230436302-Giuseppe-Bezza-L-Astrologia-Storia-e-Metodi.pdf

October 3, 2017 | Author: Tania Frison | Category: Ptolemy, Magic (Paranormal), Zodiac, Plato, Gnosticism
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Biblioteca del « Calendario » 30

Biblioteca del « Calendario » 1 - Carlo Smuraglia 2 - Gian Carlo Vicinelli 3 - Idomeneo Barbadoro 4 - Idomeneo Barbadoro 5 - Marco Vigni 6 - Iginio Di Martino 7 - Pavel Puckov 8 - Antonio Rubbi 9 - Tito Saffioti

Enciclopedia dei diritti dei lavoratori Enciclopedia dei diritti previdenziali Il libro dell'agricoltura Enciclopedia del sindacato Il libro del mare Enciclopedia della gestione della scuola Le religioni nel mondo d'oggi I partiti comunisti dell'Europa occidentale Enciclopedia della canzone popolare e della nuova canzone politica 10-11. Alba Rossi Dell'Acqua Enciclopedia della matematica 12 - Enzo Funari La psicologia. Scuole e indirizzi 13 - Fulvio Papi Enciclopedia della filosofia contemporanea 14 - Ettore Tibaldi Enciclopedia della vita sessuale 15 - Camillo Brezzi I partiti democratici cristiani d'Europa 16 - Alceo Rìosa, I partiti socialisti d'Europa 17-18. Alba Rossi, Piera Sasso, Antonio Damico Enciclopedia della fisica 19 - Giancarlo Lannutti Enciclopedia del Medio Oriente 20 - Guido Fiorentino, Enciclopedia dell'informatica 21-22. Anna Bartolini Gli alimenti tra salute e portafoglio 23 - Sergio Zangirolami Enciclopedia dell'economia politica 24 - Accademia cinese di medicina tradizionale L'agopuntura 25 - Ugo Leone Enciclopedia dell'ambiente umano 26 - Arrigo Boldrini Enciclopedia della Resistenza 27 - Giorgio Straniero Enciclopedia storica della pedagogia 28 - Giorgio Bini Enciclopedia dell'educazione familiare 29 - S. Fedele G. Restifo Il fascismo. Politica e vita sociale 30 - Giuseppe Bezza L'astrologia. Storia e metodi Di prossima pubblicazione: Marinò Livolsi

La sociologia. Problemi e metodi

Giuseppe Bezza

L'astrologia storia e metodi

Teti editore

Copertina di Max Huber

Biblioteca del Calendario. Periodico mensile registrato al n. 329 del Tribunale di Milano in data 27-9-1976. Direttore responsabile Nicola Teti - N. 30 - Novembre 1980. © Copyright 1980 Nicola Teti & C. Editore s.r.l. Milano

A mio figlio Elia « Il paese è quieto, le porte delle case sono sprangate, i portoni [della città] sono chiusi. Le sbarre sono abbassate, [la terra] non emette un suono solo le porte dell'ampio cielo sono aperte e i grandi dei della notte, come sentinelle, sono presenti. Venite, o grandi stelle, dei della notte »

(Dalla Biblioteca di Assurbanipal, a Ninive, tavoletta K 3507 del British Museum

(Pagina lasciata intenzionalmente vuota per ragioni di numerazione)

Introduzione

Nella storia dell'astrologia in generale e in particolare di quella genetliaca che si interessa dei destini individuali esistono da sempre due livelli: l'uno intende spiegare la costituzione globale dell'uomo, la sua complessione fisica e psichica e mostrarlo quindi nella sua particolare e individuale natura; l'altro pretende, di questo medesimo uomo, svelare anzitempo lo svolgersi della vita, enumerare le gioie, le disgrazie e gli accidenti e indicare infine il momento della morte. Questi due livelli sono come quei due uomini che, dice Savinio 1, «convivevano in Nostradamo: il diurno e il notturno. Sul notturno pesavano gravi sospetti di stregoneria e di commercio con gli spiriti; il diurno era uno specchiato cittadino...». Se facciamo corrispondere questi due livelli l'uno al mondo fisico e terreno, l'altro al mondo celeste, possiamo porre la nascita dell'astrologia all'interno di una loro concezione unitaria fondata sulla simpatia, la somiglianza e la parentela tra il cosmo e il nostro mondo sublunare. Intorno al primo secolo della nostra era un certo Arpocrate racconta 2 di uno studente in medicina che scoprì in una biblioteca di Alessandria uno scritto non pervenutoci di Nechepso che indicava una serie di cure da attuarsi mediante le piante e le pietre. Egli provò a mettere in pratica alcune di queste ricette, ma non ebbe che risultati negativi. Si recò allora disperato a Diospolis e lì Asclepio gli disse che tramite la lettura del libro, di Nechepso egli aveva conosciuto le simpatie delle piante, il che è misera cosa se si ignorano i luoghi e i tempi in cui occorre coglierle, poiché le loro proprietà variano a seconda degli effluvi dell'astro che ne ha favorito la crescita. La nascita della moderna scienza sperimentale separerà questi due livelli, ma fino al XVII secolo essi non erano disgiunti. La prima accademia europea a carattere scientifico fu quella fondata in Napoli nel 1603 da Giovambattista Della Porta, che non separava il pensiero razionale dal pensiero magico, ma affermava che la ratio deve essere accompagnata dall'illuminazione. Ancora alla fine del Seicento Johann Baptiste van Helmont poteva spiegare il magnetismo all'interno della concezione dell'uomo come microcosmo. Fino ad allora, il pensiero che l'uomo fosse la copia perfetta del mondo celeste, e quindi l'alleato del cielo, poneva l'astrologia in un posto di primo piano. Lo stesso Keplero, per il quale non sussisteva il dilemma se essere favorevole o contrario all'astrologia, concepiva la geometria come una scienza divina, come la ricerca suprema

8 L'astrologia. Storia e metodi del tempo e dello spazio e dell'ordine del tempo e della forma dello spazio. Egli anzi rimproverava a Tolomeo di non aver sufficientemente meditato sul modello divino del mondo, che è un modello geometrico; non nega all'anno tropico di essere il modello dello zodiaco, ma ciò gli appare insufficiente e preferisce supporre lo zodiaco come retto da rapporti geometrici spaziali e temporali. Ciò non gli impediva di considerare la comparsa delle comete in rapporto alle nascite di uomini famosi e illustri come Mitridate, Alessandro Magno, Maometto. Mai come nel XVI secolo l'osservazione delle comete fu tanto intensa; ne furono contate sette nel Quattrocento e quindici addirittura nel Cinquecento. Si calcolavano a ritroso le effemeridi delle comete passate, di quelle delle quali si aveva notizia dagli autori classici e che erano state cause o testimoni di avvenimenti straordinari. Seneca 3 esprimeva l'opinione che la scienza, un giorno, scoprirà che anche le comete s'inseriscono nel meccanismo perfetto dell'universo; per intanto, non mancava chi le considerava come manifestazioni di pianeti invisibili all'occhio nudo. A partire dall'età ellenistica l'interpretazione dei fenomeni celesti è una scienza razionale, i suoi cultori sono chiamati mathematici, laddove la mathesis è la scienza per eccellenza. Nel II secolo dell'era volgare l'egiziano Claudio Tolomeo ne fa oggetto di un'organica e ampia trattazione fondata sulle più recenti interpretazioni fisiche della natura. Dopo di lui la razionalità del discorso astrologico non verrà mai posta in discussione e l'astrologia non appare, allora, «minimamente diversa, in linea di principio, da una qualsiasi teoria meccanicistica moderna. Essa si contrappone nettamente all'idea di un dominio arbitrario degli dei».4 Con la creazione delle prime università italiane nel Trecento l'astrologia entra nelle accademie; essa spiega la medicina, la fisica, la storia, aiuta la retorica, è amica della filosofia, non vi è scienza che essa non compenetri. I suoi critici più severi, come Nicolas Oresme, non si scagliavano sui suoi presupposti, ma sulle sue applicazioni «genetliache», deprecandone il livello in cui scadeva a scienza del popolo, retta su se stessa e su mere corrispondenze analogiche. E mentre Oresme rimproverava al re Carlo V di perdersi dietro pratiche astrologiche, dimenticando le questioni di stato, d'altro canto affermava che «il vantaggio principale sta nell'applicare questa speculazione al giudizio degli avvenimenti futuri [...] alla natura dei tempi e alle loro successioni, come

pure alle alterazioni nei corpi umani». 5 Un secolo prima Alfonso X di Spagna, il re saggio, l'Astronomo, dedicava il suo tempo a compilare meticolosi lapidari magici, dove ognuno dei 360 gradi dello zodiaco era messo in relazione alla virtù particolare di una pietra. E' Alfonso a divulgare in Europa

Introduzione

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uno dei testi più nitidi sulla magia naturale e l'astrologia, conosciuto sotto il nome di Picatrix e che Prosper Marchand, nel suo Dictionnaire historique della seconda metà del Settecento, definirà «una raccolta di superstizioni ridicole e criminali». Frutto dell'astrologia medievale araba, il testo del Picatrix ribadisce, nel mondo occidentale, i nessi profondi tra religione e astrologia. Il suo discorso sul pianeta dominante riporta al demone di Plotino e di Socrate, all'intelligenza agente di Avicenna. Ogni individuo ha un intelletto agente. Per Picatrix l'uomo riceve questo suo particolare intelletto nascendo; esso gli viene direttamente dalla costituzione temporanea dello spazio celeste e, quindi, dal suo tema di genitura: lì, il pianeta dominante è il suo re celeste al quale egli si conforma, chiede istruzioni e coraggio e invoca che la potenza del suo spirito si trasmetta nel proprio, sorta di anima celeste individuale, e pertanto non consustanziale all'uomo, le cui origini persiane sono rintracciabili nella religione di Zoroastro. Ogni religione è ricchissima di immagini astrali. Teofilo d'Antiochia esprime il pensiero generale di tutta la cristianità tardo-romana quando dice che «il Sole è l'immagine di Dio, la Luna è l'immagine dell'uomo». È noto come nel cristianesimo dei primi secoli il Cristo simboleggi il Sole e la chiosa terrestre la Luna, che è la sua immagine. Vi sono negli scritti di Origene, di s. Ambrogio e di s. Agostino passi veramente illuminanti. Per la celebrazione della Pasqua cristiana fu scelto il plenilunio, poiché niente di meglio della Luna piena poteva simboleggiare lo splendore di una chiesa che rinasce dopo la passione del Cristo. Così, nella prima religiosità cristiana, le varie fasi della Luna sono le pulsazioni del cuore della chiesa terrestre. Tutto l'enorme sviluppo dell'angelologia nei primi secoli dell'era cristiana tradisce un fermento astrale, e bisognerà attendere fino al concilio di Roma del 745 perché papa Zaccaria dichiari che la chiesa riconosce solo tre angeli: Michael, Raphael, Gabriel; ovvero il Sole, la Luna e Mercurio che ormai non sono più che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Gli altri non sono angeli, ma demoni; il dualismo manicheo viene così riproposto, ma per essere perseguito con le armi del potere. Muoiono così i sette arcangeli cristiani che corrispondevano ai sette pianeti e che erano ancora, per i padri della chiesa, la corte del re dei cieli. Più precisamente, essi rappresentavano il lato diurno e benefico delle sette potenze astrali, mentre il lato notturno e malefico era impersonato dai demoni. Lo vediamo nel pensiero gnostico, dove Ialdabaoth, «il primo arconte dell'oscurità» come lo definisce l'Apocrifo di Giovanni, e che impersonifica il pianeta Saturno, crea una corte planetaria interamente notturna, a fianco di un settenario angelico che si schiera nella luce del Sole.

10 L'astrologia. Storia e metodi Valentino, che fra gli gnostici svolse un'opera di sintesi, definisce in chiara chiave astrologica l'azione sul destino di questi demoni e arcangeli; «Il destino è il concorso di un gran numero di virtù contrarie. Sono, queste, potenze invisibili ed oscure cui è stata confidata la cura di dirigere il corso degli astri tramite i quali comandano e presiedono ad ogni evento. E poiché ognuna di esse è coinvolta nel generale movimento del mondo, esse dominano su tutto ciò che è stato compiuto nella medesima sfera di movimento».6 Ma gli gnostici non facevano che rielaborare credenze religiose più antiche. La divisione delle potenze celesti in angeli e demoni rispecchia la divisione zoroastriana degli amesaspenta tra quelli creati dal signore della luce Ormuzd e quelli creati dal notturno Ahriman. Essi sono gli intermediari tra il mondo celeste e quello terrestre, tramite essi Ormuzd determina il destino di ogni uomo. Come non riconoscere in Vohumano, «il pensiero buono» o «il buono spirito» che Plutarco chiamerà «il dio della benevolenza»7, la natura astrologica del pianeta Giove? La vera religione è posta sotto il suo patrocinio ed egli, unanimemente considerato dagli astrologi come il regolatore dell'equilibrio organico, è la forza che fa funzionare la creazione di Ormuzd. Ormuzd, o Ahura Mazda, è l'essere supremo nella religione zoroastriana. Erodoto lo traduce con Zeus e con ciò intende la volta celeste. Per la chiesa manichea è Zarvan, che nella lingua dell'Aveste significa tempo ed è quindi la divinità del tempo, non creata e autosussistente. Il tempo è, nell'Avesta persiano, ciò che non ha rivoluzione. «Spesso viene tradotto altrimenti, ci viene fatto apparire inevitabile, quando in realtà è da intendere come colui che, a differenza dei. corpi celesti, non ha una rivoluzione da compiere».8 Ma il tempo non è ovunque astratto e impersonale. All'inizio di ogni anno i romani rivolgevano preghiere ad Anna Perenna e Plinio afferma che è attraverso l'espressione dell'eternità, del tempo e dell'anno che si mostra Dio.9 Le manifestazioni del Sole nei dodici segni dello zodiaco durante il ciclo dell'anno rappresentano in ogni religione le espressioni della vita divina. Nell'Oriente islamico i Fratelli della purezza chiamavano lo zodiaco «l'anno filosofico» o religioso che eternamente si rinnovava a ogni equinozio. Quando il Sole tocca il primo minuto del segno dell'Ariete «ritorna, per così dire, un certo destino, come se il mondo rinascesse» dice il Ficino nel De vita. La vita di Mosè ricalca i dodici segni zodiacali, gli eroi solari sono legati al ciclo annuale dello zodiaco, come lo dimostrano le dodici fatiche di Eracle. Il Cristo stesso, così spesso identificato con il Sole, risorgeva il diciassettesimo giorno del mese di Nisan, che corrispondeva all'equinozio di primavera, al segno di rinascita dell'Ariete. Il calendario dell'anno filosofico dei Fratelli della purezza era scandito dagli equinozi

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e dai solstizi: la festa equinoziale della primavera rompeva il digiuno del ramadan e segnava la rinascita del mondo. «È il giorno cui corrisponde l'ingresso del Sole nel segno dell'Ariete, quando giunge la primavera, i germogli, la dolcezza di vivere, quando scende ed abita sulla terra la misericordia celeste dell'Epifania, quando il sapere esoterico può essere divulgato. È per noi un giorno d'allegria, come per i nostri fratelli. Il secondo giorno [...] è il giorno dell'ingresso del Sole nel segno del Cancro, al limite massimo della lunghezza dei giorni e della brevità delle notti, poiché in questo giorno è cessato ed è stato consumato il potere degli oppressori; è un giorno di gioia, di allegria e di buoni messaggi. Il terzo giorno [...] è il giorno dell'ingresso del Sole nel segno della Bilancia; di nuovo vi è uguaglianza fra i giorni e le notti, è l'entrata nell'autunno, ossia la resistenza dell'errore contro la verità, allorché le cose cominciano a rovesciare il loro ordine». Un quarto giorno, infine, è il giorno delia tristezza e della desolazione. È il giorno del ritorno alla nostra Caverna, alla Caverna della disciplina dell'arcano e dell'occultazione, ad uno stato di cose conforme a quello che descriveva l'istauratore della legge dichiarando: «l'Islam ha iniziato espatriato e ritornerà espatriato, felici coloro che espatriano». È il segno del Capricorno, tempo dell'inverno, «che i saggi teosofi passano nella loro caverna, osservando il digiuno rigoroso».10 In queste pagine è stato abbozzato lo sviluppo storico dell'astrologia nell'Occidente. Non mancano tuttavia inevitabili riferimenti a tradizioni mesopotamiche e orientali. Con l'offuscarsi e lo spegnersi del pensiero gnostico in Occidente l'interpretazione degli astri divenne sempre più un fatto raro e singolare, fin quando il suo rifiorire nell'Oriente islamico non la riportò in Europa e «già nel primo terzo del XII secolo incontriamo gli attacchi occidentali contro l'astrologia, che ci fanno supporre la sua crescente importanza».11 La tradizione astrologica del Rinascimento sarebbe stata forse poca cosa senza il crescere e il formarsi di un'astrologia araba che superava nella tecnica astronomica la scienza greca e che forniva gli astrologi di un sostegno logico e filosofico. Di quale fondamento teorico la filosofia islamica dotasse l'astrologia, il De radiis di al-Kindi ne è un chiaro esempio; in particolare il quarto capitolo, De possibili, dove il filosofo di Basra discute la nozione di contingenza e di causalità. Non si tratta del determinismo psichico della moderna psicoanalisi, ma «di una semplice concomitanza, che chiamiamo azione e passione, nelle cose elementari», di un medesimo «tema di genitura, constellatio, che produce una data immagine nello spirito dell'uomo».

12 L'astrologia. Storia e metodi Nel XIII e XIV secolo questo fondamento logico, per cui le azioni umane dipendono dall'armonia celeste, porterà gli astrologi dell'Occidente cristiano, Guido Bonati, Pietro d'Abano e Cecco d'Ascoli in particolare, a una posizione critica nei confronti della chiesa e della provvidenza divina, mentre nei secoli successivi l'attenzione si sposterà progressivamente sulla capacità umana di agire sul mondo elementare. Poiché l'uomo è un microcosmo, un minor mundus, «e possiede raggi conformi ai raggi del mondo e quindi la forza di muovere, in virtù dei propri raggi, le cose esterne, così come il mondo stesso [...] agita con i suoi raggi le cose secondo movimenti diversi».12 È questo il periodo della magia naturale che va dal Ficino a Cornelio Agrippa a Paracelso a Campanella e che si prolunga oltre i confini del XVII secolo. Frattanto, in concomitanza con la bolla papale del 1586 che vietava la pratica dell'astrologia giudiziaria, alcuni dei maggiori astrologi del Rinascimento italiano, come Francesco Giuntini e Girolamo Cardano, pubblicarono le loro opere in Francia. Il primo, in particolare, si rifugiò a Lione dopo aver abbandonato la veste sacerdotale. L'astrologia di questo periodo sembra pertanto tornare vieppiù al modello ellenistico e razionaleggiante, alla dottrina delle natività contenuta nella Tetràbiblos di Tolomeo, che solo nel Cinquecento appare in edizione integrale latina da una traduzione compiuta su testo arabo. Essa vuole porsi come scienza, staccandosi dalla magia, dal misticismo e dai suoi più antichi elementi religiosi. Il suo più chiaro rappresentante, Jean Baptiste Morin de Villefranche, rifiuta recisamente gli apporti arabi, la magia naturale, le immagini, i talismani e «le vane finzioni introdotte nell'astrologia dai caldei e dagli egiziani».13 Egli si dichiara cristiano e Astrologia cristiana intitolerà il suo trattato William Lilly, il primo astrologo del XVII secolo che non fosse al contempo astronomo. L'astrologia occidentale sembra così slegarsi dalle sue radici orientali al culmine stesso del suo declino. Secondo la tesi di Plinio furono i persiani a portare in Grecia l'astrologia e le arti magiche al tempo delle guerre di Dario e di Serse. In Persia, Egitto, Mesopotamia e in tutto l'Oriente la religiosità di stato aveva basi cosmologiche, sì che la scienza dei pronostici era indissolubilmente legata alla religione e alla vita politica. Ora, dolorosamente separata dalla sua origine e natura escatologica, religiosa e magica, l'astrologia verrà ben presto isolata come scienza e posta nella condizione di essere ormai incapace di spiegare l'intera natura. Sarà questa invece, nel secolo successivo, la pretesa che si prefiggerà l'illuminismo francese sulla base della fisica meccanica.

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Note 1 A. SAVINIO, Vite di uomini illustri, Milano 1958. 2 GRAUX, «Revue de Philologie», t. II, 1878, p. 70. 3 L.A. SENECA, Questioni naturali, 7, 25-26. 4 O. NEUGEBAUER, Le sciente esatte nell'antichità, Milano 1974, p. 203. 5 C. JOURDAIN, Nicolas Oresme et les astrologues à la cour de Charles V, in «Revue de Questions Historiques», 1875. 6 R.P. CASEY, The Excerpts of Clement of Alexandria, London 193S, n. 69. 7 PLUTARCO, De Iside, 47. 8 J. NYBERG, Cosmogonie et cosmologie mazdéennes, in «Journal Asiatique», CCXIX, 1931. 9 PLINIO IL VECCHIO, Storia Naturale, 1, 34, 7. 10 H. CORBIN, «Eranos Jahrbucher», 19, 1930. 11 F. VON BEZOLD, Astrologische Geschichtsconstruction in Mittelalter, in «Deutsche Zeitschrift für Geschichtswissenschaft»,

VIII, 1, 1892. 12 De radiis, V, testo latino a cura di M. T. D'Alverny e F. Hudry, in «Archives d'Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen

Age», n. 50, 1974. 13 J.B. MORIN DE VILLEFRANCHE, Astrologia gallica, prefazione al libro XXI.

Breve storia dell'astrologia L'astrologia greca

Nella mitologia greca la genesi del mondo, di Urano, il cielo, e di Gea, la terra, e successivamente di Chronos e Zeus, parte da un Chaos primordiale. «La terra era deserta e vuota e le tenebre coprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» 1. I termini ebraici di tohu-wa-bohu esprimono il concetto di deserto, o disordine, e di vuoto, situazione anarchica e informe. I Rosacroce, chiamando «gas» questa sostanza primordiale, non si sono molto allontanati dal Chaos delle antiche cosmologie: è il Noun egizio, padre degli dei, del Sole e degli uomini, è lo spazio omogeneo e indifferenziato dei cinesi; è ciò che, più tardi, i pitagorici e i neoplatonici chiameranno la protomateria informale e passiva, in quanto sta al di là del mondo fisico e sensibile, oltre lo zodiaco e l'intero mondo stellare. Oltre al Chaos, i miti greci postularono il suo polo contrario, l'achaos, ciò che nella tradizione indù è l'akasha, il quinto elemento che non rientra nelle mutazioni e rappresenta l'etere. In effetti, nelle antiche teogonie greche si riscontrano molti elementi orientali. In quelle di Ieronimo, Ellanico, Ferecide, ma soprattutto nelle cosmogonie orfiche, il principio di vita nell'universo è il movimento perpetuo e s'identifica nel concetto del tempo, ossia l'eterno moto del cerchio zodiacale attorno alla Terra. Il tempo viene rappresentato come nell'Atharvaveda indù nel I millennio avanti Cristo: è il Dio supremo, è kàla, un cavallo in continuo moto le cui redini sono i sette pianeti e i suoi mille occhi le stelle fisse. Egli è eterno, ricco di seme, e tutti gli esseri umani sono le ruote del suo carro. Nel mito e nella lingua greca il tempo è Chronos. In queste teogonie si identifica con la sapienza divina creatrice e la sapienza divina è, a sua volta, la necessità razionale (Adrastea o, appunto, Ananke) che regola l'ordine cosmico e la vita umana. Secondo la cosmologia di Ieronimo, dall'acqua e dalla terra nacque il Chronos-Eracle, enorme drago con una testa di leone da un lato e di toro dall'altro. Il rapporto con la costellazione del Drago è immediato: essa è una costellazione circumpolare, che sorge nel cielo all'equinozio di primavera e tramonta all'equinozio d'autunno e può, quindi, scandire l'anno solare, la rotazione del cerchio zodiacale. È, inoltre, nella costellazione del Drago che si trova il polo nord dell'eclittica. Secondo gli orfici, dal Chronos-Eracle primordiale nacque Fanes, il dio assimilato al

16 L'astrologia. Storia e metodi Sole visibile. «Il dio è descritto come possedente quattro teste: quella di un toro, di un drago e di un leone, nel mezzo delle quali appariva il proprio viso divino [...]. Fanes è il corpo d'intelligenza del mondo nato dalle qualità dell'uovo, dall'empireo celeste che lo circonda e che egli riflette. Le teste rappresentano le quattro direzioni della creazione, la croce fissa dello zodiaco, i quattro elementi; esse simbolizzano il regno della natura. Le ali di Fanes significano che, simile all'etere, egli è diffuso dappertutto e che, diverso dalla materia grezza, non è sottomesso all'inerzia. Il potente drago che l'avvolge nelle sue spire, rivestito di molteplici forme di animali selvaggi, è il serpente zodiacale che, secondo il linguaggio dei misteri, circonda il corpo del mondo» 2. Il serpente è, infatti, una delle prime rappresentazioni da noi conosciute dello zodiaco. Se per molte ragioni i miti greci sembrano dipendere e derivare dal Rigveda indù, o dalle tradizioni mesopotamiche, si può anche congetturare che tutte le tradizioni che parlano del serpente cosmico e zodiacale abbiano un'unica origine. Secondo la tradizione greca, le cosmogonie orfiche sarebbero anteriori a Omero, sebbene raccolte e scritte circa due secoli più tardi. Poiché le somiglianze delle cosmologie greche «si riscontrano anche in miti scandinavi e polinesiani» e in molti miti africani, oltre che in tutte le tradizioni indoeuropee «bisogna pur ammettere che non si spiegano necessariamente con un influsso diretto, ma piuttosto [...] con una reazione identica della coscienza collettiva, secondo leggi ancora mal conosciute, di fronte a realtà naturali identiche» 3. Riferisce infatti il trattato Dell'astrologia dello pseudo-Luciano: «I Greci né dagli Etiopi, né dagli Egizi appresero niente di astrologia; ma ad essi Orfeo, figlio di Eagro e Calliope, primo insegnò queste cose, non troppo chiaramente, né fece apparire in luce la dottrina, ma in servizio dell'arte magica e dei vani discorsi, com'era sua intenzione; perché, toccando la lira, celebrava le orge e cantava i carmi rituali; ed essendo la lira formata di sette corde, consuonava con l'armonia degli astri in movimento»4. Per gli orfici, l'uomo è un composto, in perpetuo divenire, di dodici energie primordiali. Queste energie sono la frammentazione dell'energia unica e primitiva rappresentata da Fanes, l'intelligenza del mondo, la mente cosmica che, come tale, è assimilata al Sole, come riferisce Macrobio nei Saturnalia. Oltre ai pronostici basati sull'anno zodiacale e alla definizione dei giorni fausti e infausti riferiti al ciclo lunare, gli orfici avevano un loro piccolo ciclo di dodici anni, basato probabilmente sulla rivoluzione zodiacale del pianeta Giove. Agli orfici è anche attribuita la concezione del grande anno. Censorino5 riferisce che il ciclo del grande anno è composto da centoventi anni comuni, sebbene più oltre6 affermi che il ciclo del grande anno si compie quando il Sole, la Luna e i cinque pianeti ritornano a occupare le primitive posizioni zodiacali. Poi-

L'astrologia greca

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ché nell'estate del grande anno avviene la conflagrazione del mondo, mentre nell'inverno ha luogo il diluvio, si ha qui la stessa oscura teoria che riprenderà più tardi Nigidio Figulo, contemporaneo di Cicerone. Apparentemente, questa concezione orfica del grande anno non ha riferimenti astronomici evidenti, tali da poter consentire di ricostituire un grande ciclo evolutivo fondato, come nelle tradizioni orientali, sul movimento di precessione degli equinozi. È luogo comune affermare che il movimento di precessione degli equinozi fu scoperto da Ipparco nel II secolo a.C.: confrontando le longitudini delle stelle di qualche secolo prima con le longitudini da lui realmente osservate, trovò che le longitudini di tutte le stelle erano aumentate nel corso dei secoli di un medesimo numero di gradi. Ne dedusse di conseguenza che l'aumento delle longitudini era dovuto a un movimento retrogrado e uniforme dell'eclittica zodiacale. Eppure, restando all'interno della tradizione greca, già Platone, due secoli prima di Ipparco, parla, nell'VIII libro della Repubblica, dei 25.920 anni che porterebbero a una valutazione del movimento di precessione degli equinozi di un grado ogni 72 anni: cifra diversa da quella di Ipparco e di Tolomeo (un grado ogni cento anni) e più vicina ai valori attuali. I culti misterici dei primi greci non intendevano i miti delle antiche cosmologie nel loro semplice significato allegorico. Nella Teogonia di Esiodo, dei dodici Titani nati da Urano e Gea, sei sono femminili e sei sono maschili e rappresentano le dodici sorgenti di vita uscite dal Chaos primordiale. I versi e i ritmi degli antichi poeti erano vere e proprie formule magico-religiose, di cui più tardi filosofi come Platone e Aristotele conserveranno ancora una certa consapevolezza. L'ascetismo orfico tendeva alla purificazione (catarsi) tramite i riti orgiastici. Lo stato festoso, l'orgia, è inteso come liberazione dell'uomo dalla legge della necessità e come guarigione «omeopatica» dei mali: «Il flauto», scrive Aristotele nella Politica, «non esplica una efficacia etica, ma piuttosto produce lo stato d'animo proprio degli orgia, cosicché conviene ricorrere a esso in quelle particolari situazioni nelle quali la contemplazione ha la potenza di produrre catarsi». E Platone, nelle Leggi: «le danze accompagnate da musica, e suscitatrici di entusiasmo rituale, sovrappongono allo scotimento interiore un'agitazione provocata artificialmente che domina l'agitazione naturale e ristabilisce un po' per volta l'equilibrio e la calma»7. Anche la dottrina della metempsicosi, che non fu solo orfica ma generalmente presocratica, è generata dal bisogno di liberarsi dalla ruota delle nascite e del destino, dalla legge inflessibile del circolo zodiacale, sottomesso al tempo. Già nell'antica cosmologia eptadica si legge: «Il primo posto fra tutte le cose è assegnato al mondo che regola senza interruzione il corso dell'estate e dell'inverno» e Galeno, nel II secolo d.C.,

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commenta: «il tempo è la sfera dello zodiaco e degli astri che è causa dell'inverno e dell'estate»8. Anche i pitagorici identificavano il tempo con la sfera zodiacale e credevano nella metempsicosi; e Aristotele spiega, nella Fisica, che questa concezione deriva dal fatto che tutto quello che è nel tempo è anche nella sfera del mondo. Purtroppo, se le antiche cosmologie greche ci mostrano una sicura rappresentazione dello zodiaco, è pressoché impossibile, sulla base delle fonti rimasteci, sperare di ricostruire il quadro di un'astrologia greca «arcaica». All'epoca in cui Platone scrive il Timeo e parla, come gli orfici, dell'intelligenza del mondo, non esiste forse più un sapere astrologico organico. Anzi, tra il V e il IV secolo a.C., quando l'astrologia cominciava a crearsi fondamenti meccanici e matematici, l'osservazione del cielo e l'insegnamento dell'astronomia divennero ad Atene un reato penalmente perseguibile; ne fecero le spese, tra gli altri, Socrate e Protagora. Il conflitto religioso tra i culti lunari e i culti solari si risolve a vantaggio di questi ultimi. Da questo punto di vista, il pensiero mistico di Platone ci appare teso verso la legalizzazione degli elementi magici e religiosi. È la codificazione di un culto solare apollineo e statale che ha sconfitto il culto degli dei lunari, le sue manifestazioni agrarie e le sue infiltrazioni orientali. Fu il prevalere dei sacerdoti del Sole che favorì, in periodo ellenistico, la diffusione di un'astrologia a carattere prevalentemente solare. Gli Astrologumena di Nechepso e Petosiride, datati da Riess intorno all'80 a.C.9, erano destinati a divulgare in Grecia l'astrologia solare egizia con maggior successo dei tentativi che il sacerdote babilonese Berosso nel III secolo a.C. aveva operato in favore d'una diffusione del sistema babilonese. Ne consegue che l'astrologia ellenistica ignorava quasi i pronostici lunari. E' tutta un'antica tradizione divinatoria che viene così esclusa e sepolta; eppure, l'oracolo lunare di Sparta aveva trattenuto l'esercito in partenza per Maratona fino al giorno del plenilunio, come riferisce Erodoto10. In epoca ellenistica, Doroteo di Sidone è l'unico astrologo che parla di uno zodiaco lunare e gli astrologi arabi si riferiranno a lui nella loro compilazione delle dimore lunari. La grande importanza assegnata dalla tradizione astrologica occidentale al segno ascendente e, a tratti, al corpo astrologico del Sole è una conseguenza del prevalere dell'astrologia solare egizia. Tuttavia, l'egiziano Claudio Tolomeo, nato verso il 100 d.C. nelle vicinanze di Alessandria, discute criticamente diversi assunti del sistema egiziano. Egli rifiuta la concezione dei «decani», che due secoli più tardi Finnico Materno accetterà pienamente; dubita del metodo di Nechepso e Petosiride sull'oroscopo del concepimento, che si basava sul postillato che il grado zodiacale occupato dalla Luna nel tema di natività è lo stesso occupato dal segno ascendente al momento del concepimento. Infine, contrasta con i presupposti dell'astrologia stellare egizia che dava

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ampio risalto al segno ascendente della figura oroscopica e, nel III libro della Tetràbiblos, considera il medio cielo come il punto più importante dei quattro cardini del tema di natività, in quanto rappresenta la culminazione superiore, il mezzogiorno, l'età matura dell'uomo e le sue capacità di realizzazione. La concezione cosmica di Tolomeo appare quella di uno spazio chiuso: dopo la sfera di Saturno vi è immediatamente quella delle stelle fisse. Occorre però sottolineare che tutti i rapporti cosmici erano per lui intesi in termini temporali piuttosto che in termini di spazio. In termini temporali, lo spazio appare infinito e la Terra non è altro che un punto inesteso nello spazio. È interessante osservare che, proprio come Keplero millequattrocento anni dopo, Tolomeo riprende le teorie pitagoriche e nel suo libro Sull'armonia parte dagli accordi musicali per approfondire e spiegare come le influenze astrali rispecchino l'armonia del cosmo e come, a sua volta, l'armonia del cosmo obbedisca agli stessi rapporti armonici musicali. La vecchia questione per cui ci si chiede se gli antichi greci immaginavano o no il movimento della Terra esce da un quadro strettamente astrologico. In base alle pure conoscenze astronomiche, doveva pur esser chiaro che la Terra era dotata di movimento. Non solo perché ciò è espressamente detto nei testi attribuiti a Ermete Trismegisto: la stessa ammissione dell'esistenza della precessione degli equinozi presuppone, di per sé, la conoscenza del movimento dell'asse terrestre. Ora, come s'è visto, la precessione degli equinozi era conosciuta prima di Tolomeo, prima di Ipparco e prima di Platone. Tolomeo tuttavia si pone il compito di far concordane le ipotesi più semplici con i movimenti celesti, anche a costo di dover assumere solo quelle ipotesi astronomiche che siano convenienti unicamente dal punto di vista dell'osservazione terrestre. Il suo sistema è, in fondo, una sistemazione scientifica della dualità cielo-Terra. Nella sua Sintassi matematica dell'astronomia dichiara: «Ci siamo proposti di dimostrare che le anomalie apparenti delle cinque stelle erranti, come pure quelle del Sole e della Luna, possono essere tutte ridotte a movimenti uniformi su dei cerchi, poiché solo tali movimenti convengono agli esseri divini, mentre l'irregolarità è loro estranea». Il sistema astronomico di Tolomeo coincide così con i desideri di Platone intorno a un movimento regolare dei pianeti, che sarebbe segno della loro natura divina; ma nello stesso tempo Tolomeo vuole dare una spiegazione rigorosamente fisica e naturale del moto degli astri, rifiutando indirettamente il pensiero mistico e religioso di Platone e gli antichi culti astrali. Quell'astrologia religiosa che è propria di tutta la nostra preistoria umana e di cui i sabei di Harran ci hanno tramandato suggestive preghiere ai pianeti non esisteva in Grecia come semplice movimento mistico marginale e periferico.

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Dovremmo, anzi, stupirci se un popolo che ha istituito templi e culti particolari ai dodici segni dello zodiaco, sotto l'aspetto dei dodici dei olimpici governatori del mondo, non avesse posseduto una tradizione culturale verso le divinità planetarie. Ecco allora Esiodo parlare delle preghiere e delle offerte mattutine e vesperali alla Luna; e Platone nel Convito11 ci mostra Socrate pregare il Sole all'alba. Se molti grecisti hanno insistito sull'origine «barbara» dei culti astrali, Platone nell'Epinomide sembra così rispondere: «A ogni modo poniamo con sicurezza che tutto ciò che i greci hanno potuto apprendere dai barbari, essi lo hanno portato a un punto di perfezione più compiuto; così, e tanto più, riguardo al presente argomento, dobbiamo persuaderci che è la stessa cosa: e cioè che se è certamente difficile scoprire, senza possibilità di dubbio, tutta la verità in simile materia, nondimeno vi è grande e bella la speranza che i greci si prenderanno cura di tutti questi dei in maniera realmente più bella e più giusta che non facciano le tradizioni e il culto venuto dai barbari, e questo in virtù della "paidèia" dei greci, perché i greci posseggono le prescrizioni dovute all'oracolo di Delfo e tutto il complesso del culto divino istituito dalle leggi: la divinità non può essere mai irrazionale, né ignorare la natura umana»12. Che questo trattato sia stato scritto da Platone o dal suo discepolo Filippo di Opunte, nondimeno rivela le idee correnti nel pensiero greco nel IV secolo a.C. In Five stages of Greek Religion, Gilbert Murray ha scritto che l'astrologia «s'impadronì della mentalità ellenistica come una malattia fino a quel momento ignota s'impadronisce d'una qualche remota popolazione isolana». In effetti, una delle caratteristiche principali dell'epoca ellenistica è il generale ritorno alle tradizioni più antiche; e questa sorta di ritorno alle credenze originarie riportava alla luce frammenti di dottrine e di credenze astrali non sempre chiaramente interpretabili. Dalle tombe mitraiche d'epoca ellenistica, per esempio, vennero scoperte alla fine del secolo scorso alcune statue che sono le rappresentazioni fedeli dello Zervan iranico, il tempo infinito o il Fanes orfico;13 e nel pensiero gnostico di Simon Mago si fa riferimento ad antichissimi testi magici babilonesi sui miti di Ishtar. Filone Biblo, infine, che viveva nel II secolo d.C., rispolverava scritti assai antichi la cui autenticità venne casualmente dimostrata con la scoperta di alcune tavolette ugaritiche risalenti a millecinquecent'anni prima di Cristo. Ora, l'astrologia di Tolomeo non parte dal pensiero platonico e, pur vivendo egli in piena epoca ellenistica e nel massimo fiorire delle sette gnostiche, insiste sul fatto che l'astrologia è una scienza naturale, fondata sulla qualità della materia. Le predizioni astrologiche sono tratte da cause fisiche che provengono dal moto degli astri: «parlerò ora di queste cose, mostrando apertamente le semplici cause da cui questi effetti sono prodotti, respingendo lontano le cose che non hanno una causa fisica e su cui molti tuttavia non cessano di pignoleggiare curiosamente, al di là dei limiti assegnati alla

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scienza»14. Se nella sua Sintassi Tolomeo concepisce l'astronomia come la parte più filosofica delle matematiche, nella Tetràbiblos egli tratta dell'astrologia in quanto scienza interpretativa dell'astronomia sferica: «Di queste dottrine, quella che precede [l'astronomia] ha la sua arte che le è propria ; ma la seconda che la segue [l'astrologia] non raggiunge lo stesso grado di certezza [...] non è così sicura, né così perfetta»15. Nel primo libro della Tetràbiblos, Tolomeo tratta delle qualità naturali degli astri e delle loro diverse determinazioni celesti e terrestri. Il secondo tratta dell'astrologia mondiale che riguarda la ripartizione geografica delle terre abitate secondo i dodici segni dello zodiaco. Espone inoltre il sistema dei pronostici universali, fondati soprattutto sull'osservazione delle eclissi di Sole e di Luna. Grazie al sistema babilonese del «saros» era possibile prevedere anticipatamente non solo il momento esatto di un'eclisse, ma anche il luogo dove essa si sarebbe prodotta e, quindi, la regione terrestre che ne avrebbe subito l'influenza. Una carta del cielo veniva così compilata per l'ora, i minuti e i secondi esatti del momento dell'eclisse, tenendo conto della latitudine e della longitudine del luogo interessato. Il terzo e il quarto libro trattano dell'astrologia genetliaca o individuale, ossia del modo di erigere un tema di natività di un essere umano e la sua interpretazione. Qui, pur conservando al medio cielo – culminazione superiore o mezzogiorno della genitura – una maggiore energia potenziale, Tolomeo avverte l'importanza del segno ascendente e della necessità di annotarne con esattezza il grado, in quanto indispensabile alla determinazione del pianeta maestro della genitura. Sono inoltre contenute nel terzo libro le questioni della iatromatematica, ovvero la medicina astrologica e i rapporti dei segni zodiacali e dei pianeti con il corpo umano. In Tolomeo i pianeti non rappresentano virtù morali, né qualità o caratteri divini. Di primo acchito, può apparire che il sistema aristotelico sia, nel suo complesso, scarsamente adatto a una costruzione astrologica; eppure, alla base dell'astrologia razionale di Tolomeo v'è l'approfondimento aristotelico dei rapporti fisici tra corpo e corpo. L'unità della materia, l'interagire dei suoi quattro elementi costitutivi (il caldo e il freddo, il secco e l'umido) sono i concetti medesimi che, nel sistema tolemaico, formano la natura dei pianeti e dei segni zodiacali: Saturno raffredda, Giove riscalda; la Luna e Venere, in quanto corpi astrologici femminili, creano e portano l'umidità sia come forma generale del loro influsso sul mondo sublunare, sia nella costituzione dei temperamenti degli esseri umani. Sono estranee al rigore di Tolomeo le speculazioni astrali degli stoici e dei neoplatonici. Egli era forse l'ultimo rappresentante della scuola scientifica di Alessandria e ci appare assai lontano dal sincretismo mistico religioso dell'epoca ellenistica, dal risorgere delle antiche tradizioni astrali proprie della speculazione gno-

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stica, e dallo spirito generale di quel periodo che abbraccia, grosso modo, una larga fascia che va dal III secolo a.C. al IV della nostra era. In effetti, tra i contemporanei di Tolomeo vi sono taumaturgi neopitagorici come Apollonio di Tiana o Numenio di Apomea, o il sacerdote dell'oracolo delfico di Apollo, Plutarco di Cheronea. Lo stesso Apuleio di Madaura, di pochi anni più giovane di Tolomeo, esprime bene la credenza dell'epoca alla magia naturale quando ritiene, «sulla fede di Platone, che tra gli dei e gli uomini si trovino certe potenze divine, intermediarie per loro natura e per loro posizione, e che mediante loro vengano operate tutte le divinazioni e i miracoli della magia»16. Nel secolo successivo, il pensiero filosofico di Plotino coinciderà perfettamente con l'idea gnostica e giudaica dell'esistenza, fra la Terra e la sfera della Luna, di infiniti esseri intermediari: i demoni eterni di cui tutta la Terra è popolata e che possono assumere una corporeità ignea o aerea, terrea o acquea traggono la loro origine da antiche tradizioni astrologiche; specie dalla concezione egiziana dei decani, volutamente ignorata da Tolomeo. Il risorgere di queste credenze proponeva una visione astrologica più mistica e, nel contempo, più duttile e aperta delle recenti sistematizzazioni tolemaiche di Efestio di Tebe e di Paolo Alessandrimo. In effetti, Plotino le criticava apertamente e suggeriva una sorta di emendamento alla tecnica astrologica che la rendesse più compatibile con la visione gnostico-ermetica che dominava l'epoca. «Plotino», riferisce Macrobio, «dichiara che niente accade agli uomini in virtù della forza e del potere degli astri, ma gli avvenimenti che la necessità del decreto divino ha regolato per ognuno di noi, il cammino delle sette stelle erranti, con le sue stazioni e le sue retrogradazioni, ce li fanno conoscere; così gli uccelli, sia che avanzino nel volo sia che si fermino, ci significano, attraverso le piume e il canto, cose future che essi ignorano. E' solo così che si potrà dire che Giove è salutare e che Marte è terribile, poiché tramite il primo sono significati gli avvenimenti felici e tramite il secondo le sfortune»17. Nel secolo successivo, il latino e cristianeggiante Firmico Materno considererà Plotino un nemico dell'astrologia e la sua avversione lo spingerà a rappresentarlo agonizzante con una disgustosa cancrena, mentre Giamblico riprenderà la critica all'astrologia razionale, affermando che «la divinazione non si effettua tramite una azione d'ordine fisico, ma è un che di natura divina e soprannaturale; essa ci viene direttamente dal cielo»18. E altrove rifiuta la concezione dei pianeti malefici: «Tu mi domandi come sia possibile che, fra gli dei, alcuni abbiano un'azione benevola e altri un'azione malevola. Quest'opinione, tratta dai facitori di oroscopi, è assolutamente falsa. Invero tutti gli dei sono benefici e sono causa di bene e sono volti solo verso il bene ed evolvono unicamente attorno al bello e al bene». Giamblico non ignora e non contesta

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che «l'influenza di Saturno ha una certa forza di tensione» e che quella di Marte «è motrice», ma spiega che la natura malevola non è in loro, bensì può solo provenire dal nostro modo di recepire il loro influsso. Così Marsilio Ficino tradurrà quest'idea di Giamblico sulla ricettività umana degli influssi astrali : «Quella [la forza condensatrice di Saturno], in verità, cadendo, è di frequente nociva quando è assorbita da una materia più fredda; questa [la forza motrice di Marte] quando lo è da una più calda. Egualmente quella nuoce quando è raccolta e costretta come se raggelasse; questa quando è assorbita da una bollente; ciò avviene nella composizione della materia, cioè quando quella non è abbastanza calda e perciò più densa; questa, infatti, è di per sé più calda e sottile. La luce e il calore del Sole, per quanto sembrino giungere debolmente, tuttavia sono necessari alla vita; similmente tutti gli influssi dei celesti giungono in modo salutare, per quanto soggetti a cambiare per la differenza della materia accogliente o perché la debolezza di questa non può facilmente tollerare la forza dei superiori. Tutti i moti convergono universalmente e dalle esatte parti dell'universo, per quanto fra le parti più piccole, in questo moto, capiti che qualcuna di esse nuoccia all'altra o che alcuna di esse non sostenga facilmente il moto dell'universo. Come in una danza corale, dove mentre i singoli danzano armoniosamente e si raggruppano con gesti fra di loro, pure, in tutta la danza delle mani e dei piedi vengono premuti ed urtati. E se entra qualcosa di debole, va in rovina»19. In verità, l'astrologia ellenistica era divenuta una scienza specializzata che aveva, di per sé, un'esistenza quasi autosufficiente e, comunque, quasi isolata dalla speculazione filosofica che si sforzava di ricomporre i modi e le manifestazioni del principio vitale dell'universo. Poteva così Plotino accusare a ragione gli astrologi di dissolvere la natura di questo mondo, che è dotata di una causa prima (archè) già di per sé dissolta in tutte le cose. Attraverso il paziente lavoro di traduzione di Marsilio Ficino, saranno in effetti i testi di Giamblico, di Proclo e tutti quegli scritti ermetici anonimi che verranno genericamente chiamati «antichi teologi» a influenzare massicciamente la rinascita di un'astrologia naturale nel Rinascimento, accanto ai contributi arabi come il testo del Picatrix.

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Note 1 Genesi, I, 2. 2 M. HALL, Man, the great symbol of the mysteries, New York s.d., p. 70. 3 L. ROBIN, Storia del pensiero greco, Torino 1951, p. 47. 4 Cit. da M. LOSACCO, Introduzione alla storia della filosofia greca, Bari 1929, p. 129. 5 CENSORINO, De die natali, 18, 6. 6 Ivi, 18, 11. 7 Cit. da A. SEPPILLI, Poesia e magia, Torino 1971, p. 324. 8 M. LOSACCO, op. cit., p. 222. 9 «Philologus», 6, 1892. 10 ERODOTO, Storie, VI, 106. 11 PLATONE, Convito, 220D. 12 Epinomide, 987E-988A. Oltre al culto dei dodici dei olimpici, ai quali i Pisistratidi avevano eretto un altare in Atene,

ancora nel II secolo a.C. «gli ateniesi facevano offerte senza vino a Mnemosine, a Eos, a Helios, a Selene, alle Ninfe e a Afrodite Urania». M.P. NILSSON, Symbolistne astronomlque et mystique dans certains cultes pubtics grecs, in «Hommage à F. Cumont e J. Bidez», p. 219. 13 F. CUMONT, Textes et monuments figurés relatifs aux mystères de Mithra, Bruxelles 1899, pp. 74 ss. 14 TOLOMEO, Tetràbiblos, III, 3. 15 Ivi, prefazione al libro I. 16 APULEIO, Apologia, 43. 17 MACROBIO, Commento al sogno di Scipione, I, 19. 18 GIAMBLICO, Misteri egizi, III, 1 19 Ivi (traduzione di A. Boffino).

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Magia, stregoneria, sacrifici, presagi, aruspici, scienza oracolare erano in Roma un tutto indissolubile con i vari culti religiosi che, infiltratisi da ogni provincia dell'impero, si stratificarono con i culti italici. Attraverso la cultura greca Dyaus-piter diventò Juppiter; Giunone, che era uno spirito della fecondità femminile, si confuse con Era, la consorte di Giove. Mercurio, antico dio del commercio, diventò, con il nome di Hermes, il messaggero degli dei. Saturno, il vecchio numen agricolo della semina cui erano associati i turbolenti saturnalia, si confuse con il Chronos greco. Lo stesso Marte latino aveva una funzione agricola prima di essere identificato con il dio greco della guerra. La lista sarebbe troppo lunga. Dall'Egitto, dalla Mesopotamia, dai fenici, ma anche dalla Britannia, dai celti e dai germani i culti e gli dei venivano in Roma e spesso si sovrapponevano ai culti autoctoni senza un'effettiva assimilazione: non era una semplice trasmigrazione di culti, ma di intieri popoli. Il cristiano Arnobio diceva che in Roma vi sono tre Giovi, cinque dèi Soli, cinque Mercurii, cinque Minerve... mentre Macrobio opera numerosissime identificazioni per il dio Sole: se egli è il padrone degli altri mondi e l'Unico sovrano dei pianeti erranti, allora egli è responsabile di tutto ciò che avviene attorno a noi: gli altri dei sono allora tante potenze emanate dal Sole: «il potere del Sole di dare salute lo chiamiamo Apollo, il dono del linguaggio Mercurio». È questo un discorso nettamente astrologico, dove il ruolo centrale del Sole non viene sminuito dalla concezione di un'astronomia geocentrica. Il culto misterico di Mithra prevedeva un'iniziazione di netto sapore astrologico. I sette gradi di introduzione erano in rapporto ai sette pianeti. I gradi inferiori, raggruppati nei «servitori», corrispondevano ai pianeti Mercurio, Venere e Marte, noti nel culto mitraico come il Corvo, lo Sposo e il Soldato. I gradi più alti, raggruppati nei «partecipanti», corrispondevano ai pianeti di grande massa e ai due luminari: Giove, Luna; Sole e Saturno, ossia il Leone, Persiano, Araldo del Sole, il Padre. Il mistero centrale era imperniato sul viaggio dell'anima: alla nascita essa discendeva dalla casa della luce attraverso il «cancello del Cancro» e passava attraverso le sette sfere dei pianeti contaminandosi a ogni stadio di un vizio particolare: la pigrizia a Saturno, l'ira a Marte, la lussuria a Venere, l'avidità a Mercurio, l'ambizione a Giove. Una volta nato, l'uomo ha la possibilità di liberarsi dalle impurità attraverso la conoscenza datagli dall'iniziazione ai misteri. Dopo la morte, se le buone qualità superano le cattive, l'anima risale attraverso la «porta del Capricorno» ripassando attraverso le sfere dei pianeti in ordine inverso e liberandosi così di tutte le impurità terrene. Notiamo che il

26 L'astrologia. Storia e metodi Capricorno, decimo segno dello zodiaco, è nella tradizione orientale la «porta degli dei»; esso è diametralmente opposto al Cancro, quarto segno dello zodiaco che simbolizza il passato. La divinazione stellare romana utilizzava i geni planetari e l'invocazione diretta agli dei e ai geni era la base essenziale di ogni magia pratica e operativa; l'incantamento (incantatio) assumeva la forma di versi e di strofe cadenzate che erano vere e proprie formule magiche, come ci sono state tramandate da Tibullo, Ovidio e Orazio, e ciò ci dimostra quanto il mondo latino fosse impregnato delle correnti della gnosi egiziana e orientale, miste alle tradizioni magiche della Sicilia e delle comunità italiche che avevano conservato la tradizione divinatoria etrusca. I riti magici erano indirizzati a figure divine che avevano un preciso riferimento astrologico. Una di esse era Chronos, assai diverso dall'antico Saturno agricolo, ormai divenuto dio dell'odio e della vendetta, sotto la cui influenza si fabbricavano amuleti di piombo. Un'altra divinità era Ecate, considerata la suprema dea della magia, che sintetizzava in sé le tre divinità lunari Artemide, Selene ed Ecate, il suo riferimento astrologico erano le eclissi lunari, i noviluni e quindi le tenebre e in effetti le venivano offerti sacrifici notturni, all'interno di grotte sotterranee nelle quali si accedeva scendendo una scala di 365 gradini. Non le erano estranei, secondo le testimonianze di Tito Livio e di Plinio, i sacrifici umani. In questo quadro prevalentemente magico e misterico l'astrologia ebbe in Roma, agli inizi, un carattere essenzialmente popolare e dichiaratamente plebeo. Basti pensare alle feste dei saturnalia, in cui durante sette giorni gli schiavi prendevano il posto e il potere dei padroni, che li servivano a tavola e ne venivano insultati. Il costume dei soldati dell'età imperiale di eleggere un rex bibendi, vestito di un manto reale e portato nelle strade a ubriacarsi e a dettar legge, è una sopravvivenza dei saturnalia. Mentre Plauto si schierava con la plebe (soprattutto nel prologo del Rudens), non è un caso che rappresentanti dell'aristocrazia come Ennio e Catone siano contrari all'astrologia e Valerio Massimo ci riferisce come il fallimento della riforma agraria di Lelio, nel 140 a.C., fu seguito dall'espulsione degli astrologi. Non basta: l'astrologia è un'arma propagandistica in mano al siriano Euno e al cilicio Athenio, capi degli schiavi ribelli di Sicilia; come pure di Blossio, filosofo di Cuma e consigliere di Tiberio Gracco; più tardi di Aristonico che sollevò gli schiavi di Pergamo contro Roma e proclamò la fine della schiavitù e la fondazione della «città del Sole». L'astrologia sarà spogliata di questa funzione eversiva quando lo stoico Posidonio, giunto in Roma dalla Grecia-madre, la presenta all'interno di un sistema filosofico ordinato negli ambienti colti della aristocrazia romana. Posidonio di Apamea fu il commentatore astrologo del Timeo di Platone e diffuse nel I secolo a.C. un'astrologia platonizzante. Non sarà estraneo a questo indirizzo neppure

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Marco Manilio che più di un secolo dopo parlerà dell'anima divina come causa motrice di ogni cosa e, come Platone, farà della Via Lattea la sede delle anime degli eroi. Nelle scuole stoiche, come riferisce Cicerone nel De divinatione, l'astrologia acquistò un grande credito e lo stesso sant'Agostino dice di aver appreso l'astrologia dai libri dello stoico Posidonio, «grande filosofo e astrologo». Seneca, in quanto stoico, non poteva non accettare le dottrine astrologiche: «Dai lentissimi movimenti dei cinque astri erranti dipendono le sorti dei popoli». Nel Tieste, egli enumera i dodici segni dello zodiaco. Lucano, nella Farsalia, ci mo-stra Giulio Cesare sempre indaffarato nell'osservazione del cielo notturno e ci descrive le proprietà dei pianeti. È noto che a Roma gli astrologi venivano quasi sempre confusi con gli aruspici, gli indovini, i maghi in genere. In Tacito, Plinio, Svetonio essi sono chiamati di volta in volta magi, caldei, matematici e genetliaci. Famoso era Publio Nigidio Figulo, «pitagorico e mago» a detta di Svetonio, il quale riferisce nella Vita di Augusto che, essendo Ottavio arrivato tardi in senato dove si discuteva della congiura di Catilina, a causa della nascita del figlio Ottaviano, Publio Nigidio, conosciuta l'ora del parto, disse che era nato uno che sarebbe stato signore di tutta la Terra. Poco è rimasto dei suoi scritti; si sa che egli, dopo il favoloso regno del mitico Saturno e l'attuale età di Giove, pronosticava quella di Nettuno, cui sarebbe seguita l'era di Plutone. Dopo quest'ultima, infine, sarebbero intervenute la conflagrazione metaforica del mondo per opera del Sole-Apollo e la rigenerazione degli uomini. Nigidio fu, accanto a Vettio Valente e a Marco Manilio, la più grande figura d'astrologo latino. Vettio Valente, che scrisse sotto Marco Aurelio, è un contemporaneo di Tolomeo, ma sembra che nei suoi scritti egli segua tradizioni diverse. Egli dichiarava di usare i calcoli matematici di Ipparco e dei babilonesi Sudines e Kidinnu per le tavole delle eclissi lunari. I suoi scritti circolarono maggiormente in Medio Oriente, dove furono tradotti in antico persiano e influenzeranno poi l'astrologia araba di un al-Kindi e di un Albumasar. Sarà rivisitato nell'Occidente soltanto all'epoca del tardo Rinascimento. Già al tempo del conflitto tra Antonio e Ottaviano, Agrippa aveva espulso da Roma gli «astrologi e maghi», come riferisce Dione Cassio, per la pericolosa inflazione dei pronostici e delle divinazioni riguardo «ai principi e ai potenti ». Alla fine del suo regno il «capricorniano» Augusto (aveva fatto coniare una moneta d'argento con il segno del Capricorno, luogo dello zodiaco dove si trovava la sua Luna di natività) vietò ogni specie di divinazione riguardo alla morte. Tiberio, che durante il suo esilio a Rodi aveva preso lezioni di astrologia dal «matematico Trasillo», rinnovò i provvedimenti di Agrippa. No-

28 L'astrologia. Storia e metodi nostante queste misure, ogni mese, ogni anno gli astrologi predicevano la morte di Claudio «e tuttavia non c'è da meravigliarsi se sbagliano», spiega Seneca, «perché nessuno conosce la sua ora di nascita». Lo stesso Tiberio spesso si rifugiava a Capri «con il suo gruppo di caldei». E' in quest'epoca che appaiono la Tetràbiblos di Claudio Tolomeo e i cinque libri degli Astronomica di Marco Manilio. Come nelle Georgiche di Virgilio, in Manilio sono la necessità e le angustie dei primi tempi umani che portano alla ragione, alla ratio, attraverso la quale l'uomo supera la spiegazione mitologica e religiosa dei fenomeni celesti e considera razionalmente l'influsso degli astri sulla vita terrena. Quindi, d'accordo con la filosofia stoica, la ragione umana arriva alla comprensione della ragione universale che governa gli astri. Come egli stesso scrive all'inizio del primo libro, Manilio riferisce dottrine astrologiche di altre tradizioni «che nessuno prima di me ha ricordato». Una di queste è la divisione dello zodiaco in otto parti (octotopos : Manilio conserva la denominazione greca), della quale parlerà più tardi, nel IV secolo, Firmico Materno e che ci ricorda da vicino gli otto trigrammi fondamentali cinesi. «La spiegazione di questo sistema è semplice,» dice A. Volguine, «se gli angoli dell'oroscopo corrispondono ai punti cardinali che indicano le stagioni, ognuna di queste otto case rappresenta nell'oroscopo le mezze stagioni dell'anno. Come la natura astrologica di ogni quarto del cielo riflette la natura della stagione corrispondente, così ognuna di queste otto divisioni traduce le caratteristiche della mezza stagione» 1. Ricollegandoci sempre all'astrologia cinese notiamo che alla prima di queste divisioni, corrispondente al segno intero dell'Ariete più metà del segno del Toro, appartiene una natura maschile yang, alla seconda una natura femminile ynn e così di seguito. Ne risulta che tutti i segni cardinali sono maschili e yang e tutti i segni mutevoli o cadenti sono femminili o ynn. Gli Astronomica di Manilio, che contengono ugualmente l'elenco delle dodici sorti lunari, le dodecatemorie (che gli arabi mostrano di conoscere da altre fonti) e i significati degli ascendenti e dei decani, furono riscoperti solo nel Quattrocento da Poggio Bracciolini, dopo essere rimasti sconosciuti durante tutto il Medioevo, e influenzarono poi grandemente l'astrologia rinascimentale. Grande diffusione in Roma ebbe il libro di Nechepso e Petosiride che passava per essere l'opera di un sacerdote egiziano (Petosirid) collaboratore di un leggendario re (Nechepso). Esso parlava dei gradi zodiacali pieni e vuoti, della ruota di fortuna, della progressione dell'ascendente e insisteva soprattutto sullo stato atmosferico del cielo:

L'astrologia nell'impero romano

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già i babilonesi davano grande importanza ai fenomeni meteorologici, non escludendo neppure la dilezione del vento. Questo libro, che era già conosciuto da Nigidio Figulo e da Manilio, apre all'astrologia la medicina, regolando l'alimentazione sul movimento degli astri. Dopo la capitolazione di Alessandria nel 296, Diocleziano rinnova un'ennesima volta le proscrizioni per i maghi e gli astrologi; nel 319 Costantino decretò che nessun indovino poteva entrare in una casa privata, neppure in quella di un amico personale, sotto pena d'impalamento per il mago e della deportazione par l'ospite. Sembra tuttavia che le pressioni e le esigenze dell'aristocrazia lo costrinsero non far valere il decreto se non per le operazioni di magia nera. Il cambiamento di rotta fu però di breve durata, perché Costanzo II rinnovò nella primitiva severità il decreto di Costantino: l'indossare un amuleto contro le malattie, testimonia Ammiano Marcellino, o la semplice accusa di aver passeggiato dopo il tramonto in un cimitero erano sufficienti per essere condannati. Di fronte a queste iniziative draconiane, il cristianesimo ha la soddisfazione di vedere i propri vescovi, in base all'editto del 409, posti a controllare che tutti i libri dei «matematici» siano bruciati sotto i loro occhi. Non ci si deve allora meravigliare se l'astrologo Firmico Materno del IV secolo, dopo aver pregato il Sole, la Luna e i pianeti di conservare eternamente l'impero a Costantino e ai suoi successori, scrive nel secondo libro del suo trattato: «Solo l'imperatore non è soggetto al movimento degli astri [...]. Poiché egli è il signore dell'intero universo, il suo destino è regolato dalla volontà del Dio supremo e, giacché la superficie intiera della Terra è sottomessa alla potenza dell'imperatore, egli stesso si trova posto nel novero degli dei che la divinità principale ha istituito per la creazione e la conservazione di ogni cosa». Purtroppo, nel suo primo libro Firmico si contraddice, commentando oroscopi di personalità come Silla e Giulio Cesare. E il suo stesso monito agli astrologi di non interessarsi degli oroscopi degli imperatori cadde nel vuoto: racconta Ammiano Marcellino che Giuliano seppe da un oracolo che Costanzo sarebbe morto all'ingresso di Giove in Acquario e di Saturno nel venticinquesimo grado della Vergine. Lo stesso Ammiano Marcellino, che arrivò a Roma verso il 380 d.C., racconta che «molta gente fra loro [gli aristocratici romani] nega l'esistenza di potenze spirituali nel cielo, e tuttavia essi non si mostrano mai in pubblico, non pranzano e non si bagnano senza aver prima attentamente consultato l'effemeride per sapere, ad esempio, dove si trova Mercurio o quale parte del Cancro occupa la Luna nella sua corsa nel cielo».

30 L'astrologia. Storia e metodi Nell'epoca imperiale l'astrologia regnò sovranamente fin oltre il III secolo e aiutò il passaggio dall'antico antropomorfismo ellenico alla teologia cristiana. Verso il 270 d.C. Aureliano divinizzò il Sole e fece del suo culto una religione di stato: l'anniversario del Sole, fissato al solstizio d'inverno (23 dicembre) diventò la più grande festa dell'anno romano e più tardi Costantino vi trasferì la nascita di Cristo che i cristiani celebravano all'epifania. Il culto solare di Aureliano e di Costantino, prima di essere confuso con la persona dell'imperatore, era un culto d'origine orientale — il Sol invictus — che riposava sul fondamento astrologico che il Sole, determinando il movimento dei pianeti, le loro stazioni, i loro movimenti diretti e retrogradi, era la potenza sovrana che governa gli dei e gli uomini. D'altra parte, più s'affievoliva in Roma il culto tradizionale di Giove, più saliva quello di Mithra e del Sole. E' una vera teologia solare, che ha per fondamento teorie di meccanica celeste, precise suddivisioni astronomiche di concetti astratti come il tempo; che attribuisce, come già i pitagorici, una natura divina ai numeri: è, insomma, una teologia astrale. Non a caso, poiché astrologicamente gli occhi sono sotto il dominio del Sole, in molti passaggi di Filone, Manilio e Firmico la vista è considerata l'organo sensoriale più importante. D'altra parte gli occhi, in quanto unico strumento di osservazione del cielo, sono dal punto di vista religioso gli intermediari fra gli dei e la ragione umana. L'orazione al Sole dell'imperatore Giuliano, che Gemisto Pletone porterà poi negli ambienti rinascimentali fiorentini vicini al Ficino, è tipica al riguardo. «Fin dalla mia infanzia» racconta nella sua biografia, «fui penetrato d'amore ardente per i raggi del Sole e l'estasi in cui mi tuffava la luce dell'etere non mi spingeva solo a guardarlo, ma, se mi capitava d'uscire la notte in un cielo sereno e puro, io dimenticavo tutto [...]. Nessun libro di astronomia mi era mai capitato tra le mani, e preferisco dimenticare ciò che pensavo degli dei, e nonostante [...] seppi rendermi conto da solo del movimento della Luna, opposto a quello del resto dell'universo, senza aver mai incontrato alcun dotto in materia». Giuliano fu l'ultimo imperatore non cristiano di Roma. Dai tempi di Plauto, in cui la divinazione era sempre riferita a entità mate-riali, a riti e culti popolari, assistiamo ora, ai tempi delia decadenza dell'impero, a una credenza negli astri essenzialmente esoterica e iniziatica. Non che mancasse un livello esoterico ai tempi di Cicerone: è interessante notare come lo stesso Cicerone trasforma in sogno ciò che per i caldei, gli egiziani e gli astrologi iniziati del periodo ellenistico era una pura visione estatica: lo spettacolo delle sfere planetarie e della terra lontana vista dall'alto del cielo delle stelle fisse, che egli descrive nel Sogno di Scipione2. Ciò lo ritroviamo nel libro di Ermete

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Trismegisto quando insegna che la parte divina dell'uomo può salire al cielo, mentre il corpo rimane sulla terra. E anche in Vettio Valente, Manilio, Finnico e Seneca troviamo espressa la credenza che l'intelletto umano può elevarsi fino alle stelle. Si può ritenere che il propagatore di questo misticismo astrale sia lo stoico Posidonio, che Seneca definiva dotato di «animo contemplativo». Tuttavia di misticismo siderale è impregnata tutta la letteratura sacra egiziana, le religioni iraniche e indiane, i culti astrali dei sabei e non, era pertanto estraneo all'età ellenistica. Lo stesso Tolomeo, così spesso definito arido matematico in lotta, suo malgrado, con le fantasiose tradizioni astrologiche, è l'autore di questi versi conservati nell'Antologia Palatina: «So che, mortale, per un sol dì son nato, ma quando degli astri la folta schiera inseguo nel loro circolare moto i miei piedi non toccano terra e salgo fin presso Zeus, nutritore di dei, a saziarmi d'ambrosia».

Note 1 2

A. VOLGUINE, L'ésotérisme de l'astrologie, Paris I953, p. 150. M.T. CICERONE, Il sogno di Scipione, VI, 12, 14.

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