sia un inibitore della trascrizione nel nucleo cellulare. Attivatore dei due geni quando la sua concentrazione supera una data soglia e inibitore di due altri geni quando la sua 13
concentrazione è inferiore a quella soglia. Infine quando la concentrazione della proteina dorsale nei diversi nuclei definisce un gradiente, ognuna delle due paia di geni si esprime da un lato o dall’altro dell’embrione. La proteina Dorsale è omogenea nell’embrione mentre la sua ripartizione intracellulare varia lungo l’asse dorso-ventrale. Una proteina chiamata Cactus si lega alla proteina Dorsale per impedirgli di penetrare nel nucleo. Tuttavia sulla faccia ventrale dell’embrione più di una decina di altre proteine cooperano per staccare la proteina Dorsale dalla proteina Cactus. Le proteine sono attivate da un segnale. Collegamenti molecolari, assicurati da diverse proteine, trasmettono l'informazione che concerne i gradienti, da un compartimento all’altro. Alla fine l’importazione progressiva nei nuclei di una proteina a ripartizione uniforme alla partenza, attiva il nucleo attraverso un gradiente di concentrazione. Tutte le catene di attivazione studiate a questo giorno portano alla formazione di un gradiente di morfogeni che si comporta come un fattore di trascrizione; secondo la sua concentrazione questo gradiente attiva o inibisce la trascrizione di uno o più geni bersaglio. Una cooperazione tra più molecole diverse o tra più coppie di una stessa molecola potrebbe dare inizio alla trascrizione. Alcuni gradienti morfogenetici hanno un solo effetto quando la concentrazione in un morfogene è superiore alla soglia critica. Un gene bersaglio o è attivo o non lo è. In altri casi le reazioni differiscono a seconda delle concentrazioni in morfogeni; questo tipo di gradiente è indispensabile all’aumentare della complessità negli organismi in movimento. Le interazioni delle molecole che agiscono sulla trascrizione possono modificare notevolmente le reazioni ai gradienti, contribuendo alla formazione di strutture complesse a partire da un sistema iniziale molto semplice. La sovrapposizione di più gradienti in una regione dell’embrione permette di suddividere questa maggiormente e di accedere ad una complessità supplementare. La regolazione combinatoria e i gradienti di concentrazione permettono di organizzare le funzioni, codificate dai geni, in un vasto repertorio di meccanismi di sviluppo. Nella drosofilia i gradienti provocano l’espressione di geni in bande trasversali nella regione dell’uovo che diventerà la regione segmentata della larva. Questa struttura comanda in seguito la formazione di bande ancora più fini che determinano direttamente le caratteristiche di ogni segmento dell’embrione. Quando l’embrione si divide in cellule i fattori di trascrizione non si possono più diffondere. Le tappe ulteriori nel corso delle quali il patrimonio embrionale si stabilisce mettono in gioco dei segnali trasmessi tra cellule vicine.
14
Gli embriologisti hanno scoperto che questi risultati non si applicano unicamente alla drosofilia ma all’insieme del regno animale e permettoneranno un giorno di comprendere meglio lo sviluppo dell’embrione umano. B) I FENOMENI BIOCINETICI E BIODINAMICI Lo sviluppo cinetico dell’embrione è stato studiato da Bleschschmidt che ha definito i campi metabolici. Questi sono otto e comprendono: 1) Campi di corrosione (corrosion fields) Un campo di corrosione si stabilisce quando due strati di cellule epiteliali sono unite le une alle altre per formare una membrana a due foglietti. Le cellule in contatto si necrotizzano e scompaiono, permettendo la comunicazione tra i fluidi o con i tessuti che giacciono sotto. Questi campi si stabiliscono dalla seconda settimana tra i tubuli mesonefrici e il canale nefrotico nello sviluppo dei vasi. Le due aorte dorsali entrano in contatto e la loro membrana mediale degenera per formare un solo vaso. Esistono altri esempi di campi di corrosione, per esempio a livello delle membrane oronasali, oro-faringee, cloacalli, tubuli seminiferi… 2) Campi di densificazione (densation fields) I campi di densificazione appaiono nel sistema scheletrico. Tale campo è composto da cellule arrotondate circondate da una piccola quantità di sostanza intercellulare. È questa quantità di liquido che differenzia i campi densi dai campi lassi. Le cartilagini nascono dal blastema, ma solo una parte di questo diventa cartilagine; anche i legamenti e le capsule nascono dal blastema. Lo sviluppo organico normale inizia all’esterno della cellula. I campi di densificazione sono caratterizzati dalla loro posizione oltre che da quella delle loro cellule e del loro nucleo. Prendendo come esempio lo sviluppo della trachea: l’epitelio dorsale è più spesso di quello ventrale; le cellule vicine all’epitelio sono allungate e allineate tangenzialmente; esse daranno vita ai muscoli tracheali e alla membrana fibrosa. Dal lato ventrale lo stroma assomiglia ad un campo di densificazione con un aggregazione di numerose cellule arrotondate dove è limitata la sostanza intercellulare. L’epiteliio dorsale cresce più rapidamente di quello ventrale e ciò comporta un allungamento tangenziale.
delle A
cellule
livelo
ed
ventrale
un si
allineamento produce
una
compressione e le cellule divengono sferiche. Queste cellule proliferano, si condensano e diventano di cartilagine (fig 15).
15
Il principio biocinetico dei campi di densificazione è valido anche per le altre formazioni: le coste, sotto la spinta della massa cardiaca ed epatica, il setto nasale…. La differenziazione in un campo di condensazione procede da un fenomeno biomeccanico che richiede un processo biodinamico. Le cellule di questi campi non hanno un orientamento particolare e ciò vuol dire che sono in uno stato di tensione equivalente in tutte le direzioni e di conseguenza, diventano sferiche. 3) Campi di contusione (contusion fields) In un campo di densificazione le cellule sferiche si appiattiscono e si trasformano in cellule cartilaginee. Questo processo, che appare su un piano circolare, lungo un asse di densificazione logitudinale, si sviluppa dal centro verso la periferia ed è chiamato campo di contusione. I campi di contusione sono sempre circondati dal pericondrio che si unisce con il mesenchima lasso periferico. Un campo di densificazione è una zona di condensazione di cellule arrotondate, un campo di contusione è una zona di compressione dove le cellule diventano piatte. Lo schema di contusione si applica soprattutto allo sviluppo scheletrico. Gli abbozzi di membra sono circondati da una membrana, all’interno della quale le cellule si moltiplicano in tutte le direzioni, creando delle tensioni equivalenti in tutti i punti e respingendo il liquido intercellulare alla periferia; si creno così la condizione per un campo di contusione. I campi di contusione si sviluppano dunque all’interno di un campo di densificazione,quando si crea una resistenza, secondo l’asse longitudinale, in seguito alla crescita delle cellule sferiche. Questa resistenza alla crescita genera una compressione che a sua volta è all’origine dell’appiattimento delle cellule (e le trasforma in cellule cartilaginee). 4) Campi di compressione (distusion fields) Anche questi campi si applicano al sistema scheletrico. Sulle membra di un embrione di due mesi la vecchia cartilagine è localizzata nella porzione prossimale e la cartilagine più giovane in quella distale. In più le cellule cartilaginee appaiono in primo luogo nella parte centrale e quindi lontano dal mesenchima periferico vascolarizzato. Se prendiamo come esempio una falange sotto l’effetto della compressione, le cellule perdono la loro acqua e non sono più vascolarizzate né drenate. La forma delle cellule cambia e divengono sferiche. Crescono prima su un solo asse. Questo tipo di crescita è dovuta ad un fenomeno di tumefazione, che possiamo chiamare campo di compressione. La crescita-tumefazione è parallela all’asse longitudinale della precedente precartilagine. Una tale cartilagine cresce come sotto l’azione di un pistone. La compressione è talmente importante che l’acqua è eliminata, una capsula si forma attorno alle cellule e inizia la calcificazione.
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5) Campi di ritenzione (retension fields) Nei campi di ritenzione si ha un’aggregazione di cellule tessutali interne che all’inizio erano indifferenziate e che spingono più lentamente in una direzione determinata rispetto ai tessuti che le circondano. Subiscono dunque uno stiramento che le trasforma progressivamente in tessuto connettivo fibroso, che poi darà tendini, legamenti ed aponeurosi. Le tensioni create dai campi di ritensione fanno si che la parte periferica cresca più rapidamente creando così la morfologia umana. 6) Campi di stiramento (dilation fields) Questi campi si applicano allo sviluppo della muscolatura umana. Lo sviluppo del sistema muscolare è diverso da un distretto ad un altro, ma i principi sono gli stessi per tutti i muscoli. Così, l’abbozzo del muscolo cardiaco è meno compresso esteriormente dal liquido celomico che interiormente dal sangue, ne risulterà una maggiore stimolazione alla dilatazione. Questa dilatazione va progressivamente a determinare una risposta di contrazione. Il risultato di questa dilatazione-contrazione è che le cellule cardiache sono capaci di mobilizzarsi l’una in rapporto all’altra. Il cuore progressivamente si dilaterà e ciò aumenta la resistenza delle fibre muscolari circolari. Poi aumenterà il volume cardiaco, ma poiché il cuore è fissato alle sue due estremità, prenderà una forma globulosa. I campi di stiramento saranno all’origine dei muscoli. I somiti che fiancheggiano il dermatoma crescono rapidamente sia cranialmente che caudalmente, questo in accordo con la crescita dell’embrione. Di conseguenza le cellule, sotto il dermatoma, si allineano su un asse cranio-caudale parallelo all’asse del tubo neurale. Le cellule muscolari si assottigliano nei campi di stiramento e allo stesso tempo si sviluppano dentro di loro delle fibrille. All’inizio le striature trasversali sono mal definite. Dopo il primo mese una fila di nuclei diventa distinta e ne risulta l’accrescimento delle cellule muscolari. Dal momento in cui le cellule del dermatoma si allineano lungo la membrana dell’ectoderma, le cellule del miotoma si mettono perpendicolarmente al setto. I campi di stiramento sono generalmente presenti sia per lo sviluppo delle cellule muscolari stirate che per la costituzione dei tendini. Questi campi sono dunque caratterizzati non soltanto dall’accrescimento longitudinale delle cellule, ma anche da un accrescimento trasversale. L’abbozzo muscolare nelle zone ristrette non può dilatarsi trasversalmente. Subisce a tali livelli un fenomeno di compressione che porterà alla formazione di un tendine. In queste regioni la quantità di acqua della sostanza intercellulare è diminuita e di conseguenza la sostanza è più consolidata. Come tutti i tessuti compressi i tendini hanno delle funzioni restritive. Queste funzioni restrittive, con un leggero potere elastico, sono caratteristiche 17
dei tendini, aponeurosi e setti intermuscolari. I campi di stiramento della cartilagine embrionale sono essenziali per la crescita dei muscoli e dei tendini. La crescita della cartilagine va di pari passo con la crescita muscolare. Tutti i muscoli hanno delle funzioni passive prima di essere capaci di contrarsi attivamente. Più le cellule muscolari crescono rapidamente, più saranno riccamente innervate, più potranno contrarsi precocemente. I campi di distensione si applicano anche al tratto intestinale. 7) Campi lassi paraepiteliali (parathelial loasening fields) Sono creati dalla congestione della sostanza intercellulare nei tessuti interni dove si esprime il catabolismo cellulare. Quando il volume dei cataboliti aumenta, aumenta il volume della sostanza intercellulare e le vescicole si fondono. All’inizio dello sviluppo, questi campi lassi all’interno del mesoderma sono i precursori della formazione dei vasi. Un gruppo particolare, i campi lassi paraepiteliali, è caratteristico dello sviluppo delle ghiandole. 8) Campi di frizione (datraction fields) Si applicano al sistema osseo. Dal punto di vista topocinetico ci sono tre tipi di tessuto osseo -osso membranoso che si sviluppa a partire dal tessuto connettivo stirato -osso cartilagineo, che si sviluppa a partire dalla cartilgine -osso che si sviluppa dal tessuto osseo già formato tutti questi tipi hanno uno sviluppo cinetico caratteristico per il fatto che sono sempre accompagnati da una estensione, sotto tensione, della sostanza intercellulare. Il processo extracellulare è essenziale per l’inizio del processo di ossificazione. Le cellule mesenchimatose, che scivolano lungo un supporto così rigido, sono compresse contro questo supporto. Il liquido è espulso dalla sostanza che di conseguenza si indurisce. Le zone nelle quali l’aggregazione di cellule scivola con una compressione lungo un supporto duro, sono chiamate campi di frizione. Prendiamo cme esempio un osso frontale. L’abbozzo di dura madre è uno strato di tessuto connettivo sotto tensione che si divide in due lamine con la formazione di un centro di ossificazione sulla lamina esterna. La scissione è causata da una forte trazione del setto orbitale in direzione della parte bassa del viso. L’abbozzo del foglietto esterno produce la tensione. Il foglietto interno adatta la crescita espansiva dell’aracnoide. Il liquido intercellulare è eliinato e di conseguenza la sostanza si indurisce e si viene a creare un punto di condensazione per lo sviluppo dell’osso. Una volta indurita, la parte interna del tessuto nella zona di condensazione perde le sue possibilità di crescita. Il tessuto forma un mantello attorno al centro di condensazione e poi si estende tramite 18
prolliferazione cellulare. Con il tempo i centri di ossificazione progrediscono come linee divergenti che si irradiano dal punto di condensazione (campi di frizione).
ANATOMIA DELLE FASCE cap.2 LA FASCIA SUPERFICIALIS Si colloca tra il pannicolo adiposo del derma e il tessuto cellulare sotto cutaneo. La fascia superficialis vera e propria inizia dalle arcate zigomatiche, si congiunge al mascellare superiore, e termina alle caviglie e ai pugni. Non si trova: -
sul viso
-
nella parte superiore dello sterno -cleido - mastoideo
-
sulla nuca
-
sullo sterno
-
a livello dei glutei
Costituisce il punto di partenza dei vasi linfatici e gioca per questo un ruolo importante nella nutrizione e nella respirazione delle cellule. E' in caso di una sua lesione che si determina la gravità delle ustioni.
LE APONEUROSI ESTERNE A) L'APONEUROSI EPICRANICA Si tratta di una vasta lamina fibrosa che ricopre come una calotta la convessità del cranio. Separata dal periostio tramite un tessuto cellulare molle che gli consente un certo scorrimento, è invece legata intimamente alla pelle che la segue nei suoi movimenti. Nei senso ante-posteriore, l'aponeurosi epicranica riunisce i muscoli occipitali ai muscoli frontali. Posteriormente s'inserisce sulla protuberanza occipitale esterna e sulla linea curva superiore. Si prolunga lateralmente tra le aponeurosi temporali e del massetere, e finisce sulla cresta sopramastoidea, il condotto uditivo esterno e il tessuto sotto cutaneo della regione del massetere.
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L'APONEUROSI TEMPORALE (FIG. 16). Spessa e molto resistente, si estende partendo dalla linea curva temporale superiore e dallo spazio compreso tra le due linee curve fino all'arcata zigomatica, in due lamine che si attaccano alle labbra del bordo superiore dell'arcata zigomatica, e da lì si prolunga attraverso l'aponeurosi del massetere. L'APONEUROSI DEL MASSETERE. S'inserisce: -
posteriormente, sul bordo posteriore del ramo ascendente mascellare superiore.
-
anteriormente, circonda il muscolo e poi passa in profondità fino a fissarsi sul bordo anteriore del ramo ascendente.
-
in alto, si fissa sull'arcata zigomatica
-
in basso, sul bordo inferiore del mascellare dove si prolunga attraverso l'aponeurosi cervicale superficiale
-
dietro, lungo il bordo posteriore si unisce all'aponeurosi parotidea e poi sdoppiandosi circonda il canale di Stenon.
tabella 1
ARTICOLAZIONI DELL’ APONEUROSI EPICRANICA CONNESSIONI CON LA PELLE CONNESSIONI CON LA DURA MADRE
APENEUROSI EPICRANICA APENEUROSI TEMPORALE
APENEUROSI MASSETERICA 20
APENEUROSI CERVICALE SUPERFICIA LE
APONEUROSI
DELLA
FACCIA (FIG. 17). La faccia è così composta: -
da una fascia superficiale a sua volta formata da uno strato superficiale sottile e da uno strato profondo più resistente.
Questi due strati avvolgono i muscoli della mimica e li collegano alla fascia profonda. -
da una fascia profonda, più spessa, non elastica, separata dalla precedente per mezzo di un tessuto aureolare lasso.
La fascia profonda ricopre le ossa, la cartilagine, i muscoli della masticazione e le strutture viscerali. Come la fascia superficiale, si tratta di una guaina continua che si confonde e deriva dalle fasce temporali, della parotide e del massetere. La fascia profonda sostiene i vasi profondi e i nervi della masticazione. A) L'APONEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE. (fig 18) Quest'aponeurosi forma al collo una guaina completa, e aderisce: In alto: -
alla linea curva occipitale superiore
-
all'apofisi mastoidea
-
alla cartilagine del condotto uditivo esterno
-
all'aponeurosi del massetere e al bordo inferiore della mascella.
Essa è quindi il prolungamento dell'aponeurosi epicranica. In basso: -
sul bordo anteriore della forchetta dello sterno
-
sulla faccia anteriore del manubrio dello sterno
-
sulla faccia superiore della clavicola
-
sul bordo posteriore della spina della scapola.
Dalla sua faccia profonda si stacca, lungo il bordo anteriore del trapezio, un'espansione profonda fibrosa che si unisce all'aponeurosi dei muscoli scaleni.
21
Nella zona anteriore, dove è ricoperta dai muscoli pellicciai, si presenta sottile, mentre altrove è spessa. Si sdoppia per avvolgere i muscoli sterno-cleido-mastoidei e i trapezi. Passa davanti all'osso iodio al quale si congiunge. Lateralmente crea un'espansione che forma una guaina nella quale scorre e si riflette il muscolo digastrico. Nella zona sotto ioidea anteriore, superiore e mediana si confonde con l'aponeurosi cervicale media. Nella zona inferiore, le due aponeurosi si allontanano tra loro per andarsi a inserirsi una
sul
bordo
anteriore e l'altra su quello
posteriore
della
forchetta
sternale. Lo spazio dello sterno è così delimitato:
chiuso
esternamente dall'aderenza dell'aponeurosi media, al bordo anteriore della guaina dello sternocleido-mastoideo in avanti e dall'aponeurosi del trapezio dietro. Nella parte sotto-ioidea si sdoppia per formare l'aponeurosi della ghiandola sotto mascellare. Dietro, ricopre la ghiandola parotidea formando con l'aponeurosi del massetere la guaina di questa ghiandola. Lateralmente al bordo anteriore dello sterno-cleido-mastoideo si stacca una fascetta che s'inserisce sull'angolo della mascella superiore; questa sostiene e tiene tesa l'aponeurosi dello sterno-cleido-mastoideo, affinché questo resti ben fermo per proteggere il fascio vascolare e nervoso soggiacente: carotide, giugulare interna, pneumogastrico. Posteriormente, sulla linea mediana presenta una piega fibrosa che si estende dalla protuberanza occipitale esterna alla sesta vertebra cervicale, e talvolta fino alla prima dorsale: è il legamento cervicale posteriore che si fissa con la sua parte medina sulle apofisi spinose. Si tratta di una lamina molto resistente che riceve delle espansioni aponeurotiche da trapezio, splenio, romboide, piccoli dentati posteriori e superiori. Su certe persone, prende forma di una corda della misura di una matita che emerge con una salienza posteriore molto evidente quando si flette avanti la testa. L'aponeurosi cervicale superficiale si sdoppia numerose volte per avvolgere i muscoli della nuca. Superficialmente, l'aponeurosi è percorsa dalle due giugulari anteriori che vi scorrono in uno sdoppiamento prima di perforarla. Sulla sua superficie scorrono allo stesso modo i
22
rami superficiali del plesso cervicale: C2, C3, C4. Da notare che tutti i rami superficiali, così come la giugulare esterna, perforano l'aponeurosi al bordo posteriore dello sterno-cleido-mastoideo. L'aponeurosi cervicale superficiale si prolunga attraverso le aponeurosi del tronco e degli arti superiori ed inferiori.
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L'APONEUROSI DEL TRONCO. È il proseguimento
dell'aponeurosi cervicale
superficiale. Superiormente si fissa su: -
lo sterno
-
la clavicola
-
la spina della scapola.
Da qui si prolunga in due direzioni per formare le aponeurosi del tronco da un lato e quelle dell'arto superiore dall'altro, con numerosi sdoppiamenti che costituiscono i setti intermuscolari ed inguainano i diversi muscoli delle varie regioni, formando, pertanto: la guaina dei muscoli pettorali, del trapezio, del gran dorsale, della massa sacro-lombare; le aponeurosi dei muscoli profondi, cioè il quadrato lombare, gli intercostali esterni, i muscoli itrinseci della colonna vertebrale. A livello dell'addome avremo: le aponeurosi di piccolo obliquo, grande obliquo e trasverso, così come la guaina dei retti (fig.19). 1) LE APONEUROSI POSTERIORI. Distinguiamo un'aponeurosi sacro-ilio-costale individuata soprattutto nella parte mediana dove s'inserisce sull'apofisi della spina, e in quella inferiore dove costituisce l'aponeurosi lombare: strato molto resistente che s'immette sull'apofisi spinosa, sul sacro, sulla cresta iliaca e si prolunga in basso attraverso l'aponeurosi del gluteo e dei membri inferiori, e lateralmente tramite l'aponeurosi degli obliqui. Questa aponeurosi è rinforzata nell'area post-laterale dall'aponeurosi del gran dorsale, che s lega il bacino e all'arto superiore, poiché il suo punto finale superiore è la sua guaina bicipitale; essa causa al passaggio un'espansione che si attacca all'angolo inferiore della scapola. Nella sua zona superiore, l'aponeurosi ilio-costale è rinforzata dall'aponeurosi del trapezio che si fissa su di essa. L'aponeurosi lombare aderisce sulla linea mediana alle spinose soprattutto da L2 a S2. E' molto resistente e formata da un intersecarsi di fibre verticali, oblique e trasversali che generano un'area di grandi costrizioni. Il suo ispessimento si prolunga per formare i numerosi e forti legamenti del sacro così come i due legamenti sacroischiatici. 2) L'APONEUROSI ANTERIORE. Formata nella parte superiore da aponeurosi dei succlavi, del piccolo e grand pettorale. Nella parte mediana, sprovvista di muscoli, essa aderisce allo sterno.
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Queste aponeurosi si prolungano lateralmente tramite le aponeurosi del deltoide, del cavo delle ascelle, e tramite l'aponeurosi del gran dorsale, la cui
articolazione
continua
nelle
aponeurosi
posteriori, poi con quelle dell'arto. Nell'area inferiore mediana e laterale, la continuazione avverrà attraverso le aponeurosi degli obliqui e del trasverso e la guaina dei retti. Tutte le aponeurosi si articolano sulla linea mediana per costituire la linea alba che è un punto incrocio delle diverse fibre dei due emicorpi, ma questo contatto si forma in modo piuttosto lasso. La zona sotto-ombelicale è sempre meno lassa di quella soprastante, e questo spiega perché le ernie della linea alba si verificano soprattutto sopra. Questa deiscenza è utile in particolare nella gravidanza. Dal momento in cui l'utero gravido si alza verso la cavità addominale, la linea bianca si dilata per permettere una dilatazione dell'addome, evitando così che si verifichino tensioni troppo forti e compressioni degli organi addominali. Si assiste allo stesso fenomeno nelle persone che ingrassano; l'accumulo di grasso a livello dell'epiploon induce a una dilatazione delle fibre della linea alba. La linea alba presenta un punto d'inserzione superiore sull'appendice xifoide, in basso sulla sinfisi del pube dove si prolunga attraverso il legamento sospensorio della verga o della clitoride. Si noti come la zona anteriore e laterale dell'addome sia l'unica zona del corpo dove la struttura rigida è del tutto assente. Per questo, le aponeurosi addominali sdoppiandosi diventano sempre più profonde per giungere con l'aponeurosi del trasverso alla parete interna addominale e direttamente in contatto con la fascia trasversale e il peritoneo. Da notare ancora a livello dell'addome la presenza dell'anello inguinale interno e esterno che costituisce un punto fragile in cui possono convergere le anse intestinali e verificarsi possibili ernie. Nella donna, il canale è percorso dal legamento rotondo, nell'uomo dal cordone spermatico. E' attraverso quest'ultimo che il testicolo scende nello scroto provocando con il suo passaggio un'invaginazione: -
del peritoneo che costituirà la tunica vaginale
-
della fascia trasversale che costituirà la tunica fibrosa
-
delle fasce del piccolo obliquo e del trasversale, che costituiranno la tunica muscolare o cremastere.
Il gran dorsale e il trapezio sono i tensori dell'aponeurosi posteriore, il gran pettorale dell'anteriore. La guaina dei retti è interrotta nella sua parte posteriore a circa tre dita sotto l'ombelico, formando una linea semi circolare resistente, l'arcata di Douglas, facilmente palpabile in numerosi soggetti e da non confondersi con la radice del mesentere situata molto più in profondità. 25
Le aponeurosi degli addominali convergono nella parte inferiore dell'addome su una linea che va da una spina ante-superiore all'altra, e su tutta la larghezza della sinfisi del pube. L'intersecarsi di queste diverse fibre costituisce in parte l'arcata crurale che riceve da dietro le fibre dell'aponeurosi femorale, essa è dunque un punto di scambio e di continuità tra addome e arto inferiore. L'arcata crurale riceve anche delle espansioni dalla fascia iliaca e da quella trasversale, formando così un punto di articolazione tra la parete addominale e la superficie interna dell’addome. I punti più rinforzati delle aponeurosi addominali sopra al livello del pube formano i legamenti di Gimbernat, Colle e Hesselbach (fig. 21).
3) FASCIA ILIACA. Annessa all'aponeurosi superficiale, la fascia iliaca merita uno studio a parte. -
data la sua collocazione, infatti circonda lo psoas, che rappresenta con il lungo del collo uno dei due muscoli che si inseriscono nella zona anteriore delle vertebre e ha un tragitto intra-cavitario.
-
lo psoas e la sua fascia sono collegati con il rene e l'uretere, il colon ascendente e discendente.
Inoltre, la fascia iliaca contiene in un suo sdoppiamento il plesso lombare. La fascia iliaca, sdoppiamento dell’aponeurosi addominale, occupa trasversalmente tutta la larghezza della fossa iliaca interna e si estende dall'inserzione superiore dello psoas fino all'inserzione trocanterica di tale muscolo, dove si prolunga tramite l'aponeurosi femorale. Sottile nella sua zona superiore, s'ispessisce gradatamente scendendo nel bacino, che contiene il tendine del piccolo psoas quando questo esiste.
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La fascia iliaca s'inserisce: 1. All'interno -
sulle vertebre lombari formando a quel livello una sorta di ponte per il passaggio delle arterie e delle vene lombari
-
alla base del sacro
-
sullo stretto superiore del bacino. A questo livello forma sull'arteria e sulla vena iliaca esterna un foglietto che mantiene questi vasi sul bordo interno dello psoas.
2. All'esterno Andando dall'alto verso il basso, si inserisce -
sull'aponeurosi del quadrato dei lombi, lungo il bordo esterno dello psoas
-
sul legamento ilio-lombare
-
sul labbro interno della cresta iliaca.
3. In alto Presenta un ispessimento sotto forma di arco, l'arco dello psoas, sul quale si inserisce la parte corrispondente del diaframma (continuità fasciale). 4. In basso A livello dell'arcata crurale la fascia iliaca aderisce intimamente nlla sua metà esterna (legame e continuità con le aponeurosi addominali), sul lato interno, forma la bandelletta iliopectinea e poi continua fino all'inserzione trocanterica in cui si prolunga attraverso l'aponeurosi femorale. Risulta quindi che la fascia iliaca costituisca con la colonna lombare e la fossa iliaca interna una loggia osteofibrosa, perfettamente chiusa nella sua porzione addominale e che si apre dal lato della coscia al di sopra della metà esterna dell'arcata crurale. La fascia iliaca è essenzialmente costituita da fasce aponeurotiche posizionate in senso trasversale, cui si aggiungono alcuni fasci verticali. Uno strato cellulare la separa dal peritoneo. Essa avvolge lo psoas senza aderirvi. Uno strato di tessuto celluloso-sieroso fa da separatore, i nervi del plesso lombare sono intimamente legati a quest'aponeurosi.
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IN SINTESI LE APONEUROSI DEL TRONCO. Fanno seguito all'aponeurosi cervicale superficiale a livello della cintura scapolare. Terminano sulla circonferenza superiore del bacino dove si prolungano attraverso le aponeurosi dell'arto inferiore Hanno inserzioni mediane, anteriori e posteriori: -
sterno
-
apofisi spinose
Si sdoppiano a più riprese per avvolgere i diversi muscoli del torace e addominali. Nella parte superiore del tronco si prolungano attraverso le aponeurosi ascellari e dell'arto superiore. Nella zona inferiore del tronco divengono molto forti, a questo livello i muscoli sono praticamente inesistenti. Presentano diverse lamine con direzioni diverse che vanno a sostenere la statica toracica e addominale. A livello addominale, il loro sdoppiamento le porta sempre più in profondità fino ad articolarsi con la fascia trasversale.La divisione più profonda a livello posteriore costituisce la fascia iliaca. A livello del bacino si articolano con le aponeurosi perineali, in particolare quelle superficiali e medie. Infine, a livello anteriore tramite l'aponeurosi ombelico - prevescicale, si articolano con gli organi del piccolo bacino e con l'aponeurosi perineale profonda. D- L'APONEUROSI DELL'ARTO SUPERIORE (FIG.22) Fa seguito all'aponeurosi cervicale superficiale dopo un collegamento alla clavicola, all'acromion e alla spina della scapola; essa è inoltre la continuazione dell'aponeurosi del gran pettorale, del gran dorsale, del cavo ascellare. Di medio spessore, è in effetti più resistente dal lato degli estensori che dei flessori. La sua superficie è percorsa da un sistema nervoso e linfatico. A livello del terzo inferiore dell'avambraccio è perforata dal ramo cutaneo del radiale. Il brachiale cutaneo esterno l'attraversa a livello della piega del gomito. A livello del terzo inferiore del braccio si trova l'orifizio della vena basilica, orifizio nel quale la vena s'impegna e da cui emergono i rami cutanei del brachiale interno, con la sua ramificazione anteriore e posteriore. La sua parte superiore esterna è percorsa dall'accessorio del brachiale cutaneo interno che riceve una ramificazione anastomotica degli intercostali. La vena cefalica percorre il bordo esterno dell'arto superiore, è spesso legata alla basilica tramite la mediana basilica, a livello della piega del gomito, spesso accompagnata dal nervo cutaneo ante28
brachiale esterno. Essa sale verso il solco delto-pettorale dove perfora l'aponeurosi del deltoide e quella claveopettorale per gettarsi nella vena ascellare. Dalla superficie interna dell'aponeurosi dell'arto superiore si distaccano dei setti intermuscolari che si sdoppiano per avvolgere i diversi muscoli dell'arto superiore. Proseguendo prende dei punti fissi a livello del gomito e del polso per terminare con le aponeurosi del palmo. Successivamente studieremo le diverse parti da conoscere a livello di: -
spalle
-
braccia
-
avambraccio
-
mano.
1) L'APONEUROSI
DELLA
SPALLA (FIG.23) Prosegue direttamente dall'aponeurosi cervicale superficiale; è formata nella sua parte esterna anteriore e posteriore dall'aponeurosi del gran pettorale. Davanti -fuori da quella del deltoide, dietro da quella del sopraspinoso e sottospinoso. Dietro al gran pettorale si sdoppia per l'aponeurosi clavi-pettoroascellare, costituita dall’apeneurosi del sottoclavicolare che riceve un rinforso del legamento coraco – clavicolare interno. Dal bordo inferiore del succlavio si stacca una fascia che raggiunge il piccolo pettorale. A questo livello si sdoppia in due foglietti: - uno foglietto anteriore che raggiunge in basso l'aponeurosi del gran pettorale e si fissa alla pelle alla base dell'ascella. - uno foglietto posteriore che continua con l'aponeurosi ascellare profonda e invia così delle espansioni sulla pelle del cavo ascellare. Questi due prolungamenti che si fissano a livello della pelle portano il nome di legamento sospensore dell'ascella di Gerdy. Nella sua parte interna inferiore, forma l'aponeurosi della base della cavità ascellare formata da due lame aponeurotiche: superficiale e profonda. 29
a) Aponeurosi superficiale. Si estende dal bordo inferiore del gran pettorale al bordo inferiore del gran dorsale e del gran ricurvo, di cui è il prolungamento. b) Aponeurosi profonda. E' una lamina quadrilatera unita davanti al foglietto profondo del legamento sospensore; da lì si dirige dietro e va ad attaccarsi al bordo ascellare della scapola per tutta la sua estensione e aderisce al di fuori alla faccia anteriore del tendine del lungo bicipite. La zona posteriore entra in contatto con il gran dorsale e il gran rotondo. Il bordo infero- interno prende contatto con l'aponeurosi del gran dentato. Al di fuori, si unisce davanti all'aponeurosi del coracobrachiale e del bicipite; dietro forma l'arco ascellare che avvolge il fascio vascolare nervoso. 2) L'APONEUROSI BRACHIALE (FIG.24) Segue l'aponeurosi della spalla. Termina al gomito dove prende inserzione a livello dell'olecrano, dell'epitroclea e dell'epicondilo, riceve inoltre nella sua parte anteriore l'espansione del tendine del bicipite che è un vero e proprio tensore d'aponeurosi. Su un piano sagittale presenta due setti: -
Il setto intramuscolare esterna
-
Il setto intramuscolare interna.
I setti agganciano in un piano sagittale l'aponeurosi all'osso e consentono ai diversi gruppi muscolari di esercitare tutta la loro efficacia prendendo appoggio su di essa.
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a) Il setto intra muscolare esterna. Ha origine dal bordo anteriore della coscia bicipitale e si confonde con il bordo posteriore del tendine del deltoide, inserendosi lungo il bordo esterno dell'omero, fino al livello dell'epicondilo. Separa i muscoli anteriori e posteriori, ed è un punto di inserzione di entrambi. E' attraversata obliquamente da nervo radiale e dall'arteria omerale profonda. b) Il setto intramuscolare interna. Più larga e spessa di quella esterna, ha origine dal bordo posteriore della scanalatura del bicipite, continua col tendine del coraco-brachiale con cui si unisce e si confonde in parte. Si inserisce lungo il bordo interno dell'omero fino all'epitroclea. Invia un'espansione fibrosa, esile, che si estende dall'estremità superiore del setto intramuscolare interna al trochine, passando dietro al coracobrachiale, che porta il nome del legamento brachiale interno. Separa il muscolo tricipite dal brachiale anteriore dando inserzione ad ambedue. Il nervo ulnare anteriore attraversa il seto nella sua parte media, e resta attaccato alla sua parte posteriore. Dalla sua faccia profonda si distaccano inoltre diverse guaine muscolari: -
bicipite, coraco-brachiale, brachiale anteriore, tricipite; nella sua parte superiore una lamina aponeurotica separa la lunga porzione del tricipite dalle altre porzioni. Nella sua parte inferiore, questa lamina continua la diccia del nervo radiale in cui questo s'impegna accompagnato dall'omerale profonda e avvolto nella propria aponeurosi.
-
Tra bicipite e brachiale anteriore, una sottile lamina aponeurotica separa i due muscoli e permette la loro mobilità. Questa lamina continua attraverso l'aponeurosi anti brachiale.
Nella parte interna, a contatto con il setto intramuscolare interno, si trova il canale brachiale contenente l'arteria e la vena omerale e delle ramificazioni del plesso brachiale. Il fascio vascolonervoso è di per sé contenuto in una guaina aponeurotica che gli serve come mezzo di contenzione e di protezione. L'aponeurosi brachiale, come quella anti-brachiale, inviano delle espansioni che circonderanno i diversi nervi, arterie e vene profonde e superficiali. 3) L'APONEUROSI ANTIBRACHIALE. Continua dall'aponeurosi brachiale e termina al polso, dove è rinforzata dai legamenti anulari anteriori e posteriori del carpo. Sulla parte superiore riceve l'espansione del tendine del bicipite. Anche il brachiale anteriore e il tricipite dietro invianono delle espansioni di rinforzo.
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Più spessa dietro che davanti, l'aponeurosi prende delle insersioni inferiori a livello del carpo tramite i legamenti anulari, e nella zona posteriore è legata intimamente al bordo posteriore dell’ulna. Inoltre, invia una seconda espansione sul bordo posteriore del radio; costituisce inseme allo scheletro osseo la regione anti brachiale anteriore e posteriore. Dalla sua faccia profonda si distaccano anche le diverse guaine muscolari che circondano ogni muscolo permettendo lo scorrimento di questi, gli uni sugli altri. Nella regione anteriore uno sdoppiamento dell'aponeurosi separa lo strato superficiale da quello profondo. La stessa disposizione si riscontra nella parte posteriore. I muscoli di questa aponeurosi sono suddivisi in diversi gruppi. Il gruppo esterno comprende il lungo supinatore e i due radiali. Questi tre muscoli sembrano circondati da una stessa guaina aponeurotica, e ciò ha la sua importanza che vedremo più avanti. Questa stessa disposizione si ritrova nella parte interna con i due ulnari, ma meno marcata. 4) L'APONEUROSI DELLA MANO (FIG.26). Continua dall'aponeurosi anti brachiale a livello
dei
legamenti
anulari.
Si
distinguono delle apeneurosi dorsale e delle apeneurosi palmari. a) Le aponeurosi dorsali. Se ne distinguono due: superficiale e profonda. Superficiale:E' sottile e ricopre i tendini estensori. Prosegue dai legamenti anulari posteriori e si confonde in basso con i tendini estensori, si inserisce sulle falangi. Lateralmente, s'inserisce sul bordo esterno del primo metacarpo e sul bordo esterno del quinto metacarpo. Profonda:Molto sottile, ricopre la superficie dorsale dei muscoli interossei. b) Le aponeurosi palmari Sono due: superficiale e profonda. Aponeurosi palmare superficiale: E' formata da tre parti: -
una parte media o aponeurosi palmare propriamente detta
-
due parti laterali che ricoprono le eminenze tenar e ipotenar. 32
a) l'aponeurosi palmare media (fig. 27) E' triangolare, la cui sua base corrisponde alla radice delle ultime quattro dita, l’ apice è la continuazione
dell'aponeurosi
anti-brachiale e del legamento anulare anteriore del carpo. Si prolunga in alto attraverso il tendine del piccolo palmare, che è il tensore dell'aponeurosi. Si tratta di una lamina fibrosa resistente, situata giusto al di sotto dei tegumenti ai quali è legata intimamente da corti prolungamenti fibrosi. Dupuytren a descritto dei prolungamenti lunghi: linguette cutanee che vanno dal terzo inferiore dell'aponeurosi alla piega interdigitale. Queste linguette sono tese al massimo nei movimenti d'estensione, e sono responsabili della retrazione dell'aponeurosi palmare nella malattia di Dupuytren. Questa aponeurosi ricopre i tendini flessori, i vasi e i nervi del palmo della mano e continua in ogni lato con l'aponeurosi delle protuberanze tenar e ipotenar. Si prolunga a livello delle dita, formando le guaine dei tendini flessori, inserendosi sulle falangi. L’apeneurosi palmare media è formata da fibre longitudinali e trasversali. 1) Le fibre longitudinali: Seguono il legamento anulare e il tendine del piccolo palmare. Discendono e si irradiano verso le quattro ultime dita sulle metacarpofalangee, generando otto linguette, due per ciascuna delle quattro dita. Queste linguette vengono a fissarsi sulle superfici laterali della prima falange delle ultime quattro dita, costituendo il punto più distante dall'aponeurosi superficiale dell'arto superiore. Davanti ai tendini, le fibre si riuniscono per formare delle bandellette pre tendinee, riunite da lamine intertendinee più sottili. Le fibre delle fascette pretendine terminano in tre modi diversi: -
alcune si attaccano alla faccia profonda della pelle
-
altre si dirigono verso l'aponeurosi profonda. Queste costituiscono dei setti sagittali che limitano con l'aponeurosi superficiale e profonda dei tunnel aponeurotici attraversati da: Tendini flessori Lombricali Vasi e nervi digitali. 33
- altre formano delle fibre perforanti che si distaccano dalle linguette pre tendinee a livello dell'articolazione di metacarpofalangea, attraversano il legamento trasverso profondo, circondano l'articolazione di metacarpofalangea e continuano dietro al tendine estensore con quelle del lato opposto. 2) Le fibre trasversali: Sono ricoperte da fibre longitudinali, eccetto nella zona inferiore dell'aponeurosi, dove costituiscono i legamenti trasversi superficiali e interdigitali. b) Le aponeurosi palmari laterali. Molto più sottili dell'aponeurosi media, ricoprono i muscoli delle emminenze tenar e ipotenar. Quella esterna s'inserisce fuori sullo scafoide, trapezio e sul bordo esterno del primo metacarpo, dentro affonda fra i muscoli tenarici per fissarsi sul bordo anteriore del terzo metacarpo. L'interno s'inserisce dentro, sul pisiforme e il bordo interno del quinto metacarpo, e fuori, sul bordo anteriore del quinto metacarpo. Si forma cosi la loggia dei muscoli ipotenarici. L'aponeurosi palmare profonda. Continua in alto con gli elementi fibrosi del carpo, termina sulle articolazioni metacarpofalangee, tramite un ispessimento situato davanti alla testa dal secondo al quinto metacarpo, costituente il legamento trasverso profondo. IN SINTESI LE APONEUROSI DELL'ARTO SUPERIORE. Fa seguito all'aponeurosi cervicale superficiale e si articola con le aponeurosi toraciche anteriori e posteriori. Termina a livello delle dita dopo aver preso dei punti fissi a livello dei gomiti e del polso. La sua superficie è percorsa da numerose vene, linfatici e nervi che la perforano. E' costituita da fibre verticali e oblique che s'intersecano e si compenetrano allo scopo di aumentare la sua resistenza. Dalla sua faccia profonda si distaccano in diverse lamine: -
perpendicolari: i setti intermuscolari che la agganciano al periostio e tramite questi si prolunga con le trabecolee ossee
-
longitudinali, che circondano i diversi muscoli o a costituire le lamine aponeurotiche profonde.
-
Infine, presenta degli sdoppiamenti che avvolgono e proteggono il sistema vascolare e nervoso, sia a livello superficiale sia profondo.
34
ARTICOLAZIONI DELLE APONEUROSI DELL’ARTO SUPERIORE
APONEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE APONEUROSI DEL G
RAN DORSALE
APONEUROSI
PELLE
SETTI
INTERMUSCOLARI
DELL’ARTO SUPERIORE
PERIOSTIO
APONEUROSI CLAVICOLO PETTORO ASCELLARE TERMINAZIONE APONEUROSI CERVICALE
SULLE DITA
MEDIA
E- L'APONEUROSI DELL'ARTO INFERIORE (FIG. 28)
35
Segue le aponeurosi lombare e addominale. Nella sua parte postero laterale ha origine dalla cresta iliaca, dove prolunga l’aponeurosi lombo-sacrale e il gran legamento sacro - ischiatico. Nella parte anteriore, nasce dal pube, dalla branca ascendente dell'ischio, dall'arcata crurale. Termina ai piedi dopo aver preso un punto di inserzione a livello del ginocchio e della caviglia. E' costituita da un intersecarsi di fibre verticali, orizzontali e oblique. Il suo schema generale ci mostra che essa si avvolge sulla coscia e sulla gamba, dall'alto in basso e verso l'esterno e l'interno. Questo avvolgimento è più netto a livello della coscia. Sottile dietro e in dentro è spessa invece davanti e soprattutto all'esterno, dove prende il nome di fascia-lata. A questo livello l'aponeurosi femorale rappresenta la zona più spessa e resistente di tutta l'anatomia umana. Essa presenta: -
una faccia profonda da cui si distaccano dei setti, che studieremo con i diversi segmenti dell'aponeurosi dell'arto inferiore.
-
Uno faccia superficiale sotto cutanea separata dal piano cutaneo per mezzo della fascia superficialis e sulla quale corrono i linfatici, due vene importanti e i nervi sensitivi.
LE VENE Le due più importanti sono: La safena esterna Ha origine dal bordo esterno del piede e prosegue approssimativamente sulla zona mediana e posteriore della gamba. Perfora nella maggior parte dei casi l'aponeurosi della tibia a livello della cavità del popliteo per gettarsi nella vena poplitea. Da notare che questa perforazione è soggetta a variazioni e si situa secondo Moosman e Hostweile nel terzo superiore del polpaccio, nel terzo inferiore, o al livello del tendine d'Achille. La safena interna. Nasce dal bordo interno del piede. Passa davanti al malleolo interno, segue il bordo interno della gamba e della coscia, per gettarsi nella vena femorale a livello della regione inguinale, dopo aver perforato la fascia cribiformis. Questa aderisce alla tunica esterna della vena ed emette un prolungamento su di essa. I NERVI CUTANEI. I nervi si trovano collocati dall'alto in basso e dall'interno all'esterno. 1) Alle facce antero-interna e antero-esterna: 36
-
il piccolo addomino-genitale nella regione inguinale,
-
il safeno interno, e l'accessorio del safeno interno dalla parte del tutto interna, perché il safeno interno discende fino all'alluce mentre l'accessorio del safeno interno si ferma alla parte interna del ginocchio.
-
l'otturatore interno della faccia interna fino al ginocchio
-
il perforante del crurale nella parte mediana fino al ginocchio
-
il ramo crurale del genito-crurale nella parte mediana e superiore
-
il femoro-cutaneo nella parte esterna
-
il safeno peroneo e cutaneo peroneo sotto al ginocchio nella parte esterna.
-
il muscolo cutaneo della gamba, nella superficie esterna della gamba e in quella superiore esterna del piede.
2) Sulla superficie posteriore. A livello del gluteo si trovano: -
il plesso sacro-coccigeo all'interno
-
il piccolo sciatico nella parte inferiore
-
la prima e seconda radice lombare nella parte superiore
-
un ramo del grande addomino-genitale nella parte superiore esterna
A livello della coscia: -
la faccia posteriore e mediana è innervata dal piccolo sciatico fino alla cavità poplitea.
-
la faccia posteriore interna dall'otturatore e dall'accessorio del safeno interno
-
la faccia posteriore esterna dal femoro-cutaneo
A livello del polpaccio: -
safeno esterno per la parte mediana
-
nervo cutaneo peroneo accessorio del safeno esterno per la parte posteriore esterna
-
safeno interno per la parte posteriore interna.
Si studieranno ora le diverse parti dell'aponeurosi dell'arto inferiore, il suo strato profondo e le diverse espansioni. 1) L'APONEUROSI DEI GLUTEI.
37
Si distacca dalla cresta iliaca, dal sacro, dal coccige, dal gran legamento sacro-sciatico e si prolunga in basso e in avanti con l'aponeurosi femorale. Nella parte anteriore ricopre il medio gluteo. Giunta al bordo anteriore del grande gluteo, si divide in tre foglietti: superficiale, medio e profondo. a) I foglietti superficiale e medio Ricoprono lo strato superficiale e profondo del grande gluteo. b) Lo strato profondo Sottile, celluloso, ricopre successivamente dall'alto in basso: -
la parte posteriore del medio gluteo
-
il piramidale
-
i gemelli
-
il quadrato crurale.
Si interrompe: -
al di sopra del piramidale per lasciare il passaggio ai vasi e ai nervi glutei superiori, sotto al piramidale per il passaggio dei vasi sciatici e del nervo sciatico.
Infine due strati cellulosi ricoprono lo faccia profonda del medio gluteo e la superficie esterna del piccolo gluteo; questi due foglietti continuano con il foglietto profondo dell'aponeurosi del gluteo lungo l'interstizio che separa il medio gluteo dal piramidale. Vediamo che l'aponeurosi del gluteo si spartisce in vari foglietti per rivestire i diversi muscoli, al fine di permettere il loro scorrimento, gli uni sugli altri; costituisce peraltro dei piani di separazione che ci consentono una palpazione profonda, in particolare tra il medio e il grande gluteo, per raggiungere il piramidale e
i
gemelli,
studieremo
di
cui
l'importanza
in seguito.
2) L'APONEUROSI DELLA
COSCIA
(FIG. 29) Si fissa in alto sull'arcata crurale, al pube e sul ramo ischio-puberale; in fuori e dietro
continua 38
l'aponeurosi del gluteo. L'aponeurosi femorale si prolunga in basso con l’aponeurosi tibiale dopo un punto di inserzione a livello della rotula, delle tuberosità tibiali e della testa del perone. L'aponeurosi femorale presenta una disposizione particolare nella sua parte supero-interna, a livello del triangolo di Scarpa, a cui è dato il nome di fascia cribiformis (a forma di setaccio). Si tratta di un'area molle e sottile, bucata per permettere il passaggio di un vasto numero di vasi linfatici che, dal superficiale, divengono profondi. La più interessante di queste aperture è quella attraversata dalla vena safena interna: in linea con essa, l'aponeurosi s'ispessisce formando un anello, cui viene dato il nome di legamento falciforme e al quale aderisce la guaina della safena interna Questa fascia cribrosa costituisce anche una piega aponeurotica che consente l'abduzione e rotazione interna della coscia, senza provocare in tal modo una tensione troppo forte dell'aponeurosi e evitando così uno strozzamento delle strutture vascolari e nervose. La sua faccia superficiale si sdoppia per avvolgere il muscolo sartorio. Dallo strato profondo si distaccano dei prolungamenti che vanno ad avvolgere i muscoli della coscia, formando una guaina per ognuno di loro. L'aponeurosi femorale è peraltro collegata al femore da due setti intramuscolari, interno ed esterno. Il setto intramuscolare interno Si estende su una linea obliqua che va dal grande e piccolo trocantere fino al condilo interno del ginocchio, inserendosi nel bordo interno della linea aspra; e nella parte inferiore entra nella costituzione dell'anello del terzo adduttore, in cui passa l'arteria femorale. Il bordo interno è spesso e sporgente, facilmente palpabile, si presta al tatto come una corda. Pare continuare in basso con il legamento laterale interno del ginocchio. La sua faccia anteriore serve da punto d'inserzione al vasto interno, quella posteriore è applicata vicino agli adduttori, alle aponeurosi cui si lega fortemente. Questa aponeurosi divide la regione anteriore della coscia in due aree: -
una anteriore esterna che contiene il quadricipite
-
una posteriore interna che contiene i muscoli adduttori; il gracile, i vasi femorali
Un setto meno forte separa la loggia posteo-interna da quella posteriore. Il setto intramuscolare esterno Si estende dal gran trocantere al condilo esterno al di sopra del quale forma una corda sporgente, dopo un'inserzione sul labbro esterno della linea aspra. E' punto d'inserzione anteriore per il muscolo vasto mediale e posteriore per il fascio breve del bicipite. Separa la loggia anteriore da quella posteriore. 39
La guaina dei vasi femorali. L'aponeurosi femorale si sdoppia per formare una guaina che avvolge e protegge i vasi femorali. Tale guaina si estende dall'anello crurale a quello del terzo adduttore e prende il nome di canale femorale nella parte superiore e di canale di Hunter nella zona inferiore. Il canale ha la forma di un prisma triangolare, torto sul suo asse in modo tale che la sua faccia anteriore in basso divenga interna. Questa disposizione fasciale in torsione è fatta in modo da proteggere gli elementi vascolari e nervosi del canale femorale (arterie e vene femorali, nervi safeni interni e accessori del safeno interno), e impedirne la compressione e lo stiramento nei movimenti dell'anca, soprattutto in fase in abduzione-rotazione esterna. Un elemento supplementare protegge, ricoprendolo, questo canale nella parte inferiore: si tratta del muscolo sartorio che presenta un tragitto a spirale obliquo, verso il basso e all'interno. 3) L'APONEUROSI DELLA GAMBA (FIG. 30) Continua dall'aponeurosi della coscia, direttamente dalla parte posteriore, dopo aver preso inserzione a livello della rotula, delle tuberosità della tibia, della testa del peroneo nella zona anteriore. A tal livello riceve delle espansioni aponeurotiche da determinati muscoli della coscia, dal bicipite all'esterno, dal sartorio semitendinoso all'interno. Dal suo strato profondo si distaccano diverse fasce che vanno a formare le guaine dei muscoli, così come le pareti inter muscolari anteriori ed esterne.
La
parete
intramuscolare esterna Si estende dallo strato interno dell'aponeurosi al bordo
esterno
del
peroneo. Questa parete separa
l'area
antero-
esterna
da
quella
posteriore.
40
La parete intramuscolare interna Si estende dalla superficie profonda dell'aponeurosi al bordo anteriore del perone; separa l'area anteriore esterna della gamba in due zone: -
anteriore
-
esterna
per
i
peronei
e
l'estensore proprio dell'alluce. La loggia anteriore contiene il muscolo
estensore
proprio
dell'alluce, il tibiale anteriore e l'estensore comune degli alluci; gli ultimi due prendono inserzione sull'aponeurosi del tibiale. A livello della testa del perone, esiste una linea osteo-fibro-muscolare in cui passa il nervo sciatico popliteo esterno, suscettibile ad una compressione in tale zona. Sulla superficie antero-laterale della gamba, l'aponeurosi tibiale ricopre direttamente la tibia e aderisce fortemente al suo periostio. Nella parte posteriore, l'aponeurosi tibiale si sdoppia a livello della cavità poplitea, per ricoprire i muscoli profondi così come gli elementi vascolari e nervosi e separare queste strutture dal tricipite, permettendo in tal modo il suo scorrimento sulle strutture profonde. 4) L'APONEUROSI DEL PIEDE (FIG. 31) Continua dall'aponeurosi tibiale tramite il legamento anulare, termina agli alluci. Si distinguono l'aponeurosi dorsale e plantare. a) Le aponeurosi dorsali. sono tre: -
superficiale
-
del pedidio
-
profonda.
1) Aponeurosi superficiale. Ricopre i tendini estensori, lateralmente si fissa sui bordi interni ed esterni del piede, dove si confonde con l'aponeurosi plantare. 2) L'aponeurosi del pedidio. 41
Si tratta di uno sdoppiamento di quella superficiale; ricopre il pedidio, i vasi del pedidio e il nervo tibiale anteriore. Fuori, s'inserisce sul bordo esterno del piede, all'interno si confonde con l'aponeurosi superficiale. 3) l'aponeurosi profonda. Si distacca da legamento anulare anteriore del tarso, ricopre la superficie dorsale del metatarso e dei muscoli interossei. b) Le aponeurosi plantari. Sono due, una superficiale, l'altra profonda. 1) L'aponeurosi superficiale. E' separata dalla pelle tramite una fascia di tessuto adiposo abbondante e come l'aponeurosi palmare si suddivide in tre parti. -
media
-
interna
-
esterna.
a) Aponeurosi plantare media. E' una fascia resistente e spessa soprattutto sul retro; contribuisce al mantenimento delle volte plantari anteriori e posteriori. E' triangolare; si attacca dietro sulle tuberosità del calcagno e davanti si allarga. Termina a livello delle articolazioni metacarpo -falange. E' costituita da fibre longitudinali molto resistenti che formano in avanti delle bandellette pre tendinee e delle fibre trasversali, abbondanti nella zona anteriore. Queste formano a livello delle metacarpo-falange un legamento trasverso superficiale, che sostiene la volta plantare anteriore. Lateralmente, si confonde con le aponeurosi esterne e interne. b) L'aponeurosi plantare interna. Assai più sottile della precedente, si estende dalla tuberosità interna del calcagno alla radice dell'alluce. Si confonde fuori con l'aponeurosi media, dentro con l'aponeurosi plantare superficiale. c) L'aponeurosi plantare esterna. Si attacca sul retro alla tuberosità esterna del calcagno, e di fronte alla base del quinto metacarpo; si confonde all'interno con l'aponeurosi media, al di fuori con l'aponeurosi superficiale. Nel punto in cui l'aponeurosi media continua con quella esterna e interna, costituisce un'espansione sagittale che collega: - l'interno dello scafoide al primo cuneiforme e alla strato inferiore del primo metacarpo. - l'esterno sulla guaina del lungo peroneo laterale e sul quinto metacarpo. Queste pareti determinano sulla fascia plantare del piede tre logge: interna, media ed esterna. Queste sono incomplete e attraversate da elementi vascolari e nervosi. 42
2) L'aponeurosi profonda Ricopre i muscoli interossei e si connette dietro sugli elementi fibrosi del tarso, confondendosi in avanti con il legamento dell'intermetatarso profondo. Ricordiamoci che, al livello dell'arto inferiore, così come all'arto superiore, l'aponeurosi tibiale si sdoppia per avvolgere il sistema vascolare e nervoso, superficiale e profondo, e soprattutto il nervo sciatico che, qualunque sia il suo modo di divisione alto o basso, è sempre avvolto da una guaina aponeurotica che continua sullo sciatico popliteo esterno e interno, e può giocare un ruolo importante nella sua patologia, come vedremo. IN SINTESI L'APONEUROSI DELL'ARTO INFERIORE. Prosegue dalle aponeurosi del tronco, tramite le aponeurosi delle natiche. Termina a livello del piede, dopo aver preso punti fissi a livello del ginocchio e delle caviglie. E' attraversata da un sistema venoso, linfatico e nervoso che la perfora. E' formata da fibre verticali, oblique e orizzontali che s'intersecano e si compenetrano al fine di accrescere loro la resistenza. Dal suo strato profondo si distaccano diverse lame: -
perpendicolari: setti intramuscolari che si agganciano sul periostio e tramite questo si prolungano con le trabecole ossee.
-
Longitudinali, che circondano i diversi muscoli in cui costituire le fasce aponeurotiche profonde.
Infine, essa presenta degli sdoppiamenti che proteggono e avvolgono il sistema vascolare e nervoso, sia superficiale sia profondo. Inoltre, si articola con le aponeurosi del torace e addominali, con quelle perineali superficiali e profonde per mezzo del piramidale e dell'otturatore interno, con la fascia iliaca tramite lo psoas, con le aponeurosi addominali profonde e la fascia trasversalis a livello dell'arcata crurale.
ARTICOLAZIONI
DELLE
APENEUROSI
DELL’ARTO INFERIORE
APENEUROSI DORSALE APENEUROSI ADDOMINALE APENEUROSI DEL GLUTEO FASCIA ILIACA 43
FASCIA TRASVERSALIS
APENEUROSI
PELLE
DELL’ARTO INFERIORE SETTO INTERMUSCOLARE APENEUROSI DEL PERINEO PERIOSTIO
TERMINAZIONE SULLE DITA
LE APONEUROSI INTERNE Si studieranno in seguito: -
le aponeurosi cervicali, medie e profonde.
-
le aponeurosi intra-toraciche intra-addominali del piccolo bacino
A- L'APONEURSI CERVICALE MEDIA (FIG. 32)
44
Si estende: dall'osso iodio alla superficie posteriore della clavicola e dello sterno. Lateralmente avvolge i muscoli omo-ioidei e si confonde sul bordo anteriore del trapezio con l'aponeurosi superficiale
e
profonda. Davanti, l'aponeurosi media aderisce a quella superficiale fino all'estremità inferiore
della
laringe, più in basso
le
due
aponeurosi
si
separano
per
delimitare lo spazio soprasternale, percorso dalla giugulare anteriore. L'aponeurosi cervicale media si sdoppia in una fascia superficiale per i muscoli anteriori del collo e per quelli sterno-cleido-ioidei e omo-ioidei; in una fascia profonda per i muscoli tiro-ioidei e sterno-tiroidei. Dal suo strato profondo si distaccano delle espansioni che entrano in rapporto con la membrana peri-faringea e il fascio vascolare del collo, che gira intorno alla carotide primitiva, alla giugulare interna e al nervo pneumo-gastrico; ogni elemento è fornito anche di una guaina propria. Trasmette peraltro un'espansione alla tiroide e s'immette nella costituzione della sua aponeurosi. Nella parte inferiore laterale, dopo essersi fissata sulla clavicola, trasmette delle espansioni molto resistenti al tronco venoso brachio-cefalico e alla vena succlavia, fissando e mantenendo beanti questi elementi venosi. S'immette inoltre nella costituzione dell'aponeurosi del succlavio. L'aponeurosi cervicale media si prolungherà a livello del torace anteriore tramite l'aponeurosi endotoracica. B. L'APONEUROSI CERVICALE PROFONDA (FIG. 33) Ricopre davanti i muscoli prevertebrali, da cui il nome di aponeurosi pre vertebrale. Si fissa: -
in lato sull'apofisi basilare dell'occipitale
45
- lateralmente sulle apofisi traverse delle cervicali, da cui prosegue con l'aponeurosi degli scaleni. Per suo tramite raggiunge lo strato profondo dell'aponeurosi superficiale davanti al bordo anteriore del trapezio, così come l'aponeurosi media, separa in questo modo la guaina viscerale anteriore da quella posteriore muscolare del collo.Davanti, sulla linea mediana, è collegata con la faringe e l'esofago, a cui è unita per mezzo di un strato di tessuti cellulari molto
lasso;
lateralmente
s'interfaccia con la carotide, la giugulare
interna,
il
pneumo-
gastrico, e allo stesso modo con i rami anteriori dei nervi rachidei che sono inglobati nell'aponeurosi pre vertebrale. Dietro, ricopre i muscoli pre vertebrali, a cui trasmette
espansioni
che
li
circondano: il lungo il collo, piccoli e grandi retti anteriori. Da notare che questi muscoli sono gli unici a livello superiore ad essere collocati di fronte alla colonna vertebrale e ad avere, inoltre, una situazione intra cavitaria. Rappresenta inoltre il supporto al sistema simpatico e ai rami comunicanti, situati in uno sdoppiamento dell'aponeurosi pre-vertebrale o in una guaina speciale (Droubruch). Si prolunga verso la parte inferiore tramite la fascia endo-toracica posteriore, dopo un punto di inserzione sulla prima vertebra dorsale. IN SINTESI LE APONEUROSI CERVICALI Sono tre: 1) Una superficiale che prolunga verso il basso le aponeurosi del cranio, termina sulla circonferenza dell'anello torace e si prolunga tramite le aponeurosi: -
del torace
-
dell'arto superiore
Avvolge i muscoli superficiali del collo, anteriori e posteriori, così come le vene e i nervi superficiali. Si articola in oltre con l'aponeurosi media e profonda sul bordo esterno del trapezio, con la media nella zona anteriore del collo. 46
2) Una media presente nella parte antero-laterale del collo. Inizia dall'osso ioide, si collega al livello dello sterno per prolungarsi poi tramite la fascia endo-toracica. Avvolge i muscoli profondi antero-esterni Costituisce la guaina del fascio vascolare nervoso del collo: carotide, giugulare interna, vago. Partecipa alla costruzione dell'aponeurosi della tiroide. Si articola infine con l'aponeurosi superficiale e profonda così come l'aponeurosi peri-faringea. 3) Una profonda Nasce dall'apofisi basilare dell'occipite. Si prolunga in basso tramite la fascia endo-toracica dopo un punto d'inserzione sul D1. Dietro, aderisce alle apofisi trasversali cervicali. Costituisce l'aponeurosi degli scaleni e si articola tramite loro con la media e la superficiale avvolgendo i muscoli prevertebrali. Sostiene il plesso cervicale così come i gangli cervicali in uno sdoppiamento. Infine, si stabilizza sull'aponeurosi peri-faringea tramite delle bande anteriori e posteriori.
ARTICOLAZIONI DELL’APENEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE EPICRANICA TEMPORALE PELLE
MASSETERICA
APENEUROSI CERVICALE MEDIA
APENEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE APENEUROSI CERVICALE PROFONDA FASCIA TRASVERSALIS FASCIA ILIACA APENEUROSI DORSALE E TORACO ADDOMINALE
APENEUROSI AS E AI
ARTICOLAZIONI DELL’APENEUROSI CERVICALE MEDIA APENEUROSI DELL’ARTO SUP APENEUROSI SUPERFICIALIS APENEUROSI PROFONDA
APENEUROSI CERVICALE MEDIA APENEUROSI PERIFARINGEA
PERICARDIO DIAFRAMMA 47
FASCIA ENDOTORACICA
PLEURA PERITONEO
FASCIA PERIRENALE
FASCIA TRASVERSALIS APENEUROSI
FASCIA PROPRIA APENEUROSI ADDOMINALI
DELL’ARTO INFERIORE APENEUROSI DEL PERINEO
ARTICOLAZIONIDELL’APENEUROSICERVICALE PROFONDA APENEUROSI EPICRANICA APENEUROSI CERVICALE MEDIA
APENEUROSI CERVICALE PROFONDA APENEUROSI PERIFARINGEA
E SUPERFICIALE
PERICARDIO DIAFRAMMA
FASCIA ENDOTORACICA
PLEURA PERITONEO
FASCIA PERIRENALE
FASCIA PERIRENALE
FASCIA TRASVERSALIS
FASCIA ILIACA
FASCIA ILIACA APENEUROSI DEL PERINEO B- LA FASCIA ENDOTORACICA (FIG. 34) Riveste la superficie interna della cassa toracica, delle costole e degli intercostali interni cui è legata da elementi fibrosi. Dietro, rispetto alla superficie laterale della colonna vertebrale, è più densa e collegata alle vertebre da fini legamenti (Braine).
48
Nella parte superiore, ricopre la volta pleurale, aderisce al periostio della prima costola soprattutto nella parte posteriore, e alla guaina vascolare dell'arteria succlavia (collegamento con aponeurosi cervicale media) anteriormente. S'ispessisce consistentemente e forma una parete fibrosa, il diaframma cervico-toracico di Bourger alla luce del quale si sono individuati i legamenti sospensori della pleura (Seibileau): -
legamento costo-pleurale
-
trasverso-pleurale
-
vertebro-pleurale
Nella sua parte inferiore, ricopre il diaframma a cui è unita in modo assai stretto, e tramite questo si prolunga nella parete
addominale
per
la
fascia
trasversalis. Nella parte interna aderisce strettamente alla pleura parietale che tramite essa, allega alla parete toracica. Nella zona del mediastino è spessa e molle.
Nonostante
ciò
forma
sulla
superficie del pericardio una lamina fibrosa unita ad esso, immediatamente sottostante alla pleura. La pleura aderisce ancora alla parete tramite la fascia endo-toracica: -
davanti, rispetto al triangolare dello sterno
-
dietro, tra l'angolo posteriore delle costole e la colonna vertebrale e sulla colonna stessa.
C- LA FASCIA TRASVERSALIS Riveste lo strato interno dell'addome. Aderisce strettamente al peritoneo parietale tramite una fascia propria, da cui è difficile distinguerla. Nella parte posteriore, si sdoppia per formare un sacco che contiene il rene. Questo sacco è formato: 49
-
da una fascia retro-renale che aderisce dietro nella zona mediana ai grossi vasi e alle vertebre.
-
dalla fascia pre-renale.
Frontalmente, queste due fasce si raggiungono lateralmente, formando un sacco in cui sono contenuti i reni. Tale fascia si attacca in alto al diaframma e in basso alla fascia iliaca. Nella parte inferiore, riposa sugli organi del piccolo bacino confusa con il peritoneo parietale. Genera un diverticolo nel canale inguinale, che costituisce la guaina fibrosa del cordone. A livello dei vasi iliaci esterni la fascia continua sulla guaina di questi. Anteriormente e nella zona mediana è rinforzata da legamenti di Henlé e Hesselback. Inizia dietro sul bordo laterale della regione lombare, dove si riconnette alla fascia iliaca; sulla parte ventrale è strettamente legata alla linea alba. E' costituita da fibre trasversali soprattutto unite a delle fibre oblique e verticali, in particolare nella zona anteriore. Il suo spessore non è uniforme, e soprattutto è spessa sotto l'ombelico. La fascia trasversale, nella parte anteriore laterale è in contatto con le aponeurosi addominali, nella parte posteriore se ne separa tramite la fascia renale, quest'ultima situata sulla fascia iliaca, che è uno sdoppiamento delle aponeurosi addominali posteriori. Questa fascia iliaca aderisce: -
all'interno, ai corpi vertebrali, alle arcate d'inserzione dello psoas e alla linea innominata.
-
all'esterno, all'aponeurosi del quadrato dei lombi.
In alto, la fascia presenta un ispessimento, l'arcata dello psoas. Questa si attacca medialmente al corpo della seconda lombare, passa davanti allo psoas e termina alla base dell'apofisi trasversa della prima lombare A livello dell'arcata femorale, la fascia iliaca aderisce a questa frontalmente, al punto che nella sua parte interna è più spessa e forma una banda fibrosa e resistente, la fascetta iliopectinea, che delimita al di fuori l'anello crurale. Sotto l'arcata, la fascia iliaca si prolunga fino all'inserzione trocanterica dello psoas iliaco e s'immette nella costituzione delle aponeurosi femorali.
50
LE FASCE ENDOTORACIHCE E TRASVERSALI IN SINTESI Continuano dalle aponeurosi cervicali medie e profonde che costituiscono la fascia endo-toracica stessa, prolungata dalla fascia trasversale dopo un collegamento tramite il diaframma. 1) la fascia endo-toracica si articola: -
all'esterno con la faccia interna della cavità toracica
-
all'interno con le pleure e il pericardio
-
in basso col diaframma e poi la fascia trasversale.
2) La fascia trasversale si articola: -
in alto con il diaframma e la fascia endo-toracica
-
esternamente con le aponeurosi addominali profonde così come con le fasce renali
-
all'interno con il peritoneo
-
in basso con le aponeurosi del piccolo bacino da un lato, e con l'arto inferiore dall'altro, tramite le sue espansioni sull'arcata crurale; comunicazione verso l'esterno.
51
E-LE APONEUROSI DEL PERINEO E DEL PICCOLO BACINO (fig 35) Le aponeurosi del perineo vanno a chiudere la parte inferiore della cavità addominale. Sono delle fasce molto resistenti, si inseriscono sulla circonferenza del bacino e presentano degli orifizi in senso antero-posteriore, con una differenza nella parte anteriore tra uomo e donna. Le aponeurosi sono tre sostengono e rinforzano i tre piani muscolari del piccolo bacino: -
aponeurosi perineale superficiale
-
aponeurosi perineale media
-
aponeurosi perineale profonda
1) Aponeurosi perineale superficiale Sottocutanea, si estende solamente nel perineo anteriore. Si attacca: -lateralmente sul labbro anteriore del ramo ischio-pubico -il suo apice, diretto in avanti, continua con il rivestimento fibroso del pene. Nella donna si perde nei tessuti connettivi delle piccole labbra e in avanti si continua con la fascia clitoridea -la sua base si estende da un ischio all’altro e stabilisce i confini tra perineo anteriore e posteriore. A questo livello si incurva verso l’alto e dopo aver contornato il bordo posteriore del trasverso superficiale, si fonde col foglietto inferiore dell’aponeurosi media. Invia indietro delle espansioni all’anello fibroso centrale del perineo. La faccia profonda emette delle espansioni che tappezzano il trasverso superficiale, l’ischio-cavernoso, il bulbo-cavernoso. Queste espansioni si uniscono al foglietto profondo dell’aponeurosi media. 52
2) L’aponeurosi perineale media Gli anatomisti inglesi la chiamano anche: legamento perineale di Carcassonne, legamento triangolare dell’uretra di Colle, o diaframma urogenitale dagli anatomisti tedeschi. Di forma triangolare, occupa solamente il triangolo anteriore o urogenitale del perineo. La sua complessità è dimostrata dal fatto che sono state fatte numerose descrizioni, anche contraddittorie ( Zuckerkandl, Charpy, Delbert, Gregoire, Monier, Hovelacque). Per semplificare le cose al fine di una migliore comprensione noi ci riferiamo a Testut e Rouviere. È composta da due foglietti: uno inferiore e uno superiore, che racchiudono tra loro i muscoli del piano medio, trasverso profondo indietro e sfintere esterno dell’uretra in avanti. a) Foglietto inferiore o legamento perineale di Carcassonne Spesso e resistente, si inserisce all’esterno sulla faccia interna dell’ischio, sul labbro interno del bordo inferiore del ramo ischio-pubico, immediatamente
al
di
sopra delle inserzioni dei corpi cavernosi e ischiocavernosi
alle
aderisce
eccetto
indietro;
si
quali che
estende
trasversalmente e aderisce intimamente, sulla linea mediana, alla tonaca albuginea del bulbo e ai corpo spongioso dell’uretra. Il suo bordo posteriore si unisce: in basso all’aponeurosi perineale superficiale, in alto al foglietto profondo dell’aponeurosi media. Indietro invia delle espansioni all’anello fibroso centrale del perineo. In avanti si confonde col foglietto superiore. In definitiva il foglietto inferiore dell’aponeurosi media realizza un sistema di ancoraggio del bulbo e dei corpi spongiosi, tale da fissarli saldamente ai rami ischio-pubici (Paul Delbert). Il suo tessuto non è sempre lo stesso. E’ infatti più sottile indietro dove ricopre il trasverso profondo, mentre è più spesso e molto resistente in vicinanza dell’uretra membranosa; qui l’aponeurosi ha l’aspetto di una bandelletta, chiamata legamento trasverso del pube. La parte anteriore è spessa, e si confonde con il legamento sottopubico che chiude la parte alta e anteriore del perineo. 53
b) Foglietto superiore o profondo (fig 37) Ricopre la faccia superiore del trasverso profondo e dello sfintere striato dell’uretra. Posteriormente si unisce al foglietto superficiale dell’aponeurosi e invia delle espansioni all’anello centrale del perineo. Anteriormente aderisce al foglietto inferiore per costituire con questo il legamento trasverso del bacino di Henlè e infine termina sul legamento sottopubico. Sui lati il foglietto superiore dell’aponeurosi media si attacca al ramo ischio-pubico al di sopra dell’inserzione del trasverso profondo e invia una espansione all’aponeurosi dell’otturatore interno. Questa espansione si sdoppia per formare un condotto fibroso nel quale passa il pacchetto vascolonervoso pubendo interno: il canale di Alcook. Nella parte posteriore l’aponeurosi perineale media emette una lamina ascendente tra la prostata e l’uretra membranosa in avanti e il retto indietro. Questa si aggancia in alto al fondo di sacco di Douglas e costituisce l’aponeurosi prostatoperitoneale di Denonvilliers. Questa aponeurosi si sdoppia in due lamine: -
una lamina posteriore che forma il setto retto-vescicale
-
una lamina anteriore che ricopre le vescicole seminali, il canale deferente e la parte posteriore della prostata. Forma dunque la loggia della prostata, la cui parte anteriore si distacca dalla aponeurosi perineale media.
Nella donna, l’aponeurosi di Denonvilliers è rimpiazzata da un sottile foglietto che costituisce l’aponeurosi retto-vaginale. Nell’uomo l’aponeurosi perineale media racchiude tra i suoi due foglietti le ghiandole di Cowper. Questa presenta due orifizi : -
l’orifizio della vena dorsale del pene, tra il legamento sotto-pubico e il legamento trasverso di Henlè
-
più indietro, l’orifizio della porzione membranosa dell’uretra, circondato dallo sfintere esterno.
3) L’aponeurosi perineale profonda (fig 38) Molto più estesa delle precedenti, occupa contemporaneamente il perineo anteriore e posteriore. Supera anche i confini della regione perineale per risalire sulle pereti laterali del bacino e raggiungere
direttamente
il
distretto superiore. La parte superiore dell’incavo pelvico è costituito da otto muscoli:
54
-
elevatore dell’ano, nella parte centrale
-
ischio-coccigei, indietro
-
otturatori, di lato
-
piramidali, nella parte postero-laterale
Questi otto muscoli sono circondati ciascuno dalla propria aponeurosi. L’unione di tutte le aponeurosi costituisce l’aponeurosi perineale profonda, che con i muscoli citati, chiuderà tutti gli orifizi del perineo ad eccezione di quelli del piano medio. Nella sua estensione l’aponeurosi perineale assume la forma di un imbuto. Per comodità di descrizione la divideremo in due metà simmetriche, considerando per ciascuna di esse: -
un bordo esterno
-
un bordo interno
-
una faccia superiore
-
una faccia inferiore
1) Bordo esterno Si inserisce: in avanti sulla faccia posteriore del corpo del pube e del suo ramo orizzontale (in continuità con la fascia addominale anteriore); sull’arcata fibrosa che limita in basso l’orifizio interno del canale sotto-pubico, di cui entra a far parte; dietro questo canale risale fino al distretto superiore, si inserisce sulla linea innominata fondendosi con la fascia iliaca (continuità della fascia addominale laterale con la fascia pelvica); discende in seguito verso la grande incisura ischiatica costeggiando il bordo superiore del piramidale; infine entra in contatto con l’aponeurosi presacrale e si attacca all’interno dei fori sacrali pelvici (continuità posteriore con le fasce addominali) 2) Bordo interno Le due metà dell’aponeurosi pelvica entrano in contatto tra loro sulla linea mediana in due punti: -
il rafe ano-bulbare
-
il rafe ano-coccigeo Davanti al rafe ano-bulbare, queste sono separate da un intervallo triangolare costituito
dall’aponeurosi perineale media. Tra i due rafe, queste due metà sono separate dall’orifizio rettale unendosi alla guaina fibrosa del retto pelvico. A livello della prostata questa guaina si unisce all’aponeurosi laterale della prostata e, attraverso il suo intermediario, alla aponeurosi media. 3) Faccia inferiore Poggia direttamente sui muscoli che giacciono sotto; è unita a questi da un sottile strato di tessuto cellulare 55
4) Faccia superiore È separata dal peritoneo attraverso uno spazio chiamato pelvico-viscerale, che contiene l’uretra, il canale deferente e i vasi e i nervi dei visceri pelvici. L’aponeurosi perineale profonda non ha uno spessore uniforme, ma presenta tre grandi ispessimenti che divergono a raggiera dalla spina ischiatica, per formare la stella a tre braccia di Rogies: -
arco
tendinoso
dell’elevatore,
che
va
sull’ischio -
un rinforzo che costeggia il bordo anteriore della grande incisura sciatica (bandelletta ischiatica)
-
un rinforzo che scende lungo l’interstizio tra il muscolo coccigeo da un lato, il piramidale e il plesso sacrale dall’altro (bandelletta spino-sacrale).
È da notare che l’aponeurosi dell’otturatore interno, che superiormente era accollata all’aponeurosi perineale media e superiore, si continua in basso con il grande legamento sacro-ischiatico e si prolunga sulla faccia anteriore del muscolo grande gluteo, che supera in basso questo legamento (unione con l’aponeurosi superficiale). L’aponeurosi perineale profonda invia delle espansioni al nucleo fibroso centrale del perineo. In senso antero posteriore è perforata dal retto e circondata dal suo sfintere, l’uretra all’uscita della prostata, la vagina, nella donna, che rappresenta un importante deiscenza. L’aponeurosi perineale profonda si inserisce sulla circonferenza della vagina e costituisce uno dei suoi principali sostegni. L’apeneurosi perineale profonda riceve delle espansioni dalla bandelletta del colon (articolazioni con fasce viscerali) e nella sua parte postero – laterale attraverso la fascia del piramidale costituisce il sostegno del plesso lombo – sacrale. Altre strutture aponeurotiche completano e chiudono il piccolo bacino da dietro in avanti: -
l’aponeurosi presacrale
-
l’aponeurosi di Denonvilliers o retto-vaginale (già studiata)
-
l’aponeurosi vescico-vaginale e il parametri nella donna
-
l’aponeurosi ombelico-previscerale
-
le lamine sacro-retto-genito-pubiche di Delbet o tende dell’arteria e del plesso ipogastrico.
Le prime quattro rappresentano delle tende vascolari situate nel piano frontale. L’ultimo setto è in direzione sagittale. 56
5) Le aponeurosi annesse al perineo (fig 39) a) Aponeurosi presacrale Discende
dall’addome
con l’arteria
emorroidale media (continuità con le aponeurosi addominali), riveste la faccia anteriore del sacro e si confonde sulla faccia posteriore del retto con la guaina fibrosa del retto, che è a sua volta costituita dalla fascia retrorettale, che si estende dalla fine del meso-sigmoide in alto fino al pavimento pelvico in basso. Sull’aponeurosi presacrale, va a terminare la parte posteriore dell’aponeurosi perineale profonda e va ad ancorarsi la lamina di Delbert. È infine anche il supporto del plesso sacrale e della ghiandola coccigea di Luschka.
57
b) Aponeurosi di Denonvilliers o retto-vaginale c) Aponeurosi vescico-vaginale e parametrio La base della vescica è separata dalla vagina da un setto cellulare più o meno ben individualizzato: la fascia vescico-vaginale o fascia d’Halban, nello spessore della quale passa trasversalmente il segmento terminale juxtavescicale dell’uretere. Le fasce retto-vaginali e di Halban inviano delle espansioni al legamento largo. Questo è un ispessimento del peritoneo, che ricopre l’utero, le tube, le ovaie, e i legamenti rotondi. La sua forma e la sua direzione sono molto complessi per questo
ne
daremo
una
breve
descrizione senza entrare troppo nei dettagli. Il legamento largo è formato da
due
foglietti
peritoneali,
che
rivestono uno la faccia anteriore e l’altro quella posteriore dell’utero, a partire dal suo bordo laterale. Questi due foglietti, che sono in continuità l’uno con l’altro, si appoggiano l’uno all’altro e si dirigono in fuori verso la parete laterarale della pelvi, sulla quale si riflettono per divenire peritoneo parietale pelvico. In basso i due foglietti si allontanano l’uno dall’altro, dall’avanti all’indietro, sul pavimento pelvico e si riflettono l’uno in avanti, l’altro indietro per diventare peritoneo pelvico del fondo dalla pelvi (fig 40). Il legamento largo così formato ha schematicamente la forma di un setto trasversale quadrilatero fortemente inclinato in basso, in avanti e nel suo insieme, fortemente concavo indietro. Vi si distinguono due parti: -
una parte inferiore spessa, fissa, solidale contemporaneamente alla parete pelvica, alla regione cervico-istmica dell’utero e alla vagina; corrisponde al parametrio, supporto dell’utero (dalla croce di Richard) e alla paravagina, supporto superiore della vagina.
-
Una parte superiore, il mesometrio, che comprende tre ali: una ala tubale o mesosalpingi; una ala funicolare o del 58
legamento rotondo; un meso ovario teso al di sotto dal legamento utero-ovarico al lomboovarico.(fig 41) d) Aponeurosi ombelico previscerale (fig 42) Corrisponde alle tende vascolari dalle arterie ombelico-vescicali, che la sottendono lateralmente, sulla linea mediana; aderisce ugualmente all’uraco. Di forma triangolare fortemente concava all’indietro: -
si attacca attraverso la sua sommità, all’ombelico
-
si porta in basso indietro e raggiunge presto la sommità della vescica. Qui si allarga bruscamente e si ripiega su se stessa, come a formare un sacco concavo indietro; abbraccia la faccia anteriore e le facce laterali della vescica e scende così lungo le sue facce fino al pavimento pelvico dove va a finire nel modo seguente: 1-sulla linea mediana si fonde con i legamenti pubo-vescicali 2 - ai lati si confonde con l’aponeurosi pelvica fino al bordo anteriore delle due incisure ischiatiche.
I bordi laterali dell’aponeurosi ombelico-prevescicale si estende obliquamente dalla grande incisura ischiatica all’ombelico. Aderiscono alla parete addomino-pelvica in parecchi punti: in basso all’aponeurosi dell’otturatore interno; in alto alla guaina del grande retto, alla fascia trasversale fino a tre, quattro centimetri al di sotto delle arcate di Douglas; L’aponeurosi ombelico-prevescicale ha nella sua parte inferiore uno spazio tra la vescica e la parete addominale: lo spazio di Retyzius. Lamine
sacro-retto-genito-pubiche
di
Delbet (fig 43) Corrispondono alla tenda delle arterie ipogastriche. Si estendono sagittalmente dal sacro indietro, al’ interno dei fori sacrali, fino alla faccia posteriore del pube in avanti. Costeggiano i bordi laterali dei visceri pelvici dove lasciano alcune fibre. Sulla faccia interna, sono doppie, rivestite e rinforzate da una lamina nervosa che corrisponde al plesso ipogastrico.
59
Riassumendo le aponeurosi del perineo e del piccolo bacino Nel perineo abbiamo le tre aponeurosi che chiudono la cavità inferiore dell’addome, dato che queste tre aponeurosi sono rinforzate dai muscoli che esse circondano. Nel perineo anteriore troviamo: - l’apeneurosi perineale superficiale che si articola con le aponeurosi: addominali superficiali dell’arto inferiore dei glutei - l’apeneurosi perineale media composta da due foglietti, essa si articola con le aponeurosi: perineale superficiale perineale profonda addominali profonde - l’apeneurosi perineale profonda, molto resistente, ricopre tutto il perineo e si articola con: la perineale media in basso le aponeurosi addominali profonde così come l’apeneurosi ombellico - prevescicale lateralmente con l’apeneurosi dell’otturatore interno e attraverso di esso si collega con l’esterno con il grande legamento sacro-ischiatico che si prolunga sulla faccia anteriore del muscolo grande gluteo, . l’apeneurosi dell’ischio coccigeo e del piramidale nella parte postero-laterale, essendo queste due aponeurosi parte della perineale profonda. Attraverso il piramidale, inoltre, stabilisce un collegamento con l’esterno, l’apeneurosi presacrale dietro, la fascia trasversalis in tutto il suo contorno. Sopra queste apenerosi e spesso derivanti da queste abbiamo: due strutture centrali antero – posteriori: le lamine sacro-retto-genito-pubiche di Delbet. Queste, a sua volta, sono divise in setti che, dal davanti in dietro, sono: l’apeneurosi ombellico-vescicale l’apeneurosi vescica vaginale o fascia di Halban nella donna l’apeneurosi retto-vaginale nella donna o aponeurosi prostato-peritoneale nell’uomo l’apenurosi presacrale La parte superiore di questa zona è chiusa, nell’uomo, dal peritoneo, nella donna dal peritoneo e dai parametri. Una struttura, in questa zona, il nucleo fibroso centrale, attira l’attenzione: è una struttura fibrosa situata, nell’uomo, fra l’ano e la radice dello scroto, nella donna fra retto e radice inferiore delle grandi labbra. Rappresenta il punto più basso del perineo e per estensione della cavità toraco – addominale. È formata dalle espansioni di tre aponeurosi perineali e di tutti i muscoli del perineo eccetto gli ischio-cavernosi e gli ischio-coccigei. Rappresenta, dunque, il fili che chiude in basso la borsa toraco addominale. Fascia traversalis Aponeurosi ombellico prevescicale peritoneo fascia di Halban lamine sacro-retto-genito-pubiche aponeurosi di Denonvilliers fascia presacrale
Aponeurosi perineali Fascia dell’otturatore Aponeurosi del piramidale aponeurosi arto inferiore
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L’ASSE APONEUROTICO CENTRALE A- L’APONEUROSI INTERPTERIGOIDEA Quadrilatera, si attacca: -
in alto, da dietro in avanti: sulle due labbra della scissura di Glaser, sul prolungamento della rocca interposta fra le scissure petro-timpaniche e timpano petrose, sulla spina dello sfenoide, sul bordo interno del foro ovale
-
in basso: sul mascellare immediatamente al di sotto delle inserzioni dello pterigoideo interno e sulla spina di Spix
-
il suo bordo posteriore è libero
-
il suo bordo anteriore: si attacca al bordo posteriore dell’ala esterna dell’apofisi pterigoidea; più in basso si porta verso la faccia laterale della base della lingua, dove si unisce al prolungamento anteriore dell’aponeurosi perifaringea.
L’aponeurosi interpterigoidea non ha lo stesso aspetto in tutto il suo decorso: -
la parte posteriore spessa e resistente è conosciuta col nome di legamento sfeno-mascellare
-
la parte anteriore è suddivisa in due dal legamento pterigo-spinoso
B- APONEUROSI PTERIGOTEMPOROMASCELLARE (fig 44) Situata al di fuori dell’aponeurosi interpterigoidea, si inserisce: -
in alto sulla grande ala dello sfenoide
-
in avanti sulla parte superiore dell’ala pterigoidea interna
-
il suo bordo superiore, diventa libero e si ispessisce sopra e al di fuori del foro ovale, per formare i legamenti di Hyrtl
-
in basso la sua inserzione si confonde con l’aponeurosi interpterigoidea
61
C- APONEUROSI PALATINA È una lamina fibrosa molto resistente che ricopre i muscoli stafilini e costituisce il velo del palato. Fa seguito alla volta palatina e occupa la metà anteriore del velo palatino di cui questa costituisce la struttura scheletrica. Si attacca: -
in avanti al bordo posteriore della volta palatina
-
lateralmente al bordo inferiore e all’uncino dell’ala interna dell’apofisi pterigoidea
-
indietro si perde nello spessore del velo
l’aponeurosi palatina è costituita in gran parte da fibre tendinose dei muscoli peristafilini e si prolunga indietro attraverso questi. I muscoli del velo del palato sono in rapporto con le aponeurosi della faringe; queste aponeurosi emettono delle espansioni che ricoprono la porzione discendente dei muscoli peristafilini interno ed esterno.
D- APONEUROSI FARINGEA E PERIFARINGEA (fig 45) L’aponeurosi perifaringea è una membrana fibrosa molto resistente che avvolge l’esofago e la trachea. Si continua in alto nello spazio maxillo-faringeo sulla parete della faringe e si prolunga in basso nel mediastino; la sua porzione inferiore viene chiamata anche guaina viscerale. Sopra il costrittore superiore si unisce all’aponeurosi intrafaringea e, confondendosi con questa, si attacca alla base del cranio: -
alla base dell’occipite a livello del tubercolo faringeo
-
sulla faccia inferiore della rocca in avanti e dentro al foro carotideo
-
sulla lamina fibrosa che ostruisce il foro lacero anteriore
-
sulla parte postero-esterna della base dell’apofisi pterigoidea
-
sulla parete inferiore, fibrosa della tromba
-
sul legamento pterigo-mascellare
Emette in avanti un prolungamento di cellule linguali che accompagna verso la lingua il muscolo faringoglosso. Le aponeurosi intra e perifaringee emettono delle espansioni che ricoprono
la
porzione
discendente
dei
muscoli peristafilini interno ed esterno. L’aponeurosi perifaringea è rinforzata al di sotto del peristafilino esterno dal legamento timpano-pterigo-mascellare.
62
Raggiungendo il bordo posteriore della tiroide l’aponeurosi perifaringea si sdoppia in due foglietti: -
uno profondo o interno, continua la guaina viscerale sulla trachea e la laringe e forma il foglietto profondo della guaina tiroidea
-
l’altro esterno tappezza da dentro a fuori la faccia posteriore del lobo laterale corrispondente del corpo della tiroide e si unisce, nella parte più esterna di questa faccia, al foglietto profondo dell’aponeurosi media, che completa in avanti la guaina del corpo della tiroide
Dalla parte anteriore della guaina viscerale, lungo il bordo inferiore del corpo della tiroide, si stacca una espansione che accompagna le grosse vene tiroidee, circonda il tronco brachio-cefalico venoso sinistro e si prolunga fino al pericardio . questa espansione porta il nome di lamina tiropericardica
o
cervico-
pericardica(Richet). La lamina cervicopericardica e la parte continua del pericardio
limitano,
col
foglietto
profondo dell’aponeurosi media e il legamento sterno-pericardico superiore, uno spazio occupato dal timo (fig 46). La guaina viscerale del collo invia indietro delle espansioni sagittali (Charpy), che la uniscono
all’aponeurosi
cervicale
profonda e attraverso di essa ai tubercoli anteriori delle apofisi trasverse. Un prolungamento posteriore la unisce all’apofisi stiloidea costituendo l’aponeurosi stilo-faringea. Si lega inoltre alle grandi e piccole corna dell’osso ioide. A livello del costrittore superiore, invia una espansione intrafaringea che costituisce l’aponeurosi intrafaringea. Ha la forma di una doccia perché occupa solo le pareti posteriore e laterali della faringe; fibrosa e resistente in alto, sottile e cellulare in basso, si continua con la tunica cellulare dell’esofago indietro e il pericardio in avanti. Dura madre base del cranio Aponeurosi interpterigoidea Aponeurosi pterigo – temporo - mascellare Aponeurosi palatina
aponeurosi cervicale media
Aponeurosi perifaringea Aponeurosi cervicale profonda
pericardio diaframma
63
E-IL PERICARDIO Il pericardio è un sacco fibro-sieroso che riveste il cuore ed è composto da due parti: -
una profonda, sierosa formata da un foglietto viscerale, modellato sul cuore e i vasi e un foglietto parietale che ricopre il foglietto precedente
-
una superficiale, fibrosa, che riveste il foglietto parietale sotto forma di un sacco chiuso ermeticamente, destinata a proteggere e fissare il cuore.
Noi studieremo soprattutto il pericardio fibroso e descriveremo in seguito brevemente quello sieroso.
1) Il pericardio fibroso (fig 47) Fa seguito, come abbiamo visto prima, all’aponeurosi perifaringea. Il pericardio fibroso è una membrana spessa e resistente. Riveste il foglietto parietale del pericardio sieroso, forma un vero e proprio sacco fibroso attraversato dai grossi vasi del cuore. Dei solidi legamenti lo fissano al diaframma, alla parete anteriore e posteriore del torace e alla regione del collo. a) Il sacco fibroso Di aspetto bianco madreperlaceo, è formato da fibre curvilinee che si intrecciano in tutti i sensi e si addensano in bandellette che realizzano attorno ai vasi dei veri e propri anelli fibrosi. Ha la forma di un cono troncato alla base inferiore. Avvolge il cuore. La sua base riposa sul diaframma, più precisamente sul foglietto anteriore e sulla parte anteriore del foglietto sinistro, ma ne è sempre separata da un sottile strato di tessuto cellulo-adiposo in continuità con la fascia endotoracica. La sua faccia anteriore corrisponde al bordo anteriore dei polmoni, al fondo di sacco anteriore della pleura (culde-sac) e al “piastrone” sterno-costale. La sua faccia posteriore corrisponde agli organi del mediastino posteriore, in particolare all’esofago toracico. La sommità, troncata, si perde nei vasi della base del cuore, al di sopra del pericardio sieroso e, come abbiamo già segnalato, costituisce una continuità con l’aponeurosi perifaringea. b) i legamenti del pericardio( fig 48). Il pericardio emette numerosi prolungamenti, che costituiscono i suoi legamenti di ancoraggio. 1) Legamenti freno-pericardici Sono tre, i più solidi ed in dipendenza dalla fascia endotoracica. Il legamento anteriore si fissa sulla 64
fogliolina anteriore; ildestro è situato a destra della vena cava inferiore e il sinistro a sinistra della vena cava inferiore. Questi ultimi due legamenti contengono la vena cava inferiore e formano i legamenti frenopericardici di Teutleben. 2) Legamenti sterno-pericardici Sono due: uno superiore teso dal manubrio al pericardio (è un prolungamento del foglietto profondo dell’aponeurosi cervicale media ed è anche la continuità della parete anteriore della guaina viscerale del collo), l’altro inferiore è teso dalla base inferiore dell’appendice xifoide al pericardio. 3) Legamenti vertebro-pericardici Sono delle bendellette fibrose sviluppate nello spessore dei setti sagittali. Le loro inserzioni si confondono con quelle dei setti sagittali dell’aponeurosi perifaringea, sull’aponeurosi prevertebrale dalla sesta cervicale fino alla terza dorsale e terminano in basso sulla parte superiore del pericardio. 4) Legamenti cervico-pericardici Formano la lamina tiropericardica di Richet, espansione della guaina viscerale del collo, che si stacca dalla guaina del corpo della tiroide e forma una lamina frontale che limita il dietro della loggia timica terminandosi sulla faccia anteriore del pericardio. 5) Legamenti viscero-pericardici Sono legamenti accessori, semplici tratti fibrosi che legano il pericardio all’esofago toracico(in dietro, sono detti legamenti esofago-pericardici), alla biforcazione tracheale (in alto, legamenti tracheopericardici e bronco-pericardici), lateralmente alle vene polmonari e vanno a formare le ali del pericardio.
2) Il pericardio sieroso E’ formato da due foglietti: -
il foglietto viscerale si modella sul cuore
-
il foglietto parietale riveste quello viscerale e si unisce al pericardio fibroso.
Questi due foglietti delimitano uno spazio chiuso dalle loro riflessioni interne attorno ai grossi vasi. Il pericardio fibroso è inestensibile ed innervato dal nervo frenico, mentre quello sieroso riceve le fibre vasomotrici e sensitive che provengono dal plesso coronario per cui la stimolazione non causa dolore.
65
Riassumendo l’asse apeneurotico centrale È costituito da: 1. apenerosi interpterigoidea, pterigo-temporo-mascellare, che l’agganciano alla base del cranio e che si prolungano con: 2. aponeurosi faringea e perifaringea 3. quest’ultima prolungata dal pericardio questo asse si articola con: in alto con le meningi attraverso i nervi cranici nel suo contorno dall’alto in basso: indietro all’apeneurosi cervicale profonda attraverso le lamine sagittali avanti e indietro (la fascia endotoracica si lega) attraverso i legamenti peripericardici inavanti all’apeneurosi cervicale media costituendo con questa la guaina della tiroide e la loggia timica la pleura lateralmente a livello toracico 4. in basso con il diaframma ARTICOLAZIONI DEL PERICARDIO dura madre base del cranio aponeurosi interpterigoidea aponeurosi interpterigo- mascellare aponeurosi palatina aponeurosi perifaringea aponeurosi cervicale media pleura
PERICARDIO fascia endotoracica diaframma fascia trasversalis
peritoneo
66
IL DIAFRAMMA (FIG 49) È il muscolo principale della inspirazione, ma al di là di questo ruolo possiamo considerarlo anche come una fascia. Il suo centro è fibroso, discende dal setto trasverso cervicale e trasporta con questo tutte le colonne fasciali che abbiamo studiato. Costituisce la continuità tra la fascia toracica ed addominale, separando queste due cavità. Nella sua parte superiore è ricoperto dalla fascia endotoracica (ricoperta dalle pleure), questa fascia si prolunga nell’addome attraverso la fascia trasversalis. Dalla sua faccia inferiore, tappezzata dal peritoneo, si distaccano le fasce renali; il diaframma è in oltre in rapporto con la fascia dello psoas. Il peritoneo ricopre questa faccia inferiore e attraverso di essa appende il fegato e lo stomaco al diaframma. Nella sua parte superiore anche quest’ultimo è appeso attraverso una guaina fasciale formata dal pericardio, dalla fascia perifaringea, dalle aponeurosi interpterigoidea e palatina, alla base del cranio. In senso anteroposteriore questa guaina è stabilizzata dai legamenti vertebro-pericardici e sterno-pericardici. Il diaframma rappresenta dunque una continuità fasciale tra la base del cranio, il collo, il torace e l’addome; è un punto di legame e di ammortizzamento importante, come vedremo più in là.
67
LE APONEUROSI CHE TAPPEZZANO LA FACCIA INTERNA DELLA CAVITA’ TORACO-ADDOMINALE A) LE PLEURE Due aponeurosi, una destra e una sinistra, indipendenti l’una dall’altra. Sono delle sierose che presentano due foglietti: -un foglietto viscerale, che riveste i polmoni -un foglietto parietale, che riveste la cavità toracica Il foglietto parietale e il foglietto viscerale si continuano l’uno con l’altro a livello dell’ilo polmonare formando la linea di riflessione della pleura. Le pleure, mantenute normalmente in contatto da un film liquido, delimitano tra loro una cavità virtuale: la cavità pleurica. 1) La pleura viscerale Riveste tutta la superficie del polmone ad eccezione di una parte della sua faccia mediastinica, dove le pleura si riflette a livello dell’ilo per divenire pleura parietale. Questa linea di riflessione prosegue al di sotto dell’ilo per costituire il legamento triangolare. La pleura viscerale penetra nel polmone, dove riveste le scissure polmonari, poi si sdoppia per tappezzarei i lobuli polmonari. La pleura viscerale è unita al parenchima polmonare da un sottile strato di tesuto cellulare sottopleurico che continua all’interno del parenchima formando la trama o l’interstizio polmonare. 2) La pleura parietale (fig 50) Tappezza
pressochè
interamente
la
faccia profonda della cavità toracica. Riposa
sulla
parete
attraverso
l’intermediario della fascia endotoracica che si sdoppia dunque all’interno. Si distinguono più segmenti: -un segmento costale o pleura costale -un segmento mediastinico o pleura mediastinica -un segmento diaframmatico o pleura diaframmatica Questi tre elementi si proseguono senza soluzione di continuità formando i cul-de-sac pleurici. a) La pleura costale Riveste la faccia profonda delle coste e degli spazi intercostali dai quali si separa attraverso la fascia endotoracica. In avanti si estende fino al bordo dello sterno e si riflette indietro per 68
diventare pleura mediastinica. Indietro si estende fino al solco laterovertebrale dove si riflette ugualmente in direzione della pleura mediastinica. In basso si riflette per diventare pleura diaframmatica. b) La pleura diaframmatica Più sottile della pleura costale, aderisce alla fascia endotoracica e attraverso il suo intermediario alla faccia superiore delle cupole diaframmatiche in maniera stabile e incompleta. A sinistra lascia libera la parte di diaframma destinata all’inserzione del pericardio. A destra ricopre tutta la cupola fuori che una linea anteroposteriore che passa per il bordo esterno dell’orifizio della vena cava inferiore. c) La pleura mediastinica Ricopre gli organi del mediastino secondo una direzione anteroposteriore, dallo lo sterno in avanti fino al solco costovertebrale indietro. Gli organi sono: nel mediastino anteriore: pericardio, nervo frenico, vasi diaframmatici superiori, timo, tronco brachiocefalico destro e vena cava superiore ed inferiore. nel mediastino posteriore: trachea, esofago, la grande azigos e la pneumogastrica destra (a destra), aorta toracica discendente, le emiazigos e in alto il canale toracico (a sinistra). A livello del peduncolo polmonare, la pleura mediastinica forma un manicotto pressochè circolare attorno a degli elementi del peduncolo di cui tappezza la faccia anteriore, posteriore e superiore. Al di fuori, a livello dell’ilo si riflette per divenire pleura viscerale. La riflessione della pleura a livello dell’ilo si prosegue fino al diaframma attraverso il legamento triangolare del polmone. Il legamento del polmone sinistro è pressapoco verticale. Il legamento del polmone destro è obliquo, deviato in basso e indietro dalla vena cava inferiore. Ogni legamento del polmone corrisponde in dentro al bordo laterale corrispondente dell’esofago, attraverso l’intermediario della fascia periesofagea, ed è assai fortemente unito a questo. d) La volta pleurica (fig 51) La volta pleurica copre la sommità del polmone. Aderisce fortemente alla fascia endotoracica, che si ispessisce considerevolmente per formare il diaframma cervicotoracico di Bourgerey, in seno del quale si può vedere i legamenti sospensori della pleura (vedere la fascia endotoracica): -legamento costopleurale -legamento trasversopleurale -legamento vertebropleurale. La pleura parietale è innervata dai nervi intercoastali, toracoaddominali e dal nervo frenico.
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Riassumendo le due pleure Presentano due foglietti separati da uno spazio virtuale lubrificato perpermettere lo scivolamento. Il foglietto interno ( pleura viscerale) circonda il polmone e si sdoppia in profondità per formare le scissure e circondare lobi e lobuli. Il foglietto esterno (pleura parietale) aggancia il polmone alla periferia e permette di costituire una pompa efficace Le sue articolazioni sono:
Medialmente con il pericardio
Esternamente con la fascia edotoracica e attraverso di essa con la parete toracica interna
In basso con il diaframma
In alto con la fascia endotoracica e attraverso di essa con le fasce cervicali e con i legamenti sospensori della pleura
ARTICOLAZIONI DELLA PLEURA
APENEUROSI CERVICALI
PERICARDIO
PLEURA
FASCIA ENDOTORACICA
DIAFRAMMA
FASCIA TRASVERSALIS
PERITONEO
70
B) IL PERITONEO E LA CAVITA’ PERITONEALE(fig 52) Il peritoneo è una membrana sierosa che riveste la faccia profonda della cavità addominale, pelvica e i visceri che contengono. Oggetto di numerose modificazione successive nel corso della vita embrionale e fetale, il peritoneo dell’adulto presenta numerose
pieghe,
che
gli
conferiscono
una
disposizione particolarmente complessa spiegata dall’embriologia. Come tutte le sierose è costituito da due foglietti: -un foglietto parietale che riveste la faccia profonda della cavità addominale -un foglietto viscerale che riveste la faccia superficiale dei visceri addominali. Questi due foglietti delimitano una cavità virtuale: la cavità peritoneale. Questa cavità rappresenta un sacco chiuso che contiene i visceri addominali. Tuttavia è da notare che nella donna il peritoneo non è chiuso ermeticamente; in effetti questa cavità si apre a livello dell’ovaia e questa apertura porta il nome di linea di Farre. Questa soluzione di continuità permette lo scorrimento del liquido peritoneale attraverso le tube e spiega la possibilità di infezione peritoneale ascendente di origine ginecologica. Nell’uomo, al momento della discesa dei testicoli, il peritoneo si invagina come un dito di guanto a livello dei testicoli (tunica vaginale) trascinando con lui la fascia trasversale (tunica fibrosa) e alcune fibre dei muscoli trasversi e piccolo obliquo (cremastere). Il suo punto più pendente costituisce il fondo di sacco di Douglas. Il peritoneo parietale è spesso separato dalla parete addominale da un tessuto sottoperitoneale: la fascia propria. Abbondante e lassa nella parte inferiore della parete dove il peritoneo è facilmente scollabile, in altri luoghi è poco abbondante e stringe e lega solidamente il peritoneo alla parete. 1) IL PERITONEO PARIETALE Tappezza la faccia profonda della cavità addominale. Si distigue: -
il peritoneo parietale diaframmatico
-
il peritoneo parietale posteriore
-
il peritoneo parietale anteriore
-
il peritoneo parietale inferiore o pelvico
71
a) il peritoneo parietale diaframmatico Aderisce fortemente alla faccia inferiore del diaframma eccetto a livello del legamento coronale del fegato, come vedremo più avanti. b) il peritoneo parietale posteriore Riveste la fascia trasversale e, attraverso il suo intermediario, la parete addominale posteriore, dalla quale è separato dallo spazio retroperitoneale dove alloggiano: grossi vasi paravertebrali come l’aorta e la vena cava (sulla linea mediana) e reni, surreni e ureteri (lateralmente). Segnaliamo che l’uretere attraverso la sua guaina connettiva, formata dalla fascia sottoperitoneale, aderisce in avanti al peritoneo. L’uretere accompagna il peritoneo quando lo si scolla. c) il peritoneo parietale anteriore Riveste la faccia profonda della parete anterolaterale dell’addome, dalla quale è separato attraverso uno spazio di cellule sottoperitoneali, che diventa sempre più stretto via via che ci si dirige in avanti verso la linea mediana. Nella sua parte sotto-ombelicale si allontana sempre più dalla parete, spinto indietro dall’aponeurosi ombelico-prevescicale. A questo livello è sollevato dall’uraco e dai legamenti ombelicovescicali laterali che creano a livello della sua faccia interna tre fossette: -la fossetta inguinale interna -la fossetta inguinale media -la fossetta inguinale esterna La fossetta esterna costituisce uno dei punti deboli della parete addominale( l’orifizio interno de canale inguinale) da dove possono infiltrarsi le anse intestinali e creare delle ernie inguinali. Un po’ al di sotto dell’arcata crurale il peritoneo parietale anteriore è separato dal piano parietale attraverso uno spazio di cellule: lo spazio di Bogros. d) il peritoneo parietale inferiore o pelvico Riveste le pareti della cavità pelvica lateralmente e, sulla linea mediana, ricopre lo spazio sottoperitoneale e i visceri che questo contiene, da dietro in avanti: retto, organi genitali interni, vescica. Riveste le facce laterali e superiore della vescica alla quale aderisce fortemente. Dietro la vescica: - nell’uomo, ricopre la base delle vescicole seminali, costituisce il fondo di sacco di Douglas e ricopre indietro il retto, dove va a formare per ogni lato i solchi laterorettali. -
nella donna aderisce fortemente al parametrio, che ricopre l’utero e gli annessi e forma due cul de
sac: uno anteriore (il cul de sac vescicouterino, poco marcato) e uno posteriore (il cul de sac di Douglas). Da notare che i cul de sac possono essere la sede di: 72
-depositi di liquidi (soprattutto quello di Douglas che è in discesa) -migrazione di anse intestinali che vengono ad incastrarvisi. 2) IL PERITONEO VISCERALE Riveste la faccia profoda del peritoneo parietale e la faccia superficiale dei visceri addominali aderendovi strettamente. I foglietti peritoneali delimitano la cavità peritoneale occupata dai visceri digestivi. Questa cavità è divisa da un certo numero di pieghe che formano dei setti, delle fossette ed anche dei recessi. Il più importante di questi recessi è la retrocavità degli epiploon, che permette di dividere la cavità peritoneale in due parti: -grande cavità peritoneale -retrocavità degli epiploon Uno dei più importanti ripiegamenti peritoneali lega il colon trasverso alla parete posteriore e forma un setto obliquo in basso e in avanti, che divide la grande cavità peritoneale in due piani: -piano sopramesocolico -piano sottomesocolico Adesso andremo a interessarci alle pieghe peritoneali, la loro formazione è molto complessa e per una migliore comprensione è preferibile rimandare all’embriologia. 3) LE DIVERSE PIEGHE PERITONEALI La sierosa peritoneale è molto complessa a causa di un gran numero di pieghe peritoneali che portano il nome di: -
mesos
-
legamenti
-
epiploon
a) I mesi I mesi uniscono i visceri addominali alla parete e apportono loro la propria vascolarizzazione e innervazione. Un meso si costituisce ogni volta che il peritoneo parietale, riflettendosi sul peritoneo di un viscere, racchiude i vasi e i nervi che si recano a questo viscere. La zona parietale circoscritta fra due foglietti che costituiscono il meso, rappresenta la radice di inserzione del meso. La lunghezza del meso dà ad ogni organo una mobilità più o meno grande all’interno della cavità peritoneale. Tramite la disposizione primaria embriologica si può distinguere: -un mesogastro a livello dello stomaco -un mesentere a livello dell’intestino tenue -un mesocolon a lilvello dell’intestino crasso. 73
Secondariamente a causa dell’allungamento dell’intestino primitivo e delle rotazioni gastriche e intestinali, alcuni organi si trovano applicati contro la parete addominale posteriore; il foglietto posteriore del meso si fonde con il peritoneo parietale posteriore e si dice che si realizza un’accollamento. Le fasce sono dunque dei piani di divisione avascolarizzati, che mantengono applicati alla parete, più o meno fortemente, gli organi che rivestono. Dopo la nascita la parte terminale dell’esofago e la parte iniziale dello stomaco, oltre che l’estremità sinistra del pancreas, sono unite dall’intermediario del mesogastro posteriore: -il duodeno-pancreas è anche egli unito attraverso l’intemediario della fascia di Treitz -il colon ascendente e discendente è unito dall’intermediario della fascia di Toldt. Lo stomaco , il primo duodeno, l’intestino tenue, il colon trasverso e il colon sigmoide restano mobili e legati alla parete attraverso dei mesi. Andiamo adesso a studiare i mesi e i loro derivati, le fasce di unione. b) I differenti mesi -I mesi dello stomaco (fig 53) Costituiti dalla falci vascolari, sono due: la falce della coronaria e la falce dell’epatico. La falce della coronaria o legamento gastropancreatico di Huske è tesa dal tronco ciliaco al terzo superiore della piccola curvatura; il suo bordo inferiore libero, concavo in basso, orientato in avanti e a destra, limita in alto il “foramen bursae omentalis”, che dà accesso alla retrocavità degli epiploon. La falce dell’epatico o legamento duodeno-pancreatico è orientato in senso inverso; il suo bordo superiore libero, concavo in alto limita la parte bassa del foramen. -Il mesentere Meso delle anse tenui, le lega alla parete addominale posteriore e assicura loro una vascolarizzazione e una innervazione propria. Ha la forma di un segmento di cerchio di cui: -la corda è il bordo parietale o radice -la periferia è il bordo intestinale di una lunghezza da 5 a 6 metri ed è molto mobile. La radice costituisce la parte fissa, solidamente attaccata alla parete addominale posteriore soprattutto nella sua parte media. Lunga 15 centimetri larga 18 millimetri, disegna una linea spezzata obliqua in basso e a destra. Vi si distinguono tre segmenti:
74
-il superiore, obliquo in basso e a destra, si estende dall’angolo duodeno-digiunale, dove è fissato fortemente all’apofisi trasversa sinistra della seconda lombare e attraverso il muscolo di Treitz al bordo inferiore del terzo duodeno; dunque davanti al corpo di L3 -il medio verticale, più corto, rappresenta l’elemento più fisso. È al suo livello che i vasi mesenterici superiori penetrano nel mesentere. Si proietta su L3, L4. -l’inferiore di nuovo obliquo in basso e a destra, si estende dal disco di L4-L5 all’angolo ileo-ciecale al sotto del’arteria iliaca primitiva destra, incrociando l’uretere e i vasi spermatici ( o lombo ovarici). -Il meso colon trasverso Forma una lamina trasversale tesa fra la parete addominale destra e quella sinistra. Obliquo in basso e in avanti separa la cavità peritoneale in due parti: -superiore o sopramesocolica -inferiore o sottomesocolico Il mesocolon lega il colon trasverso alla parete posteriore. Il suo bordo anteriore è molto lasso, soprattutto a sinistra, il bordo posteriore si fissa alla parete posteriore. Incrocia la testa del pancreas alla quale aderisce, passa al di sopra dell’angolo duodeno-digiunale,costeggiando il bordo inferiore del corpo del pancreas; nella ua parte sinistra costituisce la parete inferiore della retro cavità degli epiploon. -Il meso-sigmoideo Il colon sigmoide è legato alla perete posteriore attraverso un meso a doppia radice: -una radice primaria che discende verticalmente e medialmente e che va dalla mesenterica inferiore alla faccia anteriore di S3. -una radice secondaria obliqua in basso e a sinistra, che va dal mesentere inferiore al bordo interno dello psoas sinistro; costeggia il bordo esterno dei vasi iliaci primitivi e poi quelli esterni, incrociando i vasi spermatici (o lombo-ovarici) e l’uretere. Dei mesi si staccano dalle espansioni che legano il colon sigmoide alla parete e agli organi vicini e costituiscono dei legamenti: -il legamento colon-iliaco,che unisce il colon alla parete iliaca sinistra e prolungando verso sinistra la radice secondaria. -il legamento colon-tubaio, incostante teso tra il meso-sigmoide e la tuba sinistra -il legamento colon-mesenterico, mutevole, teso da sinistra a destra dal meso-sigmoide al foglietto destro del mesentere.
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c) Le fasce Rappresentano,
come
abbiamo
detto,
un’unione dei mesi. -La fascia di Treitz(fig 54) Fascia di unione del duodeno e della testa del pancreas, unisce solidamente questi organi alla parete posteriore, poiché il suo punto massimo di fissaggio è l’angolo del 2°-3° del duodeno e la sua espansione sull’apofisi trasversa di L2, il muscolo di Treitz. Anche questo invia una espansione sul pilastro sinistro del diaframma, sul bordo destro dell’esofago e sulla circonferenza dell’orifizio dell’aorta. -La fascia di Toldt Fascia di unione alla parete posteriore del colon ascendente e discendente. Per il colon ascendente, si estende dal cieco all’angolo colico destro. Fissa il colon al peritoneo parietalle posteriore; tuttavia in un certo numero di casi l’unione non esiste e il colon è totalmente libero nella cavità addominale. La fascia si prolunga verso il basso con il legamento laterocolico, che lega il bordo esterno del cieco alla parete lomboiliaca. Il bordo esterno del cieco è legato alla parete iliaca anche attraverso l’intermediario del legamento retro-ilio-colico, che non è altro che un prolungamento dell’inserzione bassa della radice del mesentere. La radice del mesentere fornisce il mezzo di fissazione dell’appendice e cioè il mesoappendice che emette anch’esso un prolungamento inferiore: il legamento appendico-ovarico. Nella parte superiore, la fascia di Toldt si prolunga fino all’angolo colico destro dove forma il piano profondo di fissazione o lamina fissatrice del gomito destro di Buy, dove si può individuare : -un legamento reno-colico -un legamento freno-colico Ricordiamoci che gli altri legamenti fissano l’angolo colico destro : -sul piano medio i legamenti cisto-duodeno-colico ed epato-colico -sul piano superficiale il legamento omento-colo-parietale Per quanto riguarda il colon discendente, la fascia si estende dall’angolo colico sinistro al colon sigmoide. Fissa il colon al peritoneo posteriore e si prolunga in basso attraverso il meso sigmoide. Nella sua parte superiore forma il il piano profondo di fissazione dell’angolo colico sinistro, attraverso la lamina fissatrice del gomito sinistro di Buy. 76
Ricordiamoci gli altri legamenti che fissano l’angolo sinistro: -nel piano medio attraverso il legamento spleno-colico, prolungamento verso il basso dei legamenti gastro e pancreatico-splenici -nel piano superficiale, il più importante, attraverso il legamento frenico-colico sinistro, che costituisce anche il letto della milza, la cui base riposa sulla sua faccia superiore. Bisogna notare che il colon si stacca facilmente dalla parete posteriore e che il peritoneo posteriore ha la tendenza a prolungarsi verso il centro dell’addome; questo spiega il perchè sia molto più facile ricondurre il colon verso la zona mediana dell’addome piuttosto che distenderli verso l’esterno. d) I legamenti
Vanno sotto questo nome (legamenti peritoneali) delle lamine peritoneali a due foglietti che legano i visceri tra loro o un viscere alla parete addominale, senza contenere dei peduncoli vascolari importanti. Alcuni sono il risultato di una riflessione peritoneale, altri sono il prolungamento dei mesi o dell’epiploon. Questi legamenti sono molto numerosi. Alcuni rappresentano dei mezzi di fassazione molto solidi, altri sono incostanti e variabili e hanno un ruolo di contenimento minore. Distinguiamo: -Il legamento rotondo del fegato È un residuo della vena ombelicale; forma una vasta piega sagittale chiamata legamento falciforme o legamento sospensore. Rappresenta un setto verticale e anteroposteriore che va dall’ombelico alla faccia postero-superiore del fegato e lega la faccia convessa del fegato al diaframma e alla parete anteriore dell’addome. È costituito da due foglietti uniti nella loro parte anteriore fino all’ombelico, dove si prolunga attraverso il legamento vescico-ombelicale mediale (“vestigio dell’uraco”). Nella sua parte posteriore, a livello del bordo postero-superiore del fegato, i due foglietti si separano e si dirigono: uno a destra sul lobo destro del fegato, l’altro a sinistra su tutta l’ampiezza del lobo sinistro, dove si prolunga col foglietto superiore del legamento coronario. -Il legamento coronario Unisce la faccia posteriore del fegato al diaframma e comprende due foglietti: -un foglietto antero-superiore che si riflette dal diaframma sul fegato costeggiando il suo bordo posterosuperiore. Sulla linea mediana si prolunga attraverso il legamento falciforme come possiamo vedere. -un foglietto inferiore che si riflette sulla porzione verticale del diaframma, costeggia il bordo inferiore poi la vena cava inferiore, infine la parte trasversale del canale di Aranzio dove raggiunge il foglietto posteriore del piccolo epiploon. Il legamento coronario emette tre prolungamenti attorno alla vena cava inferiore: 77
-il meso epato-cavo, incostante, che si prolunga attorno alla vena cava inferiore -I legamenti triangolari destro e sinistro formati dall’unione dei foglietti superiore ed inferiore del legamento coronario. Questi due legamenti terminano con un bordo libero teso verticalmente dal diaframma alla faccia superiore del fegato. Ricordiamoci che dal punto di vista embriologico, il fegato si sviluppa dal setto trasverso (che costituirà il centro frenico del diaframma) il quale ha origine dall’arco branchiale. Per il suo aumento di volume, discende nella cavità addominale e stira la sue inserzioni per formare i legamenti coronario, falciforme e piccolo epiploon. Il fegato è circondato dalla capsula di Glisson che proviene dal centro frenico; sarà in seguito interamente ricoperto dal peritoneo eccetto a livello del piano di allontanamento del legamento coronario dove è direttamente in contatto con il diaframma. -Il legamento gastro-frenico Punto di riflessione sul peritoneo diaframmatico dei due foglietti del peritoneo gastrico, si estende dal versante posteriore della grande tuberosità al foglietto sinistro del diaframma. Si continua: -a destra con la porzione alta del piccolo epiploon -a sinistra con l’epiploon gastro-splenico. -Il legamento gastro-colico Teso dalla grande curvatura dello stomaco al colon trasverso, deriva dal grande epiploon. -Il legamento largo Lo si può considerare come un legamento che fissa fortemente il peritoneo sull’utero e i suoi annessi come noi l’abbiamo già visto. -Il legamento sospensore degli angoli colici Sono i legamenti parieto-colici destro e sinistro, espansione laterale del grande epiploon e mezzo di fissazione più importante delle anse coliche. e) Gli epiploon Sono delle lamine peritoneali che talvolta contengono uno o più peduncoli vascolari e si portano da un organo all’altro all’interno della cavità peritoneale. Esistono quattro epiploon di cui tre si fissano sullo stomaco: -Il piccolo epiploon o epiploon gastro-epatico È una lamina quadrilatera situata in un piano frontale e tesa : dalla piccola curvatura dello stomaco, bordo mediale dell’esofago addominale e dal primo duodeno, alla faccia inferiore del fegato a livello dell’ilo (per poi curvare all’angolo destro in dietro, per seguire il canale di Aranzio e il canale verticale sinistro) e alla faccia posteriore del fegato prima di andare ad inserirsi sul diaframma. Ricordiamoci che il piccolo epiploon riceve delle espansioni dal legamento coronario e dal legamento gastro-frenico. Lascia a destra 78
un bordo libero che costituisce lo iato di Winslow che dà accesso alla retrocavità degli epiploon. Nel suo spessore decorrono la vena porta, il coledoco e l’arteria epatica e i peduncoli nervosi del fegato. -Il grande epiploon o epiploon gastro-colico (fig 53) È una lamina quadrilatera che ricopre in avanti l’intestino come un grembiule più o meno esteso. Si fissa in alto sulla grande curvatura dello stomaco, forma il legamento gastrocolico, passa in avanti al colon trasverso dove aderisce per poi discendere nella cavità addominale e terminare in un bordo libero. Lateralmente invia delle epansioni alle pareti addominali, che costituiscono i legamenti sospensori delle anse coliche. A livello del suo bordo sinistro il legamento gastro-colico si continua in alto a sinistra con l’epiploon gastrosplenico. È una vasta lamina peritoneale che comprende quattro foglietti accolati. -Epiploon gastro-splenico Prosegue verso l’alto il legamento gastro-colico. È una lamina a due foglietti tesa dalla grande curvatura dello stomaco fino al versante anteriore dell’ilo della milza. A questo livello i due foglietti si separano: quello anteriore riveste il versante anteriore della faccia interna della milza; quello pesteriore si riflette a livello dell’ilo della milza per formare il foglietto antero-destro dell’epiploon pancreatico-splenico. -Epiploon pancreatico-splenico Formato da due foglietti, si inserisce in dietro e in dentro a livello dell coda del pancreas e sul piano parietale posteriore e si estende fino all’ilo della milza. Il suo foglietto antero-destro si prosegue con il foglietto posteriore dell’epiploon gastro-splenico. Il suo foglietto posteriore, molto breve, si riflette al di fuori per divenire peritoneo parietale posteriore. -Retrocavità degli epiploon I quattro epiploon determinano dietro lo stomaco una cavità appiattita in senso antero-posteriore, la retrocavità degli epiploon, delimitata: -in dietro dal peritoneo parietale posteriore -in avanti dal piccolo epiploon, faccia posteriore dello stomaco e del colon trasverso -in basso dal mesocolon trasverso che ne forma il pavimento -a sinistra dagli epiploon gastro.splenico e pancreatico-splenico Questa cavità comunica a destra con la grande cavità peritoneale attraverso lo iato di Winslow. La retrocavità degli epiploon rappresenta un piano di scivolamento che permette una grande mobilità dello stomaco nella cavità addominale. L’innervazione del peritoneo avviene attraverso il nervo frenico,
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toraco addominale, e il plesso lombare per le fibre sensitive e vasomotrici. La radice del mesentere contiene delle fibre della sensibilità dolorosa, molto sensibili allo stiramento.
Riassumendo il peritoneo È costituito da due foglietti separati da uno spazio virtuale che permette lo scivolamento: il peritoneo parietale: riveste la faccia profonda della cavità addominale. Si articola in alto con il diaframma, lateralmente con la fascia trasversalis, in basso con gli organi del piccolo bacino e con il peritoneo attraverso le aponeurosi vescico-rettali, vescica-vaginali, retto-vaginale, prostatica. Il peritoneo viscerale: non si modella direttamente sul peritoneo parietale,ma presenta numerosi ripiegamenti chiamati: legamenti ( lamine peritoneali a due foglietti che collegano i visceri fra di loro o un viscere alla parete addominale senza contenere nel suo interno fasci pascolo-nervosi ) Meso: è un legamento che contiene il fascio vascolonervoso destinato all’organo che aggancia alla parete addominale) Fasce: sono un accoramento dei meso Epiploon: sono delle lamine peritoneali che collegano gli organi all’interno della cavità addominale e contengono fasci vascolo nervosi.
PLEURA
FASCIA ENDOTORACICA
PERICARDIO
DIAFRAMMA FASCIA PERIRENALE
FASCIA TRASVERSALIS PERITONEO
FASCIA ILIACA
APENEUROSI OMBELICO PREVESCICALE PARAMETRI ORGANI DEL PICCLO BACINO
APENEUROSI PRESACRALE
FASCIA DI HALBAN
APENEUROSI VESCICO-RETTALE APENEUROSI PERINEALI
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LE APONEUROSI CONTENUTE ALL’INTERNO DI UN CONDOTTO OSSEO O LE MENINGI L’asse cerebro-spinale è interamente avvolto da tre membrane concentriche, le meningi, che sono da fuori a dentro: la dura madre, l’aracnoide e la pia madre. Adesso andremo a studiare la parte craniale e rachidea delle meningi. A-LA DURA MADRE
1) La dura madre craniale (fig 55) È una membrana fibrosa spessa (da 0,3 mm a 1 cm massimo nella circonferenza del foro occipitale) e resistente, costituita da dei fasci di tessuto connettivo uniti a fibre elastiche; riveste la faccia interna della scatola cranica e si unisce intimamente al periostio dove è molto difficile individualizzarla. La distinzione tra periostio e dura madre è chiara nel foro occipitale dove la dura madre, fin lì confusa con il periostio, si separa da questo per continuarsi con la dura madre spinale. In seguito ai lavori di Kuchiwaki e coll. si è visto che lo spesore della dura madre varia in funzione della prssione intracranica. Più la pressione aumenta più lo spessore diminuisce. Descriviamo adesso la faccia interna e la faccia esterna della dura madre. FACCIA ESTERNA Riveste tutta la faccia interna della scatola cranica e aderisce a questa parete attraverso dei prolungamenti fibrosi, vascolari e nervosi. Questa aderenza è diversa sulla volta e sulla base del cranio. Sulla VOLTA l'aderenza è relativamente debole eccetto che a livello delle suture, dove aderisce fortemente. Lo scollamento è relativamente facile nella regione descritta da G.Marchant sotto il nome di zona scollabile: -da avanti a dietro, dal bordo posteriore delle piccole ali dello sfenoide fino a due o tre centimetri dalla pretuberanza occipitale interna. -da alto in basso, da qualche centimetro fuori dalla falce del cervello ad una linea orizzontale che, partendo dal bordo posteriore delle piccole ali, incontra il bordo superiore della rocca e passa al di sopra della porzione orizzontale del seno laterale. Sulla BASE l'aderenza è molto forte soprattutto a livello dei seguenti punti: 81
-apofisi cristagalli -bordo posteriore delle piccole ali dello sfenoide -apofisi clinoidee anteriore e posteriore -bordo superiore della rocca -circonferenza del foro occipitale L'aderenza della dura madre craniale varia anche con l'età; è più pronunciata nell'adulto che nel bambino e aumenta ancora via via che si invecchia, senza considerare le alterazioni patologiche. Lascia ai vasi e ai nervi che escono dl cranio dei prolungamenti che li accompagnano nei rispettivi fori; questi prolungamenti si separano al di là dei fori per continuarsi con il periostio extracraniale e accompagnano: -il grande ipoglosso fino alla fossetta condiloidea anteriore -il vago, il glossofaringeo e lo spinale, oltre che la vena giugulare interna, fino al di sotto del foro lacero posteriore -il nervo faciale e uditivo nel condotto uditivo interno dove la dura madre si fonde al periostio -il nervo mascellare inferiore nel foro ovale -il nervo mascellare superiore nel foro grande rotondo -i filamenti olfattivi fino alle fosse nasali -a livello del foro ottico e della fessura sfenoidale la dura madre penetra nell'orbita dove noi la vediamo da una parte confondersi con il periostio di questa cavità e dall'altra parte fornire al nervo ottico una guaina fibrosa che lo accompagna fino al globo dell'occhio e che qui si confonde, senza demarcazione, con la sclera. La dura madre al di sopra del nervo ottico forma una piega falciforme (tenda del nervo ottico) che va dal limbo sfenoidale alla clinoide anteriore. Il nervo aderisce alle pareti del canale ottico attraverso l'intermediario della sua guaina e questo spiega il perchè esso possa essere leso da fratture irradiate al canale o colpito nel corso di infezionidei seni. Questi prolungamenti contribuiscono ad aumentare ancora le aderenze alla base del cranio. Nel territorio delle suture craniche dei fasci vascolo-nervosi fini, contenuti in tessuto connetivo lasso, lasciano la dura madre per raggiungere il cuoio capelluto in canali sinuosi transossei. FACCIA INTERNA Dalla sua faccia interna la dura madre emette dei prolungamenti che separano le diverse parti dell'encfalo e le mantengono nella loro rispettiva posizione qualunque sia la posizione della testa. Questi setti sono cinque: -tenda del cervelletto ,falce cerebrale, falce del cervelletto, tenda dell'ipofisi, tenda del bulbo olfattivo.
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La TENDA DEL CERVELLETTO è un setto orizzontale esteso tra la faccia superiore del cervelletto, che ricopre, e la faccia inferiore dei lobi occipitali, che riposano su di lei. Caratterizzata da due facce e due bordi faccia superiore: più alta nella parte centrale rispetto ai versanti laterali; a causa dell'inserzione sulla linea mediana della falce cerebrale. Su ciascun lato di questi riposano i lobi occipitali. faccia inferiore: fatta a forma di volta riposa sul cervelletto e sulla sua parte medina si inserisce la falce del cervello. bordo anteriore o piccola circonferenza: fortemente concavo in avanti; forma con l'estremità anteriore del solco basilare il forame ovale di Pacchioni, attraversato dal tronco cerebrale. A ognuna delle sue estremità il bordo anteriore della tenda del cervelletto passa al di sopra della rocca, dove incrocia la grande circonferenza , fuori dall'apofisi clinoidea posteriore, e si fissa sulla sommità e sul bordo esterno dell'apofisi clinoidea anteriore. Le estremità dei due bordi della tenda del cervelletto formano un triangolo, il cui terzo lato è rappresentato da una linea antero-posteriore che unisce le due apofisi clinoidee; Questo triangolo è riempito da una lamina di dura madre nella quale sprofonda l'oculomotore comune e il patetico. Dai tre bordi di questo triangolo si distaccano tre espansioni che discendono verso la base del cranio e vi si fissano solidamente (dalla faccia anteriore della rocca fino alla fessura sferoidale, sul fondo della sella turcica). Queste espansioni formano le pareti: interna, esterna e posteriore dei seni cavernosi. bordo posteriore o grande circonferenza: concavo in dietro, si inserisce da dentro a fuori sulla protuberanza occipitale interna, sulle due labbra del solco del seno laterale, sul bordo superiore della rocca e infine sull'apofisi clinoidea posteriore. Lungo questo bordo sono contenuti i seni laterali in dietro e i seni petrosi superiori di lato. Vicino alla sommità dell piramide petrosa, il bordo posteriore della tenda del cervelletto presenta un orifizio da dove passa il trigemino, orifizio che dà accesso al cavo di Meckel che contiene il ganglio di Gasser. La FALCE CEREBRALE è un setto verticale piazzato nella scissura interemisferica e che separa i due emisferi cerebrali. Presenta due facce, due bordi, una base e una sommità. Le facce corrispondono alla faccia interna degli emisferi cerebrali La base posteriore, inclinata verso il basso e dietro, si continua sulla linea mediana con la tenda del cervelletto, che mantiene tesa. Il seno retto è contenuto lungo la linea di unione tra falce e tenda. La sommità si inserisce sull'apofisi cristagalli e invia un prolungamento nel "foro cieco" Il bordo superiore fortemente convesso, occupa la linea mediana dalla protuberanza occipitale interna fino al foro cieco. In questo bordo alloggia il seno longitudinale superiore
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Il bordo inferiore convesso, sottile, corrisponde alla faccia superiore del corpo calloso ma riposa direttamente su questo solo nella sua parte posterire. Il bordo inferiore contiene nel suo spessore il seno longitudinale inferiore. La FALCE DEL CERVELLETTO è una lamina verticale mediana che separa i due emisferi del cervelletto: -le facce laterali corrispondono agli emisferi cerebellari -la base si porta verso l'alto e si unisce alla parte mediana della tenda del cervelletto -la sommità, diretta in basso e in avanti, si biforca a livello del foro occipitale; le due branche di biforcazione aggirano questo orifizio e si dirigono verso il foro "spezzato" posteriore. Ognuna di queste contiene la parte inferiore del seno occipitale posteriore corrispondente. -il bordo posteriore convesso si inserisce sulla cresta occipitale interna e contiene il seno occipitale posteriore. -il bordo anteriore, concavo e libero è in rapporto con il verme inferiore. La TENDA DELL'IPOFISI è un setto orizzontale teso al di sopra della sella turcica. Si inserisce: -sul bordo superiore della lamina quadrilatera dello sfenoide in dietro -sul labbro posteriore del solco ottico e sulle quattro apofisi clinoidee in avanti si unisce poi alla parete dei seni cavernosi lungo la linea di unione tra parete superiore ed interna di questo seno. Presenta due foglietti: -un foglietto superficiale che è la tenda dell'ipofisi -un foglietto profondo che riveste la sella turcica e raggiunge il foglietto precedente a livello del solco ottico. La tenda dell'ipofisi ricopre l'ipofisi, è forata da un orifizio che serve da passaggio allo "stelo" pituitario e contiene il seno coronario. La TENDA DEL BULBO OLFATTIVO è una piccola piega di dura madre a forma di spicchio di luna tesa da ciascun lato della linea mediana fino al di sopra dell'estremità anteriore del bulbo olfattivo, tra l'apofisi cristagalli e il bordo interno delle bozze orbitarie del frontale. Spesso la tenda del bulbo olfattivo è assente. La dura madre craniale e il cuoio capelluto sono innervate dal trigemino, da alcuni rami cavernosi oltre che dal sistema autonomo. Si distinguono dei rami meningei: 84
-anteriori, dati da fili etmoidali della parte nasale del nervo oftalmico -laterali, dati dalle branche del trigemino. Uno di questi rami meningei, conosciuto sotto il nome di nervo ricorrente di Arnold, nasce dall'oftalmico e si ramifica nella tenda del cervelletto; il ramo meningeo del nervo mascellare superiore passa dal grande foro rotondo e quello del mascellare infreiore dal foro ovale. -posteriore, dato dalle branche dello pneumogastrico e del grande ipoglosso e destinato alla dura madre dalla fossa posteriore, ed inoltre dalle branche meningee di C1-C3 he passano attraverso il forame magno.
2) La dura madre rachidea (fig 56) È un manicotto fibroso che contiene il midolo spinale e le radici rachidee. Si estende dal foro occipitale fino alla seconda vertebra sacrale. Il suo diametro è più grande di quello del midollo e inferiore a quello del canale midollare. ESTREMITA' SUPERIORE Si fissa solidmente alla terza vertebra cervicale, all'asse e alla circonferenza del foro occipitale per prolungarsi con la dura madre craniale. Le arterie vertebrali la attraversano
a
livello
dell'articolazione
occipito-
atlantoidea. ESTREMITA' INFERIORE Discende al di sotto dell'estremità inferiore del midollo e racchiude gli elementi della coda equina e del filo terminale. Termina a fondo di sacco sulla seconda vertebra sacrale, ma si prolunga col filo terminale fino al coccige, attraverso il legamento coccigeo del midollo. Questo legamento si fissa al legamento vertebrale posteriore attraverso un setto mediale completo o aperto (legamento anteriore della dura madre di Trolard). SUPERFICIE ESTERNA È saparata dalle pareti attraverso lo spazio epidurale, occupato dai vasi venosi e da un tessuto adiposo semifluido abbondante soprattutto nella parte posteriore. Questo grasso entra o esce dal canale secondo le variazioni pressorie intratoraciche ed intra-addominali.
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In dietro non presenta alcuna connessione. In avanti lo spazio epidurale è molto stretto; la dura madre è unita al legamento vertebrale posteriore attraverso dei prolungamenti fibrosi abbondanti soprattutto nella regione cervicale e lombare. Hack e coll. Nel corso di dissezioni umane hanno messo in evidenza un ponte fibroso antero posteriore che, a livello occipitale, aggancia la dura madre alla membrana occipito-atlantoidea e, attraverso questa, al piccolo retto posteriore. Le radici dei nervi rachidei attraversano la dura madre e portano con loro dei prolungamenti di questa fino ai fori di coniugazione dove, dopo aver emesso delle ramificazioni sul periostio del foro di coniugazione, si confondono poco a poco col nevrilemma (fig 57). Degli studi fatti da Yaszemki White mostrano che esistono dei legamenti durali lombari che vanno dal tubo durale
al
legamento
comune
vertebrale posteriore e dalla guaina della radice nervosa alla parte interna del peduncolo all'interno del canale neurale. Esistono delle altre connessioni tra la dura madre e le radici nervose. All'interno di questi tessuti ci sono delle vene durali. La connessione tra nervi e legamenti vertebrali nasce dal manicotto durale della radice a livello del disco e termina sull'espansione laterale del legamento vertebrale. Lo spessore di questo legamento varia da individuo ad individuo e da livello a livello. SUPERFICIE INTERNA Corrisponde al foglietto parietale dell'aracnoide. È legata alla pia madre da un tratto di tessuto connettivo : -in senso antero posteriore dove rappresenta soltanto piccoli filamenti -in senso trasversale dove rappresenta una vera e propria membrana che occupa tutta l'altezza del midollo;: il legamento dentato. Tutti questi prolungamenti hanno il fine di fissare e mantenere il midollo al centro del canale fibroso di dura madre oltre che proteggerlo. L'innervazione dell dura madre rachidea avviene attraverso il nervo seno vertebrale di Luschka.
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B-LA PIA MADRE È la più profonda delle tre membrane. È una membrana cellulo-vascolare e per questa ragione viene definita membrana nutritiva. La pia madre forma una guaina a livello dei cordoni nervosi, che li accompagna fuori dal cranio e dal rachide fino alle loro terminazioni; tale guaina è il nevrilemma. 1) La pia madre craniale Più sottile e ricca di vasi rispetto alla pia madre rachidea, è inoltre meno aderente. La pia madre riveste la superficie esterna dell’encefalo, insinuandosi in tutte le anfrattuosità. A livello della protuberanza e dei peduncoli è più aderente che a livello del cervello e del cervelletto. È allo stesso tempo meno vascolarizzata e più resistente. La superficie interna è in rapporto diretto con la sostanza nervosa; le aderisce in maniera lassa attraverso dei filamenti di tessuto connettivo e soprattutto attraverso gli innumerevoili piccoli vasi che ritornano alla sostanza nervosa o che da questa vanno verso la pia madre. La faccia esterna è in rapporto con lo spazio subaracnoideo nel quale circola il liquido cefalorachidiano. A livello della grande fessura di Bichat, la pia madre craniale si insinua all’interno del cervello per formarvi la tela coroidea e i plessi coroidei. 2) La pia madre rachidea Fa seguito alla pia madre craniale e si prolunga in basso attorno al filo terminale, sotto il nome di legamento coccigeo, che si inserisce alla base del coccige. Questo legamento è gracile, ma resistente e contribuisce a mantenere in uno stato di stabilità l’estremità inferiore del midollo spinale. -Faccia interna: aderisce in modo continuo alla sostanza nervosa grazie ai numerosi setti connettivi che penetrano nei fasci bianchi. Del resto, invia anche dei prolungamenti nei solchi mediani anteriore e posteriore. -Faccia esterna: è bagnata dal liquido cefalorachidiano. È legata alla dura madre attraverso dei prolungamenti antero-posteriori e laterali. -Prolungamenti antero-posteriori: sono dei prolungamenti connettivi molto gracili soprattutto in avanti, mentre sono più numerosi e resistenti nella paarte posteriore. Formano sulla linea mediana un vero e proprio setto (setto “posticum” di Schwalbe) e sono sviluppati soprattutto nella regione dorso-lombare. -Prolungamenti laterali o legamento dentellato: è teso trasversalmente dalla pia madre alla dura madre, dalle masse laterali dell’atlante fino a L1. È posizionato tra le radici anteriori e posteriori dei nervi rachidei. Il suo bordo esterno è ornato o dentellato e le dentellature si fissano tra gli orifizi di uscita di due nervi rachidei vicini, sulla dura madre. Tra le due dentellature il bordo esterno è libero e dà passaggio alle radici del medesimo nervo rachideo. Il più cefalico dei legamenti dentati è legato all’arteria vertebrale e al grande ipoglosso nei pressi del foro occipitale.
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C-L’ARACNOIDE È una membrana connettiva sottile compresa tra la dura madre e la pia madre. È unita alla dura madre in tutto il suo decorso. Delimita uno spazio sopra e uno subaracnoideo. Lo spazio sopra-aracnoideo è pressochè virtuale, è attraversato da numerose arterie e vene oltre che da fili nervosi che tornano o partono dal nevrasse; a livello del rachide è attraversato da trabecole connettive e dai legamenti dentati che legano la pia madre alla dura madre. L’aracnoide appare verso il 12-13esimo giorno. A 30 settimane è sottile e ancora incompleta e a 38 settimane diventa più resistente. Dal feto fino a tre anni si nota un aumento del suo spessore e delle sue connessioni. Il legamento dentellato appare attorno al 41esimo giorno. 1) Aracnoide craniale (fig 58) Il
foglietto
viscerale
dell’aracnoide unito alla dura madre non segue la pia madre nelle anfrattuosità dell’encefalo ma passa a ponte al di sopra di queste; ne risulta un allargamento degli spazi subaracnoidei, che formano delle cavità dove si accumulano quantità più o meno importanti
di
liquido
cefalorachidiano. Queste cavità portano il nome di: -confluenti: anteriore (davanti al chiasma ottico); inferiore (dietro al chiasma fino alla pretuberanza); superiore (al di sopra dei tubercoli quadrigemini); pontocerebellari (tra l’estremità inferiore dell’emisfero cerebellare e il bordo laterale della pretuberanza) -cisterne o laghi: cisterna esterna o ambientale (lungo la parte mediana della fessura del Bichat); lago cerebellare superiore (tra la tenda del cervelle e il cervelletto); lago cerebella inferiore o grande cisterna (al di sopra del bulbo e al di sotto del cervelletto). L’aracnoide craniale contiene le granulazioni del Pacchioni, che sono delle piccole masse a forma di gemma presenti soprattutto nelle vicinanze dei seni e che servono al riassorbimento del liquido cefalorachidiano. Queste granulazione si accrescono da dentro a fuori obbedendo ad una forza di espansione eccentrica per venire in contatto con la parete ossea e scavarvi delle fossette più o meno profonde (presenti nel cranio dei vecchi) e andando, in casi estremi, a perforare la calotta cranica facendo sporgere dei tessuti. 88
2) Aracnoide rachidea (fig 59) Segue alll’aracnoide craniale dal foro occipitale fino alla coda equina aderendo alla dura madre. Riveste inoltre tutti gli elementi vascolonervosi, i legamenti dentellati e accompagna le radici nervose fino al foro
di
riflettono.
coniugazione La
faccia
dove
si
interna
dell’aracnoide è rivestita da una leptomeninge; questo è confermato dai lavori di Nicholas e Weller oltre che da Parkinson. Questa leptomeninge esiste a livello midollare ma è assente a livello cerebrale; è presente soprattutto a livello dorsale. Lo spazio subaracnoideo vertebrale è separato attraverso uno strato di pia madre, dagli spazi perivascolari o di Virchow Robin, ciò che non avviene a livello cerebrale. La leptomeninge tappezza la faccia profonda dell’aracnoide a livello mediano, si riflette sulla linea mediana per formare i setti (septa) posteriori, che legano in modo lasso l’aracnoide alla pia madre. È da notare che a livello dorsale esiste un setto laterale. Questa leptomeninge tappezza anche la pia madre e i legamenti dentati. Le fibre di collagene dei legamenti dentati sono più spesse dalla parte che dà verso la dura madre di quella che dà verso la pia madre. La leptomeninge è fenestrata ed ha delle trabecole che si attaccano ai nervi e ai vasi della pia madre oltre che alla pia madre. La pia madre è attaccata al midollo da un contingente di fibre di collagene più abbondanti a livello dorsale (questi legami non sono fenestrati). A livello ventrale è presente una leptomeninge fenestrata meno marcatamente, che stà attorno all’arteria midollare anteriore. Non sono stati messi ain evidenza setti (septa) a questo livello. La leptomeninge e i legamenti sono presenti soprattutto nell’uomo, probabilmente a causa della posizione eretta.. l’aspetto fenestrato attorno ai vasi ha certamente il fine di ammortizzare gli sbalzi pressori durante i cambiamenti di postura. La leptomeninge serve inoltre a mantenere stabili nervi e vasi nello spazio subaracnoideo (anche il midollo spinale). Uno spazio la separa dalla pia madre, qui circola il liquido cefalorachidiano, che a livello midollare è riassorbito dalle guine perivenose e dai gangli extravertebrali. L’aracnoide e la pia madre craniale sono innervate dal plesso nervoso che accompagna i vasi.
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ARTICOLAZIONI DELLE MENINGI
PERIOSTIO E CUOIO CAPELLUTO VENE EMISSARIE VOLTA ENDOCRANICA LEGAMENTO VERTEBRALE POSTERIORE FACCIA LATERALE DELLE VERTEBRE ( LEGAMENTO DENTATO)
MENINGI
PERIOSTIO DEL FORO DI COGNIUGAZIONE
FASCE PERIFERICHE PER I PROLUNGAMENTI NERVOSI SACRO FILO TERMINALE COCCIGE
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ANATOMIA MICROSCOPICA ED ISTOLOGICA Si possono definire i tessuti come il primo livello di organizzazione sopracellulare: sono degli insieme di cellule differenziate che formano una associazione allo stesso tempo territoriale, funzionale e biologica. J Racadot
ANATOMIA MICROSCOPICA DEI TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO J.F.Bernandin e Kaiyos danno una definizione biochimica del tessuto connettivo che si basa sulla presenza in questo tessuto di quattro tipi specifici di macromolecole: collagene, elastina, proteoglicani e glicoproteine di struttura. Associazioni cellulari formano una rete a maglie larghe; queste cellule possono essere fissate o libere in una sostanza intercellulare. Le cellule fisse hanno la denominazione a seconda del tessuto che formano: connettive, cartilaginee, ossee… La sostanza intercellulare si compone di: -
una sostanza fondamentale
-
fibre diverse
si possono distinguere i seguenti tessuti: -
tessuto connettivo (embrionale, reticolare, interstiziale, fibroso, adiposo)
-
tessuto cartilagineo (cartilagine ialina, elastica, fibrocartilagine, tessuto osseo) A- IL TESSUTO CONNETTIVO (fig 61)
Si distinguono diversi tipi di tessuto connettivo. Tuttavia non esiste una linea di demarcazione netta che separa un tipo dall’altro.Il tessuto connettivo è composto da elementi cellulari e sostanza intercellulare. a) Elementi cellulari -
Cellule fisse
Cellule libere
Fibrociti (i cui precursori sono i fibroblasti )
istiociti
Cellule mesenchimali
Mastociti (i più frequenti)
Cellule reticolari
Linfociti
Cellule con pigmenti
Plasmacellule
Adipociti
Granulociti
c) La sostanza intercellulare:Contiene soprattutto fibre -
Fibre reticolari: della stessa struttura delle fibre collagene, si incontrano sotto forma di rete fibrosa attorno ai vasi capillari della sostanza basale nei tubi urinari.
-
Fibre collagene: formate da fibrille tenute insieme da una sostanza cementaria amorfa. Poco estensibili e sempre raggruppate in fasci nei tessuti. Si trovano solitamente nei tendini, membrana del timpano e in alcune fasce.
-
Fibre elastiche: si trovano anche nelle arterie coronarie e in certi legamenti (legamento giallo)
d) La sostanza fondamentale
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Prodotta in parte dalle cellule del tessuto è l’intermediario
dove si effettuano
gli
scambi metabolici tra le cellule e il sangue. d) I diversi tipi di tessuto connettivo -
Il tessuto embrionale: si presenta sotto forma di mesenchima
-
Il tessuto reticolare: si distingue il tessuto linfoide (gangli linfatici) e mieloide (midollo osseo),
-
Il tessuto interstiziale: è lasso, senza forma specifica. La sua funzione è quella di riempire gli spazi tra alcune strutture (muscoli, visceri) formando uno strato di scivolamento. Gioca un ruolo nel metabolismo
generale
rigenerazione. collagene,
e
Contiene:
elastiche,
nella fibre
reticolari,
sostanza fondamentale e cellule. -
Il tessuto fibroso: caratterizzato da una
alta
percentuale
di
fibre
collagene; la sostanza fondamentale e le cellule sono meno abbondanti che nel tessuto interstiziale. Si trova soprattutto nei tendini e nelle aponeurosi palmare e plantare. -
Il tessuto adiposo: si distinguono due tipi: un tessuto adiposo bianco monovacuolare e un tessuto adiposo bruno plurivacuolare. Quest’ultimo è più abbondante nei neonati e permane negli adulti in certi distretti (capsula adiposa dei reni…). Contiene degli adipociti e del tessuto interstiziale. Si distingue: il tessuto adiposo di riserva (dipende dallo stato di nutrizione, presente soprattutto nei cuscinetti adiposi sottocutanei e utilizzato in caso di bisogno) e il tessuto adiposo di edificazione (indipendente dalla nutrizione, lo si incontra nelle articolazioni, nel midollo osseo, nei boli grassi di Bichat).
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B-IL TESSUTO CARTILAGINEO È composto da cellule e da sostanza intercellulare molto ricca in acqua (70%), è pressochè totalmente privo di vasi e nervi. La natura della sostanza intercellulare determina il tipo di tessuto cartilagineo; si distingue: - la cartilagine ialina, - la cartilagine elastica, - la cartilagine fibrosa a) La cartilagine ialina: contiene sostanza intercellulare, numerose fibre collagene di piccolo calibro e delle reti isolate di fibre elastiche. Alla periferia la cartilagine è rivestita dal pericondrio, che è in continuità con questa. La si trova nelle cartilagini articolari, costale, delle vie respiratorie, di coniugazione e nell’abbozzo dello scheletro. b) La cartilagine elastica: la sostanza intercellulare contiene sopratutto reti di fibre elastiche e in misura minore di collagene. La si trova nel padiglione auricolare e nell’epiglottide….. c) La fibrocartilagine: contiene meno cellule, ma è abbondantemente provvista di fasci collageni; la si trova in particolare nei dischi intervertebrali e nei legamenti interpubici della sinfisi. Il disco intervertebrale è tenuto al suo posto da cartilagine ialina molto aderente al corpo vertebrale, all’interno del quale il disco si prolunga e si inserisce attraverso le spine di Schmorl. Il legamento vertebrale comune posteriore aderisce fortemente al disco. Qui troviamo una articolazione e una continuità fasciale tra tessuto osseo cartilagineo e fibroso. IL TESSUTO OSSEO Il tessuto osseo è composto da: -
cellule ossee o osteociti
-
sostanza fondamentale
-
fibrille di collagene
-
sostanza cementante
-
divarsi sali
Appare evidente che l’osso è formato in parte da due strutture che sono i componenti fondamentali di tutti i tessuti: sostanza fondamentale e fibrille collagene. È per questo che si può affermare che l’osso è una fascia densificata al massimo. Le fibrille fanno parte dei costituenti organici dell’osso (in opposizione ai sali che sono i costituenti minerali). La solidità di un osso dipende in parte dai costituenti organici, dal momento che se questi sono in quantità insufficente, l’osso perde la propria elasticità e diviene più fragile. L’osso, come tutta la fascia, deve dunque avere due caratteristiche fondamentali: elasticitàplasticità e solidità. a) I diversi tipi di osso Si possono distinguere due tipi di osso a seconda della disposizione delle fibrille: -
osso reticolare
-
osso lamellare o del canale di Havers 93
Osso
reticolareÈ
il
risultato
della
trasformazione da tessuto connettivo ad osseo. È presente soprattutto durante lo sviluppo e permane nell’adulto vicino alle suture craniche. Osso lamellare (fig 62) Costituisce il restante
delle
ossa.
Presenta
una
stratificazione ben netta, dovuta a degli strati di sostanza fondamentale sotto forma di lamelle alternate con degli strati di osteociti. Questi strati, disposti concentricamente attorno al canale di Havers, costituiscono un osteone. Fra i diversi osteoni si trovano delle lamine interstiziali, essendo i canali di Havers legati fra loro attraverso dei sottili canali obliqui detti canali di Volkmann. La struttura e la disposizione degli osteoni dipende dal carico imposto all’osso (variabilità, adattabilità; ritroviamo lo stesso schema della fascia). Lo sviluppo del tessuto osseo avviene grazie agli osteoblasti, cellule specializzate derivate da cellule mesenchimali (cellule all’origine di tutti i tessuti). Gli osteoblasti secernono una sostanza intercellulare, l’osteoide, che, all’origine è composta da sostanza fondamentale molle e fibre collagene. b) Le diverse modalità di ossificazione Si distingue una modalità di ossificazione diretta o endoconnettiva (fibrosa) e una indiretta o encondrale (per sostituzione di cartilagine). -
ossificazione endoconnettiva: il tessuto osseo si forma a partire dal tessuto connettivo. L’osso inizialmente fibroso si trasforma in seguito in lamellare. Questo tipo di ossificazione si incontra nelle ossa della volta cranica, della faccia e della clavicola.
-
ossificazione incondrale: necessita prima della presenza di parti scheletriche cartilaginee, rimpiazzate in seguito da osso grazie alla presenza di condroclasti, che distruggono il tessuto cartilagineo e permettono agli osteoblasti di formare il tessuto osseo. Si distinguono due tipi di ossificazione encondrale: endocandrale e pericondrale. La prima avviene all’interno della cartilagine a livello delle epifisi mentre la seconda parte dal pericondrio e si limita alla diafisi.
c) Il periostio E’ una membrana fibroelastica che riveste interamente l’osso eccetto a livello delle cartilagini. A livello delle inserzioni muscolari e fasciali si confonde con queste ultime (prova della continuità ininterrotta delle fascie). L’aderenza all’osso è molto variabile: -molto aderente alle ossa corte -debolmente aderente alle ossa larghe 94
-aderenza debole a livello delle diafisi e forte a livello delle epifisi nelle ossa lunghe Questa proprietà del periostio è dovuta : - all’inserzione dei tendini e delle fascie all’osso, ed è questa che fissa il periostio all’osso - all’inserimento nell’osso di vasi e nervi generati dal periostio - alla penetrazione nell’osso di fibre di tessuto connettivo generate nel periostio e che costituiscono le fibre di Sharpey (continuità fascia, periostio, osso, punto terminale di arrivo delle fasce). -
Faccia interna: porta sulla sua superficie le ramificazioni vascolari e nervose destinate all’osso. Inoltre esiste uno strato di cellule midollari che entrano a far parte della crescita in spessore dell’osso.
-
Faccia esterna: è in rapporto con muscoli tendini e fasce. A tratti è anche in rapporti con la pelle e ne è separata da una fascia o da un tessuto cellulare poco denso (tibia, osso malare).
-
Struttura: costituita da tessuto fibroso di cui si distinguono due strati: uno esterno, formato da tessuto connettivo misto a fibre elastiche e uno interno formato dai medesimi elementi ma che è più sottile. Lo strato interno è più sottile, la rete elastica è più stretta. Da questo strato partono delle fibre di tessuto connettivo e di fibre elastiche che penetrano nell’osso: le fibre di Ranvier. Lo strato interno, inoltre, dà vita agli osteoblasti, che spariscono alla fine della crescita, ma che riappaiono in qualunque momento per riformare l’osso in caso di frattura. Il periostio è molto vascolarizzato e serve alla nutrizione dell’osso, ne è prova il fatto che se lo si toglie, l’osso si necrotizza. Nel periostio penetra una maglia molto importante di fili nervosi e questo ne spiega la sua sensibilità; una parte di questi fili penetra nell’osso con il sistema vascolare. Esiste anche una larga rete di canali linfatici.
d) Organizzazione del tessuto osseo L’osso è costituito da cellule (osteoblasti, osteoclasti e osteociti) e da matrice extracellulare. -
matrice extracellulare: è fatta da una matrice organica di sostanza fondamentale e di fibre collagene mineralizzate oltre che da una componente di sali minerali.
matrice organica: comprende fibre collagene e sostanza fondamentale. Le fibre collagene sono molto numerose. Si può mettere in evidenza delle fibre tubulari intraossee che sarebbero il prolungamento delle fibre di inserzione dei tendini o della fascia. Sono le fibre di Charpey. La sostanza fondamentale è meno abbondante e contiene mucopolisccaridi, glicoproteine, proteine di struttura, acqua ed elettroliti. sali minerali: danno la durezza al tessuto osseo. Sono cristalli di idrossipatite di calcio e fosfato. -
formazione e riassorbimento di tessuto osseo: per tutta la vita il tessuto osseo è la sede di un rinnovamento permanente attraverso un processo distruttivo e uno costruttivo. 95
Formazione di tessuto osseo: gli osteoblasti attraverso la secrezione e la sintetizzazione di glicoproteine, mucopolisaccaridi e molecole di tropocollagene formano una sostanza preossea. In seguito si ha la mineralizzazione attraverso depositi di un sale fosfocalcico e costruzione di cristalli di idrossipatite. Riassorbimento di tessuto osseo: entrano in gioco due processi che sono il riassorbimenro osteoclastico e quello periosteocitario. Il riassorbimento osteoclastico è stimolato dall’ormone paratiroideo. L’osteoclasta secerne ioni H+ (solubilizzano la sostanza minerale), idrolasi acide (polimerizzano le glicoproteine e i mucopolisaccaridi), collagenasi (attaccano il collagene). Nel riassorbimento periosteocitario alcuni osteoclasti hanno una attività più litica e determinano la demineralizzazione e la lisi del tessuto osseo che li circonda. Per concludere questo capitolo sul tessuto connettivo andiamo a dire qualche parola sul tessuto muscolare, nervoso, epiteliale e la pelle, perchè ognuno di questi tessuti è in parte in rapporto con il tessuto connettivo e quest’ultimo forma la loro matrice di supporto e sostegno. D) IL TESSUTO MUSCOLARE Il tessuto muscolare è indissociabile dalla fascia. Quest’ultima gli fornisce i suoi rivestimenti, rappresenta un punto di appoggio e di inserzione del muscolo e gli porta il sistema neurovascolare (fig 63). Il muscolo si divide in più unità circondate da una fascia o perimisio esterno. Questo si sdoppia per formare una guaina, grazie al perimisio interno, ad un fascio primitivo. Anche il perimisio interno si sdoppia per formare l’involucro
connettivo
della
fibra
muscolare: il sarcolemma che chiude le miofibrille,
che
rappresentano
l’unità
muscolare. Il muscolo si prolunga senza discontinuità
attraverso
un
tendine
(convergenza di fasce o membrane che formano un fascio molto spesso, resistente ed elastico). Questo tendine è formato da due tipi di tessuto connettivo: tessuto fibroso e tessuto cellulare lasso. È costituito da fasci primitivi o fibre circondate da una guaina. Questi fasci si 96
attaccano gli uni agli altri per formare dei fasci secondari circondati da una membrana, loro stessi raggruppati in fasci, che costituiscono il tendine; anch’esso inguainato da una membrana. Alcune masse tendinee hanno sviluppato in loro delle vere e proprie ossa a spese del tessuto tendineo; queste sono le ossa sesamoidi di cui la più notevole è la rotula. Il tessuto muscolare si divide in due categorie: -
Tessuto muscolare liscio
-
Tessuto muscolare striato scheletrico
Tessuto muscolare liscio: comprende un nucleo centrale, il citoplasma con dei miofilamenti, una membrana plasmatica rivestita da una lamina basale sulla quale si inseriscono dei fasci di fibre collagene. Tessuto muscolare striato scheletrico: circondato da una lamina basale, la cellula muscolare striata possiede parecchie centinaia di nuclei situati contro la membrana plasmatica. I fasci muscolari sono uniti da tessuto connettivo vascolare. Le inserserzioni scheletriche avvengono attraverso l’intermediario dell’aponeuresi e dei tendini di cui le fibre di collagene si inseriscono alle estremità di ogni cellula muscolare. E- IL TESSUTO NERVOSO I nervi sono composti da srtutture nervose conduttrici e dai loro apparati mesenchimali di sostegno e di protezione. 1) Il tessuto del sistema nervoso centrale Il tessuto di sostegno e di rivestimento del sistema nervoso centrale è la nevroglia, di origine ectodermica, che qui assume la funzione di tessuto connettivo (sostegno, scambio, riassorbimento e formazione di cicatrici durante i processi patologici). Si distinguono tre tipi di cellule: -
astrociti: protoplasmatici (più frequenti nella sostanza grigia) e fibrosi (hanno dei prolungamenti esili e predominano nella sostanza bianca). Quando si ha distruzione del tessuto centrale formano cicatrici di tessuto gliale. Gli astrociti sono gli elementi di sostegno alla periferia del cervello e formano la membrana gliale limitante. Inviano dei prolungamenti verso i vasi: le trombe vascolari che contribuiscono con la membrana basale all’isolamento del tessuto cerebrale ectodermico in rapporto al tessuto capillare mesodermico e formano anche la barriera ematoencefalica selettiva per le sostanze del torrente sanguigno. Gli astrociti possiedono una debole motilità.
-
Oligodendrociti: accompagnano le cellule nervose a livello della sostanza grigia . invece a livello della sostanza bianca si dispongono in fila tra le fibre nervose e sono considerate come le generatrice di guaina mielinica. Sono animate da una pulsazione che contrae e dilata i loro corpi cellulari, seguendo un ritmo regolare. 97
-
Microglia: al momento della distruzione di un tessuto, queste fagocitano i frantumi e cambiano di forma; si mettono rapidamente tra i prolungamente astrocitari , cambiando continuamente di forma.
La nevroglia circonda e protegge il neurone, che costituisce l’unità funzionale del sistema nervoso. Il neurone è costituito da un corpo cellulare, centro trofico della cellula, dai dendriti, prolungamenti che costituiscono legami di ricezione e di influsso e dall’assone, prolungamento principale rivestito di una guaina di Schwann mielinizzata o no, che conduce l’influsso nervoso. Una fibra nervosa contiene nella sua parte centrale l’exoplasma, sostanza semifluida che scorre dal corpo cellulare verso la periferia. 2) I nervi periferici (fig 64) La sua unità di base è costituita dalla fibra nervosa il cui corpo cellulare è situato nel midollo o nei gangli cranio-rachidei. Questa fibra è circondata da una guaina di Schwann mielinizzata o non. Questa guaina è formata da fibrille di collagene, a disposizione longitudinale, che, con la membrana basale, formano la guaina endoneurale. Le fibre si raggruppano in fascicoli nervosi e rappresentano l’unità anatomico-funzionale del nervo. All’interno dei fascicoli si trova un tessuto connettivo lasso, l’endonevrio, dove sono immerse le fibre. I fascicoli sono circondati dal perinevrio costituito soprattutto da fibre longitudinali. La percentuale di fibre elastiche circolari spiega la resistenza meccanica dei nervi priferici;
negli arti inoltre il perinevrio è rinforzato a livello delle
articolazioni. I fasci nervosi sono immersi nel perinevrio, un tessuto connettivo lasso che contiene: tessuto adiposo, vasi sanguigni e linfatici. Il tutto è circondato dal nevrilemma, un prolungamento della pia madre e della dura madre (i punti di vista dvergono a seconda degli autori) e ciò da vita ad un nervo periferico. Ogni nervo si dirige verso la sua destinazione supportato da una fascia che forma una guaina supplementare volta a contenere, proteggere e vascolarizzare il nervo stesso. Il nervo è circondato dal nevrilemma (prolungamento periferico della pia madre). All’interno dell’epinevrio ogni fascio nervoso è circondato da una guaina di tessuto connettivo, il perinevrio. Questo forma una barriera di diffusione che separa l’epinevrio, che gioca un ruolo di protezione, dal tessuto connettivo intrafascicolare chiamato endonevrio.
98
F-I TESSUTI EPITELIALI DI RIVESTIMENTO Sono fatti di cellule strettamente sovrapposte e rivestono il corpo e le cavità dell’organismo. a) Sistema di unione intercellulare Le cellule sono unite da delle interdigitazioni della loro membrana plasmatica e soprattutto dal sistema di unione intercellulare, che assicura all’epitelio una notevole coesione. Questi sistemi sono di tre tipi: congiunzione di tipo occludente (serrate – chiuse) due membrane adiacenti sono fuse lungo creste lineari formate da un seguito di proteine di membrana incastrate l’una nell’altra a modo di una chiusura lampo; congiunzione di tipo aderente comportano la presenza di un materiale adesivo intercellulare; congiunzione di tipo comunicante cellule adiacenti che sono unite tra loro da una sorta di canali tubulari formati da proteine di membrana che permettono il passaggio diretto da una cellula all’altra. b) Relazioni tra epitelio e tessuto connettivo (fig 65) La faccia apicale degli epiteli è direttamente in contatto con il lume della cavità che riveste. La faccia basale riposa su un tessuto connettivo attraverso una membrana basale formata da sostanza fondamentale. Questa membrana basale è costituita da due strati : -uno strato superficiale o lamina basale, formata da glicoproteine e collagene tpo IV -uno strato profondo formato da fibre reticolari Il suo ruolo è duplice: sostegno e barriera (filtrazione, diffusione, scambi). c) Differenziazione
cellulare
e
specializzazione
funzionale Per garantire tutte le loro diverse funzioni gli epiteli hanno spesso differenziazioni cellulari particolari. La durata di vita di tali cellule è breve e il rinnovamento avviene attraverso cellule epiteliali indifferenziate situate nella membrana basale: -cellule cheratinizzate dell’epidermide, che hanno un ruolo di protezione -cellule pigmentate della retina che producono melanina per proteggere dalla luce -cellule sensoriali o neurosensoriali dell’orecchio interno per l’udito e poi per il gusto e l’olfatto -cellule dell’epitelio di scambio nel mesotelio delle sierose, nell’epitelio alveolare dei polmoni,.. -cellule cigliate, a livello delle vie respiratorie e genitali (tube) e nelle ghiandole -cellule piatte striate, dai bordi a spazzola o stereociglia, specializzate nei fenomeni di assorbimento.
99
G-LA PELLE Ricopre la faccia esterna del corpo,
misura
circa
1,6
metri quadrati. A livello degli orifizi del corpo si continua con le mucose. 1) Differenti
strati
di
pelle (fig 66) Troviamo
andando
dall’esterno all’interno tre strati: -
EPIDERMIDE: epitelio pluristratificato e cheratinizzato composto a sua volta da più strati. Le cellule dell’epidermide migrano dalla base fino alla superficie in circa 30 giorni. Possiamo distinguere uno strato più profondo (strato basale) che riposa su una lamina di tessuto connettivo basale che fa da supporto cellulare alla pelle e separa derma da epidermide; qui le cellule mandano numerose espansioni che fanno da fissazione e nutrimento. Risalendo troviamo lo strato spinoso, che ha spazi intercellulari più larghi e stabilizzati da tonofibrille; lo strato lucido con eleidina e carotene; lo strato corneo, luogo di cheratinizzazoione e desquamazione.
-
DERMA: grazie all’alta percentuale di fibre collagene è lo strato della pelle meccanicamente più efficace. Il cuoio proviene dal derma. L’elasticità della pelle viene fuori dai diversi angoli che formano le maglie tra loro. Delle reti elastiche assicurano la reintegrazione degli strati fibrillari dopo la loro deformazione; sono dei legami trasversali, che sono i responsabili delle pieghe cutanee e si traducono nell’adulto e soprattutto nei vecchi in una pelle flaccida e rugosa. Il derma contiene la radice dei peli, le ghiandole, i vasi sanguigni, le cellule connettive e cellule libere del sistema immunitario, oltre a strutture nervose. Il derma è composto da più strati:
Strato papillare: è situato immediatamente sotto la membrana basale ell’epidermide. Esiste uno stretto rapporto con quest’ultima attraverso le fibre di reticolina che sono a loro volta in rapporto con i prolungamenti cellulari dello strato basale. Strato reticolare: è costituito da fasci di fibre collagene aggrovigliati, è questo strato che determina la resisistenza alla rottura della pelle. Infatti le fibre del derma sono orientate cosi bene, che se si perfora la pelle non si forma un buco ma una fessura allungata. I chirurghi tengono conto delle linee di apertura; un incisione parallela a queste linee, le allontana invece di sezionarle, favorendo la cicatrizzazione. Una tensione importante porta a strappi con formazioni di smagliature.
100
-
IPODERMA: è una fascia lassa in continuità con il derma e realizza uno strato di scivolamento. Gioca il ruolo di riserva di grasso, che è anche un fattore di regolazione termica. La ripartizione di tessuto adiposo è sotto il controllo del sistema endocrino. L’ipoderma riposa sulla fascia superficialis, ma non ovunque; questo per esempio non avviene nel volto dove l’ipoderma posa direttamente sui muscoli favorendo così la mimica facciale.
2) Ruolo della pelle -
Protezione: la pelle protegge il corpo contro le aggressioni chimiche, meccaniche, termiche, così come dai numerosi agenti patogeni.
-
Immunitario: la pelle possiede cellule immunologiche e partecipa al sistema di difesa dell’organismo
-
Regolazione termica: attraverso modificazioni della perfusione sanguigna e dell’eliminazione di liquido dalle sue ghiandole
-
Regolazione dell’equilibrio idrosalino: protegge il corpo dalla disidratazione eliminando l’acqua e i sali attraverso le ghiandole sudoripare.
-
Organo di senso: attraverso le proprie numerose strutture nervose percepisce la pressione, la temperatura e il dolore. È un organo di comunicazione per la sua capacità di arrossarsi, sbiancare e per il fenomeno dell’orripilazione. La resistenza elettrica della pelle viene modificata da uno stress psichico. Infine è il riflesso e il rivelatore di ciò che accade a livello della sostanza fondamentale. Heine ha provato infatti che la sostanza fondamentale invia delle espansioni in superficie sotto forma di cilindri che avvolgono i fasci nervosi e i vasi. Questi cilindri di Heine portano modificazioni nella pelle, che viene a diventare anche un organo di percezione magnetico ed elettromagnetico. Questo spiega il perché una stimolazione cutanea può modificare durevolmente i processi di regolazione organica. Noi abbiamo qui un sistema fasciale, i cilindri, che mettono in comunicazione tutte le fasce profonde con la superficie, in maniera visibile.
101
ISTOLOGIA DEL TESSUTO CONNETTIVO LE PARTI CHE COSTITUISCONO IL TESSUTO CONNETTIVO 1-La sostanza fondamentale La sostanza fondamentale è un materiale omogeneo la cui viscosità varia da stato liquido a semiliquido, simile a gel. È una soluzione colloidale di mucopolisaccaridi: condroitina, solfato, cheratansolfato eparina Gli elementi costitutivi della fascia per i solfati e condroitina e acido ialuronico per i non solfati, con una predominanza di proteoglicani e glicoproteine di struttura. I cambiamenti di viscosità permettono una fissazione di acqua nei tessuti, prevenendo il disseminarsi di infezioni e influenzando l’atttività metabolica della cellula. L’acqua è al 50% sotto forma di cristalli liquidi a temperatura corporea. La sostanza fondamentale realizza una rete riccamente idratata attorno a proteine fibrose e assicura un ruolo di lubrificazione e di assorbimento degli urti resistendo alla compressione. Attraverso le sue cariche elettriche influenza numerosi elementi dentro e fuori del tessuto connettivo. Gioco un ruolo fondamentale nella nutrizione delle cellule grazie agli scambi con i capillari sanguigni che risiedino in abbondanza nel tessuto connettivo. I proteoglicani e le proteine di struttura formano un setaccio molecolare attraverso il quale passano tutti gli elementi metabolici dal capillare verso la cellula e, al ritorno, le molecole troppo grandi o con una determinata carica elettrica subiscono un processo di esclusione. Il diametro dei pori del filtro dipende dalla concentrazione di proteoglicani nel compartimento tessutale interessato. Grazie alla loro carica negativa i proteoglicani sono i garanti dell’isosmia e dell’isotonia della sostanza fondamentale.( isosmia= pressione osmotica uguale a quella del sangue. isotonia = press. osmotica uguale a quella esercitata dal liquido extracellulare sulle membrane cellulari. Esse non solo membrane semipermebili ideali e quindi l'isotonia è diversa dall'isosmia.) La sostanza fondamentale o matrice del tessuto connettivo può essere considerata come un laboratorio dove vengono compiute tutte le funzioni del tessuto connettivo. 2-Le fibre di tessuto connettivo Si trovano nella sostanza fondamentale e sono di tre tipi: collagene, fibre elastiche e di reticolina. La loro quantità varia a seconda della funzione della fascia considerata. Fibre di collagene: il collagene è il costituente proteico più importante del nostro organismo e rappresenta il 60-70% della massa di tessuto connettivo. Il tropocollagene è l’unità di base del collagene. -
Tropocollagene: comprende una forte percentuale di glicina, che lo distingue dalle altre proteine dell’organismo, eccetto l’elastina. Un quarto dei suoi aminoacidi è formato da prolina.
-
Biosintesi di collagene: è realizzata soprattutto nei fibroblasti; tuttavia anche le cellule endoteliali, muscolari lisce e epiteliali sono capaci di sintetizzarlo. La sintesi del protocollagene si sviluppa nei ribosomi associati al reticolo endoplasmatico. Subisce in seguito una idrossilazione di prolina 102
e di lisina sotto il controllo del tropocollagene-prolina-idrossilasi e della tropocollagene-lisinaidrossilasi. Poi si ha una glicosilazione delle unità di saccaridi (galattosio e glucosil-galattosio), che vengono ad inserirsi sulla parte idrossilata di certe idrossilisine. Una volta liberati dai ribosomi le tre catene A di protocollagene sono allineate parallelamente e si avvolgono ad elica per formare il protocollagene. L’estrusione di protocollagene sembra essere fatta da vescicole del golgi e/o da vescicole che derivano dal reticolo endoplasmatico. La fibrillogenesi nella sostanza extracellulare porta, per divisione, alla liberazione di tropocollagene. La divisione può essere incompleta come nel collagene della membrana basale. Il tropocollagene subisce una polimerizzazione che porta alla formazione di fibrille. Questa sembra essere sotto il controllo degli idrati di carbonio associati alla molecola di tropocollagene. La formazione di fibrille è inversamente proporzionale alla quantità di questi glucidi e ciò spiega perché il collagene delle lamine basali, ricco di glucidi, non forma fibrille. La maturazione extracellulare per la formazione di fibrille e di fibre di collagene è essenzialmente dipendente dai proteoglicani e dai glicoaminoglicani. Il collagene è molto resistente a tutti gli enzimi proteolitici e può essere degradato solo con l’intervento della collagenasi. Il rinnovamento di collagene è variabile: lento, nei tessuti stabili e molto rapido, in talune condizioni (cicatrizzazione, nell’utero
Fibra di collagene
durante la gestazione). Diversi tipi di collagene: esistono quattro tipi. Tipo I: il più frequente (derma, ossa, tendini), è realizzato da fibre con grande resistenza alla forze di tensione Tipo II: associato a dei proteoglicani, forma poche fibre e si trova soprattutto nel tessuto cartilagineo Tipo III: ha una grande percentuale di cisteina e idrossiprolina. Forma il collagene della pelle fetale ed è associato al tipo I nel derma papillare, nei vasi, nell’intestino, nell’utero, nei polmoni Tipo IV: si trova nelle lamine basali, contiene una forte percentuale di idrati di carbone e di idrossilisina. Questi quattro tipi di collagene possono essere sintetizzati da cellule diverse o da più tipi della stessa cellula (tipo I e III dai fibroblasti). Sono fibre di aspetto bianco madreperlaceo, allungate, leggermente ondulate e non elastiche. Sono composte da fasci di fibre parallele non ramificate. I fasci possono unirsi gli uni agli altri. Le fibrille sono tenute insieme da una sostanza cementante che forma anche un rivestimento attorno a tutte le fibre. Da un punto di vista chimico sono costituite da collagene, che se lo si 103
fa bollire dà gelatina. La sua inelasticità conferisce agli organi dove si trova una combinazione unica di flessibilità e resistenza. È costituito soprattutto da aminoacidi, glicina, prolina e idrossiprolina. Wyckoff e Kennedy hanno messo in evidenza una strittura tubulare di fibrille collagene. Secondo Erlingheuser il liquido cefalorachidiano circolerebbe in tutto il corpo utilizzando le fibrille tubulari di collagene. Fibre di elastina: è una proteina fibrosa che forma i componenti amorfi delle fibre elastiche, il cui precursore è la tropoelastina. La tropoelastina è sintetizzata nel reticolo endoplasmatico delle cellule mesenchimali (fibroblasti, cellule muscolari lisce). La formazione di ponti intermolecolari porta alla formazione di elastina. Il suo rinnovamento è molto lento e la sua degradazione necessita dell’intervento di una elastasi. Queste fibre sono lunghe e fini e si anastomizzano tra di loro; possono essere allungate da una volta ad una volta e mezzo la loro lunghezza. Chimicamente le fibre sono composte di elastina, una sostanza albuminoide molto resistente al calore, agli acidi e alle basi. Presenta una colorazione gialla. Le fibre sono formate da una componente amorfa ed una fibrillare formata da microfibrille. Con l’età la parte amorfa diventa più importante e le microfibrille sono spinte verso la periferia. La componente amorfa è fatta da elastina e quella fibrillare da glicoproteine di struttura. Queste fibre sono prodotte dai fibroblasti a livello di tendini e pelle e da cellule muscolari lisce nei vasi di grosso calibro, sotto forma di tropoelastina. Come per il collagene la temperatura ottimale è a 37°C. Fibre di reticolina: sono fibre collagene di piccolo calibro disperse in piccolo numero in seno alla sostanza fondamentale e ricche di microfilamenti. Sono ramificate e si uniscono l’una all’altra per formare una fragile rete spiegata. Spesso, invece di anastomizzarsi, si incrociano. Le fibre di reticolina si trovano spesso a livello delle membrane basali e in continuità con le fibre di collagene negli organi linfoidi ed ematopoietici. Non hanno sostanza fondamentale. Le si incontra anche nel tessuto connettivo lasso ed in quello adiposo. Possono essere presenti elementi fibrillari come fibrille e fibre collagene. 3-I proteoglicani: fissano l’acqua e i cationi e formano così la sostanza extracellulare o sostanza fondamentale del tessuto connettivo. Sono importanti per determinare le proprietà viscoelastiche delle articolazioni e di altre strutture sottoposte a deformazione meccanica. I proteoglicani possono essere la riserva di quattro componenti nutritivi: idrati di carbonio (sotto forma di glucosio e galattosio), albumine (sotto forma del gruppo NH), lipidi (nella catena idrocarbonata), acqua (nutrimento essenziale, la sua mancanza genera una ritrazione di proteoglicani). I proteoglicani, le glicoproteine di struttura e il glicolix (membrana che circonda la faccia esterna della cellula e che permette il dialogo con la sostanza fondamentale) sono i mediatori e le fibre di informazione. I proteoglicani sono macromolecole composte da catene polipeptidiche sulle quali si inseriscono le catene glucidiche chiamate glicosaminoglicani o mucopolisaccaridi acidi. La sintesi di proteoglicani avviene in un primo tempo all’interno del reticolo 104
endoplasmatico granulare e in un secondo tempo in quello del golgi, prima della loro estrusione. La loro ripartizione è diversa a secondo dei tessuti : dermatano solfato (pelle, tendini, pareti delle arterie), cheratano solfato (cornea, cartilagine, nucleo polposo), acido ialuronico (umor vitreo, liquido sinoviale). 4-Le glicoproteine di struttura: giocheranno un ruolo importante stabilendo ponti intermolecolari e orientando le proteine fibrose. Sembra esistere una relazione tra la regolarità delle fibre di collagene e la loro associazione con le glicoproteine. Nelle lamine elastiche permettono l’assemblaggio delle molecole di tropoelastina. LE CELLULE DEL TESSUTO CONNETTIVO Cellule mesenchimali: il loro citoplasma possiede dei prolungamenti che spesso danno alla cellula un aspetto stellato e che permettono l’adesione con la cellula vicina. I punti di contatto sono temporanei perché le cellule mesenchimali mantengono la loro individualità e possono anche spostarsi. Alcuni autori pensano che permangano nel tessuto adulto pronte a differenziarsi in: fibroblasti, macrofagi e cellule del parenchima delle ghiandole surrenali. Fibroblasti: sono i costituenti cellulari più numerosi del tessuto connettivo. Si trovano nel tessuto adulto. Servono alla produzione di sostanza fondamentale intercellulare e dei precursori di fibre connettive. Assicurano anche la secrezione di enzimi, permettono il catabolismo di alcune macromolecole e il rinnovamento di strutture quali la membrana basale. Giocano un ruolo importante nell’infiammazione e nella cicatrizzazione. La produzione di protocollagene si effettua a livello del reticolo endoplasmatico e dell’apparato di Golgi, si ha poi la secrezione nella sostanza fondamentale. I fibroblasti sintetizzano anche i glicosaminoglicani. I fibroblasti modificano il loro comportamento in base a fattori meccanici. Tutte le tensioni o le pressioni mantenute su un tessuto fasciale generano: moltiplicazione dei fibroblasti; orientamento dei fibroblasti secondo linee di forza create dalla pressione o dalla tensione; aumento della secrezione da parte dei fibroblasti di macromolecole al fine di rinforzare la fascia di fronte all’aumento delle costrizioni. Se la tensione persiste ne risulterà un addensamento della fascia che apparirà più stretta e di un colore più madreperlaceo, con una disposizione in funzione delle linee di forza, come possiamo vedere in dissezione. Il fibroblasta è il principio direttore della sostanza fondamentale, solo questo tipo di cellula, in retroazione con con tutti gli altri componenti cellulari e nervosi, è capace di sintetizzare una sostanza fondamentale adattabile alle situazioni del momento. Il fibroblasta è però incapace di distinguere il bene dal male; se viene alterato secerne una sostanza strutturata ma non fisiologica, la cui influenza sugli elementi cellulari può essere all’origine di malattie croniche e di tumori.
105
Cellule reticolari: sono grandi cellule stellate; nella maggior parte derivanti dal mesenchima. Tuttavia la maggiorparte delle cellule del timo e dell’amigdala sono probabilmente di origine endoblastica. Mastociti: appartengono al sistema immunitario e sono liberate nel tessuto connettivo per facilitare le reazioni immunitarie. I mastociti sono particolarmente abbondanti nel tessuto areolare, soprattutto degli organi che contengono importanti quantità di eparina. Sintetizzano e secernono nella sostanza fondamentale: eparina, istamina, dopamina, serotonina e acido ialuronico. Macrofagi: sono dei fagociti. Alcuni sono fissi, altri liberi e si mettono fra le fibre fagocitando batteri, frammenti cellulari e materiale estraneo. I monociti del torrente sanguigno possono trasformarsi in macrofagi dopo essere entrati nello spazio cellulare. Grazie alla loro proprietà di trasferimento e di fagocitosi hanno un ruolo principale nella difesa dell’organismo, anche attraverso la secrezione di enzimi e di interferone. Sono le cellule più numerose del tessuto connettivo lasso e denso. La loro attività e il loro numero aumenta negli stati patologici. Plasmacellule: sono poco frequenti nel tessuto connettivo normale, eccetto che nella lamina propria dello stomaco dove sono numerose. Le si vede anche nel tessuto ematopoietico e sono numerose nelle regioni di infiammazione cronica (mucosa digestiva, gangli linfatici, milza). Sono responsabili della produzione di anticorpi. Leucociti: possono passare nel tessuto connettivo dal torrente sanguigno.si tratta di linfociti, monociti e polimorfonucleati eosinofili. Hanno mobilità, necessaria per combattere contro l’infiammazione e gli agenti patogeni. Adipociti: appaiono o in gruppi tra le fibre di collagene. Li ritroviamo in tutti i tipi di tessuti. In alcune regione come vicino al rene o alla ghiandola surrenale, le cellule adipose seguono un ciclo continupo di crescita e sparizione. Il tessuto adiposo è formato soprattutto da grasso bianco. Una varietà di tessuto adiposo è conosciuta con il nome di grasso bruno, incontrato maggiormente nei neonati. Il primo ruolo di queste cellule è quello di immagazzinare grassi per diverse finalità: riserva di grassi neutri (grazie alla lipogenesi) o liberazione (lipolisi) nel torrente sanguigno in caso di bisogno energetico; isolante termico; protezione meccanica (ammortizzando le pressioni e gli urti). Cellule pigmentate: contengono dei pigmenti con colore e struttura specifica. I più conosciute sono i melanociti, che contengono la melanina, un pigmento bruno scuro o nero. 106
I DIFFERENTI TIPI DI TESSUTO CONNETTIVO -
Mesenchima: lo si incontra nell’embrione; è caratterizzato da mancanza di fibre e presenza di sostanza fondamentale acquosa.
-
Tessuto connettivo mucoso: o gelatinoso di Wharton, si trova nel cordone ombelicale. Possiede meno cellule ma più sostanza fondamentale gelatinosa rispetto al tessuto mesenchimale, oltre ad un piccolo numero di fibre. Esiste nell’adulto solo in condizioni patologiche (papilloma, miosoma).
-
Tessuto connettivo reticolare: è il più primitivo dei tessuti connettivi dell’adulto. È costituito da una rete di cellule reticolari e di fibre argentofile molto sottili. Alcune di queste cellule sono fissate alle fibre, altre sono libere. Questo tessuto si trova nei gangli linfatici, nella milza, nel fegato e nel midollo osseo.
-
Tessuto connettivo lasso: è composto da una trama lassa di fibre di collagene, elastiche e reticolari, immerse in una sostanza fondamentale abbondante e di debole viscosità. Tutte le cellule del tessuto connettivo adulto, eccetto le cellule reticolari, vi sono presenti. Tutti gli scambi tra i vasi sanguigni ed il parenchima degli organi avvengono attraverso questo tessuto che assicura un ruolo nutritivo. La sua presenza nella sottomucosa del tubo digerente è all’origine della sua motricità. Questo tessuto connettivo lasso ha delle proprietà meccaniche di plasticità e di elasticità, dovute in gran parte alla sostanza fondamentale. Ospita le cellule di difesa del sistema immunitario, i vasi e i nervi. Serve da materiale di riempimento formando lo stroma della maggior parte degli organi pieni: corion e sottomucosa del tubo digerente; corion delle vie respiratorie, genitali ed urinarie; derma della pelle; strato sottomesoteliale delle sierose. Entra nella costituzione dei nervi periferici e dei muscoli; lo si trova infine nella fascia superficiale e profonda.
-
Tessuto adiposo: è un tessuto di tipo connettivo, ricco di adipociti e capillari sanguigni. Alcune regioni come il rene, le fosse ischio-rettali, l’epiploon, l’ipoderma, il mesentere, ne sono particolarmente provviste. In tali regioni, nella vita embrionale, appaiono dei capillari sferici ancor prima che il grasso inizi a depositarsi. Un lobulo di tessuto adiposo si sviluppa poi in un territorio di questi plessi e si accresce fino ad andare a toccare il lobulo adiacente (i lobuli restano tuttavia separati da dei setti fibrosi; nel tessuto sottocutaneo questi setti sono chiamati legamenti cutanei). I lobuli del tessuto adiposo funzionano come degli ammortizzatori di pressione e come organi di riserva. Esistono due varietà di tessuto adiposo: il grasso bianco e quello bruno. Nell’adulto è presente essenzialmente il grasso bianco. Il grasso bruno è molto abbondante nei neonati.
-
Tessuto connettivo denso: sono dei tessuti connettivi meccanici. Contengono numerose fibre. La vascolarizzazione è poco abbondante e sono soprattutto composti da fibre di collagene oltre che fibre elastiche. Ne esistono di due tipi: orientato e non orientato.
107
NON ORIENTATO (fig 70): è simile al tessuto connettivo lasso, ma le fibre di collagene sono più larghe e più dense. Il tessuto ha un consistenza più ferma e resistente. Lo si trova nel derma, nelle capsule di alcuni organi, nella dura madre, nelle fasce profonde, nel periostio, pericondrio e nelle capsule, nelle cartilagini e nell’osso. ORIENTATO: lo si trova nei tendini, aponeurosi, legamenti, stroma della cornea. I tendini sono composti da fasci paralleli di fibre di collagene spessi e serrati gli uni contro gli altri. Questi fasci sono separati tra loro da tessuto connettivo lasso. Tutto l’insieme è circondato da una guaina fibrosa formata da connettivo denso (fig 71). Le aponeurosi sono composte da fibre parallele disposte a strati e incrociate ad angolo retto; le fasce sono il risultato dell’assemblaggio delle aponeurosi e possiedono la stessa struttura di base. I legamenti dal punto di vista istologico
sono
comparabili
ai
tendini. I legamenti elastici (gialli) contengono più fasci paralleli di fibre elastiche spesse e legate da deboli quantità di tessuto connettivo. Qui i fibroblasti sono meno numerosi. Delle
gellule
giganti
dai
corpi
estranei (fusione di macrofagi) si incontrano nella regione di irritazione e di infiammazione, che contiene frammenti troppo grandi per essere fagocitati dai macrofagi. Le proprietà meccaniche del tessuto connettivo sono: elasticità, viscosità, plasticità e resistenza.
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PATOLOGIA DELLE FASCE Il tessuto connettivo come è stato dimostrato precedentemente è presente a livello di tutti i compartimenti del corpo umano: vascolare, neurologico, viscerale….etc In più, pochè questi tessuti sono in stretta relazione gli uni con gli altri, è evidente che qualunque sia il danno nell’organismo, automaticamente il tessuto connettivo ne è implicato in modo più o meno grave. È chiaro che ogni patologia specifica delle varie branche (neurologia, reumatologia, cardiologia, gastroenterologia) avrà una risonanza sullo stato dei tessuti connettivi. I manuali di patologia clasificano le malattie specifiche del tessuto connettivo o collagenosi o connettiviti. Esse inglobano varie patologie la cui caratteristica comune è una degenerazione della sostanza fondamentale del tessuto connettivo. La loro originalità consiste nel carattere diffuso, ma questo stupisce forse se sappiamo dell’onnipresenza del tessuto connettivo? I fattori in comune sono: espressione clinica come le malattie infiammatorie, prognosi grave, sindromi di sovrapposizione nelle forme atipiche, che danno origine alla difficoltà della diagnosi. LE COLLAGENOSI -
Le quattro grande collagenosi
Comprendono: L.E.S.(lupus eritematoso disseminato), sclerodermia, periartrite nodosa, dermatomiosite. Non faremo uno studio approfondito delle quattro patologie, ma precisiamo che i loro segni clinici sono molteplici e più o meno comuni a gradi diversi. Si localizzano a livello: cutaneo, muscolare, articolare, toracico, neurologico, viscerale. Una parentesi per ciò che riguarda il danno cutaneo e che illustra perfettamente il danno del tessuto connettivo. La sclerodermia è caratterizzata da una produzione accresciuta di collagene; a livello della pelle una epidermide atrofica ricopre un ammasso compatto di fibre di collagene che restano parallele all’epidermide. Dei prolungamenti digitiformi di collagene si estendono dal derma fino al tessuto sottocutaneo fissando la pelle ai piani profondi. Il danno più o meno grave a tutti i sistemi, conseguente alle connettiviti, conferma il loro carattere di malattia generale e rinforza l’importanza che riveste il tessuto connettivo, presente a livello di tutti i compartimenti del corpo. -
Altre forme di collagenosi
Si aggiungerà alle collagenosi: sindrome di Wegner (caratterizzata da una patologia molto grave alle vie aeree superiori, del polmone e del rene); sindrome di Sharp o connettivite mista; sindrome di Marfan (altezza eccessiva, allungamento degli arti e soprattutto delle estremità, cifo-scoliosi con torace ad imbuto, iperlassità legamentosa, manifestazioni viscerali); poliartrite reumatoide (classificata ultimamente tra le collagenosi e caratterizzata da sinovite, vasculoartrite, noduli reumatoidi. Questi ultimi possono essere sottocutanei o avere la sede nella pleura, nel polmone, nel cuore, a livelllo dela capsula 109
del fegato, delle corde vocali. Il nodulo comprende una zona centrale di necrosi fibrinoide, racchiuso da una palizzata di istociti che sono a loro volta circondati da tessuto connettivo fibroso infiltrato con linfociti e plasmacellule); morbo di Dupuytren (ispessimento e retrazione dell’aponeurosi palmare media, di origine sconosciuta, corisponde a un danno molto specifico e molto localizzato su una fascia). ALTRE AFFEZIONI DELLE FASCE Oltre alle patologie specifiche del tessuto connettivo, che esamineremo, ci sono altre affezioni che nella maggior parte dei casi non presentano quadri clinici così drammatici come quelli affrontati precedentemente, bensì costituiscono la patologia più frequente nel tessuto connettivo. Considereremo, prima di tutto, cicatrici, aderenze e fissazioni. Le suddette patologie o disfunzioni c'interesseranno particolarmente (le osteopatie), poiché le incontreremo di frequente. Nel tempo le cicatrici e le aderenze creano delle irritazioni; le immobilità, a loro volta, interferiscono con la meccanica articolare o viscerale, provocando dei sintomi detti funzionali perché spesso hanno una manifestazione sotto clinica, senza espressione radiologica o biochimica. Si tratta di vere e proprie lesioni primarie che dovranno essere rilevate con molta cura. In seguito, svilupperemo i diversi studi effettuati a livello del tessuto connettivo e specialmente della sostanza fondamentale, con l’intento di dimostrare che la patologia si sviluppa soprattutto al tale livello dal momento in cui la sostanza è sopraffatta. Citeremo Snyder, che afferma che la sostanza fondamentale costituisce il laboratorio delle funzioni del tessuto connettivo e l’arena del processo patologico. LE CICATRICI Salvo i casi di cicatrici retrattili e di cheloidi, che rappresentano situazioni particolari per fortuna rare, ogni più banale cicatrice può costituire un punto di perturbazione per il corpo umano. Ciò nonostante, la maggior parte non costituisce un elemento di alterazione, ma un certo numero può esser causa di dolori, disfunzioni e perfino patologie insostenibili per il soggetto come nelle causalgie. In seguito al verificarsi di una lesione sopravviene il fenomeno di ricostruzione, con rifioritura e proliferazione delle fibre elastiche e connettive, allo scopo di realizzare una riparazione più perfetta possibile nella zona in cui tessuto ha subito un’aggressione. Nonostante l’accuratezza di questo sistema di ricostruzione, non si otterrà mai un risultato perfetto. Prova ne sia che la traccia che lascia la cicatrice colpisce le fasce profonde. Come detto in precedenza, nella maggior parte dei casi, il fenomeno di riparazione avviene senza comportare problemi secondari. Malgrado ciò, in alcuni casi non trascurabili una cicatrice può dare origine a perturbazioni e ad
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insediamento di una patologia di prossimità, che si manifesta sotto forma di irritazioni, oppure può costituire sede di immobilità che perturba la meccanica e la fisiologia del corpo. Una cicatrice irritante genera un elemento di perturbazione del tessuto connettivo, il quale a sua volta, sottomesso alle tensioni e allo stress in questa zona di irritazione, modifica la propria struttura, plasticità ed elasticità e, a lungo, produce una perturbazione della meccanica fasciale che influisce sulla funzionalità di un’area più o meno estesa. Nel caso di cicatrici presenti nella zona dell’addome ( il caso più comune è determinato dalle appendicectomie) posso avere delle perturbazioni alla meccanica dell’organo vicino, sottoposto quindi a una tensione ed irritazione permanente che lo porterà a perdere la mobilità e restare fisso. Abbiamo visto come la fisiologia dell’addome è facilitata dalla mobilità delle fasce; questa immobilità, quindi, porterebbe l’organo verso la disfunzione, con il rischio a lungo termine d’instaurare una vera patologia. La patologia delle cicatrici può essere continuativa di corpi estranei che possono infiltrarsi al momento dell’aggressione. Kellner ha dimostrato l’intrusione di cristalli di talco nelle cicatrici chirurgiche, frammenti di proiettili e di stoffa sui feriti di guerra, granelli di sabbia, piccole bolle di catrame, schegge di vetro negli infortunati da incidenti della strada Il riassorbimento di corpi estranei è lento, perfino impossibile; questi creano un'acidosi nei tessuti che li circondano e, di conseguenza, delle mutazioni della sostanza fondamentale. Da rivelazioni elettriche effettuate sono stati ottenuti risultati di 1400 kilo-ohm di differenza( in più) fra misurazioni a livello di queste cicatrici disturbanti e quelli registrati sulla pelle in prossimità delle stesse; misurazioni su cicatrici non disturbanti sono risultati vicini al normale. Le cicatrici si devono considerare come delle zone potenziali di perturbazione. ADERENZE E IMMOBILITA’ Molto numerose nel corpo umano, possono essere conseguenza di una cicatrice, di infiammazioni o infezioni, di irritazioni o aumento di costrizioni in qualsiasi parte del corpo. Si producono assai facilmente specie a livello del torace e dell’addome. Solo il fatto di incidere sul peritoneo comporta un'alta potenzialità di aderenze. Hanno la tendenza ad aumentare con l’età ed è eclatante il numero di aderenze trovate nella pleura, nel polmone e nel peritoneo, quando si pratica una dissezione. Comportano conseguenze pari a quelle delle cicatrici, se si considera che in certi casi realizzano un vero ponte fibroso non elastico con l’organo cui sono correlate. Si torna quindi al circolo vizioso di ipomobilità, disfunzioni e perfino patologie.
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TESSUTO CONNETTIVO, PUNTO DI PARTENZA DELLA MALATTIA. Lo studio istologico e del ruolo del tessuto connettivo ci dimostra che qualunque sia il tipo di aggressione, choc o stress che esso riceve, ne conseguirà sempre una ripercussione. E’ possibile affermare che non esiste alcuna patologia che non abbia risonanza sulla fascia; più esattamente, ogni patologia non può estendersi se non dopo aver annullato le possibilità del tessuto connettivo. Eppinger ha affermato che la malattia ha origine dalla sostanza fondamentale e si propaga poi nelle cellule parenchimatiche. La specificità sintomatologica e diagnostica si manifesta tardivamente dopo l'insediamento delle lesioni cellulari, ed è posteriore agli stadi originari delle diverse infezioni. Vi sono svariate cause di irritazione a livello del connettivo; esse comprendono tutte le situazioni in cui le fasce sono sottoposte a stress: ferite, colpi meccanici, lesioni fisico-chimiche, ormoni ad azione tessutale, choc. Lo choc operatorio ne fa parte, ed è opportuno sottolineare che l’organismo impiega circa 21 giorni per superarlo. La sostanza fondamentale non è solo uno starter per le informazioni destinate alla cellula e al sistema umorale e nervoso, ma subisce modificazioni a causa di disordini funzionali dei tessuti. Una situazione minima, di breve durata, provoca una depolarizzazione parziale dei proteoglicani che in un sistema funzionale viene corretta dallo sforzo di un carico di compenso. Se questi stimoli minimi divengono continui, provocano fenomeni di depolarizzazione costanti che comportano alterazioni strutturali nella sostanza fondamentale, portando alla formazione di un blocco. All’inizio le mutazioni rimangono localizzate, dato che l’estensione dell’informazione è limitata da proprietà isolanti delle sierose, dei setti (come il diaframma)e delle fasce. A uno stadio preliminare è difficile rilevare le perturbazioni indotte nel tessuto connettivo, considerando che spesso non generano sintomi di irritazione o reazione, e per questo possono inviare un messaggio confuso in un tempo molto lungo mantenendo il sistema di regolazione cellulare, tessutale, umorale, nervoso, in uno stato di pretensione. In seguito, le alterazioni della regolazione si estendono. La sintomatologia si propaga al lato opposto, per compartecipazione secondaria dell’asse vertebrale. Una stimolazione supplementare su questo sistema alterato porta spesso a risposte inadeguate ed eccessive. Un disordine esterno può insediarsi (ad esempio in un organo) accrescendo ancora l’irritazione del centro d’infezione primario e inducendo infine, se non ci sono interventi, a una fase di spossamento, a un blocco della reazione che potrà trovarsi all’origine di una malattia grave. E. Perger segnala che il 25% dei pazienti affetti da un blocco della regolazione di base hanno sviluppato tumori negli anni a seguire; l’intervento di disordini della regolazione non deve essere trascurato nell’evoluzione della malattia tumorale.
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Peraltro, è stata evidenziato, nei malati cronici, l’esistenza di una potenziale attivo dal lato colpito e di un aumento della conduttanza. Il disturbo, dunque, è inizialmente locale e include dermatosi e miotonia. Tramite l’intervento del sistema nervoso vegetativo l’affezione modifica la vasomotricità e le altre funzioni vegetative del quadrante corrispondente all’accentuazione dell’intensità di stimolazione, e la messa in atto del processo di regolazione centrale finisce per sviluppare una sintomatica emicorporale. Partendo da un’alterazione locale, una malattia generale si manifesta tardivamente in seguito all’intervento di fattori secondari e terziari. Il tessuto connettivo reagisce dunque nella sua totalità ma non necessariamente in maniera omogenea. Le diversità sono tanto più marcate quanto il percorso dell’affezione cronica è ridotto. Il fattore tempo e la durata dell’aggressione preliminare giocano un ruolo preminente nella diffusione delle perturbazioni all’insieme dell’organismo. Certe cellule mesenchimali restano indifferenziate nel tessuto connettivo adulto, conservano la memoria embrionale e possono in caso di necessità trasformarsi in altre linee di cellule specializzate. Queste cellule sono in generale inibite ma in caso di ferite, malattie, divengono mitoticamente attive per far fronte all’aggressione. Può sembrare che la messa in circolo dei meccanismi di difesa che si producono nel tessuto connettivo sia consecutiva a un'autonomia della periferia e che il sistema centrale intervenga in secondo tempo. Ciò è confortato dal fatto che il valori di partenza e le affezioni più marcate sono sempre situate negli emicorpi più perturbati. Le disintegrazioni del tessuto (infiammazioni, cicatrici, aderenze), non riassorbibili procurano tali differenze emilaterali. Kellner ha provato che l’equilibrio acido-basico dipende dal sistema di base: in zona acida la neutralità del PH è ristabilita dalla lisi dei fibroblasti, mentre in area alcalina la normalizzazione risulta dalla loro moltiplicazione. Mc Laughlin ha constatato che la coltura in vitro delle cellule epiteliali embrionali ha una crescita indifferenziata e disordinata; l’introduzione di cellule mesenchimali comporta la differenziazione, una membrana basale si forma, completata da una stratificazione cellulare. Queste due esperienze proverebbero che il tessuto connettivo contiene un sistema di organizzazione indipendente dalle influenze centrali. In caso di uno stress persistente, problemi funzionali o cambiamenti del setaccio molecolare potrebbero modificare la sintesi della sostanza fondamentale, generando un terreno fertile per le malattie croniche. Hine ha messo in evidenza che sono sufficienti 30 minuti per provocare un netto aumento del collagene nel setto alveolare su vittime della strada gravemente traumatizzate. Speransky ha dimostrato, tramite esperienze fatte su animali, che una stimolazione intensa dei recettori cutanei o muscolari, situati nel territorio innervato dal bulbo rachideo, o dalla parte superiore del midollo spinale, o ancora una stimolazione meccanica o chimica diretta ai centri nervosi, possono indurre delle modificazioni profonde nel tessuto polmonare, molto simili a quelle che si riscontrano nella polmonite. 113
Pare quindi che, se il tessuto connettivo ha una propria autonomia e può essere all'origine di un sistema di difesa proprio e indipendente, può essere anche il punto di partenza di un processo patologico a se stante. Sembra quindi che questo meccanismo non sia esclusivo di una simulazione periferica o centrale delle afferenze nervose e possa indurre delle perturbazioni nel tessuto connettivo. Questo è ciò che è necessario tener presente, prima di effettuare una diagnosi su una perturbazione o patologia di una parte qualunque dell'organismo. La reazione primaria nell'ambito di un'aggressione non è una reazione biochimica tipica, ma è soprattutto il risultato di uno scivolamento del PH verso l'acidosi. La propagazione a distanza di un problema nel tessuto connettivo avviene per via nervosa. La normalizzazione in seno al tessuto connettivo può durare fino a tre anni. Non ci sono possibilità di regolazione fino a quando la meccanica del tessuto connettivo resta paralizzata come nel processo cronico evolutivo.
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Capitolo 5° RUOLO DELLE FASCE Come studieremo, le fasce hanno molteplici ruoli all'interno dell'organismo, derivanti dalla loro storia e fisiologia. Le fasce e, di conseguenza, il tessuto connettivo sono presenti in tutte le parti del corpo. Lo studio anatomico e isto-fisiologico ci consente di affermare che il tessuto connettivo riveste un ruolo primario nel mantenimento di tutte le funzioni del corpo. Vari studi effettuati sull’argomento dimostrano che èil primo garante di un buono stato funzionale e di una buona salute. "Il tessuto connettivo non solo collega le diverse parti del corpo, ma in un senso più ampio collega le numerose branche della medicina" (Snyder). Studieremo successivamente i diversi ruoli delle fasce: A - Sostegno e supporto. B - Protezione C - Ammortizzatore D - Emodinamica E - Difesa F - Comunicazione e scambio. Il tessuto connettivo collega gli organi e le parti del corpo tra loro, in una continuità ininterrotta. Lo studio anatomico ci dimostra, in effetti, che non c'è mai interruzione tra i diversi tessuti, ma che tutto si articola al fine di realizzare un'armonia di funzioni perfette. A - RUOLO DI SOSTEGNO (FIG. 72) Le fasce permettono di mantenere l'integrità anatomica dell'individuo. Se su una persona si potessero sopprimere tutti i sistemi tranne le fasce, queste conserverebbero un'apparenza perfettamente umana. Non sarebbe lo stesso se si conservasse solo il sistema vascolare o nervoso, ciò è logico poiché le fasce sono il supporto e la guida di tali sistemi; questa è la conferma dell'interdipendenza e indissolubilità delle differenti strutture del corpo. Grazie alle fasce il sistema muscolare può funzionare, come vedremo nella meccanica fasciale. Grazie alle fasce le articolazioni possono mantenere la stabilità e le funzioni. Il sistema muscolare è il motore delle articolazioni, ma è a sua volta coordinato dalla meccanica fasciale.
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Per merito delle fasce i diversi organi possono mantenere la loro forma anatomica restare fissati alla struttura ossea. Le fasce assicurano così una buona coerenza e permettono, inoltre, un buon funzionamento fisiologico. B - RUOLO DI SUPPORTO. Le fasce sono il supporto del sistema nervoso, vascolare e linfatico. Lo studio anatomico ci ha dimostrato che i diversi sistemi sono intimamente legati alle fasce. Essi stessi sono, in parte, costituiti da fasce che hanno lo scopo di mantenere la loro forma anatomica; sono anche avvolti da una guaina fasciale a sua volta collegata e guidata da fasce più dense. I sistemi nervoso e vascolare sono interdipendente dal sistema fasciale. Nel corso dello sviluppo embriologico la crescita e la migrazione si svolgono in modo parallelo ed intricato tra il sistema vascolo nervoso e quello fasciale. Il ruolo di supporto è particolarmente evidenziato: a livello dell'aponeurosi cervicale profonda indissociabile dal plesso cervicale e dai gangli simpatici cervicali, a livello dei mesi, che sono dei veri e propri portatori di vasi e nervi, ecc. C - RUOLO DI PROTEZIONE Uno dei ruoli fondamentali delle fasce è il mantenimento dell'integrità fisica e fisiologica del corpo. Presenti a tutti i livelli, come visto in precedenza, proteggono le diverse strutture anatomiche contro le tensioni, lo stress, le aggressioni che permanentemente il corpo subisce. Per adempiere tale compito danno prova di adattabilità e di capacità di variazioni in funzione dei segmenti che salvaguardano. Infatti,nella parte periferica, la fascia s'ispessisce e si addensa nelle zone di massima costrizione: ne risulta, a livello articolare, una copertura fasciale molto importante con un addensamento massimo al livello dei legamenti che sono stabilizzatori molto potenti. Tuttavia, qualunque sia la resistenza di una fascia, questa non raggiungerà mai uno stato di rigidità, se non nella patologia, inoltre si noterà sempre la presenza di una certa elasticità, per rispondere meglio alle sollecitazioni che deve subire la zona controllata. Quando i carichi di lavoro diventano molto forti, si può constatare un ispessimento della fascia, fino a sostituire interamente i fasci muscolari. Ne sono esempi i potenti tratti ilio-tibiali e l'aponeurosi lombo sacrale, molto resistente. Un altro ruolo di protezione consiste nella capacità di ammortizzare. In caso di sforzi o di contrazioni molto violente, la fascia si fa carico di parte dell'intensità delle forze per evitare che tensioni troppo violente gravino su muscoli , organi…., impedendone così la rottura. Questo intervento avviene grazie alla stimolazione delle terminazioni nervose della fascia. 116
Bednar e Coll hanno dimostrato che il legamento vertebrale comune anteriore ha una funzione passiva, ma è riccamente innervato. Se stimolata è sede di un'attività neurologica molto attiva. A livello dell'asse cerebrale - spinale la fascia ha un ruolo di protezione del cervello e del midollo, a difesa sia delle variazioni di pressione troppo brutali, che degli choc che sarebbero molto dannosi per tali strutture.In questa zona, la fascia dà prova notevole di adattabilità e ingegnosità. Una sola guaina connettiva sarebbe insufficiente per assolvere il ruolo di protezione; infatti, si è costituita una tripla guaina fasciale e per aumentare la sua efficacia sono stati aggiunti due sistemi tampone: il liquido cefalo rachidiano e un importante sistema venoso. Questo ruolo di protezione, esercitato dalla fascia, lo ritroviamo anche per il sistema vascolare e nervoso, i quali non solo ne sono sostenuti ma, in una certa misura, sono protetti da possibili compressioni, stiramenti, traumatismi. Da ricordare semplicemente che i principali tronchi arterio-venosi e nervosi si trovano a livello delle fasce profonde, e che queste sono in più inserite nelle guaine fasciali (canale di Hunter), oppure contenuti nelle parti più stabili della fascia (radice del mesentere). Infine, per proteggere gli organi vitali e fragili, la fascia li avvolge come una guaina resistente e in più interpone una fascia molto fluida e plastica: il tessuto grasso…. ( grasso perineale), o un tessuto a trama molto lassa: il tessuto areolare. Gli organi stessi hanno un involucro fasciale che mantiene loro la struttura. Questo involucro penetra all'interno dell'organo e si divide più volte, realizzando così un divisione in compartimenti che isola, più o meno, le diverse parti l'una dall'altra. Questo allo scopo di impedire la diffusione delle infezioni tra i vari segmenti. Gli esempi più eclatanti di questa divisione in compartimenti riguardano fegato e polmoni. D - RUOLO DI AMMORTIZZATORE La fascia, tramite la sua elasticità permette di ammortizzare le costrizioni che il corpo subisce. La struttura macromolecolare a rete dei proteoglicani partecipa attivamente alla coesione meccanica dei tessuti. I proteoglicani sono ammortizzatori di colpi, che agiscono come dei lubrificanti e che, se sollecitati intensamente e in modo ripetuto, si trasformano in una sostanza visco-elastica. I proteoglicani e l'acido ialuronico conferiscono alla sostanza fondamentale
una sovrastruttura
molecolare reticolata, coprono le superfici cellulari, costituiscono la sostanza intercellulare, avvolgono e infiltrano le fibre di collagene e di elastina, costituendo un potere viscoelastico di tampone indispensabile a una funzione cellulare e tissutale normale. Ciò è confermato dal lavoro di Yahia e Coll, che dimostra un comportamento visco-elastico della fascia lombo-dorsale nel momento in cui è sottoposta a carichi ripetuti; infatti questa visco-elasticità varia nel
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tempo. Inoltre, questo, permette di diminuire le intensità delle pressioni e di canalizzarle seguendo diverse direzioni al fine di evitare la lesione organica. Questo ruolo di ammortizzatore è rinforzato dall'accumulo di tessuti grassi particolarmente abbondanti in certe aree vulnerabili: grasso perineale, grasso addominale abbondante sul grande epiploon, ma anche in zone sottomesse a forti pressioni a livello delle fosse ischio-rettali. In merito a tale ruolo, è opportuna una parentesi per quel che concerne le meningi: abbiamo visto che esse rivestono la scatola cranica e la colonna vertebrale, a fine di contenere e proteggere l'asse cerebro spinale. Ma le meningi hanno anche la funzione di contenere il liquido cefalorachideo, guaina idrica che svolge un ruolo di ammortizzatore per il cervello, proteggendolo dalle variazioni di pressione cui è soggetto. Inoltre, ha una funzione di nutrimento e difesa. Tale liquido è secreto soprattutto dai plessi coroidei, una parte, circa il 20%, proviene direttamente dal parenchima venoso per via trans-vascolare, a livello degli spazi perivascolari di Virchow Robin. Il suo riassorbimento avviene per via venosa, tramite le villosità e granulazioni aracnoidee di Pacchioni, e per via linfatica nella guaina neurale verso il canale toracico. Il volume di questo liquido in un adulto è di 140 ml, più o meno di cui 30, di cui 35ml nei ventricoli, 25ml negli spazi sotto aracnoidei pericerebrali e nelle cisterne, 75 negli spazi sotto aracnoidei spinali. La sua composizione è simile a quella del plasma e della linfa, ma con delle proporzioni diverse. Peraltro è veicolo di numerosi ormoni e di altre sostanze il cui ruolo è ancora oscuro. Nuove sostanze cerebrali vengono tuttora regolarmente scoperte, cosa che permette di affinare il ruolo del LCR. L'ultima è stata una sostanza con un forte potere soporifero, scoperta da Richard Lernier. La produzione di liquido cefalorachideo va da 0,5 l a 1l /24h. Si è in questo modo descritta una fluttuazione del LCR seguendo un movimento di espansione e ritrazione che costituisce uno dei motori del meccanismo cranico, la cui periodicità va da 8 a 12 cicli al minuto. A tal proposito, gli studi di Laland-Clarke descrivono continue pulsioni che intervengono nelle più fini strutture del cervello e sono caratterizzate da onde cicliche da 10 a 14 intervalli a minuto. Pare, infatti, che questo ritmo da 8 a 12 traduca piuttosto uno stato patologico legato a una simpaticotomia relativa allo stress, generato dalla vita moderna. In effetti, il ritmo del cranio delle società primitive si colloca all'incirca tra 2,5 intervalli al minuto. Siamo portati a considerare tale frequenza come uno stato di equilibrio. Tali movimenti ritmici del cervello e la fluttuazione del LCR sono stati all'origine di una teoria per la quale questo LCR circolerebbe a livello delle fasce e sarebbe l'origine dei loro movimenti ritmici. In effetti, non sembra esserci continuità tra LCR e liquido periferico, specialmente a livello delle radici nervose.
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Brydevik e Coll, in seguito ad un'iniezione di H-metiglucosio intravenoso o direttamente nel liquido cefalico-rachideo, hanno dimostrato che la distribuzione degli isotopi si stabilisce nella maniera seguente: •
radice nervosa: 58% portato dal LCR contro il 35% dai vasi intramurali.
•
Nervo periferico: 95% portato dai vasi intramurali, nulla per quel che riguarda LCR.
La nutrizione delle radici nervose è dovuta per la maggior parte al LCR, mentre quella dei nervi periferici è data esclusivamente dai vasi. Non è stato dimostrato che vi sia un passaggio di LCR verso i nervi periferici. I nervi cranici e rachidei, al di là dei loro orifizi ossei, sono rivestiti da tessuto connettivo in cui circolano i linfatici. Le meningi avrebbero così strette relazioni con i vicini spazi linfatici, non ci sarebbe continuità diretta ma semplice filtrazione, impregnamento per contiguità. Ciò sembra del tutto logico poiché se ci fosse continuità tra LCR e periferia, questa costituirebbe un rischio importante per il cervello nel diffondersi di infezioni o di agenti patogeni provenienti dalla periferia, dove le porte di accesso sono tanto più numerose. Il fatto che lo scambio avvenga per diffusione stabilisce un meccanismo tampone di salvaguardia, paragonabile a quello di altre regioni del corpo. Il LCR comunica quindi con il liquido extra cellulare, come questo comunica con il liquido intra cellulare. Qualunque siano i livelli, la comunicazione avviene per diffusione o trasporto attivo, ma mai direttamente. Questi diversi liquidi hanno delle composizioni chimiche diverse, ma restano permanentemente in contatto gli uni con gli altri, garantendo una continuità e una comunicazione permanente all’ìnterno dell'organismo nella sua totalità. E- RUOLO EMODINAMICO Il sistema vascolare e quello linfatico sono indissociabili da quello fasciale. La circolazione di ritorno avviene tramite sistemi venosi e linfatici e non è dotato di una pompa aspirante tanto potente quanto quella che invia il sangue a tutto il corpo attraverso il sistema arterioso. Peraltro, quest'ultima possiede una struttura rigida difficilmente deformabile, contrariamente ai linfatici e alle vene, che sono molto flaccide e possono collabire facilmente. Per questi motivi i vasi sono provvisti di valvole, per facilitare la circolazione di ritorno, ma le valvole sono insufficienti a svolgere tale compito. Le fasce sopperiscono alla pompa centrale per agevolare la circolazione di ritorno. Si tratta di vere e proprie pompe periferiche che spingono sangue e linfa verso il cuore Le fasce sono animate da movimenti ininterrotti la cui frequenza è di circa 8-12 intervalli per minuto. Tali contrazioni realizzano un movimento di pompa erogante, permettendo la progressione dei fluidi. È da notare che il trasporto della linfa all'interno dei vasi avviene per contrazioni successive dei segmenti 119
valvolari. La linfa è trasportata da onde di contrazione di una periodicità di 10-12 per minuto. Ciò equivale alla periodicità delle fasce, ma il linfatico non è prima di tutto di per se una fascia? Questo meccanismo sottile è rinforzato da contrazioni muscolari canalizzate attraverso le fasce. L'anatomia ci ha dimostrato che le fasce non sono continue e parallele, ma costituite da diversi strati in direzione obliqua, trasversale o circolare. Il diverso orientamento delle fibre fasciali ci permette di affermare che la forma generale delle fasce presenta un aspetto a spirale. Quindi, al momento della sua contrazione si avrà tendenza a racchiudere le strutture che avvolge, spingendo i liquidi verso il cuore, come uno straccio che si torce. Se la fascia è il motore del ricambio circolatorio, può essere anche l'elemento perturbatore. Immaginiamo una fascia in stato di tensione anormale, si comprende facilmente come il sistema vascolare che vi è collegato sarà in stato di compressione permanente, in tal caso giocando un ruolo di ostruzione che favorisce la stasi. I linfatici e le vene perforano le fasce a livello delle strutture anulari, più o meno irrigidite, per permettere la libertà del condotto in questo anello, ma se questo è sottoposte a tensioni troppo importanti può trasformarsi in un vero e proprio laccio emostatico. F- RUOLO DI DIFESA La finalità del tessuto connettivo è ristabilire delle normali funzioni di difesa. Il ruolo di difesa del connettivo rappresenta certo una fase primaria nel meccanismo delle fasce. È nella sostanza fondamentale che inizia la lotta contro gli agenti patogeni e le infezioni, ciò grazie a un meccanismo intrinseco locale che interviene prima del sistema generale. Da questo conflitto locale dipende la diffusione dell'agente patogeno e quindi la salute del soggetto. I processi di difesa sono caratterizzati da quattro fasi cellulari: 1. Inizialmente si organizza uno scudo di istiociti intorno a luogo dell'invasione nociva. 2. Segue immediatamente la fase micro-fagica (reazione locale, ma con qualche partecipazione passiva dell'organismo). 3. Fase macro-fagica, accompagnata da una cooperazione attiva dell'insieme del corpo. 4. Stadio dei linfociti (con eliminazione dell'infezione e passaggio alla cronicità). Lo stadio macro-fagico è scatenato dal fattore monocitario, la sua assenza riduce l'intensità dello stadio macro-fagico fino a renderlo inattivo. Le prime reazioni di difesa locali sono ammortizzate da una serie di ormoni tessutali (prostaglandine, leucotrieni, interferone, …).
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La comparsa delle fasi istiocitarie e microfagiche non rileva solo la biochimica ma anche le modificazioni biofisiche, come quella brutale del Ph verso l'acidosi nel punto dell'aggressione, responsabile delle alterazioni delle membrane delle cellule. Al contrario, la modificazione repentina della situazione biofisica nella zona dell'aggressione genera una reazione di urgenza immediata, scatenando la prima razione di difesa allo scopo di limitare l'intento di aggressione. Il tutto avviene in due fasi. 1. Soppressione dei legamenti delle grandi cellule reticolari, con il sistema di base. La loro liberazione sotto forma di istiociti mononucleari facilita lo stabilizzarsi di uno scudo intorno alla zona invasa. 2. Alterazione della permeabilità delle pareti capillari, permettendo l'installazione dello stadio microfagico. Questi fenomeni di difesa si accompagnano al passaggio del siero nel tessuto e alla comparsa dell'edema. L'edema non è nocivo per il processo di difesa, come si è creduto per un certo periodo, ma al contrario partecipa alla diluizione dell'agente nocivo, e le immunoglobuline sieriche che provengono da infezioni anteriori possono già intervenire localmente. Questo meccanismo di difesa scaturisce dalla sostanza fondamentale; questa è correlata alle ghiandole endocrine tramite dei capillari, e al sistema nervoso centrale dalle estremità terminali libere dalle fibre nervose e vegetative. I due apparati si trovano all'interno del tronco cerebrale. La sostanza fondamentale può quindi influenzare direttamente i centri regolatori superiori grazie agli elementi liberati (interleuchine, prostaglandine, interferone, proteasi, ecc..), un'informazione reciproca è stabilita tra i capillari, le fibre nervose vegetative e le cellule connettive mobili della sostanza fondamentale (macrofagi, leucociti, monociti). Ne risulta un'organizzazione umorale a rete di gran complessità. Il vantaggio di questi sistemi intrecciati è dato da un aumento delle facoltà di adattamento e di efficienza. Lo scopo dell'organismo è quello di garantire il proprio mantenimento grazie alla regolazione dell'omeostasia. In biologia come in medicina, la casualità e la finalità non si escludono, bensì s'influenzano reciprocamente. Filogeneticamente, la sostanza fondamentale è più antica del sistema nervoso e umorale. Di conseguenza, la sua formazione e la sua degradazione sono rette da un'organizzazione cellulare primitiva compensatoria: l'associazione fibrocito-macrofago. Alla questa necessità i fibrociti sono capaci di reagire in pochi secondi, tramite una sintesi dei proteoglicani e delle glicoproteine strutturali, quantitativamente e qualitativamente adattati, che saranno fagocitati dai macrofagi. Con la progressione della sua alterazione, 121
i fibrociti secernono una sostanza fondamentale strutturata ma non fisiologica. Influenzati da questa, tutti gli elementi cellulari possono costituire l'origine delle malattie croniche e tumorali (Heine).
Altre
sostanze intervengono ugualmente nel ruolo di difesa della sostaza fondamentale. Proteoglicani e gliocosaminoglicani rappresentano il primo sistema di difesa primitivo, e costituiscono un sistema viscoelastico che assorbe i colpi con un effetto di consumo di energia. Selye considera il tessuto connettivo come il regolatore della sindrome da stress. Tale sindrome conduce a un invecchiamento precoce dovuto alla perdita dell'adattabilità e dell'energia dell'adattamento. Tale ruolo di difesa del tessuto connettivo è illustrato dalle funzioni del peritoneo e del grande epiploon. Le funzioni principali del peritoneo sono quelle di ridurre gli attriti, di immagazzinare i grassi, tramite il grande epiploon, e di resistere alle infezioni. Il grande epiploon tende a dirigersi verso il luogo dell'infezione (il meccanismo è sconosciuto), ad incollarsi al focolaio e per conseguenza ad alimentare la vascolarizzazione locale. In tal modo aiuta a prevenire il propagarsi dell'infezione. In base alle nostre ordinarie conoscenze, sembra che gli interventi del sistema immunitario siano posteriori a quelli della sostanza fondamentale, che risulta dunque la prima barriera di difesa. G- RUOLO DELLA COMUNICAZIONE E DEGLI SCAMBI. Il tessuto connettivo, e tramite questo la sostanza fondamentale, sono in contatto contiguo con gli elementi cellulari del corpo. Il sistema vascolare, come quello linfatico e nervoso, si fermano al livello della sostanza fondamentale, e non si prolunga al di là nella cellula. Tutti i diversi sistemi portano alla sostanza gli elementi nutritivi e le informazioni periferiche e ne ripartono con i prodotti di scarto del metabolismo e le informazioni provenienti dalle cellule. Queste cellule sono bagnate dal liquido extra cellulare attraverso il quale s'instaura un dialogo con la sostanza fondamentale. Questo ha lo scopo, come abbiamo visto, di posizionare una barriera di difesa al fine di evitare che la cellula possa essere colpita. A partire dal momento in cui la sostanza fondamentale viene sopraffatta da un agente patogeno, la cellula stessa può essere colpita e s'innesca un processo degenerativo e morboso. Oltre al suo ruolo di difesa, la sostanza fondamentale è in comunicazione permanente con la cellula, fornendogli tutti gli elementi funzionali di cui questa necessita e veicolando al contrario i prodotti del metabolismo cellulare, così come i diversi messaggi emessi dalla cellula. Il tessuto connettivo è considerato come un complesso unitario che sviluppa le cellule parenchimatiche specifiche e permette la loro sopravvivenza, come la loro regolazione. Bordeu aveva già riscontrato nel 1767 che il tessuto connettivo non era solo un elemento di riempimento e di sostegno, ma anche di regolazione e di nutrimento per gli organi, e che era contemporaneamente un mediatore delle attività vascolari e nervose. Il tessuto connettivo è un'unità di collegamento tra il parenchima e le formazioni vascolari e nervose. 122
Questi scambi con la cellula avvengono per: •
diffusione
•
meccanismo osmotico
•
processo attivo del mesotelio
Lo strato glucidico superficiale della cellula
o
glicocalice
costituisce
l’intermediario funzionale tra l'interno e lo spazio cellulare. ( fig. 73) Corrisponde alla guaina recettiva della cellula, tramite glicosaminoglicani e i proteoglicani, e mette in contatto l’ambiente intracellulare con la sostanza fondamentale. Le perturbazioni della sostanza possono alterare i glucidi del glicocalice o modificare il comportamento della cellula. Esistono delle proteine di legame: fibronectina, laminino, condronectina, che sono intermediari tra la superficie cellulare e la sostanza fondamentale. La fibronectina partecipa alla crescita, alla mobilità, alla differenziazione cellulare; interviene nella fissazione delle cellule alla sostanza, impedendo così la sovrapposizione. La tenasina, nuova glicoproteina scoperta, parteciperà alle interazioni cellulari. L'eparina contenuta nelle vescichette situate nei mastociti e granulociti basofili, e quindi la liberazione avviene secondo la necessità, parteciperebbe alle interezioni cellulari. L’eparina contenuta nelle vescicole situate nei mastociti e granulociti basofili, la cui liberazione si svolge a seconda dei bisogni, partecipa a tutti i fenomeni di regolazione della sostanza fondamentale: 1. è regolatrice della lipolisi e della lipoproteinemia circolante 2. stimola l'aggregazione delle cellule linfatiche 3. attiva le proteine chinasi delle cellule muscolari 4. provoca la sintesi della sostanza fondamentale: interviene nella sintesi del collagene e nella polimerizzazione delle fibrille di collagene. Le membrane basali corrispondono a una determinata forma della sostanza fondamentale. Sono indispensabili per la crescita regolare dell'epitelio, ricoprono ugualmente le cellule di Schwann, gli assoni terminali, le cellule muscolari striate e lisce, le cellule miocardiche. La modificazione delle membrane basali è all'origine delle lesioni organiche. Le membrane impediscono la propagazione dell'infiammazione del connettivo l'epitelio, grazie al loro tenore elevato di vitamina C, che sembra captare i radicali ionici legati al processo infiammatorio. L'alimentazione del parenchima è il risultato di una corrente di secrezione attraverso le canicole della membrana capillare verso la membrana cellulare: qui il liquido carico di prodotti provenienti dal metabolismo resta a disposizione della cellula parenchimatica, poi questo liquido carico di prodotti del metabolismo cellulare raggiunge i vasi linfatici molto numerosi a livello del tessuto connettivo. 123
H- RUOLO BIOCHIMICO A seguito delle ricerche di Philippe Bourdinaud (lui stesso si è ispirato agli studi di D.Urry) riguardo all'azione biochimica della mano dell'osteopatia sul tessuto connettivo umano, sappiamo oggi che le fibre di elastina, reticolina e collageno, chiamati tuttora biopolimeri, contenuti nella matrice fasciale, sono in grado di ritrarsi sotto l’influenza di una pressione superiore a quella fisiologica per la quale la loro composizione biomolecolare è concepita, e di ritornare alla loro lunghezza iniziale, se la pressione dell’ ambiente interstiziale ridiventa fisiologica. Il fenomeno di ritrazione si manifesta quando un'iperpressione provoca il raggruppamento di molecole d'acqua della matrice fasciale, le spinge l'una verso l'altra, sotto forma di gabbie di acqua, attorno a poli idrofobi di fibre. La transizione inversa è allora possibile, cioè il ritorno alla lunghezza iniziale, solo se l'iperpressione nella matrice fasciale cessa o ritorna fisiologica, e questo avviene per mezzo della creazione di legami d'idrogeno tra le molecole d'acqua della matrice fasciale e i poli idrofobi delle fibre. Questa risposta si verifica a gradi di energia infinitesimale dell'ordine di qualche micron, perfino nanometro d'angstrom, ed è riconducibile a ogni momento in cui un'energia influenza l’ambiente. E' importante qui precisare che ogni tipo di energia possiede questa capacità di provocare il fenomeno della transizione inversa dei biopolimeri, come l'energia fotonica, calorica, chimica, elettrica ed elettromagnetica. Nonostante ciò, bisogna notare che l'energia meccanica risulta cinque volte superiore rispetto alle altre. Le proteine sono, infatti, capaci di effettuare un lavoro a partire da uno stimolo energetico, e da quello deriva l'energia meccanica. Si tratta del meccanismo universale più efficace che consiste nel piegamento o allungamento di questi biopolimeri. Questo meccanismo è alla base della maggior parte delle trasformazioni bioenergetiche. Ciò significa che alcune strutture anatomiche come: le membrane di tensioni reciproche del cranio, la dura madre midollare, i legamenti, le capsule articolari, i tendini, le aponeurosi, le cartilagini, in definitiva tutti i tessuti connettivi del corpo, sono in grado nell'infinitamente piccolo (dell'ordine di un micron, di un manometro o di un angstrom) di ritrarsi sotto l'influenza di un'iperpressione, e poi di ritornare alla loro lunghezza iniziale se la pressione della zona ritorna fisiologica. Tali scoperte scientifiche traducono perfettamente la teoria osteopatica dei nostri maestri, quando sostengono l'azione dell'osteopatia sul metabolismo cellulare.
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CAPITOLO 6 MECCANICA DELLE FASCE La meccanica fasciale svolge un ruolo essenziale nel funzionamento del corpo, così come nel mantenimento della sua integrità. Le fasce funzionano come un tutto, ma per la buona comprensione del loro meccanismo occorrerà studiare prima la meccanica locale e poi quella generale. (fig 74) MECCANICA LOCALE La
meccanica
manifesta
sotto
locale
delle
forma
fasce
si
multifattoriale,
avendo queste un ruolo di: sospensione, protezione,
contenimento,
separazione,
assorbimento degli urti, ammortizzamento delle pressioni. A- SOSPENSIONE E PROTEZIONE 1)Sospensione Il ruolo di sospensione della fascia acquista significato nelle fasce interne, sia che siano sotto forma di meso dei legamenti sia delle fasce propriamente dette. È la fascia che garantisce la coesione interna perchè mantiene, attraverso le insersioni strutturali, ogni organo al suo posto. Questo sostegno avviene in modo fermo, ma, nella maggior parte dei casi, non fisso. In effetti ogni organo grazie alla elasticità dei suoi punti di aggancio, ha sempre una certa mobilità. Mobilità necessaria per adattarsi alle diverse costrizioni che possono
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intervenire, ma anche mobilità che rientra nel contesto generale di mobilità del corpo umano, affinchè la funzione e la fisiologia possano esprimersi pienamente. Il ruolo di sospensione non si esercita unicamente nella parte cavitaria, ma anche alla periferia del corpo umano. Attraverso le aponeurosi dei legamenti è il supporto di ogni muscolo, articolazioni e sistema vascolo-nervoso. Circondando i vasi, i nervi, i muscoli e le articolazioni e formando i loro punti di insersione, questo sistema periferico è esso stesso ancorato a dei punti fissi rappresentati dalla struttura ossea, che gli permettono di mantenere l’integrità anatomica delle strutture che supporta (fig75). Dall’integrità della struttura ossea dipende il suo stato funzionale e per estensione, la buona fisiologia del corpo. Ma un osso, di per se stesso, non ha alcuna possibilità di azione; la sua funzione, la sua integrità e le relazioni tra osso e osso dipendono unicamente dai punti di aggancio che uniscono un osso alle strutture ossee vicine. Quindi se la struttura forma l’impalcatura, il punto di ancoraggio, essa dipende intimamente dai tessuti molli per il mantenimento della sua coesione e della sua funzione; si viene così a creare una interrelazione indissociabile fra struttura e tessuti molli , e da ciò dunque fra struttura e funzione e tra funzione e struttura. La funzione di sospensione delle fasce varia a seconda della zona considerata. La fascia possiede una capacità di stiramento diversa a seconda della sua localizzazione. Per esempio la capacità di stiramento di un tendine equivale ad 1/10 rispetto a quella della pelle e ciò è dovuto al fatto che il tendine è costituito da fibre di I tipo disposte parallelamente, mentre nella pelle ci sono tutti i tipi di fibre e queste sono disposte in tutte le direzioni. Lo spessore delle fibre di collagene è specifico dell’organo ed evolve con l’età. L’elasticità della fascia decresce durante la vita. La fascia è sede di ispessimenti, accorciamenti, calcificazioni, in funzione delle costrizioni subite. Tuttavia questa funzione di sospensione ha una adattabilità notevole a seconda delle circostanze. Così, durante la gravidanza , l’utero è la sede di una distesione notevolmente con l’ allungamento dei suoi legamenti, senza peraltro che questo crei alcun tipo di dolore. Non solo l’utero si distende, ma, risalendo nella cavità addominale, genera in secondo luogo una distensione delle fasce della parete addominale senza tuttavia generare neanche qui un disturbo doloroso. In altre circostanze dove è sottomesso a tensioni di stress e di tensione reagisce attraverso un ispessimento o una calcificazione, ma niente di ciò si produce in gravidanza. Dopo il parto ritorna progressivamente normale, ovvero si ritira per ritrovare la sua tonicità e la sua elasticità. Questo è un fenomeno preprogrammato e si può pensare che la fascia abbia “in memoria” questo meccanismo. Prendiamo il caso dell’obesità: questa situazione può essere considerata come patologica. In alcuni soggetti l’aumento di peso è enorme, l’accumulo di tessuto grasso avviene a tutti i livelli, implicando un aumento di volume che può essere considerevole e quindi automaticamente portare ad una distensione della fascia (per contenere questo sovrappiù). Durante il dimagrimento, soprattutto se è
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progressivo, nella grande maggior parte dei casi la fascia riprende la sua elasticità e la sua tonicità normali. Abbiamo quindi a che fare con un sistema di adattamento notevole. Un altro esempio: il rene, contenuto in un sacco aponeurotico sospeso attraverso dei legamenti e dall’arteria renale, è soggetto a ptosi o a divenire fluttuante in seguito ad una lassità del sistema di sospensione, essendo stirata anche l’arteria renale. Se attraverso una manipolazione osteopatica, a condizione che questa non sia troppo tardiva, riusciamo far reintegrare il rene nella sua posizione normale, constatiamo che dopo un certo tempo il rene si è stabilizzato nella sua loggia e che le strutture di sostegno hanno ritrovato la loro tonicità. La fascia possiede una notevole mallebilità che le permette di adattarsi continuamente alle costrizioni che deve subire, ma è anche capace di ritrovare il suo stato precedente perché è “programmata” per facilitare la fisiologia del corpo (a condizione che un aiuto esterno le sia apportato in un tempo ragionevole). 2)Protezione Oltre al ruolo di mantenimento la fascia possiede un meccanismo di protezione per garantire l’integrità fisica e fisiologica del corpo umano. Questo meccanismo di protezione si esprime seguendo più vettori e questo grazie alla sua solidità, ma anche alla sua contrattilità ed elasticità. Mantenimento dell’integrità anatomica Grazie alla sua resistenza la fascia permette il mantenimento dell’integrità anatomica delle diverse parti del corpo. Permette ai diversi organi di conservare una forma costante. Questo non avviene in modo rigido, ma grazie ad un’adattabilità che varia a seconda delle regioni prese a riferimento. Così le fasce che avvolgono i reni, il fegato, o che mantengono la struttura delle arterie, pur avendo una certa elasticità, possiedono un tono maggiore rispetto a quelle presenti nell’intestino, nello stomaco, nelle vene e negli ureteri, che sono sottomessi a variazioni di forma e di pressione dipendenti dal loro grado di riempimento; devono dunque permanentemente aggiustare le loro tensioni, per una maggiore tolleranza e perciò necessitano nella loro struttura di una maggiore quantità di reticolina, fibre elastiche e di una sostanza fondamentale meno densa. È ancora grazie alle fasce che i muscoli possono avere la loro forma anatomica; ma qui abbiamo a che fare con fasce molto più dense e resistenti. La loro deformazione è minima permettendo così ai muscoli di appoggiarsi a loro. Protezione contro le variazioni di tensione La fascia costituisce la prima barriera protettrice contro le variazioni importanti di tensione nel corpo, permettendo di assorbire gli urti per preservare l’integrità delle strutture che avvolge e sostiene. Funge dunque da vero e proprio ammortizzatore, che tramite la sua contrattilità e la sua elasticità attenua le tensioni che si esercitano sul corpo e di prendersi carico e di distribuire l’energia trasmessa da un urto violento, al fine di evitare una lesione sull’organo che protegge. 127
Questo ruolo di tampone e di protezione è significativo a livello delle meningi il cui fine è quello di preservare l’asse cerebrospinale contro gli urti e le variazioni brutali di pressione, che potrebbero essere molto dannose per il tessuto nervoso. A questo livello abbiamo un elemento supplementare che rinforza il ruolo di ammortizzazione: il liquido cefalo-rachidiano. In periferia il liquido cefalo-rachidiano è sostituito, nelle zone particolarmente sensibili (reni, fosse ischio-rettali…), da tessuto grasso, che non è altro che una varietà di tessuto connettivo prossimo alla fluidità. Bisogna ricordare che la contrattilità e la elasticità sono fattori importanti della meccanica fasciale; l’elasticità diminuisce nel corso della vita contribuendo in modo importante all’invecchiamento. Un esempio illustra chiaramente questo stato di cose: ci sono delle modificazioni progressive della pelle nel corso dell’età, come le pieghe cutanee che si affacciano nel corso degli anni e che aumentano via via che il tempo passa; queste pieghe sono dovute all’indebolimento dei legami trasversali e quindi dell’elasticità del tessuto connetivo. La dinamica meccanica di un tessuto sarà condizionata dalla concentrazione locale di proteoglicani e di acido ialuronico. Le tappe della sintesi e del metabolismo dei proteoglicani possono essere modificati da dei fattori endogeni (ereditarietà, errori genetici…) ed esogeni (malnutrizione, stress, infezioni batteriche e virali, traumi…). Ciò porterà ad un addensamento della sostanza fondamentale con un rinforzo delle fibre di collagene. Se le forzature che si esercitano sul tessuto connettivo persistono, questo trasformerà completamente la sua struttura, soprattutto nei punti di inserzione, per poi arrivare alla calcificazione. È per questo che noi vediamo il progressivo formarsi di calcificazioni su attacchi legamentosi o fasciali a seguito di tensioni importanti. Questo fenomeno è particolarmente frequente a livello del calcagno, del gomito e della spalla o della colonna vertebrale, citando gli esempi più notevoli che si trovano quotidianamente. Sotto l’effetto di irritazioni, infiammazioni e di stress ripetitivi e molto importanti, il tessuto connettivo mette in moto un meccanismo di difesa che consiste nella sua trasformazione in tessuto osseo. Assistiamo così ad un importante fenomeno di adattamento, compensazione tanto più notevole visto che come vedremo più avanti, questo fenomeno può essere reversibile. B- CONTENIMENTO E SEPARAZIONE La fascia unisce e separa tutto, separa e unisce tutto (L. Issartel) 1)Contenimento Non esiste una sola parte del corpo che non sia avvolta da una fascia. Come dimostra l’anatomia, il corpo umano è costituito da dei grandi guaine che racchiudono delle regioni più o meno estese, ma, all’interno di queste regioni, c’è una duplicazione della fascia che va a contenere delle strutture sempre più fini, e questo senza alcuna discontinuità. Così a livello della coscia, per esempio, abbiamo una grande guaina 128
cilindrica che ingloba tutti i muscoli di questa zona. Questo grande cilindro si divide in seguito, grazie a dei setti intermuscolari, per separare i gruppi muscolari con funzioni diverse. All’interno di questi setti possiamo avere più muscoli avvolti nella stessa guaina fasciale. Nello stesso muscolo abbiamo un’altra divisione aponeurotica che circonda i diversi fasci muscolari, i quali saranno a loro volta divisi in setti da altre membrane che rivestono le miofibrille. La cavità addominale è chiusa da una vasta borsa membranosa che contiene tutti i visceri, e li isola dalle strutture vicine, mantenendo una certa coerenza e costanza di pressione. Ma questo stesso peritoneo va a dividersi in legamenti, mesi….che vanno a costituire l’involucro strutturale degli organi. La fascia dunque garantisce la struttura anatomica dei tessuti molli; essendone a sua volta il costituente, il supporto e l’impalcatura. Una debolezza al suo livello si tradurrà in un ernia della “materia” che contiene; quest’ernia potrà a sua volta evolvere verso una rottura con danno alla funzione fisiologica. Senza la fascia i diversi organi non potrebbero adempire al loro ruolo. Gli organi cavi sarebbero sede di distensioni enormi; la loro fisiologia sarebbe completamente perturbata dal fatto che gli epiteli hanno il loro punto di ancoraggio nelle membrane basali, esse stesse all’origine della loro rigenerazione (degli epiteli). Un’arteria sprovvista di fascia sarebbe flaccida, facilmente comprimibile e ciò perturberebbe enormemente il flusso sanguigno. Gli organi pieni senza la loro struttura fasciale sarebbero incapaci di mantenere la loro forma e diverrebbero del tutto inoperanti. A livello muscolare sarebbe impossibile sviluppare la potenza legata alla contrazione. Abbiamo detto che la fascia è una struttura rigida più o meno anaelastica. Durante la contrazione un muscolo ha bisogno di punti di appoggio per manifestare la sua efficacia. Possiede perciò degli ancoraggi ossei, ma questi sarebbero insufficienti se il muscolo non si appoggiasse alla fascia (soprattutto se la contrazione genera spostamento del segmento osseo). La fascia costituisce un punto di fissazione per il muscolo, ma anche un punto di appoggio a partire dal quale potrà esprimere tutta la sua potenza. Questo ruolo di contenimento interviene anche per proteggere gli organi e i muscoli contro gli urti e le variazioni di pressione assorbendone essa stessa una parte di energia; in mancanza della fascia finiremmo molto velocemente per strapparci o scoppiare. Questo ruolo di contenimento si manifesta anche per canalizzare le forze. La fascia assiste al controllo del movimento nella sua realizzazione oltre che nella sua coordinazione. 2)Separazione Sebbene tutte le strutture anatomiche siano legate alla fascia, questa funge anche da mezzo di separazione affinchè esse salvaguardino la loro coerenza. Questa separazione si realizza attraverso una divisione in compartimenti e degli scivolamenti. Scivolamento (o clivaggio) 129
Per evitare rigidità e mantenere il massimo di mobilità (funzione principale anche della più piccola parte del corpo) oltre che una certa indipendenza (tra un organo o una struttura in rapporto a quella adiacente), ogni parte, pur rimanendo in relazione con quella vicina, ne è separata attraverso dei piani di scivolamento. Questi piani sono costituiti da tessuto connettivo lasso che penetra tra gli organi per riempire gli spazi, ma anche, come abbiamo già detto, per collegare le strutture. Questi piani di scivolamento presentano tre punti di interesse: -
1) favoriscono lo scivolamento degli organi, muscoli o fasci muscolari, gli uni in rapporto agli altri, permettendo così di adattarsi alle variazioni di forma, di tensione, di movimento.
-
2) rappresentano dei punti di passaggio che facilitano la palpazione profonda.
Quando, per attuare dei test o dei trattamenti, dobbiamo indirizzarci in zone situate in profondità, ci occorre attraversare una barriera muscolare. Se cerchiamo di penetrare passando attraverso un piano muscolare, saremo molto velocemente frenati dalla tensione del muscolo o dalla sua contrazione riflessa; per di più interporremmo tra le nostre mani e la zona da palpare una struttura spessa e densa che diminuirà o impedirà la palpazione. I piani di sfaldamento ci permettono un passaggio più facile. Così se vogliamo palpare un piramidale o un piccolo legamento sacro-sciatico, bisognerà servirci del piano di scivolamento presente tra il medio e il grande gluteo. Se si vuole palpare il nervo sciatico sulla faccia posteriore della coscia, la sola via di passaggio possibile è il piano di sfaldatura presente tra il gruppo esterno e quello interno degli ischio-crurali. Allo stesso modo per palpare un rene il punto di passaggio efficace non potrà che essere fra il bordo esterno dei grandi retti e gli obliqui. Se si vuole palpare il legamento vertebrale comune anteriore il solo punto di passaggio possibile è attraverso la linea alba, e questo è un punto di scivolamento soggetto a notevoli variazione. Ricordiamoci che in gravidanza è grazie soprattutto all’allontanamento della linea alba se l’addome può dilatarsi. Ma purtroppo è a causa della cattiva riunione postpartum che interviene una interruzione della linea bianca attraverso la quale si può facilmente sentire le anse intestinali. -
Permettono infine ai chirurghi di fare delle incision minime e di separare facilmente gli organi tra loro quando operano nella cavità addominale.
Compartimentazione La divisione delle fasce permette di costituire dei compati più o meno a tenuta stagna, per mantenere diverse pressioni tra i diversi compartimenti, ma anche per prevenire la diffusione delle infezioni o delle infiammazioni da un compartimento all’altro. Questa compartimentazione protegge dunque gli organi dall’espansione di focolai purulenti. Ma come abbiamo visto, realizza anche delle segmentazioni all’interno di uno stesso organo e di queste le più rappresentative sono i lobi del fegato e del polmone. Questa compartimentazione supplementare ha per fine la protezione di un organo vitale, preservando la
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sua funzione quando è danneggiata una delle sue parti. È per questo che il fegato può assolvere alla sua funzione fisiologica finchè persiste il 30% di tessuto è funzionante. C- ASSORBIMENTO DEGLI URTI Durante un trauma violento il corpo è vittima di un onda d’urto che fa penetrare al suo interno una grande quantità di energia. Se la sua intensità è troppo elevata ne conseguiranno danni importanti a livello di determinate strutture o organi. Il ruolo del tessuto connettivo è quello di ammortizzare questa onda d’urto e di disperderla in differenti direzioni al fine di attenuarne l’intensità, preservando l’integrità fisica del corpo umano. Se l’intensità va oltre una certa soglia, il tessuto connettivo non potrà adempiere al suo ruolo e assisteremo a delle lesioni che portano a esiti fatali, fra i quali i più ricorrenti sono lo scoppio della milza e del fegato e la rottura del rene. L’orientamento delle fibre fasciali, il ruolo di tampone del tessuto connettivo, tendono, come abbiamo detto, a disperdere questa energia in differenti direzioni al fine di attenuare l’intensità e permettere anche l’assorbimento dell’urto. Tuttavia, in un certo numero di casi, questa energia non può essere ammortizzata e dispersa, sia perché l’urto è troppo violento sia perché avviene in una zona che era già in stato di tensione anormale. Assistiamo dunque alla formazione di quelle che Elmer Green ha chiamato cisti di energia. Ciò vuol dire un imprigionamento nel tessuto connettivo di una quantità importante di energia che avrà a, più o meno lunga scadenza, un effetto perturbante. Questa cisti si manifesta come un’ostruzione della conduzione efficace di elettricità attraverso la parte del corpo dove risiede. Si comporta come agente irritante e contribuisce allo sviluppo di un segmento facilitato come focolaio di irritazione locale. Genera un aumento dell’entropia ed è meno funzionale dei tessuti circostanti. Può essere il risultato di un trauma, ma anche di una invasione patogena, di una disfunzione fisiologica o di un problema emozionale. È curioso pensare che un tessuto molle possa accumulare in se stesso una quantità di energia che resta imprigionata dentro di esso. Abbiamo visto che il ruolo della sostanza fondamentale era, fra gli altri, quello di ammortizzamento e che per adempiere al suo lavoro metteva in moto numerosi meccanismi per ristabilire la normalità. In un certo numero di casi avviene che i suoi meccanismi sono sommersi di lavoro e non possono del tutto far fronte agli stress imposti. In questi casi essa mette in memoria questi stress e lo fa in maniera indipendente dalle vie superiori. Certamente queste ultime interverranno per aumentare la possibilità di evacuazione di energia attenuandone le conseguenze, ma non potranno cancellare gli stress subiti. Questo è messo in evidenza dall’esperimento di Frankstein: dopo aver iniettato essenza di terebinto nella zampa di un gatto, ha visto che quest’ultimo, sotto l’intensità di un urto, ha messo la gamba in posizione di triplice ritrazione. Passato un certo periodo il gatto ha ritrovato la funzionalità della sua zampa. Dopo alcuni mesi è stata effettuata una decerebrazione del gatto e immediatamente la zampa traumatizzata ha assunto la posizione di triplice ritrazione. L’interruzione dei processi regolatori superiori 131
ha fatto venir fuori il trauma iniziale: si è parlato così di memoria cellulare o di memoria periferica, ma si può meglio definirla come memoria del tessuto connettivo e più precisamente memoria della sostanza fondamentale. Quando il potere tampone del tessuto connettivo è superato, ovvero quando un trauma o un’aggressione supera una certa intensità, si assiste al collocarsi di uno stress locale che il più delle volte evolve in maniera silente e questo anche per alcuni anni, ma che poi, nella maggior parte dei casi, tende verso uno stato patologico. Questo avviene a partire da un meccanismo locale autonomo, ma tramite il sistema nervoso può guadagnare rapidamente una zona più estesa, tramite il meccanismo di facilitazione di un segmento midollare. Al suo livello la resistenza alla conduzione di un impulso elettrico è stata ridotta. Il segmento è altamente irritabile e uno stimolo supplementare anche debole, gli genererà una risposta importante, non corrispondente con l’intensità della stimolazione. Questo segmento midollare facilitato genera delle risposte del tono muscolare, con diminuzione della mobilità del segmento in questione oltre ad un cambiamento palpabile della struttura del tessuto. Ricordiamoci che questo cambiamento può essere indotto direttamente senza passare dall’arco midollare e questo grazie a delle modificazioni nella sostanza fondamentale che si vanno a ripercuotere sulla superficie tramite i cilindri di Hine. La stimolazione simpatica genera a sua volta un cambiamento nella struttura della pelle oltre che un cambiamento nell’attività delle ghiandole sudoripare. La sua azione infine si estende a distanza sugli organi dipendenti dalla zona metamerica che a loro volta entrano in disfunzione senza l’intervento esterno. Un segmento facilitato avrà purtroppo tendenza ad autoperpetuarsi. D- AMMORTIZZAZIONE DI PRESSIONI Il corpo subisce continuamente tensioni, stiramenti, urti, stress di tutti i tipi. Se non esistesse un reparto difensivo per ammortizzare questi diversi traumi, sarebbe poco probabile che l’essere umano fosse sempre vivo e in ogni caso la sua funzionalità sarebbe fortemente alterata. Questo ruolo di ammortizzazione è in gran parte compiuto dalla fascia e si realizza attraverso la sua struttura biochimica, le sue componenti elastiche, la sua costruzione anatomica, il tessuto grasso. 1) Struttura biochimica Abbiamo studiato nel capitolo precedente il ruolo tampone del tessuto connettivo devoluto alla sostanza fondamentale, essa stessa dipendente dalla concentrazione in proteoglicani. Occorre ricordarsi che i proteoglicani modificano le caratteristiche visco-elastiche dei tessuti permettendo così il loro adattamento alle variazioni di pressione. La proporzione tra sostanza fondamentale e fibre dipende dalle forze che agiscono sul tessuto. Così avremo che in un legamento, dove le forze sono dirette secondo una direzione costante con sollecitazioni importanti, la sostanza fondamentale è molto limitata e le fibre sono molto abbondanti e allineate in fasci paralleli. In seguito ad una qualsiasi sollecitazione la fascia gioca un ruolo di ammortizzatore per attenuarne l’intensità e assorbire una parte di forza. Se questa sollecitazione 132
persiste la fascia in un secondo tempo modificherà la sua struttura. Così quando una tensione è applicata ad un qualsiasi livello, le fibre di collagene aumentano e si orientano secondo le linee di forza potendo creare una fibrosità. Hurchler e coll. in studi fatti su una fascia patologica nel quadro della sindrome cronica della loggia tibiale anteriore, non hanno constatato differenze quantitative di collagene. Al contrario hanno notato un aumento dello spessore e della rigidità strutturale. A livello della fascia patologica la la struttura reticolata delle fibre è più piccola. In certi pazienti appare più spessa ed in altri più spessa e con delle aderenze muscolari ed in altri ancora istologicamente normale. Questo ci porta a pensare che ogni soggetto risponde in maniera diversa ad una stessa patologia e questo certamente in base allo stato di salute generale del paziente. Quando guardiamo una persona occorrerà quindi integrare la patologia in un contesto generale; questa è l’idea che esprime I.Korr che “non ci sono malattie ma solo malati”. Page nota che il tessuto connettivo forma le membrane attraverso le quali hanno luogo i processi osmotici di nutrizioni ed eliminazione. Pressioni o tensioni anormali vanno a ripercuotersi sugli scambi osmotici dei fluidi. L’equilibrio che esiste tra il flusso sanguigno ed il fluido tessutale deve essere mantenuto, affinché si possa esprimere pienamente l’equilibrio fisiologico del corpo. Qualsiasi tensione membranosa può perturbare l’emodinamica del corpo; il drenaggio dei tessuti sarà a sua volta perturbato con accumulo di metaboliti e progressive disfunzioni locali. Yahia e coll. tramite prelievi campione di fascia lombare, hanno constatato degli ispessimenti evidenti, ciascuno con fibre orientate in una direzione specifica. 2) Componente elastica La fascia non è una struttura totalmente rigida. Qualunque sia la sua localizzazione, presenta sempre una certa elasticità grazie alla quale può attenuare l’intensità delle pressioni e far aumentare al massimo la soglia di rottura. Durante uno sforzo violento la resistenza muscolare è supportata e rinforzata dalle caratteristiche elastiche del tessuto connettivo; senza questo il muscolo raggiungerebbe rapidamente la sua soglia di tolleranza e ne conseguirebbe facilmente la rottura. Se questo non si realizza frequentemente è grazie alle proprietà visco-elastiche e contrattili della fascia. Yahia e coll. hanno studiato lo stiramento su campioni di fasce. Hanno constatato che più una fascia è stirata, più aumenta la sua rigidità e che per ottenere una stessa deformazione in un tempo più corto occorre una carica più importante. In più se la fascia è sottomessa ad una carica costante la deformazione diminuisce progressivamente. 3) Tessuto grasso Oltre al suo ruolo di messa in riserva di grasso, di isolante termico, il tessuto grasso interviene anche per ammortizzare le pressioni. Questo ruolo riveste una importanza più o meno grande a seconda delle regioni considerate. A livello cutaneo il tessuto grasso attenua l’intensità degli urti, costituendo un 133
cuscino ammortizzante più o meno efficace a seconda dello spessore. Così un urto sul braccio, dove il pannicolo adiposo è ben presente, sarà meno doloro rispetto alla tibia dove il tessuto grasso è praticamente inesistente. A livello addominale, oltre a riempire lo spazio compreso tra i diversi organi, il tessuto grasso attenua in modo significativo le grandi pressioni che si esercitano all’interno della cavità addominale, proteggendo così i diversi organi affinché la loro fisiologia possa svolgersi normalmente. A livello dei reni il grasso perineale è molto abbondante. Permette una fissazione del rene (le ptosi renali sono frequenti nei dimagrimenti rapidi con perdita del grasso perineale) e costituisce attorno a questo un cuscinetto adiposo che protegge contro i traumi (se troppo violenti possono portare alla rottura del rene). A livello del perineo infine esiste una importante raccolta di grasso. Esempio del perineo Il perineo per la sua situazione, il suo ruolo, la sua costruzione anatomica, merita uno studio particolare che illustrerà perfettamente le diverse caratteristiche della fascia. Richiamiamo alla mente che il perineo è composto da tre strati fasciali sovrapposti: aponeurosi perineale superficiale, media (presenti a livello del perineo anteriore), aponeurosi perineale profonda (rappresenta l’amaca che chiude tutta la cavità addominale). Questi involucri fasciali circondano i diversi muscoli che rinforzano e sottendono. Questa costruzione sarebbe perfetta se non presentasse in senso antero-posteriore delle aperture nelle quali si introducono gli organi del piccolo bacino: retto, vescica nell’uomo e retto, vescica e sopratutto vagina nella donna (questa costituisce una importante fessura dove si situano utero e collo della vescica). Il perineo è riempito nella sua parte centrale, in senso antero-posteriore, dagli organi dl piccolo bacino che hanno grossolanamente una forma concava e sui quali aderisce e riposa il peritoneo. Lateralmente troviamo le fosse ischio-rettali, due strutture longitudinali riempite di grasso. Il perineo rappresenta la parte più declive della cavità toraco-addominale, su cui si appoggia tutta una “colonna liquida”, che comprende non soltanto gli organi perineali, ma anche gli organi addominali e toracici. Questa colonna ha un peso considerevole e poiché il perineo non è chiuso ermeticamente, se questo peso si ripartisse solo verticalmente, gli organi perineali tenderebbero rapidamente alla ptosi, ma questa fortunatamente non è che una circostanza eccezionale. Il perineo, per evitare questi inconvenienti e al fine di sostenere la colonna viscerale sottostante, assicurare una perfetta fisiologia degli sfinteri, assorbire le pressioni che si esercitano su di lui, si è dotato di più meccanismi di protezione: -
elasticità e solidità
-
architettura anatomica
-
presenza di un cuscino adiposo
-
ammortizzatori complementari 134
-
sinergia di movimento
a)elasticità e solidità Per sostenere gli organi perineali, le fasce pelviche devono avere due caratteristiche essenziali e apparentemente contraddittorie: elasticità e solidità. •
Solidità per sopportare le enormi pressioni che possono esercitarsi quando si tossisce o facciamo sforzi violenti.
•
Elasticità per permettere di ammortizzare permanentemente le pressioni e per favorire il gioco degli sfinteri.
La perdita di uno di questi due fattori o di entrambi porta alla rottura del funzionamento fisiologico degli organi perineali, con possibilità di disfunzioni vescicali o uterine e, in più o meno tempo, prolasso di questi organi. b)architettura anatomica Abbiamo segnalato che gli organi perineali hanno una forma grossolanamente concava in senso anteroposteriore e sagittale. Questo per permettere alle pressioni che vengono dall’alto di ripartirsi in tutti i sensi e non solamente in una direzione strettamente verticale. Kamina nota che: la statica interna è tanto migliore quanto l’orientamento fisiologico dell’apparato genitale è conservato o accentuato e quando gli elementi di sostegno sono solidi. Durante lo sforzo, la pressione addominale, tenuto conto della direzione generale del bacino, è orientata essenzialmente in dietro verso la resistente regione ano-coccigea. C’è una traslazione posteriore dei visceri ed in particolare dell’utero, il cui collo si appoggia sul perineo posteriore. Del resto le fasce uterine dell’elevatore dell’ano si contraggono per opporsi alle sollecitazioni pressorie. Alzano il centro tendineo del perineo, che applica la parete vaginale posteriore contro quella anteriore, formando un angolo vaginale a seno posteriore: “l’angolo vaginale”. Nell’architettura anatomica bisogna tener conto dell’inclinazione del bacino, della lordosi lombare, della tonicità addominale. L’aumento della lordosi lombare e la perdita della tonicità addominale favoriscono l’antiversione del bacino; di conseguenza, la risultante delle forze che si esercitano sul perineo ha la tendenza ha focalizzarsi sulla fessura vulvare, esercitando una pressione molto più forte sulla vescica e sull’utero. Se ci troviamo davanti ad un perineo indebolito, molto rapidamente ciò porterà alla discesa del collo vescicale o uterino. c)presenza di un cuscino adiposo Il tessuto grasso presente a livello delle fosse ischio-rettali ha il compito non soltanto di colmare uno spazio lacunare o per proteggere gli elementi vascolo-nervosi, ma anche per ammortizzare le pressioni.
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Rappresenta un tampone elastico che attenua l’intensità delle pressioni e ne prende in carico una certa parte
d)ammortizzatori complementari -Postero-lateralmente la cavità perineale è chiusa dal muscolo piramidale circondato dalla sua fascia, che è in dipendenza dall’aponeurosi perineale profonda. Oltre a chiudere ermeticamente l’anello pelvico in dietro, il piramidale costituisce un ammortizzatore supplementare delle sollecitazioni che si esercitano sul piccolo bacino. -Lateralmente il bacino presenta due orifizi: i forami otturatori, dei quali ci si può chiedere la funzione. Oltre al fatto che danno inserzione ai due muscoli otturatori, questi forami sono colmati dalla membrana otturatrice, struttura elastica che vibra in funzione delle pressioni che si esercitano sul piccolo bacino; un po’ alla maniera di due branchie di un pesce, costituendo così un elemento supplementare di regolazione delle sollecitazioni. e)sinergia di movimento Non ci scordiamo che esiste una importante massa viscerale addominale che domina il piccolo bacino e che questa massa è chiusa nella sua parte superiore dal pistone diaframmatico, che è mobilizzato continuamente dall’alto verso il basso, esercitando quindi una certa pressione sulla colonna viscerale. Questa pressione si trasmette agli organi pelvici. I tessuti molli del perineo, grazie alla loro elasticità, sono là anche per assorbire ed integrare questo movimento permanente, evitando così che questo diventi dannoso per il proprio contenuto. Il perineo lavora dunque in sinergia con il diaframma, realizzando un lieve movimento di discesa durante l’inspirazione. Per convincersi di ciò basta respirare contraendo il perineo e si percepisce che la respirazione diviene improvvisamente più difficile e si ha la sensazione di un aumento di pressione. Tutto sommato, grazie alla solidità, alla plasticità e alle caratteristiche visco-elastiche delle fasce, le pressioni trasmesse dalla colonna toraco-addominale non si esercitano soltanto in maniera verticale, ma sono ripartite e prese in carico da tutte le componenti dell’anello pelvico: -
In basso e in dietro a livello dell’anello fibroso centrale del perineo, punto della cavità più declive e di convergenza di tutte le fasce e di tutti i muscoli perineali. Rappresenta il laccio che chiude il sacco e può quindi essere considerato il punto più solido.
-
Lateralmente esiste il primo ammortizzatore costituito dal tessuto connettivo grasso. Più lateralmente ancora si trovano in avanti le membrane otturatrici e in dietro i piramidali.
-
In avanti infine una parte di sollecitazioni è presa in carico dal perineo anteriore e dalla sinfisi.
136
4) Struttura anatomica Ancorata al sistema scheletrico la fascia non rappresenta un semplice tubo costituito da bande verticali o parallele. L’architettura della fascia è formata da più strati sovrapposti e interdipendenti gli uni dagli altri, orientati in parecchie direzioni: verticali, orizzontali e oblique. Tutto ciò al fine di rinforzare la solidità, l’efficacia e di aumentare la resistenza alle sollecitazioni che si esercitano su di essa. Debnar e coll., nel corso dell’analisi di campioni di fascia toraco-lombare, hanno dimostrato che questa è formata numerose lamine di collagene orientate obliquamente le une in rapporto alle altre. Gerlach e Lierse hanno studiato la fascia dell’arto inferiore. A livello della coscia hanno visto che (fig 76): 1) Nella sua parte anteriore la fascia presenta: -delle fibre orizzontali che si attaccano al tratto ileo-tibiale e delle
altre
che
vanno
posteriormente -delle fibre verticali nella parte superiore della coscia, che sono intrecciate
con
le
fibre
orizzontali -delle fibre oblique in basso ed in dentro la cui parte inferiore si prosegue sulla parte interna della tibia. Sono più sottili di quelle verticali ad eccezione che a livello delle anche dove sono più forti 2) nella sua parte posteriore: -potenti fibre verticali
137
-fibre orizzontali presenti soprattutto sotto il grande gluteo e nella parte inferiore della coscia (queste terminano nel cavo popliteo); le fibre più basse sono arciformi, dapprima oblique in basso ed in dentro, poi verticali e si continuano con l’aponeurosi tibiale posteriore. 3) nella sua parte interna: -costituite da fibre verticali e oblique, queste ultime provenienti dalla fascia lata; presentano un contingente anteriore obliquo in basso ed in avanti e un contingente posteriore obliquo in basso ed in dietro. Le fibre anteriori si confondono con il retinacolo patellare, quelle laterali con il legamento collaterale interno. La parte laterale interna presenta fibre molto resistenti, strette e facilmente palpabili. 4) nella sua parte esterna: -delle fibre verticali molto potenti formano il tratto ileo-tibiale. Questo tratto è in connessione con il femore grazie alla membrana interossea esterna. Nella sua parte inferiore entra nella costituzione del retinacolo patellare e del legamento collaterale esterno. Le fibre della coscia si prolungano a livello della gamba e del piede, dove presentano la stessa architettura. In genarale la fascia dell’arto inferiore e comunque, tutte le fasce, hanno una costruzione a spirale. Questo permette loro di giocare un ruolo “di straccio” nella dinamica dei fluidi, come abbiamo già visto, ma anche di aumentare la capacità di resistenza alle sollecitazioni e di mantenere delle forme anatomiche.
MECCANICA GENERALE A) CONDUZIONE DELLA SENSIBILITA’ La conduzione della sensibilità, proveniente dalla periferia, arriva al corno posteriore del midollo spinale. Da qui, attraverso le vie intramidollari, è portata verso i centri specifici cerebrali che elaborano l’informazione ed inviano la risposta di ritorno adeguata alla situazione. Questo è uno schema un po’ grossolano, nella realtà le cose sono molto più complesse. Esiste tutta una serie di recettori periferici che si trovano nelle vie di passaggio anatomiche sopra descritte, ma sembra che le vie di conduzione non 138
siano così semplici come si potrebbe pensare e che esistano dei circuiti che attualmente sfuggono a ogni schematizzazione. Ogni informazione che arriva al corno posteriore del midollo non genera sistematicamente una risposta e questo fortunatamente, altrimenti saremmo in uno stato di agitazione permanente. Perché ci sia una risposta appropriata è necessario che avvenga una sommazione di impulsi. È a partire da questa constatazione che Melzach e Wall hanno elaborato la “teoria del portone”. Esiste nel corno posteriore del midollo un meccanismo regolatore che consente di aumentare o diminuire debitamente gli impulsi nervosi. Questo meccanismo è determinato dall’attività di fibre Aβ e Aδ, oltre che dalle influenze discendenti generate dal cervello. Quando la quantità di informazioni che attraversano il portone oltrepassa una soglia critica, c’è l’attivazione delle zone neurali responsabili del dolore. A livello delle cellule T del corno posteriore arriva tutto un flusso di stimoli; fino ad una certa soglia, le cellule T sono in grado di esercitare un controllo inibitorio e il portone resta chiuso. Quando la sommazione diventa troppo grande il controllo inibitorio è inibito, il portone si apre e compare la sensazione dolorosa. Tuttavia il meccanismo puramente midollare pone alcuni problemi; infatti il modello del portone è basato su un controllo presinaptico, ma esistono anche delle inibizioni postsinaptiche; ne è prova il fatto che il meccanismo di salvaguardia, ma anche l’arresto della lesione avviene in primo luogo alla periferia, prima ancora dell’intervento dell’arco riflesso. Appare chiaro dunque che non tutte le informazioni vanno verso i centri superiori, ma che vengono trattate anche dai “cervelli periferici”. Così esperimenti effettuati su topi decerebrati hanno dimostrato che questi potevano risolvere dei problemi di labirinto per trovare il cibo. Il midollo sarebbe dotato di memoria, può prendere decisioni e risolvere alcuni problemi. Ma i cervelli periferici sono disposti anche alla periferia e soprattutto a livello delle fasce. Le fasce sarebbero dei conduttori di una sensibilità superficiale che segue sistemi diversi da quelli midollari; è quello che Bichat chiamava “il simpatico delle membrane”. Così, per esempio, se ci grattiamo a livello della coscia, possono apparire dei punti di irritazione lontani, sulla schiena o altrove. Questa conduzione periferica della sensibilità è perfettamente illustrata in caso di causalgie o di algoallucinosi. Queste due patologie possono generare dei dolori talmente atroci che il soggetto è portato a suicidarsi. Oppure nei casi più ribelli, dopo radicolotomie, simpatectomie, cordotomie o sezioni midollari, si ottiene, a volte, solo una scomparsa transitoria del dolore infatti questo finisce per ritornare con la stessa intensità. Da dove viene? Da dove passa? Sicuramente non dal sistema nervo-midollo che è stato sopresso. Sembra quindi esistere una maglia sensitiva autonoma che costituisce la prima organizzazione periferica, e che funziona in maniera del tutto indipendente. Un tocco leggero su una zona dolorosa può scatenare dolori atroci, talvolta il dolore si manifesta spontaneamente senza stimoli apparenti. I dolori possono propagarsi in modo imprevedibile in parti lontane del corpo, che non hanno alcun legame con il sito iniziale del dolore. Spesso il dolore persiste a 139
lungo dopo l’arresto dello stimolo. Questo fatto sfugge a qualsiasi spiegazione logica se consideriamo un sistema del dolore specifico, rigido, diretto. Così una vescica in uno stato di semi-replezione è insensibile e non genera lo stimolo ad urinare. La replezione genera il bisogno di urinare grazie ad uno stimolo di eccitazione dei meccanorecettori. In caso di cistite, il bisogno di urinare si scatena con una capacità di replezione molto debole. L’utero presenta una doppia innervazione. Il corpo innervato da un contingente di fibre dorso-lombari non è doloroso se non in caso di forti dilatazioni, di infezioni importanti, nel parto e durante le mestruazioni in alcune donne. Certamente in questo ultimo caso le fasce sono in uno stato di stimolo massimale e il semplice fatto della congestione mestruale è sufficiente a scatenare il dolore. Il collo è innervato dal plesso ipogastrico ed è sede di intensi dolori anche se viene dilatato di pochi centimetri. Non soltanto i tessuti reagiscono agli stimoli, ma all’interno di uno stesso organo gli stimoli possono generare reazioni del tutto differenti. Appare sempre più evidente che la fascia non è soltanto la sede di una sensibilità, ma che è capace di elaborare l’informazione in maniera del tutto autonoma. Piscinger attribuisce questa regolazione al sistema di base. Essa è assicurata dal mentenimento dell’omeostasi del sistema, ovvero la correzione, con il minimo di perdita di energia, delle deviazioni che risultano dall’intervento di fattori perturbanti. Questi fattori perturbanti agiscono in generale in modo unilaterale. La mobilità e la funzione sono perturbate nel segmento colpito. Ancor prima dell’apparizione dei disturbi clinicamente espressi, la perturbazione è già installata; essa è caratterizzata da una un aumento di dispendio energetico che assicura la funzione. Poi per via riflessa segmentaria, il danno va in profondità, via viscerosomatica, per guadagnare, con l’installazione della cronicità, tutto il lato omolaterale che si trova così in ipofunzione. Yahia e coll., nei loro lavori sulla fascia toraco-lombare hanno messo in evidenza dei corpuscoli di Pacini e Ruffini. I corpuscoli di Ruffini sono caratterizzati da un semplice assone ed una arborizzazione dendritica molto densa con le fibre di collagene. I meccanocettori sono localizzati soprattutto nelle zone juxtavascolari e nel tessuto connettivo lasso con dei fasci di collagene denso. Questa conduzione nervosa a livello della fascia sembra essere fatta sia dal sistema parasimpatico che, soprattutto, da quello simpatico e che intervengono non soltanto nella meccanica, ma anche nella biochimica fasciale. Il simpatico, influenzando la circolazione sanguigna ed il metabolismo,influisce sul livello del pH e l’eliminazione degli scarti. Se la fascia possiede il suo sistema di innervazione è perché non è una struttura rigida, ma possiede un certo movimento. Ciò è stato controllato da Yahia e coll., nell’esperienza di stiramento della fascia, che ha messo in evidenza una contrazione spontanea durante lo stiramento, che si traduce in un aumento delle sue proprietà viscoelastiche. Boabighi e coll., hanno dimostrate che le fibre di collagene sono costituite da ondulazioni regolari, queste sono comparabili nella loro forma alle onde fluide in movimento. La loro ampiezza media è di 6 140
micrometri e la loro lunghezza d’onda di 60 micrometri. Andiamo a vedere adesso qualche misura effettuata da questi autori PROPRIETA’ ISTOLOGICHE DELLE APONEUROSI (misure in micron ) STRUTTURA Aponeurosi brachiale Aponeurosi
Diametro dei fasci 130 155
ampiezza 8,5 8,5
Lunghezza d’onda 30 30
antibrachiale Retinacolo degli
200
1,5
70
estensori Retinacolo dei flessori Aponeurosi alta
200 155
1,5 8,5
70 30
dell’obliquo esterno Aponeurosi bassa
170
5,7
85
dell’obliquo esterno Fascia lata anteriore Tratto ileo tibiale Retinacolo estensore
150 155 285
8,5 4,5 1,5
35 75 80
della caviglia Dobbiamo dunque considerare la fascia come una struttura dotata di un certo movimento autonomo. L’origine di questo movimento deve essere ricercata nell’embriologia. Lo sviluppo embriologico non è che un movimento continuo che, dopo diversi stadi, porta alla costituzione di un essere umano. Ricordiamoci che all’inizio abbiamo tre foglietti intimamente intricati: ectoblasta, mesoblasta ed endoblasta. Questi tre foglietti subiscono una involuzione che permette loro di costituire lo scheletro, le cavità, gli organi. Questa involuzione si svolge in modo concomitante infatti ogni foglietto migra in parallelo e penetra in quello vicino. Persisterà “la memoria” del movimento continuo, che si ritroverà a livello craniale, viscerale e fasciale. La sua ampiezza sarà all’incirca di 8-14 periodi al minuto, con leggere variazioni a seconda delle zone considerate. Questo movimento continuo permetterà di facilitare gli scambi cellulari oltre che rendere dinamica la meccanica dei fluidi. Sembra che questo movimento sia mantenuto dal sistema nervoso simpatico, la sua diminuzione, la sua assenza o la sua accelerazione costituirà per noi un mezzo di diagnosi di lesione, come vedremo più in là. B) PARTICOLARITA’MORFOLOGICHE Il tessuto connettivo è molto ricco di fibre collagene disposte in fasci molto densi e pressoché paralleli, orientati con regolarità nel senso dove le sollecitazioni meccaniche sono più importanti. La differenza di intensità delle costrizioni meccaniche ci porta a constatare in maniera generale che: 141
-
a livello degli arti superiori le fasce antero-esterne sono più spesse e più potenti di quelle posterointerne.
-
Questa stessa disposizione si trova a livello dell’arto inferiore, fatta eccezione a livello della gamba dove la fascia antero-interna che ricopre la tibia è la più spessa.
-
A livello plantare e palmare ritroviamo delle fasce potenti, spesse e resistenti.
-
A livello del collo e del tronco in generale le fasce posteriori sono più potenti di quelle anteriori.
Questa differenza a seconda della localizzazione si spiega attraverso le loro caratteristiche biomeccaniche. Le fasce più spesse e resistenti hanno sia un lavoro dinamico, sia frenante molto più importante. Sono queste che intervengono maggiormente nel mantenimento della statica e della postura. Abbiamo visto come l’intensità delle sollecitazioni genera le caratteristiche della fascia e come tali differenze appaiono del tutto logiche. Boabighi e coll., hanno studiato le proprità biomeccaniche di alcune aponeurosi e noi riproduciamo qui le loro misurazioni: STRUTTURA
Allungamento
proprietà biomeccaniche delle apeneurosi in Costrizione in N/mm² Modulo di Young (da
percentuale 88 42 43
1,7 2,9 1,2
2 12 3
55
1,0
3
estensori Retinacolo dei flessori Aponeurosi palmere Aponeurosi digitale Aponeurosi
76 47 53 100
1,3 2,4 2,6 1,2
2 7 13 3
dell’obliquo est. Aponeurosi
62
3,5
18
dell’obliquo int. Fascia lata Tratto ileo-tibiale Retinacolo est. caviglia
48 35 65
0,6 3,8 1,1
2 19 3
Aponeurosi brachiale Lacerto fibroso Aponeurosi antibrachiele Retinacolo
degli
N/mm² )
L’analisi di questa tabella mette in evidenza un gruppo la cui soglia di rottura è elevata, come si vede dal modulo di Young. Questo gruppo comprende: il lacero fibroso, l’aponeurosi palmare e digitale, il tratto ileo-tibiale, l’aponeurosi bassa del muscolo obliquo esterno . Questo gruppo tuttavia ha dei valori più bassi di stiramento e corrisponde a ciò che noi abbiamo classificato con aponeurosi più spesse e resistenti. Lo studio morfologico mette in evidenza che: -
gli arti inferiori sono generalmente, in posizione naturale, in rotazione esterna.
-
- gli arti superiori sono in generale, in posizione naturale, in rotazione interna. 142
Vedremo con i test che questa posizione generale dovrà essere tuttavia sfumata. Un’altra particolarità sorprendente consiste nell’allineamento degli arti in rapporto al tronco. Tanto gli arti inferiori sono in continuità con il tronco e con il bacino, tanto gli arti superiori sembrano branchie derivate dal torace come due innesti che sono stati attaccati al tronco. Vedremo che questo ha la sua importanza pratica. C) MANTENIMENTO DELLA POSTURA Se anche il mantenimento e la correzione della postura sono devolute al sistema muscolare, tuttavia questo non può assolvere al proprio compito senza l’aiuto e il supporto delle fasce. Come abbiamo visto precedentemente, un muscolo senza fascia non è fisiologicamente funzionale. Inoltre in certe condizioni, la fascia supplisce interamente il muscolo per mantenere la postura. Alcune fasce sono più attive di altre in questo ruolo. Cathie constatando che su queste aponeurosi esistono bande visibili nettamente, cita come fasce di postura le fasce del: •
del grande gluteo,
•
cervicale,
•
lombo-sacrale,
•
tratto ileotibiale;
Questa constatazione conferma che: più una fascia ha un carico di lavoro importante, più tenderà a rinforzare le sue fibre di collagene e sarà la prima a reagire al trauma. Recenti studi istologici sostengono l’ipotesi che la fascia dorso-lombare potrebbe giocare un ruolo neurosensoriale nella meccanica della colonna lombare; infatti durante una flessone anteriore del tronco non è constata l’attività elettrica dei muscoli posteriori, ma la loro azione è supportata dai legamenti vertebrali. Se i muscoli sono i motori della postura (poiché intervengono in maniera più evidente nella dinamica), per ciò che concerne la statica, le fasce sembrano essere più adatte per il mantenimento di questa postura e questo con il fine di spendere la minor energia possibile. In linea generale le fasce esterne saranno considerate maggiormente come fasce di postura e quelle interne come fasce di sostegno. Il loro studio anatomico oltre che la loro architettura mostrano che sono prima di tutto adatte a mantenimento della postura. D) CATENE FASCIALI 1) GENERALITA’ Lo studio anatomico delle fasce mostrano chiaramente che queste costituiscono una successione ininterrotta che parte dal cranio e arriva fino ai piedi. Queste catene fasciali sono esterne ed interne ed in comunicazione l’una con l’altra. In nessun momento c’è 143
interruzione a livello delle fasce, tutte incatenate le une con le altre in maniera armoniosa. Prendono solo collegamento su alcuni punti ossei per migliorare la loro coerenza e aumentare la loro efficacia. Tenuto conto dell’orientamento delle fibre fasciali, queste catene possono essere verticali o oblique (fig 77). Vleeming e coll., durante i loro lavori sulla fascia toraco-lombare dimostrano che la lamina superficiale di questa si continua con la fascia del grande gluteo. Alcune fibre a livello del sacro continuano direttamente il fianco omolaterale, altre si incrociano per prendere legame sulla SIPS e sulla cresta ilaca dove si confondono poi con quelle del grande dorsale. La lamina superficiale si confonde con quella profonda a livello del sacro e continua con il grande ligamento sacro sciatico. La trazione su un punto della fascia superficiale toraco-lombare genera uno spostamento della fascia a distanza, più o meno importante, che segue la direzione della trazione e questo spostamento a volte è controlaterale (attraverso le fibre a direzione obliqua). Una trazione sul bicipite femorale e la sua fascia genera uno spostamento della lamina pofonda del grande legamento sacro-sciatico fino alle vertebre lombari basse, si può avere anche uno spostamento controlaterale. La mobilizzazione della fascia lombare può avvenire attraverso diversi muscoli: grande dorsale, ischio-crurali, obliqui, grande gluteo. Il grande gluteo e il grande dorsale controlaterale creano una forza perpendicolare a livello della sacro-ilaca. La fascia toraco-lombare è il trasmettitore delle forze tra: colonna, pelvi e arto inferiore. Questa continuità fasciale è confermata dai lavori di Gerlach e coll., sulla fascia della coscia. Questa prende legame in alto a livello del legamento inguinale, cresta iliaca, sacro e coccige. Nella sua parte inferiore entra a far parte dei legamenti del ginocchio e si continua con la fascia della gamba. È inoltre attaccata al perone attraverso il setto intermuscolare. Una lamina di tessuto connettivo che proviene dalla fascia lata va a costituire il setto intermuscolare interno ed esterno, che fissa la fascia lata e il tratto ileo-tibiale al femore, costituendo così una solida unità tra osso, fascia e tendine. 2) RUOLO DELLE CATENE Il ruolo delle catene fasciali riguarda particolarmente tre punti importanti: a. trasmissione b. coordinazione – armornizzazione c. ammortizzatore a) Ruolo di trasmissione (fig 78) Per schematizzare possiamo considerare le fasce come delle corde incaricate di trasmettere le forze attraverso il corpo. Il motore di queste corde è il sistema muscolare, ma compreso in una unità funzionale indissociabile muscolo-fascia. Queste corde per trasmettere la loro energia in modo efficace e coordinato
144
hanno bisogno di punti di appoggio, generalmente costituiti dalle articolazioni, (pulegge) carrucole di riflessione delle corde.
b) Ruolo di coordinazione e armonizzazione Perché un movimento sia efficace occorre che l’energia che lo determina sia ben canalizzata e che l’azione dei diversi muscoli sia ben coordinata, affinchè le forze motrici possano agire efficacemente. Questo avviene attraverso le fasce. Così quando si esegue un gesto complesso, come per esempio la marcia, si mette in gioco tutto un importante meccanismo che riguarda il corpo in tutta la sua interezza. 145
La marcia implica in primo luogo la stazione eretta , dunque un riaggiustamento continuo della posizione verticale in rapporto ad una base di appoggio, i piedi, che rappresentano una superficie d’appoggio limitata. La stazione eretta deve avvenire con il minimo dispendio di energia. Ciò è realizzato in parte dal gioco delle corde e delle carrucole fasciali. Durante la marcia invece abbiamo la messa in gioco di tutta una serie di movimenti complessi che fanno si che la propulsione avvenga nella direzione voluta. Ci sarà la messa in gioco di una o più catene fasciali con il fine di compiere un gesto preciso ed efficace. Il semplice fatto di camminare si accompagna ad una serie di movimenti compensatori, arti superiori, inclinazione del tronco……etc. È evidente che se non esistesse un’armonizzazione tra tutti questi diversi movimenti implicati in una funzione così banale come la marcia, questa rischierebbe di diventare complicata o impossibile. È sottointeso che una serie di sistemi intervengono in questa armonizzazione: muscoli, sistema nervoso, centri dell’equilibrio, ma, nonostante questi, la marcia sarebbe praticamente impossibile senza la fascia. Ogni gesto che compiamo è la somma di più movimenti: flessione, estensione, rotazione, traslazione. Nella vita quotidiana non esistono movimenti puri, ogni movimento è la combinazione di più parametri. L’architettura delle fibre fasciali con la loro direzione verticale, obliqua e trasversale sembra essere perfettamente adatta ad armonizzare questa combinazione di fattori affinchè il movimento divenga funzionale. c) Ruolo di ammortizzazione Le catene fasciali trasmettono i movimenti della vita quotidiana, ma intervengono anche durante sforzi violenti o traumi. Nel caso di una forza violenta abbiamo la partecipazione di tutto il corpo nel suo insieme, che ripartisce questa forza su una superficie più grande per non far raggiungere il punto di rottura. Se i muscoli sono concepiti per fornire l’energia necessaria alla realizzazione dello sforzo, la fascia coordina la ripartizione dello sforzo, dà ai muscoli un punto di appoggio solido e infine grazie alle sue proprietà viscoelastiche ammortizza una parte di energia al fine di evitare di raggiungere il punto di rottura. In caso di un trauma, che spesso avviene in maniera inaspettata, il sistema muscolare non è in stato di difesa e dunque non è pronto ad ammortizzare l’importante energia che penetra brutalmente nel corpo. È dunque la fascia che in parte assorbe, ammortizza e cerca di canalizzare questa energia in diverse direzione per attenuare l’effetto dannoso ed evitare una eventuale lesione degli organi. Quando questa energia è troppo violenta o concentrata su una superficie ridotta possiamo assistere a delgli strappi o alla scomposizione di organi. Studi realizzati sui cambiamenti all’interno delle fascie a seguito di traumi mostrano che queste presentano delle modificazione delle loro proprietà viscoelastiche, modifiche che possono insorgere subito dopo il trauma e che dimostrano che la fascia ha preso su di se una grande parte di energia. 146
3) PRINCIPALI CATENE FASCIALI Tenuto conto dell’onnipresenza delle fasce, possiamo dire che le catene fasciali sono presenti a tutti i livelli. È certo che se si resta su un piano strettamente locale, è sempre possibile trovare una catena fasciale poiché questa è la guida e la cinghia di trasmissione delle forze. Tuttavia abbiamo visto che il corpo partecipa sempre nel suo insieme alle sue grandi funzioni. Questo determina della catene più estese che legano il corpo da un punto all’altro. Tuttavia tramite lo studio anatomico delle fasce, la direzione delle loro fibre, lo spessore e la concentrazione delle fibre collagene, la funzione più specifica di certe parti del corpo rispetto alle altre, siamo portati a pensare che esistano delle catene preferenziali che intervengono più frequentemente nella meccanica umana. Andiamo adesso a descrivere qualche grande catena fasciale. La trasmissione delle sollecitazioni all’interno di queste avviene dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, ma anche da dentro a fuori e da fuori a dentro. A livello dei punti di incrocio, queste catene possono passare sulla parte controlaterale. Alcune catene, soprattutto a livello del tronco, lavorano principalmente in maniera obliqua, coordinando un lato con l’altro. È evidente che le catene fasciali funzionano bene sia in senso ascendente che discendente. Andiamo adesso a descrivere qualche catena esterna, interna e meningea, ricordandoci sempre che queste restano costantemente in relazione le une con le altre. a) Le catene esterne A partire dall’arto inferiore possiamo descrivere tre catene fasciali: una esterna, una anteriore ed una posteriore. La catena esterna (fig 79) parte dal piede e segue: -
la fascia esterna della gamba
-
fa un legame a livello del ginocchio e della testa del perone
-
segue la faccia antero-esterna della coscia tramite il tratto ileotibiale e la fascia lata
-
fa un legame a livello dell’anca e del bacino (a questo livello si articola con una catena orizzontale collegata al perineo tramite il piramidale e l’otturatore interno)
a partire dal bacino: - sale anteriormente seguendo il retto addominale e la fascia toracica, prende legame a livello della clavicola, arriva alla parte laterale del cranio attraverso la fascia superficiale;
147
- sale posteriormente seguendo la fascia toraco lombare, arriva alla parte posteriore del cingolo scapolare dove prende legame con la scapola, si articola a questo livello con la catena obliqua del cingolo scapolare tramite la fascia dei rotatori esterni della spalla, arriva infine alla parte posteriore dell’occipite tramite la fascia del trapezio, splenio… La catena anteriore (fig 80) parte dal piede e segue: -
la fascia antero-interna della gamba, si lega alla faccia interna del ginocchio (a questo livello una parte delle forze possono essere trasmesse alla parte antero-esterna della coscia attraverso fibre fasciali oblique), segue la fascia degli adduttori, prende legame a livello del pube e dell’arcata crurale e monta in seguito, come la catena precedente, attraverso il retto addominale, potendo passare sul lato controlaterale attraverso la fascia degli obliqui
A livello del bacino si articola con due catene interne: - una rappresentata dalla fascia iliaca - l’altra rappresentatadall’aponeurosi perineale superficiale.
La catena posteriore (fig 81) parte dal piede e va: -
sulla fascia posteriore del polpaccio, prende legame a livello del ginocchio, segue preferenzialmente la fascia del bicipite, prende legame a livello gluteo sull’ischio, il sacro, il coccige, il grande ligamento sacro-sciatico ed infine sulla cresta iliaca; in seguito monta posteriormente come la catena esterna oppure può andare controlateralmente attraverso le fibre oblique della fascia toraco-lombare
a livello gluteo si articola con altre catene: - una a direzione orizzontale (la perineale tramite il coccige e dei legamenti sacro sciatici) 148
- una a direzione verticale (la catena della dura madre attraverso il coccige e le fibre che cambiano la parte terminale della dura madre con il grande legamento sacro sciatico tramite il sacro e il coccige) Per l’arto superiore descriviamo una catena interna ed una esterna: La catena interna (fig 82) parte dalla mano: -
segue il bordo antero-interno dei muscoli epitrocleari, prende legame con il gomito (a questo livello una parte delle forze può essere trasmessa alla catena esterna da fibre oblique basse dell’aponeurosi del bicipite), segue il setto intermuscolare interno, si prolunga attraverso la fascia del coraco-brachiale, prende legame sull’acromion e la clavicola, per terminare sulla parte antero-laterale del cranio tramite l’aponeurosi cervicale superficiale e l’aponeurosi degli scaleni
La catena esterna (fig 82) rappresenta la catena più sollecitata a livello dell’arto superiore e, come vedremo, è a questo livello che dovremmo intervenire più frequentemente; parte dal polso e segue: -
sia il bordo antero-interno della fascia degli epicondili che il bordo postero-interno della fascia degli epicondili, prende legame con la faccia esterna del gomito, segue il setto intermuscolare esterno, a livello della “V” deltoidea può seguire due direzioni: ---- un antero-interna (dalla parte interna della fascia deltoidea. A questo livello si articola con la catena trasversa costituita dalle fasce dei pettorali e segue lo stesso tragitto della catena interna) ---- una postero-esterna (con il bordo esterno della fascia deltoidea, si collega alla spina della scapola e qui si articola con la catena obliqua posteriore rappresentata dalla fascia del grande dorsale e dei rotatori esterni. Finalmente poi raggiunge l’occipite tramite lo stesso tragitto della catena posteriore). b) Le catene interne Ne descriviamo principalmente tre: una periferica, una centrale ed una mista. La catena periferica (fig 83)la facciamo partire dal perineo ricordandoci però che può essere influenzata dalle catene esterne tramite le fasce perineali del piramidale e 149
dell’otturatore; poi si trasmette attraverso la fascia trasversale o il peritoneo, prende legame a livello del diaframma, segue la fascia endotoracica, arriva a livello della cintura scapolare dove prende legame, segue approssimativamente le catene esterne per poi arrivare alla base del cranio. Notiamo che le catene periferiche possono seguire anche le pleure per arrivare alla spalla o a livello del diaframma di Bourgerey e di lì rimontare sulla base del cranio come tutte le altre catene. La catena centrale la facciamo iniziare dal diaframma, senza dimenticarci che sotto questo si trova tutto un sistema fasciale di sostegno degli organi e che questo sistema fasciale addominale è in connessione con il sistema fasciale pelvico. A partire dal diaframma questa catena segue il pericardio, la fascia perifaringea, a livello dell’ “imbuto” toracico presenta una connessione con le fasce cervicali profonda e media e dunque una parte delle sollecitazioni potrà dirigersi verso i supporti ossei. prende in seguito legame con l’osso ioide, a questo livello ugualmente l’aponeurosi cervicale superficiale potrà prendere in carico una parte delle sollecitazioni, attraverso l’aponeurosi pterigo-temporo-mascellare e interpterigoidea arriva alla base del cranio, di lì eventualmente si prolunga a livello della dura madre intracranica tramite dei prolungamenti nervosi che la portano ad articolarsi con le fasce sopracitate. La catena mista a partire dal perineo segue l’aponeurosi ombelico-prevescicale, si lega all’ombelico, a questo livello può essere presa in carico dalla fascia trasversale, segue il legamento rotondo del fegato e poi quello falciforme, si lega al diaframma, di là segue la catena fasciale periferica o centrale precedentemente descritta. c) La catena meningea (fig 84) Il suo punto di partenza inferiore si situa a livello del coccige , ma abbiamo visto che può essere influenzata dalle catene interne, dalle aponeurosi del perineo, dalle catene esterne e attraverso i loro legami con il coccige, il sacro e il pube. Sale poi nel condotto vertebrale dove ha numerosi punti di legame con le vertebre, questo per un fine di sicurezza e di salvaguardia: anteriormente contatta il legamento vertebrale comune posteriore, in tutta la lunghezza della colonna, ma due legami sono particolarmente resistenti: il legamento coccigeo nella sua parte inferiore, i suoi legami superiori a livello di C2-C3; lateralmente la dura madre vertebrale invia bilateralmente delle espansioni meningee che accompagnano il nervo fino al foro di coniugazione. A questo livello prende dei solidi legami sul contorno osseo, costituendo dei punti fissi 150
bilaterali delle radici rachidee. Questo al fine di impedire uno stiramento verticale troppo importante delle radici e del midollo. Penetra in seguito nella scatola cranica attraverso il foro occipitale attorno al quale prende dei solidi legami. Nella parte endocraniale questa catena si espande in una sfera per attaccarsi su tutta la circonferenza della scatola cranica. Le articolazioni sono più marcate sulla base del cranio. Emette inoltre dei setti importanti destinati a migliorare la motricità e proteggere: la tenda del cervelletto (che costituisce un rinforzo all’ancoraggio orizzontale) e la falce del cervelletto e del cervello(si appendono all’apofisi cristagalli e costituiscono un rinforzo all’ancoraggio sagittale). Presenta delle articolazioni con l’esocranio : sulla base tramite dei prolungamenti attorno ai nervi cranici e sulla volta tramite l’aponeurosi epicraniale attraverso i canali transossei 4) GRANDI PUNTI DI AMMORTIZZAZIONE (fig 85) Le catene fasciali trasmettono la mobilità attraverso tutto il corpo ma sono anche la sede di sollecitazioni che possono perturbare il loro meccanismo. Affinchè queste perturbazioni non si trasmettano lungo tutta la catena, esistono dei punti di ammortizzamento. Questi sono ripartiti lungo tutto il percorso, ma alcuni sono più importanti e più sollecitati di altri perché posti in punti di convergenza; noi li studieremo dal basso verso l’alto: -
Il cingolo pelvico
-
il diaframma
-
il cingolo scapolare
-
l’osso ioide
-
la cerniera occipito-cervicale
La cintura pelvica è il punto di unione tra gli arti inferiori e il tronco, da una parte, e il perineo dall’altra parte. Rappresenta un punto di convergenza di forze, che deve permanentemente adattare, controllare e dirigere, grazie alla sua mobilità e alla sua architettura. È a questo livello che le forze discendenti, ascendenti o a direzione trasversale, attraverso la catena interna saranno ammortizzate e ripartite, soprattutto quando raggiungono un’intensità critica. Il diaframma oltre al ruolo di muscolo respiratorio principale, adempie ad altre funzioni intervenendo sia a livello meccanico che fisiologico: separa in maniera ermetica la cavità toracica e quella addominale, facendo da passaggio tra una zona a pressione negativa e una zona in cui la pressione è sempre più grande andando in senso caudale; è la sede di una doppia attrazione: cefalica (attraverso la fascia toracica, periferica e centrale) e caudale (attraverso le fasce addominali e il peso degli organi a lui appesi). 151
Malgrado questa dualità contraddittoria deve restare sempre agile e funzionale ed in questo è aiutato dalla differenza di pressione; tutto ciò per adempiere perfettamente alle sue funzioni: -
respiratoria
-
di mobilizzazione emodinamica
-
di sospensione della massa addominale
-
di motore viscerale, che grazie al suo movimento di pistone permanente realizza una dinamizzazione costante degli organi, influenzando fortemente le loro funzioni fisiologiche.
La sua costruzione anatomica ci interroga sul suo funzionamento meccanico. È composto da una parte periferica muscolare, che costituisce il motore diaframmatico e che si appoggia sulla circonferenza interna della cavità toracica. Tuttavia questa parte costale per essere perfettamente funzionale non deve essere fissa e per questo il diaframma deve servirsi di altri punti di appoggio, questo ruolo è devoluto alla parte centrale del diaframma, unicamente aponeurotico: il centro frenico (fig 86). Questo è sospeso ad una forte lamina fasciale, il pericardio, che crea un punto fisso dove il diaframma può appoggiarsi per aprirsi durante l’inspirazione. Il suo appoggio alla massa addominale è relativo nella normalità poichè questo non ha punti di appoggio e ha la tendenza ad essere spinto in basso e in avanti. È per questo motivo che il perineo lavora in sinergia e in armonia con il diaframma. Durante sforzi maggiori il diaframma si appoggia alla massa addominale,
resa
rigida
dalla
contrazione
addominale, o addominale e pelvica insieme. Esistono numerosi studi per determinare la meccanica diaframmatica. Paiva e coll., hanno dimostrato, tramite test effettuati in decubito, che: 1) il contatto diaframma polmone è uniforme e rappresenta una superficie più o meno uguale chiunque sia il soggetto e qualunque sia la differenza di peso; 2) esiste un gradiente di pressione uniforme che si esercita sul diaframma, anche a riposo, malgrado la differenza tra gli organi di destra e di sinistra. Le pressioni misurate nel diaframma danno dei valori di 9,7 cm di acqua a destra e 9,2 a sinistra. Il diaframma non ha una forma sferica, il suo raggio di curvatura decresce quando decresce l’altezza. Quando si contrae e il volume del polmone aumenta il raggio diminuisce con l’altezza e diventa più sferico. Quando il volume del polmone aumenta, il diaframma può migliorare la conversione della tensione in pressione. 152
Verschankelen e coll., hanno dimostrato che i valori di spostamento del diaframma durante una inspirazione aumentano dal davanti all’indietro con 100% in dietro, 90% nel mezzo e 60% in avanti. Il movimento del diaframma è accoppiato a quello delle coste e degli addominali. La relazione è migliore nella sua parte mediana e posteriore; la parte posteriore è accoppiata soprattutto con lo spostamento degli addominali. Durante una inspirazione normale il diaframma si accorcia, più posteriormente che anteriormente. Dopo frenicotomia la parte posteriore si allunga durante l’inspirazione mentre la parte posteriore si allunga in certi animali e si accorcia in altri (Decramer e coll.).
fermiamoci
un
attimo
sulla
innervazione dl diaframma, che sicuramente rappresenta una spiegazione dei fenomeni lesionali della regione cervico-scapolare (fig 87). Inizialmente situata nel miotoma cervicale, il setto trasverso, futuro diaframma, migra progressivamente verso il basso durante lo sviluppo dell’embrione, per prendere la sua posizione definitiva. Innervato inizialmente dal nervo frenico, se lo porta dietro durante la sua discesa. Durante la sua migrazione il nervo frenico non si accontenta di seguire il diaframma, ma distribuisce numerosi collaterali nel su passaggio e innerva così anche: il timo, il pericardio, la pleura parietale, la vena cava superiore ed inferiore, la capsula di Glisson, i gangli semilunari (dove invia un filetto nervoso). Se noi aggiungiamo le sue anastomosi con: il nervo del sottoclaveare, il XII e il X nervo cranico e il simpatico cervicale, comprendiamo la sua importanza e il perché il cingolo scapolare sia la sede di patologie spesso incomprensibili. La via neuronale costituita dal frenico è una spiegazione a questi dubbi. Per concludere, notiamo che il diaframma rappresenta un punto importante di ammortizzazione intratoracico, per le sollecitazioni meccaniche trasmesse dalla fascia, ma anche per le variazioni di pressione. Il cingolo scapolare Il cingolo scapolare è il punto di convergenza e dove prendono legame tutte le fasce interne o esterne. Questo spiega le numerose sollecitazioni di cui è la sede e in caso di disfunzione fasciale, gli sforzi che può subire. Questa regione deve permanentemente controllare e aggiustare le sollecitazioni che vengono dal basso, generate da zone che noi qualifichiamo ‘di rigidità’; o da quelle zone che vengono dall’alto generate da una regione ipermobile. Il ciclo scapolare deve costantemente giocare un ruolo di bilancia per 153
armonizzare tutte le forze che gli passano attraverso e proteggere le zone vitali che gli giacciono sopra e sotto. Maggiormente si viene a inserire su di lui un segmento ipermobile, l’arto superiore, che costituisce la zona più costantemente sollecitata meccanicamente. È inoltre il punto di convergenza delle sollecitazioni verticali, oblique e trasversali. Per queste diverse ragioni questa regione ha un’architettura molto particolare, orientata verso l’ipermobilità dove eccetto la sterno-claveale, i punti di ancoraggio sono realizzati esclusivamente dai tessuti molli. Questa convergenza di forze discendenti o ascendenti, interne o esterne, ci dà una spiegazione meccanica della frequenza di lesioni della cerniera cervico-scapolare. L’osso ioide La catena fasciale centrale pericardio-aponeurosi-faringea possiede dei punti di legame periferici, i legamenti pericardici, connessioni con le aponeurosi cervicali media e profonda, ma questi non sono così importanti come quelli del cingolo scapolare. Così durante delle sollecitazioni importanti le tensioni potrebbero trasmettersi in maniera brutale alla base del cranio e proseguire intracranialmente. Per evitare il generarsi di questa situazione si è interposto nella parte superiore di questa catena fasciale l’osso ioide. Interamente sospeso a dei cavi muscolo-fasciali, l’ioide fluttua in tutti i piani dello spazio, controllato e sostenuto da dei legami che lo collegano alla mandibola, alla mastoide, all’apofisi stiloidea, alla scapola e alla cartilagine tiroidea. La catena fasciale centrale prende dunque legame, alla fine dell’aponeurosi perifaringea, sull’ioide, poi si prolunga verso l’alto attraverso l’aponeurosi interpterigoidea e pterigotemporo-mascellare. L’osso ioide, oltre al suo ruolo nella voce e nel canto come fissatore della cartilagine tiroidea, serve anche ad ammortizzare e ripartire le sollecitazioni della catena centrale sia anterolateralmente per l’aponeurosi cervicale superficiale, sia posteriormente verso il temporale attraverso il digastrico e la ‘fontana (bouquet) di Riolan’. La cerniera cervico-occipitale La scatola cranica posta su un supporto occipitale, costituisce un punto di convergenza tra le catene cervico-craniali discendenti e le catene sottogiacenti. Questo punto di convergenza interessa anche le catene endocraniale e la dura madre vertebrale, che si legano a questo livello. Questa cerniera rappresenta di conseguenza una zona di ipersollecitazione e questo spiega i numerosi muscoli, lunghi o corti, che la controllano, al fine di poterla adattare costantemente a tutte le variazioni di tensione possibili, per proteggere al massimo ‘l’computer’ centrale e i suoi prolungamenti di conduzione dell’informazione. Tutte le fasce si inseriscono sulla sua circonferenza. Rappresenta il primo ammortizzatore discendente e l’ultimo ascendente, prima che la tensione penetri all’interno della scatola cranica, dove fortunatamente un gioco di membrane può ancora prendere in carica un’energia di intensità sopraliminale. Ricordiamoci che a livello del cranio e del midollo un sistema liquido rinforza efficacemente il sistema membranoso. 154
Queste ipersollecitazioni della cerniera cervico-occipitale spiega il perché questa sia la sede di frequenti restrizioni di mobilità. E) LE CATENE LESIONALI Rappresentano il tragitto che può seguire una tensione di membrana per propagarsi a distanza. Si può descrivere un numero infinito di catene lesionali, ma la pratica e la meccanica umana ci mostrano che la trasmissione della sollecitazioni e delle distorsioni avviene seguendo assi privilegiati che sono rappresentati in modo generale attraverso le catene studiate nel capitolo precedente. Queste catene lesionali sono dunque delle distorsioni, delle catene fasciali che si trovano perturbate nel loro funzionamento fisiologico. Invece di trasmettere e ripartire armoniosamente il movimento, loro si trasformano, in questo caso in punti fissatori, sorgenti di irritazione e di perturbazione della mobilità. All’origine una catena lesionale può sopravvenire in seguito a una molteplicità di fattori: traumi (distorsioni, caduta su coccige, ma anche traumi diretti su tessuti molli), cicatrici, infezioni, infiammazioni, stress. Questi fattori creano un punto di disfunzione fasciale che, se non rimosso, genera una modificazione della qualità dei tessuti e che, nel tempo, può prolungarsi lungo una catena fasciale per creare, più o meno a lungo termine, una disfunzione talvolta molto a distanza. Una catena lesionale può iniziare in qualsiasi punto di una catena fasciale, il suo percorso può essere quindi lungo o corto, partire per esempio dai piedi ed arrivare alla cerniera cervico-occipitale o al cranio. Non tutti i traumi generano direttamente la messa in moto di una catena lesionale. Talvolta questa apparirà subito dopo il trauma, talvolta settimane o mesi dopo e talvolta infine anche anni dopo. Tutto ciò dipende da numerosi fattori: intensità della forza di partenza, età del soggetto al momento del trauma, possibilità di adattamento-compensazione del soggetto. È evidente che più un soggetto sarà giovane più il suo corpo potrà difendersi dalle aggressioni. Un corpo in buona salute e funzionale farà di tutto per attenuare gli effetti di una lesione cercando di ripartire gli eccessi di energia in diverse direzioni. Con l’aumento dell’età o l’insieme di più traumi il corpo avrà più difficoltà a difendersi; le possibilità di adattamento-compensazione si riducono, la sommazione diventa troppo imponente, il sistema trabocca e le catene lesionali progrediscono con conseguenze nefaste. Ricordiamoci che i tessuti hanno in memoria i traumi subiti e questi, qualunque sia la loro origine, si accumulano e un giorno o l’altro saranno restituiti dal corpo. La sommazione traumatica temporale è lontana dall’essere una regola assoluta, alcuni soggetti sviluppano una disfunzione molto rapidamente, altri dopo anni, altri molto tardi o mai e questo dipende dalla “vitalità” dell’individuo, dal suo “capitale” di partenza per affrontare le sollecitazioni della vita. Un fattore importante per limitare la diffusione di un trauma consiste nelle zone di ammortizzamento. Queste sono numerose e ripartite in tutto il corpo: tessuti grassi, sistema liquido, concezione architetturale, articolazioni. Via via che un sistema sarà saturo, le sollecitazioni si trasmetteranno al 155
successivo; saranno in seguito frenate dai grandi punti di ammortizzamento che abbiamo visto più indietro; una volta esauriti anche questi, le solecitazioni finalmente raggiungeranno il loro bersaglio provocando molto spesso conseguenze nefaste. È evidente che, se durante il suo percorso, una catena lesionale incontra un punto di debolezza (articolare, tessutale, viscerale) preesistente, questa contribuirà ad accelerare il fenomeno degenerativo a questo livello. Una catena fasciale lesionata può arrivare o partire da qualsiasi distretto corporeo, seguire un percorso ascendente o discendente, in funzione del distretto di partenza, dei fattori di sollecitazione che essa subisce, dal sistema di compensazione e di adattamento del soggetto. Avremo dunque catene lesionali ascendenti e discendenti. 1) Catene lesionali discendenti In linea generale e in ordine di importanza le incontriamo soprattutto a livello craniale, cervicale, del cingolo scapolare, del bacino, degli arti inferiori, del torace, dell’addome e del diaframma. Andiamo adesso a descriverne alcune incontrate frequentemente
ricordandoci che il loro percorso ricalca la
maggior paret delle volte le catene fasciali. A partire da un punto di fissazione dell’aponeurosi epicraniale possiamo assistere alla messa in moto di una lesione discendente condotta attraverso dell’aponeurosi cervicale superficiale fino al cingolo scapolare, da dove potrà seguire o l’arto superiore o il torace superiore. Se il punto di partenza è alla base del cranio, in senso largo, o intracranica, la lesione potrà essere condotta attraverso l'aponeurosi cervicale profonda, l'aponeurosi degli scaleni e arriverà infine allo stesso percorso della precedente. Se abbiamo un punto di fissazione mediastinico o toracico la perturbazione può trasmettersi eventualmente alle fasce addominali (Toldt, Treitz) con possibilità di prolungarsi fino al piccolo bacino. Infine se il punto di fissazione è a livello dello psoas, del perineo o dei muscoli corti dell'anca, la catena lesionale avrà la possibilità di prolungarsi verso il basso con l'apparizione di una patologia del ginocchio o della caviglia. In riferimento alle catene fasciali descritte, bisogna notare che le catene lesionali discendenti sono più corte nel loro percorso, è raro in effetti, vederle iniziare dalla testa e finire ai piedi, sebbene questa eventualità esiste realmente. 2) Catene lesionali ascendenti Queste sono più frequenti di quelle discendenti certamente a causa dell'appoggio al suolo, dell'aggiustamento costante necessario alla stabilità e alla lotta permanente contro il peso, così come per la sospensione degli organi, la cui sollecitazione naturale è una trazione verso il basso. Contrariamente alle catene lesionali discendenti, quelle ascendenti possono svilupparsi su un lungo tragitto. Ne descriveremo alcune fra le più frequenti.
156
- - A partire dal piede la catena lesionale più comune si sviluppa lungo la catena esterna. In seguito ad una distorsione la trazione della fascia esterna può giocare sulla testa del perone o sulla parte esterna del ginocchio e creare un dolore funzionale a questo livello, se la lesione continua a salire genererà una perturbazione al livello dell'anca (con possibilità di penetrare nel piccolo bacino attraverso la fascia del piramidale e dell'otturatore interno) e poi della sacro-iliaca. Da là seguirà il percorso dell'aponeurosi toraco-lombare o del grande dorsale per arrivare alla spalla e finalmente, se non sarà interrotta, alle cervicali e al cranio. Ben inteso che, come abbiamo segnalato il suo punto di partenza può essere al ginocchio, al bacino o altrove. - - Una caduta sul coccige può essere all'origine di una catena lesionale duramadrica potendo a poco a poco arrivare alle membrane intracraniali. - - Un problema al livello del perineo può trasmettersi sia ai visceri addominali sia alla fascia trasversale, prendere legame sul diaframma e da lì, attraverso il sistema pleurale o la fascia endotoracica, proseguire fino al cingolo scapolare per terminare al livello cervicale o al cranio. - - Daremo l'esempio di una catena lesionale incontrata più volte e che a prima vista sembra più teorica che reale; il suo punto di partenza può essere la vescica o la fascia ombelico-prevescicale, si prosegue poi attraverso il legamento rotondo, il legamento falciforme, che la trasmette al diaframma dove prosegue attraverso il pericardio e la aponeurosi perifaringea, dove si manifesterà con una disfunzione al livello della gola. Abbiamo in memoria un recente caso di una paziente che ci consultava per una irritazione alla gola e dolore alla deglutizione. Questa persona aveva subito una celioscopia, presentava una cicatrice al livello dell'uraco che generava un disturbo al livello della gola a causa di un aumento di tensione. La cicatrice era il punto di partenza di una catena lesionale ascendente, avendo per espressione clinica un dolore alla gola che è scomparso in seguito alla normalizzazione del punto di fissazione situato sull'uraco. Possiamo moltiplicare gli esempi sebbene non ci sembri utile, ciò che è utile è ricordare è la realtà delle catene fasciali, la loro possibilità lesionale e, di conseguenza la necessità di un indagine, spesso molto lontana, per la comprensione di un fenomeno patologico.
CAPITOLO 7°
TEST SULLE FASCE
Obiettivi Del Test Sistema recettore sensibile, la fascia nella vita quotidiana è la sede di numerose distorsioni, la cui origine può essere: -
traumatica
-
ostetriche
-
postura scorretta
-
chirurgica (cicatrici, aderenze) 157
-
infiammatoria
-
accidentale
-
tensioni, attitudini sbagliate (specialmente professionali)
-
falsi movimenti
-
stress.
Tali aggressioni comportano una modificazione biochimica all'interno del tessuto connettivo, traducendosi in una modificazione delle proprietà visco-elastiche, loro stesse all'origine delle mutazioni della struttura: addensamento e orientamento delle fibre del collageno, seguendo le linee di forza; perdita di elasticità tessutale. Tutti questi disturbi della fascia saranno all'origine di cambiamenti palpabili, quantificabili e talvolta visibili. Lo scopo del test fasciale è quello di rilevare, grazie all'enorme sensibilità della nostra mano i diversi problemi che si presentano nel tessuto, per poter trovare, in un secondo tempo, una risposta terapeutica efficace. MODALITA' DEI TEST La ricerca delle lesioni delle fasce si esegue manualmente. E' possibile affermare che il test è una tecnica di fascia contro fascia: l'una rivela le proprie distorsioni, l'altra sta in ascolto per registrarle e comprenderle. Si è parlato di una "memoria delle fasce", che consiste in una registrazione all'interno del tessuto connettivo dell'impronta di diversi traumatismi, in senso ampio, subiti da un individuo. Il nostro scopo è quello di rilevare questa impronta e possibilmente eliminarla o attenuarla. La fascia, come si è visto, è dotata di un meccanismo di contrazione generato dal sistema d'innervazione, piuttosto che dalla fase embriologica. Questo meccanismo induce un micromovimento perpetuo, di cui è stata registrata la frequenza tra 8 e 14 fasi al minuto. Le fasce, però, hanno anche la funzione di corde e carrucole che trasmettono la motricità. Da queste constatazioni si possono descrivere due modalità di test: -
test di ascolto
-
test di mobilità
Questi due test non sono opposti. L'ascolto è, in effetti, un test di mobilità nella sua espressione più fine, manifestata da un micromovimento non indotto, e non visibile, ma sentito. Il test di mobilità, come indica il nome, implica uno spostamento indotto assai più importante, visibile con la messa in tensione. TEST DI ASCOLTO 158
Consiste nel porre la mano su una qualunque zona del corpo per registrare le mutazioni soggiacenti eventuali. La mano deve rimanere del tutto passiva, per poter valutare i movimenti in scala di micron.Alcune misurazioni effettuate al livello della sensibilità della mano hanno dimostrato che essa può rilevare movimenti dell'ordine di 10 micron, e che la differenza tra i valori rilevati in modo manuale e per mezzo apparecchi sofisticati risulta essere appena del 5%. A- PROTOCOLLO DEL TEST Per essere efficace un test di ascolto richiede precauzioni elementari, senza le quali risulta del tutto inutile. E' evidente che un test d'ascolto non si esegue in modo spontaneo, ma necessita di addestramento per perfezionarsi, e della disponibilità da parte del terapeuta di ammettere che una mano può avvertire movimenti infimi. Il corretto svolgimento dipenderà da: -
contatto manuale
-
trovarsi in sintonia col paziente
-
neutralità del terapeuta
1) Il contatto manuale Dovendo testare movimenti nell'ordine di qualche micron, è chiaro che il minimo "granello di sabbia" può falsare il test. -
In primo luogo, si deve evitare che le mani siano fredde per non scatenare un riflesso di difesa.
-
La mano deve essere appoggiata ben piatta sulla zona da esaminare cercando di stabilire un contatto più ampio possibile con il tessuto del soggetto, per due motivi fondamentali:
1. più la superficie del contatto è ampia, più grande è il numero di ricettori dai quali si ricevono informazioni. 2. più la mano è piatta, più facilmente ci arriveranno informazioni precise dalle fasce del paziente. - E' necessario evitare il contatto con l'estremità delle dita; i tessuti sono dotati di sensibilità estrema e se la palpazione è aggressiva non si ottiene da parte loro alcuna risposta, poiché si provoca una reazione tramite uno spasmo riflesso, che si può innescare con facilità. - Anche la pressione deve essere moderata, se è troppo forte può superare il livello di ascolto voluto impedendo di percepire il movimento; verrebbero, infatti, stimolati soprattutto i recettori della pressione. - La mano deve posare in modo naturale sul tessuto, alleggerita solo dal suo peso, ma deve anche ottenere un'aderenza ferma creando un effetto a ventosa. La mano "s'incolla" al tessuto per seguirlo più facilmente nella sua motilità.
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2) Trovarsi in sintonia col soggetto. Il test di ascolto è in assoluto il più raffinato come possibilità di palpazione. I tessuti hanno memoria del passato, e il nostro scopo è leggere la storia di cui essi sono impregnati. Si stabilisce un dialogo passivo; il paziente non ha padronanza delle informazioni che riceviamo dalle fasce, perché ci sono trasmesse a livello incosciente. Se non si riesce ad ottenere un giusto contatto, non si ricevono risposte. Conosciamo il soggetto attraverso i suoi tessuti, agendo con gran rispetto come se dovessimo chiedere il permesso per dialogare con essi. 3- Neutralità del terapeuta. La lettura dei tessuti deve avvenire in stretta imparzialità per essere efficace. Il terapeuta si deve apprestare al compito senza alcun tipo di preconcetto ed essere totalmente passivo e dedito all'ascolto. Deve rispettare il ritmo del paziente, senza imporre il proprio ritmo, altrimenti si ottiene una non risposta o una risposta falsata. Ciò non è così scontato, per mancanza d'abitudine, o perché la motilità tarda a manifestarsi e il terapeuta ha la tendenza a proiettare il proprio ritmo sui tessuti del paziente, rilevando così solo il proprio movimento. L'attenzione dev'essere posta esclusivamente su quello che accade a livello del contatto, lasciandosi guidare dai tessuti soggiacenti. Ciò richiede una disponibilità e una concentrazione massima, per ottenere una risposta rapida. Al momento in cui tutti i parametri sono rispettati il test inizia veramente. Solo quando i tessuti accetteranno di dialogare con il terapeuta, riveleranno le loro distorsioni, il dolore: la storia. Riuscendo a rimanere totalmente in ascolto del paziente, è stupefacente la rapidità con cui i suoi tessuti si mettono a "dialogare". Più rapidamente s'instaura uno stato di confidenza, più repentina sarà la risposta. Si avrà l'impressione di movimenti molto ampi, come se il fatto d'essere in sintonia costituisse un amplificatore del micromovimenti ricercati. Un solo momento di distrazione, un gesto troppo brusco o una negligenza del terapeuta saranno sufficienti ad interrompere il dialogo. Non è necessario un tempo troppo lungo per testare la motilità; può accadere che si rimanga delle ore in contatto col tessuto senza trarne la minima informazione. B- I TEST D'ASCOLTO Lo scopo di questi test è d'indagare sulle anomalie dei tessuti molli. Un'anomalia si definisce solo in rapporto alla normalità, per questo è essenziale definire il concetto di normalità 1) La normalità 160
Include diversi parametri che la mano deve registrare spontaneamente: -
La temperatura dei tessuti. Sebbene la pelle possa presentare delle differenze di temperatura seguendo le zone considerate, deve essere inscritta in una range di normalità, al bisogno paragonata con la propria temperatura o con quella di un'altra zona.
Frequentemente si constata un'elevazione della temperatura sopra i valori soglia, che traduce una reazione soggiacente. Può succedere anche che si verifichi una temperatura sotto-liminare, tale caso è riscontrato soprattutto nei piedi e nelle mani. -
la trama dei tessuti. Questi devono essere elastici, duttili al tatto, facili da deprimere, di un'elasticità normale, e nemmeno troppo tesi né troppo flosci. L'elasticità varia in funzione delle fasce esaminate.
-
il movimento dei tessuti: sebbene certi abbiano una direzione preferenziale, come vedremo più avanti, nell'insieme si può attestare la normalità quando il movimento è armonioso in tutte le direzioni dello spazio. Al momento in cui si pone la mano su questo, si deve avere l'impressione di una fluttuazione su tutti i piani, come se ponessimo la mano su un corpo molle che ondeggia sull'acqua. Non dev'essere privilegiata nessuna direzione, e se si nota un micro spostamento attivo, i tessuti soggiacenti devono seguire senza restrizioni.
-
il ritmo dei tessuti. Si è detto che i tessuti sono sede di movimenti ritmici, la cui periodicità si distribuisce su una scala da 8 a 14 cicli al minuto. I valori che stanno al di sotto o sopra a questo ritmo possono essere ritenuti come anomalie, nella maggior parte dei casi. Si consideri però che alcuni soggetti hanno valori leggermente fuori da tali soglie, senza necessariamente essere anomali.
E' necessario sapere anche che il ritmo può variare seguendo lo stato attuale del paziente e che se può essere facilmente riscontrato in alcune zone, parte anteriore dei membri inferiori, torace, cranio, in altre zone è molto difficile se non impossibile evidenziarlo (parte posteriore, coscia, natiche, zona dorsale, addome). Una parentesi merita l'addome; è tanto difficile sentire il ritmo della fascia superficiale, quanto è relativamente facile diagnosticare attraverso questo le diverse fasce intra-addominali. L'anatomia umana ci riserva qualche contraddizione incomprensibile, che non è meno reale. 3) L'ascolto in piedi. Spesso il test è preceduto da un ascolto in piedi. Il soggetto tiene le gambe leggermente divaricate, sguardo orizzontale, occhi chiusi. Il terapeuta si posiziona dietro al paziente, pone delicatamente la sua mano piatta sulla testa del soggetto, senza indurre compressione.
161
Frequentemente si verifica un movimento del corpo in una flessione anteriore, antero-laterale o posteriore. Il fatto di aver posizionato un punto fisso sulla testa crea un abbinamento tra il suolo e la testa, e le fasce comprese tra i due punti si mettono in movimento, qualora comportino un punto di fissazione. Per questo si verificano delle inclinazioni del tutto involontarie, essendo il punto di fissazione un fattore di focalizzazione delle tensioni che generano una flessione del corpo verso quella zona. Ciò permette di asserire l'esistenza di un problema nel quadrante in cui si colloca, benché non si possa trarre solo attraverso questo test una diagnosi formale. In questo modo s'illustra perfettamente la dinamica delle fasce nella meccanica generale del corpo. Nelle persone depresse le fasce sono generalmente implicate. Bisogna vigilare su questi pazienti perché cadono facilmente all'indietro, ed è necessario esser pronti al sorreggerli. 4) L'ascolto degli arti inferiori. Per quel che riguarda il test di ascolto generale, la modalità consiste nel porre una mano su una regione del corpo allo scopo di rilevare un'anomalia sottostante. Si possono anche porre due mani ad una certa distanza, sentendo se la motilità si stabilisce tra i due punti di contatto in modo normale o perturbato. La finalità è quella di mettere le mani su una zona qualunque del corpo e trarne informazioni su qualunque restrizione a distanza; ciò si raggiunge con una lunga esperienza ed una sensibilità affinata. Ciò non è per niente semplice, ma alcune persone ci riescono bene, benché rare. Per tornare ai membri inferiori, i protocolli dei test saranno descritti con le varianti: il soggetto è disteso supino e perfettamente rilassato. Le mani si pongono piatte sulla superficie dorsale dei piedi, notando l'armonia dei movimenti o eventualmente un'attrazione preferenziale verso una determinata zona, che in tal caso costituisce un asse lesionale: il cambiamento della struttura dei tessuti connettivi dovuto a un qualunque trauma crea un vettore preferenziale di movimento non fisiologico. E' sufficiente seguire passo passo la direzione della tensione per arrivare esattamente al punto o alla zona iniziale. Per aver conferma di cià che sentiamo passivamente è sufficiente creare un microspostamento della mano, più intenzionale che reale. Se ci si muove nel senso della restrizione ciò avverrà facilmente. Se si vuole andare in senso inverso si avvertirà una tensione che impedisce di allontanare la mano. Le modalità e i principi dei test di motilità saranno gli stessi a livello di qualsiasi area del corpo; quindi non sarà necessario descriverli ulteriormente. Ogni test d'ascolto è eseguito in posizione di decubito, partendo dal piede e muovendosi verso il bacino. a) Ascolto dell’articolazione del ginocchio e della caviglia
162
Caviglia: una mano posta sulla faccia dorsale del piede, l’altra sul bordo inferiore della tibia. Nella normalità noi dovremmo sentire un movimento armonioso in tutti i piani dello spazio, come se mobilizzassimo una rotula. Ginocchio: una mano a livello della tuberosità tibiale (fig 88) l’altra nella parte inferiore del femore, escludendo la rotula. Nella normalità dovremmo sentire un movimento che si armonizzi in tutti i piani
dello
spazio
come
se
mobilizzassimo una rotula. b) Ascolto coscia-gamba (fig 89) Una mano appoggiata al centro della coscia, l’altra mano sulla faccia antero-esterna della tibia. La mano cefalica registrerà un movimento di rotazione esterna
ed
quest’ultima,
interna, la mano
con
predominanza
di
caudale registrerà un
movimento con predominanza di rotazione esterna Abbiamo visto che le fasce dell’arto inferiore sono composte da fibre di diverse direzioni; nel meccanismo congiunto coscia-gamba sono le fibre a obliquità interna che predominano a livello della coscia e a obliquità esterna a livello della gamba.
c) Ascolto globale degli arti inferiori (fig 90) Il terapeuta si situa lateralmente al soggetto guardandolo in direzione cefalica. Appoggiare una mano ben piatta sulla faccia antero-laterale della parte inferiore della coscia. Registreremo un movimento generale dell’arto inferiore a predominanza di rotazione esterna; in effetti le fasce nel loro insieme sono molto più spesse e resistenti nella loro parte antero-esterna. L’ascolto può avvenire in maniera bilaterale. 4) Ascolto degli arti superiori
163
Come abbiamo già segnalato l’ascolto dei tessuti dell’arto superiore si rivela nettamente più delicato rispetto a quello degli arti inferiori, se non, in alcuni casi, addirittura impossibile. Ciò deriva dalla particolarità di questo segmento corporeo che sembra impiantato in derivazione sul resto del corpo. Se noi poniamo la nostra mano sulla faccia dorsale della mano del soggetto, nella normalità l’indicazione di motilità è ben minore che nell’arto inferiore, e ciò avviene anche nell’ascolto segmentario.
a) ascolto
braccio-
avanti-braccio
(fig
91) porre una mano sulla
faccia
antero-esterna
del braccio al di sotto
della
V
l’altra mano al di sotto
della
gomito,
muscoli
epicondiloidei.
cefalica
registrerà
un
a
dominanza
di
la
mano
un
movimento
La
sui
mano
movimento rotazione registrerà
esterna,
dominanza di rotazione
b) ascolto
deltoidea,
piega
del
caudale a
interna
globale
dell’arto superiore (fig 92) Il terapeuta si posizione lateralmente al paziente guardando caudalmente, la mano sarà posta nella parte inferiore dell’omero, a livello dell’articolazione del gomito. La predominanza di movimento si manifesterà in favore della rotazione interna; l’ascolto potrà farsi bilateralmente.
164
Ciò è dovuto forse alla potenza dei muscoli pettorali e alle loro fasce che sollecitano l’arto superiore in rotazione interna? Possiamo del resto segnalare l’attitudine naturale del segmento superiore a posizionarsi in rotazione interna. Sembra che l’arto superiore, nella sua motilità, funzioni in senso inverso a quello inferiore; forse per un fine di equilibrio generale al fine di creare un bilanciamento funzionale? 5) Ascolto dell’addome Non descriveremo sistematicamente l’ascolto a livello dell’addome, che è già stato fatto in altre opere, ma insisteremo sulle difficoltà che si presentano a questo livello. Le difficoltà sono legate al numero di strutture che si interpongono sotto le nostre mani: peritoneo, fasce, legamenti, mesi, organi. Difficoltà collegata anche alla profondità del campo di esplorazione e dal fatto che ci sono più strati tra una fascia superficiale e una renale. Il principio generale per quanto riguarda l’addome è di porre le mani a piatto attorno all’ombelico e registrare eventuali tensioni. Per rendere più fine la diagnosi bisognerà spostare le mani verso la tensione sentita, per determinarne più esattamente il punto di origine. Nella normalità la motilità dell’addome è quella generale dei tessuti e ciò vuol dire che la mano fluttua al di sopra della cavità addominale con una libertà in tutti i piani dello spazio. 6) Ascolto del torace Ci indirizzeremo in una regione dove la motilità dei tessuti è molto marcata. La difficoltà consisterà nel realizzare un test discriminante tra la profondità e la superficie, dove si collocano due importanti fasce: il pericardio e le pleure, oltre che, nella parte inferiore del torace, il diaframma. Il soggetto sarà posto in decubito supino e il terapeuta si posiziona dietro la sua testa.
a) parte inferiore del torace (fig 93) la mani aperte saranno poste sulla parte laterale del torace, le dita seguiranno posteriormente la direzione delle coste, i pollici saranno orientati medialmente. Dobbiamo testare il torace nella sua globalità e poi, per via comarativa, un emitorace in rapporto all’altro. Nella normalità questo fusto elastico sembra 165
muoversi in tutti i piani senza restrizioni. Una variante di questa tecnica consiste nel mettersi lateralmente al soggetto, facendoglielo di fronte. b) parte superiore del torace (fig 94) In questa regione la difficoltà si accresce, tenuto conto che in più alle aponeurosi superficiali si aggiungono il pericardio, la cupola pleurica e le fasce che prendono legame a livello del cingolo scapolare. b1) test bimanuale Le due mani largamente aperte saranno poste sulla parte laterale del torace, il palmo delle mani sarà appena sotto le clavicole, le dita largamente aperte copriranno i pettorali e i pollici saranno in direzione mediale. Nella normalità un movimento armonioso si sentirà sotto le nostre mani; in caso di tensione questa può essere: 1. a direzione mediale per un problema che concerne la fascia superficiale che ricopre direttamente lo sterno 2. a direzione medale ma si avrà una sensazione di sprofondamento della mano se il problema si colloca livello del pericardio 3. a direzione verticale se il problema è localizzato nella cupola pleurica 4. a direzione supero-esterna se il problema concerne la regione periscapolare. b2) test sternale L’esperienza ci mostra che i problemi del torace superiore sono particolarmente localizzati a livello dello sterno o in prossimità di questo. Porre una mano sullo sterno inglobandolo nella sua totalità, tenar – ipotenar situato a livello della forcella sternale, la mano sarà il più possibile in contatto con i tessuti a mo’ di ventosa; a partire da questo momento la motilità delle fasce dello sterno e sottogiacenti potrà essere facilmente percepita. Bisogna immaginarsi lo sterno come un sacro rovesciato posto nella mano. Un microspostamento della mano potrà far viaggiare lo sterno in tutti i piani dello spazio e ci permetterà di localizzare molto facilmente il punto di restrizione. 7) Ascolto globale del cingolo scapolare (fig 95) Il soggetto è sempre in decubito supino, il terapeuta è dietro la testa del paziente, porre i due pollici sul bordo anteriore dei trapezi 166
vicino l’apofisi trasversa di C7, la mano aperta posa sulla cupola pleurica, sulle clavicole e sul moncone di spalla. I pollici registreranno le restrizioni attorno alla prima costa. Le mani quelle relative alle inserzioni fasciali attorno alla clavicola, oltre che le eventuali tensioni periarticolari. È frequente notare un leggero squilibrio destro-sinistro. Nei destri il complesso spalla-clavicola destra ha una tendenza a orientarsi in avanti e in dentro; nei sinistri lo stesso fenomeno si ha a sinistra. Se questa tendenza è nettamente marcata entriamo nella disfunzione. 8) Ascolto del bacino (fig 96) Il soggetto sarà in decubito prono. Questa regione è il punto di articolazione tra le potenti fasce lombo-sacrali e quelle dell’arto inferiore con dei forti rinforzi legamentosi conosciuti sotto il nome di piccoli e grandi legamenti sacro-sciatici. Occorrerà aggiungere tutte le strutture intracavitarie che dipendono dal piccolo bacino. Infine non bisogna dimenticare l’inserzione terminale della dura madre a livello del sacro. Abbiamo così un’idea dell’accumulo di informazioni che transitano in questa regione, informazioni che complicano l’ascolto. Il terapista si pone lateralmente al soggetto guardando cefalicamente, la mano ingloba bene il sacro a effetto ventosa, la base è a livello degli angoli inferiori del sacro. Se la zona è funzionale il sacro fluttuerà armoniosamente tra le iliache. In caso di disfunzione: se le dita della mano sono attirate cefalicamente il problema si situerà probabilmente a livello della cerniera lombo-sacrale o della fascia lombare. se il palmo della mano è attirato caudalmente, la disfunzione potrà avere sede a livello del coccige o del grande legamento sacro-ischiatico. se la mano ha la tendenza a infossarsi tra le iliache occorrerà considerare delle restrizioni a livello del piccolo bacino. Se la mano è attirata lateralmente la restrizione potrà essere di origine sacro-iliaca, del piccolo legamento sacro-ischiatico, o dell’anca e pelvi-trocanterica.
167
Se il palmo della mano è attirato verso il tavolato e cefalicamente occorrerà considerare una tensione anomala a livello della dura madre. 9) Ascolto delle fasce dorsali (fig 97) Il paziente è in decubito prono. L’osteopata è seduto lateralmente e guarda cefalicamente. Le mani sono poste bilateralmente in rapporto all’asse vertebrale; ognuna delle due mani ingloba il rachide e le parti iuxta-laterali (o una sola mano che copre rachide e parti laterali). La motilità nella regione dorsale bassa è difficile da percepire. A questo livello avremo una risposta positiva soprattutto in caso di distorsione. A livello dorsale superiore è molto più facile mettere in evidenza la motilità. Le due mani saranno poste sulle scapole. Si percepirà rapidamente un movimento come se le mani fluttuassero sulla gabbia toracica. L’interposizione delle scapole in rapporto al torace sembra costituire un amplificatore del movimento. In caso di distorsione la scapola sarà attirata preferenzialmente verso la zona in restrizione. 10) Ascolto craniale In questa regione possono essere testati diversi parametri e ciò aumenta la complessità e la difficoltà diagnostica. Dobbiamo in effetti tenere conto di : 1-membrane intracraniali; 2-membrane esocraniali e loro prolungamenti (aponeurosi cervicali); 3-meningi rachidee; 4-asse aponeurotico centrale. La posizione della testa sarà in decubito supino qualunque sia l’asse testato. (a) le membrane intracraniali Non abbiamo intenzione di descrivere le tecniche craniali. Pensiamo che la tecnica a 5 dita è ben adatta a un ascolto generale del cranio. In caso di distorsione può essere completata da una tecnica falce-tenda del cervelletto: l’occipite riposa sul palmo della mano sinistra; il pollice e l’anulare diretti lateralmente come per inglobare la tenda del cervelletto, l’altra mano è posta sulla volta con il medio che indica l’asse sagittale della falce del cervello. Una delle difficoltà nella percezione delle membrane intra-craniali è dovuta all’interposizione tra la mano e queste delle aponeurosi esocraniali e di tutto il piano osseo. Abbiamo visto che l’interno del cranio è in relazione con l’esterno e viceversa , un parametro può dunque influenzare l’altro. Sarà necessario per un ascolto intracraniale “proiettarsi” all’interno dl cranio. (b) le membrane esocraniali e loro prolungamenti Paziente in decupito supino. È evidente che le aponeurosi esterne possono essere in restrizione; non bisognerà dunque trascurarle in caso di tensione superficiale, ma sarà necessario ricercare il punto di restrizione, che sarà molto 168
disturbante per la meccanica craniale e cervico-scapolare, come vedremo più tardi. Abbiamo visto che la base del cranio era il punto di partenza dei cavi aponeurotici e delle aponeurosi cervicali. In caso di lesione ascendente questi costituiranno un punto frenante della motilità craniale. Questo è particolarmente vero per le aponeurosi dello sternocleidomastoideo e soprattutto dell’aponeurosi cervicale superficiale posteriore, che ha la tendenza a portare il temporale in lesione. Durante la presa craniale, sentiremo una attrazione caudale nelle nostre mani,
che
segue
la
direzione
delle
fibre
incriminate. (c) meningi rachidee (figg. 98 e 99) La presa sarà sotto-occipitale, le dita poste le une sulle altre aformare una V molto aperta. Indurre una
leggera
trazione
seguendo
l’asse
intravertebrale. Aumentare leggermente questa trazione per discendere progressivamente fino a livello sacrale. La dura madre prende dei solidi legami a livello di C2-C3, ma attraverso dei prolungamenti radicolari prende anche dei solidi legami sulla circonferenza dei fori di coniugazione bilateralmente. Questi legami non sono teorici, la dura madre è solidamente ancorata al periostio vertebrale costituendo così un mezzo di protezione midollare e delle radici intrarachidee. Abbiamo potuto verificare la loro solidità sul maiale, dove per arrivare a disinserirle è stato necessario applicare una forza importante. Nella normalità una leggera trazione sulla dura madre non avrà delle risposte positive. Essendo la dura inestensibile, risentirà facilmente di una fissazione, poiché in quel punto la dura madre non fluttuerà più nel condotto osseo. Con una certa manualità sarà facile fare diagnosi di restrizioni ai vari livelli, sia frontalmente che lateralmente. asse aponeurotico centrale (fig. 100) Il punto di partenza di quest’ asse si colloca sulla circonferenza del foro occipitale. Quando sarà passato il potere frenante dei diversi elementi posti lungo il suo percorso, tutta la restrizione, in qualunque distretto del suo tragitto, si ripercuoterà sulla base del cranio. Per l’ascolto di questo asse la presa della mano è la 169
stessa che per l’asse dura-madrico, con i pollici diretti verso l’asse mandibolare. -Nella normalità questo asse è perfettamente libero. In caso di restrizioni si possono fare due constatazioni: 1) sensitiva: le mani sono attirate caudalmente, con la scatola cranica che segue un movimento ritmato dalla respirazione 2) visiva: guardando questo asse centrale constatiamo che si ha un movimento ritmico caudo-cefalico e, in caso di grave fissazione, vediamo la parte viscerale del collo infossarsi all’interno dell’imbuto toracico con un ampiezza di parecchi centimetri. 11) Ascolto antero-posteriore (fig 101 e 101 bis) Il soggetto è in decubito supino. Il terapista è dietro la testa del soggetto. Il terapista pone una mano a coppa sotto l’occipite inducendo una leggera trazione, l’altra mano è appoggiata piatta sullo sterno. Questa tecnica serve a testare il sincronismo generale delle fasce, particolarmente a livello toracico e cervico-craniale. Una leggera trazione sotto-occipitale serve a proiettarsi su tutte le fasce posteriori. Nella normalità un movimento ampio, libero e ben ritmato è percepito dalle nostre mani. In caso di restrizione percepiremo un movimento asincrono e che segue determinati assi preferenziali.
12) Lo stress In alcune persone particolarmente stressate i tessuti avranno una motilità perturbata. Il movimento sarà rallentato e la sua ampiezza diminuita. La sensazione percepita sarà una mancanza di libertà nelle oscillazioni dei tessuti, come se questi fossero indecisi riguardo alla direzione in cui muoversi. Avremo così una sensazione di retroazione e la mano avrà la tendenza a richiudersi. Questo può essere sentito a tutti i livelli ma soprattutto nel cranio, nella regione toracica e, in quest’ultimo caso, in modo più evidente nello sterno. 170
13) Zone particolari Alcune zone del corpo sono più vulnerabili e lasciano dei ricordi imperituri di un trauma a loro livello. In queste zone possiamo dire che le fasce hanno una memoria particolarmente durevole. È sufficiente porre le mani su questi distretti per rivelare delle tensioni fasciali spesso conseguenti a choc molto vecchi. Queste regioni sono maggiormente localizzate a livello: cranico e cervicale, dorsale superiore, sternale, coccigeo, epigastrico, nelle cicatrici e nei punti di impatto dell’urto. (a) cranio e cervicali Importante incrocio della circolazione per le vie nervose e vascolari, questa regione è dotata di una grande mobilità sia per un fine di migliore funzione, sia per un fine di adattamento-compensazione. A livello delle vertebre cervicali superiori e dell’occipite abbiamo l’arrivo di una moltitudine di sollecitazioni. Questa regione è in uno stato di riaggiustamento permanente al fine di assicurare un funzionamento il più perfetto possibile nei centri superiori dell’informazione e di comando. Nel caso di traumi importanti l’ultimo punto di ammortizzazione è nelle vertebre cervicali e nella cerniera occipito-cervicale. Non stupisce, quindi, di incontrare delle tensioni fasciali oltre che delle restrizioni di mobilità a questo livello. La zona occipito-cervicale superiore sarà la più implicata. Si può affermare che è raro non trovare delle limitazioni a questo livello. Le prime tensioni ad imprimersi sono quelle conseguenti al parto. Non è raro constatare una traslazione laterale delle vertebre cervicali con compensazione occipite-atlante derivante da un vecchio trauma della circolazione o da un urto laterale violento, per la maggior parte delle volte dimenticato dal paziente ma non dai tessuti. (b) dorsale superiore Zona di sostegno delle vertebre cervicali, quelle dorsali superiori spesso subiscono le sollecitazioni imposte dalle prime. Così nel caso di un colpo di frusta è questa regione che va ad assorbire spesso la maggior parte dell’energia dell’urto e di seguito a entrare in uno stato di disfunzione. Uno degli urti più traumatici è quello relativo alle cadute a piatto sul dorso, soprattutto se è prodotta nell’infanzia. Quest’urto è all’origine di uno shock molto importante con spasmo respiratorio, angoscia e panico. Il trauma va ad imprimersi sui tessuti insieme allo stress che lo accompagna. Quando andiamo a posare una mano su questa zona sentiamo un’importante rigidità oltre che una tensione tessutale, come se la pelle fosse troppo tesa. È sufficiente interrogare il soggetto perché vi riveli spontaneamente il suo trauma in quanto questo ha lasciato un’impronta indelebile. La regione dorsale superiore è, così come l’abbiamo vista, un importante incrocio fasciale, continuamente sollecitato. Sotto il peso di urti, stress, tensioni, questa zona va ad essere la sede di limitazioni sempre più importanti che portano ad una modificazione della statica. Il dorso si cifotizza, le spalle ruotano in avanti; da cui l’espressione molto significativa ‘è tutto sulle mie spalle’ oppure ‘ho l’impressione di portare il peso del mondo sulle mie spalle’. (c) sterno 171
È una zona di elezione per le tensioni conseguenti a stress ripetuti e non compensati. Durante l’ascolto a questo livello i tessuti sono tesi, fissati, si ritraggono verso il centro, lasciano la sensazione di una mano che ha la tendenza a incavarsi quando lo sterno si ritrae posteriormente. La cintura di sicurezza, in caso di incidenti, lascia un’impronta assai rivelatrice durante l’ascolto, sotto forma di una trazione obliqua come una sbarra che percorre il torace superiore. (d) coccige Allo stesso modo che una caduta a piatto sul dorso che lascia un ricordo imperituro, una persona che è caduta sul coccige non lo dimenticherà mai. In questa regione si applica perfettamente il detto ‘vedere le stelle’. Oltre il trauma locale, la caduta sul coccige è spesso accompagnata da una scossa che può risalire fino al cranio, ma può riguardare anche l’addome o il torace. Non è raro constatare, dopo un tale trauma, l’apparizione di una tensione dolorosa in seno ad un organo o constatare una ptosi. Il coccige, nel caso di choc, si lede il più frequentemente in flessione e latero-flessione. La palpazione a questo livello rivelerà l’urto anche dopo molti anni, e anche se l’urto è divenuto muto possiamo dire che l’impronta è a vita. (e) regione epigastrica Numerose persone somatizzano il loro stress a livello epigastrico da cui l’espressione ‘avere un peso nello stomaco’. Questo stress esercita il plesso solare che genera a sua volta una disfunzione di tutta la regione sopra-mesocolica. In un ascolto a questo livello abbiamo la sensazione di una zona dura, ipertesa che non si lascia comprimere e che genera dolore. Alla palpazione abbiamo effettivamente l’impressione di avere un palla sotto la mano. Gli organi sono fissati e distesi; il fatto di porre la nostra mano genera un’eco dei battiti aortici che sono molto amplificati e inquietano particolarmente il paziente. (f) cicatrici Non tutte le cicatrici sono all’origine di una disfunzione ma come abbiamo visto numerose sono quelle che generano delle perturbazioni. Esse devono essere sistematicamente testate perché, quando diventano elementi perturbatori, costituiscono la causa primaria di una disfunzione meccanica o fisiologica. L’ascolto di una cicatrice restrittiva ci rivelerà molto facilmente la direzione delle tensioni che avrà generato. (g) punti di impatto degli urti Quando il corpo subisce un urto questo deve essere ammortizzato, altrimenti potrebbe ledere gravemente le strutture fragili. Durante un urto diretto, un colpo per esempio, si ha prima l’ammortizzazione da parte della pelle, poi delle fasce e del pannicolo adiposo. Quando il trauma sopravviene su una zona poco protetta, come la tibia o il cranio, la zona tessutale di ammmortizzazione è nettamente ridotta. Va dunque a imprimersi sulle fasce e a costituire un punto di fissazione da cui parte da un processo lesionale.
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Dobbiamo ricercare con molta minuziosità questi segni di punti di impatto perché sono spesso la chiave del successo del nostro trattamento. Un urto a livello del cranio, soprattutto nella sua parte postero-laterale, può essere all’origine di una modificazione del tessuto connettivo che porta alla formazione di una catena lesionale discendente che si trasmette via via: alla cerniera occipito-cervicale, alle vertebre cervicali, alla cerniera cervico-dorsale, alla spalla. Durante l’ascolto percepiamo una fissazione molto spesso puntiforme. Ma un urto importante come un incidente in automobile o una caduta sul polso oltrepassa le possibilità dei tessuti molli e dovrà essere quindi presa in carico da un tessuto più denso come il complesso periostio-osso. L’osso ha una certa elasticità, la sua architettura è costruita in maniera tale da assorbire gli urti. Se questi sono troppo violenti lasceranno un’impronta sul tessuto osseo che diverrà punto di partenza di un processo patologico. Ci torna in mente un paziente visto recentemente in seguito ad un urto frontale in auto. Questa persona si è aggrappata al volante e una gran parte di energia è stata assorbita dal radio sinistro. All’ascolto questo dava l’impressione di essere piegato come se le fibre ossee fossero penetrate in parte l’una nell’altra. In effetti l’osso era arrivato al limite di rottura.
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TEST PALPATORI E DI MOBILITÀ A- TEST PALPATORI Il test di ascolto è del tutto passivo e si realizza con tutta la superficie della mano; il test palpatorio si svolgerà con i polpastrelli e implicherà una pressione più o meno accentuata a seconda della zona da raggiungere. Apriamo una parentesi prima di andare oltre: è necessario, prima di porre la mano su un paziente, osservare bene la zona da testare, perché l’osservazione è carica di insegnamenti molto utili (colore della pelle, stato della pelle, che può essere fine, spessa, infiltrata, con macchie, foruncoli, gonfiori). A livello della linea alba per esempio se noi constatiamo una deviazione laterale di questa con una curvatura di piccola ampiezza, ciò segnalerà un problema nel quadrante corrispondente alla deviazione. Ricordiamoci che attraverso i cilindri di Hine la pelle è il rivelatore di ciò che avviene in profondità. Il fine della palpazione è di mettere in evidenza tutte le modificazioni che possono essere intervenute in un tessuto. Queste modificazioni possono essere di più ordini: cambiamenti di struttura e zone dolorose. 1) cambiamenti di struttura Saranno constatati a livello della pelle e poi delle fasce sottstanti secondo un cronologia che va dalla superficie alla profondità 1. a livello della pelle Una pelle normale deve essere regolare, elastica e morbida. In caso di modificazioni potrà apparire indurita, infiltrata ed edematosa. Quindi saranno constatati dei cambiamenti della sua elasticità con diminuzione o perdita di questa. In certi casi sarà impossibile formare pieghe cutanee e in altri si constaterà una durezza anomala dalla sparizione di queste pieghe e ciò si traduce in una alterazione dei legami trasversali. 2. a livello delle fasce sottogiacenti Le fasce sottogiacenti al rivestimento cutaneo devono essere percepite come delle strutture flessibili dotate tuttavia di una certa durezza; questa è variabile a seconda delle zone consaiderate, e andando da zone facilmente depressibili, fascia anteriore del collo, a zone con resistenza maggiore, fasce di inserzione , legamenti e alcuni mèsi. In maniera generale una fascia funzionale può presentare o no delle ondulazioni ed è costituita da bande parallele orientate nello stesso senso. Durante una distorsione si modificano le sue proprietà visco-elastiche, facendo modificare la sensazioni palpatorie. La perdita di elasticità costituirà un fastidio alla palpazione che porterà la fascia ad essere tesa in modo anomalo e necessiterà una forza
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maggiore per penetrare in profondità. Le modificazioni delle fibre collagene metteranno in evidenza all’interno della fascia: -
delle bande fasciali ben individualizzabili molto più tese delle strutture circostanti che presentando a volte un bordo tagliente ben distinto orientato obliquamente o perpendicolarmente alla direzione generale delle fibre. Queste bande sono i rivelatori di sollecitazioni anomale e il loro tragitto si stabilisce in funzione della direzione delle sollecitazioni. Queste bande sono facilmente palpabili e appaiono chiaramente alla dissezione sotto forma di fasci più densi e di aspetto più madreperlaceo.
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delle bande fasciali più tese e attorcigliate sul loro asse longitudinale costituite in modo da seguire l’asse generale della fascia e spesso di una lunghezza maggiore rispetto alle bande oblique o trasversali.
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Alcune fasce, come la fascia lata, hanno un aspetto ondulato; durante delle tensioni importanti queste ondulazioni hanno la tendenza a aumentare prendendo l’aspetto di una lamiera ondulata come se fossero state riaccorciate a mo’ di una grinza di tenda.
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In altre circostanze si percepirà all’interno di una banda fasciale o in una fascia normale delle granulazioni molto spesso ovalari a grandezza di un grano di riso, di caffè o di un nocciolo di oliva. Possono essere anche arrotondate come un granello di sabbia o di sale grosso. Le granulazioni ovali saranno maggiormente riscontrate a livello delle membrane che separano i differenti muscoli, le altre possono risiedere non importa dove. La loro consistenza potrà essere molto dura, vicino alla consistenza del tessuto osseo.
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Infine si potranno palpare zone molto indurite o calcificate. Queste percorreranno un tragitto da qualche millimetro a 1 o 2 centimetri. Si incontreranno particolarmente a livello della spalla, del gomito, dei legamenti vertebrali profondi, del grande legamento plantare. Queste zone hanno la consistenza dell’osso; infatti assistiamo a questo livello alla trasformazione da tessuto molle a tessuto osseo. Per far fronte a sollecitazioni troppo grandi le fasce, i legamenti, i muscoli si calcificano. Questo fenomeno di trasformazione da tessuto molle a osso è stato studiato dall’équipe di Reddi che ha concluso che è possibile la trasformazione da muscolo a osso grazie all’osteogenina. Come vedremo oltre questo fenomeno fortunatamente non è sempre irreversibile.
2) il dolore Si dice che il dolore è bugiardo e se lo consideriamo con circospezione vediamo la variabilità che può presentare da un soggetto all’altro o eventualmente il fatto che può nascondere un problema più profondo; il dolore può tuttavia essere un buon alleato se lo si considera con le precauzioni d’uso. Una fascia, normalmente, non è dolorosa a una pressione normale; in caso di leione la sua sensibilità è nettamente aumentata e questa diviene molto dolorosa a livello delle bande o dei punti nodulari e appena tollerabile a una palpazione leggera nelle zone di calcificazione o in certi legamenti. Il dolore è legato alla liberazione 175
di prostaglandine. L’aspirina e gli antidolorifici bloccano la sintesi di prostaglandina e impediscono dunque la produzione di questa sostanza critica che segnala il danno tessutale. Per quanto riguarda la pelle essa può essere sede di dolori molto vivi scatenati da un semplice sfioramento. In seguito ad un trattamento appropriato si nota una diminuzione o una scomparsa dei punti dolorosi. Questo ha un’altro vantaggio, ed è quello di fare sentire al paziente l’effetto benefico del trattamento e ciò non farà altro che rassicurarlo del resto non vi cosulta perché ‘ha male là’. Insistiamo ancora sul fatto che il dolore non è che la parte emersa di un iceberg e questo è parte integrante di più fattori che costituiscono la lesione osteopatica. B- TEST DI MOBILITA’ I test di mobilità seguono naturalmente i test palpatori e vi sono collegati. 1) Scopo del test Il fine è quello di mettere in evidenza una perturbazione della motilità sia che questa sia a livello della pelle, di un legamento, di un viscere o di un’articolazione. Ha per fine confermare il test di ascolto. Il test di mobilità può applicarsi a qualsiasi distretto corporeo e richiede una ottima conoscenza dell’anatomia. Più sarà precisa la nostra conoscenza anatomica palpatoria, più sarà fine il test di mobilità e efficace il trattamento che ne deriverà. Il test di mobilità si farà seguendo due modalità: a grande leva o segmentario. 2) Test a grande braccio di leva Riguarda dei segmenti o delle parti più estese. Una limitazione di un’articolazione o di tutta una zona può essere di origine strettamente locale o provenire da una catena lesionale lunga. I test a grande braccio di leva sono tutti quelli più classici: flessione plantare, flessione dorsale, flessione anteriore della testa e del tronco… La loro modalità di esecuzione non presenta alcuna difficoltà. È tuttavia più difficile determinare al primo colpo se la limitazione è puramente locale o dipende da una grande leva fasciale. Con una certa abitudine si può vedere assai facilmente la differenza. È importante vedere la differenza in quanto le tecniche correttive variano in funzione dei parametri limitativi, ma anche delle zone considerate. I test a grande braccio di leva sono sfortunatamente troppo spesso evitati o fatti in modo incompleto. Eppure sono loro a dimostrare obbiettivamente al soggetto il miglioramento apportato dal trattamento grazie al guadagno di mobilità ottenuto, guadagno che spesso va di pari passo con una modificazione della sensazione dolorosa. 3) Test segmentari È un test specifico in modo da fare diagnosi molto precisa sul distretto lesionato. Permetterà di precisare la natura della fissazione, la sua localizzazione e la sua profondità. Avviene naturalmente in seguito ai test di ascolto e di palpazione. Permette di confermare o di negare i diversi fattori già registrati. Porterà infine 176
al trattamento che sarà tanto più preciso ed efficace quanto il test segmentario sarà stato realizzato con la massima precisione. Richiede naturalmente da parte del terapista una grande pratica palpatoria e una grande precisione nella conoscenza anatomica topografica. Procederemo dalla superficie alla profondità, andando dalla pelle alle fasce periferiche, poi a quelle profonde ed infine ai visceri. a) A livello cutaneo La pelle è legata nella sua parte profonda alle fasce superficiali. Abbiamo visto che un problema profondo si ripercuote a livello cutaneo, creando delle modificazioni a questo livello o anche una coppia lesionale di fissazione che va dalla superficie alla profondità. La tecnica consisterà nel mobilizzare la pelle molto leggermente in tutte le direzione, seguendo tutta l’estensione della zona considerata, con i polpastrelli di due o tre dita o con la mano intera. Si tratta molto semplicemente di far scivolare un piano di tessuto sull’altro. Nella normalità lo scivolamento sarà uguale in tutti i sensi; in caso di limitazione lo spostamento all’opposizione di questa sarà più difficile, se non impossibile, e ciò ci rivelerà subito la zona di fissazione e la sua direzione. Mettendo una maggiore pressione ci possiamo indirizzare a delle zone più profonde e testare anche diversi piani. b) Test delle fasce periferiche Sia ben inteso che non andremo a descrivere i test di tutte le fasce, ma le modalità saranno approssimativamente le stesse seguendo i segmenti considerati. Descriveremo adesso alcun tra quelli più frequentemente realizzati o che potranno essere la chiave di alcuni nostri trattamenti. LIVELLO DELL’ARTO INFERIORE Il grande legamento plantare (fig 102) Il soggetto è in decubito prono. Si piega il ginocchio e si realizza una pressione a livello plantare, molto velocemente sentirete una corda sotto le dita; se si aumenta la pressione il dolore diventerà sempre più vivo fino a divenire insopportabile. In un secondo tempo si prende il bordo interno del legamento con i polpastrelli delle ultime tre o quattro dita per mobilizzarlo verso l’esterno. In caso di lesione il movimento è molto limitato e doloroso.
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La fascia antero-interna della gamba Riposa direttamente sulla tibia. Il soggetto è in decubito supino; far scivolare i polpastrelli di due o tre dita lungo la fascia dalla caviglia al ginocchio.
In
caso
di
fissazione
percepiremmo una zona cutanea edematosa che arresta lo scivolamento delle dita. A questo livello mobilizzeremmo la pelle e le fasce cutanee sottogiacenti. Questa mobilizzazione è molto limitata e dolorosa, la fascia sembra incollata al periostio. Talvolta si può percepire una piccola banda fasciale sulla quale si agganciano le dita. Vedremo, nel trattamento, l’interesse a testare questa zona. La loggia antero-esterna e postero-interna della gamba (fig 104 e 105) Si tratta di testare i piani di sovrapposizione tra le zone aponeurosi-muscolari e la tibia. Il soggetto è in decubito supino, con l’arto inferiore piegato e il piede appoggiato sulla tavola. Con i polpasterlli dei due pollici bisogna testare dal basso in alto lo spazio osteo-muscolare della loggia antero-esterna. Con i polpastrelli delle dita bisogna testare in seguito lo spazio osteo-muscolare posteriore. In caso di fissazione è molto difficile far penetrare le dita in profondità e il paziente sente un vivo dolore. Questo test può essere molto utile in seguito ad episodi di sciatica, di fratture, di distorsioni o di dolori ribelli al polpaccio.
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La fascia dello sciatico (fig 106) Il nervo sciatico, qualunque sia la sua modalità di separazione, è circondato da una fascia che lo accompagna in tutta la sua lunghezza. Nella normalità il nervo sciatico non è percepito durante una palpazione profonda, mentre lo è in caso di patologia. Il soggetto è in decubito prono; il terapista si pone lateralmente al paziente. La palpazione inizia approssimativamente sotto la piega glutea. L’asse dello sciatico è l’asse longitudinale della coscia., ciò vuol dire il piano di divisione tra bicipite da una parte e semimembranoso-semitendimoso dall’altra parte. Bisogna penetrare progressivamente con i polpastrelli delle dita in profondità, poi mobilizzare i piani profondi seguendo un asse longitudinale e trasversale. Bisogna poi scendere progressivamente fino al cavo popliteo e di là fino al tendine di achille, passando tra i due gemelli. A questo livello talvolta è utile mettere la gamba in leggera flessione. In caso di patologia dello sciatico la mobilizzazione dei piani profondi è difficile e assai dolorosa. In generale le fissazioni si situano di preferenza nella parte superiore della coscia e in mezzo al polpaccio. Si tratta spesso di una zona che ha l’estensione di qualche centimetro. A volte si trova un solo punto di fissazione molto corto e localizzato nel punto di congiunzione fra il terzo superiore e medio della coscia. LIVELLO DORSALE Glutei e paravertebrali Il soggetto è in decubito prono. Il terapista si pone lateralmente. Con i polpastrelli testare i piani di inserzione dei glutei superiori sotto la cresta illiaca (fig 107). Spesso a questo livello troviamo delle bande fasciali molto tese e dolorose che perturbano la meccanica del bacino.
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Di seguito risalire con i polpastrelli lungo i muscoli paravertebrali fino alla zona cervico-dorsale e cervico-occipitale (fig 108). Di frequente si percepisce, se siamo sufficientemente in profondità, dei fasci che ruotano sotto le nostre dita e che possono essere della misura di un dito. Una zona di tensione può iniziare a livello lombare inferiore e risalire senza interruzione in alto fino a livello dorsale. È interessante seguirla perché spesso il suo punto finale è rivelatore di una lesione dorsale in interrelazione con la fissazione lombare. A livello dorsale superiore, possono essere percepite delle bande fasciali oblique che sono in rapporto con le inserzioni muscolari mediali della scapola e i piccoli dentati posteriore e superiore. Arriviamo qui a livello di un cingolo, punto di scambio di direzione e di incrocio delle fasce. La scapola (fig 109) Il soggetto è in decubito prono. Il terapista si piazza lateralmente a lui e pone le due mani ben piatte sulle scapole. Occorre in seguito mobilizzare le mani in tutte le direzioni per testare lo scivolamento dei piani sottoscapolari. Di seguito testare elettivamente con i polpastrelli delle dita la zona sovra e sottospinosa. A livello sovraspinoso troveremo delle zone di tensione dolorosa situate tra i fasci muscolari e a direzione orizzontale. A livello sottospinoso le zone di tensione saranno oblique e in direzione della spalla, i punti più eloquenti si situano al bordo esterno e superiore della scapola. In caso di problemi di spalla, questa regioni sono frequentemente in lesione.
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LIVELLO VENTRALE Andiamo soprattutto ad attaccarci a due zone particolarmente sollecitate: lo sterno e la clavicola. Lo sterno (fig 110) Il soggetto è in decubito supino. Il terapista è posto lateralmente. Si pongono le mani ben a piatto sullo sterno come per l’ascolto, ma
quando avremo lo sterno bene nelle mani, lo
mobilizzeremo in tutte le direzione. Si può, per maggiore facilità, porre le due mani in opposizione, il palmo di una mano a livello della forcella sternale e l’altra a livello dell’appendice xifoide. A livello dello sterno la fascia è direttamente in contatto con l’osso come nella tibia. Con i polpastrelli delle dita si scivola lungo lo sterno. In caso di lesione le dita saranno arrestate da una barriera fibrosa a direzione orizzontale. Dei punti di fissazione spesso iperalgici acuti si incontreranno a livello della linea mediana oltre che a livello sternocondrale. Lo sterno è una zona di ipersollecitazione sia ascendenti che discendenti. Le disfunzioni fasciali saranno quindi frequenti. In più come abbiamo già segnalato questa regione è molto sensibile a tutti i tipi di stress. La clavicola (fig 111) Punto di legami fasciali, la clavicola è una zona in costante sollecitazione. Inoltre per le sue relazioni sottostanti può costituire un elemento perturbatore per il plesso brachiale, l’arteria succlavia e anche per le strutture sovrastanti. Il test si indirizzerà soprattutto alle strutture sottoclavicolari: aponeurosi clavicolo-petto-ascellare, legamento conoide, trapezoide e acromion-claveare. Il soggetto è in decubito supino, il terapista si piazza lateralmente al paziente; il pollice e l’indice sono posti al di sopra e al di sotto della clavicola e si introducono progressivamente sotto per testare i tessuti molli. In caso di rilasciamento totale le due dita possono venire in contatto l’una dell’altra. In caso di lesione la penetrazione è rapidamente fermata dalle tensione e dalla comparsa del dolore. Per maggiore facilità si può sollevare la spalla con l’altra mano o, meglio ancora, mettere il soggetto in decubito laterale, procurando la massima detenzione. In caso di tensione importante, questa ultima posizione permette una palpazione migliore. 181
LIVELLO DEL COLLO Descriveremo unicamente un test delle cartilagini e dell’aponeurosi perifaringea. Questa zona è molto importante per il fatto che controlla la faringe, la laringe e la tiroide. Abbiamo visto in anatomia che si articola con le vertebre cervicali e che l’osso ioide gioca un ruolo importante nell’ammortizzazione e nella ripartizione delle tensioni trasmesse dall’asse centrale. Lo ioide e la cartilagine tiroidea sono meccanicamente legati nel fenomeno della voce dato che la tiroide ha bisogno di fissarsi bene sull’ioide per permettere il gioco delle cartlagini aritenoidee e far vibrare le corde vocali. Queste hanno una vibrazione di circa 20.000 periodi e possono arrivare nei soprani più alti a 36.000. È evidente che tutte le perturbazioni meccaniche a questo livello potranno tra l’altro ripercuotersi sulla voce. Test globale (fig 112) Il soggetto è in decubito supino. Il terapista si pone lateralmente e mette la mano sinistra sulla fronte del soggetto. Prende l’asse viscerale del collo tra tre dita del lato controlaterale e il pollice del lato omolaterale. Esegue una rotazione a sinistra della testa e allo stesso tempo esercita una trazione verso destra con i polpastrelli delle dita. Esegue in seguito una rotazione destra della testa e con il pollice spinge leggermente verso sinistra. Per una maggiore precisione, si potrà prendere l’asse del collo tra il pollice e l’indice e mobilizzare in modo più segmentario. In caso di fissazione lo spostamento su un lato è molto resistente, e il dolore può essere molto vivo. È facile scatenare, quando si mobilizza il lato fissato, un riflesso di tosse , soprattutto a livello tiroide-cricoide. Durante questi test globali non è raro riscontrare i seguenti fenomeni: -
un rumore di sfregamento, che in certi casi è molto forte (in alcuni soggetti questo rumore è del tutto banale, e ciò che non è normale è quando si accompagna a dolori localizzati spesso a livello retrofaringei e che si proiettano sulle vertebre cervicali)
-
un vivo dolore, provocato durante lo stiramento a livello della vertebra cervicale e che corrisponde spesso a sintomi descritti dal paziente a questo livello. Non ci scordiamo che l’asse viscerale del collo è collegato ai tubercoli anteriori delle apofisi trasverse attraverso tratti fibrosi a direzione anteroposteriore.
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Test dell’ioide (fig 113) Attraverso l’osso ioide possiamo avere informazioni riguardo diverse strutture: l’aponeurosi cervicale superficiale e media, l’aponeurosi perifaringea, la sua relazione con la spina temporale attraverso la fontana di Roland e con la scapola attraverso la scapolo-ioidea. L’ioide è una fibrocartilagine a forma di ferro di cavallo. Questa conformazione che ci distingue dall’animale (in quest’ultimo in effetti l’ioide è molto aperto) ci ha permesso nel corso dell’evoluzione di essere dotati dell’uso della parola. Tuttavia non è raro trovare delle variazioni di forma tutt’altro che normali che vanno da un ioide molto chiuso come un diapason, incontrato soprattutto nel sesso femminile, a un ioide molto aperto, che si percepisce come punta di corna, caratteristica del sesso maschile. Il soggetto è in decubito supino; si prende l’ioide tra pollice e indice, a livello delle facce laterali. Lo si mobilizza a destra e sinistra, in avanti e indietro, in inclinazione laterale, ponendo un dito nella sua parte inferiore e l’altro nella sua parte superiore. È molto frequente trovare un lato più alto dell’altro (più spesso a sinistra); se la tensione non è troppo importante questo può essere considerato come normale. Si prenderà in seguito tra pollice e indice la cartilagine tiroidea e si mobilizzerà l’ioide in rapporto alla toroide (fig. 114). Altre cartilagini Il soggetto è in decubito supino; si prenderà una cartilagine tra pollice e indice e la si mobilizzerà in rapporto alle altre; si testerà così la tiroide in rapporto all’ioide e la tiroide in rapporto alla cricoide.
LIVELLO DEL CRANIO A livello del cranio il test di mobilità consisterà in una mobilizzazione del cuoio capelluto in rapporto al piano osseo sottostante. Nella normalità il piano cutaneo scivola sul sottostante senza tensioni né dolore. È evidente che questa mobilità è più importante a livello frontale e occipitale. In caso di fissazione solitamente dovute a degli urti, come abbiamo già segnalato, possiamo incontrare diverse possibilità:
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-
sia una banda fasciale molto tesa e nettamente individualizzabile, talvolta sentita come una piccola cordicella che si estende lungo più centimetri. Questo genere di tensione è spesso localizzata nella zona parieto-temporale.
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sia una zona edematosa infiltrata di circa 5 cm e che presenta frequentemente una depressione nel mezzo, che costituisce il punto di fissazione del periostio. Questa zona è molto difficilmente mobilizzabile ed è sede di un dolore tipo puntura che può essere eccessivamente acuto.
-
sia un incavo a livello dell’osso. Questa situazione si incontra a livello delle suture e dell’osso vormiano. Appare dunque sotto le dita una depressione come se la fascia fosse stata aspirata all’interno. Anche in questa zona la mobilizzazione del tessuto è dolorosa.
c) TEST DELL’ADDOME Non è nelle nostre intenzioni descrivere i diversi test viscerali. Vogliamo semplicemente insistere sull’importanza della palpazione e dei test di mobilità a livello viscerale. Se c’è una regione del corpo dove le tecniche osteopatiche sono una pura applicazione dell’anatomia, questa è la regione addominale. Per una diagnosi precisa e un trattamento efficace è necessario conoscere perfettamente l’anatomia topografica e l’anatomia palpatoria. I test di ascolto sono di grande utilità per l’orientamento diagnostico ma non sono sufficienti; quindi saranno completati dalla palpazione e dai test di mobilità. Ciò metterà in evidenza una zona sensibile o fissata, la palpazione è inoltre un mezzo di conoscenza dello stato della zona che all’ascolto si era rivelata in restrizione. È evidente che se sentiamo sotto le nostre dita dei piccoli rilievi, un indurimento, una deformazione, ciò deve farci adottare un’attitudine di grande riserva e indirizzare il paziente a uno specialista. Queste modificazioni morfologiche non possono essere messe in evidenza che attraverso una palpazione precisa e allenata. Il problema che si pone con l’addome è legato alla profondità della palpazione e all’interposizione di diverse strutture, da cui la difficoltà di stabilire una diagnosi differenziale. Tuttavia con la pratica e una perfetta conoscenza dell’anatomia ciò diviene più facile. La palpazione, abbiamo già detto, deve essere il più precisa possibile, deve seguire la struttura da palpare e talvolta dovrà essere anche profonda, malgrado tutto la difficoltà di interposizione svolgersi direttamente sulla zona considerata e non per semplice proiezione. Se sappiamo essere pazienti e trovare il buon percorso, le fasce ci lasceranno praticamente sempre passare e così potremo palpare senza troppa difficoltà un mesentere, un muscolo di Treitz o un rene per via anteriore. Questa palpazione sarà direttamente seguita dal test di mobilità di organi mèsi o di legamenti testati. La mobilità viscerale è molto variabile a seconda dei segmenti considerati, ciò va da uno stato molto fluido 184
per gli intestini a una mobilità più ristretta per fegato o legamenti, o una mobilità pressochè nulla per ciò che riguarda un muscolo, una fascia di Treitz o un mesentere. Tuttavia ricordiamoci che qualunque sia il tessuto questo è dotato di una certa elasticità. È dunque quest’ultima che occorrerà mettere in evidenza quando ci si indirizza a una zona con minore mobilità. La palpazione e il test di mobilità addominale possono essere spiacevoli e dolorose. La comparsa di un dolore itenso deve farci adottare la più grande prudenza. Contrariamente alla fasce periferiche che sono sede di dolori spesso al limite della tollerabilità, senza che questo sia obbligatoriamente segno di un problema grave, lo stesso fenomeno a livello viscerale purtroppo è spesso diagnosi di un problema grave. d) CICATRICI ED ADERENZE Le cicatrici Come abbiamo già segnalato alcune cicatrici possono imprigionare nel tessuto cicatriziale differenti corpi estranei che possono rivelarsi elementi di disturbo nei processi fisiologici e biologici. Maggiormente le cicatrici possono essere la sede di fissazioni o aderenze e queste generano obbligatoriamente una modificazione della viscoelasticità dei tessuti e generare così un segmento o un organo in disfunzione. È necessario dunque testare sistematicamente tutte le cicatrici. Oltre a palpare il tessuto superficiale e i bordi cicatriziali occorrerà mobilizzare il tessuto sottostante. Con l’aiuto dei polpastrelli di uno o due dita mobilizzeremo la zona circoscritta della cicatrice in tutti i piani dello spazio, prendendola anche in profondità secondo la sua localizzazione. In casi di fissazione o di aderenza sentiremo facilmente una corda più o meno resistente che ci impedirà lo spostamento. Spesso la fissazione avviene su un solo asse. Le aderenze Conseguenti a cicatrici, infezioni, infiammazioni, sono in questi ultimi due casi meno visibili e potranno essere messe in evidenza solo attraverso la palpazione e la mobilizzazione. In linea generale le aderenze hanno sede a livello viscerale: piccolo bacino ,addome, torace. La dissezione mostra frequentemente che ponti fibrosi si erano stabiliti fra pleura e polmone. La difficoltà in queste regioni è che non vi si può accedere direttamente. C- CASI PARTICOLARI Affrontiamo a parte il discorso sui test di alcuni legamenti perché la loro patologia è molto frequente ed essi sono la chiave della riuscita del trattamento osteopatico. Questi legamenti sono: i legamenti ileolombare, i piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici e, in misura minore, il legamento comune vertebrale anteriore e i legamenti cervico-pleurici.
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1) I legamenti ileo-lombari (fig 115) Prendendiamo come esempio il legamento destro. Il soggetto è in piedi con le gambe leggermente divaricate; il terapista è posto dietro il soggetto in contatto con lui e con un braccio posto sotto il braccio sinistro del paziente cinge la parte bassa del torace di quest’ultimo. Fa scivolare il pollice destro lungo la parte discendente della cresta iliaca per dirigersi in basso e in avanti a livello dello spazio di L4-L5, entra in contatto con il legamento iliolombare e ne apprezza l’elasticità. In alcuni pazienti questo è perfettamente deteso e difficilmente percettibile. Nella maggio parte dei casi è teso , della misura di una matita, perfettamente individualizzabile e leggermente sensibile. In altri infine è talmente teso che sembra calcificato, difficilmente mobilizzabile e di una sensibilità estrema. Per facilitare la nostra palpazione possiamo, se necessario, fare una traslazione sinistra del bacino accompagnata da una inclinazione destra del tronco, o associata ad una rotazione destra , il paziente si appoggia al nostro braccio sinistro per essere perfettamente rilassato. Il test di questo legamento può essere veramente efficace e rivelatore solo se fatto in piedi; in decubito dice veramente poco. Questo legamento interviene soprattutto nella statica ed ha bisogno del peso per entrare in azione e per essere testato più facilmente. Alla dissezione il legamento ileo-lombare appare spesso come una struttura piuttosto circolare, della dimensione di una matita e di aspetto madreperlaceo dal quale si deducono dei cambiamenti a livello del tessuto connettivo in seguito a sollecitazioni molto importanti.
2) I piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici Ricordiamoci semplicemente che la loro palpazione avverrà in decubito prono e che essi sono la sede di enormi tensioni che possono farli risentire in alcuni casi come delle strutture indurite. Il piccolo legamento è più difficile da mettere in evidenza perché è ricoperto da una grande massa muscolare. Ricordiamoci i loro rapporti con il piramidale e, tra loro, il nervo sciatico. Infine non dimentichiamoci che i legamenti ischiatici sono in rapporto con la regione intrapelvica.
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3) Il legamento comune vertebrale anteriore (fig 116) Durante delle patologie lombosacrali talvolta è utile testare questo legamento. Il soggetto è in decubito supino con le gambe piegate. Il terapista si pone lateralmente e posiziona i polpastrelli delle dita delle due mani nella parte inferiore della linea alba. Penetra progressivamente e in modo dolce e in profondità fino al contatto osseo. Realizza uno stiramento longitudinale allontanando in senso opposto le dita di ogni mano, poi in modo molto dolce fa uno stiramento trasversale. La palpazione di questo legamento può essere talvolta molto dolorosa e accompagnarsi a una diffusione di questo dolore a livello lombosacrale o a livello di un percorso radicolare. È evidente che questo test non può che applicarsi a soggetti magri con addome facilmente deprimibile. È inutile volerlo realizzare in un soggetto pletorico. Nella donna potrà essere fatto più facilmente. È inutile precisare che questa palpazione si fermerà alla biforcazione aortica. 4) I legamenti cervico-pleurali (fig 117) Sono tre e fissano il diaframma cervico-toracico alla prima costa e alle vertebre cervicali. Da dietro in avanti sono: -
il legamento costo-pleurico;
-
il legamento trasverso-pleurico
-
il legamento vertebro-pleurico.
Nella
normalità
questi
legamenti
sono
difficilmente
individualizzabili ma in caso di tensione si possono facilmente sentire. Il soggetto è in decubito supino e il terapista è dietro la testa del soggetto. Per facilitare la palpazione, per esempio a destra, occorre sollevare leggermente la testa del paziente con una latero-flessione destra. Con il pollice destro che passa davanti al trapezio si va a livello della apofisi trasversa di D1, dunque del legamento costo-pleurale; poi descrivendo un arco di circonferenza da dietro in avanti si cerca di individuare gli altri fasci. Questa palpazione può avvenire in posizione seduta ma sarà più difficile da realizzare a causa delle
tensioni
fasciali
che
sopraggiungeranno.
Ricordiamoci che il ganglio stellato è situato in prossimità del legamento costo-pleurale e che quest’ultimo termina in modo bifido (questa biforcazione dà passaggio alla radice D1). 187
Cronologia dei test Quando abbiamo da testare una zona qualunque del corpo è bene seguire un certo ordine per ottimizzare le informazioni. -
prima di tutto occorre saper osservare e, come abbiamo già detto, ciò può essere molto istruttivo;
-
in seguito occorre fare il test di motilità che permette sia di rassicurare il paziente sia di entrare il contatto con i suoi tessuti;
-
infine si procede all’esecuzione del test palpatorio e di mobilità.
Ci teniamo a ripetere che sarebbe dannoso limitarsi a un solo parametro. La diagnosi osteopatica deve essere una diagnosi di convergenza, cioè accumulare il massimo di informazioni cliniche, radiologiche, biologiche, test di ascolto e di mobilità e questo per affermare con la minima possibilità di errore l’origine dei lamenti del paziente.
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TRATTAMENTO DELLE FASCE SCOPI DEL TRATTAMENTO Ogni aggressione, qualunque sia l’origine, sarà seguite da una modificazione in seno ai tessuti (cambiamento della struttura che diventerà granulosa, edematosa, indurita, con aumento della sensibilità miofasciale). Queste modificazioni attraverso dei fenomeni biochimici e meccanici genereranno una disfunzione delle fasce che genererà a sua volta un cambiamento nel comportamento fisiologico di un segmento o di un organo. Bednar e Coll hanno constatato dei cambiamenti degenerativi nelle fasce che consistono in una separazione dei fasci di collagene con formazione di tessuto misto oltre a infiltrazioni di linfociti e di plasmacellule. In alcuni pazienti si ha una proliferazione vascolare con una anomalia capillare a spese della lamina basale esterna, in altri pazienti si ha la presenza di microcalcificazioni. Se l’aggressione è troppo forte o se persiste troppo a lungo abbiamo visto che va a perturbare gli scambi tra la sostanza fondamentale e la cellula. Questo fenomeno darà origine ad una irregolarità della cellula nel suo interno e questa irregolarità si evolve verso la cronicità o la patologia. Una delle principali cause di disfunzioni fasciali è attribuita ai traumi. In caso di trauma importante devono essere considerate le fasce di tutto il corpo. Il cambiamento del tessuto può essere immediato o intervenire nella notte o nei giorni seguenti all’incidente. Il trattamento dei traumi deve essere intrapreso il più rapidamente possibile e iniziare preferibilmente attraverso un lavoro tissutale. Le modificazioni in seno al tessuto connettivo si ripercuoteranno sul sistema simpatico e sensitivo. Questa situazione genererà degli influssi afferenti perturbati, essi stessi all’origine di uno stato di facilitazione midollare creando così un circolo vizioso automantenuto. La facilitazione delle vie simpatiche genererà una perturbazione della secrezione ghiandolare, della vasomotricità, delle funzioni dei visceri…. Questo aumento del tono simpatico può rivelarsi dannoso. Nella normalità il sistema nervoso simpatico gioca un ruolo importante negli aggiustamenti di protezione e di adattamento dell’ambiente interno in rapporto alle variazioni dell’ambiente esterno, al lavoro muscolare, allo stress emozionale….il simpatico inibisce l’attività dei visceri che non sono immediatamente implicati in queste situazioni e diminuisce il debito di sangue in questi visceri e nella pelle a favore dei muscoli striati. Questi periodi sono in generale brevi e seguiti da periodi di riposo. Una simpaticotonia permanente genera una riduzione del debito di sangue, una inibizione delle attività della secrezione, uno spasmo degli sfinteri….. e tutto ciò termina con una lesione o a una disfunzione degli organi coinvolti. Bisogna notare che le manifestazioni cliniche possono cambiare con il tempo. Una iperidrosi può dar luogo a una ipoidrosi, un angiospasmo può lasciare il posto ad una atonia vasomotrice con stasi, 189
infiammazione, edema…. Ciò vuol dire che lo stato cronico inizia a produrre dei cambiamenti degenerativi, inizialmente può anche non persistere una simpaticotonia evidente o addirittura essere mascherata in qualche modo. A livello delle ghiandole endocrine una simpaticotonia prolungata modificherà le risposte normali dei tessuti agli ormoni circolanti, inoltre l’ischemia locale che la simpaticotonia genera a livello di tessuti endocrini potrà produrre degli effetti estesi e allontanati dalla zona facilitata. I processi che si svolgono a livello del segmento facilitato fanno sì che una volta installata, la facilitazione può persistere a lungo dopo la scomparsa dell’irritazione che aveva scatenato inizialmente il processo. In funzione di questi dati appare che una lesione a livello del tesuto connettivo, se è persistente, genererà più o meno a lungo termine un fenomeno lesionale automantenuto, in un secondo tempo dall’entrata in gioco di un sistema neurologico che è esso stesso all’origine di uno stato di facilitazione; si crea così un circolo vizioso che se non verrà interrotto porterà a dei fenomeni degenerativi che perturbano le funzioni fisiologiche. Lo scopo di un trattamento osteopatico sarà dunque quello di interrompere questo circolo vizioso correggendo gli spasmi, le tensioni, le irritazioni dei tessuti, oltre che lo stato di simpaticotonia, tutto ciò affinchè le fasce ritrovino pienamente il loro stato funzionale. La liberazione dei tessuti e la correzione delle posture sono di grande importanza per il mantenimento di una buona emodinamica. Se questa emodinamica non è perturbata, gli scambi dei tessuti possono avvenire normalmente. I tessuti saranno ben vascolarizzati e riceveranno dunque tutti gli elementi necessari alla loro funzione (ormoni, proteine…..). i prodotti di scarto relativi al loro metabolismo potranno essere eliminati evitando la stasi locale fonte di disfunzioni. Il sistema neurologico libero da tutte le forzature potrà esprimersi pienamente per facilitare gli scambi e veicolare le informazioni necessarie al mantenimento dell’omeostasi. Dobbiamo dunque sorvegliare che i tessuti siano liberi da tutte le forzature perché queste sono fonte di disfunzioni che con il tempo genererebbero fenomeni degenerativi. Così per esempio se le fasce attorno ad un’articolazione esercitano una sollecitazione mantenuta nel tempo potrà esserci una perturbazione della lubrificazione articolare. Questa perturbazione sarà all’origine di una degenerazione che porterà alla fine ad un’usura precoce dell’articolazione. Il test fasciale consiste, come abbiamo detto, nel decifrare il messsaggio emesso dal tessuto. Quando questo messaggio sarà integrato e compreso il trattamento che ne deriva dovrà apportare una risposta adeguata alle informazioni ricevute.
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MODALITA' E PRINCIPI Stabiliremo un principio generale per la correzione dei tessuti, che possa applicarsi a tutte le fasce, con riserva di utilizzo solo per le zone interessate e in funzione della patologia. Tale principio avrà lo scopo di ristabilire la funzione del tessuto, risanando in primo luogo la funzione di un tessuto cioè la motilità e la mobilità che saranno loro stesse seguite da una restaurazione dell'emodinamica e del tono nervoso. Nel capitolo dedicato ai test è stato detto che per mezzo della nostra mano si stabilisce dapprima un contatto con le fasce, e successivamente s'instaura un dialogo che permette di decifrare il messaggio emesso dalle stesse. Il trattamento è il prolungamento dei test. Come vedremo nelle tecniche specifiche, la maggior parte delle correzioni fasciali sono direttamente indotte dal test. Al momento in cui si rileva una perturbazione all'interno del tessuto si può agire continuando il dialogo, cioè apportando l'aiuto necessario affinché questa fissazione sia soppressa. Il terapeuta, che fino ad ora era passivo, in ascolto, diverrà attivo e operante. Due sono le condizioni essenziali in questo compito: -
precisione
-
scelta della tecnica giusta
La precisione Indispensabile per il buon esito del nostro trattamento. Più la correzione sarà precisa, più rapidamente otterremo un rilasciamento delle tensioni ; di conseguenzapiù rapidamente il tessuto ristabilirà le sue funzioni fisiologiche. Quando un tessuto è stato traumatizzato, nella maggior parte dei casi è incapace di alleviare il traumatismo. Però, come è stato detto, la fascia è dotata di una memoria, e di una certa intelligenza; pertanto, conosce il proprio problema e pare attendere che un intervento esterno possa conferirgli un impulso che gli serva a ristabilire le sue funzioni. Più questo impulso sarà preciso e adeguato, più facilmente la fascia dialogherà con il terapeuta e sarà pronta a lasciarsi trattare. Scelta della tecnica In funzione della zona da trattare, del tipo di tessuto, delle diverse patologie o distorsioni riscontrate, si cercherà un'appropriata risposta tecnica. Se si effettua una correzione precisa con un'adeguata tecnica, avremo il più alto margine d'efficacia. Il trattamento fasciale implica due modalità correttive primarie: -
l'induzione
-
il trattamento diretto
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A- L'INDUZIONE 1) Principio Deriva direttamente dal test di ascolto; tale test ci ha mostrato che i tessuti hanno un'attrazione particolare verso il punto di fissazione. Esiste una focalizzazione delle forze che circondano questo punto di fissazione, che rinforzano ancora di più le tensioni al quel livello. La tecnica consiste, quindi, nel seguire la direzione delle tensioni i tutti i suoi parametri. Talvolta, si può trovare un unico asse di tensione, ma a volte possono esisterne due o tre. A quel punto è necessario riequilibrare il tessuto in funzione di assi diversi; se ne dimentichiamo anche uno solo la tecnica non sarà valida perché persisterà un elemento di disturbo. 2) Modalità tecniche La mano deve esser libera di dirigersi fino al punto di fissazione, a quel punto avremo soppresso gli assi di stiramento e saranno ridotte le forze che si applicano in tal punto. Mantenendo la posizione con una leggera pressione di qualche secondo, o addirittura per uno o due minuti, si potrà indurre un rilassamento che si avvertirà sulla nostra mano. E' necessario diminuire la pressione e poi rimetterci in ascolto e di nuovo in induzione, fino a che il tessuto non sarà libero in tutti i parametri. Nel momento in cui si riprende un secondo contatto, è necessario modificare i parametri dell'asse; in effetti, un asse di tensione potrebbe aver ceduto, ma in un secondo tempo un altro preferenziale può apparire. Se non gestiamo in permanenza il nostro aiuto manuale in funzione dei vettori di tensione, bloccheremo la motilità dei tessuti, non prmettendo l’attuarsi della correzione. In alcuni casi ci troviamo alla presenza di lesioni assai radicate o datate, che difficilmente cedono spontaneamente con una sola messa in equilibrio. E' dunque necessario esser più attivi nel supporto da fornire ai tessuti. La pressione sul punto di fissazione sarà un po’ più accentuata, in modo da realizzare un leggero stiramento; potrà esser allentata per ricominciare a recuperare progressivamente terreno, cinque o sei volte di seguito. La mano può anche attuare uno stiramento opposto al punto di fissazione, per sollecitare le tensioni tutt'intorno, poi tornare sul punto di fissazione, creare una pressione al suo livello, rilasciare e di nuovo ripartire in stiramento opposto. Il tutto in media per cinque o sei volte. In genere, con tale trattamento, il tempo necessario al rilasciamento si stabilisce intorno ai tre / cinque minuti, oltre i quali è opportuno interrompere, perché una stimolazione troppo prolungata rischia di generare una risposta inversa a quella voluta, cioè un rinforzamento delle tensioni. Tornando un po’ più tardi sulla zona trattata, è sorprendente constatare un netto miglioramento della situazione. Il tempo di latenza come risposta alla correzione sarà in tal caso aumentato. Talvolta questa latenza può necessitare di
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ventiquattro ore o addirittura di giorni, in base alla cronicità della lesione o alle capacità di adattamento del paziente. E' evidente che come accadeva per il test di ascolto c’è la necessità, nell'induzione, di rispettare il ritmo dei tessuti del soggetto. Il micromovimento che realizziamo dovrà essere accompagnato solo da quello dei tessuti, altrimenti supereremo la possibilità di risposta delle fasce ottenendo solo uno spasmo riflesso. L'induzione sarà in particolare adattata ad ampie porzioni di fasce, o ad un equilibrio più generale; risulterà meno efficace sui legamenti, sui mesi, sugli strati fasciali o sugli indurimenti fasciali. Se la zona da trattare è molto estesa, la tecnica si attuerà con le mani distanziate l'una dall'altra. Verranno a crearsi così due punti di fissazione intorno ai quali si potrà mobilitare e armonizzare un segmento di fascia: in realtà, quando un segmento o tutta una fascia è inibita, ha bisogno di un punto fisso esterno, punto intorno a cui rilanciare la sua motilità. B- TRATTAMENTO DIRETTO 1) Principio Il trattamento fasciale diretto consiste nel prendere contatto tramite i polpastrelli di uno o più dita, con la zona lesa per mobilitarla, stirarla, inibirla fino a correggere la lesione. Ciò si applica soprattutto su zone specifiche: legamenti, mesos, o segmenti di ascia in cui si è diagnosticato uno strato fasciale, un'aderenza, un punto d'indurimento, una modifica della fascia d'inserzione. Interviene più spesso in fissazioni datate, in cui le modificazioni dei tessuti sono già ben stabilizzate, e in cui l'induzione non è più sufficiente per ristabilire la normalità. A questo livello si constatano, come abbiamo segnalato, delle modificazioni della visco-elasticità, dei cambiamenti nella struttura della fascia con la comparsa di strati fasciali, madreperlacei, molto tesi, attorcigliati, o delle zone d'indurimento, che vanno dal granello di sabbia al nocciolo d'oliva. Gli scambi a livello dei tessuti sono perturbati, è un'area di importanti tensioni permanenti che andranno ad automantenere i fenomeni degenerativi. In quest'area la fascia è sottomessa, non più capace di difendersi da se stessa, stordita, incapace di sostenere questo stordimento, necessita di un aiuto esterno per ristabilire i meccanismi fisiologici che sono stati inibiti da un'aggressione. Sarà dunque necessario risvegliare la zona fasciale lesionata attraverso un'appropriata tecnica, massaggiatura o stiramento, per generare un meccanismo funzionale normale. Questo letargo dei tessuti può durare anni se trascurato, e divenire col tempo nucleo di fenomeni cronici degenerativi. Nonostante ciò, si è constatato che anche a lunga distanza è sempre importante intervenire, dato che la possibilità, anche minima, di recupero sussiste sempre.
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A tal proposito vorremmo citare due esempi, che non sono direttamente legati a un trattamento osteopatico, ma che illustrano perfettamente come un tessuto può recuperare la propria memoria dopo un lungo letargo. I suddetti casi sollevano una serie d'interrogazioni sulla possibilità d'intervenire eventualmente su situazioni all'apparenza disperate, di cui è ancora necessario trovare una modalità tecnica. Il primo, di cui tutte le televisioni hanno parlato, riguarda una giovane americana che scriveva al contrario, tanto che per leggerla occorreva uno specchio; un colpo alla testa le ridona una capacità di scrittura normale. Il secondo caso, di cui un po’ si è parlato, è ancor più straordinario; un uomo di circa settant'anni anni, emiplegico da una ventina d'anni, afasico e in stato di letargo, viene ospedalizzato per un problema cardiaco. A causa di uno stato di agitazione cade dal letto e subì un trauma alla testa, in seguito al quale recupera l'uso della parola e della memoria, come dopo essersi risvegliato da un sonno di vent'anni. Attualmente ha recuperato tutte le sue capacità mentali, ma non quelle fisiche. I due casi suddetti testimoniano una rimessa in moto dei circuiti, di un contro choc del tessuto nervoso non grazie a un intervento umano ma a un traumatismo benefico. Queste situazioni fanno davvero riflettere. 2) Modalità tecniche Le tecniche dirette sono segmentali e consistono in un contatto diretto con la zona da trattare, e partendo dalla zona stessa esercitare una pressione o di uno stiramento più o meno forte a seconda della zona o del segmento coivolto,in funzione del soggetto e dell'origine della lesione. Certi tessuti necessitano di un contatto dolce e di una forza moderata per riprendere la loro libertà. Altri, invece, richiedono un contatto più fermo e una forza più importante per risvegliarsi, come vedremo. In alcune zone la pressione può risultare al limite del tollerabile. Nell'ultimo caso pare che il punto di pressione esercitato per sopprimere la lesione corrisponda all'effetto dell’ago di Lewit: secondo questo studioso, l'efficacia di un trattamento dipende poco dall'agente immesso, ma è collegato piuttosto all'intensità del dolore prodotto nell'area di rilassamento e alla precisione con cui l’ago (il dito) ha localizzato il punto di sensibilità massima. A proposito del dolore, era stato detto che poteva essere utile ma ingannevole. Nel caso di lesioni fasciali, è praticamente sempre presente, talvolta eccessivamente vivo. Lo si riscontra sempre nelle bande fasciali, nei punti di indurimento isolati o d'inserzione fasciale. Possiamo dire che nei casi di lesione della fascia, il dolore è un elemento di diagnosi e la sua diminuzione o sedazione è un fattore di riuscita del trattamento. Bisognerà tenerne conto, pertanto, dosando l'intensità in funzione del paziente, della zona da trattare o del tipo di lesione. In effetti, se alcuni pazienti lo tollerano bene, altri ne tollerano una soglia minima che dovrà esser presa in considerazione. In punti come i legamenti plantari, ad esempio, è possibile una pressione assai dolorosa, cosa che è sconsigliata in punti come nella doccia bicipitale. 194
In ogni caso, praticando un trattamento con una pressione dolorosa, è prudente non prolungarlo oltre certi limiti, altrimenti ne scaturisce una reazione inversa all'effetto cercato. Le tecniche dirette per trattare una fascia si possono quindi riassumere in: •
pressione tipo massaggio (pompage);
•
stiramento,
•
pressione tipo scivolamento,
•
caso particolare dei legamenti;
•
tecnica strutturale.
PRESSIONE TIPO MASSAGGIO (fig. 118) Si applica soprattutto a una zona puntiforme o di estensione limitata: punto di inserzione di una fascia, zona modulare… Dopo aver identificato esattamente la zona da trattare, occorre applicare una pressione più o meno accentuata (in genere con il pollice) sercitando, nello stesso tempo, uno stiramento e una rotazione del pollice come se si volesse effettuare un massaggio. La pressione dovrà essere progressiva e non brusca, occorre aspettare che le fasce ci diano libero accesso. Per una efficacia ottimale, malgrado il dolore possibile e la pressione, occorrerà seguire il movimento delle fasce che progressivamente ci porteranno al punto massimo. Mantenere la pressione per qualche secondo e poi iniziare di nuovo la manovra lasciandoci sempre guidare dalle fasce. Spesso è sufficiente per avere un notevole miglioramento una ripetizione di 4 o 5 volte. Questa ripetizione è valida anche per le altre tecniche (salvo quella strutturale) quindi noi consideriamo questo come acquisito. Si sospende poi la tecnica per ritornarci ulteriormente se necessario. Lo scopo di questa tecnica è di reprimere per quanto si può l’indurimento. Occorre immaginarsi di avere fra le dita un corpo friabile che va ridotto progressivamente in polvere. La fascia si trova in uno stato di siderazione, la pressione tipo masaggio toglie progressivamente questa siderazione. La fascia ritrova la sua motilità e la sua mobilità e molto rapidamente la zona indurita, che ci sembrava una calcificazione, sparisce.
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STIRAMENTO (FIG. 119) Si applica su una banda fasciale o su una porzione di fascia di qualche centimetro. In casi di banda fasciale abbiamo segnalato che questa può essere molto tesa e presentare talvolta un bordo tagliente. 1. Determinare due punti estremi della banda 2.
prendere contatto con i polpastrelli di due dita a livello di questi punti ed esercitare una trazione longitudinale nell’asse della banda tenendo conto dei movimenti fasciali.
3. In un secondo tempo agganciare con una o due dita il bordo tagliente ed esercitare una trazione perpendicolare progressiva tenendo sempre conto del movimento fasciale. Questa seconda manovra sarà più dolorosa della prima; occorrerà dunque saper giocare con il dolore. Se abbiamo a che fare con una porzione di fascia (in generale si tratterà di una regione profonda o di un piano di separazione di due fasce) 1. seguire con le dita delle mani o con i due pollici tutta l’estensione della zona, penetrare progressivamente in profondità fino al punto di contatto 2. eserciterare una trazione longitudinale attraverso un movimento inverso delle dita di ciascuna mano. 3. Mantenendo la trazione longitudinale si eserciterà infine una trazione perpendicolare alla fascia. Occorre sempre tenere conto dei movimenti delle fasce e questo è valido per ciascuna tecnica che vedremo più avanti (fig. 120). Se la tensione è superficiale tipo una cordicella sarà sufficiente una trazione perpendicolare alle fibre. Anche qui si tratterà di togliere lo spasmo alla fascia, sopprimere la sua congestione, e da qui la sua tensione e irritazione. Occorre immaginarsi di avere tra le mani un impasto spesso che si vuole ridurre a un piccola pellicola facilmente mobilizzabile tra le dita.
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PRESSIONE TIPO SCIVOLAMENTO Si esercita sia su una zona arrotondata di grossa misura e fissata in profondità al periostio, sia su una zona di grande lunghezza per esempio la fascia tibiale, sia su una zona di grande lunghezza come una fascia di separazione. - su una zona estesa (fig. 121) Far scivolare il dito lungo la fascia esercitando una pressione moderata. Si possono incontrare numerose situazioni: 1. Possiamo avere a che fare con un aumento delle ondulazioni fasciali: in questo caso eserciteremo una potenza nella pressione, con il pollice, finchè l’ondulazione non si attenua e ci permette di passare a quella seguente. È un po’ come se avessimo a che fare con della carta sgualcita che vorremmo lisciare. 2. Possiamo essere in presenza di una banda fasciale tesa e attorcigliata; eserciteremmo in questo caso una potenza nella pressione ma aggiungeremmo anche una rotazione come se volessimo riaddrizzare la fascia; quando cade la tensione si può proseguire con lo scivolamento. 3. il pollice potrebbe essere frenato da una zona tesa ed edematosa; in questo caso eserciteremo una presione più accentuata con eventualmente un movimento rotatorio finchè la fascia non ci lascia continuare il nostro percorso. - su una fascia di separazione Come nel caso precedente la tecnica consisterà nel far scivolare il pollice nel piano di separazione dellle due fasce. Incontreremo dei segmenti più tesi e dolorosi. Fermeremo in quel punto la nostra progressione esercitando una pressione più accentuata e accompagnata da un movimento rotatorio o di trazione perpendicolare. -
su una zona arrotondata
Si incontra particolarmente nei distretti dove la fascia è direttamente in contatto con il periostio. Si tratta di una zona rotonda, edematosa, sopraelevata e con un punto di fissazione al periostio nel suo centro (fig. 122 e 122 bis). Occorre fare una pressione su tutta il contorno della zona dirigendosi verso il centro; si prende poi contatto con il 197
punto di fissazione e mentre si eserciterà una pressione molto marcata si stirerà in tutti i sensi. Lo scopo di questa tecnica è lo stesso degli altri casi. Per facilitare il trattamento si può immaginare di avere un cubetto di ghiaccio fra le dita da far sciogliere progressivamente. È sempre la ricerca della fluidità. -
legamenti
Rappresentano una categoria a parte per la loro funzione e le modalità di trattamento. Occorre prendere contatto con il pollice in generale ed esercitare poi una pressione perpendicolare allle sue fibre. Quando questo diventa possibile occorre prendere un secondo punto di contatto con l’aiuto del palmo dell’altra mano, con la sua inserzione più accessibile al fine di costituire una coppia con le due mani (una mano esercita una pressione stiramento e l’altra una pressione stiramento variando leggermente la sua posizione per lavorare in ogni piano). Se ne abbiamo la possibilità, dopo aver preso contatto con il legamento, si mobilizza il corpo attorno al legamento per permettere il suo rilasciamento. Vedremo tutto ciò nella tecnica del legamento ileo-lombare. Nel caso di lesione alcuni legamenti diventano molto tesi e alla palpazione. sembrano completamente induriti Occorre quindi ridare loro una certa elasticità. - strutturale Le tecniche strutturali restano il trattamento per eccellenza delle fasce soprattutto delle fasce corte e profonde difficilmente accessibili alla palpazione. Una lesione strutturale nella maggior parte dei casi è prima di tuttto una lesione fasciale. Allo stesso modo una disfunzione somatica non può essere mantenuta che dai tessutoi molli circostanti. Questi tessuti si modificano, si fibrotizzano e fissano maggiormente la lesione con la comparsa di fenomeni degenerativi a lungo termine. È evidente che quando abbiamo a che fare con una lesione vertebrale è dificile avere accesso alle fasce profonde e ai loro prolungamenti: i numerosi legamenti periarticolari. Inoltre, se la lesione è vecchia, questi saranno in uno stato di tensione massima, spesso prossima alla calcificazione. La tecnica strutturale in questi casi è la più adatta e certamente la più efficace. Si tratta di realizzare uno stiramento rapido dei tessuti, cosa che permetterà di sopprimere lo spasmo di cui questi sono vittime e di creare un rilasciamento che renderà la libertà all’articolazione. Tutte le lesioni strutturali non sono unicamente mantenute da un processo fasciale. L’articolazione tibiocarsica, le metacarpo-falangee, le interfalangee in particolare sembrano procedere in altro modo. È certo che la loro lesione si associa ad un fenomeno tissutale ma la liberazione di questo non corregge sempre la lesione. In effetti a livello delle articolazioni si aggiunge un fenomeno di vuoto articolare che unisce le parti dell’articolazione le une contro le altre a mo’ di ventosa. Tutto questo fa sì che se noi non decoattiamo l’articolazione e ricreiamo una certa pressione al suo interno questa non ritornerà funzionale.
198
LE TECNICHE SPECIFICHE Non descriveremo sistematicamente tutte le tecniche specifiche delle fasce ma prenderemo alcuni esempi a livello di diverse regioni del corpo per illustrare il principio generale di trattamento fasciale annunciato al capitolo precedente. A- L’ARTO INFERIORE a) il legamento plantare (fig. 123) In seguito a diverse distorsioni che subisce il piede è frequente constatare una tensione importante del legamento plantare. Questa tensione blocca tutto il meccanismo del piede e impedisce spesso la riuscita delle tecniche strutturali specifiche e può, infine essere all’origine di una spina calcaneare. •
Il soggetto è in decubito prono con le gambe piegate
•
penetrare in profondità per sentire la corda che tende la volta plantare.
•
In un primo tempo esercitare una pressione mentre si scivola insistendo sulle zone con maggiore sensibilità.
•
In un secondo tempo agganciare il legamento con i polpastrelli delle dita e stirarlo trasversalmente.
Questa tecnica è molto dolorosa: occorre dunque prevenire il paziente che dovrà essere consenziente. Occorre sempre rimanere nel limite del tollerabile. Prese queste precauzioni il trattamento dovrà essere deciso ma breve. Il risultato è spesso molto rapido, nella maggior parte dei casi bastano una o due sedute, anche se abbiamo a che fare spesso con dei casi di vecchi traumi importanti. In caso di spina calcaneare, dopo aver trattato il legamento plantare occorrerà insistere direttamente a livello della spina attraverso una pressione-rotazione per trattare la fascia a livello della inserzione sul tallone, in seguito salire lungo il tendine di Achille per arrivare al polpaccio, dove le tensioni si situano più spesso nel piano di divisione dei gemelli. Anche in questo caso la fine del dolore deve essere rapida. Talvolta constatiamo una diminuzione della spina o una sua scomparsa.
199
b) la fascia della gamba (fig. 124) ricopre direttamente la tibia ed è frequentemente implicata nelle lesioni dell’arto inferiore, oltre che essere la chiave del successo del trattamento di un ginocchio o di una caviglia. •
Il soggetto è in decubito supino, con le gambe stese o piegate e i piedi che poggiano sulla tavola.
•
Esercitare una pressione da scivolamento lungo la fascia, insistendo attraverso stiramenti, pompage, rotazione sulle zone di fissazione. Si sale così fino al piatto interno della tibia.
Tutti i punti di fissazione devono essere rilasciati, in questo momento si potrà far scivolare il dito lungo la fascia senza ostacolo e senza dolore. Il trattamento della fascia e della gamba è spesso la chiave per un problema di caviglia dolorante, in cui si ha difficoltà alla flessione plantare. In seguito ad una distorsione lo stiramento brutale, generato dal falso movimento, si è ripercosso esclusivamente sulla fascia della gamba, preservando i legamenti della caviglia ma creando una tensione fissatrice su questa. Segnaliamo anche che la fascia della gamba è una zona preferenziale di prevenzione dei problemi ginecologici nella donna. Questi sono all’origine di modificazioni fasciali riflesse che si situano generalmente a metà tibia sul lato esterno e sul condilo interno, sotto forma di una zona edematosa infiltrata e dolorante. Il trattamento di queste zone dà spesso per via riflessa dei risultati interessanti a livello ginecologico. Talvolta tutta la fascia è in disfunzione senza un particolare punto di fissazione. Il trattamento avverrà sotto forma di ascolto-induzione sia in modo globale ponendo una mano a livello della parte inferiore della tibia e una in quella superiore, sia in maniera segmentale per finire via via in modo globale. c) la coscia Nella maggior parte dei casi i problemi della coscia si situano a livello esterno e interno. 1) a livello esterno (fig. 125) Sono tutte distorsioni legate alla fascia lata. Il soggetto è in decubito supino con le gambe stese. Con i polpastrelli di due o tre dita facciamo una pressione da scivolamento lungo il tratto ileotibiale.
Incontreremo
speso
un
aumento
di
ondulazioni come se fossimo in presenza di una 200
tenda ondulata. Occorrerà cercare di ridurre progressivamente queste ondulazioni. Incontreremo lungo il tragitto dei punti dolorosi sotto forma di granulazioni e occorrerà ridurli attraverso una levigazionerotazione. Qui, come in tutti i casi di trattamento delle fasce, l’efficacia si tradurrà in una diminuzione della tensione, in una riduzione del dolore e in un miglioramento funzionale. Ciò vale per tutte le fasce e dunque è applicabile ad ogni tecnica. Ritorniamo un attimo sul dolore per segnalare che questo può essere acuto e al limite del tollerabile e se il trattamento è ben condotto e preciso questo deve totalmente cessare in un lasso di tempo molto breve. Se il trattamento è mal condotto o la fascia reagisce troppo violentemente persisterà per più giorni un dolore residuo, anche se inizialmente la zona trattata poteva essere non dolorante. 2) a livello interno (fig. 126) •
Il soggetto è in decubito supino con il ginocchio e l’anca leggermente piegate.
•
Il terapista si posiziona lateralmente ponendo un ginocchio sulla tavola e facendo riposare la faccia esterna della coscia del paziente sulla propria coscia.
•
Posizionare polpastrelli delle dita delle due mani lungo il piano di divisione degli adduttori e esercitare una pressione da stiramento. Se esiste un punto di fissazione più importante si pongono i due pollici sul bordo superiore degli adduttori, realizzando in seguito uno stiramento trasversale spingendo verso il lettino.
d) lo sciatico (fig. 127) Per finire con l’arto inferiore parleremo del trattamento della fascia sciatica. Abbiamo detto nei test che questa poteva essere fonte di irritazione e causa dell’origine o del mantenimento di una sciatica. Raccontiamo per questo un aneddoto importante. Come molte persone abbiamo conosciuto pazienti che avevano consultato dei guaritori che avevano ‘messo loro a posto dei nervi’ o ‘rimontato i nervi’ e nel caso di sciatica il risultato era talvolta spettacolare. La tecnica consisteva nel mettere il paziente in decubito prono o in piedi e con il pollice risalire lungo lo sciatico fino al gluteo o lungo il dorso fino alle vertebre cervicali. Inutile precisare che nella maggior parte dei casi il paziente aveva un ricordo indimenticabile; il pollice del terapista solcava tutta la zona da trattare e talvolta ne restava una traccia lunga a sparire. Comunque il paziente si trovava spesso alleggerito della sua sciatica. Per anni ne abbiamo cercato una spiegazione. Quest’ultima pertanto era molto semplice e lo studio più approfondito dell’anatomia lo ha dimostrato. Lo sciatico è circondato da una fascia, la tensione di questa, molto semplicemente, può irritarlo. La solcatura non rimetteva il nervo a posto ma faceva semplicemente un lavoro fasciale. La tradizione 201
popolare è sempre fondata su una certa verità. Lo stress generato dalla tecnica sembrava risvegliare la fascia che si trovava in uno stato di ipofunzionalità e si irritava. Il forte stimolo aveva inibito la siderazione e rimesso in memoria la fisiologia normale. Abbiamo dunque adattato e applicato questo trattamento molto spesso con successo. •
Il soggetto è in decubito prono;
•
dopo aver trovato la zona di restrizione che si trova spesso a metà coscia, introduciamo i polpastrelli delle dita di due mani in profondità per realizzare uno stiramento longitudinale e trasversale.
•
Discendiamo lungo la fascia fino al polpaccio; poi appoggiamo una coscia sul tavolo e vi poniamo sopra la gamba piegata del paziente. Procediamo in seguito con lo stiramento o la pressione-inibizione
del punto specifico. Non è necessario nella grande maggioranza dei casi esercitare una pressione troppo forte facendo male al paziente, né solcare con il pollice tutto l’arto inferiore, ciò può essere fatto in modo più dolce. Spesso constatiamo dopo un tale trattamento un
miglioramento
funzionale con diminuzione netta del segno di Lasègue. Ben inteso che questa tecnica non è esclusiva del trattamento della sciatica, ma si accompagna a una esplorazione minuziosa delle cause possibili e molto frequentemente si associa ad altre tecniche.
B- IL BACINO Non insisteremo sulle tecniche di liberazione dei piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici o del piramidale, che tutti conoscete, ma segnaliamo il fatto che il piccolo legamento sacro-ischiatico è spesso la chiave dei problemi del bacino e dell’arto inferiore. Sarà dunque necessario esplorarlo sistematicamente. Descriveremo essenzialmente due tecniche per: le fasce glutee e i legamenti ileolombari e lombo-sacrali.
202
-
Le fasce glutee (fig 128)
Ricoprono una grande superficie e sono costantemente sollecitati a causa della posizione eretta. •
Il soggetto è in decubito prono
•
con il pollice, attraverso una pressione scivolamento o una tecnica di inibizione o stiramento andiamo a trattare: i legami di inserzione lungo la cresta iliaca, dove incontriamo spesso delle bande fasciali o delle zone nodulari; le fasce che avvolgono i diversi fasci muscolari e che seguono una direzione obliqua in basso e in fuori (per
una
migliore
efficacia
sarà
necessario
penetrare
profondamente tra i fasci); l’inserzione della fascia lungo il bordo laterale del sacro, in contatto con l’osso, dove le bande fasciali e le zone nodulari sono frequenti. In molti pazienti, per una maggiore efficacia, questa tecnica dovrà praticarsi in piedi. Facendo l’esempio di una fascia di destra: ci si pone dietro il paziente, che si appoggia contro il terapista; si passa il braccio sinistro sotto quello del paziente, cingendolo; sostenendo il paziente col braccio sinistro si fa una traslazione sinistra del bacino, accompagnata da una inclinazione destra del busto. Questo permette di diminuire le tensioni a livello della fascia e di realizzare un miglior lavoro con la mano destra. -
Il legamento ileo-lombare (fig 129)
È una vera e propria corda tesa tra le apofisi trasverse di L4-L5 e la cresta iliaca. È una chiave essenziale per la normalizzazione della cerniera lombosacrale. Come abbiamo segnalato, la tecnica si fa solo in posizione eretta; in decubito prono non è efficace. Questo legamento ha bisogno, per essere trattato, di un peso che lo metta in tensione. Prendiamo l’esempio del legamento di destra: •
il soggetto è in posizione eretta con i piedi leggermente divaricati.
•
Il terapista si pone dietro di lui e si mette in contatto con il dorso del paziente. Il braccio sinistro del terapista, passa sotto quello del paziente,e cinge quest’ultimo.
•
Il pollice destro si posiziona a metà del legamento ed esercita una pressione perpendicolare a questo.
Spesso anche una semplice pressione può essere dolorosa, con l’impossibilità di deprimere il legamento come se fosse calcificato. Occorrerà dunque avvalersi della partecipazione di tutto il corpo, per integrarlo in uno schema generale. 203
Si porterà poi l paziente in flessione anteriore, più o meno accentuata, e questo tramite un semplice nostro indietreggiamento. I piedi del soggetto non devono muoversi durante tutta la manovra, in seguito si eseguirà una latero flessione destra e una rotazione sinistra. Durante tutto questo temop il pollice esercita una pressione costante sul legamento, in funzione del dolore. Occorrerà riaggiustare la posizione del corpo attorno al legamento; ritornare alla posizione iniziale e reintrodurre in seguito i diversi parametri. La difficoltà di questa manovra è che spesso i pazienti, per paura di cadere, si contraggono e ciò rende la tecnica impossibile. Occorrerà spiegargli, per rassicurarlo pienamente, quel che ci si aspetta da lui, che lui sia del tutto rilassato. Per rassicurarlo ulteriormente bisognerà sostenerlo fermamente, quindi si porterà la nostra gamba sinistra a lato della sua in modo da sostenerlo anche con un secondo appoggio. Questa tecnica può essere subito risolutiva, ma la sua efficia si fa sentire dopo, a seguito di tecniche articolari sui tessuti molli del bacino o ad una correzione strutturale. Se tale tecnica è relizzata correttamente si guadagnerà molto nella flessione anteriore e questo faciliterà il processo di normalizzazione. -
Il legamento lombo-sacrale
La tecnica è la stessa della precedente con alcuni dettagli in più: il pollice è posto superiormente al solco; il soggetto sarà portato in estensione-inclinazione destra e rotazione sinistra. Occorre segnalare che questo legamento è meno spesso chiemato in causa rispetto al precedente C- LA REGIONE DORSALE La fascia dorso-lombo-sacrale (fig 130) Questa
regione,
zona
fasciale
per
eccellenza, è sottoposta a molteplici distorsioni fasciali. Il soggetto è in decubito prono, partendo dal sacro facciamo una pressioneche scivolando risalga fino a livello cervicale. Incontriamo delle bande fasciali, dei punti nodulari e dei fasci tondeggianti molto tesi e grandi. Arrivati alla zona interscapolare incontreremo spesso delle tensioni oblique in direzione della scapola. La faccia posteriore della scapola è sede frequente di tensioni fasciali sia a livello del sottospinoso che a livello del sovraspinoso. Effettuare una pressione scivolamento obliqua verso la spalla. Individuiamo delle tensioni tra i fasci muscolari, delle zone nodulari oltre che delle vere e proprie palle molto tese e ipersensibili, che bisognerà far cedere attraverso degli stiramenti, pressioni, rotazioni, inibizioni (fig 131e 131 bis). Non bisogna dimenticarsi di fare una pressione da scivolamento lungo il bordo esterno della scapola, dove le distorsioni sono molto frequenti. 204
Il trattamento della regione dorsale sarà talvolta più efficace in posizione seduta, quindi con l’aiuto del peso. Nelle persone anziane, difficilmente mobilizzabili e con le quali la prudenza non è mai troppa, la posizione seduta è, nella maggior parte dei casi, sufficiente per i problemi lombosacrali e può essere impiegata esclusivamente con risultati immediati e durevoli. - Le fasce posteriori (fig 132 e 132 bis) In alcuni soggetti constatiamo una tensione generale delle fasce posteriori, con difficoltà a piegarsi in avanti o a mettersi sdraiati e se si solleva una gamba, l’angolo di flessione è molto limitato e spesso doloroso. Una tecnica fasciale globale migliora nettamente la situazione, equivale al roll lombare senza specificità locale. Il soggetto è in decubito laterale e il terapista gli stà di fronte. Quest’ultimo porta il segmento superiore in leggera rotazione posteriore attraverso la trazione anteriore e cefalica dell’arto superiore in contatto con la tavola. A livello degli arti inferiori, quello che stà sotto poggia sulla tavola diritto e quello che stà sopra è portato fuori dalla tavola. Si prende contatto a livello della parte superiore del torace e a livello del bacino. Si mette in tensione aumentando la rotazione e la trazione longitudianali. Allo stesso tempo spingiamo la gamba superiore con il nostro piede in modo da portarla in flessione ed adduzione, aumentando così la tensione, sempre guardando che rimanga dritta. Una variante stà nel posizionarsi subito dietro la gamba del paziente. Il fine della tecnica consiste nel realizzare uno stiramento molto rapido attraverso un trust non specifico. Le due braccia realizzano uno stiramento longitudinale mentre con la gamba sinistra si accentua la flessioneadduzione dell’arto inferiore del paziente. Questa tecnica si realizza bilateralmente, il guadagno della mobilità è importante, immediato e durevole.
205
D- LA REGIONE VENTRALE La regione ventrale di divide in due parti: l’addome e il torace, separati dal diaframma. Il trattamento fasciale dell’addome si localizza sul legamento vertebrale anteriore, sui visceri, zone fasciali per eccellenza dato che le fasce superficialis addominali sono sollecitate più raramente. Tratteremo in seguito il diaframma, poi il torace, dove il trattamento principale si situa a livello dello sterno. Il legamento vertebrale comune anteriore (fig 133) Il soggetto è in decubito supino con le gambe piegate e i piedi che poggiano sulla tavola. Il terapista si posiziona lateralmenete e deprime progressivamente con le dita delle due mani la linea alba, per entrare in contatto con il legamento. In seguito ad una pressione leggera
si
realizza
uo
stiramento
longitudinale
allontanando le due mani, in seguito si esegue uno stiramento trasversale. Questa tecnica va eseguita con dolcezza ed è da evitare se si vede che la sua ralizzazione è difficile. Spesso è una tecnica utile in caso di lombalgia cronica e sciatica. Ricordiamoci che bisogna stare attenti a non oltrepassare la biforcazione aortica. -
I visceri
Non abbiamo l’intenzione di spiegare tutte le tecniche viscerali, cosa fatta in maniera eccelente da altri autori; vogliamo soltanto sottolineare che le tecniche fasciali si applicano anche ai visceri, infatti il viscerale avviene esclusivamente con
tecniche fasciali. In questa regione noi alterniamo l’ascolto
induzione al trattamento diretto. In modo generale è preferibile iniziare attraverso l’ascolto induzione seguito da un trattamento diretto e se necessario far seguire questo da un ascolto induzione. Se c’è una regione dove la progressione attraverso le fasce deve farsi dolcemente, questa è l’addome; occorrerà sempre aspettare che le fasce ci permettano la penetrazione e in nessun caso volere a tutti i costi superare una barriera di resistenza. In modo generale l’ascolto induzione avviene lasciando scivolare la mano verso il punto di fissazione, mantenere in seguito una certa pressione, infine se necessario aumentare leggermente la pressione della mano eseguendo così uno stiramento. Si ritorna poi alla posizione iniziale ripetendo la manovra. Se esiste un asse di tensione o di movimento preferenziale occorre vedere che il riequilibrio avviene secondo i tre piani dello spazio e se si privilegia un piano occorre riaggiustarlo sempre in rapporto agli altri altrimenti la tecnica sarà inefficace. La progressione deve avvenire seguendo i movimenti delle fasce. Sarà sufficiente seguirle e in seguito dar loro una leggera sollecitazione. Le 206
tecniche di ascolto induzione possono essere insufficienti e avere bisogno dell’utilizzo di tecniche dirette. Il loro principio sarà lo stesso che per le altre fasce, ma con una maggiore prudenza. Si tratta di penetrare profondamente nell’addome e questo può essere fatto soltanto con il consenso delle fasce. Occorrerà aspettare il tempo necessario perché ci sia data la possibilità di passare e seguire sempre il movimento fasciale evitando di volerlo oltrepassare. Queste stesse tecniche consisteranno in stiramenti, pressioni, rotazioni, inibizioni; le bande fasciali sono costituite soprattutto dal mesentere, le fasce di Toldt o di Treitz o le ‘tubature’ in caso di fissazione. I punti nodulari saranno particolarmente incontrati a livello degli sfinteri: piloro, Oddie, valvola ileo-cecale. IL DIAFRAMMA Legame fasciale e fascia lui stesso, abbiamo visto tutta l’importanza di questa struttura nella fisiologia umana. Occorre dunque sorvegliare che il suo movimento sia libero da tutte le forzature. -
tecnica globale (fig. 134)
Il soggetto è in decubito supino con gli arti inferiori piegati e i piedi appoggiati sulla tavola. Il terapista si posiziona lateralmente guardando cefalicamente. Con le mani leggermente aperte prende maggior contatto possibile con le basse coste e i pollici diretti verso l’appendice xifoide. Accompagna con le mani i movimenti toracici; la tecnica consiste nel riarmonizzare un emitorace in rapporto all’altro, poi il torace nel suo insieme, in modo da avere un movimento armonioso in tutti i piani dello spazio. -
tecnica muscolare (fig. 135)
nella stessa posizione di prima si pongono le due mani sotto un emitorace con i pollici che penetrano sotto la griglia costale in contatto con l’inserzione muscolare. Si fa penetrare progressivamente i pollici il più cefalicamente possibile. Si correggono attraverso uno stiramento , presione, inibizione, tutte le fissazioni incontrate, portando i pollici in direzioni opposte, per poi passare all’emitorace controlaterale. È preferibile far seguire questa tecnica da un trattamento di riarmonizzazione globale. I pilastri del diaframma non sono acessibili direttamente, la tecnica strutturale quindi sarà la più indicata a questo livello. Occorre guardare 207
nella seconda tecnica a non scatenare dolore, perché questo sarebbe seguito immediatamente da uno spasmo riflesso e dall’espulsione delle dita. -
Lo sterno
Siamo di nuovo in una zona dove la fascia è direttamente in contatto con l’osso. Nel piano profondo si aggiunge il pericardio, e abbiamo segnalato che è una zona particolarmente sensibile allo stress e ciò implica che saranno frequentemente riscontrate distorsioni fasciali. -
L’induzione (fig. 136)
Il soggetto è in decubito supino e il terapista si pone lateralmente o dietro la testa del paziente. Si pone una mano sullo sterno cercando di prendere il più contatto possibile a mo’ di ventosa. Incontreremo a questo livello dei movimenti di torsione, inclinazione, attrazione posteriore, contrazione assiale dello sterno, o la combinazione di alcuni di questi. Il principio generale di trattamento resta lo stesso che dalle altre parti; a partire da un asse privilegiato si raiarmonizza lo sterno in tutti i suoi parametri, affinchè esso fluttui in tutta libertà. -
Tecnica diretta
Il soggetto è nella stessa posizione del precedente e si esegue una pressione scivolamento lungo lo sterno, nella sua parte mediana, lungo i suoi bordi laterali. Le bande fasciali e le zone nodulari si trovano frequentemente a questo livello, le prime si situano maggiormente nella parte centrale e le seconde lateralmente alla punta dello sterno. La tecnica è paragonabile a quella già descritta in funzione della distorsione incontrata. Sarà utile far seguire la seconda tecnica da un ascolto induzione. Spesso saremo in presenza di un dolore molto forte. Occorrerà dosare correttamente la pressione, altrimenti il paziente potrà risentire per qualche giorno un dolore persistente, tipo puntura o bruciatura. Questo può essere un male minore se cessa nel giro di qualche giorno, tuttavia se la pressione è stata troppo forte, il dolore può durare più settimane e diventare veramente fastidioso per il paziente, se non angosciante. Il lavoro sullo sterno può migliorare notevolmente le palpitazioni, le tachicardie, lo stress e le ansie.
208
E- L’ARTO SUPERIORE L’arto superiore è sempre sollecitato. Lo abbiamo posto come un caso a parte in funzione della sua morfologia, del funzionamento delle sue fasce, ma anche delle sue risposte. Tenuto conto della sua attività permanente l’arto superiore presenta meno problemi delle altre parti del corpo, eccetto che alla sua radice, che al contrario, sembra accumulare problemi. Risponde molto difficilmente alle tecniche di ascolto induzione, ma molto positivamente alle tecniche dirette. a) a livello dell’avambraccio (fig. 137) Il soggetto è in decubito supino, si fa una pressione scivolamento sulla faccia anteriore o posteriore dell’avambraccio, risalendo fino al gomito. In modo generale questo scivolamento ci riporta verso l’epitroclea o l’epicondilo, seguendo dunque due assi preferenziali, il più spesso sede di lesioni soprattutto all’esterno. Per ciò che riguarda la parte mediana la pressione dovrà essere più accentuata. In caso di forte tensione, questa sarà fermata nella parte inferiore dal quadrato dei pronatori e nella parte superiore attraverso i muscoli a direzione obliqua, prendendo l’aspetto talvolta di una pallina ipertrofica e molto dolorosa. Le bande fasciali sono meno frequentemente incontrate a questo livello. Avremo piuttosto a che fare con delle tensioni dei piani di separazione, sotto forma di una corda dritta o attorcigliata. I punti nodulari sono frequenti e scatenano un dolore molto vivo. La regione più sollecitata si situa lungo i bordi del supinatore lungo e particolarmente sul suo bordo antero- interno. Durante la progressione si metteranno in evidenza delle fibre tese nel senso longitudinale e queste dovranno essere stirate in maniera perpendicolare, invece in profondità delle zone arrotondate da trattare attraverso una levigazione rotazione e inibizione. Le tecniche a livello dell’avambraccio sono molto spesso sensibili. In certi casi necessitano anche dell’impiego di una certa forza dolorosa per essere rapidamente efficaci; occorrerà dunque avvertire il paziente e avere il suo consenso, acquisito questo i risultati possono essere più che soddisfacenti. Queste tecniche applicate a livello dell’avambraccio possono rivelarsi perticolarmente efficaci per i problemi dei crampi alle mani, dell’irrigidimento mattutino delle dita, dei dolori alla mobilizzazione, della rizoartrosi, dei problemi del canale carpico e beninteso di tutti i fenomeni di irritazioni e tendiniti a livello dell’avambraccio e soprattutto del gomito; i problemi alla spalla possono, a volte, essere alleviati attraverso un trattamento fasciale dell’avambraccio. È sufficiente seguire la catena fasciale.
209
b) a livello del gomito (fig. 138) Punto di cambio della catena fasciale antero-esterna e postero-esterna dell’avambraccio e la catena esterna del braccio, il gomito è una zona di ipersollecitazione fasciale che si traduce spesso in una
tendinite
esterna.
L’epitrocleite
è
una
eventualità più rara. Siamo spesso di fronte a delle epicondiliti che rispondono positivamente al trattamento fasciale. Il soggetto è in decubito supino. Occorrerà trattare la catena fasciale dell’avambraccio dall’avanti all’indietro. Nella maggior parte di casi questa catena è in rapporto con il bordo antero-interno del supinatore lungo. Arriveremo in seguito all’epicondilo dove incontreremo delle bande fasciali, delle zone nodulari di inserzione che possono anche calcificare. Occorre esercitare una pressione inibizione ferma sul punto trafittivo, accompagnata, se necessario, da uno stiramento delle fibre. Il successo del trattamento sembra proporzionale all’intensità della pressione. Sarà quindi molto doloroso e per questo dovrà essere breve. In generale il miglioramento funzionale è immediato. Come sempre, la difficoltà consisterà nel dosare la soglia di pressione; al di là di una certa soglia questa tecnica è inutile e talvolta può aggravare i sintomi. Infatti ciò dipende enormemente dall’origine della tendinite, alcune delle quali non tollerano una pressione dolorosa. È un interrogatorio minuzioso e l’esperienza che ci indicano con cosa abbiamo a che fare. È necessario prolungare il lavoro sul gomito attraverso un trattamento della catena esterna del braccio. Il braccio(fig 139) Nel braccio i problemi si collocano sulla catena esterna, ne abbiamo spiegato le ragioni. Il soggetto è in decubito supino, si esercita una pressione scivolamento dal gomito fino alla V deltoidea. Troveremo a questo livello delle bande fasciali longitudinali con, a volte, una zona arrotondata e infiltrata, che si trattarà attraverso una levigazione rotazione. La V deltoidea è spesso sede di una ipertrofia che verrà trattata da una pressione inibizione e stiramenti trasversali. A partire da qui il percorso proseguirà in avanti, in dietro e in mezzo al deltoide seguendo l’asse di tensione.
210
c) a livello della spalla (fig. 140) Articolazione fasciale per eccellenza, punto di convergenza di tutte le aponeurosi, le sollecitazioni a livello scapolare sono numerose e il suo trattamento resta molto delicato e richiede una investigazione molto ampia. Dal punto di vista locale il trattamento fasciale può avere una grande utilità. Il soggetto è in posizione seduta (abbiamo bisogno del peso per una maggior efficacia). Il terapista si pone dietro il paziente e si appoggia contro il suo dorso. Si esegue una pressione scivolamento lungo il piano di divisione del deltoide in direzione della V deltoidea. Incontreremo spesso delle bande fasciali profonde che tratteremo attraverso pressione inibizione e stiramento trasversale. Tratteremo in seguito la regione della scapola seguendo le modalità annunciate in precedenza. È utile andare a verificare il punto di inizio superiore della catena brachiale interna introducendo il pollice nel cavo ascellare. La catena fasciale dell’arto superiore non dovrà essere trascurata, ma in qusto caso è necessario mettere il paziente in decubito supino. Il trattamento delle fasce della spalla è, come tutti gli altri, doloroso ma se c’è una zona in cui bisogna saper dosare il dolore è proprio questa. Una pressione troppo forte si traforma velocemente in una ipereazione con aggravamento dei sintomi. La doccia bicipitale richiede tutta la nostra attenzione; sede di irritazione molto dolorosa non tollera una pressione troppo accentuata. F- IL COLLO a) Il cingolo scapolare (fig. 141) Il soggetto è in decubito supino e il terapista è dietro la testa del paziente. Pone i suoi pollici davanti al bordo anteriore del trapezio in direzione della prima costa, vicino all’asse vertebrale. Gli indici posano sulle fasce sottoclavicolari e sono paralleli alla clavicola. Il palmo delle mani è appoggiato sulla parte esterna delle clavicole e dei monconi di spalla. Le ultime tre dita si posano: il medio sul pettorale, l’anulare e il mignolo sulla spalla e sul deltoide. Si esercita una leggera pressione con i pollici (spesso un lato è più resistente e si presenta come una palla arrotondata difficilmente deprimibile). Con i pollici si fa un ascolto induzione seguendo i movimenti del tessuto. In un secondo tempo si potrà accentuare la pressione con una leggera rotazione e 211
stiramento nella direzione adeguata. Progressivamente la palla si scioglie sotto il pollice e la sensazione dolorosa alla pressione sparisce. In maniera concomitante le dita controllano la tensione a livello delle spalle; se questa è troppo forte le dita realizzeranno un ascolto induzione per normalizzarla. Questa tecnica non necesita alcuna pressione forte e deve essere indolore. Il rilasciamento deve avvenire in 2 o 3 minuti al massimo. Siamo davanti talvolta a un’importante tensione della spalla che inibisce il nostro trattamento. In questo caso occorre fare una tecnica diretta a grande braccio di leva: con una mano posta sotto l’occipite si sostiene la testa del soggetto appoggiandola inoltre contro il nostro addome; l’altra mano è posta sul moncone della spalla. Si esercita una pressione con la mano scapolare nello stesso tempo si fa una inclinazione rotazione opposta della colonna cervicale. L’efficacia di questa tecnica tiene conto del riaggiustamento permanente dell’inclinazione laterale con la flesso-estensione e un certo grado di rotazione. Questa tecnica è anzi un trattamento globale delle fasce laterali del collo. In seguito si torna alla tecnica precedente. b)
Le cartilagini Il soggetto è in decubito supino, il terapista si pone dietro la testa del paziente, nel nostro esempio a destra. Questa tecnica richiede una certa successione, andando dal generale allo specifico (fig. 142). Si pone la mano sinistra sulla fronte del paziente; le dita della mano destra sul bordo sinistro del tratto del collo. Si esegue una rotazione sinistra della testa e nello stesso tempo una trazione perpendicolare destra. Si accentua leggermente la trazione con la mano destra, solitamente fino alla tensione massimale. In seguito si esegue una rotazione destra della testa e con il pollice destro si spingono le cartilagini verso la sinistra. In un secondo tempo si tratterà l’osso ioide avendo come principio il fatto di esercitare uno stiramento dolce e progresivo in direzione opposta al punto frenatore (fig. 143). La terza tappa consisterà nel prendere l’ioide tra pollice e indice della mano sinistra e le cartilagini tra pollice e indice della mano 212
destra. Si introduce una traslazione inversa delle due cartilagini; ciò metterà in tensione la restrizione (fig. 144). Si procederà alla quarta tappa allo stesso modo fra tiroide e cricoide. Questa tecnica può diventare velocemnete molto dolorosa e in certe persone angosciante, occorrerà dunque che essa sia molto progressiva. Se ben condotta questa tecnica può rivelarsi molto efficace per le angine, i mal di gola le irritazioni e le modificazioni della voce e la raucedine. Vorremmo dare due esempi per mostrare la sua efficacia. Il primo si riferisce a un paziente che in seguito a un falso movimento si trovava in situazione di cantare stonato. Un trattamento delle cartilagini ha immediatamente restaurato la normalità. Il seondo caso riguarda una cantante lirica che in presenza di tensioni a livello del collo non poteva più cantare. Anche in questo caso un semplice trattamento delle cartilagini ha restituito l’ordine. Abbiamo incontrato questo caso numerose volte. c) I legamenti cervico-pleurali (fig. 145) Il paziente è in decubito supino e il terapista si pone dietro a lui. Prende l’occipite nella sua mano appoggiando la testa contro il suo addome. Il pollice dell’altra mano prende contatto con il legamento in questione. Si esegue una latero-flessione omolaterale e nello stesso tempo il pollice segue il rilasciamento del legamento ed esercita su di lui una leggerissima pressione. Si riagguìiusta in seguito la posizione in funzione della latero-flessione rotazione flessione estensione, il pollice mantiene la tensione del legamento. Si attende il rilasciamento progressivo riaggiustando sempre la posizione. In un’ultima fase si può mantenere il legamento e portare la colonna cervicale in latero-flessione opposta. Questa tecnica richiede molta più prudenza tenuto conto delle struttura che costeggiano la cupola pleurica. Non è raro constatare in seguito a una cattiva esecuzione, un rossore eccessivo del viso del paziente, sensazione di vertigini e un leggero malessere.
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G- IL CRANIO Il cuoio capelluto (fig 146 e 146 bis) Il soggetto è in decubito supino e il terapista è alla testa del paziente. A livello delle suture incontriamo delle zone di depressione e delle zone circolari. Con i polpastralli delle dita facciamo una pressione scivolamento convergente verso il centro della lesione. Per le zone circolari, si porta in seguito verso il centro e si esercita una leggera pressione e mobilizzare la fascia in tutti i sensi sul periostio. Le zone circolari si incontrano spesso in seguito a degli urti e possono essere all’origine di catene lesionali discendenti. Le zone di depressione si incontrano più frequentemente in caso di affaticamento, stress, mal di testa e strapazzi. a) La giunzione occipito-cervicale (fig 147) Ultima zona di adattamento-compensazione, è sede di tensioni permanenti ed è raro che presenti una libertà totale di movimenti. Il soggetto è in decubito supino e il terapista si pone dietro il paziente, ponendo le dita delle due mani al di sotto dell’occipite nella zona tessutale. Si mette una leggera pressione delle dita e si segue il rilasciamento del tessuto. Si potranno spostare le due mani in senso opposto per introdurre uno stiramento laterale e infine, oltre alla pressione, piegare le dita per eseguire uno stiramento longitudinale localizzato. Si porranno in seguito i polpastrelli sulla linea curva occipitale. Il peso della testa è sufficiente per la pressione; attendiamo il rilasciamento dei tessuti. Se sotto le dita appare una banda o un punto nodulare lo tratteremo specificatamente. Il nervo di Arnold passa a questo livello in un canale osteofibroso e non è raro che vi sia compresso.
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b) Lavoro globale delle fasce superiori (fig 148) Il soggetto è in decubito supino e il terapista, posto dietro di lui, prende l’occipite del paziente nelle sue mani a V aperta, con i pollici in direzioni delle temporo-mandibolari. Si esegue una leggera trazione e nello stesso tempo si riaggiusta la flessione dell’occipite sull’atlante. A partire da qua si possono controllare tutte le fasce posteriori e laterali. In funzione delle tensioni si riaggiusterà tutto il segmento superiore attraverso dei micromovimenti di flessione, estensione, lateroflessione e rotazione, e in seguito si attende il rilasciamento progressivo dei tessuti. È evidente che se esite una forte perturbazione a distanza occorrerà andare lì per regolarla; più il trattamento è preciso e specifico, più è efficace. Questa tecnica è molto utile quando la tensione è globale o per affinare la correzione dopo un trattamento specifico. Con una certa abitudine si può discendere molto in basso per completare un trattamento, ma è illusorio voler trattare tutto attraverso la leva superiore. H- L’ASSE DUROMADRICO VERTEBRALE (FIG. 149) La distinzione fra questa tecnica e la precedente è molto sottile. Il soggetto è in decubito supino e il terapista, alla testa del paziente, posiziona le sue mani nel prolungamento l’una dell’altra lungo la linea curva occipitale. Si riaggiusta in seguito la flessione estensione occipito-atlante per essere bene nell’asse duro-madrico.
Si
introduce
una
minima
trazione
più
intenzionale che reale e si discende progressivamente lungo la colonna. Quando appare un punto di fissazione ci si arresta su questo punto e si aggiusta eventualmente la lateroflessione rotazione; si attende il rilasciamento accentuando leggermente la tensione poi rilasciandola per riprenderla in seguito fino a che non si sente una certa libertà.-è tutto così evidente che, nelle fissazioni importanti, occorrerà dapprima passare attraverso una tecnica strutturale e non sperare in un rilasciamento che rischierebbe di farsi attendere troppo a lungo. Al contrario nelle tensioni minori o per completare un trattamento strutturale questa tecnica risulta efficace e perfettamente adatta.
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LAVORO FASCIALE GLOBALE Abbiamo descritto nell’insieme delle tecniche
segmentali
ma
il
lavoro
fasciale può avvenire anche in modo globale sia procedendo mano a mano sia tutto insieme su una lunga distanza, seguendo le possibilità del terapista (fig. 150). Per esempio a livello dell’arto inferiore il soggetto è in decubito supino. Il terapista pone una mano sulla faccia dorsale del piede e l’altra a metà tibia; tra le due mani si stabilisce un movimento di ascolto induzione, che armonizza l’arto inferiore in tutti i piani dello spazio. Si procederà via via fino alla radice dell’arto; poi una mano a livello del piede e l’altra alla radice dell’arto, si riarmonizzerà l’arto inferiore nel suo insieme. Avremmo potuto iniziare tutto insieme da quest’ultima tappa. A partire dalla radice dell’arto si può risalire via via fino al livello del cranio, per controllare finalmente, con una grande esperienza, le disfunzioni fasciali che partono dall’inizio delle fasce: il cranio. Ancora una volta questo riguarda le tensioni globali senza fissazione specifica. Bisogna riconoscere che voler controlare tutto a partire da un solo punto è molto difficile e che può essere più semplice andare dove ci chiama la tensione. I- RIEQUILIBRIO ANTERO-POSTERIORE (FIG. 151) Consiste nel rimettere in fase i movimenti fasciali della parte posteriore del corpo con quelli della parte anteriore. Il soggetto è in decubito supino e il terapista, alla testa del soggetto, prende l’occipite nella sua mano sinistra a culla. La mano destra si pone sullo sterno. Si induce una leggera
trazione
della
mano
sinistra per controllare le fasce posteriori; la mano destra controla le fasce anteriori e percorre l’asse centrale del torace fino alla regione epigastrica. Tramite acolto induzione si armonizzano i movimenti percepiti dalle due mani fino a una libertà totale; le due mani devono essere in perfetta sincronia. J- LO STRESS 216
Numerose persone sono in uno stato di stress permanente e questo imprime sulle loro fasce perturbando la motilità e creando delle tensioni, un po’ come se ci infiliamo una tuta troppo stretta; questo modifica il loro umore. Non esiste una ricetta per questa situazione, il trattamento è diverso per ciascun individuo. Tuttavia in un certo modo possiamo aiutare favorevolmente alcune persone soprattutto se questo trattamento interviene rapidamente. Il soggetto è in decubito supino e il terapista si pone lateralmente a lui. Pone una mano a piatto sulla regione epigastrica. Spesso si sente sotto le nostre mani una zona tesa, dura come se tutto facesse blocco e con dei battiti aortici nettamente esagerati. Progressivamente i tessuti si mettono in movimento e si rilassano. Occorre essere del tutto passivi e non forzare la barriera di resistenza. L’ideale sarebbe che la mano potesse affondare liberamente in un addome del tutto elastico. Non ci scordiamo che abbiamo sotto le nostre mani il plesso solare e in caso di disfunzione può perturbare tutta la fisiologia della sfera sottomesocolica. In seguito trattare il diaframma e poi si passa allo sterno. Non ci scordiamo che a questo livello abbiamo in proiezione il plesso cardio-polmonare, con tutte le conseguenze della sua disfunzione. In seguito si passa al cranio del paziente. Si fa poi un riequilibrio antero-posteriore e si finisce attraverso un lavoro globale delle fasce. Questo trattamento non è esclusivo, può essere soggetto a numerose variazioni, in funzione del soggetto trattato; ha il merito tuttavia di portare un certo benessere che avviene in modo durevole se il trattamento interviene rapidamente. K- LE CICATRICI E LE ADERENZE È sempre più raro incontrare una persona senza cicatrici e quando queste sono perturbanti devono essere sistematicamente trattate perché costituiscono la lesione primaria. Si tratta la cicatrice in superficie a livello del tessuto cicatriziale attraverso degli stiramenti longitudinali e trasversali. Si passa poia la lavoro in profondità, perché è a questo livello che si hanno psesso perturbazioni. Una volta trovato l’asse di fissazione preferenziale si stira progressivamente in senso inverso alla restrizione. Si ritorna al punto di partenza per reintrodurre uno stiramento rispettando le possibilità dei tessuti e includendo progressivamente gli altri assi. Se necessario si fissa con l’altra mano la porzione di fascia opposta. Si termina tramite un ascolto induzione che deve mettere in evidenza una migliore motilità dei tessuti sottogiacenti. Ripetiamo che non si tratta di soppprimere le aderenze perché solo un bisturi potrà farlo ma queste a forza di irritazioni perdono tutta l’elasticità e finiscono per inibire l’organo vicino e per fissarlo. Si tratta di ritrovare semplicemente una certa possibilità di elasticità come è nel potere di tutti i tessuti; dopo il trattamento sulla cicatrice un organo potrà ritrovare una funzione normale. Citiamo semplicemente due esempi su tanti. È frequente incontrare una stitichezza destra in seguito a una cicatrice da appendicectomia e a volte un semplice lavoro su questa ristabilisce un transito normale. Il secondo esempio riguarda un paziente che in seguito ad episiotomia presenta una dispareunia 217
superficiale che impedisce tutto il rapporto. Un solo trattamento del tessuto cicatriziale è sufficiente affinchè tutto ritorni nella normalità. Potremmo moltiplicare gli esempi sebbene non tutte le cicatrici reagiscano al nostro trattamento; ma proponiamo una soluzione diversa pensando che sarebbe dannoso privarne il paziente. Cronologia del trattamento Vorremmo ripetere prima di tutto che il trattamento deve essere inizialmente locale. È più elegante, soddisfacente, efficace, andere all’origine del problema per apportarne una correzione, solo in seguito potremmo cercare una correzione globale a distanza su una catena lesionale indotta dalla fissazione d’origine. Possiamo allora riequilibrare tutto il corpo attorno ad una fissazione puntuale che ha generato un percorso lesionale più o meno esteso. La riequilibro di alcune fasce non necessita di un trattamento diretto. L’ascolto sarà immediatamente seguito da una induzione e riverificato da un ascolto. Se dobbiamo applicare un trattamento diretto cominciamo da un ascolto induzione , questo ci permette di prendere contatto con i tessuti del soggetto e di stabilire un dialogo con questi; inoltre ci permette di abbassare leggermente la soglia di irritazione. In un secondo tempo si passa ad un trattamento diretto. In un terzo tempo si torna ad un ascolto induzione seguito da un ascolto. È importante ritestare tutti i nostri parametri alla fine del trattamento: dolore, mobilità funzionale; non ci dimentichiamo che è questo che rassicura il soggetto sul buon fondamento della nostra azione. Indicazioni e controindicazioni Tenuto conto della non aggressività delle tecniche fasciali e delle modifiche che possono generare a livello dei tessuti, tanto sul sistema di difesa quanto sul loro metabolismo, le indicazione delle tecniche tissutali sembrano praticamente illimitate. Sembra logico pensare che un lavoro di ascolto induzione possa essere applicato a tutti i casi. Le controindicazioni sono più relative che formali. Consigliamo di adottare grande prudenza in caso di infezioni. È sconsigliato inoltre applicare delle tecniche dirette su dei tessuti iperalgici o in corso di infiammazione acuta. Tutte le tensioni o le masse non identificate formalmente come uno stato di tensione del tessuto non dovrà in alcun modo essere la sede di tecniche dirette. In modo generale una prima controindicazione consiste nel non prendere in carico un paziente di cui non abbiamo compreso nè la storia né il problema; indirizzarlo ad una persona più competente è la parte più elementare di prudenza e saggezza. Anche se il trattamento attraverso le fasce può applicarsi praticamente a tutti i casi, non costituisce la panacea, soprattutto se sarà adottato dopo molto tempo. Occupa un grande posto nell’arte di curare, ma occorre che abbia il suo giusto posto.
INDICE 218
1. EMBRIOLOGIA pg 2 Formazione del disco embrionario didermico pg 2 Formazione del disco embrionario tridermico pg 4 Differenziazione dei foglietti e determinazione dell’embrione pg 5 Deriva del mesoblasta Deriva dell’ectoblasta Deriva dell’endoblasta Meccanismo di sviluppo embrionario pg 12 Fenomeni isto e biochimici Fenomeni biocinetici e biodinamici 2. ANATOMIA DELLE FASCE pg 17 Fascia superficialis pg 17 Aponeurosi esterne pg 17 Aponeurosi epicranica Aponeurosi della faccia Aponeurosi cervicale superficiale Aponeurosi del tronco o Aponeurosi posteriore o Aponeurosi anteriore o Fascia iliaca Aponeurosi dell’arto superiore pag 26 o Aponeurosi della spalla o Aponeurosi brachiale o Aponeurosi antibrachiale o Aponeurosi della mano Aponeurosi interne o Aponeurosi cervicale media pag 43 o Aponeurosi cervicale profonda pag 44 o Fascia endotoracica pag47 o Fascia trasversale pag 48 Aponeurosi del perineo e del piccolo bacino o Aponeurosi perineale superficiale pag 50 o Aponeurosi perineale media pag 51 o Aponeurosi perineale profonda pag 52 o Aponeurosi annesse al perineo Asse aponeurotico centrale pg 59 o Aponeurosi interpterigoidea o Aponeurosi pterigotemporomascellare o Aponeurosi palatina o Aponeurosi faringea e perifaringea Pericardio pag 61 219
Il diaframma pag 65 Le aponeurosi che tappezzano la faccia interna della cavità toraco-addominale o Le pleure pag 66 o Il peritoneo e la cavità peritoneale 69 Le aponeurosi contenute all’interno di un condotto osseo o le meningi pg 79 o La dura madre pag 79 o La pia madre pag 85 o L’aracnoide pag 86 3. ANATOMIA MICROSCOPICA ED ISTOLOGICA pag 89 Anatomia microscopica dei tessuti connettivi di sostegno Tessuto connettivo pag 89 Tessuto cartilagineo pag 90 Tessuto osseo pag 91 Tessuto muscolare pag 94 Tessuto nervoso pag 95 Tessuto epiteliale e di rivestimento pag 97 La pelle pag 98 Istologia del tessuto connettivo pag 100 formazione del tessuto connettivo e suoi composti cellule del tessuto connettivo diversi tipi di tessuti connettivi 4. PATOLOGIA DELLE FASCE pag 107 Le collagenosi pag 107 Altri danni alle fasce pag 108 o Cicatrici o Aderenze e fissazioni o Tessuto connettivo, punto di partenza delle malattie 5. RUOLO DELLE FASCE pag112 Sostegno pag 113 Supporto pag 114 Protezione pag 114 Ammortizzazione pag 115 Emodinamico pag 117 Difesa pag 118 Comunicazione di scambi pag 120 Biochimico pag 122 6. MECCANICA DELLE FASCE pag 123 Meccanica locale pag 123 o Sospensione e protezione 220
o Contenimento e separazione pag 126 o Assorbimento degli urti o Ammortizzazione delle pressioni Meccanica generale pag 136 o Conduzione della sensibilità pag 136 o Particolarità morfologiche pag 139 o Mantenimento della postura pag 141 o Catene fasciali pag 142 o Le catene lesionali pag 153 7. TEST DELLE FASCE Scopi dei test pag 156 Modalità dei test pag 156 Test di ascolto pag 159 Test palpatorio e di mobilità pag 172 Cronologia dei test pg 186 8. TRATTAMENTI DELLE FASCE pag 187 Scopi del trattamento pag 187 Modalità e principi pag 189 Induzione pag 190 Trattamento diretto pag 191 Tecniche specifiche Pompage pag 193 Stiramento pag 194 Scivolamento pag 195 Strutturale pag 196 Distretti di applicazione: Arto inferiore pag 197 Bacino pag 200 Regione dorsale pag 202 Regione ventrale pag 204 Diaframma pag 205 Arto superiore pag 207 Collo pag 209 Cranio pag 212 Asse duro-madrico pag 213 Lavoro fasciale globale pag 214 Riequilibrio antero-posteriore pag 214 Stress pag 215 Cicatrici e aderenze pag 215 Cronologia del trattamento pag 216 221
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