17 - Il Gruppo di Ur
February 14, 2017 | Author: Aristocratos | Category: N/A
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Quaderni del Gruppo di Ur XVII IL GRUPPO DI UR I Ediz.: Agosto 2006; II Ediz.: Giugno 2007; III Ediz.:Novembre 2007
Catena Magica
Ogni quaderno del Gruppo di Ur raccoglie, in forma organica e sintetica, quanto emerso nell'omonimo forum, in relazione ad un determinato argomento. In esso si trovano, perciò, sia citazioni degli autori studiati, sia commenti. I quaderni si devono considerare in continuo aggiornamento, dal momento che l'emergere di nuovo materiale sull' argomento trattato può rendere opportuna una nuova edizione.
INTRODUZIONE A Renato Del Ponte
Dedichiamo questo Quaderno XVII al prof. Renato del Ponte (Lodi 1944), a cui si deve la prima seria pubblicazione di un opera relativa al Gruppo di Ur (Evola e il Magico Gruppo di Ur, Borzano 1994). Nella II ediz. è stata arricchita la sezione dedicata ad Ekatlos. Nella III ediz. è stato aggiunto il cap. 1.1 e sono stati arricchiti i capitoli 4, 5 e 8. Il presente quaderno è così suddiviso: 1) Considerazioni generali sul Gruppo di Ur 1.1Il Gruppo di Ur dopo la cessazione della rivista 2) I Membri dell'O.E. 2.1) Primo Sole e Nilius 2.2) Apro 2.3) Abraxa e Tikaipos 3) Ea e Iagla 3.1) Evola e la Grande Guerra 3.2) Evola e la Lega Teosofica 3.3) Evola Antidemocratico e Antifascista 3.4) Evola e l'Ordine Egizio 4) Es 5) La Componente Pitagorico-Massonica 6) Gli Antroposofi 6.1) R.Steiner e il Memphis-Misraim 6.2) Steiner venne in Italia - Elika del Drago (Alba) 6.3) Emmelina de Renzis e Giovanni Antonio Colonna di Cesarò 6.4) Leo, Breno e Krur 6.5) Arom, Oso e Taurulus 7) I Cattolici 7.1) Havismat 7.2) Sirio, Sirius e Sagittario 7.3) Nicola Moscardelli: Giulio Evola 8) I Polari: Agarda, Zam e De Naglowska 9) Ekatlos 10) Rud 11) Gli Altri di Ur
A differenza del criterio seguito per le discussioni, non abbiamo indicato gli autori dei saggi monografici presenti in questo quaderno. Si sottintende che, ove non diversamente indicato, autori ne siano i membri del forum che hanno assunto i medesimi pseudonimi dei personaggi di cui si tratta. Da notare che spesso essi hanno collaborato reciprocamente nella stesura dei saggi medesimi.
1) Considerazioni generali sul Gruppo di Ur Pirofilo: La struttura stessa d'Introduzione alla Magia mi ha sempre affascinato, perché è articolata in capitoli, i cui temi non sempre trovano un filo logico apparente. Perciò mi sembra che non seguano le regole normali di "trattati" su argomenti specifici. Frater Petrus: Quegli scritti furono inizialmente pubblicati su una rivista chiamata, come è noto, prima Ur e poi Krur. I capitoli di Introduzione alla Magia corrispondono alle mensilità della rivista. Bisogna distinguere i legami logici esistenti tra i saggi di uno stesso capitolo, che spesso sono messi in evidenza da glosse conclusive, dai legami esistenti tra i saggi di uno stesso autore. Da questo secondo punto di vista, occorre tener presente che gli scritti di Leo ed Oso richiedono una certa conoscenza della metodologia di ascesi steineriana e perciò la loro consequenzialità non sempre è evidente. Le monografie di Luce hanno una discreta consequenzialità: presuppongono solo i saggi che lo stesso autore, con il medesimo pseudonimo, aveva pubblicato sulla rivista Ignis. Il massimo della consequenzialità si ha negli scritti di Abraxa, che, nel loro complesso, costituiscono un itinerario pressochè completo. Pirofilo: Sempre come opinione personale, mi sembrerebbe che non possano essere affrontati mediante una analisi critica di tipo correntemente in voga. In altre parole, vengono proposti temi che quasi sempre non possono essere dimostrati, ma che hanno un contenuto molto plausibile. E' inutile cercare dimostrazioni. Frater Petrus: Innanzitutto si possono lumeggiare: - le connessioni tra i vari saggi; - le concordanze con scritti precedenti o successivi degli stessi autori; - le concordanze con gli insegnamenti delle correnti esoteriche, dalle quali gli autori provenivano; - le somiglianze o differenze con gli insegnamenti di altre correnti esoteriche. Per quanto riguarda le "dimostrazioni", tutti gli scritti esoterici sono come dei racconti di viaggio. La loro plausibilità (dovuta alla non eccessiva discordanza con ciò che già sappiamo e alla loro coerenza interna) nonchè il loro fascino può indurre altri a rifare il viaggio. La certezza della loro veridicità si ha solo man mano che si effettua il viaggio stesso. I viaggi però vanno gustati istante per istante, proponendosi piccole tappe. Se ci si limita ad agognare alla meta ultima e a ritenerla la cosa sola importante, spesso si desiste, potendo sembrare essa troppo lontana o troppo incerta la sua localizzazione e potendo disperare dei pochi mezzi di cui all'inizio ci sembra di esser dotati. Se invece si procede, i primi successi rincuorano e magari può capitare di scoprire che il viaggio stesso era la meta, perchè mediante esso ci siamo riappropriati di abilità, presenti ma sopite, nel nostro iniziale stato. Pirofilo: Una seconda cosa che mi ha affascinato è il fatto che un "gruppo" di uomini si sia trovato in sintonia. Su questo punto non ho informazioni convincenti: non mi risultano (ma forse è mia ignoranza) che siano state fatte indagini sulle persone che componevano il gruppo, ma soprattutto per quale motivo erano in sintonia. Mi si presentano alla mente molte domande, anche di tipo pragmatico. Come comunicavano fra di loro se non abitavano nella medesima città. Allora non esisteva certamente Internet. Frater Petrus: Sono state fatte diverse indagini. Una delle più accurate è quella del prof. Renato del Ponte (op.cit.). La sintonia puoi comprenderla leggendo Appunti sul Logos di Oso e l'equivalente saggio di Evola ("Il valore dell'occultismo nella cultura contemporanea"), che sono stati pubblicati nel Quaderno omonimo (n° 4, Appunti sul Logos). Il Logos, creatore di ogni livello grossolano e sottile della realtà fenomenica, non è una entità singola, ma un "coro" di potenze (se mi è concessa l'espressione), anche se, di tempo in tempo, ve ne può essere una (o più) che viene a trovarsi ad un livello superiore alle altre. Il termine ebraico più antico per indicare Dio è Elohim, un plurale che Fabre D'Olivet ha tradotto suggestivamente col termine "Egli-Gli Dei". Di qui l'importanza delle catene magiche e dell'atto magico collettivo. Il gruppo di Ur era organizzato in piccole catene. La principale risiedeva a Roma. A parte i contatti personali e le missive, la rivista stessa era fonte di comunicazione. Pirofilo: Continuando, mi sembra che dovremmo prendere in considerazione un doppio motivo di indagine, sempre che possa essere di un qualche interesse per il forum. l primo motivo, certamente molto difficile da prendere in considerazione, è la "ragione di vita" che animava i componenti del gruppo. O, se si preferisce, la loro ragione "ontologica". Il secondo motivo è lo scopo di lavoro. Con il lavoro da essi effettuato, dove pensavano di poter arrivare? Tutto questo rappresenta la ragione "teleologica", anche se dobbiamo ragionevolmente pensare che forse le loro idee non erano del tutto chiare. I cammini differenti presi in seguito da molti di loro, farebbe pensare che il contingente teleologico non coincideva più. Personalmente sono particolarmente interessato a tre persone del gruppo, perché appaiono abbastanza differenti fra di loro, pur essendo dotate di grande carisma spirituale. Esse sono: -Julius Evola, e su di lui sono disponibili molte informazioni dirette ed indirette, date dalla sua produzione libraria e dalla sua stessa vita, anche se sussistono periodi della sua vita dei quali si sa poco. -Arturo Reghini, dove in sostanza si sa molto meno. Almeno a me appare come un uomo che ha avuto esperienze molto "sottili", come quelle "sub specie interioritatis", che lo caratterizzano più nel suo aspetto speculativo che in quello operativo. In altre parole appare molto pitagorico.
-Abraxa, se è esistito un uomo reale che si firmava così. Apparentemente, in senso sottile, è il più potente di tutti, almeno secondo la mia opinione. Se si considera con attenzione quello che afferma, appare un'immagine di qualcuno che aveva raggiunto e superato le soglie di un pensiero magico. Quali erano le ragioni per fare coesistere in un gruppo tre personalità così spiccate? Forse erano momenti particolari, di grande fermento interiore. Per ragioni anagrafiche ho avuto, ma solo in parte, la ventura di partecipare al ventennio fra le due guerre, e credo di poter affermare che molti nati successivamente non riescano a calarsi adeguatamente nello spirito di allora. Che era molto vivo, anche se oggi ci appare quasi incomprensibile. Frater Petrus: Il loro scopo era quello duplice di tutte le catene iniziatiche: - raggiungere individualmente il contatto con la parte più intima di sé: l'enade di Proclo, la "scintilla" di Eckhart - e, collettivamente, nell'ambito della spiritualità macrocosmica, ottenere il grado gerarchico più elevato possibile (si pensi agli svariati "cori" angelici). Le differenze metodologiche di ascesi (e perciò non di fine) esistevano già prima di ogni separazione. Ogni corrente esoterica che si rispetti ha in proprio svariate metodologie, idonee a differenti temperamenti umani. Tuttavia le "Istruzioni di Catena" erano le medesime per tutti. La rottura si ebbe solo nell'ambito della catena di Roma, la quale era un gruppo numeroso e perciò non si può escludere che suoi spezzoni abbiano continuato ad operare collettivamente. Massimo: Il gruppo di Ur venne concepito dall'élite spirituale di allora, cioè l'Ordine Egizio (O.E.), come una sorta di coordinamento, in Italia, delle principali organizzazioni intermedie di quell'epoca: pitagorismo (massonico e non), ermetismo, tradizionalismo romano, società antroposofica e cristianesimo esoterizzante in genere. Ciascuna di queste organizzazioni é espressione di un particolare aspetto della via iniziatica (conoscitivo, devotivo, attivo, misto) così che, in tempi normali, sarebbero semplicemente impensabili dissapori tra esse. Evola, che aveva avuto contatti abbastanza diretti con l'élite (ad es. tramite l'Oliva) aveva divisato (come conferma qualche sua lettera) di lasciare l'Italia al seguito di uno spostamento, di un buon numero di membri dell'élite, verso liti più sicuri. Ma essa gli impose, come prova, di partecipare al tentativo di Ur. Tentativo che fallì, un po' per il carattere intransigente di alcuni suoi membri, un po' per ingerenze esterne, in primis quelle di Guenon (segretamente islamizzato ormai da tempo), che sfruttò tali intransigenze in vario modo, ad es. fomentando un atteggiamento ipercritico, tanto in Evola, che in Reghini, nei confronti dell'Antroposofia o esprimendo a Reghini giudizi non proprio lusinghieri su Evola. In Italia, lo coadiuvava l' "infiltrato" De Giorgio, che mise in dubbio apertamente la stessa validità dell'iniziativa di Ur. Turba Philosophorum: L'adesione di De Giorgio al Gruppo di Ur non appare mai come cosa realmente "sentita". In modo perfino più diretto di Guenon, si adoperò per far cessare la rivista. Se ne trova traccia ne le Glosse Varie (La magia, il maestro, il canto) del IV cap. del II vol. di Introduzione alla Magia, dove Evola rispondendo all'invito da parte di De Giorgio (Havismat) di smettere le pubblicazioni, così rispose: "Infine, quanto all'assurdo relativo al parlare di magia (o iniziazione) in scritti 'alla portata di tutti', esso, in fondo è relativo, perchè anche con la miglior volontà, scritti del genere non saranno mai alla portata di tutti. Se mai, quando è della divulgazione dei metodi di una magia applicata che si tratta, la questione, posta da alcuni, concerne l'opportunità e la pericolosità in ordine ai pochi (anche in questo campo si tratta sempre di pochi) che possono metterli davvero in azione, non avendone saputo prima. Ma ciò rientra in un campo di semplice responsabilità personale, nè più nè meno come nel caso dell'uso che ognuno può fare già di un'arma da fuoco o di un tossico". Tullio Quasimodo: Mi sembra che diverse precisazioni, fatte recentemente, nel forum, sull'O.E. e sulla presenza, sia pur episodica, del suo stesso capo tra gli autori dei saggi di Ur, possano gettare una luce quasi definitiva sia sull'élite (di quell'epoca), sia sui motivi per cui nacque il Gruppo di Ur. O si tratta solo di una mia impressione? Nilius: E' una giusta deduzione. Il Gruppo di Ur fu fortemente voluto da Antonio de Santis e dai suoi stretti collaboratori dell'O.E. Mettere alla prova collettivamente i suoi membri é prassi frequente nell'O.E. e nelle organizzazioni che da esso dipendono. Infatti, la capacità di agire in sintonia e "in catena", in una confraternita, è ovviamente fondamentale. Si ricorderà ad es. quando, nel 1949, l'allora Delegato Generale Domenico Lombardi (1) affidò a tre personalità (De Cristo, Dorrucci e Anglisani) la riorganizzazione della Miriam e poi ne esautorò alcuni, mostratisi non all'altezza. Nel caso di Ur le cose furono più semplici e indolori, non essendo state assegnate cariche ufficiali. Così sia Evola, sia Reghini, dopo lo scioglimento del gruppo, rimasero sostanzialmente nella stessa posizione, rispetto al nucleo centrale dell'O.E. Del resto, fallimento del gruppo a parte, erano personaggi troppo noti anche politicamente, per arrischiarsi a metterli in posizioni più centrali. Lo "spirto guerrier" di entrambi ne faceva piuttosto degli efficaci tramiti nei rapporti con gli ambienti esterni all'Ordine. Chi si stupisce della presenza nel gruppo degli antroposofi dimentica che, sin dall'epoca di Raimondo de Sangro, l'O.E. fu anche conosciuto come una confraternita rosacrociana (Rosa d'Ordine Magno). Franz Hartmann, che come é noto era in contatto con l'O.E. tramite Giustiniano Lebano, parla più volte nelle sue opere, anche se velatamente e simbolicamente, di un gruppo rosacrociano di Napoli. Perciò, la collaborazione con i rappresentanti italiani del neo-rosacrocianesimo steineriano era cosa naturale. I capi dell'Ordine non ebbero mai quella ridicola "puzza sotto il naso", dietro alla quale Guenon cercava di dissimulare l'intento di consegnare l'Occidente all'Islam. Il termine O.E. indica la Tradizione da cui proviene l'ordine; il termine Rosa+Croce sottolinea invece il compito, assuntosi a suo tempo dall'ordine, di esercitare (a vantaggio di coloro che possono comprenderla) un'azione rettificatrice sulla religione venuta a predominare in
Occidente e cioé sul Cristianesimo. (1) Vedi il Quaderno "Nuovi Dialoghi sull'Ermetismo". Pirofilo: La ragione che mi ha spinto ad abusare della vostra pazienza è questa : oggi, quale spirito ci anima a partecipare a questo forum di internet ? E' importante formulare una simile domanda ? Possiamo assumere che si stia riformando, dopo anni di incertezze, un nuovo spirito aggregante ? Frater Petrus: Nelle catene collaterali a quella romana, lo spirito aggregante non è mai morto. Si è fatto solo più nascosto. Nilius: In Evola e il Magico Gruppo di Ur (Borzano, 1994, pagg 76-77) Renato del Ponte ha scritto: "Se al tentativo non arrise il successo sperato, le monografie di Introduzione alla Magia costituiscono materiale indispensabile per chi, ancora oggi, abbia l'intenzione e la capacità di ripetere l'esperienza di Ur e, se possibile, di superarne i risultati sul piano pratico e realizzativo. Resta in ogni caso il grande pericolo, latente in gruppi o conventicole del genere, che forze non controllate o non controllabili prendano il sopravvento, laddove non si offrano adeguate capacità di contenimento e di trasformazione in potenza positiva delle forze sottili latenti in ciascuno di noi. Se questo non fu il caso del Gruppo di Ur - il quale peraltro, realizzò solo in parte quanto intendeva raggiungere - potrebbe più facilmente esserlo nei tempi attuali, così facili all'improvvisazione, qualora si ricreassero gruppi o comunità che, almeno nelle intenzioni, volessero ereditarne il messaggio: e siamo al corrente di esiti negativi del genere, verificatisi perlomeno due volte in Italia nell'ultimo trentennio. Mi riferisco, in particolare, al cosiddetto "Corpo dei Pari", presente a Genova negli anni Sessanta, ed al "Gruppo dei Dioscuri" di Roma, su cui peraltro bisognerebbe dare un giudizio variegato (che distinguesse, ad esempio, le diramazioni che ebbe in varie città)...". Indubbiamente le monografie di Introduzione alla Magia sono un prezioso tesoro, giacchè contengono: Gli insegnamenti osiridei di Abraxa (pur se privati di schemi, formule e sigilli); Gli insegnamenti di Ea, in parte isiaci in parte osiridei, perchè derivanti sia dai Fascicoli di Miriam (isiaci), che ad Evola fornì Don Francesco Oliva, sia dagli insegnamenti di Abraxa, che Evola mise per iscritto. Gli insegnamenti di Pietro Negri e Luce, provenienti da quel Rito Filosofico, che non fu che una delle diverse varianti del Rito egizio di Misraim. Gli insegnamenti di Leo, Oso, Krur, Breno, Alba, Massimo, esposizione degli insegnamenti steineriani, che non sono se non una variante rosacrociana dei medesimi insegnamenti del Misraim. Infine, svariati altri insegnamenti di minor respiro, ma di ispirazione armonica con quelli già indicati. Se lo studio del Gruppo di Ur è fecondissimo, come questo Forum dimostra, fondare un gruppo del medesimo genere non potrebbe avvenire proficuamente che per volontà di quell'O.E. che, nel sollecitare la formazione del gruppo originario, volle indicare, ad ordini più esteriori, una opportuna armonizzazione, nel ricordo della loro comune origine. In caso contrario è preferibile operare nell'ambito di quegli ordini più esteriori, ma non per questo necessariamente meno efficaci. Per quanto riguarda l'O.E., si entra solo su invito. Chi pretende di fondare un "gruppo" dal nulla, cade inevitabilmente nei rischi indicati da Del Ponte. Questo è il caso dell'ex Corpo dei Pari. Del Ponte è però troppo generoso nel parlare di un' "eredità di intenzioni" che, del resto, taluni membri di esso rifiutano. E' uscita da poca una nuova edizione dell'opera "Dagli atti del Corpo dei Pari" (Genova, 2006). Nell'Introduzione, l'allora "reggente", Giammaria Gonella, scrive testualmente (i punti interrogativi in parentesi sono suoi): "Così, significa nulla aver capito del Corpo, assumere che la sua costituzione è stata indirizzata ad 'ereditare' (?) 'messaggi' (?) di precedenti sodalizi". E Gonella non si riferisce solo al Gruppo di Ur, infatti aggiunge: "Nessuna filiazione invero dall'ambiente kremmerziano e/o post-kremmerziano, da parte del Corpo dei Pari, può dirsi; così come neppure dal Daffi, rispetto al quale e alle cui iniziative il Corpo fu del tutto assolutamente autonomo". Siamo felici che lo abbia finalmente riconosciuto. Naturalmente Gonella ha una certa vergogna di ... aver tuttavia utilizzato, senza una regolare trasmissione, alcuni riti miriamici. Lo rivelano le sue parole: "Nella contestuale stampa de gli Atti del Corpo ... sono invece esclusi i Riti (pubblicati a parte, comunque, e acquisibili in via riservata) poichè sentiti nel tempo non in sintonia con lo spirito prettamente alchimico della 'mensa' imbandita dal Corpo, per non dire estranei ad essa. La ragione della inclusione loro, in allora, fra i testi, fu esclusivamente storica, 'ad hoc' ". A parte la sua "mensa all'acido solforico", come potrebbe giustificare, infatti, che, nella prima edizione (Genova, 1978), tra essi c'era ad es., il miriamico Rito di Kons? Del Ponte ha giustamente evidenziato quel fallimento del Corpo dei Pari che lo stesso Gonella, pur riluttante, e con molte perifrasi e mielosità, non può non riconoscere: "Sono stati anni d'intenso lavoro, anche d'ispirazione, ... e, negli anni a seguire è stato un continuo flusso di elaborati, anche pubblicati come testi da diverse case editrici ... sciolto però e peraltro, nel frattempo, il Corpo dei Pari, quale gruppo. Viene dal cuore rivolgere il pensiero a coloro che, in qualche modo, si sono adoperati perchè non cadesse in oblio o non andasse perduto un patrimonio dottrinale, fuor di saccenza e mistificazione, e dico di quei Pari grazie alla cui operosità ed alla cui collaborazione sono state pubblicate le opere maggiori e minori, menzionate. Essi sono stati spronati, come fossero una muta (e in un certo senso lo sono stati), insufflati, spremuti anche, perchè ne venisse ogni succo (e ne è venuto al meglio) utilizzati certo,
strumentalizzati pure, ma per un fine non personale nè mondano, epperò non sfruttati, poichè anzi hanno avuto l'occasione di toccare 'momenti di vetta' forieri di prosieguo nell'iter, se li avessero (e per quanto li hanno) metabolizzati, prendendone consapevolezza. Se invece si sono poi comportati da 'traditores' per il fatto di aver trasferito la loro intelligenza nel quotidiano o 'altrove', ciò non di meno va loro un grazie, per quanto hanno dato". Comunque Gonella è stato punto sul vivo dall'osservazione di Del Ponte tanto che, con chiaro riferimento al Gruppo di Ur, dice: "In effetti non sono mancate conventicole che hanno avuto di mira 'il destare una forza superiore, da servire di ausilio al lavoro individuale' di ciascun componente, in modo che 'su quella specie di corpo psichico che si voleva creare, potesse innestarsi per evocazione una vera influenza dall'alto ... non esclusa la possibilità di esercitare dietro le quinte perfino sulle forze ... sociopolitiche della comunità.' Ma queste idee programmatiche nulla hanno di iniziatico e piuttosto velano e svelano una sindrome d'impotenza 'operativa' ". Ora, uno può pensarla come vuole riguardo alle pratiche collettive, ma la stesa iniziazione è già un entrare in un collettivo e, se oltre ad un lavoro individuale, si mira ad un ristabilimento della Tradizione anche a livello sociale, una collaborazione (come sempre ci fu in antico) con entità non umane non è nè controiniziatica, nè sintomo d'impotenza, ma semmai di realistico calcolo delle proprie forze. Evidentemente, in Gonella alligna, ancor oggi dopo tanti anni, quel medesimo "virus mentale", che affligeva l'Evola del primo periodo filosofico: il solipsismo. Scrisse Gonella nella presentazione dell'edizione 1978 (firmata l'Editore, ma in realtà, come confessa nell'edizione 2006, del "reggente"): "Magisterio che nel 'Corpo' si è sempre ispirato al criterio che 'non vi è alcun altro; il Principio, ossia l'Ermete, è universale; l'esservi altri è una illusione sulla Via'. Per contro 'gli altri', se pur per sè non sono altri, come tali esistono e come tali vanno assunti". Se Gonella avesse avuto un Maestro, saprebbe che se "uno" può considerarsi il Mercurio, molte invece sono le Pepite d'Oro, che l'unica amalgama nasconde. Inoltre, che magisterio può mai essere quello che afferma l'illusione di una cosa e tuttavia consiglia di comportarsi come se non fosse tale? E' come dire ad uno che si agita e urla nel sonno che il suo è sì tutto un incubo, ma che non deve svegliarsi: cioè proprio il contrario dell'iniziazione, che è ... risveglio! C'è da stupirsi che un simile "magisterio" sia fallito? Non sarebbe stato meglio cercare le cause del fallimento, anzichè riproporre una congerie di inutili "Atti"? facendo, ingannevolmente per il lettore, come se tutto fosse andato bene? DavPan: In the article "Il Guardiano della Soglia" which appeared in Testimonianze Su Evola, Edizioni Mediterranee 1985, pg. 203, Francesco Waldner writes: "Nel primissimi anni dopo la Guerra, in un viaggio da Vienna a Salisburgo, ebbi un colloquio casuale con un compagno di scompartimento. Se ben ricordo, era un medico, il discorso, non so come, cadde su questioni metafisiche, ed egli mi disse che s'incontrava spesso a Vienna con uno studioso molto evoluto che guidava un gruppo e aveva un vasto seguito di ammiratori: «E' un italiano», aggiunse. Gli domdai chi fosse, ed egli mi rispose che era Julius Evola. Rimasi molto sorpreso". The only other reference that I have come across regarding this (supposed) enigmatic group is an obscure footnote written by an anonymous source and attached to an english translation of a letter written by Evola to Guenon. It stated that during the war Evola directed a circle, based out of Raphael Spann's house in Vienna, called Der Kronenbund. Tullio Quasimodo: La lettera in questione, citata da DavPan, riguardava in particolare la traduzione che Evola fece dell'opera di Guenon "La crisi del mondo moderno" nel 1937, per conto delle edizioni Hoepli di Milano. Tra i vari ringraziamenti che Guenon rivolgeva ad Evola, uno diceva in particolare: "La ringrazio per aver scritto ad R. Spann (4) ; stavo giusto per dare il suo indirizzo a Priau, che 'accentra' ogni cosa relativa alle traduzioni in tedesco..." La nota relativa, che lascio nel testo inglese, dice: (4): this is Rafael Spann, son of the more famous Otto Spann (1878-1950), the economist who invented the 'Organic State'. It seems that Rafael Spann, together with Evola (who was often in Vienna) and others formed a mysterious Chronidenbund or 'Bond of the Chronides'. Arvo: La chiave per comprendere la genesi del Kronidenbund è fornita da Evola, in quel capitolo de "Il Cammino del Cinabro", intitolato "L'azione in Germania", dal quale sono tratte tutte le citazioni, da me fatte nel testo che segue. In Germania, al contrario che in Italia ove era stata ignorata dalla cultura ufficiale fascista, la sua opera Rivolta contro il Mondo Moderno aveva ricevuto molti consensi, non tanto dal nazionalsocialismo, bensì da quanti avevano già apprezzato "vari scrittori - Moeller van der Bruck, H. Blüher, E. Jünger, von Salomon ecc. - la cui corrente, non disgiunta dal combattentismo e dal lealismo monarchico, nel primo dopoguerra era stata designata come quella di una 'rivoluzione conservatrice'. " Secondo Evola, nel nazionalsocialismo vi erano cose da emendare, ad es. occorreva "affrontare il cosiddetto 'razzismo' e si presentava il compito di rettificare le esigenze che in Germania avevano alimentato questa tendenza, spesso su di un piano più che problematico". Tuttavia, vi erano anche cose più facilmente plausibili di una corretta assunzione: "soprattutto l'Ordensstaatsgedanke, cioè l'ideale di uno Stato retto non da una qualche 'classe dirigente' democratica, bensì da un Ordine, da una élite formata da un'idea, da una tradizione, da una severa disciplina, da un medesimo stile di vita ". Continua Evola: "Dunque fu in tale quadro e su tale direzione che io in Europa centrale svolsi fino al periodo
della seconda guerra mondiale una attività, oltre che con gli scritti indicati, con conferenze e attraverso contatti vari. Ho detto 'Europa centrale', perchè un suolo assai fecondo era anche presentato da Vienna, dove spesso trascorsi l'inverno e dove entrai in relazione con esponenti della Destra e dell'antica aristocrazia, inoltre col gruppo facente capo al filosofo Othmar Spann, agente sulla stessa linea. Qui vi fu una mia stretta collaborazione col principe K.A. Rohan, che disponeva di una importante rete di relazioni". Il nucleo viennese dell'auspicato Ordine si chiamò Kronidenbund (1), cioè Lega dei Chronidi, da Kronos o Chronos, dio greco del tempo, equivalente al dio romano Saturno, sovrano dell'Età dell'Oro. Kronos, secondo il mito, venne detronizzato da Zeus, che lo gettò dal carro, esiliandolo in un'isola desertica ove dimora addormentato perché, essendo immortale, in realtà non può morire: dorme avvolto in lini funerari, fino a quando non verrà il tempo del suo risveglio, nel quale rinascerà, non in sembianze di vecchio, ma di bambino. La sua rinascita coinciderà con l'inizio del nuovo ciclo. I Chronidi sono perciò i suoi seguaci, votati ad operare il suo risveglio. Essendo il vero dio delle origini, la sua rinascita è il miglior simbolo di una corretta e spiritualmente orientata "rivoluzione conservatrice", altrimenti interpretabile come mera conservazione di fortune nobiliari ed economiche. (1) E non Kronenbund (= Lega delle Corone) come ha riferito, nel suo intervento, DavPan, probabilmente citando la nota alla lettera di Guénon, senza averne il testo davanti agli occhi. DavPan: Thank you Tullio e Arvo for clarifying the name Kronidenbund. I must admit that I'm somewhat puzzeled by this group. I've never come across this name before in any writing by or on Evola. Waldner's article suggests the Viennese group led by Evola dealt possibly with metaphysical matters. Could the Kronidenbund have been an internal group, a cenacle directed by Evola in a manner reminiscent of the Gruppo di Ur? It would be worthwhile to investigate the source of the Kronidenbund reference. Access to the Spann archives would be invaluable. EA: Le parole di Evola, citate da Arvo, indicano chiaramente che il Kronidenbund aveva un carattere spirituale, ma se le condizioni politiche dell'Europa centrale si fossero rivelate favorevoli, esso avrebbe costituito un nucleo già pronto a far parte del più ampio Ordine vagheggiato. Nello stesso capitolo, citato da Arvo, Evola infatti aggiunge: "Si affacciò anche l'idea, ben vista dagli accennati ambienti, di coordinare gli elementi che nell'Europa in genere potevano rappresentare in una qualche misura il pensiero tradizionale sul piano politico-culturale. E' a tal fine, per prendere contatti adeguati, che intorno al 1936 intrapresi alcuni viaggi in Europa. In uno di essi, in Romania, feci la conoscenza personale di Cornelio Codreanu...". Finita la guerra, fu evidente che il momento politico era divenuto sfavorevole, ma non per questo cessò l'attività più propriamente spirituale di quel gruppo, della quale fu testimone indiretto F.Waldner. Più che al Gruppo di Ur, paragonerei il Kronidenbund al gruppo (con obiettivi spirituali, ma anche politici in senso vasto) che diede vita alla successiva rivista "La Torre", tra i collaboratori della quale rimasero solo pochi membri di Ur, come E.Servadio, D.Rudatis, G.De Giorgio, G.Comi. Fu proprio per interessamento di Comi che, nel 1948, la Croce Rossa Italiana, riuscì a far tornare in Italia Evola, ricoverato in Austria ormai da tre anni per la nota infermità agli arti inferiori, causata da un bombardamento. Per concludere, se La Torre fu espressione di un tentativo "superfascista" (nel senso di un tentato raddrizzamento spirituale del Fascismo), il Kronidenbund rappresentò una prima concretizzazione di un tentativo "supernazionalsocialista". 1.1) Il Gruppo di Ur dopo la cessazione della rivista Afrodisia: Sto leggendo il numero speciale della Cittadella (23-25) dedicato a Reghini. Ho trovato interessanti, per quanto riguarda gli argomenti specifici dei quali si occupa il nostro forum, alcune informazioni fornite da Gennaro d'Uva nel saggio "Il Pitagorismo magico ed iniziatico di A. Reghini". L'autore fa presente che, dopo la rottura con Evola nel 1928, l'attività rituale della catena fu continuata da Reghini, Parise ed altri, almeno fino agli anni Quaranta. D'Uva cita, a questo proposito, una lettera di Del Massa datata 25 Luglio 1933, ma anche il saggio di Targestum, "Notizie e Considerazioni su A. Reghini e il Gruppo di Ur" (apparso ne La Loggia n° 81, 1996), e una testimonianza orale di Marino de Forheger, appartenente al medesimo gruppo massonico. Secondo queste due ultime testimonianze, il triestino Flavio Cusin, nel 1935, essendo divenute introvabili le riviste Ur e Krur, si rivolse direttamente ad Evola e questi lo mise in contatto con un capitano degli alpini residente a Trieste. Chiedendo di far parte del Gruppo di Ur, si recò a Roma assieme al capitano e "fu inserito fra questi e Reghini". Essendo morto il capitano durante la campagna di Grecia, Cusin si sarebbe recato da Reghini nel 45-46 per chiedere lumi. Reghini avrebbe fatto presente che "La forza della Catena di Ur non poteva più essere evocata e perciò rientrava nell'ambito delle possibilità, con ciò cessava la operatività del gruppo e dei singoli" e non restava che la Massoneria. Ea: Le testimonianze raccolte da G. d'Uva costituiscono delle utili conferme. La lettera di Del Massa del 1933, ove egli auspica di poter entrare a far parte del gruppo di cui Reghini gli ha appena parlato, conferma che, come viene detto, più oltre, in questo stesso quaderno, Del Massa non ne faceva parte all'epoca della pubblicazione di Ur/Krur. Per quanto riguarda l'atteggiamento di Evola, egli aveva l'abitudine di indirizzare verso quei gruppi che gli sembravano più affini alle attitudini di chi gli si presentava. M. Scaligero, in Testimonianze su Evola, ha affermato che, tra gli indirizzi più frequentemente indicati, vi erano quelli del kremmerziano Bonabitacola e
dello steineriano Colazza. Lo stesso D'Uva cita il fatto che un altro personaggio presentatosi ad Evola assieme al Cusin, venisse indirizzato invece, per le sue origini ebraiche, allo studio della Kabbalà e divenisse successivamente discepolo di Scholem. Nulla di strano quindi che, avendo Evola interrotto le "esperienze di catena", come dice ne Il Cammino del Cinabro, inviasse Cusin a chi le continuava, cioè a Reghini e al suo gruppo. Riguardo all'affermazione fatta da Reghini, pochi mesi prima della sua morte, della sopravvenuta interruzione del contatto con la forza della catena di Ur, D'Uva l'interpreta come dovuta al cambiamento dell'ambiente italico nell'immediato dopoguerra, non più propizio ad un contatto con la Tradizione Romana. Non siamo di questo parere. Come infatti riferisce D'Uva medesimo, Reghini parla del contatto specifico con la catena di Ur e non di quello più generale con la Tradizione Romana. La sua affermazione si giustifica col fatto che alcuni membri della catena erano morti (ed in particolare il "superiore gerarchico" di Cusin era morto nella campagna di Grecia) e Reghini stesso probabilmente sentiva prossima la sua fine terrena. Luce: Infatti Cusin venne inserito, nella catena, tra il capitano triestino e Reghini. La morte del capitano rompeva la catena in un punto, impedendo la circolazione della "forza", proprio come l'apertura di un circuito elettrico ferma il flusso della corrente. Naturalmente Reghini non parla di un impedimento definitivo, ma solo di una forza che ritorna allo stato di mera possibilità, di potenzialità, soprattutto se, come ha ipotizzato Ea, egli sentiva prossima la sua fine terrena, che avrebbe creato un'ulteriore falla nel circuito della forza. Anche l'affermazione riguardante la Massoneria non è da interpretarsi in senso generico. Reghini non stava dicendo che l'unica forma valida rimasta d'iniziazione fosse la Massoneria, giacchè all'iniziato, già da tempo operativo, Cusin ciò, in fondo, importava poco. Reghini voleva significare che l'eventuale ripristino della forza stessa era subordinato al non facile compito di trovare dei sostituti altrettanto validi, e perciò consigliava Cusin di trarre forza, almeno momentaneamente, dalla "Catena d'Unione" della Massoneria. Deo Ame: Ciò è in accordo con quanto viene detto nel saggio "Opus Magicum: Le catene" del I vol. di Introduzione alla Magia: "L'ente di una catena che si continua nelle generazioni, attraverso i membri di una comunità o di una scuola iniziatica, riassume in sè una tradizione, la cui luce e potenza non si dissolvono per una eventuale interruzione nella trasmissione sul piano fisico, ma entrano in uno stato virtuale, donde possono essere richiamate in qualsiasi momento ed in qualunque luogo da chi, con la retta intenzione, riprenda ad operare secondo i riti, usando i segni ed i simboli di tale tradizione".
*** 2) I Membri dell'O.E. I personaggi più misteriosi presenti nel Gruppo di Ur erano membri dell'Ordine Egizio. Negli scritti sul Gruppo di Ur si parla genericamente della presenza di kremmerziani, ma questo termine è riduttivo, l'Ordine non riducendosi certo al solo Kremmerz (si veda in proposito il quaderno Nuovi Dialoghi sull'Ermetismo). Volutamente essi hanno mantenuto segreti quasi tutti gli aspetti della loro vita e noi rispetteremo tale loro volontà, dicendo solo quanto basta. Di uno di essi "Alba" (Elika del Drago) si dirà nel capitolo dedicato ai membri antroposofi.
2.1) Primo Sole e Nilius (Antonio de Santis) Come si evince dal brano iniziale degli Statuti dell'Ordine Egizio, il sigillo generale di quel Grande Oriente era "il sole che esce o si leva dal mare", il "primo sole". E Primo Sole fu lo pseudonimo con il quale il dott. Antonio de Santis (1), allora Gran Maestro di quel Grande Oriente, firmò il suo unico saggio, comparso nella seconda annata della rivista Ur. Come indica anche il suo jeronimo, con cui era conosciuto nell'O.E., e cioè Philaletes Jatricus (2), egli era uno jatrochimico alla maniera di Paracelso. Molto appropriatamente il suo saggio si intitolava "La virtù dei nomi e il simbolismo anatomico" e si soffermava, tra le altre cose, sull'Idrogeno e sul suo simbolo. Quando Ur e Krur si trasformarono in Introduzione alla Magia (1955-56), il saggio di De Santis avrebbe avuto bisogno di qualche ritocco, giacchè egli aveva preso spunto da peculiarità proprie della chimica
degli Anni Venti. Preferì ne fosse pubblicato un altro, dal titolo "Farmaco e Veleno" dove, da buon jatrochimico, accennò agli aspetti spirituali, che stanno "dietro" ad es. a pratiche curative come l'omeopatia. Questa volta, per sottolineare meglio l'appartenenza a quell'Eggregore Nilense che anima l'Ordine Egizio, si firmò con lo pseudonimo di Nilius. I due saggi, anche da un punto di vista sequenziale, occupano praticamente lo stesso punto dell'opera. Infatti, il saggio firmato Primo Sole precedeva il saggio di Ea, dedicato all'esoterismo e alla morale, mentre quello firmato Nilius lo segue immediatamente. (1) Altre notizie su di lui si possono trovare nel quaderno Nuovi Dialoghi sull'Ermetismo (IV Dialogo). (2) Un testo recente (L'Arcano degli Arcani Viareggio 2005) assegna erroneamente lo ieronimo Filaletes Iatricus al colonnello Pasquale Antonio de Santis, nato nel 1827 a Campobasso, che fu sì membro dell'O.E., ma di una precedente generazione (era il nonno).
2.2) Apro (Francesco Proto da Atrani) Il prof. Renato del Ponte (op. citata) ha proposto di assegnare lo pseudonimo Apro al prof. Emilio Servadio, assieme a quello (trasparente) di Es, dal momento che il saggio scritto da Apro su Krur, I Cicli della Coscienza, è di contenuto che, in senso lato, può definirsi psicologico. Infatti, in quel saggio, si parla di una congrua estensione del fenomeno e del concetto di "arco riflesso" a tutti e quattro i corpi ermetici. Tuttavia il prof. Servadio non è mai stato ufficialmente un cultore della "riflessologia", neppure nel periodo precedente alla sua fase psicoanalitica, ed è ben difficile che uno psicologo di professione, come lui, potesse tacere completamente dei principi dottrinari su cui si basava. Da altre fonti sappiamo invece che Apro fu lo pseudonimo adottato da Francesco Proto da Atrani (1889-1957), uno dei discepoli diretti di Giustiniano Lebano.
2.3) ABRAXA-TIKAIPOS (Ercole Quadrelli) Come si approfondirà nel capitolo dedicato ad Ekatlos, l'O.E. fece effettivamente del suo meglio per condurre B. Mussolini sul giusto sentiero, utilizzando anche uno dei suoi uomini migliori, sotto ogni punto di vista: Ercole Quadrelli. Mussolini lo ebbe in alta stima, tanto da inserirlo tra i primissimi collaboratori della rivista Gerarchia, da lui personalmente fondata nel 1922 e che fu la rivista ufficiale del fascismo. Nel n.1 (gen. 1922) alle pagg. 218-228 può trovarsi un lungo saggio filosofico-scientifico di Ercole Quadrelli, intitolato "Vizi d'origine e di sviluppo nella relatività d'Einstein". Purtroppo il delitto Matteotti cancellò molte illusioni e il successivo e fatale pestaggio di Giovanni Amendola suonò quasi da monito al mondo degli esoteristi. I successivi patti lateranensi confermarono che il limite del fascismo era, nella migliore delle ipotesi, la comune religiosità cattolica. L'adesione ad una concezione della razza meramente biologica confermò la mancanza di una sia pur teorica dimensione spirituale da parte di quel movimento politico. Nell'ambito di Ur, Quadrelli adoperò gli pseudonimi di Abraxa e Tikaipos. Il primo pseudonimo venne utilizzato per gli insegnamenti orali di Quadrelli, che Evola mise per iscritto. Il secondo per i saggi, soprattutto traduzioni, scritti direttamente da Quadrelli. Era infatti un eccellente latinista e grecista. Piuttosto nota è ad es. la sua traduzione dal latino del testo di Abelardo ed Eloisa, Lettere d'amore, Roma, Formiggini, 1927, con la prefazione di Antonio Bruers. Nel quaderno I Fedeli d'Amore, abbiamo già pubblicato l'omonimo saggio di Ercole Quadrelli, estratto da "Il progresso religioso" n°2, Rivista bimestrale del movimento contemporaneo, Città di Castello, 1929. Tra i motivi della sua importanza, abbiamo indicato, oltre ai riferimenti ad Ur e al ridimensionamento di Guenon, il particolare stile letterario, differente da quello usato da Evola nel trascrivere i suoi insegnamenti. Quadrelli utilizzò il trasparente pseudonimo di Abraxa-Quadreracles nel curare due opere di Alchimia: - Parafraste Ocella - Il chimico Crivello (Chymica Vannus), Milano, 1983; (postuma) - J. De Monte - Snyder- Commentario sul farmaco Cattolico, Milano 1974. Di quest'ultimo ci siamo occupati nel quaderno La Porta Ermetica di Roma, perchè riporta sette simboli praticamente identici a quelli degli stipiti e del gradino della porta. Una parziale traduzione, con lo pseudonimo di Tikaipos, si trova già nel primo volume di Introduzione alla Magia, con il titolo De Pharmaco Catholico. La Collezione Verginelli-Rota di libri alchemici e manoscritti contiene, nella sezione XX Secolo, al numero 56, un manoscritto di Ercole Quadrelli, dal titolo Excerpta ex Alchymiae Scriptoribus. Lo pseudonimo Abraxa è semplicemente la forma italiana della divinità greco-alessandrina Abraxas.
Tikaipôs è invece l'unione di tre parole greche, cioè corrisponde all'espressione piuttosto comune "Ti kai pôs" = "qualcosa e in qualche modo", usata anche in senso interrogativo: "che cosa e in che modo?". Sono le due domande abituali di qualsiasi traduttore: "che cosa significa la tal parola?" e "in che modo si colloca all'interno della frase?".
*** 3) EA e IAGLA (Julius Evola)
Iagla
Ea
Come ha indicato Renato del Ponte (p. 50, op.cit.) fu Evola stesso a riconoscere la paternità dei saggi firmati Ea, dal momento che, in una intervista concessa alla rivista Arthos (1972), riconobbe esplicitamente come suo il saggio di Ea "Sui limiti della regolarità iniziatica" (III vol. di Intrd. Alla Magia). Con tale pseudonimo (prima e ultima lettera del suo cognome) Evola indicò il suo grado di Neofita nell'ambito dell'O.E. Dice infatti Kremmerz nel Mondo Secreto (Anno 1989- Elementi della Magia Naturale e Divina- Parte II - I Misteri della Taumaturgia IV) in relazione agli aforismi di Iriz Ben Assir: "Questi aforismi di prima magia non sono mai stati stampati in Occidente e fanno parte dei quaderni iniziatici del Grande Oriente Egizio, ai neofiti del quale ordine i dodici aforismi si danno senza commenti e si consiglia di impararli letteralmente a memoria". Negli aforismi il dio creatore ed iniziatore è appunto Èa. Evola usò abitualmente la firma Ea per i suoi saggi di carattere dottrinario, perchè quegli aforismi sono appunto una sintesi della dottrina iniziatica. I saggi relativi alle sue esperienze pregresse, e perciò più personali, sono invece firmati con lo pseudonimo IAGLA, acronimo alchimico, che esprime il superamento delle preliminari "prove degli elementi": Ignem Ardentem Gnosco et Lavantem Aquam. Nel saggio "La legge degli enti" (Ur 1927) Iagla parla di un suo uso giovanile delle droghe precisando, in un passo espunto nelle successive edizioni : " Iniziai le pratiche in piena guerra, in alta montagna, a 500 metri dal nemico" ed è noto che, nella sua biografia Il Cammino del cinabro, Evola parla sia di sue esperienze giovanili con la droga, sia della sua partecipazione alla Grande Guerra in un reparto di artiglieria di montagna. Per evidenti motivi di riservatezza, Evola nascose l'identità di Iagla anche ad alcuni membri di Ur. Infatti, in "Diffida contro Ignis", (Krur, febbraio 1929), tra le altre cose, dice di Reghini: "E' stato incapace di riconoscere chi gli stava ad un
passo e che per due anni gli ammannì degli scritti, da lui esaminati con considerazione, senza menomamente sospettarne l'autore".
3.1) Evola e la Grande Guerra
Viene talvolta chiesto come mai Evola avesse, in linea di massima, un giudizio negativo del Risorgimento italiano, visto che l'O.E. di tale Risorgimento fu sovente animatore, se non protagonista. Penso che la chiave dell'atteggiamento di Evola si possa trovare nel capitolo iniziale de "Il Cammino del Cinabro" ove, descrivendo il periodo dell'imminente Prima Guerra Mondiale, a cui partecipò come ufficiale di artiglieria, ha detto: "Mi ricordo che a quel tempo scrissi un articolo in cui sostenevo che, anche a voler combattere non a fianco della Germania ma contro di essa, lo si sarebbe dovuto fare sposando i suoi stessi principi, non già in nome delle ideologie nazionalistiche e irredentistiche, o di quelle democratiche, sentimentali e ipocrite della propaganda alleata. ... A partire dal lontano 1915, a tale riguardo il mio atteggiamento doveva rimanere immutato, essendo stato successivamente rafforzato dalla mia conoscenza diretta della realtà dell'Europa centrale". Si può essere d'accordo con lui sul fatto che l'Italia, nuovamente e quasi completamente riunitasi attorno a Roma, avrebbe potuto, di contro all'imperialismo tedesco, rivendicare legittimamente per sé il diritto all'imperium. Tuttavia , anche nell'antichità, Roma trasmise al resto del mondo occidentale la sua "legge", solo dopo che potè contare sul supporto dell'Italia intera. Così che, senza pretendere di più dal momento storico di inizio Novecento, si sarebbe potuto benissimo accettare una fase di preliminare irredentismo nazionalistico a cui, una volta ridevenuti padroni in casa propria, sarebbe potuta seguire una fase di più concreta e plausibile rivendicazione dell'imperium. Lo stesso Reghini, che coltivò prima di Evola l'ideale di un Imperialismo Pagano, fu a quell'epoca "interventista". Per quanto riguarda il problema democrazia-aristocrazia ad Evola, e ancor più a Guenon, sono probabilmente sfuggiti due aspetti fondamentali di esso: 1) Non vi è uomo al mondo il quale non converrebbe che sono "i migliori" (gr: oi aristoi) in senso superiore e spirituale (e non in base a meri criteri di sangue, economici o di fama) a dover governare. Il problema sta nel decidere quale sia il modo più efficace per scegliere questi "migliori" e porli nel posto gerarchicamente più consono e conveniente. Dal punto di vista iniziatico, il problema non si pone, perchè la gerarchia è creata "ipso facto" dai risultati che ciascuno ottiene con la propria ascesi e il posto che compete, non dipendendo dal formale riconoscimento altrui, è inalienabile. Non è così in politica ove, come già dimostrò la "Secessione dell'Aventino" nei lontani tempi di Menenio Agrippa, il riconoscimento altrui è indispensabile. Quel che ci si può aspettare da una élite iniziatica, in qualsiasi periodo storico, è che influenzi, per quel che può e senza rischiare la propria sussistenza e trasmissione, il mondo che la circonda; tenendo conto, per non ridursi a combattere contro i mulini a vento, dei difetti di quel mondo, proprio come un qualsivoglia insegnante, che non può semplicemente mettersi a sproloquiare, ma deve tener presenti le caratteristiche dei suoi allievi. 2) La stessa legge dei cicli cosmici, per quel che può valere una "legge" temporale in un mondo che noi reputiamo "magico", prevede che all'inizio di un ciclo vi sia una "casta unica", la quale solo successivamente si specializza in più caste da intendersi (nel loro vero significato) non in senso economico o di sangue, ma come differenti "nature interiori". Di conseguenza, alla fine di un ciclo, poichè (a meno di catastrofi) "natura non facit saltus" si viene, con ogni probabilità, ad avere quel che Frater Petrus, in questo Forum, ha definito la "preliminare brutta copia" della successiva e "primordiale" (per il ciclo che viene) casta unica. Nella "brutta copia" non può che esser soggetta a "nigredo", e perciò relativizzarsi, tutto ciò che è gerarchia artificiale. Di ciò non bisogna spaventarsi, perchè se l'élite è capace di rimanere salda nei suoi propositi iniziatici e nello stesso tempo "inafferrabile" sul piano politico, la gerarchia effettiva non verrà toccata e la temibile forza del "demos", proprio come un risvegliato Basilisco Filosofale, "arderà solo i metalli imperfetti". Perciò dei due atteggiamenti che Evola, successivamente, ebbe a proporre, espressi rispettivamente ne "Gli Uomini e le Rovine" e in "Cavalcare la Tigre", è solo il secondo ad aver, per noi, più di una probabilità di vittoria. Purchè ci si prepari e si rimanga attenti alle prime avvisaglie del momento in cui la "tigre", stanca di correre, si fermerà.
3.2) Evola e la Lega Teosofica Riassumiamo qui di seguito l'attività pubblica di Evola, quale studioso di esoterismo, nel periodo che precedette Ur. Esaminiamo in primo luogo alcuni aspetti del rapporto di Evola con la Lega Teosofica Indipendente, fondata da Decio Calvari. Nel 1923, Evola tenne a Roma una conferenza, patrocinata da Ultra la rivista della Lega Teosofica, sul tema L'Idealismo, l'Occultismo e il Problema dello Spirito Moderno. Dalla conferenza Evola trasse un articolo, pubblicato su Ultra, con un titolo di poco diverso, dove l'aggettivo "contemporaneo" sostituiva "moderno". Fu
con ogni probabilità il primo scritto di Evola, riguardante temi filosofico-spirituali. In tale articolo egli dichiarò che la Teosofia della Blavatsky e l'Antroposofia di Steiner sono i soli mezzi "esoterici e magici" dai quali l'uomo moderno può essere aiutato nella sua "costruzione dell'immortalità". Tali correnti di pensiero si situerebbero in una lunga tradizione filosofica che va da Kant all'idealismo tedesco, a Nietzsche ed all'individualismo di Stirner. L'occultismo teosofico avrebbe soltanto il difetto di non essere pari, a livello teorico, alle altezze speculative e alle posizioni gnoseologiche, raggiunte dalla tradizione idealista. Evola tuttavia riteneva che l'insufficienza gnoseologica e, più in generale, teorica della Teosofia potesse essere integrata con l'ontologia idealista, in modo da pervenire ad un "idealismo magico", che fosse la fusione culturale di queste due concezioni. Nel 1924, Evola proseguì nella collaborazione con Ultra e con la Lega Teosofica. Si può ricordare in particolare, la conferenza "La Potenza Come Valore Metafisico", pubblicata anche su Ultra, ed un altro articolo dedicato alla Scuola della Sapienza di Hermann Keyserling. Durante quest'anno si rafforzarono anche le relazioni di Evola con gli ambienti culturali massonici ed egli scrisse in Atanor, il periodico pubblicato da Reghini. Si avvicinò inoltre ad una corrente antifascista capeggiata da personalità come Giovanni Amendola, Giovanni Antonio Colonna di Cesarò e Adriano Tilgher, collaborando al quotidiano Il Mondo, fondato nel 1922 da Amendola. Iniziò infine la collaborazione con la rivista L'Idealismo Realistico di Vittore Marchi, che proseguì fino al 1928. Nel 1925, Evola continuò la sua collaborazione ad Ultra ed iniziò quella con Bilychnis (che durerà fino al 1931). Nello stesso anno collaborò ai "Corsi di cultura spirituale", organizzati dalla Lega Teosofica di Roma, assieme a Decio Calvari, a Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, allo psicologo Roberto Assagioli, ai filosofi Adriano Tilgher e Bernardino Varisco, all'orientalista Giuseppe Tucci, ai poeti Arturo Onofri, Nicola Moscardelli e Luigi Volpicelli. Tra le conferenze di Evola si possono ricordare "L'Individuo e il Processo del Mondo" (poi pubblicata su Ultra come "L'Individuo e il Divenire del Mondo"), "Il Concetto Esoterico delle Purificazioni" (poi pubblicata su Bylichnis col titolo "La Purità Come Valore Metafisico") e "Nietzsche e la Sapienza dei Misteri" (poi pubblicata su Ignis col titolo "Dioniso"). Nel frattempo, infatti, Evola continuava anche la collaborazione con Reghini, nella nuova rivista Ignis. Quell'anno si verificò un avvenimento chiave, che determinò una falla nel movimento spiritualista italiano, che stava procedendo con variegate prese di posizione, ma tutto sommato armoniosamente: Rudolf Steiner morì il 30 marzo 1925, a Dornach. L'occasione della morte di Steiner suggerì a Guénon, collaboratore di Ignis e corrispondente di Reghini, che era possibile dare inizio ad una, oggi ormai nota, azione sobillatrice e demolitrice. Scrivendo a Reghini in una lettera datata 21 Aprile 1925, Guénon, con apparente noncuranza, disse: "Non sapevo che Steiner fosse morto; credo che sarebbe bene cercare di stendere un articolo su di lui, dicendo chiaramente cosa ne pensate, senza preoccuparvi troppo dell'opinione della gente". Guénon suggeriva dunque un bel "necrologio", che, dopo la morte fisica, determinasse possibilmente anche quella culturale di Steiner. Reghini non scrisse l'articolo direttamente, ma nel numero di Giugno/Luglio 1925 di Ignis, uscì il saggio di Evola "Che cosa vuole l'Antroposofia di R. Steiner", in cui egli criticò lo studioso austriaco dal punto di vista dell'idealismo magico. Si trattò di un saggio filosoficamente interessante (io ritengo di qualità superiore ai successivi scritti di Evola su Steiner), ma che pretendeva di assegnare a Steiner un atteggiamento "contemplativo" in cui, come altri ha fatto notare nel Quaderno "Reincarnazione, Rinascita, Trasmigrazione e Palingenesi", ben difficilmente egli si sarebbe riconosciuto. Questo atteggiamento critico, destinato a non mutare nel tempo, fu sopportato, per un certo periodo, dagli antroposofi amici di Evola, ma, finita l'esperienza di Ur/Krur, portò ad un progressivo raffreddamento tra lui e la corrente antroposofica, che peraltro non mosse un dito in occasione della lite tra Evola e Reghini, ritenendo questi, in buona parte, responsabile dell'attacco di Evola a Steiner. Ne "Il Cammino del Cinabro", Evola scrive: "Debbo a Decio Calvari le prime notizie sul tantrismo. Ma, poco dopo, presi un contatto diretto con sir Jhon Woodroffe (Arthur Avalon), principale e serio studioso di tale corrente e dalle opere sue e dai testi originali indù da lui pubblicati trassi il materiale che doveva servire di base al mio libro 'L'Uomo come Potenza' del 1925 (poi ribattezzato nel 1949 in Lo Yoga della Potenza)". La prima parte del libro fu pubblicata in anteprima in tre numeri successivi (2-3-4) della rivista Ultra, sotto il titolo "Il problema di Oriente e Occidente e la teoria della conoscenza secondo il Tantra". Sempre nel 1925, come si è ampiamente trattato nel Quaderno "La Polemica Evola-Guenon sul Vedanta", al quale rimandiamo, comparve nella rivista "Idealismo Realistico" la recensione di Evola dell'opera guenoniana "L'Uomo e il suo Divenire secondo il Vedanta". La risposta di Guenon, assieme ad una replica di Evola, venne pubblicata in un numero dell'anno successivo. Nel n° 3 di Ultra del Luglio 1925 uscì anche una recensione di Vittorino Vezzani dei "Saggi sull'Idealismo Magico". Nella conclusione Vezzani dice: "La concezione fondamentale di Evola ricorre come metodo di sviluppo ad una via che sotto alcuni aspetti si avvicina a quella dello Yoga indiano e del moderno occultismo. Tuttavia, malgrado questo lato comune, e l'accettazione di molti elementi metapsichici, sembra a noi che il pensiero dell'Autore essenzialmente si distacchi da quello che rappresenta le linee direttive della nostra veduta (La teosofia). Fra molte altre cose, noi non possiamo accogliere la svalutazione che egli fa del misticismo e il poco conto in cui egli sembra tenere l'elemento etico. Siamo lieti, tuttavia, che l'ampia coltura e l'audace intelletto dell'Evola servano a porre innanzi al pensiero moderno ciò che è vivo e fecondo nei campi della
magica e della mistica, a chiarire molti punti sostanziali e a richiamare l'attenzione degli studiosi su queste vie di elevazione dell'uomo". Vezzani, che era uno dei maggiori saggisti di Ultra, aiutò peraltro Evola a far pubblicare Teoria dell'Individuo Assoluto. Nel n° 3 -1926 della rivista Ultra, Evola pubblicò il saggio intitolato "La via della realizzazione di sé secondo i misteri di Mithra" (vedi quaderno XI parte C: Filosofia e Religione) Il 30 Maggio 1926 arrivò in Italia il poeta bengalese Rabindranath Tagore (1861-1941). Invitato ufficialmente dal governo, fu ricevuto due volte da Benito Mussolini e dal re Vittorio Emanuele III. Incontrò anche Benedetto Croce e fu accompagnato durante tutto il suo soggiorno dal vicepresidente della Lega Teosofica Roberto Assagioli, che ottenne da lui un'intervista per i membri della redazione di Ultra, tra i quali era presente (ma poco convinto) Evola. La crisi ideologica tra quest'ultimo e la Lega teosofica stava per acuirsi. Nel Gennaio 1927 Evola pubblicò il primo numero di Ur. Nel medesimo periodo comparve su Ultra una critica di Vittorino Vezzani al citato libro di Evola sul tantrismo, l'Uomo come Potenza. Pur elogiando il "giovane e brillante autore", Vezzani ne evidenziò l'anticristianesimo e definì l'idealismo magico come "né morale, né religioso, bensì al di sotto di una moralità e di una religione che non comprende. È amorale ed irreligioso e costituisce quindi una linea di sviluppo infra-umana tragicamente pericolosa per chiunque possa seguirlo in particolare e per l'umanità in generale ". L'articolo di Vezzani innescò una accesa polemica che continuò nei numeri seguenti di Ultra. Evola ribadì il suo concetto di dio come una semplice possibilità dell'individuo, affermando che quest'ultimo, costruendo la sua immortalità, deve operare "al di là del bene e del male", con un processo magico simile "al processo chimico nella formazione della dinamite che non è né bene né male, ma semplicemente possibile. Il bene ed il male riguardando soltanto l'impiego che si può fare della dinamite ". Vezzani da parte sua, riconfermando quanto detto già a partire dalla recensione dei Saggi sull'Idealismo Magico, riteneva la morale fondamentale non solo per la religione, ma anche in ambito iniziatico e contestava ogni "sviluppo autonomo in opposizione con la divinità, che voglia rompere le sue leggi". Difendeva inoltre i valori d'amore e di carità, fondamentali in tutte le tradizioni, a cominciare dal buddhismo Mahayana. In un lungo saggio, apparso nel Novembre 1927 in Bilychnis, "Il Valore dell'Occultismo nella Cultura Contemporanea", Evola scrisse: "Effettivamente non vi è nulla di peggio che trasformare l'occultismo, che è soltanto un sistema di pratica ed esperienze trascendenti, in una qualunque dottrina, filosofia o credenza, la quale da tutti sia accettabile e pensabile: ciò porta soltanto ad una completa perversione delle cose, ad ibride creature che dinnanzi alla moderna cultura critica e filosofica non possono apparire che come ingenue sopravvivenze. E di ciò è il più chiaro esempio quanto come occultismo è stato oggi messo in circolazione dallo spiritismo, dal teosofismo anglo-indiano, dall'antroposofia dello Steiner ed affini". Inutile dire che tale critica coinvolgeva, pur non dicendolo egli apertamente (cosa che sarebbe stata tuttavia preferibile), la stessa sua Teoria e Fenomenologia dell'Individuo Assoluto, che era anch'essa trasformazione dell'occultismo in dottrina e filosofia. Si consumava così la rottura di Evola con la teosofia, ma finiva anche il cosiddetto "periodo filosofico" della sua vita. Alcuni anni più tardi, ritornando criticamente sulla teosofia anglo-indiana, Evola riconobbe la qualità e la dignità di alcune personalità dell'ambiente teosofico europeo, tra le quali Decio Calvari (1). 1) Julius Evola, Critica alla Teosofia, La Torre, 1/10, 15 giugno 1930; si veda anche il cap. Il Periodo Speculativo, ne Il Cammino del Cinabro. Per l'idealista Evola, la rottura (soprattutto ideologica, perchè certi rapporti umani continuarono) del rapporto con gli ambienti teosofici non era che l'espressione esteriore di un suo mutamento interiore: l'abbandono di quel tentativo di esposizione filosofica delle pratiche iniziatiche, che gli stava procurando non trascurabili impedimenti nei rapporti con l'occultismo effettivo (l'O.E. per intenderci). Peraltro, nel citato saggio "Il Valore dell'Occultismo nella Cultura Contemporanea", Evola esagerava: se bisognasse rinunciare a qualsivoglia esposizione dottrinaria delle pratiche iniziatiche, allora egli stesso avrebbe dovuto, non solo abbandonare l'esposizione filosofica delle medesime, ma ... tacere semplicemente per sempre. Ciò che non poteva reggere, a contatto con l'occultismo vero, era soprattutto il solipsismo evoliano: non si trattava più di sostenere davanti all'uomo comune o a filosofi "superati" l'unicità del suo Io, quale potenziale Individuo Assoluto, ma di farlo di fronte a personalità perfino più forti della sua e perciò con maggior diritto a rivendicare per sé quell'ipotetico unico Io. Del resto, l'anti-vedantino Evola sapeva benissimo che, in un contesto per certi versi simile (anche se privo del soggettivismo idealista), il Samkhya e il Buddhismo rifiutarono la teoria di un unico Atma, giacchè, tra gli altri difetti, essa non rende conto del perchè la realizzazione spirituale sia un fatto individuale. Il silenzioso funerale del solipsismo si ebbe già nel 1927, nella rivista Ur, quando nel saggio "Come poniamo il problema dell'Immortalità" (in Introd. alla Magia poi divenne "Il problema dell'Immortalità") Evola, pur non rinunciando ad una visione aristocratica degli stati post-mortem, riconobbe alla pluralità degli iniziati la possibilità di accedere a tali stati. All'Io si sostituiva dunque ... il Noi.
3.3) Evola Antidemocratico e Antifascista Dal 15 Febbraio 1925 fino alla chiusura nel Dicembre dello stesso anno, Giovanni Antonio Colonna di Cesarò diresse la rivista "Lo Stato democratico. Rassegna quindicinale di Politica", che ospitò diversi interventi dell'"antifascista ma antidemocratico" Julius Evola. Il primo articolo di Evola, intitolato "Stato, Potenza e Libertà" comparve nel n°7 del 1 mag. 1925. In esso egli afferma che il fondamento di giustizia e di legittimità dello stato può risiedere soltanto nel suo potere, termine da intendersi nel suo significato spirituale. E continua: "Ciò posto, che in relazione a quel che potrebbe essere il tipo del dominatore e dello stato conforme al principio dell'assoluta libertà, quello che il recente movimento politico ha fatto affiorare in Italia sia una semplice caricatura, una grottesca parodia, può risultare ad ognuno chiaro. Quel principio di interiore, profonda individuale affermazione che, solo, potrebbe fondarlo, vi è totalmente assente". Infatti, secondo Evola:"Una tale mancanza di formazione interiore si riconferma nel fatto che il movimento in nessun modo ha avuto una radice culturale e spirituale: questa essa ha cercato di farsela poi, dopo che la forza puramente materiale, fattori estrinsechi e compromessi ne avevano realizzato il successo così come l'arricchito cerca poi di comprarsi una educazione e una nobiltà". Nello stesso articolo Evola condanna inoltre fortemente gli atti violenti contro chi ha un pensiero politicamente differente, come nel caso del delegato parlamentare Matteotti, assassinato dai fascisti perché voleva l'annullamento delle elezioni del 1924, il cui risultato era stato inquinato da pressioni minacciose sui votanti. Il successivo articolo "Note critiche sulla dottrina democratica" (Lo Stato Democratico, n° 15) fu preceduto da una introduzione di Colonna di Cesarò, che definì Evola come un rigoroso antidemocratico, ma in definitiva un non fascista. Nell'articolo, Evola espone la teoria, basata su Platone e sul Taoismo, che solo un vero gruppo spirituale dovrebbe avere le redini del potere: allora tutti i problemi politici e ed economici sarebbero risolti. Ritiene inoltre che si possa trovare un tale gruppo in Italia. Infine, nell'articolo "Per un rinnovamento dell'idea politica" (Lo Stato Democratico, 31 Dic. 1925) Evola indica negli intellettuali antifascisti e nel mondo neo-spiritualista e occultista dell'epoca l'ambiente umano che avrebbe potuto generare quel "Gruppo", o "Elite" spirituale, in grado di "propiziare qualcosa di più alto e più puro". Terminate le pubblicazioni della rivista di Colonna di Cesarò, Evola iniziò nel 1926 la sua collaborazione alla rivista "Critica Fascista", fondata e guidata da Giuseppe Bottai (1895-1959), che aveva prestato servizio, durante la guerra, nello stesso reggimento di artiglieria. In "Idee su uno stato come potenza" (Critica Fascista, 1 set.1926) Evola afferma di aver costruito il suo concetto di stato interamente a priori, indipendentemente da una qualunque realtà storica, ma che "a priori" non significa astrattamente. L'idea deve determinare il giudizio sulla realtà e non il contrario. Il compito della speculazione è di accertare quali valori devono essere validi in questo insicuro mondo umano, non quali essi esistono. E se i valori riconosciuti validi non corrispondono alla realtà quotidiana, non si devono per questo chiamarli astratti. Piuttosto, è la volontà e la forza di quegli esseri umani che non vivono fino all'idea che devono essere denominate astratte e pigre. Nel descrivere le caratteristiche di colui che dovrebbe essere a capo del Fascismo, Evola asserisce che tale uomo non dovrà per nulla credere o partecipare emotivamente alle varie idee o miti di cui si serve, ma che, al contrario, dovrà utilizzarli come semplici mezzi, in quanto "le varie idee-forza o miti al dominatore non dovrebbero servire come un appoggio e una condizione, giacchè lui solo deve essere la condizione". In un successivo articolo "Il fascismo quale volontà di impero e il Cristianesimo", apparso in Critica Fascista nel 1927, Evola elogia l'Impero Romano, quale sintesi di sacralità e regalità e quale sistema aristocratico e gerarchico posto sotto un vero capo. Rifiuta invece il Cristianesimo come un tipo di religione e moralità che pretende di essere indipendente dallo stato; e vede nelle sue pretese universalistiche qualcosa che sfocia nell'egualitarismo liberale e nell'umanitarismo, a dispetto della sua retorica anticomunista. L'articolo, insieme ad un analogo sulla rivista "Vita Nova" (III, Novembre 1927), causò attacchi così violenti da parte cattolica, che Bottai non pubblicò neppure le repliche di Evola. Allora egli riprese le medesime idee nell'opera "Imperialismo Pagano, Il fascismo dinnanzi al pericolo euro-cristiano" (Atanor, 1928). Reazioni durissime ci furono anche questa volta e ... non solo da parte cattolica. Vista la legge contro le società segrete e, non volendo "farsi liquidare" troppo facilmente dai suoi critici come massone, Evola citò al minimo Arturo Reghini, che aveva formulato già da tempo un concetto affine di Imperialismo Pagano. L'errore fu probabilmente quello di non accordarsi preventivamente ed esplicitamente, credendo che "a tale riguardo si fosse stati tacitamente d'accordo" (1). La conseguente rottura è a tutti nota. (1) L'espressione è in "L'approccio all'Oriente e il Mito Pagano", Il Cammino del Cinabro, 1972
3.4) Evola e l'Ordine Egizio Nel 1921 un importante membro dell'O.E., il principe Leone Caetani, si trasferì a Vernon in Canada. Ritornò per lunghi periodi in Europa e a Roma, nel 1924, istituì, presso l'Accademia dei Lincei, la Fondazione Caetani per gli studi islamici. In quel frangente, Giovanni Antonio Colonna, duca di Cesarò, presentò il barone Giulio Cesare Andrea Evola al principe Leone Caetani. Al giovane e solipsista Evola, Caetani apparve, almeno in quel momento, come la proiezione, nel mondo materiale, del suo maestro interiore. Nè Evola avrebbe mai potuto concepire diversamente la figura del maestro: non poteva che essere dell'alta aristocrazia, di stirpe ariana, di attitudine guerriera (a 46 anni si arruolò volontario per la Prima Guerra Mondiale), ovviamente esoterista, amante come lui della montagna (esploratore della catena dei Selkirks nelle Montagne Rocciose), amante di una terra così simile a quella degli antichi Iperborei, come il Canada. Ed in Canada Caetani intendeva trasferirsi, in via definitiva, dopo aver venduto tutte le sue proprietà, cosa che potè realizzarsi nel 1927. Evola si risolse presto di seguirlo, come testimonia anche una sua lettera del 1925, inviata all'anti-solipsista per eccellenza, Valentino Annibale Pastore, al quale chiedeva un appoggio per la pubblicazione della sua opera "Teoria dell'Individuo assoluto", dicendo tra le altre cose: "Per me sarebbe essenziale che l'edizione non tardasse molto al più fra un anno e mezzo - per il fatto che alla fine di un tale termine ho deciso di lasciare l'Europa per diversi anni". (vedi Appendice a "Lettere 1955-1974", ediz. La Terra degli Avi) Ma la faccenda della sua partenza al seguito di Caetani non era così semplice, perchè all'O.E. il solipsismo di Evola non piaceva. Sorgevano spontanee tante domande: come può un solipsista rispettare una gerarchia? vedendola unicamente in funzione di sé stesso, non tenterà, anche senza un'effettiva qualificazione, una scalata? E rispetterà il suo maestro? o penserà troppo presto che sia il momento di "uccidere il Buddha incontrato per la strada"? E la sua tendenza ad esporsi letterariamente, in maniera troppo visibile, non metterà a disagio l'Ordine? Non è meglio metterlo alla prova in Italia, innanzitutto dandogli un maestro diverso da quello che egli vuole, e poi affiancandogli altre personalità, così da valutare la sua attitudine ad agire in gruppo? E una tale iniziativa non permetterà inoltre di valutare meglio quell'Arturo Reghini, fedele al suo maestro certamente, ma anch'egli talvolta unilaterale nei punti di vista e troppo litigioso? Fu proprio questa la soluzione adottata ed Evola cambiò i suoi piani, visto che, proprio un anno e mezzo dopo, anzichè andarsene, fondò la rivista Ur. Evola dunque non era estraneo agli ambienti del Grande Oriente Egiziano. Non è un caso che avesse avuto accesso ai "quattro fascicoli" della Miriam, come testimonia l'introduzione a "Avviamento alla magia secondo Giuliano Kremmerz" (in Krur 8-1929) e la nota 129 del cap. XI, parte I de La Tradizione Ermetica, ove Evola indica, quale fonte relativa alla nozione dei quattro elementi, il Fascicolo D della Miriam, che come la nota stessa precisa "fa parte dell'insegnamento segreto di questo contemporaneo continuatore della tradizione ermetica". Non è un caso neppure che egli abbia potuto usufruire degli insegnamenti orali (osiridei) di Ercole Quadrelli, che Evola stesso trascrisse in Ur/Krur con lo pseudonimo di Abraxa. Si può notare anche che nel n°2 di Krur (febbraio 1929), in seguito alla lite con Reghini, Evola pubblicò il già citato inserto intitolato "Diffida contro Ignis", ove nella nota 2 si legge: "Chi sapesse di un "Grande Oriente" con cui si entra in contatto spirituale dopo il 4° grado in una certa organizzazione effettivamente iniziatica, e che più volte ebbe ad esprimersi antimassonicamente, è bene sia avvertito che con tale Grande Oriente quello di Reghini non ha proprio nulla a che vedere (nota di J.E.)". Il riferimento alla Miriam (i cui aderenti non potevano contemporaneamente essere affiliati alla massoneria) e al Grande Oriente Egiziano (nel quale però non sussisteva quel divieto) è evidente. Come scrisse Jacopo da Coreglia (Julius Evola Alchimista, Arthos 16- Nov. 1977) fu un sacerdote, padre Francesco Oliva, ad iniziarlo a quegli insegnamenti.
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4) ES (Emilio Servadio)
Emilio Servadio (1904-1995) nacque a Sestri Ponente, allora cittadina industriale di circa 25000 abitanti, in provincia di Genova (Solo nel 1926, coinvolta nella realizzazione della mussoliniana "Grande Genova" Sestri P. perse, al pari di altre 18 località, la propria autonomia). Del suo precoce interesse per l'occulto, Servadio ebbe a dire personalmente (1): "... già a tredici anni lessi 'I grandi iniziati' di Schurè'; già da allora avevo un grande interesse per quello che stava non solo ai margini ma oltre i margini del sapere scientifico, accademico o altro. Io credo che ad un certo punto si déstino dentro l'individuo aperture verso una realtà differente, che noi chiamiamo realtà metafisica, come altrimenti potremmo chiamarla? E questo si ottiene esercitandosi in vari modi. L'iniziazione è avviarsi verso una strada". Nel cercare spiegazioni a quel che stava "oltre i margini del sapere" Servadio si avvicinò, sull'esempio di Enrico Morselli (1852-1929), contemporaneamente alla metapsichica (l'odierna parapsicologia) e alla "psichiatria dinamica", disciplina che, occupandosi anche di mesmerismo e di ipnosi, tentava, con Bernheim, Bleuer, Charcot e Janet la scoperta del subcosciente. Successivamente iniziò ad occuparsi delle teorie freudiane. Sul versante filosofico, Servadio simpatizzava invece per il neo-idealismo italiano. Ventenne, mentre era studente di giurisprudenza, iniziò la sua carriera giornalistica, collaborando soprattutto al quotidiano "Il Lavoro" di Genova - organo dei socialisti riformisti genovesi, diretto dall'ex deputato Giuseppe Canepa (1867-1948)- e al settimanale "La rivoluzione liberale", fondato nel 1922 da Piero Gobetti. Servadio aderì anche a "Pietre", rivista antifascista, sorta a Genova nel 1926, ad opera di un gruppo di studenti universitari. Negli articoli di questo periodo, firmò spesso con lo pseudonimo "Eutidemo", ma anche con le iniziali E.S. (2). A 24 anni, da poco laureato in giurisprudenza con la tesi "Uso dell''ipnosi in medicina legale", ricevette l'invito da parte di Calogero Tuminelli, primo responsabile editoriale dell'enciclopedia Treccani, a collaborare al progetto enciclopedico che stava prendendo avvio nel 1927, per iniziativa del governo. Le sue stesse parole lasciano trasparire l'entusiasmo con cui accolse l'opportunità che gli si presentava: "non mi parve vero e lasciai subito Genova per Roma". Mentre Servadio si stabiliva a Roma ed entrava in contatto con vari ambienti, tra i quali il Gruppo di Ur, a Genova, nella notte tra il 12 e il 13 Aprile 1928, una vasta azione di polizia coinvolse anche i redattori di "Pietre", che furono costretti a cessare per sempre le pubblicazioni. Sorte non migliore aveva già subìto, a Torino, La Rivoluzione liberale che, per ingiunzione prefettizia, cessò le pubblicazioni nel Novembre 1925. Nel panorama di fascistizzazione della stampa italiana, una eccezione notevole fu invece Il Lavoro, che era allora il più importante quotidiano genovese, al quale fu consentito di proseguire le pubblicazioni. (1) Per questa e la successiva citazione, vedi il libro-intervista di Giovanni Errera "Emilio Servadio - Dall'ipnosi alla psicoanalisi", Firenze, Nardini, 1990. (2) Ecco l'elenco dei principali articoli pubblicati da Servadio prima dell'inizio del periodo "romano" della sua vita: Il "Nerone" nella poesia di Boito, Il Lavoro, 08-04-1924 Difesa di Paneroni, Il Lavoro, 26-04-1924 Motivi in Val Gardena, Il Lavoro, 10-09-1924 Berisso (Figure di musicisti), Il Lavoro, 19-09-1924 Grazie, La Rivoluzione Liberale (A. 3, n. 47 16-12-1924, p. 190) Couè, o le parole che guariscono, Il Lavoro, 27-01-1925 Le ultime composizioni di A. Berisso (E.S.), Il Lavoro, 18-07-1925
H.M.S., Il Lavoro, 22-08-1925 L'opera di Ernesto Bozzano (E.S.), Il Lavoro, 12-09-1925 Le memorie di Legouvé, Il Lavoro, 17-09-1925 Nel ritiro di una spia, Il Lavoro, 29-09-1925 Sogni dell' automa (racconto), Il Lavoro, 24-10-1925 Eugenia e igiene mentale (Eutidemo), Il Lavoro, 01-12-1925 L'ereditarietà (Eutidemo), Il Lavoro, 23-12-1925 Sguardo alla Metapsichica, La Rivoluzione liberale, (A. 4, n. 12, 22-3-1925, p. 51) Sguardo alla Metapsichica, La Rivoluzione liberale, (A. 4, n. 13, 29-3-1925, p. 55) -Stesso articolo del n.12 sequestrato Contro una scissione, Luce e Ombra, 1926, pp. 458-459 La psicoanalisi (Eutidemo), Il Lavoro, 15-01-1926 La formazione della personalità nella dottrina psicoanalitica (Eutidemo), Il Lavoro, 19-01-1926 Il simbolismo dei sogni nella teoria di Freud (Eutidemo), Il Lavoro, 22-01-1926 La critica della psicanalisi (Eutidemo), Il Lavoro, 06-03-1926 I gemelli (Eutidemo), Il Lavoro, 29-04-1926 Epilessia (Eutidemo), Il Lavoro, 04-06-1926 Lo strapazzo oculare (Eutidemo), Il Lavoro, 14-07-1926
Due anni prima (1926) di trasferirsi a Roma, Emilio Servadio iniziò la sua collaborazione con la rivista Luce e Ombra (notiziario della Società di Studi Psichici) fondata nel 1900 da Angelo Marzorati e Achille Brioschi a Milano e trasferitasi a Roma dal 1911. Nel periodo 1927-29, eccettuati pochi contributi, come quelli a Pietre, all'Italia Letteraria e a Krur, gli articoli pubblicati da Servadio apparvero in maggioranza su Luce e Ombra: Neo Magia, Pietre, Annata II, Fascicolo 04, Aprile 1927, pp. 110-112. (E. Servadio) Metapsichica e filosofia, Luce e Ombra, 1927 pp. 473-479 Idealismo, scienza e metapsichica, Luce e Ombra, 1927 pp. 545-550 La morte di Eduardo Schuré, L'Italia Letteraria, 14-04-1929 Il fluido umano, Luce e Ombra, 1929 "Fernand Divoire: Pourquoi je crois à l'occultisme". Recensione, Luce e Ombra, 1929 pp. 139-140 Lo spiritualismo di Edoardo Schuré, Luce e Ombra, 1929 pp. 173-176 Commento ad alcune esperienze "magiche", Luce e Ombra, 1929 pp. 321-325 Metodi recenti di studio e di controllo, Luce e Ombra, 1929 pp. 456-461 Le manifestazioni di Mantes, Luce e Ombra, 1929 pp. 475-476 Pro e contro Valiantine, Luce e Ombra, 1929 pp. 476-477 I fenomeni d'infestazione di Charlottenburg, Luce e Ombra, 1929 pp. 477-478 Freudismo e metapsichica, Luce e Ombra, 1929 p. 478 Le manifestazioni di Winnipeg, Luce e Ombra, 1929 p. 522 Fenomeni d'infestazione, Luce e Ombra, 1929 p. 523 Nina Glagoleva, calcolatrice prodigio, Luce e Ombra, 1929 p. 523 Ancora sul circolo di Mantes, Luce e Ombra, 1929 pp. 523-524 Misteriose sassaiole a Milano, Luce e Ombra, 1929 p. 524 Intorno ai fenomeni di levitazione, Luce e Ombra, 1929 p. 525 Lo "smascheramento" di Valiantine, Luce e Ombra, 1929 pp. 545-526 "Jules Romains: Quand le navire...". Recensione, Luce e Ombra, 1929 p. 527 L'intelligenza direttrice in biologia e in metapsichica, Luce e Ombra, 1929 pp. 561-562 Le esperienze genovesi di Valiantine secondo H.D. Bradley, Luce e Ombra, 1929 pp. 562-563 I fenomeni di materializzazione e l'arte d'Oriente, Luce e Ombra, 1929 p. 563 Un caso di sdoppiamento con materializzazione, Luce e Ombra, 1929 pp. 564-565 Interessante, dal punto di vista dei rapporti Servadio-Evola, è l'articolo di Emilio Servadio, intitolato Neo Magia e pubblicato nel 1927 (anno di nascita di Ur) nella rivista genovese Pietre. In esso si può rilevare il precoce interesse di Servadio per l'Evola artista e poi l'interesse, per lo più dottrinario a quell'epoca, per l'Evola filosofo e mago. Si comprendono così facilmente i motivi del successivo avvicinamento. Lo riportiamo qui di seguito. Neo Magia Un indirizzo che si preannuncia interessante, più per il suo significato, probabilmente, che per la sua importanza pratica, è quello che fa capo a J. Evola e ad alcuni altri scrittori, da poco riunitisi in gruppo intorno ad una curiosa "rivista di indirizzi per una scienza dell'Io", la quale prende il suo nome dal "Fuoco Iniziatico" ("UR") e si pubblica a Roma.
Il nome dell'Evola non è quello di un ignoto. La sua è indubbiamente una personalità del tutto "sui generis", e chi scrive ricorda benissimo certe manifestazioni poetiche e certi "disegni dadaisti" da lui pubblicati, che sconcertarono non poco i quattro lettori, assuefatti per altro ai più audaci tentativi di rinnovamento artistico di "Roma Futurista", giornale ebdomadario da un pezzo defunto. In un'epoca nella quale l'interesse per le manifestazioni modernissime dell' "esprit nouveau" non si era ancora minimamente destato nella classe media, l'Evola superava tranquillamente per conto suo le più pazzesche derivazioni del Bergsonismo, e si ritirava in una meditazione durata qualche anno, e rotta da poco tempo con l'apparizione dei suoi "Saggi sull'Idealismo Magico", costituenti come il preludio di una vasta opera tuttora in progressivo svolgimento, la quale dovrebbe, nelle intenzioni almeno, rivoluzionare dalla base il pensiero contemporaneo. Per esporre con qualche compiutezza il pensiero dell'Evola, i cui lineamenti definitivi appariranno nella "Teoria dell'Individuo Assoluto", di prossima pubblicazione, e che per ora è stato abbozzato nei citati "Saggi" e nell' "Uomo come Potenza", apparso da poco, occorrerebbero molte pagine. Ma tale non essendo il nostro modesto compito di informatori, ci limiteremo a darne un cenno sommario. La crisi dell'idealismo contemporaneo non è, secondo l'Evola un semplice trapasso gestatorio da un sistema filosofico ad un altro in fieri: si tratta, secondo lui, di una ben più grave contingenza, alla quale l'uomo, il cui divenire è in giuoco, non può sottrarsi che per una sola via. E la contingenza è il fatto che la soluzione idealistica del problema gnoseologico ha "tagliato tutti i ponti" dietro all'individuo, pur dimostrandosi nello stesso tempo insufficiente. Indietro non si può tornare, dice l'Evola: il postulato che non si può affermare una realtà indipendente dall'Io che la pensa è inattaccabile. D'altra parte "l'idealismo, come condizione per una assoluta certezza, è un valore morale, un dover essere; esso deve essere; eppure non può, nella coscienza reale, essere. All'Io, pervenuto discorsivamente alla coscienza di sé come del principio assoluto di tutta quella realtà in cui egli vive la sua vita, si oppone in sede concreta questa stessa realtà come qualcosa su cui egli non ha potenza" (Saggi, pag. 17). Di qui secondo l'Evola, la crisi in cui si dibatte il pensiero odierno, il quale, superata concettualmente una realtà a sé stante, le è poi praticamente asservito, non ha neppure la possibilità di riparare dietro posizioni ormai insostenibili, e si trova quindi in una "impasse", a liberarlo dalla quale i vecchi mezzi più non sono adeguati. Allora, dice l'Evola, non c'è che una soluzione: quella di impadronirsi di fatto della realtà ribelle, cosicchè nell'individuo si accentri veramente il cosmo; e, a questo scopo, ricercare, sulla traccia delle tradizioni degli Iniziati e dei Maghi, il segreto della Potenza, impadronirsene e dominare. Fuori di questa via, egli afferma, nessuna speranza di salvezza, ma solo un arrovellarsi di spiriti soggetti. L'originalità, nel pensiero di cui abbiamo così insufficientemente esposto il nocciolo, non sta tanto nella aspirazione alla Potenza magica, che più e più volte è stata oggetto di sguardi bramosi e di tentativi più o meno abortiti, quanto nel processo per il quale l'Evola vi è giunto, attraverso un superamento, discutibile s'intende, ma degno di attenzione, delle odierne speculazioni filosofiche. Egli si differenzia così nettamente (e tiene a farlo rilevare), da tutti coloro, occultisti, teosofi, ecc., i quali trascurano, per ignoranza o per partito preso, tali speculazioni. "Che l'idealismo astratto debba venire separato", egli scrive ("Saggi", pag. 22) "ciò è stato più sopra mostrato, e con le parole stesse dell'idealismo; ma superarlo significa assumerne le posizioni, confutarle o ridurle a semplici presupposti e passar oltre; non metterle semplicemente da parte, non ignorare che esso contiene una concezione del mondo comprensiva ed inevitabile, fiore di una bimillenaria civiltà per tornarsene spensieratamente a concezioni ingenue che esso ha da tempo confutate e risolte". Appunto in grazia di questa sua posizione, un tale pensiero dovrebbe essere considerato attentamente da tutti i ricercatori, dai professori di filosofia come dai mistici. Naturalmente invece esso è stato fin qui quasi trascurato, o preso in considerazione a scopo derisorio o stroncativo. Nell' "Uomo come Potenza" sono indicati i mezzi affinchè l'aspirazione al Dominio possa realizzarsi. L'autore, che fra parentesi è un conoscitore non superficiale del pensiero Orientalistico, ha esposto con cura i metodi di autorealizzazione magica propri ai "Tantra" indiani e sembra significare: "messo t'ho innanzi: ormai per te ti ciba". E in verità, a chi fosse del tutto persuaso di quanto l'Evola scrive, più non rimarrebbe che seguire con fede e pazienza una delle tante vie iniziatiche tradizionali. L'Evola stesso però, a quanto pare, si rende conto che la parte speculativa non è perfetta, e operciò annunzia la "Teoria dell'Individuo Assoluto"; e vede altresì la necessità di creare un cerchio vasto e consapevole di "ricercatori dell'Io", e perciò pubblica la rivista di cui abbiamo fatto parola più sopra. Sull'importanza di quest'ultima è prematuro pronunciarsi, ben si comprende, (per quanto sia già di per sè interessante il fatto ch'essa pubblica alcuni testi magici o mistici poco noti), così come sarebbe prematuro voler dare un giudizio definitivo sull'Idealismo magico. Attendiamo, dunque, le altre opere di questo strano pensatore, le cui speculazioni, da qualunque punto di vista si vogliano considerare, non sono meno in sé stesse il frutto e il segno di quell'ansia di rinnovamento, di quella crisi ch'essi intendono risolvere, e che è l'oscura matrice in cui si va generando il pensiero finale del secolo che si forma. E. Servadio *** Nel 1930, Servadio pubblicò una delle sue opere principali "La Ricerca Psichica" (riedita nel 1946). Nello stesso anno, come sappiamo, insieme ad altri amici, tra cui lo stesso Servadio, Evola diede vita alla rivista La Torre. A quell'epoca, Evola non aveva una buona fama presso varie autorità del regime. Inoltre, una
rubrica particolarmente critica della Torre, intitolata L'arco e la clava, fece "saltare i nervi" al fascismo squadrista. Minacciato anche fisicamente, Evola fu costretto a girare per Roma con una guardia del corpo e nel Giugno 1930, dopo solo 10 numeri, si dovette chiudere la rivista. Nel 1931, lo psicoanalista triestino Edoardo Weiss, in contatto con Freud dal 1908, decise di trasferirsi a Roma, ove fondò, nel 1932, la Rivista di Psicoanalisi, organo ufficiale della Società Psicoanalitica Italiana (S.P.I.), fondata a Teramo nel 1925 da Marco Levi Bianchini e trasferita a Roma appunto nel 1932. Si manifestarono forti ostilità, sia da parte della Chiesa Cattolica, che accusava il freudismo di materialismo e pansessualismo, sia da parte degli ambienti filosofici idealisti, che facevano capo a B.Croce e a G.Gentile, sia infine da parte della psichiatria accademica, fortemente organicista. La rivista ebbe perciò vita breve e, nel 1934, fu costretta dal regime a chiudere i battenti. Il periodo romano consentì tuttavia a Weiss di riunire attorno a sé altri psicoanalisti, in particolare Cesare Musatti, Nicola Perrotti ed Emilio Servadio. Questo gruppo si riuniva nella casa romana di Weiss, in via dei Gracchi. L'esempio di Perrotti, che iniziò a dirigere a Roma l'Istituto di Psicoanalisi, spinse Servadio a fondare, nella medesima città, il Centro di Psicoanalisi. Ma la pressione "antisemita" cominciava a farsi sentire. Una sintomatica nota, inviata dall'allora vice capo della polizia, Carmine Senise, al Questore di Roma, che lo aveva incaricato di compiere alcune indagini su E. Servadio, così recita: "La madre del dott. Servadio, senza voler con ciò toccare la sua onorabilità, sembra essere israelita". Il colpo di grazia fu assestato dalle leggi razziali del 1938, in seguito alle quali la S.P.I. si sciolse. Musatti, ebreo per parte di padre, dovette rinunciare all'insegnamento universitario di Psicologia a Padova e a firmare le sue pubblicazioni. Altri si videro costretti ad emigrare: Servadio partì quello stesso anno per l'India dove, nel 1922, Giridra Sekhar Bose aveva fondato l'Indian Psychoanalytical Society. L'anno dopo (1939) Weiss partì per gli Stati Uniti, dove si stabilì definitivamente. A Bombay, Servadio ebbe occasione di studiare una particolare forma di isteria di conversione, detta da Jean Martin Charcot "isteria ad arco" (il malato, in assenza di cause organiche palesi, è paralizzato con il corpo ad arco, da contratture muscolari assai dolorose). Ciò gli valse una cattedra "honoris causa" di psicologia da parte del Governo Indù. Il quotidiano genovese "Il Lavoro" riportò la notizia nel numero del 30-08-1938, con l'articolo anonimo "E. Servadio professore onorario in India". Servadio divenne così il fondatore della "Bombay School" di psicoanalisi, che annovera noti psichiatri come J.C. Marfatia, D.M. Bassa e K. Masani, uno psicoanalista Parsi, emigrato nel 1967 nel Regno Unito. Servadio rimase in India fino al 1945. Tra gli articoli pubblicati in questo periodo, ricordiamo: -Psychoanalysis and Psychical Research, Journal of the American S.P.R., 1938; -Psychoanalysis and Yoga, Bulletin of the Bombay Medical Union, 1940; -Freud's Contribution to Psychical Research, Indian Journal of Psychology, 1940. A guerra finita, tornò in Italia. In un intervista per il quotidiano La Stampa del 05/02/1994 ebbe a dire: "Al mio ritorno in Italia, nel '45, seppi che Evola si era messo a scrivere libri razzisti e antisemiti. Si era aggiogato al carro dominante". E alla domanda "L'ha incontrato mai in questo dopoguerra?", rispose: "Non ho voluto vederlo mai più". Dibattito Pirofilo: Quello della psicoanalisi è sicuramente un argomento molto complesso e sarei ben contento di esaminarlo assieme a voi, visto anche che uno dei membri del gruppo di Ur (Emilio Servadio) divenne in seguito proprio un noto psicoanalista. Sipex: Non è molto facile seguire l'evoluzione del pensiero esoterico di E. Servadio, soprattutto perchè, a differenza di Evola, egli si tenne sempre parecchio "abbottonato" a riguardo, preferendo scrivere su argomenti "di frontiera" tra esoterismo ed exoterismo (e cioè soprattutto di psicologia, sessuologia, parapsicologia) e facendo un taglio piuttosto netto tra la situazione dell'uomo comune e quella dell'iniziato. Scrive ad es. nel saggio "Libertà Psicologica e Libertà Iniziatica " (Passi sulla via iniziatica, Roma, 1977): "I metodi e le tecniche della psicologia dinamica possono dare all'uomo un quantum di maggiore agio e di minor costrizione sul piano psicologico profano. Ma solo l'iniziazione può dargli veramente la libertà". Nel medesimo saggio, Servadio fa capire che al profano, che vive in una situazione pressochè deterministica, si possono applicare quelle discipline che, come la psicoanalisi, si basano sul determinismo psicologico (e Servadio mostra che Freud fu categorico a riguardo), mentre la validità di tali discipline cessa quando si voglia applicarle all'iniziato, per il quale il determinismo psicologico non può più dirsi valido. Evola invece, pur riconoscendo tutti i vincoli dell'uomo comune (il "pashu" che, nello "Yoga della potenza", egli contrappone ai tipi del "vira" e del "divya"), non vede un taglio così netto tra iniziati e non iniziati, così che ritiene la psicoanalisi inidonea a descrivere la situazione psicologica dello stesso "pashu". Pirofilo: Personalmente preferisco la posizione di Evola: erigere barriere troppo alte tra l'uomo comune e l'iniziato rischia di rendere inspiegabile come il primo possa trasformarsi nel secondo. Deo Ame: In "Evola e il Magico Gruppo di Ur", Renato del Ponte accenna ad una certa incongruenza tra quanto Servadio disse, in relazione ai suoi rapporti con il Gruppo di Ur, in una intervista rilasciata a G. De Turris e pubblicata su Abstracta (Giugno 1987) e la successiva rilasciata a P. Battista e pubblicata su La Stampa (5 Febbraio 1994). A quest'ultima si è accennato in questo stesso quaderno. Qualcuno sa con più esattezza in quali affermazioni la precedente differiva? Es: Riporto di seguito le due interviste rilasciate da E. Servadio nel 1987 e nel 1994, con l'aggiunta di qualche mia nota a pie' di pagina della prima intervista. Non c'è una vera contraddizione tra questa intervista e quella
del '94. Infatti in questa del 1987, Servadio afferma di non aver fatto parte "attiva" (cioè magico-operativa) del Gruppo di Ur. Tuttavia ammette di aver in qualche modo collaborato, ad es. traducendo, per Evola, alcuni testi inglesi e partecipando a "letture poetiche" in un gruppetto che comprendeva J.Evola, G.Comi e P.Milano. Nel '94, conferma la collaborazione e aggiunge di aver pubblicato una poesia (come sappiamo con lo pseudonimo di Es). Inoltre sottolinea di aver partecipato (con il nucleo che si dedicava alle "letture poetiche", aggiungo io) alla rivista La Torre. Come Del Ponte ha giustamente notato, vi è piuttosto qualche errore nella datazione, la poesia (Fioritura) non essendo stata pubblicata in Ur, bensì nel n° 6-7 di Krur (1929). Del resto Servadio afferma, nella prima intervista, di aver conosciuto Evola di persona appunto nel '29, anche se non sono da escludersi sue collaborazioni per corrispondenza (inerenti verosimilmente a traduzioni) già a partire dal 1927. da Abstracta n.16 - anno II - Giugno 1987 LA TESTIMONIANZA di EMILIO SERVADIO (intervista a cura di Gianfranco de Turris) Come entra in contatto con Evola o con il Gruppo di Ur? Di Evola avevo letto i Saggi sull'Idealismo Magico. Allora risiedevo a Milano e sapendo che Evola viveva a Roma lo raggiunsi per una intervista che fu poi pubblicata sul Popolo di Lombardia. Ricordo che era intitolata Evola, o il mago. Non ho più quell'articolo perché è andato disperso durante la guerra, ma in esso parlavo dei suoi interessi anche per la metafisica orientale (mi fece vedere dei libri che aveva sui Tantra, sullo yoga e così via). Quella intervista piacque molto ad Evola e fu l`inizio prima di uno scambio epistolare, poi di alcune mie recensioni ( ad esempio a L´uomo come potenza su La Fiera Letteraria); infine,quando mi trasferii a Roma lo conobbi personalmente e, anche senza fare parte — lo dico molto francamente — parte attiva del Gruppo di Ur, ogni tanto lo vedevo. L'ho anche aiutato. Evola sapeva sì l'inglese, ma non troppo bene: ricordo che lo aiutai nella traduzione di qualche testo inglese che gli era pervenuto perché per me l`inglese è un pò la seconda lingua.E di questo mi fu grato. Poi ci vedemmo spesso a casa del Poeta Girolamo Comi, che aveva scritto delle plaquettes di poesie un po' sulla scia di Onofri. Ci vedevamo en amité; io leggevo cose mie, Comi leggeva le sue poesie... Era un gruppetto di persone di cui faceva parte anche Paolo Milano (1). Dove incontrò Evola le prime volte? A casa sua, a Corso Vittorio Emanuele. Credo fosse il 1929, quando venni a Roma definitivamente come redattore dell'Enciclopedia Italiana Treccani. In precedenza, come ho detto, vi era stato uno scambio di corrispondenza. Per un anno fui in Svizzera. In quell'epoca Evola collaborava a Bilychnis, io avevo una rubrica su La Fiera Letteraria che s'intitolava «La ricerca psichica» e in qualche occasione parlai anche di lui (2). Ha detto di non aver fatto parte attivamente del Gruppo di Ur. In che senso? Nel senso di attività operativa? Si, effettivamente in questo senso. Ho conosciuto benissimo Reghini, ma non ho mai partecipato alle loro riunioni operative. Ma che cosa sa lei di questa attività. Si e favoleggialo molto sull'argomento. Addirittura si è detto, come lei sa, che avevano cercato di avere un'influenza a livello politico... Di questo francamente non so nulla. Immagino che, come avviene in tante scuole iniziatìche, ci si riunisce con intenti più magici che meditativi, cercando di attivare certe forze comuni che poi diventavano forze individuali, mentre la meditazione yoga o quella buddhista hanno un altro stile, un altro significato. Più di questo non saprei dire. Perchè quali fossero gli intendimenti di queste riunioni, in cui effettivamente facevano qualche cosa insieme, non lo so. Mi pare abbastanza improbabile che ci fossero dei precisi fini politici, anche se in fondo la politica in senso molto alto non era estranea naturalmente all'attività del Gruppo di Ur, ma era intesa più in senso tradizionale, imperialistico... Quello che è stato definito «superfascismo»... Comunque, secondo lei a quale tipo di Tradizione si riallacciavano in questo ti po di attività? C'era una diversificazione, come lei sa, tra i due più importanti protagonisti di questa vicenda, cioè Evola e Reghini. Evola s'interessava molto alla metafisica orientale, specie indiana, mentre Reghini era decisamente inserito in una tradizione occidentale-mediterranea. Questo potrebbe essere uno dei motivi della famosa scissione? Potrebbe essere uno dei motivi. Ricordo, devo dire non molto precisamente, che assistei piuttosto imbarazzato
ad una riunione di quella che allora si chiamava l'Associazione per il Progresso degli Studi Morali e Religiosi. Evola teneva una conferenza: Reghini fece un intervento che finì in un litigio, si accusarono l'un l'altro, oggi non ricordo bene di cosa... In tutta questa vicenda c'è anche la figura di Giulio Parise... Giulio Parise l'ho conosciuto molto superficialmente. L'avrò incontrato una o due volte, casualmente, senza approfondire nulla, però mi diede subito l'impressione, se così mi posso esprimere, di uno persona che aveva fatto dei passi avanti sulla via iniziatica. Credo che avesse una vita interiore profonda, sviluppata. Persone che l'hanno conosciuto più da vicino hanno confermato questa impressione (3). Gianfranco de Turris [N. di Es] (1) Paolo Milano (1904 -1988), nativo di Roma e coetaneo di E.Servadio, subito dopo l'esperienza di Ur, pubblicò il saggio "Lessing" (Formiggini, Roma, 1930). Dopo il varo delle leggi razziali, andò esule a Parigi e a New York. Fu professore di lingue romanze e letteratura comparata presso il Queens College negli anni 1940 e collaborò regolarmente al The New York Times Book Review. Tra i libri di questo periodo, ne ricordiamo uno su Dante Aligheri: "The Portable Dante" (1947, Viking Press). Tornò poi in Italia e fu per trent'anni il critico letterario dell'"Espresso". Affetto da morbo di Parkinson, morì a Roma il 2 Aprile 1988, all'età di 83 anni. (2) Evola cita un articolo di Servadio de "La Fiera Letteraria" del 30-9-1928, nel saggio di Krur, firmato Ea, "Che cos'è la realtà metafisica"; la citazione è rimasta in Introduzione alla Magia. (3) Tra le persone alle quali allude Servadio c'è, con ogni probabilità, da considerare Sibilla Aleramo. Nell'Archivio di questa scrittrice, si trova una copia della raccolta di liriche di Servadio intitolata "Licheni" (Torino, Ribet 1929), con dedica autografa di Emilio Servadio all'Aleramo. -------------------------------------------------------------------------------da LASTAMPA 05/02/1994, TuttoLibri dossier, intervista di P_BAT [Battista, Pierluigi] ROMA TRA la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta nel sodalizio evoliano c'era anche Emilio Servadio, il decano della psicoanalisi italiana, il superstite novantenne del gruppo di pionieri che nel 1932 fondò la Società Psicoanalitica Italiana. Ebreo, costretto ad andar via dall'Italia dopo le leggi razziali del 1938. Professore, come poteva un giovane ebreo collaborare con un antisemita? Semplicemente sulla base del fatto che in quegli anni nulla lasciava presagire l'antisemitismo di Julius Evola. Mi accostai a lui dopo aver letto la sua Teoria dell'Individuo Assoluto, che tuttora considero come un'opera che ha lasciato un'impronta davvero notevole, e anche L'uomo come potenza, la prima opera italiana sui Tantra. Sentii subito di avere con Evola interessi comuni, un orientamento spirituale che ci portava allo studio e all'approfondimento della metafisica indiana. Un interesse molto forte per me che nel '37 fondai la Società Italiana di Metapsichica. Nel '38 addirittura in India mi ci trasferii. Veramente lei in India ci dovette andare perchè in Italia erano state varate le leggi contro gli ebrei. Volevo soltanto dire che sulla base di quegli interessi è naturale che mi incontrassi con una personalità come Evola, un intellettuale i cui scritti, come mi disse una volta Guido Calogero, sembrano redatti da un uomo con la febbre a quaranta. Nel 1927 collaborai con lui per i quaderni mensili di Ur, la rivista esoterica dove tra l'altro ho pubblicato, sotto pseudonimo, una poesia: ma non voglio andare oltre perchè non intendo svelare un segreto. Poi è stata la volta dei quaderni di Krur. Infine, nel totale accordo del gruppo, decidemmo di provare con un periodico più agile e meno tecnico. E nel 1930 nacque il quindicinale La Torre. La rivista che gli ortodossi del fascismo decisero di chiudere. Sì, proprio quella. E fui proprio io a suggerire il nome della testata. Evola era d'accordo e andò per La Torre, sottotitolo Foglio di espressioni varie e di Tradizione una. E poi? E poi nel '38 me ne sono andato. Al mio ritorno in Italia, nel '45, seppi che Evola si era messo a scrivere libri razzisti e antisemiti. Si era aggiogato al carro dominante. L'ha incontrato mai in questo dopoguerra? Non ho voluto vederlo mai più. (p. bat.)
5) La Componente Pitagorico-Massonica
Arturo Reghini Negri è l'anagramma semplificato di Reghini (togliendo la muta "h" e unificando le due "i"), inoltre il nome Pietro gli dona il senso alchimico di "Pietra Nera". Per i suoi contributi indiretti, come l'aiuto alla traduzione degli Aurei Versi pitagorei fornito a Tikaipos (Quadrelli), utilizzò anche lo pseudonimo di Heniocos Aristos, l'eccelso auriga accolto nei cieli (esistono diverse versioni del mito) e che si manifesta nell'omonima e ben nota costellazione. Luce, pseudonimo che Giulio Parise adoperò sia in Ignis, sia in Ur, esprime la spiccata tendenza di questo autore a "lumeggiare" aspetti specifici della pratica ermetica Quando aveva solo 18 anni, Arturo Reghini (Firenze 1878 - Budrio 1946) andò a Roma, dove fu messo in contatto con Isabel Cooper-Oakley, una diretta collaboratrice di H.P. Blavatsky, e nel 1898 si iscrisse all'Associazione Teosofica Romana (creata il 22 Febbraio 1897). Proprio in quell'ambiente, maturò un importante rapporto intellettuale con Giovanni Amendola (Salerno 1882-Cannes 1926), essendo entrambi accomunati da una prospettiva di pensiero, che considerava estremamente limitante e fonte di crisi il positivismo allora imperante. Nella società teosofica, Reghini entrò anche in contatto con l'avv. Giuseppe Sulli Rao, editore milanese e 33° 95° del rito di Memphis di Palermo, che nel 1902 lo iniziò sulla spada, per delega della loggia palermitana "I Rigeneratori". Già alla fine del secolo XIX, l'Ordine di Memphis e Misraim costituiva in Italia un collegamento tra la Libera Muratoria e la Teosofia: infatti, sia H. P. Blavatsky, sia Annie Besant ricoprirono alti gradi nell'Ordine. Intanto, per interessamento del Console Britannico Reginald Macbean Gambier, si costituirono i Gruppi Teosofici di Palermo e di Genova, seguiti in breve tempo dai Gruppi di Firenze, Napoli, Bologna, Torino etc..Tutto ciò fece sì che il 1° febbraio 1902, con l'intervento di Charles Webster Leadbeater, fu fondata la Sezione Italiana della Società Teosofica in Italia; il primo Segretario Generale fu il capitano Oliviero Boggiani (dal 1901 al 1904), poi sostituito dal dottor Decio Calvari (dal 1904 al 1905) e dal professor Ottone Penzig dell'Università di Genova (dal 1905 al 1918). Nel 1903 Arturo Reghini risiedette a Firenze; fondò la Biblioteca Teosofica (che prese in seguito il nome di Filosofica) e venne affiliato alla Loggia "Michele di Lando" all'obbedienza del "Grande Oriente Italiano" milanese. Quando nel 1904 questa obbedienza si riunificò col Grande Oriente d'Italia la loggia fiorentina "di Lando" si ricostituì con il nome di "Lucifero" e Reghini fu uno dei fondatori. Nel 1903 e proprio nella sede romana della società teosofica, Amendola conobbe la futura moglie, la lituana Eva Kuhn (1) e il 24 maggio 1905 fu iniziato nella loggia massonica Gian Domenico Romagnosi di Roma (2). A Firenze, Reghini conobbe, tra gli altri, il teosofo Assagioli, Papini e Prezzolini, e li fece conoscere anche ad Amendola. Sia Reghini, sia Amendola collaborarono alla III serie della rivista papiniana "Leonardo". In particolare, in un saggio del 1906, Reghini criticò l'opposizione nei confronti degli alti gradi (come quelli di Misraim) ed espresse rincrescimento per il fallimento di Mazzini e dell'americano Albert Pike nel creare "un rito segreto superiore a tutti gli altri, una sorta di Massoneria nella Massoneria, che avrebbe unificato la divisa famiglia Massonica" (3). A questo proposito, chi scrive ha già sottolineato, altrove, che il passaggio dalla Massoneria Operativa a quella Speculativa, con la conseguente affiliazione di un più grande numero di persone, non poteva che portare (per avere più tempo per testare i veramente qualificati) ad un centellinamento dell'insegnamento e perciò ad organizzazioni con molti gradi.
Del resto Reghini non faceva che confermare l'atteggiamento dell'O.E. che, a suo tempo, aveva elargito all'Ordine di Misraim i quattro gradi (e relativi importantissimi rituali) della cosiddetta "Scala di Napoli" (Gradi 87, 88, 89 e 90, detti "Arcana Arcanorum"). (1) Eva Kuhn Amendola. Vita con Giovanni Amendola. Epistolario 1903-1926, Parenti, Firenze 1960, p. 17. (2) Beatrice Bisogni, Giovanni Amendola teosofo e massone, in AA.VV. La libera muratoria, Sugarco Edizioni, Milano 1978, p. 109. L'autrice sottolinea i legami di Amendola con Reghini (n. 112) che, dall'epistolario di Amendola, risulta essere stato anche il 'trait d'union' con Papini (cfr. E.Kuhn Amendola, op. cit., p. 118). (3) Arturo Reghini,"La massoneria come fattore intellettuale" in Leonardo, Ott.-Dic. 1906, p. 297. Contemporanee alla fase finale della collaborazione al Leonardo (poi la rivista cessò) si possono segnalare alcune conferenze tenute da Reghini alla Biblioteca Filosofica (già Biblioteca Teosofica) da lui fondata e diretta fino al 1908. Si tratta de "Il dominio dell'anima" e de "La vita dello spirito", entrambe del 1907 (4). Alla direzione della Biblioteca successe a Reghini lo stesso Giovanni Amendola (dal 1909 al 1911). Sempre nel 1907, Amedeo Armentano, ritornato da un paio di anni dal Brasile, fu iniziato nella Loggia "Lucifero" del Rito Simbolico Italiano all'Or. di Firenze (5) dal Venerabile Pietro Mori. Fu in quel periodo che conobbe Arturo Reghini, uno dei fondatori della Loggia. E' curioso che, nel medesimo anno, un'altro dei fondatori della Loggia 'Lucifero', e cioè Eduardo Frosini, si dimise dall'Officina, perchè l'Istituzione era divenuta, a suo dire, solo un 'sodalizio politico'. Più tardi, in una lettera inviata al G.O.I. per confermare le proprie dimissioni, scriveva: "Oggi tutto è subordinato in Massoneria agli impulsi politici profani, mentre la politica massonica dovrebbe essere il corollario dell'insegnamento filosofico ed etico morale che scaturisce dal nostro meraviglioso simbolismo" (6). (4) Ora pubblicate in A. Reghini, "Paganesimo, Pitagorismo, Massoneria", Messina, 1986. (5) Appartenente non al G.O.I. (Grande Oriente d'Italia), bensì a quel Grande Oriente Italiano milanese, separatosi nel 1897, che ebbe l'adesione di logge toscane, siciliane, liguri e campane, e venne riconosciuto già il 21 febbraio 1898 dal G. O. di Francia. Il G.O.I., il 14 aprile 1898, sospese di conseguenza i rapporti con l'Obbedienza francese. Il 21 aprile 1901 inaugurò la sua nuova sede di Palazzo Giustiniani. (6) E. Frosini, Massoneria Italiana e Tradizione Iniziatica, Bologna 1979, pp. 175-176. Per comprendere ciò che avvenne successivamente, bisogna tener presente che Amedeo Armentano proveniva da un certo numero di anni trascorsi in Brasile con i genitori e che, nel Sudamerica, esistevano, già in epoca antecedente all'andata di Kremmerz, delle S.P.H.C.I. All'arrivo di Armentano in Italia, fu Francesco Zingaropoli il suo contatto con l'O.E. Dopo una certa frequentazione, presso la Loggia Lucifero, Reghini non tardò a riconoscere in Armentano, nonostante la più giovane età di questi, il maestro che cercava. Nel solstizio d'inverno del 1910, si ebbe l'iniziazione pitagorica di Reghini. L'anno dopo, l'O.E. contattò sia Frosini, allora capo del Rito Filosofico Italiano -una nuova forma assunta nel 1909 dal Misraim Memphis,- sia Armentano, perchè unissero le loro forze, così che quell'ordine massonico potesse essere, per l'ennesima volta, rivivificato. Frosini, successivamente, contattò Reghini, fingendo di voler contattare, tramite lui, anche Armentano, che in realtà era già d'accordo. Così, nel 1912, insieme ad Arturo Reghini, Armentano entrò a far parte, con il nome di Ermete Cosentino, del Supremo Consiglio del Rito Filosofico Italiano, ricevendo il VII e massimo grado, corrispondente al 33° del Rito Scozzese, con la carica di "Comes Præfectus Inquisitor". Reghini e Armentano (7) riscrissero gli statuti del rito, disponendo che una copia dei Versi Aurei di Pitagora dovesse essere presente nel tempio, insieme agli altri oggetti usati nei lavori di loggia. Si ottennero ben presto importanti riconoscimenti internazionali: ad es. l'intero e numeroso Misraim Memphis americano accettò di far capo ai supremi esponenti del Rito Filosofico. Nel 1914 Reghini litigò con Frosini e uscì dal Rito: i dettagli possono trovarsi nella biografia a lui dedicata da R. Sestito "Il Figlio del Sole". Come è facile capire, per i motivi già accennati, non vi fu invece lite tra Armentano e Frosini, nonostante certi comportamenti stravaganti di quest'ultimo. Nello stesso anno, sulla rivista La Salamandra, Reghini pubblicò per la prima volta il famoso articolo "Imperialismo Pagano". Scoppiata la I Guerra Mondiale, prima Armentano e poi Reghini si arruolarono volontari. Dopo un certo periodo Armentano, per una cardiopatia, fu trasferito dal fronte a Napoli. L'O.E. gli rinnovò la sua fiducia e spinse il "Supremo Consiglio Universale del Rito di Memphis e Misraim e dell'Ordine Egiziano Antico e Primitivo" di Frosini a nominarlo nel 1916 "Gran Pontefice - Gran Conservatore dell'Ordine - Grande Interprete dei Ieroglifici e dei Simboli, delle Tradizioni e dei Dogmi". Nel 1919 il Rito Filosofico venne "sospeso" e nei primi mesi dell'anno furono concluse le trattative per una cooptazione di esso nel Rito Scozzese Antico Accettato di Piazza del Gesù, fondato da Fera dopo la scissione del 1908 e governato all'epoca da Raoul Palermi. Armentano entrò a far parte del Supremo Consiglio col suo grado di 33. Anche Reghini, nel 1921, aderì al R.S.A.A.; gli venne riconosciuto il 33° grado e assunse la funzione di redattore capo della rivista 'Rassegna massonica', che tenne sino al 1926; in questo periodo si occupò anche della revisione dei rituali. Il 18 dicembre 1923, Armentano e Reghini costituirono a Roma l'Associazione Pitagorica, la cui attività si rispecchierà nelle due riviste esoteriche fondate da Reghini e cioè Atanòr (1924) e Ignis (1925). In esse collaborarono noti autori come Giuliano Kremmerz, Renè Guenon, Aniceto del Massa, J.Evola e il giovane
Giulio Parise (1902-1970), massone e allievo di Armentano e Reghini. In Ur, Reghini e Parise condiressero la rivista con Evola. I rapporti inizialmente furono buoni e Parise, in una recensione de L'Uomo come Potenza su Critica Fascista (1 Marzo 1927), si mostrò in sintonia con le vedute di Evola. L'anno successivo si giunse però alla famosa e inutile lite sulla paternità dell'Imperialismo Pagano, che Evola aveva riproposto in una sua versione. Spezzatosi alla fine del 1928 il sodalizio Evola-Reghini, il primo dovrà cambiare, nel 1929, il nome della rivista in Krur, mentre Reghini tenterà di far rivivere Ignis, ma ne uscirà solo un nuovo numero. Quanto detto riguarda l'attività di Armentano e Reghini sul versante pitagorico-massonico. Per quanto riguarda invece il versante "Rosacrociano", nel periodo anteguerra sia Reghini sia Armentano entrarono nell'Ordine Martinista, guidato da Alessandro Sacchi (Sinesius). Reghini litigò anche con Sacchi e per i dettagli rimando al già citato libro di Sestito. Come sappiamo il Rosacrocianesimo non è che il modo peculiare con cui l'O.E. si è posto nei confronti del Cristianesimo. Reghini, a causa della sua equazione personale, non aveva molto fiuto in questo campo (8): ad es. considerava un gesuita Steiner (mentre per i gesuiti l'antroposofia è come il fumo negli occhi) e non riconosceva i gesuiti dove c'erano veramente, cioè nella H.B. of Luxor, che del resto conosceva così poco da confondere con la H.B. of Light; infatti, nel periodo di affiliazione al Rito Filosofico, ebbe a scrivere in una lettera: "Sono stato nominato garante di Amicizia dell'O.T.O. (Oriental Templar Order); è quel corpo massonico inglese di cui avevo a Scalea quelle pubblicazioni. La mia impressione personale che questa società sia relativamente seria si trova confermata dal fatto che l'O.T.O. non è altro che la ricostituzione della Hermetic Brotherood of Light (H.B. of L.) che a detta di Guenon è una delle poche associazioni serie esistenti. Vedrò di mantenere con essi buoni rapporti". Come è noto Guenon parlava invece piuttosto bene della H.B. of Luxor e la distingueva dall'altra: " Questa società non va confusa con l'altra che porta un nome simile: Hermetic Brotherood of Light e che fu fondata nel 1895." (Il Teosofismo 1987 p. 34). (7) Amedeo Rocco Armentano, dopo aver affittato per alcuni anni, in Calabria, la Torre sul mare di S.Nicola Arcella, comprò nel 1913, a Scalea dov'era nato (il 10 febbraio 1886), la Torre Talao, . La Torre era anche il luogo di ritrovo di Reghini e di tanti altri iniziati, che venivano a Scalea per incontrare colui che era da loro considerato, nonostante la sua giovane età, un autentico Maestro. In origine, come dimostrano carte geografiche e fotografie, il territorio ove oggi sorge Torre Talao era un'isola (l'Isola Talao). Fenomeni di interramento, legati al trasporto di detriti da parte delle vicine fiumare di Scalea, l'hanno trasformata prima in penisola e poi l'hanno completamente circondata di terra ferma. Quando ero bambino, e perciò a maggior ragione ai tempi di Armentano e Reghini, era ancora possibile divertirsi a nuotare dalla vicina spiaggia allo scoglio della Torre. In una famosa foto, Reghini è ritratto in accappatoio sulla Torre, verosimilmente dopo un bagno nel medesimo tratto di mare. Armentano divenne proprietario della Torre, ma non di tutta l'isola. La "casina bianca", sita più in basso, le cavità naturali e la sorgente sulfurea appartenevano a Del Giudice, che nel 1914 fece compiere alcuni scavi archeologici, che confermarono la presenza umana sull'isola, a partire dal paleolitico medio. Attualmente il livello della terraferma copre la casina bianca. I reperti antichi, trovati nelle grotte, sono conservati nel musei archeologici di Reggio Calabria e di Lamezia Terme. [N. d. Sipex]
L'isola Talao nei primi del '900 (8) Per la sua posizione più centrale in seno all'O.E. (Reghini era sostanzialmente un "indiretto alle dipendenze di un maestro", proprio come Evola) Armentano aveva sicuramente una visione più ampia e più precisa delle forze in gioco in campo esoterico. Tanto che nel 1959 gli fu conferita la decorazione di Commendatore del Sovrano Ordine Militare di Malta e poco dopo egli compose l'Inno ufficiale dell'Ordine, "Cavaleiros de Malta" (1961). Nell'accettare la decorazione di un ordine cattolico, egli si era certamente ricordato che alcuni Gran Maestri dell'Ordine, come Manuel Pinto de Fonseca (1741 - 1773) o Emanuele de Rohan (1775 - 1797), avevano appoggiato, per quanto nelle loro possibilità, l'attività di alcuni membri dell'O.E., a cominciare da Cagliostro [N. d. Sadescan].
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6) Gli Antroposofi
Giovanni Colazza (1877-1953)
La componente antroposofica è quella numericamente preponderante tra gli autori che scrissero nelle riviste Ur/Krur: Alba (Elika del Drago), Leo/Krur/Breno (Giovanni Colazza), Oso/Arom (Arturo Onofri), Gic (Girolamo Comi), Arvo (Giovanni Antonio Colonna di Cesarò), Taurulus (Corallo Reginelli). Nelle successive edizioni di Introduzione alla Magia si aggiunse Massimo/Maximus (Massimo Scaligero).
6.1) R.Steiner e il Memphis-Misraim
L'impulso al rinnovamento spirituale dato da H.P. Blavatsky, fondatrice della Società teosofica (1875), indusse Rudolf Steiner (Kraljevicz 1861- Dornach 1925) ad aderire alla medesima Società, nell'ambito della quale, secondo le sue più intime intenzioni, le persone si sarebbero però dovute orientare verso una spiritualità di tipo rosacrociano. Tenendo presente quest'obiettivo, egli dotò la sezione tedesca della Società Teosofica, di cui divenne Segretario Generale, di una Scuola Esoterica: si trattava della medesima istituzione fondata da Madame Blavatsky nel 1888, poi passata sotto la guida di Annie Besant, e della quale Steiner nel 1904 fu nominato dirigente distrettuale (Arch-Warden) per la Germania e l'Austria. La Scuola Esoterica era strutturata in tre classi e le ultime due costituivano il cosiddetto "Gruppo di lavoro del culto della conoscenza". Steiner si sforzò apertamente di introdurvi il simbolismo e la pratica massonica. Per far questo, si collegò con la massoneria del Rito di Memphis-Misraim, che faceva capo a John Yarker (1833-1913). Ne troviamo un accenno nella sua autobiografia ("La mia vita", Ed. Antroposofica-Milano, cap. 36 ) ove Steiner parla brevemente di una sua adesione "ad una società che apparteneva alla corrente rappresentata da Yarker ed aveva le forme massoniche dei cosiddetti Gradi Superiori". Del resto, Yarker rivestiva anche la carica di dirigente della Società Teosofica, essendo in stretti rapporti con H.P. Blavatsky, la quale era a sua volta legatissima al Generale Garibaldi, (lo aveva addirittura seguito nella battaglia di Mentana) che, a Napoli nel 1881, aveva unificato i due Riti di Memphis e Misraïm. Non è un caso che Rudolf Steiner, il quale non poté mai conoscere personalmente Garibaldi, soprattutto nei sei volumi intitolati "Considerazioni esoteriche su nessi karmici", mostri grande ammirazione per il generale italiano,
riconoscendogli una fondamentale azione sottile, oltre che materiale, per l'ottenimento dell'unità d'Italia. Steiner, ricevuta da Yarker una patente del Rito unificato di Memphis e Misraïm, tenne tra il 1904 e il 1905, ai Fratelli tedeschi del Rito, alcune serie di conferenze poi raccolte nei due volumi "La leggenda del Tempio" e "Natura e scopo della Massoneria". In esse affermò come autentica la derivazione dei Rituali del MemphisMisraïm dalla somma Saggezza Spirituale dell'Antico Egitto. Inoltre, in diverse sue opere, egli ha evidenziato certe occulte similitudini, esistenti tra l'epoca egiziana e quella moderna, nella quale verrebbero ad attuarsi alcuni germogli occulti "piantati" durante l'antica civiltà egizia. Nell'ambito delle attività del Rito, Steiner conobbe, tra gli altri, il Barone Alexander von Bernus (1880-1965), che divenne suo fedele discepolo. Agli incontri dei due, presso il castello dei von Bernus, a Neuburg, presenziò spesso anche Gustav Meyrink.
6.2) Steiner venne in Italia - Elika del Drago (Alba)
Volendo approfondire quanto detto, osserveremo che il Memphis-Misraim tedesco era guidato da Theodor Reuss (1855-1923), grazie ad un attestato di John Yarker, datato 24 Settembre 1902. Reuss ricevette poi il permesso di Yarker di costituire il suo Sommo Santuario il I Luglio del 1904. Come abbiamo già accennato, Rudolf Steiner e Marie V. Sivers divennero membri del Memphis-Misraim il 24 Novembre 1905. Ricevettero entrambi un attestato di Deputato Gran Maestro (30°, 67°, 89°) il 3 Gennaio del 1906, che attribuiva loro l'autorità di agire come 33*, 90°, 96° quando avessero raccolto più di cento membri nella loro Loggia "Mystica Aeterna" (M.E.) detta anche "Misraim Dienst" (M.D.) a Berlino. Questa Loggia, sul versante teosofico, non era altro che la "Scuola Esoterica", della quale abbiamo già parlato, e nella quale Steiner intendeva innestare gli Arcana Arcanorum del Misraim. Attese invano tale trasmissione da Reuss, finchè, l'8 settembre del 1906, Emil Adriany (30° e membro del Golden Dawn) informò Steiner che il Sommo Santuario di Reuss mancava di questo insegnamento. Di conseguenza, nello stesso anno, Steiner fece capire a Reuss che intendeva prender le distanze dai suoi ordini, per cercare da solo quel che gli occorreva. Franz Hartmann (Emanuel), "Gran Maestro Generale Onorario" dell'Ordine, fino alla sua morte avvenuta il 7 agosto 1912, indicò a Steiner l'Italia come la fonte dell'agognato insegnamento, cosa che del resto fece anche, per un pubblico più vasto, in libri come "Un'avventura tra i Rosacroce". Alla morte di H.P. Blavatsky, la direzione generale della Società teosofica fu assunta prima dal Colonnello Olcott e poi (1907) da Annie Besant. Steiner si mostrò critico nei confronti delle teorie ufficiali annunciate dalla Besant, soprattutto per quanto riguardava la Cristologia e il ruolo attribuito, dal 1909, al giovane indiano Jiddu Krishnamurti (1895-1986), presentato come una nuova incarnazione del "Maestro del Mondo". Un altro teosofo tedesco, Hübbe-Schleiden, cercò allora di costituire un gruppo fedele alla centrale di Adyar, integrato nell'Ordine della Stella d'Oriente, creato come supporto a Krishnamurti. Nel medesimo periodo, tramite Franz Hartmann, Steiner ebbe il suo contatto in Italia con l'O.E., nella persona di Elika del Drago, principessa d'Antuni e venne in Italia ripetutamente negli anni 1909, 1910, 1911 e 1912, per ricevere, dai delegati dell'O.E., le effettive pratiche, inerenti ai gradi 87, 88, 89 e 90 di Misraim. Di Elika del Drago Ur (1927) pubblicò l'insegnamento De Naturae Sensu, sotto lo pseudonimo di Alba, giacchè ella rappresentò realmente l'alba dell'antroposofia in Italia. Nel 1909, Steiner soggiornò tra la fine di Marzo e gli inizi di Aprile a Roma, tenendo anche una serie di conferenze, alcune nel palazzo della principessa e altre nella sede del Gruppo Roma, affiliato alla Lega Teosofica Indipendente di Decio Calvari. In quella circostanza, Steiner incontrò, tra gli altri, il chirurgo Giovanni Romano Colazza, allora massone e vicepresidente del Gruppo Roma, nonchè collaboratore, assieme a Giovanni Amendola, della rivista di ispirazione teosofica "Nuova Parola". Nell'Aprile del 1910, ritornando in Italia, Steiner tenne tre nuove conferenze nel palazzo della principessa Del Drago e una presso la sede del Gruppo Roma, seguita da una di Colazza dal titolo "La Respirazione e l'Occultismo", ove egli concordò con Steiner sulla necessità di utilizzare, in Occidente, forme di meditazione differenti da quelle orientali propugnate da Annie Besant. Nel riassunto della conferenza, pubblicato in "Movimento teosofico" di "Ultra" del Maggio-Giugno 1910, Colazza diceva: "Il voler applicare esclusivamente i metodi indiani nel nostro tempo e alla nostra razza, significa non tener conto né dell'evoluzione che ha modificato considerevolmente la possibilità del nostro organismo, né delle nuove correnti spirituali immesse nel mondo". Un gruppo di studio cominciò così ad incontrarsi in casa della principessa Del Drago. Steiner, tornando in Italia nel 1911, fondò a Roma il "Gruppo Novalis" e incaricò Giovanni Colazza di presiedere questo primo nucleo teosofico italiano di ispirazione rosacrociana, al quale donò la meditazione, e il relativo mantra, "Nel segno della Croce circondata di Rose". In Germania crebbero le tensioni fra Hübbe-Schleiden e Rudolf Steiner. L'8 Dicembre 1912, il direttivo della Sezione tedesca, controllato da Steiner, dichiarò l'espulsione dalla propria sezione di tutti quei membri che aderivano contemporaneamente all'Ordine della Stella d'Oriente e nel Gennaio 1913 venne respinta la richiesta di Hübbe-Schleiden di partecipare all'XI Assemblea generale della Sezione tedesca della Società Teosofica. Nello stesso mese, Annie Besant chiese che le fosse restituita la "Carta di Fondazione" della Sezione Tedesca.
Nel mese successivo, a Berlino, aprendo i lavori dell'Assemblea generale, Steiner comunicò perciò lo scioglimento della direzione della Sezione tedesca da parte della Besant e annunciò quindi l'intenzione di trasformare il proprio gruppo in un'organizzazione autonoma. Cinquantacinque delle sessantacinque logge della Società Teosofica tedesca rimasero con Steiner, e si ricostituirono a Berlino come corpo indipendente, assumendo una denominazione nuova, quella di Società Antroposofica. Nel medesimo periodo, a Milano, sorsero due distinti gruppi antroposofici: il primo costituito dalla principessa Troubetzkoi il 2 Febbraio del 1913 e chiamato "Lombardia". Un secondo venne fondato il 28 Febbraio dello stesso anno da Charlotte Ferreri e da Lina Schwarz, con il nome di "Leonardo da Vinci". Nel 1914 erano attivi in Italia cinque gruppi ufficiali, riconosciuti dalla Società antroposofica internazionale: quello di Colazza a Roma, i due di Milano, un altro diretto dalla baronessa De Renzis, anch'esso a Roma, chiamato "Pico della Mirandola" e un quinto a Firenze, l' "Etruria", guidato da Agnes Steineger. Anche dopo la fondazione della Società Antroposofica, Steiner continuò ad usare, per la sua Scuola Esoterica, l'espressione Misraim-Dienst (Servizio del Misraim) fino al 1914, anno in cui la Scuola cessò le proprie attività, per l'inizio della Prima Guerra Mondiale: il carattere segreto delle riunioni avrebbe, infatti, potuto dare adito a equivoci pericolosi. Finita la guerra e dopo una fase di crisi interne alla Società Antroposofica, al congresso di Natale dell'inverno 1923-24, Steiner decise di rifondare la Società Antroposofica Universale con sede a Dornach (Svizzera), creando una Libera Università per la Scienza dello Spirito e rinnovando anche la Scuola Esoterica. Il progetto per la nuova Scuola Esoterica fu però compromesso dal successivo indebolimento fisico di Steiner, nel Settembre del 1924, e dalla sua morte, avvenuta il 30 Marzo 1925. Delle tre "classi" previste dalla scuola (vedi capitolo precedente), solo la prima fu avviata sotto la guida dello stesso Steiner, come documentato dai quaderni didattici conservati. Dopo di lui, sembra che nessun altro antroposofo sia riuscito a portare oltre questa iniziativa (creando le successive "classi"), verosimilmente per la mancanza di un rinnovato collegamento diretto con la fonte inesausta degli Arcana Arcanorum. Fr. Kybernetes: Rudolf Steiner è venuto anche in Sicilia, probabilmente guidato dalla lettura del diario di viaggio di Goethe, a Palermo nel 1904, dove ha tenuto una conferenza sul Cristo. Deo Ame: Non avevo notizia di questa visita a Palermo del 1904. Palermo fu toccato due volte da Steiner durante il viaggio del 1910 (dal 12-3 al 28-4-1910) che avvenne secondo le seguenti tappe: Berlino-Monaco-Vienna-Horn-Klagenfurt-Orvieto-Roma-Montecassino-Napoli-Palermo-Segesta-Palermo-Napoli -Ancona-Berlino. In quell'occasione Steiner tenne a Palermo due conferenze. Quella del 18 Aprile 1910 riguardava "L'Avvento del Cristo nel Mondo Eterico". Il resoconto stenografico di essa è pubblicato in taliano nella raccolta "Sulla via di Damasco" (Tilopa - Roma -1990); della seconda conferenza non esiste lo stenogramma. Sadescan: Anche a me non risulta nessuna visita di Steiner a Palermo nel 1904. In quell'anno, Steiner scrisse l'opera "Teosofia" e fece conferenze a Stuttgart, Lugano, Nürnberg, Hannover, München, Dresden, Regensburg, Karlsruhe, Heidelberg, Düsseldorf. Partecipò anche al congresso teosofico di Amsterdam, con la relazione "Matematica e Occultismo". In occasione della sua visita del 1910, le Edizioni Reber di Palermo pubblicarono la prima traduzione italiana di Teosofia. Fr. Kybernetes: Ho tratto la notizia da http://genesis.apivision.com/steiner.html . Non conosco il tedesco e non vorrei essermi sbagliato (in tal caso scusatemi), ma nell'anno 1904 si cita Palermo. Comunque il mio intervento voleva precisare l'effettiva mancanza del riferimento siciliano nel contesto dei viaggi in italia di Steiner, in qualsiasi anno esso sia avvenuto. Massimo: Il principale dei siti tedeschi su Steiner è http://www.goetheanum.org/ Quello segnalato da Fr. Kybernetes è un sito polacco. Si può ottenere gratis una discreta traduzione on line polacco-inglese su http://www.poltran.com/ utilizzando il secondo box (lingvobit). Di siti italiani interessanti ce ne sono molti. Oltre a quelli "ufficiali", sicuramente noti, segnalo http://www.bellia.com/steiner/omnia.htm dove si può trovare l'elenco dell'opera omnia, conferenze incluse.
6.3) Emmelina de Renzis e Giovanni Antonio Colonna di Cesarò
Calogero Gabriele Colonna, 6° duca di Cesarò (Messina 1841-Livorno 1878) sposò a Livorno nel Luglio 1876 Emmelina figlia del Barone Isacco Sonnino (1803-1878), sorella del Barone Giorgio Sidney Sonnino (1847-1922) che fu Presidente del Consiglio nel 1906 e nel 1909-10 e Ministro degli Esteri nel 1914. Emmelina o Edith (? -1944), madre di Giovanni Antonio (Roma 1878-1940), 7° Duca di Cesarò, sposò in seconde nozze il barone De Renzis di Montenero. Ella svolse un ruolo importante nella diffusione in Italia della teosofia e successivamente dell'antroposofia. Decise di schierarsi con Steiner in occasione di un loro incontro al Convegno Internazionale di Filosofia nel
1911 a Bologna. L'imminente rottura di Steiner con la Società teosofica era ormai evidente ed Emmelina decise di appoggiarlo, ottenendo l'esclusiva per la traduzione delle sue opere. Divenne anche animatrice di un nuovo gruppo di studi antroposofici che (oltre al già esistente gruppo di Colazza) si riuniva a Roma, nel suo appartamento (prima in via Po, poi in via Gregoriana) e che chiamò 'Pico della Mirandola'. Al suo fianco, agì il figlio Giovanni Antonio, deputato (nel 1909, 1913, 1919, 1921 e 1924) e ministro delle Poste nel governo Facta (1922) e in quello Mussolini. Critico nei confronti della politica di quel governo, si dimise il 5 febbraio 1924 e ne divenne uno strenuo oppositore. Nel 1920 sposò Barbara, figlia del Conte Paolo Antonello, ed ebbe da lei due figlie Simonetta e Mita. Emmelina, nel Natale del 1923, accompagnata dal figlio e da Lina Schwarz , rappresentò a Dornach l'Italia alla Fondazione della Società Antroposofica Universale. A Roma, per tutti gli anni Venti e Trenta, continuò a riunire, un giorno alla settimana, gli steineriani del suo gruppo. Tra di essi vi erano anche i poeti Arturo Onofri, morto alla fine del 1928, che negli scritti di Ur usò gli pseudonimi Arom e Oso, e Girolamo Comi (1890-1968), il Gic del Gruppo di Ur, che nel 1932 passò, almeno esteriormente, su posizioni cattoliche .
Girolamo Comi Giovanni Antonio Colonna di Cesarò fondò e diresse a Roma nel 1908, assieme al barone Vincenzo Picardi di Barcellona (Messina), la rivista politico-culturale "Rassegna contemporanea", che fu inizialmente mensile, quindicinale dal 1913 e infine trimestrale nel 1915. Proprio nel Giugno di quest'ultimo anno comparve in essa un articolo di Arturo Reghini, "La legge delle Guarentigie". Non mancarono ovviamente articoli sulle vicissitudini della teosofia e sulla nascente antroposofia. La Biblioteca della Rassegna Contemporanea stampò presso le edizioni Bontempelli e Invernizzi di Roma alcuni libri di Steiner: La direzione spirituale dell'Uomo e dell'Umanità (1912); Una via per l'uomo alla conoscenza di se stesso (1913); Dalla cronaca dell'Akasha (1913). Dal 15 Febbraio 1925 fino alla chiusura nel Dicembre dello stesso anno, Colonna di Cesarò diresse la rivista "Lo Stato democratico. Giovanni Antonio era controllato a vista dalla polizia fin dal 1925, in quanto personaggio politico di primo piano e uno dei protagonisti, in quell'anno, della "secessione dell'Aventino". Il controllo si fece più insistente dopo che l'irlandese Violet Gibson, il 7 aprile 1926, (il medesimo giorno della morte di Giovanni Amendola), già appartenente alla Società Antroposofica di Dornach, compì un attentato a Mussolini. Solo il 21 giugno del 1934, per disposizione dello stesso Capo del Governo, si dispose che il duca Di Cesarò "fosse lasciato libero" dalla sorveglianza poliziesca. A causa di questa situazione, Di Cesarò, negli anni di Ur/Krur, preferì non mettere mai nulla per iscritto dei suoi studi destinati alla rivista. Fu Evola a farlo, collaborando di persona ai medesimi e firmandoli con lo pseudonimo di Arvo. Di Cesarò mantenne un lungo carteggio (1929-1940) con il pittore russo Wassily Kandinsky e, pochi giorni prima di morire, nel 1940, riuscì a pubblicare la sua traduzione di "Della spiritualità nell'arte: particolarmente nella pittura". Nella prefazione definisce Kandinsky: "un vero e proprio filosofo dell'arte, perché nelle sue considerazioni non parte da presupposti estetici, sociali o morali, ma dalla concezione dell'uomo [...] come elaboratore spirituale del mondo". Emmelina sopravvisse per qualche tempo alla morte del figlio. Prima di morire, distrusse verosimilmente libri e documenti, tanto che la sua data di nascita è a tutt'oggi sconosciuta, perfino agli studiosi di araldica. Quella di morte (che è avvenuta comunque durante la II Guerra Mondiale) è solo presunta. Si ritiene che quando, nella primavera del 1944, le sue due nipoti furono arrestate come partigiane, ella non resse al dolore e morì.
*** Com'era da immaginarsi, la nascita del forum Gruppo di Ur e il conseguente rinnovato interesse della cultura italiana per questo gruppo magico, ha indotto taluno a cercare di specularci sopra. E' recentemente uscito un libro (di cui non citiamo nè il titolo nè l'autore, perchè non è meritevole di pubblicità) che, in forma di romanzo storico, riprende, ampliandola, una bubbola già nata in epoca fascista e cioè che, nell'ambito del Gruppo di Ur, fosse stato progettato di uccidere Mussolini. La stupidaggine nasceva dal fatto che, in un saggio, si accennava alla possibilità, del tutto generica e senza alcun riferimento ai fatti di allora, di cambiare il corso della storia, ad es. provocando magicamente un invisibile danno cerebrale ad un...dittatore. Evola aggiunge che lo stesso Mussolini, che era superstizioso, sulle prime si preoccupò della cosa, che poi gli si rivelò infondata. L'autore del romanzo cambia di poco la trama: non si tratta più di un attentato magico, ma di uno più convenzionale con un arma da fuoco (propiziato tuttavia da un rituale di catena), fallito solo per il pentimento del potenziale attentatore, plagiato, in un primo tempo, dalla volontà di un misterioso mandante, chiamato il "Presidente". Il Presidente è un misterioso cittadino inglese a capo di una romana "Accademia di Alta Cultura" (che cela in realtà una catena magica simile al Gruppo di Ur) e l'organizzatore di ben tre attentati a Mussolini (quello di Violet Gibson, di Anteo Zamboni e quello infine, sconosciuto, narrato nel libro, che il mancato attentatore avrebbe narrato all'autore). Il volto del Presidente si troverebbe in una misteriosa fotografia proveniente dall'America Latina, ma sarebbe irriconoscibile per un ritocco fotografico. L'autore, non potendo immischiare nella vicenda Evola, giacchè sarebbe stata evidente l'enormità della cosa, cerca di immischiarvi un altro membro italiano del Gruppo di Ur, politicamente antifascista e che avrebbe conosciuto in Germania l'irlandese Violet Gibson. Per rendere ancora più intricata la vicenda romanzata, dalla parte degli Inglesi, opera niente meno che...Aleister Crowley ed è implicata la...Società Teosofica! In una recente "autorecensione" del suo libro, l'autore si vanta di essere il primo ad usare il termine "fascismo magico", dopo che Giorgio Galli ha usato il termine "nazismo magico". Già quest'ultimo termine è improprio, giacchè, come ha indicato Evola, il nazismo non andò oltre un certo teosofismo a base soprattutto astrologica e perciò per nulla magico. Semmai, fu in epoca pre-nazista che si manifestò un atteggiamento che, in un certo qual modo, può dirsi magico, nell'entourage di Rudolf Von Sebottenforff. Il termine "fascismo magico" è invece del tutto improprio, essendo semmai ufficialmente esistita una "mistica fascista". L'autore cade poi in, non meno errati, luoghi comuni, come quello di suggerire per Ekatlos l'identità di Leone Caetani, eventualità della quale si indicherà, in questo stesso quaderno, l'infondatezza. Il saggio di Ekatlos non testimonia affatto l'esistenza di un "fascismo magico", ma la sussistenza di una vena della tradizione romana, che cercò di indirizzare il fascismo verso una più ampio apprezzamento della medesima. E' un vero peccato che l'autore, che purtroppo sembra, come molti altri, voler cercare la notorietà a discapito della verità storica, abbia sprecato le sue discrete doti di romanziere nello scrivere un simile indecoroso pastrocchio.
6.4) Leo, Breno e Krur Tarquinio Prisco: Ho letto nel testo di R. Del Ponte "Evola e il Magico Gruppo di Ur" che Breno era forse uno degli pseudonimi di J. Evola. A me sembra invece che lo stile e il contenuto delle monografie di Breno siano piuttosto quelli di qualche autore di estrazione antroposofica. Quadreracles: Nell'edizione di Ur-Krur curata da Massimo Scaligero (ed. Tilopa 1980-81) vi è una nota che dice : "Krur essendo divenuto il titolo della rivista, chi aveva preso questo pseudonimo lo cambia in Breno". Al termine dell'articolo originale vi è un commento che dice: "La posizione esposta da Breno in effetti è una accentuazione della parte sana della dottrina di Rudolf Steiner, alla quale si può assentire. Ed anzi possiamo aggiungere che è stata anche poca simpatia per lo stile di un certo occultismo 'ancien régime', misterioso e settario, a consigliarci una eliminazione di alcuni elementi che cooperavano ad UR. Tuttavia facciamo a 'Breno' una doppia riserva - anzitutto riteniamo che quella forma di iniziazione che egli chiama 'moderna' va fissata ad un luogo e ad un tempo solamente per esemplificazione, e va intesa, piuttosto, come una diversa modalità che l'Oriente stesso può aver conosciuto, in casi separati ovvero per altra via. Nè si deve escludere la possibilità che, di là dai brevi limiti visibili dei tempi storici siano esistiti cicli distinti di cultura, in cui tutte le possibilità siano state realizzate. Ciò per lasciar libere le vie degli uomini, e non piegate sotto il determinismo di una qualsiasi 'evoluzione' e comunque continuità. In secondo luogo la via indicata da Breno è certamente più indicata e più sicura per la media dei moderni; ma ciò non toglie che chi ha coraggio ed abilità nei 'salti', può averne dinanzi anche di altre, tanto da vivere con un altro spirito (moderno, direbbe Breno) antiche avventure. Scegliere il 'fisso' non è un male, quando subito dopo si abbia da fissare il 'volatile', per usare espressioni ermetiche ed occidentali". L'articolo di Breno è quello intitolato "Iniziazione moderna ed iniziazione orientale" nel quale si faceva espesso riferimento allo Steiner. L'articolo e' stato modificato nelle edizioni successive da Evola che tolse sia i riferimenti allo Steiner che il suo commento finale. Fabritalp: Io di "Introduzione alla Magia" ho l'edizione dei F.lli Melita, nella quale vi sono una o più monografie
di 'Breno', ma nessuna di 'Krur'. Manca quindi qualcosa? E sono molte altre le differenze? Quadreracles: L'edizione dei f.lli Melita è una ristampa dell'edizione F.lli Bocca del 1955. In ambedue le edizioni l'articolo firmato in origine come Krur "Appunti sulla morfologia occulta ..."(2' vol pag. 402) compare gia' a firma Breno. Peraltro le differenze tra la rivista originale Ur-Krur e "Introduzione alla magia" sono numerose avendo Evola rimaneggiato, tolto ed aggiunto, molti articoli. Ad es. l'articolo firmato Massimo: "Appunti sul distacco" compare solamente in "Introduzione alla magia quale scienza dell'io" del 1955, ma non in Krur. L'identità di questo Krur-Breno resta, almeno per me, misteriosa. Breno: Come è noto sia Ercole Quadrelli, sia Giovanni Colazza erano entrambi assai restitii a scrivere ed Evola, come un discepolo nei confronti di due maestri, offrì la propria penna per mettere per iscritto i loro insegnamenti orali. I pochi effettivi scritti di Quadrelli vennero firmati Tikaipos e i suoi insegnamenti trascritti da Evola furono firmati Abraxa. In modo del tutto analogo, i pochi scritti effettivi di Colazza vennero firmati Krur e poi, quando la rivista cambiò titolo, Breno. I suoi insegnamenti orali trascritti da Evola furono firmati Leo. Massimo: A riguardo è opportuno prendere in considerazione un documento presente nell' Archivio di Stato a Roma. E' datato Roma 23 marzo 1929 e proviene dall'ufficio provinciale di investigazione politica di Napoli. Esso riferisce in merito al diverbio tra Evola e Reghini, aggiungendo le seguenti notizie, riguardanti l'argomento di cui ci stiamo occupando: "L'impressione generale era che l'Evola non aveva agito per conto proprio, ma che da poche settimane andava svolgendo opera di fiancheggiamento di un servizio politico per un certo centro di difesa della Compagnia di Gesù. Oltre che un servizio informativo privato del Reghini, faceva supporre ciò il carattere che va assumendo la rivista "Krur" verso il cristianesimo, carattere favorevole, in contrasto con le precedenti affermazioni anti-cristiane dello Evola, con una tendenza sui generis verso la Società Antroposofica, di origine austriaca, fondata da Rudolf Steiner a Dornac. Nuovo redattore del "Krur" è ora il dottore in medicina Giovanni Colazza (abitante al Corso d'Italia) che firma col pseudonimo di Breuno [sic]. Lo Steiner, morto qualche anno fa, ha lasciato vuoto il posto di Gran Maestro a Dornac. Una delle accuse lanciate contro quest'associazione Massonica-Cristiana-neoplatonica è, che essa sia un aspetto profano della Compagnia di Gesù. II Colazza è il capo dell'antroposofia in Roma, e pare che l'Evola pensi di impadronirsi della Società in Italia. [...] In merito dell'Evola suppongo che agisca per mire inconfessabili, e che queste, gli siano suggerite da quegli elementi stessi che hanno sollecitato il suo avvicinamento alla Società Antroposofica. E a tale riguardo ricordo che codesta associazione in tempo non sospetto fu sospettata da [omissis] di connivenza con la Compagnia di Gesù". E' facile, nonostante lo strafalcione, riconoscere in "Breuno" il "Breno" della rivista Krur.
6.5) Arom,Oso e Taurulus Arvo: Riguardo allo pseudonimo "Arom" si può notare che si tratta di una delle 24 permutazioni della parola Roma. Più precisamente, appartiene alla "specie" delle permutazioni che iniziano con la lettera A. Alla stessa specie appartiene anche la parola Amor: Prima specie (iniziale "R"): ROMA, ROAM, RMOA, RMAO, RAOM, RAMO. Seconda specie (iniziale "O"): ORMA, ORAM, OMRA, OMAR, OARM, OAMR. Terza specie (iniziale "M"): MROM, MRMO, MORA, MOAR, MARO, MAOR. Quarta specie (iniziale "A"): AROM, ARMO, AORM, AOMR, AMRO, AMOR Arom è un personaggio legato al mito di Afrodite e al fiore della rosa. La mitologia greca considera la rosa originaria dell'isola di Citera, (o Cerigo) patria della dea Afrodite. Più precisamente, il poeta Anacreonte la fa nascere da Afrodite stessa, uscente dalle onde. Una goccia d'acqua, attaccata alla sua pelle, cadde a terra e fece nascere la prima rosa. Essa in origine aveva fiori bianchi, ma un giorno Venere, nel soccorrere Arom, si punse ed il fiore s'imporporò del sangue della Dea. Ida La Regina: Recentemente, su un sito internet italiano dedicato allo Zen, ho trovato la seguente affermazione: "Leonardo Anfolsi è nato nel Gennaio del 1959 a Bologna... La sua amicizia con Corallo Reginelli, che partecipò agli scritti del gruppo di UR firmandosi Arom e Taurulus, e con altri continuatori della tradizione filosofica neoplatonica segnò la sua educazione al pensiero dell'Occidente." Sapevo che Reginelli si firmava Taurulus. Ma per quanto sia i saggi di Taurulus sia quelli di Arom evidenzino un atteggiamento "sperimentale", non credo proprio, in base al contenuto stesso dei saggi, che ai due pseudonimi corrispondesse la stessa persona. Arom: In effetti, Arom e Taurulus non potrebbero mai essere la stessa persona. Arom scrive nel 1927 (vedi il saggio "Prime Esperienze") affermando di essersi avvicinato, per la prima volta, all'esoterismo a 35 anni. e aggiunge: "Da allora (e sono ormai passati 7 anni) ho letto ogni sorta di pubblicazioni del genere". La frase compare nella rivsta Ur (vedi ediz. Tilopa). Nelle edizioni successive, Evola (giacchè Arom era già morto) la cambiò nella frase più generica "Da allora (e sono ormai passati molti anni) ho letto ogni sorta di pubblicazioni
del genere". In base alle indicazioni date dall'autore e a calcoli elementari, si vede subito che Arom nel 1927 aveva 42 anni e che era dunque nato nel 1885. Aveva perciò addirittura una ventina d'anni più di Corallo Reginelli, uno dei membri più giovani del Gruppo di Ur, come anche il suo pseudonimo di Taurulus ("torello") sottolinea. Nel 1885 nacque invece Arturo Onofri, che si firmò con gli pseudonimi di Arom e di Oso. Dei due, il più "trasparente" è proprio Arom. Se si prendono le due lettere iniziali del nome ARturo e del cognome ONofri, si ottiene Aron, che venne modificato in Arom per i motivi simbolici ai quali ha già accennato il nostro "Arvo", nell'intervento precedente. Onofri adoperò lo pseudonimo di Arom per il saggio intitolato "Prime Esperienze" ed Evola lo usò anche per il saggio "La Corona di Luce" di contenuto analogo, pubblicato postumo (1929) su Krur. Onofri adoperò invece lo pseudonimo di Oso per firmare lo scritto di contenuto dottrinario "Appunti sul Logos" e il poema "Una volontà solare". Come dice Arom di sé stesso, Onofri cominciò ad occuparsi di esoterismo nel 1920 (a 35 anni). Non a caso la sua prima opera poetica che, anche secondo la critica profana, è influenzata dall'esoterismo, cioè "Arioso", è del 1921. Ma l'influsso propriamente steineriano comparve solo nel 1924, nell'opera "Le trombe d'argento". La posizione teorica di Onofri fu annunciata in una 'guida' al "Tristano e Isotta" di Wagner (1924) e sintetizzata in "Nuovo rinascimento come arte dell'io" (1924). Arom dice: "Ebbi nel 1925 le prime manifestazioni." ed è infatti in "Terrestrità del sole" (1927), "Vincere il drago!" (1928) e nelle opere postume che il lettore trova non più semplice traccia dell'adesione teorico-pratica di Onofri all'esoterismo, ma espressioni esplicite della sua realizzazione interiore. Morì misticamente il giorno di Natale del '28. Se Arom e Taurulus non sono perciò affatto la stessa persona, pure si può dire che, in un certo senso, Taurulus fu il "successore" di Arom. Se Onofri morì infatti alla fine del 1928, Reginelli, dapprima semplice appassionato lettore della rivista, si aggregò al Gruppo di Ur agli inizi del 1929, attratto soprattutto da quella componente antroposofica della quale anche Onofri aveva fatto parte. Il suo unico saggio "Esperienze" è di contenuto affine all'analogo di Arom e ne continua perciò il filone. Afrodite: In effetti lo pseudonimo di Arom è più immediato a comprendersi. Trovo più difficile capire la genesi di Oso. EA: Ogni essere è un Giano bifronte, che con un volto guarda alla propria esperienza passata e con l'altro al futuro. Arom, pseudonimo legato al nome e cognome del poeta, ma anche a Roma sua città natale e a quella rosa cara ai Rosacroce, è la faccia che guarda al passato e fa tesoro di esso a vantaggio proprio e degli altri. A questo proposito, si rifletta sul fatto che la memoria del proprio passato è importantissima per qualunque uomo, visto che è sostegno dell'individualità. Non a caso, se qualcuno, per un qualsiasi trauma, perde la memoria, si chiede problematicamente: "Chi sono?". Oso è invece la faccia che guarda al futuro. In ambito rosacrociano, spesso questa faccia si concretizza in un motto magico. Tale motto è talvolta in latino (come quelli in uso nella Golden Dawn), ma, nel caso di un poeta che ha espresso in italiano il suo iter iniziatico, non poteva che essere nella nostra lingua. Perciò Oso è lo pseudonimo più semplice che si possa immaginare, dal momento che significa appunto e semplicemente "oso!". E' proprio Arom a ricordare nel saggio "Prime Esperienze", come, agli inizi delle sue pratiche esoteriche, prima della sua "svolta" steineriana, Onofri si sia trovato in situazioni difficili, dalle quali usci in virtù del proprio coraggio, del proprio osare. Consapevole che la via iniziatica, perfino dopo che si è trovata la propria strada, è sempre "un andare sul filo del rasoio", Onofri scelse Oso, quale motto per indicare il giusto atteggiamento anche e soprattutto verso il futuro.
7) I Cattolici
Occhi di Ifà: Talvolta, anche in relazione a membri del gruppo di Ur, si sente parlare di esoteristi cattolici (o di cattolici esoterici). Ad es. vengono definiti tali Guido de Giorgio (Havismat) e Nicola Moscardelli (Sirio/Sirius/Sagittario). E si dice anche che antroposofi come Girolamo Comi (Gic) e Corallo Reginelli (Taurulus) siano poi diventati esoteristi cattolici. Ma è mai esistito un esoterismo cattolico (o cattolicesimo esoterico)? Per poter rispondere affermativamente, occorre rispondere alle seguenti domande: 1) E' mai esistito un esoterismo cristiano ? (c'è chi dice di no, perfino tra i cristiani) 2) In caso affermativo, è mai esistito un esoterismo cattolico, che possa distinguersi da altre forme di esoterismo cristiano? Rispondere affermativamente alla prima domanda significa dimostrare che vi sono stati dei "maestri perfetti", come li chiama Kremmerz, che abbiano trasmesso un'iniziazione, avente come simbolo centrale la figura di Cristo. Una risposta affermativa a tale domanda pensiamo di essere riusciti a darla nel quaderno Considerazioni sull'Iniziazione. Tale risposta ci permette di parlare anche di esoterismo cattolico? Il cattolicesimo si distingue, ad es. dalla chiesa ortodossa, principalmente perchè: a) afferma che lo Spirito Santo "procede dal Padre e dal Figlio" (e non dal solo Padre);
b) afferma l'esistenza del Purgatorio; c) proclama il dogma dell'Immacolata Concezione; d) proclama l'infallibilità pontificia. Si potrà affermare che esiste un esoterismo cattolico, soltanto se si riuscirà a dimostrare che tutte o alcune di tali caratteristiche peculiari del cattolicesimo sono state assunte quali simboli fondamentali di una qualche via iniziatica. In caso contrario, si dovrà ammettere che esistono più exoterismi cristiani, ma un unico esoterismo cristiano. In tale eventualità, il termine esoterista cattolico non avrà alcun significato, dovendosi più correttamente parlare di un esoterista cristiano che agisce in ambiente cattolico: ad es. in relazione a Comi e Reginelli non si potrà dire che essi sono passati all'esoterismo cattolico, ma (se si considera l'antroposofia una manifestazione dell'esoterismo cristiano) si potrà dire soltanto che essi, dopo aver agito in ambito antroposofico, sono passati ad agire in un ambiente cattolico.
7.1) HAVISMAT (Guido de Giorgio)
Frater Petrus: Guido De Giorgio (1890-1957) nacque nel 1890 a San Lupo nel Sannio. Dopo essersi laureato in filosofia a Napoli, con una tesi di argomento orientalistico, si recò in Tunisia come insegnante ed, in Africa, prese contatto con rappresentanti dell'esoterismo islamico. Da tale contatto scaturì in lui non il desiderio di islamizzare l'Italia e l'Europa, ma una più profonda comprensione della tradizione cristiana, che egli concepiva come la prosecuzione della tradizione romana, vedendo in Dante Alighieri la perfetta sintesi creativa degli elementi contenuti nell'antica e nella nuova tradizione. L'opera (pubblicata postuma nel 1973) in cui ha espresso compiutamente tale concezione si intitola appunto "La Tradizione romana". Trasferitosi a Parigi dopo il primo conflitto mondiale, conobbe Renè Guenon con il quale stabilì legami di amicizia e di collaborazione. Alcuni suoi scritti, firmati con lo pseudonimo di Zero, furono pubblicati sulle riviste Le Voile d'Isis ed Etudes Traditionnelles. Tornato in Italia, De Giorgio conobbe Arturo Reghini e Julius Evola. Guenon corrispondeva epistolarmente con tutti e tre; l'unico, però, a cui, nelle sue lettere, si rivolgeva con l'espressione introduttiva "Caro Signore ed Amico" era De Giorgio. Egli era anche l'unico con il quale trattava di fatti privati e che nella tarda estate del 1927 ospitò a Blois. Erano proprio uomini come De Giorgio, a contatto con l'esoterismo orientale, ma al fine di ripristinare integralmente la tradizione occidentale, a costituire il principale modello umano, che Guenon aveva in mente quando, nei suoi libri, scrisse dell'èlite. De Giorgio esercitò un certo ascendente sullo stesso Evola, il quale scrive ne Il Cammino del Cinabro: "La sua influenza su me...ebbe relazione col suo drammatizzare e energizzare il concetto di Tradizione, che nel Guenon, a causa della di lui equazione personale, presentava tratti troppo formali ed intellettuali. Vi si univa una sua tendenza all'assolutizzazione che, naturalmente, in me trovò un suolo congeniale." Alcuni scritti di De Giorgio vennero pubblicati, con lo pseudonimo di Havismat, sulle riviste Ur e Krur, dirette da Evola. In "Noterelle sull'ascesi e sull'antieuropa"(che si può leggere attualmente nel secondo volume dell'opera "Introduzione alla magia a cura del gruppo di Ur"), De Giorgio dice a proposito dell'élite: "Elite va bene: sono mezzi provvisori. ... Una élite non è la Tradizione: una èlite è una vena, una vena preziosa ma una vena: ci vuole il macigno, ci vogliono altre vene e bisogna che tutte le vene convergano, benchè la centrale sola, l'occultissima, regalmente vada e, nascondendosi, sprofondandosi, domini." Terminata l'esperienza del gruppo di Ur, De Giorgio stimolò Evola a dirigere una nuova rivista: "La Torre". A questo proposito, Guenon scrive in una lettera a De Giorgio inviata da Parigi e datata 5-1-1930: "Ciò che è davvero curioso è il modo in cui Voi trattate Evola e il risultato che ne
ottenete comunque; dubito assai che lo accetterebbe da altri che da Voi". Nel primo numero della nuova rivista, in un articolo intitolato "Carta di identità", Evola scriveva: "La nostra rivista è sorta per difendere dei princìpi che per noi sarebbero assolutamente gli stessi, sia che ci trovassimo in un regime fascista, sia che ci trovassimo in un regime comunista, anarchico o democratico. In sé questi principi sono superiori al piano politico; ma applicati al piano politico, essi possono solo dar luogo ad un ordine di differenziazioni qualitative, ...". De Giorgio collaborò con svariati articoli, nei quali riprese il suo vecchio pseudonimo di Zero. Per l'opposizione di certi ambienti fascisti, della nuova rivista poterono uscire solo dieci numeri a cadenza quindicinale. Lo stesso tipo di attività riprese nel 1934 su Diorama, la pagina speciale, diretta da Evola, del quotidiano cremonese "Il regime fascista" e questa volta collaborò anche Guenon. Ne sono prova i suoi venticinque saggi, usciti negli anni 30-40 su tale quotidiano. Tali saggi sono stati raccolti tutti nel volume "Precisazioni necessarie". Un figlio di De Giorgio , di nome Lamberto, morì nel 1939 nella guerra di Abissinia e fu decorato con la medaglia d'oro al valore. Quando Guido De Giorgio fu ricevuto da Mussolini, per avere dalle sue mani la medaglia d'oro alla memoria del figlio, non mancò di fare un tentativo diretto di raddrizzamento della politica del regime e gli espose i suoi progetti di revisione del fascismo, sulla base di quei principi esposti nell'opera già citata. Mussolini, sommerso da un insieme di considerazioni che in parte non poteva probabilmente capire e in parte gli sembravano poco realistiche, lo congedò con un nulla di fatto. Ritiratosi De Giorgio ad una esistenza solitaria sulle Alpi piemontesi, Evola continuò da solo i suoi tentativi di "rettificazione" in senso tradizionale del regime. *** Havismat: In questo forum, si sono a volte formulate critiche nei confronti di De Giorgio. In parte esse sono giustificate, perchè De Giorgio, tutto teso a realizzare una sua personale visione del mondo, in cui tentava di conciliare Romanità e Cristianesimo, Dante e il Fascismo (vedi in proposito la sua opera principale "La Tradizione Romana"), prese probabilmente sottogamba l'esperienza di Ur. Tuttavia talune critiche penso derivino anche dall'ambiguità con cui taluni editori e curatori hanno presentato certe opere postume di De Giorgio. Ad es. L'Instant et l'Eternité (Milano 1987) reca una tendenziosa introduzione "Guenon, De Giorgio et la 'réorientation' de Julius Evola", firmata con le iniziali G.M., che ha lo scopo di screditare Ur/Krur, in particolare gli autori antroposofi e kremmerziani, e presentare De Giorgio come un oppositore dela linea di Ekatlos (naturalmente identificato con Leone Caetani!). Ruolo che egli non si è mai proposto; semmai ha cercato, come si è già detto, di conciliare Romanità e Cristianesimo nel Fascismo. Non è un caso che il medesimo editore abbia pubblicato le opere di Alexandre de Danann, pseudonimo di un personaggio che, come ha rivelato Paolo Fogagnolo, ha avuto un ruolo di primo piano nel tentativo di screditare l'opera kremmerziana e dell'O.E. Un editore gabbato? o connivente? Ci auguriamo prossime edizioni più obiettive.
*** 7.2) SIRIO, SIRIUS e SAGITTARIO (Nicola Moscardelli) In "Evola e il magico gruppo di Ur" (Borzano, 1994) Renato del Ponte, parlando brevemente della compenente cattolica del Gruppo di Ur, dice (p. 51): "Con De Giorgio va ricordato anche lo scrittore cattolico Nicola Moscardelli, filosofo, che sarebbe l'autore di un contributo firmato come 'Sirius' nel I volume e 'Sirio' nel III". Quel condizionale "sarebbe" va trasformato nel presente indicativo "è", giacchè i due saggi intitolati rispettivamente "La Nebbia e i Simboli" e "Il rumore", come abbiamo personalmente accertato, vennero ripubblicati dallo stesso Moscardelli già nel 1933, presso l'editore Guanda di Modena, nella raccolta intitolata L'altra Moneta. Più precisamente, i due saggi si trovano, uno di seguito all'altro, nella quarta parte della raccolta, che reca il sottotitolo "Di là dal velo". Se Evola li mantenne anche nelle ultime edizioni di Introduzione alla Magia è verosimilmente per non eliminare totalmente il contributo di Moscardelli, ma anche per una certa difficoltà, fuor dalle biblioteche, a trovare le opere di questo autore. Chi ha letto le poesie di Moscardelli, da noi presentate nel quaderno Ars Hermetica, non ha dubbi sul perchè Moscardelli scegliesse degli pseudonimi dal sapore astrologico. In lui rivivevano e agivano i simboli dei culti stellari dell'antichità, sia pure in una forma esteriore cristiana. Lo pseudonimo Sirio/Sirius venne utilizzato solo per i due suddetti saggi di carattere dottrinario. Invece il resoconto di una trasformante esperienza interiore, intitolato Risveglio (Krur-1929), fu firmato come Sagittario. Dice una sua poesia, compresa nella raccolta "Le Grazie dela Terra": Sotto i dardi del gigante Sagittario i cuori delle foglie si dissanguano
e lungo i piani e sopra i monti gli alberi sembrano arsi da un interno incendio. Dunque il Sagittario è il simbolo dell'autoconsumarsi della realtà comune, che permette di percepirne un'altra e più reale, come è ben descritto in "Risveglio". Talvolta è stato attribuito lo pseudonimo Sagittario ad Aniceto del Massa, perchè si narra che Evola lo definisse, non senza una punta di critica, "l'astrologo". Ma in Del Massa l'interesse per l'astrologia fu posteriore all'epoca di Ur, onde il rammarico di Evola, che la considerava una deviazione. Evola, invece, aveva grande stima di Moscardelli, perchè in quest'ultimo l'astrologia era un insieme di simboli attivi, magici - facente parte di una complessiva visione vivente della natura - e per nulla un espediente predittivo. Ben diverso lo spirito di Del Massa che nei primi anni sessanta scriveva: "Sono esperto in astrologia, ma il 16 giugno non ho saputo decifrare che sarei caduto dal filobus e così eccomi qui a scrivere con la mano sinistra" (1). Del Massa si mantenne, o fu tenuto, ai margini di Ur, tanto che il 25 aprile de 1928 ebbe a scrivere: "Io credo alla magia; so benissimo che le forze occulte della natura se dominate, determinano una potenza non comune ... Attualmente devo dire di non conoscere in Occidente alcun centro iniziatico, sebbene abbia la certezza che molti ne esistano. ... io non ho raggiunto finora, che la soglia; so che molto cammino ho da compiere" (2). Parole molto ma molto diverse da quelle di Sagittario. (1) In Aniceto del Massa, Pagine Esoteriche, Trento 2001, p.5. (2) Op. Cit. p. 49. *** Nicola Moscardelli nacque, il 9 Ottobre 1894, a Ofena (L'Aquila-Abruzzo), dove il padre, Don Serafino, ricoprì ai primi del Novecento la carica di sindaco. Nel 1913 Nicola pubblicò, a sue spese, due raccolte di poesie " Le fiamme" e " La veglia", che gli valsero una recensione su "La Voce" e poi sul "Giornale d'Italia". Collaborò alle riviste La Voce e Lacerba; Alberto Viviani (nell'opera Giubbe Rosse 1913-1914-1915, Firenze, Barbèra, 1933) lo ricorda tra i letterati frequentatori, nell'anteguerra, del famoso caffè fiorentino Giubbe Rosse di Piazza Vittorio. Sopravvenuta la guerra, Moscardelli partì, tra i primi, come ufficiale di complemento nei fucilieri di Pinerolo. Nel 1915 fu gravemente ferito; riportò una ferita profonda ad una guancia: gli rimase, oltre ad una cicatrice, una paralisi locale che gli rendeva difficile la masticazione. Il suo eroismo gli valse la medaglia d'argento al valor militare. Congedato, fondò assieme a Maria d'Arezzo e Giovanni Titta Rosa (che erano stati come lui collaboratori de "La Voce " e "Lacerba") la rivista "Le Pagine" (L'Aquila-Napoli 1916-1917). Prendendo le distanze, in poesia, da futurismo e lacerbismo, ormai considerati vacue espressioni di "cocottismo intellettuale", fu la prima rivista in Italia ad accogliere i contributi dei dadaisti Tristan Tzara e Marcel Janco, collocandosi così su posizioni simili a quelle di Evola. In seguito Moscardelli si trasferì a Roma e lì rimase quasi sempre, si sposò ed ebbe una figlia, Graziella. A Roma strinse amicizia con Onofri, Evola, Di Cesarò, Comi e moltissimi altri letterati. Evola , ne Il Cammino del Cinabro (p. 60, Milano 1972), cita una recensione di Moscardelli alla Teoria dell'Individuo assoluto: "Nicola Moscardelli, poeta da me molto stimato, scriveva: 'Nell'Evola s'incontra uno di quei tipi, i quali riassumono i caratteri di un'epoca: tipi così fortemente sagomati, che pochi ardiscono accostarli non perchè non se ne sentono troppo lontani, ma invece perchè se ne sentono troppo vicini e di ciò hanno paura'." La produzione in prosa e poesia di Moscardelli fu vasta, nonostante che, forse come conseguenza di quanto gli era accaduto in guerra, si fosse presto ammalato. Cessò di vivere, a soli quarantanove anni, il 21 Dicembre 1943, a Roma. *** La recensione di Moscardelli, ricordata da Evola, venne poi ripubblicata in "Anime e Corpi" (Catania - 1932) una raccolta dei saggi critici di Moscardelli, precedentemente comparsi su quotidiani e riviste, a partire dal 1918. Anche se nel 1932 certe posizioni teoriche di Evola si erano in parte modificate, il saggio di Moscardelli, che riproponiamo, rimane importante, oltre che per qualche dettaglio sui loro primi incontri, perchè esprime con obiettività la diversità delle loro posizioni e perchè in chiusura "profetizza" il superamento del solipsismo da parte di Evola. 7.3) Nicola Moscardelli GIULIO EVOLA S'incontrano raramente, ma s'incontrano, dei tipi i quali riassumono il carattere di un' epoca come il prisma riassume i colori dell'aria. Di solito essi sono tipi così fortemente sagomati che pochi ardiscono accostarli non perchè se ne sentono troppo lontani, ma, al contrario, perchè se ne sentono troppo vicini, e di ciò hanno paura. Uno di questi esseri i quali hanno in sè la spietata chiarezza dei nostri giorni, il calor bianco delle nostre
angoscie, mi accadde di incontrarlo vari anni fa in un caffè notturno dove i convenuti non bevevano assenzio o liquori fortemente drogati, ma peggio, idee e pensieri innocui all'apparenza, nella sostanza terribilmente distruttori. Il giovane che ascoltavo parlare allora per la prima volta e che di poi ho inteso innumerevoli volte, in privato ed in pubblico, era un adolescente, raziocinatore, ebro di pensiero, che dava la scalata al cielo, attraverso sillogismi così bene innestati l'uno all'altro che in fine chi non è abituato alle salite si sentiva il vuoto della vertigine intorno. Giulio Evola aveva già sfidato il senso comune e tutta la famiglia del "ma chi te lo fa fare", prendendo sul serio il movimento dadaista nel quale giustamente non vedeva soltanto una innocua gazzarra di buontemponi, ma un primo radicale tentativo di svalutazione d'ogni arte, in nome di un assoluto irraggiungibile. Poteva e può far ridere una "Gioconda" con i baffi, o il facsimile di un biglietto d'ingresso per poltrona pubblicati con firma e data come l'Infinito di Leopardi, ma chi va al di là delle apparenze scorgeva in questi segni così facilmente chiamati pazzeschi una esigenza nuova, o per lo meno nuovamente posta, una istanza destinata a dare il medesimo valore alla "Gioconda" ed al biglietto d'ingresso: perchè come sotto la campana pneumatica il ferro e la piuma hanno il medesimo peso, così sotto il cielo tutte le manifestazioni dell'intelletto hanno un peso eguale, e che nessuna bilancia registra, perchè è simile al nulla. Da un simile stato d'animo non ci si libera dicendo a sè stessi "mi sono sbagliato; la croce di cavaliere ha veramente un valore, ragion per cui mettiamoci a fare quello che fanno tutti per veder se ce la dànno quanto prima", ma ci si libera invece dando un appuntamento a Dio, uno di quegli appuntamenti quali ne dànno solo gli innamorati, a vent'anni, quando un sì o un no bastano a far cambiare colore al mondo. Evola, adolescente, ebro e scontento di tutte le filosofie passate, lettere d'amore scritte a Dio da gente che lo amava o che lo aveva amato o che voleva amarlo e non ci riusciva, chiese a Dio di non essere, perchè se Dio non è l'uomo si fa divino. Solamente questo egli chiedeva. Ed, all'appuntamento, invece del Creatore trovò la creatura, invece di Dio trovò sè stesso con la volontà di farsi Dio. Dice Weininger, che il Genio è la suprema moralità e che tutti abbiamo il dovere di diventar genii. Dice Evola che noi abbiamo il dovere di diventar Dio, con le nostre, forze, con la nostra volontà. Non, dobbiamo attenderci nulla dall'alto, perchè questa attesà è immorale - egli dice - ma tutto deve venire da noi, guadagnandocelo con le nostre forze, con le nostre privazioni, con il nostro supremo volere: Quando noi ci saremo fatti divini, quando ci saremo costruiti ex-novo, il mondo esterno sarà ai nostri ordini, sottomesso al nostro volere quale docile creta al pollice dello scultore, giunto l'uomo all'apice della sua potenza, divenuto individuo assoluto, mago: ma non già di una magia che chiede alle formule ed ai riti la realizzazione della propria volontà, ma di una magia intellettuale, sprigionantesi dall'anima, capace di trasformare il proprio corpo e tutti gii altri corpi insieme, nulla essendo più il mondo che un deserto sul quale l'uomo solo campeggia, arbitro della creazione, al principio della sua settimana come il Dio dei padri al principio del mondo. Budda e Michelstaedter, Lao-tze e Nietzsche si trovano in questo sistema: ma quanto mutati! Costoro diventano delle educande a petto della fredda, in apparenza, ragione di Evola. Bisogna dire che le teorie di costoro solo in Evola hanno trovato chi le portasse alle estreme conseguenze: alle logiche conseguenze. L'idealismo che dice all'uomo: tu sei Dio, non è che un gioco di parole, paragonato all'idealismo magico che dice all' uomo: tu devi diventare Dio. Veramente Evola dà per dimostrato che Dio non esiste. Per me, credo che sia molto più difficile dimostrare che Dio non esiste anzichè che Dio esiste. Quando Voltaire disse che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo, espresse, forse senza saperlo, una profonda verità. L'ateismo è un ordine del giorno votato dagli echi riuniti a congresso per dimostrar che la voce non esiste. La storia dell'ateismo potrebbe esser intitolata "La rivolta degli echi". Similmente Evola, che considera Cristo un messaggero senza messaggio, ancora non sa che proprio Cristo ha detto a tutti gli uomini la più potente parola che sia mai stata pronunciata sulla terra: se avete fede quanto un chicco di senapa smuoverete le montagne. Ma è destino che nel tempo nostro il seme cristiano faccia presa solamente nell'animo di coloro che non lo riconoscono. Non avessimo altre prove, basterebbero le parole di Nietzsche a farci certi della divinità di Cristo. Il tono fa la canzone: e quanta gente cammina cercando Cristo, senza avvedersi che è proprio Cristo colui che la fa camminare. *** Le filosofie di tutti i tempi, di tutti i paesi, di tutti i colori, hanno tutte un medesimo valore. Sono grimaldelli con i quali non s'aprono nè le porte dell'al di là, nè il cuore di colui che c'è vicino. Anche l'idealismo che pare una bella chiave "Yale" destinata a far girare sui cardini le solenni porte di bronzo che chiudono il mondo, forse, a esaminarlo bene, anch'esso non è altro che uno di quegli arnesi che nel gergo della malavita son chiamati "piedi di porco". Ma ciò che importa? Non contano le cose che si fanno, ma conta l'intenzione con cui si fanno. Da questo punto di vista è chiaro che c'è oggi un'ansia, una volontà di accamparsi di là dai confini vietati, quale forse non c'è mai stata. Viviamo sotto la costellazione del misticismo ateo. Ho assistito a delle conferenze di Evola ed alle discussioni che ne son seguite. Studenti, uomini d'affari, medici, professori prendevano parte alla discussione favorevoli o contrari, con un calore che qualche volta stava per tradursi in pugni. Sembrava di assistere ad un comizio elettorale, e invece si discuteva dell'esisteza di Dio. Questo è importante: ed è meglio adorare il diavolo che non adorare nulla. Oggi, gli uomini non credono più in Dio e non credono ancora abbastanza in sè stessi. Si sono staccati dal Padre, con le gambe ancora malferme. Si vergognano di guardare il cielo e non sanno guardare la terra.
Hanno una disperata volontà di credere e insieme una feroce voluttà nel negare. Sono tristi come orfani ai quali il tutore ha detto che furono trovati una mattina sotto un cavolo nell'orto. Si trovano nello stesso stato d'animo dei pulcini covati dall'incubatrice anzichè dal calore della chioccia. Gli odierni suicidi, anche quelli che lasciano un biglietto per la Questura, ov'è detto: "mi uccido per dissesti finanziarii", sono tutti suicidi per dìssesti filosofici. Infatti in qualunque trattato di zoologia si legge che se si taglla la testa ad una formica essa si agita follemente, quasi sovrumanamente ebra di vita: e poi subito muore. Evola, ch'è giovanissimo, e che oggi allinea i suoi pensieri lucidi come arnesi chirurgici sul tavolo d'una sala operatoria, ha già in sè il primissimo germe cristiano: quello che impone all'uomo di "essere" anche se tutto il mondo non lo riconosca. Da questo germe certamente nasceranno opere eccellenti come le passate, ma il loro vertice non toccherà un cielo vuoto e freddo, sì bene un cielo costellato di creature verso le quali egli sente forse un anelito che ha ancora il pudore di manifestarsi esternamente.
*** 8) I POLARI: AGARDA, ZAM e DE NAGLOWSKA Agarda: Il termine Agarttha è alquanto recente. Esso costituisce una distorsione fonetica del termine nordico Asgaard il "recinto degli Asi", una gigantesca fortezza creata da Odino al centro dell'universo e protetta dalle sopracciglia di Ymir, gigante dal quale furono poi create tutte le cose del mondo. Il primo a connettere questo termine con l'Asia fu lo scrittore tradizionalista cattolico francese Joseph Ernest Renan (Tréguier1823-Parigi1892). Nei Dialogues Philosophiques (1876), di poco successivi alla sconfitta di Sedan e alla Comune di Parigi, accennò alla necessità di "ricostruire nell'Asia centrale ... un centro degli Asi ..., Asgaard". E' indagando su tale opportunità che inizialmente si mossero Mario Fille e Cesare Accomani, prova ne è lo pseudonimo che Fille adoperò su Ur, Agarda (1), che è appunto una italianizzazione di Asgaard. Il successivo uso, da parte dei Polari, della versione Agarttha è probabilmente una (pericolosa) concessione alla terminologia di Guenon, il quale, non bisogna dimenticarlo, fu il correttore di bozze del libro di Accomani (Zam Bothiva) Asia Misteriosa (1929). (1) Talvolta si è voluto identificare Agarda con Evola, ma questi, nei saggi non scritti in collaborazione con altri membri di Ur, adoperò unicamente gli pseudonimi Ea e Iagla. Il primo nei saggi di carattere più dottrinale e il secondo in quelli di carattere più realizzativo e biografico. Perciò, se fosse stato lui l'autore del saggio di Agarda, "Appunti sull'azione nelle passioni" (apparso su Krur e ora in Intr. alla Magia vol III), visto il carattere realizzativo del saggio, si sarebbe semplicemente firmato Iagla. Tullio Quasimodo: Per rendersi meglio conto dell'incredibile voltafaccia di Guenon, dopo che fu rifiutata la sua prefazione al libro di Zam, riportiamo alcuni passi di quanto egli dice sui Polari e sul loro oracolo in Le Voile d'Isis, Gen. 1931, pp. 125-126: "In effetti abbiamo seguito un po' le manifestazioni del metodo divinatorio chiamato "oracolo di forza astrale", in un'epoca in cui non si trattava di fondare un gruppo basato sugli "insegnamenti" ottenuti con questo metodo; poichè c'erano cose abbastanza enigmatiche, abbiamo provato a chiarirle chiedendo alcune precisazioni d'ordine dottrinale, ma abbiamo ottenuto soltanto risposte vaghe e sfuggenti, fino al giorno che una nuova domanda ha portato, finalmente, al termine di un tempo abbastanza lungo, nonostante la nostra insistenza, ad un'assurdità caratteristica; già da allora abbiamo avuto la certezza del valore iniziatico delle ispirazioni ipotetiche, solo punto interessante per noi in tutta questa storia. E' stato precisamente, se ricordiamo bene, nell'intervallo che è passato tra quest'ultima domanda e la risposta, che si è parlato per la prima volta di costituire una società ridicolmente chiamata con il nome barocco di "Polari", (se si può parlare di "tradizione polare"o iperborea, non potrebbe essere applicato questo nome senza cadere nel ridicolo a persone che, oltre tutto, non sembrano conoscere di questa tradizione più di ciò che noi stessi hanno detto in molti dei nostri lavori.). Abbiamo negato nonostante molte richieste non soltanto di far parte di essa, ma anche di sostenerla o approvarla non importa come, tanto più che le norme dettate dal "metodo" contenevano puerilità incredibili. Quanto al "metodo", uno potrà facilmente rendersi conto che non c'è che constatare ciò in cui possono convertirsi i frammenti di una conoscenza reale seria tra le mani di gente che se ne è impossessata senza capirla minimamente". Poichè l'annuncio della costituzione del Gruppo dei Polari si trovava già in Asia Misteriosa, testo che, come sappiamo, Guenon conosceva benissimo, è evidente con quanta noncuranza egli cambiasse le carte in tavola.
Zam: Al citato attacco di Guenon ai Polari, ne "le Voile d'Isis", Zam rispose con il seguente articolo, apparso nel n°11 della "Revue des Polaires" del 9 marzo 1931. Risposta dei Polari al sig. René Guénon di Zam Bothiva Il Sig. René Guénon ha scritto, ne "le Voile d'Isis" del mese di Febbraio, un pamphlet insolente contro i Polari. Noi diciamo insolente; il Sig. Guénon in effetti scrive: "Abbiamo appreso da allora che alcune persone serie che avevano inizialmente dato la loro adesione, non avevano tardato a ritirarsi..." ma dobbiamo riconoscere che queste differenze di linguaggio ci avrebbero assolutamente lasciati indifferenti se il sig. Guénon non provasse così, con il suo pamphlet, la sua contraddizione, la sua leggerezza e, nel vero senso della parola, la sua "collera" contro tutto ciò che rappresenta "l'azione". E i Polari che devono combattere i "falsi illuminati" non si lasciano affatto sfuggire l'occasione di dare una piccola lezione a questo "Gran Maestro" dell'Occultismo che distribuisce, con la "morgue" e la sufficienza del medico di Molière, impiastri ed unguenti ermetici... Ora, il Sig. Guénon ha semplicemente dimenticato che ha corretto il manoscritto di Asia Misteriosa, che ne ha corretto le bozze, e che ha anche scritto una prefazione, ritirata del resto VOLONTARIAMENTE dall'autore del libro. Per ricordarglielo, trascriviamo, in extenso, la sua prefazione. Prefazione scritta dal Sig. R. Guénon per Asia Misteriosa I centri iniziatici Il metodo che è qui in questione ha un carattere particolare con il quale si distingue essenzialmente da tutti quelli che potrebbero, a prima vista, essere confusi con esso a causa di alcune similarità esterne: è che si presenta come un mezzo di comunicazione con un centro iniziatico abbastanza misterioso, che, secondo le indicazioni fornite dalle risposte che questo metodo stesso ha permesso di ottenere, sarebbe situato in una regione dell'Asia centrale. È a questo titolo che, già da molti anni che ne siamo a conoscenza, ci è sembrato degno d'interesse, mentre, se si fosse trattato soltanto di un semplice metodo divinatorio, e qualunque potesse essere il suo valore sotto questo aspetto, non saremmo stati mai tentati di concedergli la minima importanza. Ma, naturalmente, questa pretesa non può essere ammessa senza controllo; con quale mezzo sarà possibile riconoscere se è fondata? Ovviamente, è a questo punto che cominciano le difficoltà; per strano che sembri l'impiego di tale modo di comunicazione, non offre a priori alcun'impossibilità, e si può anche pensare che debba essere abbastanza naturale se si tratta di un centro iniziatico che dipende da una tradizione dove il simbolismo numerico svolge un ruolo preponderante. Per andare più in là di questa semplice possibilità, occorre esaminare le risposte stesse, quelle soprattutto che si riferiscono a questioni dottrinali; non possiamo pensare di intraprendere qui quest'esame dettagliato, che farebbe del resto doppione con una parte della relazione contenuta in questo volume. Ciascuno, dopo avere letto questa relazione, potrà farsi un'opinione da parte sua e vedere quali sono le prove a favore di una comunicazione reale; da parte nostra, pensiamo che il meno che si possa dire, è che tutte le altre ipotesi che si potrebbero supporre sarebbero più incredibili di questa. Se dunque ammettiamo che abbiamo qui a che fare con un centro spirituale che esiste effettivamente da qualche parte in oriente, un'altra questione si pone immediatamente; è possibile, fino ad un certo punto almeno, determinarne la vera natura? Qui ancora, è il carattere delle risposte ottenute che ci darà la soluzione; ora, queste risposte, che sono tutte perfettamente coerenti tra esse, manifestano tendenze che permettono di collegarle innegabilmente ad un insegnamento di fonte giudeo-cristiana. Così, si tratterebbe di un'iniziazione occidentale, e non orientale; ma allora, come può accadere che tale iniziazione abbia la sua sede nell'Asia centrale? C'è qualcosa che può sembrare contradittorio, in modo che avevamo pensato a tutta prima che forse il volgimento occidentale delle risposte fosse soltanto l'effetto di un adattamento alla mentalità dei consulenti; ma quest'ipotesi ci è in seguito apparsa come insufficiente per spiegare tutto, e siamo stati allora portati a renderci conto che la difficoltà scompariva se si fosse ammesso che si trattava di un centro rosacrociano. Infatti, è stato detto che la vera Rosa-Croce aveva lasciato l'Europa nel XVII secolo, per ritirarsi in Asia; il sacerdote sassone Samuel Richter, fondatore "della Rosa-Croce d'oro", sotto il nome di Sincerus Renatus, dichiara, in un lavoro pubblicato nel 1714, che i maestri della Rosa-Croce sono partiti per l'India da qualche tempo, e che ne non resta più nessuno in Europa; la stessa cosa era stata già annunciata precedentemente da Henri Neuhaus, che aggiungeva che questa partenza aveva avuto luogo dopo la dichiarazione della guerra dei trenta anni; e altri autori, fra i quali Sant-Yves di Alveydre, segnalano più o meno espressamente che la firma dei trattati di Westfalia, che terminò questa guerra nel 1648, segnò per l'occidente la rottura completa e definitiva dei legami tradizionali regolari che avevano potuto esistere ancora. A queste affermazioni, occorre avvicinare quella di Swedenborg che dice che è ormai fra i Saggi del Tibet e della Tartaria che occorre cercare la "parola persa", cioè i segreti dell'iniziazione, ed anche le visioni di Anne-Catherine Emmerich che si riferiscono al luogo misterioso che chiama la "montagna dei profeti", e che situa nelle stesse regioni. D'altra parte, il viaggiatore Paul Lucas, che percorse la Grecia e l'Asia minore sotto Luigi XIV, dice che incontrò nella boscaglia quattro dervisci tra cui uno, che sembrava parlare tutte le lingue del mondo, cosa che è anche una delle facoltà attribuite ai Rosa-Croce, gli disse che faceva parte di un gruppo di sette persone che si trovavano ogni venti anni in una città designata in anticipo; questo stesso derviscio gli garantì che la pietra filosofale permetteva di vivere un migliaio di anni, e gli narrò a questo proposito la storia di Nicolas Flamel che si
credeva morto e che viveva in India con sua moglie. Ora, è certo che i Rosa-Croce, che del resto non costituirono mai una "società" nel senso moderno di questa parola, ebbero legami diretti con organizzazioni orientali, e più specialmente musulmane, cosa che permette di pensare che il personaggio incontrato da Paul Lucas poteva ben essere uno di loro; e, con una coincidenza abbastanza notevole, si vedrà che, nel caso che ci interessa attualmente, alcune risposte suggeriscono precisamente l'esistenza di alcune relazioni con l'islam. Il ruolo della Rosa-Croce, o di ciò che fu così designato a partire da una certa epoca, può essere stato soprattutto di mantenere, finché la cosa fu possibile, la comunicazione del mondo occidentale, attaccato alla tradizione giudeo-cristiana, con il centro spirituale supremo, costituito dai detentori della grande tradizione primordiale, da cui tutte le tradizioni particolari sono derivate più o meno direttamente. Il centro rosacrociano è dunque soltanto uno dei molti centri secondari, subordinati al centro supremo, che corrispondono ad altrettante forme tradizionali diverse; tutti sono del resto come immagini del centro supremo, che rappresentano in un certo qual modo in un settore più esterno, e di cui riflettono esattamente la struttura; non è per questa ragione che troviamo qui tre Saggi, simili ai tre capi supremi dello "Agarttha", cioè del vero "centro del mondo", ma che non devono essere confusi con loro, poiché sono soltanto preposti alla direzione di un centro secondario? Occorre aggiungere che i membri di tutti questi centri subordinati devono però, per potere svolgere la loro funzione, essere collegati direttamente alla tradizione primordiale, ed avere così la coscienza dell'unità profonda che si dissimula sotto la diversità delle forme più o meno esterne; è per questo che è detto che i Rosa-Croce possono parlare tutte le lingue; ma appaiono come Rosa-Croce soltanto quando ritornano nella forma, per così dire, per svolgere il ruolo che è assegnato loro e che riguarda specialmente una certa tradizione determinata, quella dell'occidente cristiano. Così come il giudaismo, il cristianesimo e l'islamismo formano, nella filiazione delle varie tradizioni, un insieme strettamente legato, è facile capire che ci siano relazioni più speciali tra i centri iniziatici ai quali è affidato il deposito delle conoscenze esoteriche che si riferiscono a queste tre forme tradizionali. Detto ciò, ritorniamo alla questione della localizzazione dei centri spirituali, localizzazione che può essere simbolica e reale allo stesso tempo. Si sa che la montagna è uno dei principali simboli del "centro del mondo"; questa montagna incoronata, che porta nomi diversi secondo le tradizioni, è descritta come polare e deve esserlo stata effettivamente all'origine, poiché si afferma ovunque che la tradizione primordiale ebbe innanzitutto la sua sede nelle regioni iperboree. Questa sede può essersi mossa successivamente ed avere avuto, secondo i periodi nei quali si suddivide il ciclo della nostra umanità, molte localizzazioni successive; in senso simbolico e spirituale, rimane tuttavia sempre il "polo", cioè il punto fisso ed immutabile intorno al quale il mondo compie le sue rivoluzioni. Se consideriamo questa figura della montagna, potremmo dire che, mentre il suo vertice coincide propriamente con il centro supremo, i centri secondari, attraverso i quali le influenze emanate da quest'ultimo scendono nel mondo, possono essere rappresentati come situati sui lati della montagna, dove si organizzano e si raggruppano secondo le affinità particolari delle forme tradizionali alle quali corrispondono. Così, in un senso che è soprattutto simbolico, tutti questi centri sono così raccolti in uno stesso luogo; ed è ciò che sembra rappresentare in particolare la "montagna dei profeti" di Anne-Catherine Emmerich, che vi ha visto soprattutto ciò che si riferisce alla tradizione occidentale, benché sia certamente allo stesso tempo il vero "centro del mondo", e che la situa del resto nella regione orientale in cui quest'ultimo è detto avere attualmente, e da molti secoli già, la sua localizzazione effettiva. Tuttavia, da un altro punto di vista non semplicemente simbolico, si può dire anche che ogni centro secondario deve essere situato nella parte del mondo dove è diffusa la forma tradizionale alla quale è specialmente destinato. Almeno, è così normalmente, ed è con ciò che questa parte del mondo conserva i suoi legami con il centro supremo; ma è diverso quando questi legami vengono a essere rotti, come è il caso dell'occidente moderno. Allora, il centro secondario, senza cessare di esistere, si ritira dal settore esterno dove si esercitava la sua azione, ed è così riassorbito nel centro supremo, dove si mantiene completamente in modo continuo e costante, che si potrebbe chiamare l' "interiorità" di tutte le tradizioni; è a questo tipo di riassorbimento che corrisponde questo ritiro della Rosa-Croce in Asia di cui abbiamo parlato precedentemente. Attualmente, non c'è più in occidente alcuna organizzazione iniziatica regolare, e tutto ciò che sussiste ancora a tale riguardo rappresenta soltanto semplici vestigia di uno stato precedente, delle forme svuotate del loro contenuto spirituale ed ormai incomprese. In tali condizioni, se un contatto con il centro è ancora possibile a volte, può essere soltanto in modo completamente eccezionale, con manifestazioni isolate e temporanee di alcuni rappresentanti di questo centro, o da comunicazioni ricevute individualmente tramite mezzi più o meno straordinari, anormali come la situazione stessa che costringe a ricorrervi. Chi potrebbe dire se noi non ci troviamo qui in presenza di qualcosa di questo tipo, se il metodo che è studiato in questo libro non è precisamente uno di questi mezzi di comunicazione? In altri termini, perché questo metodo, sotto il suo aspetto strettamente aritmetico, non sarebbe destinato a fornire un appoggio ad alcune influenze spirituali, quasi alla stregua di questi o quegli oggetti materiali di cui si potrebbero trovare esempi in tutte le tradizioni? Benché non possiamo entrare in più ampie spiegazioni a questo riguardo, pensiamo soltanto che queste poche spiegazioni basteranno almeno perché coloro che vorranno esaminare la questione senza parte presa capiscano che non soltanto la cosa non ha nulla di impossibile, ma che si accorda anche molto bene con tutti i dati più autenticamente tradizionali. René GUÉNON Questa prefazione prova largamente la leggerezza e la contraddizione del sig. Guénon. Nel nostro prossimo
bollettino, spiegheremo perché la suddetta prefazione è stata da noi ritirata ed esporremo le ragioni per le quali il nome del Sig. Guénon non POTEVA SERVIRE alla PROPAGANDA POLARE. E daremo così una smentita di più a questo libellista presuntuoso che, nel modo più serioso al mondo, si prende per il "Deus ex machina" dell'Esoterismo. Zam Bothiva Afrodisia: E' piuttosto evidente il motivo per cui Zam rinunciò ad adoperare la prefazione di Guenon. Essa costituiva una sorta di ricatto. Accettarla significava sì ottenere il suo riconoscimento della validità e ortodossia tradizionale dell'oracolo dei Polari, ma a caro prezzo! Infatti significava accettare anche (e nella forma più netta) l'assunto guenoniano che l'Occidente fosse ormai totalmente privo di qualsiasi trasmissione iniziatica autentica, essendosi i Rosacroce ormai per sempre ritirati in oriente per bazzicare (provate a indovinare)...con i Sufi! E a questo Zam non poteva proprio accondiscendere. Lo stesso oracolo che egli adoperava non era piovuto dal cielo, ma aveva una sua linea di trasmissione. E come dimenticarsi degli amici di Ur e dell'evidente trasmissione rosacrociana presente nell'O.E.? E, avendo i Polari preso saldamente piede in Francia, non gli erano ignote le manovre guenoniane per far fallire o screditare qualsiasi iniziativa occidentale e consegnare infine l'occidente ormai avvilito (secondo i suoi presuntuosi piani) all'Islam. Grazie Zam per la tua coerenza! Venvs Genitrix: Tempo fa, lessi nella rivista Politica Romana un saggio di Marco Baistrocchi su Agartha. Se non ricordo male, l'autore sembrava ritenere che una delle fonti di Guenon su Agartha (la cui esistenza è del tutto negata dagli attuali rappresentanti delle tradizioni dell'Asia) fosse proprio l'oracolo dei Polari. Se ne sa qualcosa di più? Sadescan: Il saggio di Baistrocchi, da te citato, (1) è realmente ben fatto e ne consiglio la lettura. Da esso si evince come Guénon abbia trasformato l'intento di Renan riguardante una nuova Asgaard (che, utopico o meno, era a suo modo qualcosa di magico-realizzativo) in una concezione teosofico-contemplativa, secondo la quale in Agarttha vi sarebbero, da sempre, i soliti "maestri" e addirittura il Re del Mondo che, pur attualmente nascosti, si "sbatterebbero" per l'umanità, in attesa di chissà quali tempi migliori per palesarsi. Una concezione che, per molti versi, non ha nulla da "invidiare" a quelle consimili del teosofismo anglo-indiano, del quale Guénon ha tanto sparlato. Le fonti che Guénon cita a livello letterario, ne "Il Re del Mondo", sono: - Lo scrittore francese, vissuto in India, Louis Jacolliot (1837-1890), che in uno dei suoi libri, Le Fils de Dieu, narra la storia di "Asgartha" la città del sole e sede del "Brahmatma" il capo dei sacerdoti Brahmani che, secondo i calcoli astronomici di Jacolliot, governarono l'India almeno dal 13300 a.C, quando l'equinozio di Primavera coincideva con il I grado della Bilancia. Asgartha sarebbe stata poi distrutta verso il 5000 a.C.da parte di popolazioni guerriere provenienti dal Nord. Guénon, con la sua solita noncuranza, non fa menzione alcuna della differenza di scrittura e cita Jacolliot come il primo autore che parlò di Agarttha, salvo poi definirlo, nello stesso tempo, come uno scrittore di "assai scarsa serietà". - L'occultista francese Saint-Yves d'Alveydre (1842-1909) che, nell'opera La Mission de l'Inde in Europe, parlò di Agarttha in termini abbastanza vicini a quelli Guénoniani, anche per quanto riguarda la sua presunta localizzazione sotterranea. Guénon tuttavia prudentemente precisa che questo autore era assai fantasioso e talvolta inverosimile. - Lo scrittore polacco Ferdinand Ossendowski, che viaggiò in Siberia e Mongolia dopo la rivoluzione russa, autore di "Bestie Uomini e Dei" (1923), il quale però usa il termine Agharti. Guénon dice poi che, sia Saint-Yves, sia Ossendowski, meritano in fondo un interesse secondario, sapendo egli "per via di tutt'altre fonti, che i racconti del genere di quelli di cui si tratta sono cosa corrente in Mongolia ed in tutta l'Asia Centrale". Ma quali erano queste fonti? Tutti i detentori delle trasmissioni iniziatiche orientali non hanno mai sentito parlare di Agarttha o Agharti e lo affermano nella maniera più netta. Al contario, non hanno alcuna difficoltà a parlare di Shambala, che Guénon cerca forzatamente di identificare con Agarttha, cosa impossibile perchè Shambala, al contrario di Agarttha, non è mai stata descritta come sotterranea. Dunque l'unica fonte guénoniana, non letteraria, non poteva essere altro che ... l'oracolo dei Polari. Così si arriva al risultato che, mentre Guénon pretendeva che i Polari avessero appreso da lui quel che sapevano della tradizione iperborea, invece è proprio Guénon ad apprendere quel poco che sa su Agarttha (e che distorce malamente) dai Polari. (1) Marco Baistrocchi: "Agarttha: una manipolazione guénoniana?" in Politica Romana II/1995. Occhi di Ifà: Concordo con il tuo giudizio, anche perchè oltre ad esaminare in specifico la questione di Agarttha, l'autore mette in evidenza altre cosette non note a tutti, riguardanti l'effettivo rapporto tra Guenon e la Tradizione. Riporto, con qualche aggiunta esplicativa, l'argomentazione che mi sembra più importante. Nel mondo islamico, nell'ambito della dottrina circa i "segni dell'Ora" esiste un hadith, che prevede il "sorgere del sole ad Occidente". Un altro precisa che, negli ultimi tempi, gli "eletti" saranno i Rums, gli Europei (letteralmente: i Romani). Analogamente, presso gli Ebrei, è diffusa la tradizione secondo cui Roma sarà la dimora del Messia, ove egli abiterà nascosto alle porte della città, prima di rivelarsi.
Evola, dal canto suo, ha più volte affermato che l'Occidente, se è stato il primo a dare segni di decadenza, ha di conseguenza la potenzialità di essere il primo a rialzarsi. Guenon non ignorava certo queste tradizioni. Ma allora, perchè operò sempre per affossare le potenzialità dell'Occidente e perchè favorì il passaggio di molti europei all'ormai decadente Islam? Il Gran Mufti della Siria, Ahmad Kuftaro (morto nel Settembre 2004, all'età di 89 anni), considerava il diffondersi dell'integralismo un segno dell'irreversibile decadenza dell'Islam, che avrebbe potuto rigenerarsi soltanto attraverso le comunità avanzate dell'Europa e dell'America, cioè per mezzo degli Occidentali convertitisi all'Islam. Guenon remava evidentemente nello stesso senso: sapendo che gli Occidentali sarebbero stati i primi a "rialzarsi", brigò perchè questa rinascita avvenisse però nell'ambito degli europei islamizzati. In epoca più recente, muovendosi sulla stessa linea, Claudio Mutti è giunto a deformare gli hadith precedentemente citati, affermando che essi prevederebbero l'islamizzazione di Roma ("La funzione dell'Islam e l'Occidente", Parma 1981). Ma c'era un formidabile ostacolo all'azione di Guenon: secondo la tradizione tibetana di Shambala, l'ultimo re di questa inaccessibile città del "Nord" combatterà una tremenda battaglia vittoriosa nel paese di Rum (Roma) contro i Mlecchas (i Musulmani). Aggiungiamo noi che, nella tradizione Indù, vittorioso sui Mlecchas è il Kalki Avatara, ultima incarnazione di Krsna alla fine della presente Epoca. Per spiazzare l'Induismo, Guenon ne riconobbe il valore ma, nello stesso tempo, inventandosi una sua impenetrabilità da parte degli Occidentali, lo dichiarò inidoneo a favorire il risorgere della tradizione in Europa (vedi in part. Orient et Occident, 1924). Per quanto riguarda il Buddhismo, Guénon cercò dapprima di dichiararlo eretico, ma non vi riuscì, per l'opposizione del suo stesso amico A.K. Coomaraswami e di Evola. Cercò allora di affossare il mito di Shambala, identificandolo con il falso mito, creato da lui e Saint Yves (trasformando quello di Renan), di Agarttha. Una volta identificati, sarebbe stato facile deformando quello falso (facilmente manipolabile proprio perchè inventato) deformare o svilire anche l'altro. L'opera nefasta di Guénon fu fermata da una giusta morte. Consapevoli o incansapevoli sembrarono sopperirvi Pawels e Bergier che, sulla base di mere fantasie, in The Down of Magic (1968) fecero addirittura di Shambala l'inversione materialistica di Agarttha. Per fortuna, l'arrivo in Occidente di autentici detentori della tradizione buddhista ha favorito la conoscenza del vero mito di Shambala e cancellato definitivamente le invenzioni di Pawels e Bergier e le mistificazioni di Guénon. Alla riscossa Occidente! Venvs Genitrix: Nell'ambito della polemica Reghini-Evola, quest'ultimo scrisse in Krur n° 2 (Febbraio 1929) il saggio "Diffida contro Ignis", nel quale difese, oltre a sé stesso, anche un suo collaboratore della rivista Ur (Zam) che, avendo scritto un saggio su uno scongiuro magico pagano scoperto da Marchi e De Rossi nei pressi di Roma nel 1851, si vide accusare da Reghini di plagio nei confronti della rivista "Civiltà Cattolica". Come indicò Evola, l'accusa aveva piuttosto scarsa consistenza. Può allora essere interessante indagare se vi fossero altri motivi per i quali Reghini se la prese proprio con Zam. EA: Giovanni Battista de Rossi (Roma 1822-1894) è considerato il più grande archeologo romano del diciannovesimo secolo. Egli era amico del gesuita Giuseppe Marchi (Tolmezzo 1795-Roma 1860) soprintendente dei reliquari sacri e dei cimiteri. Marchi fondò il metodo di studiare i ritrovamenti archeologici sul posto, piuttosto che spostarli perdendo di vista il loro contesto. Era un grande passo in avanti per l'archeologia e De Rossi adottò lo stesso principio. La scelta di Zam di occuparsi, nel suo saggio di Ur "Uno scongiuro magico pagano" proprio di quello specifico ritrovamento dei due archeologi non fu casuale. Si dice infatti che essi abbiano seguito le indicazioni di un misterioso oracolo aritmetico. Nel 1908, quando lo trasmise all'italo-francese Mario Fille, l'oracolo era in possesso di un eremita, originario di Bagnaia (Viterbo) e noto come Padre Giuliano, che viveva nelle colline vicino Roma. Fille, dodici anni più tardi, lo condivise con l'amico e collega musicista Cesare Accomani. Su indicazione dell'oracolo, essi fondarono la Setta dei Polari. L'oracolo venne descritto da Arvo nel saggio di Krur "Circa un oracolo aritmetico e i retroscena della coscienza" (ora in Introduzione alla Magia v. III con una breve e posteriore aggiunta). Più o meno nello stesso periodo (1929) Accomani, con lo pseudonimo di Zam Bothiva, pubblicò il libro Asia Misteriosa. In tale libro, tra gli autori che riconobbero, almeno momentaneamente, l'autenticità dell'oracolo è citato anche Arturo Reghini. Forse con la critica al saggio di Zam, Reghini, oltre che attaccare Evola in qualità di direttore della rivista, intendeva far sapere che non accettava più l'autenticità dell'oracolo dei Polari? Venvs Genitrix: Esiste attualmente qualche pubblicazione che riproduca o comunque che tratti del loro famoso "Oracolo" numerico? Ea: Il primo libro dedicato a tale oracolo fu: Asia mysteriosa : l'Oracle de Force astrale comme moyen de communication avec "Les Petites lumières de l'Orient" / Zam Bhotiva ; préf. de F. Divoire ; études par Maurice Magre et J. Marquès-Rivière. - Paris : Dorbon-Aîné, cop 1929. - 149 p. Esso però non conteneva una descrizione esaustiva dell'oracolo. Quest'ultima venne messa per iscritto nell'opuscolo: Fille Mario & Odin René, Un oracle kabbalistique, reconstituè et adapté à la langue francaise d'aprés un manuscrit kabbalistique, Paris, 1935. L'opuscolo venne ripubblicato nel 1967:
Fille Mario & Odin René, Un oracle kabbalistique, Paris, Ed. Romandes, 1967, 56 p. L'attuale edizione di Asia Mysteriosa include l'opuscolo: Asia mysteriosa / Zam Bhotiva... ; [préf.] par Arnaud d'Apremont... ; [postf.] par Mario Fille et René Odin. Combronde : Ed. de Janvier, 1995 (58-Clamecy : Impr. Laballery) - 207 p. Sipex: Qualche studioso si è meravigliato del titolo dell'opuscolo " Un Oracle kabbalistique". Infatti, in Asia Mysteriosa, Accomani (Zam Bhotiva) escluse che l'oracolo, donato a Mario Fille a Bagnaia da "Padre Giuliano", fosse di natura kabbalistica. Alla fine de "Un oracle kabbalistique", i due autori spiegano che, in realtà, di oracoli ve ne sono due: quello più complesso (cioè il dono di Padre Giuliano) consentì, mediante i suoi responsi, di trovare, in località pirenaica, il secondo, più semplice, che è quello descritto nell'opuscolo stesso. Vengono poi date sommarie indicazioni, affinchè chi ne è degno giunga ad intuire da solo l'oracolo più complesso. Zam: L' "Oracle Kabbalistique" fu trovato presso le rovine del castello di Montségur, nel dipartimento di Ariège, lungo la frontiera con l'Andorra. La rimozione di una pietra cementata nella parete di una cripta sotterranea permise la scoperta di una nicchia nascosta. Qui giacevano fogli visibilmente separati in due mucchi distinti. La prima parte era ormai illeggibile, eccetto una sola parola: Destino... La seconda parte era composta "da pergamene più spesse coperte di cifre e di figure geometriche" (Un Oracle Kabbalistique, 1967). Ea: Accomani escluse che l'oracolo di "Padre Giuliano" (chiamato dai Polari "Oracolo di Forza Astrale") potesse considerarsi kabbalistico in senso stretto, proprio in base ad una specifica risposta dell'oracolo, riportata in Asia Mysteriosa: "DEM.- Est-ce une forme de Kabbale? REP.- Souvenez-vous que Force Astrale est une chose immense et qu'il ne faut pas la confondre avec Kabbale. Les demandes doivent étre faites en pensant sans distraction et seulement pour des choses très sérieuses ..." (Asia Mysteriosa 1995, p. 75). Fille, considerando probabilmente che i Polari si muovevano in Francia in un ambito per lo più neorosacrociano, decise ugualmente di non rinunciare al termine "kabbalistico", utilizzandolo in un senso più vasto - uso del resto piuttosto comune negli autori di quell'epoca. Scrive ad es. Kremmerz: "La Cabbala è formola ebraizzata della stessa filosofia orfica, egizia e pitagorica. La pitagorica è la più completa ma è più difficile per intelletti non esercitati" (La Magia Divinatoria - I Tarocchi 1905). "La cabbala numerica o la occulta tradizione pitagorica è, per il caso della sostituzione dei numeri alle parole, ancora più difficile ad essere conquistata senza l'aiuto di un Maestro ..."(Mondo Secreto 1989- I misteri della taumaturgia, parte II). E si legge in un manoscritto di scuola kremmerziana: "La Cabbala o libro santo o filosofia dell'assoluto e del relativo è una forma ebraica che corrisponde alla filosofia dei numeri di Pitagora, Italo-Greca. Non seguiremo il prospetto cabalistico degli ebrei per modernizzare l'astrusità della conoscenza della matematica astratta. I cabbalisti propriamente detti non si servono che delle lettere ebraiche. Noi ci serviamo delle espressioni numeriche a mo' di Pitagora, perchè così crediamo più facile per l'intelligenza di tutto il materiale arcaico, data la cultura contemporanea. Se ad ogni numero da 1 a 22 accompagnate le lettere dell'alfabeto ebraico, avrete ebraizzata la teoria pitagorica". Nell'Oracolo di Forza Astrale non manca una trasposizione di numeri in lettere (anche se latine) e viceversa, il che fa intuire perchè Fille decise di usare ugualmente il termine "Kabbalistico". Turba Philosophorum: Fortemente critico nei confronti dei Polari è Bruno d'Ausser Berrau che, nel saggio "Verba volant, scripta latent", pubblicato nel n° 8 (Settembre 2004) della rivista Episteme, scrive: Altrettanto stramba ma con risonanze di un certo rilievo fu la vicenda linguistico-truffaldina dei Polaires. Essa prende il via in Italia - inizi XX sec. - con la storia della trasmissione, da parte di un enigmatico vecchietto ad un giovane (Mario Fille), di un oracolo aritmetico il cui intrigante sistema operativo sarebbe stato questo: posta una domanda, attraverso un contorto sistema di regole, la si sarebbe poi tradotta in numeri e da essi, per mezzo d'ulteriori ardui passaggi, ritornati alle lettere, si sarebbe, assai sorprendentemente, ottenuta una nuova frase ossia la risposta. Colpiva il fatto che, per il tramite di un sistema aritmetico in apparenza oggettivo e indipendentemente dal merito, s'avesse sempre quale risultato una frase di senso compiuto. Stupisce che né prima Evola, (90) né poi Guénon a Parigi, quando anni dopo l'antico giovane italiano, avendo creato, basandosi sulle "rivelazioni" dell'oracolo, la società occultista dei suddetti Polaires, avessero entrambi mostrato d'accorgersi dove stesse la pecca: essa, come invece decretò Guénon dopo un responso inconcludente, non era tanto nell'ovvia pochezza del contenuto ma proprio nel metodo. Venuti infine in possesso delle famose regole, abbiamo facilmente constatato come l'"oggettivo" sistema matematico fosse soltanto una complicazione costruita ad arte per dare l'impressione di stare effettuando la decantata trasformazione lettere → numeri → lettere. In effetti, ciò non avveniva e lo scopo di tutte le cervellotiche operazioni escogitate dal Fille era soltanto quello d'andare a pescare in un insieme fisso di frasette incomplete che, a caso combinate, dessero poi l'impressione sia dell'avvenuta suddetta trasformazione, sia dell'altrettanto decantato senso compiuto della frase finale. (91) Singolare, nei suoi accenti riecheggianti le ipotesi del de Saussure, l'ingenuo commento evoliano che, nel supposto congruo rapporto domanda/risposta, quasi come se la prima contenesse già in sé e di per sé la seconda, intravedeva l'evidenziarsi di un quid insito nella struttura stessa del linguaggio. 90 La storia fu riferita in senso positivo dal suo Gruppo di UR: vd. in Introduzione alla Magia, 3 vol., vol. 3° p.
49, Roma, 1971. 91 Per il punto di vista degli "operatori" vd. Zam Bhotiva (alias di Mario Fille), Asia Mysteriosa, Éd. Dorbon-Ainé, Paris, 1929 e, per prendere visione della méthode, è necessaria un'edizione successiva di cui, da parte delle Éditions de Janvier, Combronde, c'è un reprint del 1995". Ea: Tralasciando lo strano errore che Berrau fa nella nota 91, identificando Zam Bhotiva con Fille, anzichè -come è risaputo- con Accomani, dirò che sono note anche a noi le evitabili lungaggini matematiche di cui egli parla. Tuttavia il suo giudizio è troppo severo e un po' troppo "moderno", giacchè sembra non tenere minimamente in considerazione la mentalità tradizionale. Per quanto riguarda ad es. quelle che egli chiama "frasette", sembra dimenticarsi che esse -già complete o, come nel caso dell'oracolo dei Polari, da riunirsi a partire da più spezzoni- costituiscono alcuni tra i più importanti oracoli antichi, dall'I Ching, ai Libri Sibillini all'Oracolo di Ifà. Per quanto riguarda invece i modi di ottenerle, gli antichi hanno sempre considerato più sicuri i metodi lunghi, rispetto a quelli brevi: ad es. per l'I Ching predillessero il laborioso metodo degli steli di millefoglie, rispetto al rapido metodo delle monete. Ciò perchè i metodi lunghi scoraggiano un uso troppo frequente degli oracoli e perciò evitano un eccessivo attaccamento ad essi.
Maria de Naglowska
Maria de Naglowska nacque il 15 Agosto 1883 in Russia, a San Pietroburgo, figlia del governatore della provincia di Khazan, un generale di origini polacche. Rimasta orfana ancora bambina, dopo svariate vicissitudini che la costrinsero ad abbanonare la Russia e a trasferirsi prima a Berlino e poi a Ginevra, si sposò con un violinista ebreo e mise al mondo tre figli. Abbandonata dal marito che si recò in Palestina, Maria, per le sue idee libertarie, fu espulsa da Ginevra e dovette ritirarsi a Berna e poi a Bale. Infine abbandonò la Svizzera e, nel 1920, si trasferì a Roma, dove conobbe vari studiosi di occultismo, tra i quali J.Evola e pubblicò un volume di versi, Malgré les Tempétes. Secondo Marc Pluquet (La Sophiale - Maria de Naglowska, sa vie, son oeuvre. OTO, Paris 1993, p.7) fu nel corso di una di queste riunioni esoteriche romane che essa conobbe un filosofo russo "che gli rivelò la tradizione boreale nei suoi aspetti più segreti". Maria, che non era in buone condizioni economiche, si trasferì ad Alessandria di Egitto dove un suo figlio aveva fatto fortuna. Da Alessandria, nel 1927, inviò ad Ur "Le Message de L'Étoile Polaire", che venne pubblicato anonimo. Nel 1930 tornò a Roma e poi si trasferì a Parigi dove, come dice J.Evola nella prefazione a Magia Sexualis di P.B.Randolph, "cercò di organizzare il Gruppo dei Polari in base ai responsi di un curioso oracolo aritmetico (di cui ebbimo occasione di prendere conoscenza, sul genere dell'Ars Combinatoria del Tritemio)". Sarebbe più esatto dire che "cercò di riorganizzare", giacchè il gruppo, come sappiamo, esisteva già e la De Naglowska vi aveva aderito già dal primo periodo romano. A Parigi, Maria fece pubblicare alcuni libri e una rivista, La Freccia - organo di azione magica, cui collaborava da Roma J. Evola. Impartiva inoltre una "iniziazione, conforme al Terzo Termine della trinità" a carattere sessuale, della quale ha parlato ad es. Evola in Metafisica del Sesso. Nel 1936, dopo essersi congedata dai suoi discepoli, si trasferì presso la figlia Marie a Zurigo, dove morì il 17 Aprile.
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9) EKATLOS (Ersilia Caetani Lovatelli)
Gli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale furono, per molti aspetti, problematici per l'Italia. In particolare, nel 1919, il nostro paese era afflitto da una situazione sociale quanto mai critica, per il drammatico contrasto fra le precarie condizioni economiche del proletariato e dei contadini, che avevano oltretutto pagato un tributo di sangue e sofferenze in trincea, e il lusso smodato esibito dai coloro che vennero detti "i pescecani", cioè i nuovi ricchi che avevano tratto enormi profitti dalla guerra, grazie alle industrie belliche. Per il grave dissesto economico e l'immediato razionamento dei viveri, scoppiarono gravi disordini, numerosi scioperi e occupazioni di fabbriche da parte dei lavoratori. L'insofferenza per le discriminazioni sociali si erano inoltre estese anche al ceto medio e alla piccola borghesia, dalla quale provenivano numerosi giovani ufficiali e combattenti che, nell'immediato dopoguerra, vedevano svanire le loro aspettattive di quel miglioramento economico-sociale cui ritenevano di aver diritto. Così il 23-Marzo 1919, dentro un locale di Via San Sepolcro a Milano, Mussolini costituì con 871 soci, tra arditi, ex combattenti, ed ex interventisti, i Fasci Combattenti. In un clima così incerto, l'O.E. decise di preparasi la strada per una eventuale emigrazione, nel caso che la situazione dovesse precipitare. Fu mandato avanti Ottaviano Armando Koch che, in qualità di Segretario dell'O.E. e di diplomatico, recò in luoghi più sicuri l'archivio dell'Ordine: prima a Malta e poi a New York. Questa mossa voleva anche evitare l'affievolirsi dei contatti con il Memphis-Misraim statunitense che, se aveva accettato di far capo al Rito Filosofico, ben difficilmente avrebbe accettato di far capo al R.S.A.A. di Piazza del Gesù, che aveva appena cooptato il Rito Filosofico medesimo. Il trasferimento dell'archivio dell'Ordine, tuttavia, non coincise affatto con un trasferimento in blocco dell'Ordine medesimo, come a volte si sente dire, per esagerazione, in alcuni ambienti kremmerziani. Certo, ai miriamici che (dopo la sottrazione di una copia del Corpus, comprata dai Gesuiti, e la conseguente sostituzione di Kremmerz) facevano capo a Koch, tale partenza potè sembrare quella dell'intero O.E., ma già la permanenza di Kremmerz in Europa dovrebbe far capire che non era tale. Solo alcuni partirono, come Amedeo Armentano e Leone Caetani. Quest'ultimo membro dell'O.E. è stato assai poco compreso, nella sua effettiva personalità, per essere stato, involontariamente da alcuni, ad arte da altri, confuso con personaggi come "Ekatlos" (di cui parleremo) "N.R. Ottaviano" (Ottaviano Koch ingegnere) e "R.P. Ottaviano (Ottaviano Armando Koch, figlio del precedente). Nel 1921, Armentano si recò in Brasile da cui ritornò sposato con Giselda Perrone. Sistemati i suoi affari, ripartì per il Brasile nel Maggio del 1924, rimanendo in contatto con l'Italia, ma non facendo più ritorno. Non tutto l'O.E. però, e non tutti gli esoteristi italiani, disperavano della situazione del nostro paese, dopo la Prima Guerra Mondiale. Uno dei motivi è testimoniato da una monografia intitolata "La Grande Orma: La Scena e le Quinte", che comparve nell'ultimo numero della rivista Krur (1929), sotto lo pseudonimo di Ekatlos. In Introduzione alla Magia, ediz. 1955-56, Evola, in nota al titolo, aggiunse "Relazione trasmessaci nel 1929 e che qui si pubblica essenzialmente sotto la rubrica esperienze". Nell'ediz. 1971, la nota divenne: "Relazione trasmessaci nel 1929 e che qui si pubblica a semplice titolo di documento". Anche talune frasi del
testo vennero modificate. Le citazioni che faremo perciò sono da intendersi prese dalla monografia originale. In essa si esordiva dicendo che "Sulla fine dell'anno 1913, cominciarono a manifestarsi segni che qualcosa di nuovo richiamava le grandi forze della tradizione nostra". Si parla poi del ritrovamento in un "arcaico sepolcro" di "una benda e uno scettro". "Sulla benda erano tracciati i segni di un rito. Ed il rito fu celebrato per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo, meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo balenar nella sua luce le figure vetuste ed auguste degli Eroi della razza nostra romana". Un preannuncio dunque dell'intervento vittorioso dell'Italia nella I Guerra Mondiale. Fidenti nell'aiuto delle medesime forze, si tentò di indirizzare, in senso spirituale, l'emergente fascismo: "Più tardi. 1919. Fu 'caso' che, da parte delle stesse forze, attraverso le stesse persone, venisse comunicato a chi oggi regge il governo - allora direttore del giornale milanese - l'annuncio: 'Voi sarete Console d'Italia'. Fu 'caso' parimenti, che a lui fosse trasmessa la formula rituale etrusca di purificazione - quella stessa, portata dalla chiave pontificale: Quod bono faustumque sit ". E' cosa abbastanza nota che, il 23 Marzo 1919, giorno in cui fu fondato il primo Fascio di Combattimento, nella riunione di Piazza S. Sepolcro a Milano, a "vaticinare" il prossimo incarico di governo a Mussolini fu la professoressa Regina Terruzzi (1862 - 1951). Ella, nata a Milano e rimasta presto orfana, aveva lavorato da operaia e studiato da autodidatta. Dapprima maestra a S.Giorgio Morgeto, importante sito archeologico in provincia di Reggio Calabria, poi studentessa al Magistero di Roma e bibliotecaria alla Biblioteca Nazionale di Napoli (in tale periodo si collocano i suoi primi contatti con ambienti dell'O.E.) si impegnò, come socialista, nella vita politica anche e soprattutto a nome della Lega per la tutela dei diritti delle donne. Ruppe con il partito socialista in occasione della prima guerra mondiale, perché interventista come Mussolini, e divenne la più anziana e politicamente esperta fra le donne fasciste della prima ora. Ekatlos continua: "Più tardi. Dopo la Marcia su Roma. Fatto insignificante, occasione ancor più insignificante. Fra le persone che rendono omaggio al Capo del Governo, una, vestita di rosso, si avanza e gli consegna un Fascio. Le stesse forze vollero questo: e vollero il numero esatto delle verghe, e il modo del loro taglio e l'intreccio rituale del nastro rosso; e ancora vollero - di nuovo il 'caso' - che l'ascia per quel Fascio fosse un'arcaica ascia etrusca, a cui vie parimenti misteriose ci condussero. Nella relativa nota, che è di Ekatlos e non una aggiunta della rivista Krur, perchè altrimenti vi sarebbe, come al solito l'indicazione N. d. K., si dice: "Il fatto è riportato in un comunicato che p. es. si può leggere sul Piccolo di Roma del 24 Maggio 1923, ove si può leggere appunto che nel fascio offerto 'l'ascia di bronzo è proveniente da una tomba etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra. .. Alcuni esemplari simili sono conservati nel museo Kircheriano. Le dodici verghe di betulla secondo la prescrizione rituale sono legate con striscia di cuoio rosso, che formano al sommo un cappio per potervi appendere il fascio come nel bassorilievo per la scala del Palazzo Capitolino dei Conservatori' . Si capisce, in tutto ciò non vi è - per chi sta sulla scena - che una ricostruzione 'storico-archeologica' ". Questa nota di Ekatlos è importante, perchè sul Piccolo del 23-24 Maggio 1923 vi sono ulteriori precisazioni: il 19 Maggio 1923 la professoressa Regina Terruzzi presentò a B. Mussolini l'amica professoressa Cesarina Ribulsi, che gli offrì un fascio littorio come augurio per l'imminente festività del 24 Maggio. Il fascio era stato ricostruito dalla Ribulsi stessa, servendosi di testimonianze storico-iconografiche. Nel medesimo 1923, Regina Terruzzi prese però le distanze dal fascismo, condannando le violenze squadriste e impegnandosi a raccogliere aiuti per gli orfani dei comunisti, vittime del precedente “bagno di sangue" torinese del 18 Dicembre 1922. Dopo aver protestato anche contro il Tribunale Speciale nel 1927 e essersi battuta perché fossero previste rappresentanze femminili al Consiglio Superiore delle Corporazioni, si limitò all'insegnamento presso l'Istituto Tecnico Carlo Cattaneo di Milano. Fu solo nel 1933, ritiratasi in pensione da due anni, che venne richiamata dal duce (per il tramite di Luigi Razza capo della Confederazione fascista dei sindacati dell'agricoltura) al fine di organizzare le "massaie rurali", così come aveva fatto con ex uomini della sinistra per creare i sindacati fascisti. Due anni dopo, R. Terruzzi si ritirò definitivamente dalla vita pubblica, stabilendosi a Firenze. Tra le opere da lei curate si può ricordare: Dante, La Commedia - con un discorso di Giuseppe Mazzini - Milano, Istituto editoriale italiano. L'amica Cesarina Ribulsi (1892-1963), nata a Torino il 9 Marzo 1892, passò la maggior parte della sua vita a Roma, conseguendo il diploma liceale nel 1911 e laureandosi nel 1914 in Archeologia. Conobbe archeologi di fama come Giacomo Boni, frequentò gli ambienti culturali della capitale e, per un certo periodo, fu segretaria di Maria Camilla Calzone Mongenet (1861-1944). Questa, ammessa all'Accademia Vergiliana della Miriam il 10 Febbraio 1910 e benefattrice della medesima, si sa con certezza che raggiunse perlomeno il grado di "anziana". Non risulta iscrizione alla Miriam di Cesarina Ribulsi, che vinse un concorso proprio nel 1923 e andò ad insegnare a Viterbo nelle scuole medie. Qui si sarebbe convertita al Cattolicesimo e dopo il 1925 la ritroviamo nel Convento delle Figlie della Carità Canossiane, con il nome di Maria Romana. Nel 1944, anno della morte della Mongenet, pubblicò una favola (M. Romana, Il Mistero della Pineta, CEDAM, Padova) in un episodio della quale viene descritto il mondo degli immortali, dando particolare risalto all'etrusco Ekatlo Larzio. Il medesimo episodio venne espunto nella seconda edizione della favola (Brescia, 1953). Nella IV ed ultima parte de La Grande Orma, Ekatlos afferma: "Oggi si lavora al Vittoriale, nella cui nicchia centrale sarà collocata la statua di Roma arcaica. Possa questo simbolo rivivere, in tutta la sua potenza! La sua luce splender di nuovo!". Il termine Vittoriale sta per il più frequente Vittoriano (comunemente per Vittoriale si intende quello di D'Annunzio a Gardone) e indica che chi scrive lo considera non tanto come monumento funebre di Vittorio Emanuele II, quanto (anche per la presenza dell'Altare della Patria) come commemorativo
della vittoria nella Grande Guerra. La statua della Dea Roma, opera di Angelo Zanelli, fu posta nella nicchia il 15 Aprile 1925. Dunque il saggio di Ekatlos è anteriore a tale data e perciò ben anteriore alla sua uscita su Krur (fine del 1929). Poichè, poi, si fa riferimento, come già abbiamo detto, a brani del giornale Il Piccolo di Roma del 24 Maggio 1923, il saggio deve essere posteriore a tale data. La sua composizione è perciò databile tra la seconda metà del 1923 e i primi mesi del 1925. Ekatlos termina il suo saggio con un chiaro riferimento all'orientamento "romano-egizio" del suo gruppo: "In una propinqua via, centralissima, della vecchia urbe, ove al tempo della Roma dei Cesari corrispondeva il luogo del culto isiaco (e resti di obelischi egizi furono là trovati), sorse uno strano piccolo edifizio. Di esso non interessa che questo: come incrollabile certezza di risorgente fortuna romana, nella più recondita parte di questa costruzione veniva inserito, e ancor oggi resta, un segno: un segno, che in pari tempo, è un simbolo ermetico: la Fenice coronata risorgente dalle fiamme. Intorno al segno, queste cifre: R. R. R. I.A.T.C.P. L'autore dell'anonimo saggio "Il Genio di Roma" (Politica Romana 3/1996) asserisce invece che "le lettere che vanno da una ala all'altra dell'augusto volatile, non sono I.A.T.C.P., ma I.A.P.T.C.".
Evola non rivelò mai esplicitamente l'identità di Ekatlos, e le sue modifiche alla monografia tendono in generale ad aumentare il velo di riservatezza, visto che quell'azione nei confronti del fascismo era palesemente fallita. Sono state perciò espresse, a riguardo dell'identità di Ekatlos, molte opinioni. Ad es. un sedicente G.M., in una delle introduzioni a "L'istante e l'Eternità" di Guido de Giorgio (ediz. Archè 1987), sostiene a riguardo: "Secondo ciò che afferma Evola stesso, l'autore dell'articolo era un discendente della nobiltà romana, e alcuni hanno creduto poter riconoscere in questo personaggio il principe Leone Caetani, discendente della triste famiglia di Bonifacio VIII e conosciuto per le sue convinzioni socialiste e la sua miscredenza". Di seguito, G.M. scatena la sua fantasia riguardo al significato dello pseudonimo: "Inoltre, cosa significa lo pseudonimo di Ekatlos? Non sembrerebbe ricordare un'etimologia dell'aspetto mascolino di un demone preolimpico incaricato dai reami degli Inferni e più generalmente conosciuto sotto il suo aspetto femminile - Hecate (lo stesso che Typhone, figlio di Tartaro e di Gaia, e che si manifesta sia sotto un aspetto mascolino, sia sotto un aspetto femminino)? In nota , G.M. aggiunge: "Il termine Ekatlos può anche essere avvicinato a Ekatoios, "colui che colpisce da lontano", epiteto di Apollo allorchè propaga la peste con le sue frecce, e di Diana cacciatrice". Leone Caetani (1869-1935) era figlio di Onorato Caetani e di Ada Bootle Wilbraham. Nonno di Leone era Michelangelo Caetani (1804-1882), leader politico e autorità riconosciuta nel campo degli studi su Dante. L'identificazione di Ekatlos con Leone Caetani è piuttosto superficiale e si basa esclusivamente sul fatto che egli era un esoterista di spicco dell'O.E. e un aristocratico romano. Tuttavia non tiene alcun conto di due fattori decisivi: 1) Il contenuto della monografia pubblicata su Krur. 2) L'attività di Leone Caetani nel periodo nel quale uscirono le riviste Ur e Krur. Il contenuto è palesemente filo-fascista e Leone Caetani non lo era. Per la sua avversione al fascismo e, in seguito alla sua separazione dalla moglie Vittoria Colonna, egli già nel 1921 si trasferì a Vernon in Canada (terra conosciuta per la prima volta in un viaggio del 1891), con la sua nuova compagna Ofelia Fabiani e la loro figlia di quattro anni, Sveva Caetani (1917-1994). Non mancarono successivi viaggi di ritorno in Europa, con tappe a Londra, Parigi, Monte Carlo e ovviamente Roma, dove nel 1924 istituì, presso l'Accademia dei Lincei, la Fondazione Caetani per gli studi islamici. Il suo trasferimento in Canada divenne definitivo nel 1927, dopo aver venduto tutte le sue proprietà. Più recentemente, Vittorio Fincati e Gaetano Lo Monaco hanno proposto di identificare Ekatlos con l'archeologo Giacomo Boni (Venezia 1859-Roma 1925). Scrive Fincati nel saggio "Ekatlos e il Lapis Niger": "Articoli pubblicati da diversi autori in più occasioni, ci permettono di avanzare il fondato sospetto che il documento in questione fosse espressione di un gruppo abbastanza occulto, attivo già nella seconda metà
dell'800 (ne avrebbe fatto parte l'archeologa Ersilia Caetani Lovatelli e l'artista R. Musmeci Ferrari-Bravo), che a cavallo del secolo seguente avrebbe avuto come suo membro autorevole l'archeologo Giacomo Boni, e che [egli] sintetizzasse appunti suoi personali, che una sua discepola (su cui si diffonde con dovizia di particolari Gaetano Lo Monaco nella rivista Atrium, Anno VI, 1-2) dopo la sua morte, avvenuta nel 1925, passò al Gruppo di Ur nel 1929". E per quanto riguarda i ritrovamenti archeologici di G. Boni aggiunge: "Ciò avvalendosi anche delle facoltà medianiche di una giovane donna, della quale tratta con accenni interessanti il Lo Monaco. Quest'ultima sarebbe la stessa che, molti anni dopo, scrisse un curioso romanzo nel quale si parlava di un personaggio etrusco chiamato "Ekatlo", senza la S finale" cioè, come abbiamo detto, Cesarina Ribulsi. Qui ci troviamo di fronte all'errore opposto a quello precedente: i primi interpreti si erano basati quasi unicamente sull'appartenenza di Ekatlos a famiglia aristocratica romana; Fincati e Lo Monaco trascurano invece completamente quell'importante particolare (Boni non era un aristocratico romano) e non hanno riflettutto sul fatto che la "discepola" di Boni, se la Ribulsi poteva dirsi tale, può aver consegnato ad Evola un manoscritto di una persona di quel gruppo, ma diversa da Boni. Gli uni e gli altri sono andati vicini all'esatta identificazione. Se non l'hanno centrata è per il medesimo pregiudizio: sono partiti dal presupposto che dovesse per forza trattarsi di ...un uomo. Invece, sotto il trasparente pseudonimo di Ekatlos si celava...ma sì proprio lei...Ersilia Caetani Lovatelli (1840-1925). Infatti, "E" sta per Ersilia "kat" per Ca(e)tani e "lo" per Lovatelli. Si può anche anagrammare, portando, la "E" dopo la "A" e si ha ancora più chiaramente Kaet-lo (Caetani-Lovatelli). La "S" finale, come dimostra la suddetta fiaba della Ribulsi, è semplicemente una aggiunta latinizzante o grecizzante, con ogni probabilità apposta da Evola. Vi sono esempi simili per altri esponenti del Gruppo di Ur: si pensi a Nicola Moscardelli (Sirio e Sirius) e a Massimo Scaligero, che presente come "Massimo" in Introduzione alla Magia del 1955-56, divenne poi "Maximus" nell'edizione del 1971, creando qualche problema di identificazione a chi non è troppo addentro, perchè confondibile con il Maximus della rivista Ignis, che era invece Arturo Reghini. Come è noto Ersilia, figlia di Michelangelo Caetani e sorella di Onorato, era la zia paterna di Leone Caetani. Storica e archeologa, fu figura importante nell'Ottocento romano. Fu lei ad avviare il nipote Leone agli studi sul mondo classico e romano. Il suo salotto fu frequentato da Mommsen, Gregorovius, Carducci, D'Annunzio. Scrisse opere come Passeggiate nella Roma antica (1909) e Aurea Roma (1925). Fu la prima donna ad essere ammessa come socio all'Accademia dei Lincei nel 1879. A chi, stupito, ritiene che Ersilia fosse solo una studiosa di storia e di archeologia rammentiamo le già citate parole di Ekatlos: "Si capisce, in tutto ciò non vi è - per chi sta sulla scena - che una ricostruzione 'storico-archeologica' ".
Ekatlos ed Echetlos Un quesito che a volte mi viene posto è se il nome Ekatlos, abbia a che fare con Echetlos, un personaggio eroico - presente sia nella mitologia greca (ne riferisce Pausania), sia in quella etrusca - che aveva la caratteristica inusuale di combattere con un aratro. L'Ekatlos che scrisse il saggio di Ur ne era molto probabilmente a conoscenza, visto che un'urna cineraria etrusca, recante dipinto tale personaggio, si trovava nel Museo Kircheriano di Roma, che è esplicitamente citato in una nota. Rispondo che, senza escludere che ciò possa aver costituito uno spunto, è tuttavia evidente che, se l'autore del saggio avesse semplicemente voluto identificarsi con quel personaggio mitologico, si sarebbe firmato Echetlos, anzichè Ekatlos. L'uso della lettera "a", anzichè della "e" indica che, in ogni caso, non intendeva rinunciare a quei riferimenti al proprio cognome, che abbiamo già evidenziato. Accenno poi, come buffa curiosità, che vi sono anche persone che - o con fare misterioso o adducendo la conoscenza delle lingue antiche - asseriscono di saper loro (ma di non dire) l'etimologia di Ekatlos. Lascio a voi il giudizio spassionato su di loro.
Il Rito della Fenice Dopo che il nostro Abraxa, in svariati messaggi di qualche tempo fa, ha messo in evidenza tutta l'importanza delle influenze collettive nella vita dell'uomo (iniziato o meno), mi è stato più volte chiesto se esiste qualche rito praticabile da tutti - e perciò non solo dagli esoteristi - che permetta di eliminare o perlomeno alleviare influssi collettivi indesiderati che, nostro malgrado, si sia dovuto subire (da quelli degli ambienti monoteistici a quelli di gruppi delinquenziali). Si sta infatti registrando, ad es., un considerevole aumento del numero di coloro che si fanno sbattezzare o vorrebbero farlo. Questa pratica burocratica permette di essere cancellati
dai registri dei battezzati; ma per eliminare, invece, gli effetti sottili del battesimo e dell'educazione cattolica, occorre un'azione rituale. Quel che stiamo per dire da un lato riguarda il simbolo della Fenice riportato più sopra, dall'altro costituisce una applicazione specifica di ciò che già è stato detto nel quaderno "Barriere", il contenuto del quale dobbiamo dare per acquisito. Perciò ci limitiamo a ricordare una frase di Leo (in Atteggiamenti, Intr. alla Magia, v.I): "Certamente, occorre un lungo periodo di tempo per abbattere certe radicate condizioni, che paralizzano ogni possibilità di realizzazione interiore. Noi ci sentiamo liberi nel pensiero e ci sembra di aver ottenuto un grande risultato, quando esso è mutato rispetto a qualche pregiudizio tradizionale. Invece con ciò siamo solo al principio. Vi sono idee divenute parte organica di noi stessi e, al momento di tradurre in realtà il compito, l'ostacolo, superato con la mente, esiste ancora in noi e inibisce l'esperienza. Ci meravigliamo di non ottenere risultati, perchè ignoriamo che, in noi stessi, qualche cosa si è opposto". Tra le cose che possono opporsi sono da considerarsi i riti e l'educazione subiti da parte di esponenti di un qualsivoglia culto esclusivista, cioè di un culto che rifiuti il pluralismo cultuale del Pantheon. Come è noto, tra questi culti si possono annoverare il cristianesimo, il satanismo, l'islamismo, l'ebraismo e lo stesso materialismo. Questi culti impongono delle ben precise barriere sottili negli individui che hanno subito i loro riti e/o la loro educazione: gli individui in questione possono progredire esclusivamente nel loro angusto ambito cultuale. L'esoterismo si serve essenzialmente di due metodi per superare questo tipo di barriere sottili: - in certi individui il vincolo è talmente forte, che una "terapia d'urto" sortirebbe l'effetto contrario. L' "abile mezzo" consiste allora nel servirsi proprio del patrimonio simbolico del culto che erige le barriere, per avviare gli individui in questione ad un insieme di pratiche riservate - e perciò non facilmente perseguibili dagli esponenti della religione esteriore - che potranno portarli gradualmente ad abbattere quelle barriere. E' questo il metodo ad es. dei Rosacroce, dei Sufi, dei Kabbalisti. - in altri individui, per loro costituzione interiore, il vincolo è meno forte ed essi sono portati ad abbracciare spontaneamente il pluralismo religioso del Pantheon. In questo caso, vie rosacrociane o simili risulterebbero al loro animo "sospette". Sono allora utili riti ad azione diretta, com'è appunto il Rito della Fenice (da non confondersi con la crowleyana Messa della Fenice), che stiamo per descrivere. Poichè è praticabile da tutti, non esiste su di esso vincolo di segretezza, il che non ne sminuisce minimamente l'efficacia, che è anzi sostenuta dall'uso collettivo. Il rito può eseguirsi per la propria persona, per la propria famiglia o per una comunità più grande. Si adopera il già visto simbolo della Fenice Coronata che rinasce dal fuoco. Il simbolo può essere disegnato o dipinto su papiro o pergamena, ma anche dipinto o scolpito o intagliato su un elemento architettonico o un arredo presente in un ambiente utilizzato dalla persona o dalla famiglia o dalla comunità, per cui il rito si compie. Terminato il disegno, si traccino le iniziali - della formula da pronunziarsiattorno all'immagine della Fenice, iniziando dalla R che precede la J, cioè nell'ordine antiorario: RJAPTCRR. Si pronunci quindi la formula: Resurgo, Jam, Araba Phoenix, Te-Cum Resurgo, Resurgo. Si rimanga per un po' di tempo concentrati sull'immagine. In seguito, adoperando l'immagine già creata, si ripeta il rito - anche quotidianamente - fino a sentire dentro di sè che quelle influenze si sono dileguate. Il rito - assai efficace - non è anteriore all'epoca umanistica, come dimostra la presenza della lettera J (nel latino classico si sarebbe scritto Iam) ed una tradizione orale lo attribuisce a Pomponio Leto [Teggiano (Salerno), 1428 - Roma, 1497] e alla sua Accademia Romana.
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Un Altro Manoscritto di Ekatlos
Ad Evola pervenne più di un manoscritto di Ersilia Caetani Lovatelli, la misteriosa "Signora antroposofa, amica in gioventù di Kremmerz" (così Evola stesso descrisse Ekatlos a Gianfranco de Turris). Dell'appoggio dato dall'O.E. a Steiner per trasformare in senso rosacrociano il "Misraim-Dienst" altri ha già detto, come anche della funzione che ebbero a tale scopo, in Italia, alcune nobildonne romane. Così che quella approssimativa descrizione di Evola è facilmente comprensibile nella sua effettiva portata. Di un secondo manoscritto della Caetani-Lovatelli Evola fece uso per un breve articolo, pubblicato nel n° 5 1930 (nella rubrica L'Arco e La Clava) della rivista La Torre, anche questa volta con lo pseudonimo di Ekatlos. In tale brano (databile come
vedremo con sufficiente precisione), l'anziana Ersilia (1840-1925) tesseva le lodi del pionierismo alpinistico dell'amico Quintino Sella (1827-1884), il Presidente dei Lincei (dal 1874 alla sua morte), che aveva caldeggiato, nel 1879, l'accoglimento della Caetani-Lovatelli nella prestigiosa accademia. Evola (1898-1974), appartenendo alla generazione successiva, non conosceva Sella che di fama, ma il brano di Ersilia, aggiungendo una semplice riga iniziale all'introduzione e forse con qualche ritocco qua e là, si collegava bene ad altri articoli sulla montagna e di critica allo sport moderno, ospitati da La Torre. Lo riproduciamo qui di seguito: A proposito della nota contenuta nel numero precedente de La Torre, circa il decadere dell'alpinismo in sport, ci sembra interessante rilevare che a fondatore dell'alpinismo in Italia - quasi più di mezzo secolo fa (1)- non stette uno sportman, ma un uomo di alta mente e di nobile cuore: Quintino Sella, il quale volle che a simbolo del nuovo impulso stesse la parola latinissima Excelsior "Più in alto!". In questa idea, le grandi ascensioni dovevano essere esse stesse un simbolo e quasi un rito: simbolo e rito di una di un'ascensione interna, di un impulso alla liberazione e alla vita "in un più spirabil aere". E la rude fatica fisica e il rischio dovevano essere una via per realizzare intimamente qualche cosa, il cui ambiente naturale non poteva essere che la solitudine delle vette e le immacolate distese gelate dei giganti alpini. Certo allora non v'era posto per le belle adunate, per gli attendamenti plebei e goliardici, per le comitive, per i tennis i dancings e il "riscaldamento centrale" dei grandi alberghi modernissimi che infestano la casta semplicità di quelle valli e di quelle pure vette circonfuse dal sole o percosse dal Dio della tempesta. Ma v'era un altro spirito, in altre membra gagliarde, ben poco anelante al comfort. Anche in relazione all'origine dell'alpinismo in Italia, questo mi è sembrato doveroso ricordarlo per far palese come oggi si travisino e si prostituiscano anche le cose più belle e più elevate. (1) Il 12 agosto 1863, Quintino Sella, scienziato e statista biellese, salì il Monviso con tre amici. In quell'occasione, gli nacque l'idea di radunare gli alpinisti italiani in un Club, come era avvenuto l'anno prima in Gran Bretagna e in Austria, e qualche mese prima in Svizzera. Il Club Alpino Italiano nacque ufficialmente il 23 ottobre 1863 "nel Castello del Valentino, in Torino, all'una pomeridiana", come si può leggere nel "processo verbale della prima adunanza dei soci ". Venne eletto presidente il barone Ferdinando Perrone di San Martino. Perciò questo brano della Caetani-Lovatelli è databile, con molta probabilità, a poco prima dello scoppio della Grande Guerra.
*** 10) Rud (Domenico Rudatis)
Un autore difficile da "classificare" nell'ambito delle varie correnti già considerate è Domenico Rudatis (1898-1994). Nacque a Venezia, studiò ingegneria al Politecnico di Torino, partecipò alla I Guerra Mondiale. Amante della montagna e dotato di una veggenza naturale, iniziò a parlare della sua concezione spirituale della montagna, descrivendo una discesa notturna da Pan di Zucchero della Civetta, pubblicata nella Rivista mensile del C.A.I. nel maggio-giugno 1929. La "relazione" di quell'avvenimento colpì favorevolmente Evola, che scrisse a Rudatis perchè collaborasse a Krur. Ebbero così inizio la sua amicizia e collaborazione con Evola, che continuò nella rivista La Torre, dove, tra l'altro, pubblicò il fondamentale saggio "La Grande Solitudine" ( La Torre n° 4, 15 marzo 1930) di cui ci siamo già occupati nel quaderno "Sub Specie Interioritatis". Con altri saggi collaborò anche all'evoliano Diorama Filosofico. Effettuò studi sul meccanismo
nervoso della percezione dei colori, anche da un punto di vista matematico, che gli permisero di ottenere, per le loro applicazioni, una dozzina di brevetti relativi alla cinematografia e alla televisione a colori. Dopo aver partecipato anche alla II Guerra Mondiale nella difesa antiarea, si trasferì definitivamente negli Stati Uniti, paese che aveva già visitato nell'anteguerra. Una summa della sua vita e della sua visione del mondo si trova nel suo libro - "Liberazione. Avventure e misteri nelle montagne incantate", Belluno 1985. Si leggano, in particolare, capitoli come "La ricerca della liberazione", "Dai misteri del Tao e del Nirvana alla liberazione", "Come la montagna e lo yoga convergono nella grande liberazione".
*** 11) Gli Altri di Ur Molti altri personaggi gravitarono attorno all'attività del Gruppo di Ur. Diversi tra loro non hanno collaborato alla rivista. Due collaboratori che invece apparvero con i loro nomi effettivi sono Olga Resnevic e Bruno Cicognani.
OLGA RESNEVIC
Nel secondo volume di Ur (Edizione Tilopa), nella prefazione al brano "Il Demone delle Nevi", tratto dalla Vita di Milarepa, si legge: "La presente traduzione, non essendo riusciti ad avere il testo tibetano, è stata eseguita per Ur da O.Resnevic e J.E. sulla base di quella tedesca, oggi divenuta assai rara, di Laufer (cit., ed. 1922)". Olga Resnevic Signorelli (1883-1973), nata in Lettonia, laureata in medicina e appassionata di teatro, fu medico della Compagnia dei Balletti Russi. Sposata con Angelo Signorelli (1876-1953), anch'egli medico (1) e collezionista d'arte, s'insediò a Roma nel 1909. Lei e il marito furono tra i pochi collezionisti attivi negli anni Dieci e Venti e diedero vita, in via XX settembre, nel Palazzetto Bonaparte, a un salotto artistico e letterario, che vide la presenza di diversi personaggi rappresentativi del Novecento italiano: De Chirico, Savinio, De Pisis, De Pero, Carena, Spadini, Soffici, Oppo, Melli, Ferrazzi. E' appunto nell'ambiente artistico romano che ella conobbe J.Evola. Fu traduttrice in italiano di autori russi, quali Dostojevskij, Tolstoj e Cechov. Del primo autore tradusse anche "Gli Ossessi", ma non in tempo perchè potesse essere utilizzato da Ur. Infatti, sempre nel secondo volume di Ur (Edizione Tilopa), nel saggio, firmato Arvo, "Kirilloff e l'iniziazione" si legge in nota: "Uso la traduzione francese di J. Chuzewille (ediz. Bossard, Paris 1925), non avendo avuto modo di vedere quella italiana recentissima a cura di O.Resnevic". Nelle edizioni successive di Introduzione alla Magia,
scompaiono entrambi i riferimenti alla Resnevic (tanto nella prefazione a Milarepa, quanto nel saggio su Kirilloff). La Resnevich, nel 1915, conobbe Eleonora Duse (1858-1924), rimanendo legata all'attrice da una viva amicizia. E' autrice di ben tre biografie sulla Duse, la prima delle quali, edita nel 1938, conobbe uno straordinario successo in Germania nel 1943. Nella seconda metà degli anni trenta, collaborò alla rivista "L'Almanacco della donna italiana" (Firenze 1920-1943), scrivendo una serie di articoli sulla cultura e sulle donne russe. La figlia di Olga e Angelo, Maria Signorelli (Roma 1908 - 1992), si dedicò all'arte realizzando, tra le altre cose, dei famosissimi burattini. (1) Da lui prende il nome, in medicina, il "Segno del Signorelli", cioè l'estrema cedevolezza a pressione del punto retromandibolare, che si manifesta nelle meningiti.
BRUNO CICOGNANI
Bruno Cicognani (1879-1971) nacque a Firenze. Iniziò la sua attività letteraria scrivendo raccolte di racconti come Sei Storielle di Nuovo Conio (1917), Gente di Conoscenza (1918), Il Figurinaio e le Figurine (1920). Poi scrisse romanzi come La Velia (1923), Villa Beatrice (1931), L'età favolosa (1940), quest'ultimo autobiografico. Le opere più tarde si orientarono verso lo spiritualismo cristiano: Viaggio nella vita (1952), La nuora (1954). Del 1957 è uno scritto per il teatro: Yo, el Rey (1957). La rivista Krur pubblicò, in anteprima, la traduzione dal latino di Cicognani dei primi sei paragrafi di quella «elegantissima oratio» di Giovanni Pico della Mirandola, intitolata dai posteri «De hominis dignitate», eseguita sull'edizione di Basilea del 1601. L'edizione completa, sempre a cura di B. Cicognani, uscì nel 1943, tra le pubblicazioni dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento di Firenze. Scritta nel 1486, Giovanni Pico l'aveva concepita come prolusione introduttiva alla disputa che intendeva sostenere al convegno dei dotti del 7 gennaio 1487, a difesa delle sue «Novecento tesi» sulla filosofia, la teologia e la cabala. Ma il convegno non ebbe mai luogo, perchè, come è noto, la pubblica discussione delle tesi venne sospesa, per decreto papale. L'orazione è considerata da diversi studiosi contemporanei come un vero e proprio «Manifesto del Rinascimento». In essa si afferma il potere magico dell'uomo di diventare ciò che vuole, fino a quella unitas spiritus con la divinità, che gli permette di sovrastare ogni cosa. Dal punto di vista grammaticale, Cicognani è uno di quegli autori che scrivono, similmente a Ercole Quadrelli "ha" e "ho" senza la acca e con l'accento (à; ò). Ad es., nel quinto paragrafo si può notare l'espressione "T'ò" al posto di "Ti ho".
Un'altra Ur Quest'anno è morto ISIDORE ISOU (Botosani, Romania 1925 - Parigi, 2007). Anche lui scrisse sulla rivista Ur, ma ovviamente non quella di Evola e Reghini (nel 1927 aveva solo due anni), bensì in quella omonima fondata da Maurice Lemaître (nato a Parigi nel 1926), una rivista letteraria ed artistica, della quale uscirono due serie, una iniziata nel 1950 e l'altra nel 1964. Se Evola appartenne alla prima generazione del Dadaismo, Isou fu uno dei maggiori rappresentanti della seconda, proclamando la dittatura ... della lettera!
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