1 L.a. Casey - Love Vol.01. Un Nuovo Destino
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Descripción: romance...
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Titolo originale: Dominic Copyright © 2014, L.A. Casey All rights reserved Traduzione dall’inglese di Mariafelicia Maione Prima edizione ebook: aprile 2016 © 2016 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-9255-3 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Librofficina Progetto grafico: Sebastiano Barcaroli Foto: © Ilina Simeonova / Trevillion Images
L.A. Casey
Love Un nuovo destino
Questo libro è dedicato alla mia sorellina – anche se sei strana e mi fai impazzire il 99,9% delle volte, non sarei riuscita a scrivere Love. Un nuovo destino né a pianificare gli altri libri della serie senza le nostre sessioni di brainstorming di mezzanotte. Ti voglio bene, sorellina.
Capitolo uno
Ero arrivata tardi a scuola; non era colpa mia, ma di Branna. Branna era mia sorella maggiore, diventata mio tutore legale nove anni prima, dopo che i nostri genitori erano morti in un incidente d’auto. Lei aveva ventotto anni e io andavo per i diciotto. Il suo ruolo poteva anche essere quello, ma la ragazza era sorella fino al midollo quando si trattava di farmi girare le scatole. Quella mattina aveva occupato il bagno per venticinque minuti. Cazzo, venticinque minuti! Era solo colpa sua se ero arrivata con un quarto d’ora di ritardo e avevo un aspetto pessimo. Stavo entrando a scuola quando la necessità impellente di “sistemarmi” prese il sopravvento. Mi fermai lì su due piedi e deviai verso il bagno delle ragazze. Non che fossi una fissata con il proprio aspetto, ma prima di entrare in classe volevo presentarmi il più possibile in ordine, questo sì. Una volta nel bagno delle ragazze, feci quello che dovevo nella toilette e poi mi avvicinai al lavandino per sciacquarmi le mani. Alzai gli occhi sul piccolo specchio e mi accigliai vedendo com’ero conciata. I miei luminosi occhi verdi avevano un’aria stanca, confermata dalle borse al di sotto. Ero un vero disastro quel giorno. Non avevo avuto tempo di fare granché, a parte legare i capelli castani e lunghi fino ai fianchi in una treccia stretta per tenerli sotto controllo, poi applicare qualche tocco di mascara alle ciglia lunghe e lavarmi i denti. Le mie guance paffute erano arrossate dal vento e le labbra, di solito rosa pallido, erano screpolate e gonfie. Ero piuttosto sicura che, se la morte fosse stata una persona vera, avrebbe avuto il mio aspetto. Mi raddrizzai e mi posizionai davanti allo specchio intero per fissarmi. Sospirai: ero così bianca che Casper mi avrebbe fatto un baffo. Essendo irlandese, la mia pelle era refrattaria all’abbronzatura. A quella naturale, almeno. Probabilmente ero l’unica in tutta la scuola a non mettersi l’autoabbronzante e a truccarsi con tinte che si armonizzavano con la mia carnagione invece di scurirla. Perché provare a essere qualcosa di diverso? Ero bianca come porcellana, con una spruzzata di efelidi leggere all’attaccatura del naso e sotto gli occhi; Branna diceva che mi davano un aspetto adorabile e che avrei dovuto accettarle. Quindi, accettare la mia bianchezza e le mie lentiggini era proprio quello che facevo. Mi sistemai la gonna della divisa scolastica, tirai su i calzettoni e mi lisciai il golfino. Feci scorrere le mani sull’uniforme per togliere le grinze. Inclinai la testa da una parte, e mi osservai. Mi piaceva il mio aspetto. Avevo i fianchi larghi e la vita sottile; non molto petto, ma qualcos’altro di enorme. Mi girai da un lato e alzai gli occhi al cielo; se avessi potuto cambiare una parte del mio corpo, sarebbe stato il culo. Era grosso e più di una volta si era guadagnato commenti volgari. Mi faceva arrabbiare perché interferiva con il mio bisogno di essere ignorata. Mi piaceva essere praticamente invisibile. Grugnii, uscii dal bagno e mi avviai lungo il corridoio verso l’aula dell’appello. Era una classe stupida che dovevamo frequentare ogni mattina; la nostra tutor – la persona da cui andare se eri nei guai o se ti serviva il pass per il bagno – prendeva le presenze e poi ci lasciava fare quello che
volevamo per i successivi quaranta minuti, fino al termine della lezione. Di solito tutti chiacchieravano del più e del meno, ma io non avevo amici quindi me ne stavo per conto mio. C’era un che di patetico in questo, ma sul serio non avevo amici. Non che i miei compagni di classe non ci provassero; davvero, dipendeva tutto da me. Dalla morte dei miei genitori ero riservata e diffidente. Non mi piaceva l’idea di affezionarmi a persone nuove sapendo che potevano portarmele via. Ecco perché avevo deciso di non fare amicizia con nessuno a scuola o da qualsiasi altra parte, era troppo rischioso. Branna diceva che era stupido e che non potevo estraniarmi da tutti per sempre, perché non era salutare. Capivo che era strano volersene stare sempre per i fatti propri – io ero strana, però a me andava bene così, quindi non permettevo alle sue parole di scalfirmi. Raggiunta l’aula, aprii la porta e guardai dritto verso la tutor. «Scusi il ritardo, prof». Speravo di avere la faccia di una a cui dispiaceva non essere stata puntuale. La tutor mi fece un cenno con la testa, come mi aspettavo. Non arrivavo mai tardi alle lezioni e dubitavo che anche se l’avessi fatta diventare un’abitudine mi avrebbe messo delle note sul registro per questo, perché le piacevo. Ero la sua studentessa più silenziosa e non le davo mai fastidio. Attraversai la stanza e come sempre nessuno dei miei compagni fece caso a me; ma per qualche ragione erano tutti molto loquaci ed eccitati. Capii il perché quando raggiunsi il mio banco. Guardai i ragazzi che vi si erano seduti: gemelli identici, fin lì era chiaro. Uno aveva i capelli chiari come la neve, mentre l’altro li aveva molto simili ai miei, castano scuro. Non mi soffermai a osservarli, perché sembravano compiaciuti degli sguardi insistenti delle mie compagne; tenni gli occhi bassi mentre mi avvicinavo. «Questo è il mio posto», dissi una volta lì, con il tono piatto. Il gemello con i capelli biondo lino fece per alzarsi, ma quello castano, seduto sulla mia sedia, gli mise una mano sulla spalla e lo fermò. «Il tuo posto? C’è il tuo nome sopra, per caso?», domandò, con un sopracciglio alzato. Il suo accento spiccava come un cartellone al neon. Non era irlandese. Americano, secondo me, ma non feci domande. Alzai lo sguardo e lo fissai truce. Aveva occhi grigi che sembravano lievemente argentati sotto la luce. Mi presi mentalmente a calci per averlo notato, e ritrovai la concentrazione. Mi chinai sul banco e indicai un angolo. «Sì, c’è», replicai, il dito puntato sul mio nome. L’avevo inciso lì il primo anno, in un momento di noia. «Bro-cosa?», lesse il gemello bruno in un tono confuso che mi fece alzare gli occhi al cielo. «Bronagh», pronunciai con chiarezza. Odiavo quando gli stranieri pronunciavano il mio nome: lo facevano a spezzatino e non riuscivano mai a dirlo come si deve. «Bro-nah?», sillabò correttamente, poi borbottò qualcosa sulla stupidità della G muta. Inarcai un sopracciglio. «Già, è così che si pronuncia il mio nome e come puoi ben vedere è sul mio banco». Il gemello biondo sbuffò divertito. «Ti ha preso per le palle, fratello. Togliamoci dalle scatole di questa adorabile donna e sediamoci in fondo vicino alle signore carine». Il fatto che le ragazze della mia classe ridessero e i gemelli sogghignassero mi fece rivoltare lo stomaco per il disgusto. Non mi piacevano i tipi belli e pieni di sé; ne avevamo già uno in quella scuola ed era una totale testa di cazzo. Non ce ne serviva un altro, figuriamoci altri due. Il biondo mi fece l’occhiolino alzandosi, ma io non sorrisi. Il bruno si alzò lentamente dal mio
posto. Non mi rivolse un sorriso, ma un sogghigno. La mia occhiataccia ottenne solo di trasformarlo in un ghigno trionfante. «Te l’ho scaldata», disse in tono di scherno, indicando la sedia. «Ringrazia le tue chiappe da parte mia, eh». Lo superai e mi sedetti, infilandomi bene sotto il banco. Appoggiai lo zaino sulla sedia accanto e la avvicinai a me. Era ovvio il messaggio che nessuno doveva sedersi accanto a me. Sentii il gemello bruno ridacchiare mentre andava in fondo alla classe. «Che problema ha?», domandò ad alta voce. «Chi? Bronagh? Niente», rispose Alannah Ryan. «Solo che non le piace granché la gente o essere al centro dell’attenzione, preferisce starsene per i fatti suoi». Alannah era una ragazza gentile; mi sorrideva sempre quando ci incontravamo e, a differenza degli altri studenti del nostro anno, mi lasciava in pace. Sembrava capire che a me bastava starmene da sola, e mi piaceva davvero questo aspetto di lei. Pensavo fosse piuttosto figa. «Non le piace la gente?». Il gemello bruno grugnì. «Ha qualcosa che non va?». Potevo anche essere una persona tranquilla a cui piaceva essere ignorata, ma non ero un tappetino; se qualcuno mi infastidiva, potevi scommetterci il culo che gli avrei detto quello che pensavo. E la mia mente era senza filtri. Avevo la tendenza a dire quello che pensavo senza pensare. «Sono sicura di avere un sacco di cose che non vanno secondo te, carino, ma ti assicuro che ci sento benissimo», dissi ad alta voce, senza voltarmi. Sentii qualche risatina e quando alzai per un momento gli occhi notai la McKesson che sorrideva sotto i baffi, china sul suo libro. «Tieni il becco chiuso, fratello», ridacchiò il gemello biondo. «Carino?», ringhiò il bruno, poi borbottò, immagino a se stesso o al fratello: «Con chi crede di parlare quella stronza?». “Pensa che sia una stronza?”. Sghignazzai dentro di me. “Come se me ne fottesse qualcosa”. «Ok, moderiamoci», disse la McKesson, alzandosi al suono della parola “stronza”. «Bronagh, questi ragazzi sono due nuovi studenti, vengono addirittura dagli Stati Uniti d’America». Quando mi accorsi che i compagni mi guardavano in attesa di una qualche reazione, ruotai l’indice in aria in un tentativo di dimostrarmi entusiasta, anche se non me ne importava proprio niente. «Forza USA». La professoressa si morse il labbro inferiore e scosse la testa. «Gli Slater sono gemelli, come è ovvio. È facile distinguerli visto che hanno i capelli di colore diverso. Nico è castano e Damien è biondo, be’, più bianco che biondo». Quel coso si chiamava Nico? «Me lo ricorderò, prof, grazie», dissi sarcastica, con un sorriso radioso. Qualche risata soffocata dopo, la McKesson mi presentò: «E questa signorina adorabile, ragazzi, è Bronagh Murphy». «È un piacere, signorina Murphy», disse Nico con voce morbida. Scossi la testa. «Ho forti dubbi al riguardo, signor Slater». La classe rise. Non mi importava il fatto che probabilmente ridevano di me perché era chiaro che non fosse un piacere conoscermi, ma al diavolo, non mi interessava. «Ok, tornate a qualsiasi cosa stavate facendo prima che Bronagh entrasse in classe». Agitò una mano.
Nemmeno un secondo e le ragazze iniziarono un fuoco di fila di domande; sospirai. Speravo che non sarebbe stato così tutti i giorni, perché quelle stronzate mi sarebbero sembrate presto di una noia scontata. «Prof?», mugugnai verso la tutor. Quando la McKesson alzò gli occhi, agitai l’iPod Touch nella sua direzione e lei annuì, dandomi in silenzio il permesso di ascoltarlo. «Merda, potete ascoltare l’iPod qui?» «Eh? Oh, no, solo Bronagh. Fa i compiti tutti i giorni, quindi ha il permesso di ascoltare la musica purché a volume basso». La voce di Alannah rispose a Nico. Sapevo che mi faceva sembrare una secchiona, ma in un certo senso lo ero: non una del tipo intelligentissima ma solo consegna-i-compiti-puntuale. In realtà non avevo molto da fare a scuola a parte studiare, quindi consegnare tutto in tempo non era mai un problema. Non sentii la risposta di Nico, perché accesi la musica. Accolsi con piacere il ritmo sincopato, felice che quel suono meraviglioso sovrastasse tutto il resto. Tirai fuori il quaderno di inglese e controllai il saggio che avevo scritto la sera prima per la lezione che avrei avuto più tardi. Corressi alcuni errori e poi lo lessi di nuovo. Una volta soddisfatta, lo rimisi nello zaino e lo chiusi. Guardai l’ora e vidi che mancavano meno di due minuti. Raddrizzai la schiena, tolsi gli auricolari, poi spensi l’iPod e lo misi in tasca. Mi alzai nello stesso istante in cui suonò la campanella. Spinsi le sedie sotto il banco, uscii dall’aula e mi diressi al laboratorio di falegnameria. Adoravo quel corso, mi piaceva davvero tanto costruire cose nuove. Realizzavo sempre portagioie, portatrucchi per Branna o belle mensole e librerie. Diventavo sempre più creativa e Branna amava le mie creazioni, quindi anch’io ero felice. Una volta in classe salutai il professor Kelly con un gesto della mano. Era l’insegnante di falegnameria, un tipo gentile. Mi lasciava sempre in pace, avvicinandosi solo quando mi serviva aiuto. Era forte; sembrava sapere come lavoravo, e questa cosa mi piaceva. «’Giorno, Bronagh». Sorrise raggiante. «’Giorno, prof, posso ascoltare la musica? Devo solo sabbiare quei pezzi che ho tagliato venerdì e poi li metto assieme. Non starò vicino a nessuna macchina pericolosa, la musica non mi distrarrà. Promesso». Lui annuì. «Nessun problema. Però se devi tagliare o segare qualcosa, bada a toglierti le cuffie, ok?». Feci il saluto militare, lui ridacchiò e mi spedì via con un gesto. Misi lo zaino sotto il mio bancone e mi avvicinai all’area della pressa di stoccaggio in fondo; afferrai un grembiule e lo indossai, poi rimisi gli auricolari nelle orecchie e accesi la musica. Tornai nell’aula e notai con la coda dell’occhio che il resto dei miei compagni stava entrando. Ero l’unica femmina; le altre preferivano frequentare lavorazione dei metalli, il che a me stava bene. Non dovevo ascoltarle spettegolare su chi uscisse con chi quando non avevo le cuffie. Mentre i ragazzi sistemavano la loro roba sotto i banconi, mi spostai sulla destra dell’aula, nel magazzino adiacente alla falegnameria. Presi la carta vetrata nuova, e poi una smerigliatrice manuale dalla rastrelliera appesa al muro. Mi facevo i fatti miei e tornavo verso il mio bancone, quando all’improvviso mi fermai di colpo. «Levati dal mio posto», ringhiai strappandomi gli auricolari dalle orecchie. Nico alzò gli occhi e sorrise, domandando, sarcastico: «C’è il tuo nome anche qui?». Pensava chiaramente di essere spiritoso, ma non lo era. Io non lo trovavo affatto divertente, ma
irritante a livelli estremi. Il nostro primo incontro non era stato dei migliori, ma a quel punto sapevo che stava cercando di farmi arrabbiare apposta e perciò lo presi subito in antipatia. «Vattene», replicai, ignorando la domanda. Scosse la testa, allora impugnai la smerigliatrice come una mazza e avanzai verso di lui, solo per trovarmi bloccata dal corpo dell’insegnante. «Bronagh, mettila giù», disse il professor Kelly, calmo, con le mani alzate in un gesto alla sonodisarmato-non-farmi-male. Sbattei le palpebre con aria confusa. «Non volevo picchiarlo», mentii. Eccome se volevo. Probabilmente non fortissimo, ma stavo comunque per colpirlo con la smerigliatrice. «Allora perché la tieni alzata come un’arma?», mi chiese l’insegnante con un sopracciglio alzato. Brontolai: «Si è messo al mio posto! Gli dica di andarsene». Il professore sospirò e si girò. «Quella è la postazione di Bronagh. Aspetta, sei nuovo qui, figliolo?» «Figliolo?», sputacchiai. «Non lo chiami così, è uno sparacazzate…». «Bronagh!», mi interruppe il professore in un tono basso di avvertimento. Alcuni ragazzi risero a quel che avevo detto, mentre io fumavo di rabbia in silenzio. «Sì, signore, sono nuovo. Ho cominciato proprio oggi», rispose Nico. Il professore si girò a guardarmi con le sopracciglia inarcate. «Volevi aggredire un nuovo arrivato?», domandò. “Sarebbe stato meno grave aggredirne uno vecchio?”, pensai. «Non mi piace», esclamai. Il professore sospirò e scosse la testa, pizzicandosi l’attaccatura del naso tra due dita. «Non significa che puoi aggredirlo, Bronagh». Mi incupii. «Lo so, le regole della scuola sono stupide». Il professore sembrò lottare per reprimere un sorriso, poi mi voltò di nuovo le spalle. «Come ti chiami, figliolo?», chiese al nuovo arrivato. Sbuffai. «Nico», replicò Facciadiculo. Sorrisi dentro di me; mi piaceva chiamarlo Facciadiculo invece che Nico. «È il diminutivo di che cosa?», domandò il professore curioso. «Dominic, ma tutti mi chiamano solo Nico. Preferisco così», rispose Dominic. Magari tutti lo chiamavano Nico, e magari lui preferiva così, ma io non ero tutti, quindi se mai avessi dovuto rivolgermi a lui l’avrei fatto come Dominic o Facciadiculo. Più probabilmente il secondo. «Be’, è un grande piacere conoscerti, Nico, ma di solito questa è la postazione di Bronagh e basta. Però puoi usare l’altro capo del tavolo visto che tiene questo tutto per sé». «No!», urlai nello stesso istante in cui Dominic diceva: «Grazie, signore». Non stava succedendo davvero! «Prof, non è giusto», protestai. «Non ho mai dovuto condividere la mia postazione con nessuno. Mi piace averla tutta per me, lo sa». Lui sospirò voltandosi verso di me. «Lo so, ragazza mia, ma le altre postazioni sono piene, visto
che sto riparando le due vicino alla porta». «Che stronzata pazzesca», borbottai. Il professore fece un sorrisetto – era in gamba, non gli importava che gli studenti imprecassero – e mi diede una pacca sulla schiena. «Mettiti gli auricolari e andrai alla grande, ragazza mia». Sbuffai quando si allontanò. «Hai finito di fare i capricci, dolcezza?», mi domandò Facciadiculo sfarfallando le ciglia. Lo guardai truce, appoggiando la smerigliatrice sulla postazione, poi schiacciai le mani sul tavolo e mi protesi in avanti. «Sta’ a sentire, piccolo rompicoglioni. Non mi piaci e voglio che stai alla larga da me, altrimenti ti pianterò questa smerigliatrice in quel cranio dalla faccia stupida che ti ritrovi. Ci siamo capiti, Dominic?», ringhiai, la voce glaciale. Contrasse le labbra. Mi osservò da capo a piedi come se mi stesse soppesando. «Cristallino, tesoro», replicò quando i suoi occhi grigi si fermarono nei miei. «Bene», sibilai. «Adesso fuori dai coglioni». Ero un po’ sconvolta dalla mia rabbia; l’unico che riuscisse a mandarmi fuori dai gangheri così facilmente senza bisogno di fare granché era Jason Bane. Era il bel ragazzo capo della scuola, e con me si era sempre comportato da stronzo. In quei giorni era in vacanza da qualche parte in Australia, fin dall’inizio dell’estate. Non sarebbe tornato prima della fine del mese di settembre. Era stata l’estate migliore di sempre e lo stesso valeva per l’inizio dell’anno scolastico, senza lui nei paraggi a fare il prepotente. Era un bastardo malvagio con una bella faccia, e l’idea che quel Dominic potesse essere una versione americana di Jason mi faceva cagare sotto dalla paura. Ci rimuginavo sopra mentre aspettavo che Dominic si spostasse all’altro capo della postazione che dovevamo dividere. Quando si fu allontanato, rimisi le cuffie e riaccesi la musica. Sentivo i suoi occhi su di me, probabilmente cercava di infastidirmi, ma non sapeva che ero molto brava a ignorare le persone. Dopo i primi cinque minuti senza alcuna reazione da parte mia dovette annoiarsi, perché si alzò e si avvicinò al professore. Sollevai lo sguardo mentre Kelly gli indicava diversi tipi di legno e capii che stava per cominciare il suo primo progetto. Mi fece piacere, speravo che lo tenesse impegnato e lontano da me. Era la fine della seconda ora quando terminai di sabbiare tutti i pezzi per la nuova scatola per i trucchi di Branna. Sarebbe stata grande, con diversi scompartimenti spaziosi. Mia sorella aveva un sacco di trucchi quindi ne sarebbe stata contentissima. Presi i pezzi di base e mi spostai alla postazione della colla a caldo. Presi una pistola, afferrai un nuovo cilindretto di colla, lo infilai nel retro e l’accesi. Aspettai due minuti che lo strumento si scaldasse e sciogliesse la bacchetta. Allineai i pezzi così come li volevo, poi applicai una dose generosa di colla sul legno e assemblai le varie parti. Dopodiché posai la pistola e osservai il mio lavoro. Mi piegai e schiacciai forte sul legno, per far uscire le bolle d’aria che si potevano essere formate tra le fessure, e usai la mano libera per recuperare un pezzo di cartone e raccogliere ogni eccesso di colla ormai tiepida. Continuai per una ventina di secondi, poi presi un po’ di carta vetrata usata per strofinarla su alcune aree. Mentre lo facevo mi sentivo osservata, quindi lanciai uno sguardo indietro da sopra una spalla e sobbalzai nell’accorgermi che alcuni ragazzi della classe mi stavano guardando. Sembravano divertiti, mentre altri sogghignavano verso Dominic, che sogghignava verso di me. «Che avete da ridere?», domandai, togliendo le cuffie.
«Niente», dissero all’unisono quelli che mi stavano guardando, poi si rimisero al lavoro. Significava palesemente qualcosa, quindi guardai Dominic. «Che hai fatto, Facciadiculo?». Spalancò un po’ la bocca al mio insulto, poi si ricompose. «Facciadiculo? È un po’ cattiva, Bronagh». Ridussi gli occhi a due fessure. «Che hai fatto, Dominic?», ripetei tra i denti. Sogghignò. «Ho solo scattato una fotografia». Contai mentalmente fino a dieci. «Una foto a cosa?», domandai alla fine. «Non te lo dico. Ti prenderei per il culo», rispose, ridacchiando. Chiusi le mani a pugno e presi in considerazione l’idea di colpirlo; invece, mi rimisi le cuffie e lo ignorai. Sapevo che mi aveva fotografato le chiappe; era ovvio, per quello che aveva detto e per il modo in cui i ragazzi ridacchiavano e lo guardavano sogghignando. Tuttavia, mi costrinsi a non prestargli attenzione. ’Fanculo a lui e ’fanculo a quella giornata di scuola. Stava diventando davvero di merda!
Capitolo due
«Che cazzo hai su per il culo da una settimana a questa parte, Bronagh?», strillò la voce di Branna nello stesso istante in cui mi venivano strappate con violenza le coperte. Mi svegliai di soprassalto e gemetti per la stanchezza e l’irritazione. Volevo solo che mi lasciasse in pace, così potevo dormire! «Branna, levati dalle palle, sto dormendo!», sbottai con la faccia premuta contro il cuscino, tenendo gli occhi ben chiusi. Sentii una botta sonora sul sedere, cosa che mi fece strillare e saltare in piedi sul materasso. «Questa è violenza su minore!», urlai a Branna, in piedi in fondo al mio letto con le braccia conserte e lo sguardo torvo. Non sembrava affatto divertita. “Ho sbagliato qualcosa”, sussurrò la mia mente. «Che ho fatto? Perché sei qua e mi svegli e mi picchi? Sono la tua sorellina non dovresti…». «Risparmia il fiato, ti ho sentito stamattina che spegnevi la sveglia e tornavi a letto. Hai bucato le lezioni e non va bene, non va bene per niente. Da quando sei tornata a scuola lunedì scorso sei un ormone che cammina. Che ti prende?». Gemetti, non volevo spiegare perché fossi stata scostante per tutta la settimana. «Niente, solo che oggi non mi sento bene». Non le stavo dicendo tutta la verità. Sul serio non mi sentivo molto bene, ma tutta la verità era che non volevo andare a scuola e affrontare una giornata intera di Dominic quando stavo male. Se Branna avesse saputo che mi tormentava avrebbe chiamato la scuola e chiesto un incontro, il che mi avrebbe messo in imbarazzo. O avrebbe scoperto dove viveva Dominic e l’avrebbe ucciso. E questo mi avrebbe lasciata in mezzo a una strada, visto che tecnicamente casa nostra era sua e pagava lei per tutto. In più se ammazzava Dominic il suo culo sarebbe stato spedito nella prigione di Mountjoy e io sarei rimasta da sola. «Per stavolta passi, visto che vai sempre a scuola, ma in futuro devi dirmelo se stai male, ok? Ti prendo un appuntamento dal dottore». Scossi la testa. «Devono arrivarmi le mie cose, penso sia per questo che mi fa male tutto e sono di cattivo umore». Ero prossima al ciclo, ma quel che mi mandava in bestia era un testa di cazzo americana di nome Dominic. Dopo quel primo incontro lunedì mattina, aveva abbracciato la missione personale di avvicinarsi il più possibile a me per l’intera settimana, perché sapeva quanto lo odiassi. Mercoledì gli avevo persino dato un ceffone quando mi aveva toccato il culo. Aveva detto che c’era un ragno e che lo stava solo spazzando via per me. Era una cazzata immane e lo sapeva. Cazzo, mi aveva strizzato la natica fino a farmi male e per questo aveva dipinto in faccia un sorrisetto, mentre fingeva di essere stato pieno di buone intenzioni. Già, gli ero davvero riconoscente, al punto da lasciargli una discreta impronta della mano visibile
per il resto della giornata, cosa che fece borbottare lui e sogghignare il fratello. Parlando del fratello, era venuto fuori che Damien era tutto l’opposto di Dominic; era gentile e non mi infastidiva. Mi avevano messo in coppia con lui per un esperimento di scienze e nel corso di quella lezione si era scusato per il comportamento di Dominic e mi aveva chiesto se per cortesia potevo abbandonare qualsiasi piano avessi escogitato per assassinarlo, perché lo preferiva vivo e vegeto, ma solo un pochino. Mi aveva fatto un filo pazzesco, ma io lo avevo ignorato, concentrandomi sul progetto che dovevamo svolgere insieme. Sembrò capire che non mi interessava affatto flirtare o parlare con lui. Dopo i primi minuti in cui non aveva ottenuto alcuna mia reazione, smise anche di provarci, cosa che festeggiai in silenzio. Ora, se solo il fratello si fosse arreso con altrettanta facilità, sarei stata al settimo cielo. Il sonoro verso di esasperazione di Branna mi distolse dai miei pensieri e richiamò gli occhi su di lei. «Che c’è?» «Niente», ridacchiò. «Ti stavo solo immaginando in travaglio. Non riusciresti a sopportare nessuna fase del parto se non tolleri i dolori del ciclo». Alzai gli occhi al cielo. «Oh, e tu sei espertissima di parti vero?». “Ah, domanda stupida”, mi rimproverò la mia testa. «No, ma in confronto a te sono un’esperta in materia. Dopo tutto studio medicina per diventare ostetrica. Sono al quarto anno, il che significa che adesso posso essere presente all’evento in sala parto, in modo da rendermi conto davvero di cosa farò una volta laureata». Rabbrividii, disgustata. «Sei oscena, vuoi sul serio guardare un prosciutto di quattro chili che esce da una vagina?». Branna scoppiò a ridere. «Non chiamare prosciutto un neonato, stronza!». Rabbrividii di nuovo e gemetti, poi mi sfregai la faccia con le mani un paio di volte. «Adesso ho in mente l’immagine di qualcuno che partorisce, ti odio!». Branna rise di nuovo, poi si avvicinò alla mia finestra e aprì le tende, facendomi sibilare per la luce del sole che entrava a fiotti nella stanza. «Alzati e vestiti, vampira. Visto che non sei a scuola puoi fare la spesa mentre io lavoro in ospedale». Era giusto. Mi sfregai il collo. «Resti in ospedale tutto il giorno?». Quando non era al college a svolgere milioni di compiti, scrivere saggi o studiare per test difficilissimi, Branna faceva la volontaria alla clinica di maternità. Tutti gli studenti di medicina nel campo che si era scelta dovevano svolgere un certo numero di ore di volontariato per fare un po’ di pratica con i parti. La paga era opzionale, visto che era un tirocinio, ma l’ospedale di Brenna gliela garantiva. Non era molto, ma abbastanza per permetterci di sopravvivere. In realtà non ci serviva lo stipendio di Branna per cavarcela. Avevamo ancora un mucchio di soldi lasciati dai nostri genitori, ci sarebbero bastati finché Branna non fosse diventata ostetrica, ottenendo un’entrata regolare. Una volta finito l’ultimo anno delle superiori e diplomata, mi sarei trovata un lavoro estivo che con un po’ di fortuna avrei continuato anche durante il college, così non avrei dovuto salassare Branna per qualsiasi cosa. «Già, oggi vedrò dei bambini venire al mondo, non è fantastico?». Branna sorrise raggiante e batté
le mani, richiamando la mia attenzione. La guardai inespressiva, strappandole un verso d’esasperazione. «Be’, ok, lo so che non ti piace perché vai fuori di testa di fronte a questo genere di cose, ma pensa, un giorno tu darai alla luce un bambino, e io potrò aiutarti durante il parto!». Quel pensiero sembrava eccitarla davvero troppo. «Io non avrò mai figli! Perché fare dei bambini solo per passare il resto della tua vita a preoccuparti della loro salute e sicurezza? È davvero troppo stressante per me, grazie tante». Branna alzò gli occhi al cielo. «Un giorno qualcuno ti farà cambiare mentalità, sorellina. Non sarò io l’unica che amerai e di cui ti prenderai cura. A lungo andare qualcuno si farà strada in quel tuo cuore chiuso e inscatolato e ci pianterà le tende, e tu non potrai farci proprio niente». «Non minacciarmi!», sbottai. Branna rise e domandò: «Augurarti di trovare l’amore è una minaccia?». Annuii. «Sì!». Mia sorella scosse la testa. «Bronagh, hai davvero bisogno di uscire più spesso». Alzi gli occhi al cielo, ma decisi di farla contenta. «Ok, sorellona, farò il primo passo nella ricerca dell’amore andando al supermercato a fare la spesa. Chissà, potrei sempre trovarlo nel reparto pollame». «Wow, che bell’inizio», disse, sarcastica, poi mi fece l’occhiolino e uscì dalla mia stanza. Alzai gli occhi al cielo e ricaddi lunga distesa sul letto. Gemendo, chiusi gli occhi. Rimasi in quella posizione così a lungo che alla fine mi assopii di nuovo e quando mi svegliai non c’era più così tanta luce fuori. Controllai l’orologio nella mia stanza e vidi che erano le 16:32. Sbadigliai, mi alzai dal letto e mi stiracchiai. Mi portai le mani alla pancia per un leggero attacco di crampi. Andai in bagno e gemetti: come volevasi dimostrare, il ciclo era arrivato secondo le previsioni. Mi lavai e mi vestii, poi scesi al piano di sotto per prendere un antidolorifico. Branna era andata a lavoro ore prima e aveva lasciato sul bancone la lista della spesa insieme ai soldi per pagare. Me li infilai nei jeans, poi mi feci una treccia per allontanare i capelli dalla faccia. Non persi tempo a truccarmi, perché mi sentivo una merda e sarei tornata comunque a letto una volta a casa, quindi uscii in versione acqua e sapone. Lungo la strada mi misi le cuffie e premetti la riproduzione casuale sull’iPod. Superai due persone sul marciapiede, ma se ce ne furono altre non le notai, perché ero troppo occupata ad assorbire il panorama straordinario alla mia sinistra. Sospirai piano: vivere ai piedi delle montagne dublinesi aveva i suoi aspetti gratificanti. Non mi sarei mai stancata della vista che offriva: i dirupi, i sentieri, le molteplici sfumature di verde, gli alberi enormi e naturalmente qualche pecora in lontananza. Soddisfatta e felice distolsi lo sguardo e lo spostai a destra, e la mia sensazione di contentezza aumentò: se a sinistra la visuale si apriva sulle montagne, dall’altro lato affacciava sulla città. Il complesso residenziale in cui vivevo era più in alto rispetto agli altri circostanti, perché eravamo proprio sul fianco della montagna. Ciò significava che potevo abbassare lo sguardo sulla città intera: grandioso. Di solito non pensavo di vivere in un posto bellissimo, ma, se ci si prestava sufficiente attenzione, era così. La passeggiata fino al centro commerciale Citywest fu rapida e prima di rendermene conto mi ritrovai al Dunnes Store a spingere un carrello. Tirai fuori la lista di Branna e cominciai a prendere gli articoli segnati. Aggiunsi dei biscotti e qualche altra golosità, di cui avevo bisogno in quel
periodo del mese. Mi chinai per afferrare un pacco di biscotti al triplo cioccolato – i migliori del mondo – sullo scaffale in basso. Fui costretta a mettermi in ginocchio, perché ne erano rimaste solo due confezioni ed erano proprio in fondo. Riuscii a prenderli e, quando mi alzai e mi voltai per infilarli nel carrello, mi pietrificai. «Che cazzo ci fai tu qui?», ringhiai. L’espressione sorniona di Dominic Slater si trasformò in un sorriso. «Cosa pensi che faccia in un alimentari? La doccia?». Feci una smorfia. «Si chiama supermercato, razza di cretino», dissi fredda, poi mi avvicinai al mio carrello. Dominic fece un passo avanti e mi bloccò la strada. Espirai a fondo. «Levati. Subito!». «Perché non sei venuta a scuola oggi?», chiese, ignorando il mio ordine. “Si è accorto che non c’ero?”, pensai. “Probabilmente perché in mia assenza non aveva nessun altro da tormentare”. «Sto male», risposi e cercai di nuovo di superarlo. Lui si spostò dallo stesso lato nello stesso momento e mi bloccò di nuovo. «Non sembri malata», commentò. Lo guardai truce. «Ciò dimostra la tua ignoranza, non ti pare?», ringhiai. La pressione che erompeva nel mio basso ventre causandomi un dolore immenso mi fece piegare un po’ in avanti. «Dominic, levati di torno!». «Stai per vomitare?». Ancora non si toglieva. «Sì, sto per vomitare e miro a te quindi spostati!», lo avvertii. Sbuffò divertito. «No, non sembri una che sta per rimettere. Però è ovvio che ti fa male lo stomaco». «Grazie per l’osservazione, dottor Facciadiculo. Adesso levati!». Dominic rise di me, poi lanciò un’occhiata alle mie mani. «Sarò ben felice di spostarmi… quando mi avrai dato quei biscotti». Li strinsi al petto come avrei fatto con un bambino appena nato. «Vaffanculo, li ho presi prima io!». Dominic alzò gli occhi al cielo. «È molto probabile che siano gli ultimi biscotti al triplo cioccolato in tutto il negozio, visto che sei dovuta andare a pescarli in fondo allo scaffale. È la prima pausa dagli allenamenti che ho da una settimana a questa parte e ho una voglia matta di biscotti. Se vuoi che mi sposti, devi darmeli». “Allenamenti?”, domandai tra me e me. “Di che cazzo parla?”. «Certo che erano gli ultimi due, ma non te ne darò nemmeno uno e se non te ne vai strillerò che mi stai aggredendo e ti farò arrestare!», lo avvisai. Inclinò la testa all’indietro e rise, al che colsi l’opportunità per girargli attorno. Usai una mano per tenere stretti al petto i biscotti e l’altra per afferrare il carrello. «Oh, no, non pensarci nemmeno!», brontolò. Quando mi sentii afferrare da dietro, quasi morii di schianto. Mi stava toccando! Dominic Slater
teneva le grandi mani sulla mia pancia e si schiacciava contro la mia schiena. “Questo coglione ha un ultimo desiderio?”, pensai con rabbia. «Ti do tre secondi per togliermi di dosso le mani e il corpo, o ti spedisco al tappeto, stronzo!». La risatina di Dominic vicino all’orecchio mi fece irrigidire ancora di più. Quel contatto ravvicinato mi rizzava i peli sulla nuca e mi spedì dei brividi lungo la colonna vertebrale. «Pensi di potermi battere, bellezza?». Sentivo il suo fiato caldo sul collo. Resistetti all’impulso di alzare gli occhi al cielo, la pelle fremente di piacere. Riportai in fretta l’attenzione sulle sue parole e mi irrigidii. “Bellezza? Sta cercando di fare lo spiritoso o cosa?”. «Sì!», sbottai, e aggiunsi: «Non chiamarmi mai più a quel modo!». «Posso chiamarti come mi pare e dirti quello che mi pare», disse allegro. «Libertà di parola e tutto il resto». Cercai di divincolarmi. «Togliti di dosso!», esclamai, poi trattenni il respiro quando sollevò un braccio cercando di afferrare i miei biscotti. Te. Lo. Scordi. Cazzo! Alzai una gamba e calciai all’indietro verso il suo stinco; Dominic grugnì balzando via. Girai su me stessa e gli lanciai un’occhiataccia mentre lui scuoteva la gamba, probabilmente cercando di liberarsi del dolore. «Stronza!», sbottò. «Mi hai dato un calcio!». Sorrisi malefica. «Se mi sfiori di nuovo toccherà alle tue palle. Non hai ancora imparato la lezione? Se mi tocchi, io ti picchio». Si strofinò una guancia, come se sentisse ancora il dolore dello schiaffo che gli avevo appioppato mercoledì perché mi aveva toccato il sedere. Abbassò la mano e mi fece un sorrisetto. «Hai un sedere poderoso». Si strinse nelle spalle. «Non potevo non dare una palpatina». Mi aveva appena dato della grassa. Mi aveva davvero dato della grassa. Non importava se sembravo una balena; non dici a una ragazza che è grassa, soprattutto non in faccia, cazzo. L’insulto mi ferì e lo detestai. Odiavo avere permesso a Dominic di avvicinarsi tanto da farmi provare qualcosa di diverso dal puro fastidio. Dovevo indurirmi in sua presenza, altrimenti avrebbe potuto rovinare tutti gli anni passati a costruire la mia corazza protettiva. «Grasso sarai tu!», ribattei, infantile, poi mi girai e afferrai il carrello con una mano per spingerlo via. Però Facciadiculo mi fermò. Si infilò tra me e il carrello. Non mi piaceva affatto sentire il mio corpo tradirmi e diventare un fremito ogni volta che me lo ritrovavo addosso. «Non ti ho detto che sei grassa». Dominic mi guardava dall’alto in basso. Maledetto bugiardo! Lo fissai malissimo. «Sì che l’hai fatto, sacco di merda bugiardo!». «Ho detto che hai un sedere poderoso, c’è differenza». “Cosa?”, sbraitò la mia testa. «No, non c’è, hai detto che ho il culone…». «Poderoso nel senso di sexy», mormorò.
Lo fissai, reprimendo l’impulso di picchiarlo a morte con i biscotti. «Grasso non è sexy», dichiarai. «Il sedere sì», disse Dominic, sempre di fronte a me. «Hai un fondoschiena grosso ed è sexy». Perché cazzo stavamo avendo quella conversazione sul mio culo che era grasso ma non grasso? «Non me ne frega niente. Io e il mio culone vogliamo andarcene con il nostro carrello quindi levati di mezzo». Dominic sogghignò, tese una mano e disse: «Prima i biscotti». Li strinsi più forte. «Dovrai strapparli alle dita gelide del mio cadavere, spilungone bastardo». Fece un passo avanti con aria minacciosa; io andai nel panico, caricai il braccio e lo colpii dritto in faccia con la confezione di biscotti. Barcollò di lato, le mani al viso. Scattai, afferrai il carrello e mi misi praticamente a correre nella corsia del supermercato. «Bronagh!», urlò. Svoltai e andai dritta verso una cassa, prontissima a pagare la spesa e tornarmene a casa. Ovviamente alcune persone sentirono Dominic e fissarono il corridoio da cui ero appena uscita di corsa. Finsi di essere confusa anch’io; non volevo che qualcuno pensasse che fossi la Bronagh dietro cui stava urlando. Feci la fila e poi iniziai a svuotare il carrello sul nastro trasportatore, gridando mentalmente alla donna davanti a me di spicciarsi a infilare la sua roba nelle buste. «Potrei farti arrestare per aggressione, lo sai vero?». La sua voce era un ringhio. «Mi hai colpito due volte là dietro». Sospirai, avrei voluto solo che se ne andasse. «È stata legittima difesa, sei stato tu il primo a mettermi le mani addosso senza permesso». Spinsi avanti il carrello senza girarmi. «Cazzate», esclamò. Deglutii; cercavo di non cedere, anche se era ovvio quanto fosse arrabbiato con me. «Lascia perdere», mugugnai. Non appena la signora davanti a me ebbe finito, mi feci avanti e grazie al cielo la cassiera passò le mie cose e mi aiutò a imbustarle a tempo di record. «Quei biscotti sono i migliori di tutto il negozio, finiscono sempre». La donna sorrise mettendoli nel sacchetto. Alzai gli occhi su Dominic, che mi guardava storto. Mi fece sorridere, poi mi rivolsi alla donna. «Concordo, sono davvero deliziosi». Sorrisi raggiante. «Stronza crudele», mugugnò Dominic; la donna si girò di scatto verso di lui, costringendomi a reprimere una risatina. Pagai, afferrai le tre buste di spesa e le tirai giù dalla cassa. Erano pesanti e odiavo che Branna non fosse lì in macchina per aiutarmi a portarle a casa. Feci un profondo respiro e mi diressi all’uscita, solo per fermarmi davanti alle porte e quasi mettermi a frignare lì dove mi trovavo. Fuori pioveva a catinelle. Non sapevo perché mi meravigliassi tanto, succedeva sempre così. A Dublino poteva esserci un clima mite e fresco e un attimo dopo scatenarsi un acquazzone. Sospirai, e, dopo avere guardato la pioggia per un intero minuto, alzai gli occhi al cielo. «Proprio non puoi darmi un attimo di tregua, eh, Gesù?» «Non credo che risponda a chi aggredisce un innocente».
La sua voce mi fece sobbalzare, al che lui rise. Scossi la testa senza guardare Dominic che mi affiancava. «Come cazzo hai fatto a imbustare le tue cose e pagare così in fretta?», domandai. «Magia», ribatté. Grugnii. «Be’, usa un po’ di magia e sparisci dalla mia vista». Fece un verso di disprezzo. «Ti piacerebbe da matti, vero?». Lo guardai, affilando lo sguardo. «Nulla mi farebbe più piacere che vederti scomparire dalla faccia della Terra, Facciadiculo». Storse le labbra in un mezzo sorriso. «Non mi meraviglia che hai comprato gli assorbenti, devono essere quei giorni». “Ha visto i miei assorbenti?”, urlai nella mia testa. Sentii le guance in fiamme. «Chiudi il becco». C’era uno scintillio di malignità nei suoi occhi mentre diceva: «Sei proprio una strega quando hai il ciclo». Oh, mio Dio! «Questa era orribile», affermai. «Spero di non incontrarti mai più, qui o da qualsiasi altra parte. Una cattiva giornata a lei, signore». Feci un cenno con la testa e uscii sotto la pioggia. Sentii un brivido corrermi su per la spina dorsale, quindi mi raddrizzai, ignorai il dolore dei manici delle buste di plastica che mi si conficcavano nella pelle e continuai a camminare. «Vuoi fare un giro?», sentii Dominic che gridava in lontananza sulla sinistra. Sussultai e mi voltai di scatto, notandolo che si dirigeva verso una grande jeep nera. «Sporco bastardo! Come osi chiedermelo?». Dominic si fermò e mi guardò con le sopracciglia inarcate, poi scoppiò a ridere. «Diamine, intendo se vuoi un passaggio, nel senso un passaggio a casa nella mia macchina. Non farsi un giro come intendete qui… non ti sto proponendo di fare un giro con me, Bronagh». Ero mortificata. «Fa lo stesso, non mi serve un passaggio!». Mi girai e proseguii a passi svelti fuori dal parcheggio e lungo il marciapiede. La pioggia cadeva così forte che mi gocciolava negli occhi, ostacolandomi la vista. Me li sfregai con la spalla e proseguii. Non mi era mai importato della pioggia – ci ero abituata e in realtà mi piaceva passeggiare sotto il temporale. Ma non se trasportavo roba pesante. Lanciai un’occhiataccia alla jeep di Dominic che mi superava, poi strillai quando si avvicinò al marciapiede e mi schizzò d’acqua sporca. «Coglione!», urlai più forte che potevo. Avevo lasciato cadere le buste della spesa durante l’inzuppamento, quindi mi chinai in fretta a raccoglierle. Dominic era fortunato che tutta la roba comprata fosse in contenitori sigillati che l’acqua non poteva rovinare. «So che non mi crederai, ma in realtà stavo accostando per offrirti di nuovo un passaggio. Non volevo affatto bagnarti», gridò la voce di Dominic dalla macchina – il finestrino del passeggero era abbassato –, seguita da una risata. Stava ridendo di me! Emisi un brontolio rabbioso, guardando torva nella sua direzioni. Cercai di nuovo con la spalla di
togliermi l’acqua dagli occhi e ne sputai altra dalla bocca. «Vaffanculo!», strillai. «Cazzo, lasciami in pace e basta!». Inarcò un po’ le sopracciglia alle mie urla, ma non mi importava. All’inferno. Mi girai e in pratica corsi per tutta la via del ritorno. Non mi fermai finché non fui al sicuro dentro casa. Caddi a sedere per terra con la schiena premuta contro la porta d’ingresso. «Bronagh? Sei tu? Ho staccato presto e ho cercato di chiamarti per vedere se ti serviva…». La voce di Branna si interruppe a metà frase, poi una risata soffocata riempì il silenzio. «Sembri un ratto fradicio!». Ringhiai, appoggiai la testa all’indietro contro la porta e chiusi gli occhi. Sussultai un po’ sentendo di nuovo i crampi alla pancia che aggiungevano qualcos’altro di orribile a una giornata già di merda. «Non pensavo che piovesse così forte. Sei davvero zuppa, Bee. Che è successo?». Grugnii e rimasi seduta sul pavimento in mezzo alle buste della spesa. Avrei potuto dirle con tutta facilità che un coglione americano mi aveva fatto il bagno con la sua macchina dopo avermi aggredita nel supermercato, ma onestamente non volevo parlare di Dominic o anche solo pensare a quello stronzo. «Non voglio parlarne», mugugnai. Irritata per essere bagnata fino alle ossa e infastidita dal possedere un apparato riproduttivo femminile, rimasi con la testa appoggiata alla porta e chiusi di nuovo gli occhi, poi espirai forte. Odiavo Dominic Slater.
Capitolo tre
«Non voglio andare a scuola, mi sento ancora uno schifo. Per favore, Branna, non costringermi. Se mi vuoi un po’ di bene, non puoi costringermi a questo», piagnucolai dimenandomi a tutto spiano. Branna grugnì senza smettere di strattonarmi per la vita, cercando di costringermi a mollare la maniglia della portiera dal lato del passeggero della sua macchina. «Farò tardi a lezione e anche tu, quindi mollala e datti una mossa!». Strinsi più forte la maniglia. «Mai!». Branna sospirò, forte. «Non volevo farlo ma non mi lasci altra scelta». Aggrottai la fronte e mi chiesi di cosa stesse parlando… «Ah!», strillai, interrompendo di botto i miei pensieri. «No, Branna, non farmi il solletico! Pietà, pietà!». Non mostrò alcuna pietà, mi solleticò sotto le ascelle e sulle costole finché non fui ridotta a un ammasso di convulsioni e balzai lontano dalla macchina e da lei. Non appena fui a un metro o due di distanza, fece scattare le sicure premendo un pulsante sulle chiavi. Mi stavo sistemando i vestiti e tremavo per i postumi del solletico; Branna incrociò le braccia sul petto e inarcò un sopracciglio, sfidandomi ad avvicinarmi di nuovo a lei o alla macchina. Gemetti. «Sei la sorella peggiore di sempre, io sto morendo!». Alzò gli occhi al cielo. «Hai preso gli antidolorifici e hai mangiato qualcosa, non puoi perdere le lezioni per rimanertene a letto a non fare niente, quindi march!». La guardai torva. «Quando ti ritroverai in travaglio riderò di te e ti ricorderò di questo giorno!». Detto ciò, mi girai e attraversai il parcheggio verso l’entrata della scuola sbattendo i piedi. «Buona giornata, bambinona!», mi gridò dietro Branna, ridendo. “Stronza!”. Entrai proprio mentre suonava la campanella, quindi affrettai il passo, quasi correndo. Non volevo prendere una nota per il ritardo e farmi rimproverare dai professori, mi avrebbe solo fatto sentire ancora peggio. Raggiunsi l’aula dell’appello circa tre minuti dopo lo scoccare dell’ora, quindi erano già tutti seduti e si girarono quando aprii la porta. Io non guardai nessuno, solo la tutor che mi sorrise mentre entravo. Sembrava un po’ troppo felice di vedermi. «Bentornata, Bronagh, ci sei mancata venerdì scorso». Certo. «Ehm, scusi il ritardo, mi sono svegliata tardi», mugugnai. La professoressa fece un gesto con la mano. «Nessun problema, in effetti sei proprio la ragazza che mi serve, visto che sei già in piedi». “Oh, cazzo”, pensai. «Uhm, ok», borbottai, sfregandomi il collo, a disagio. Si girò verso il resto della classe. «Mi serve un’altra volontaria per questo compito speciale». Nessuna ragazza alzò la mano, e non le biasimavo: svolgere “compiti” per gli insegnanti era sempre
una merda. La professoressa sospirò. «Ok, allora scelgo io… Destiny». Destiny gemette forte, facendo ridacchiare tutti, tranne me. «Ok, che dobbiamo fare?», sospirò, sconfitta. «Bene, come tutti sapete, oggi c’è il nostro evento di raccolta fondi annuale e quest’anno le seconde e i loro tutor devono occuparsi di decorare il salone e organizzare i giochi. Ma come sempre c’è un compito che solo due ragazze dell’ultimo anno possono svolgere. Mi è stato chiesto di scegliere due belle studentesse della mia classe per questo ruolo». Un sorriso si dipinse sul volto di Destiny, mentre sul mio appariva uno sguardo di puro orrore. Mi ero del tutto dimenticata dell’evento di raccolta fondi; se me ne fossi ricordata mi sarei chiusa a chiave in camera mia! «Il chioschetto dei baci!», dicemmo all’unisono, solo che il mio tono era disgustato, mentre quello di Destiny entusiasta. «Proprio quello». La professoressa sorrise raggiante. Alcuni ragazzi della classe esultarono e Destiny rise allegra. Mi avvicinai all’insegnante. «Prof, per favore scelga qualcun altro. Questa giornata serve a raccogliere soldi per le squadre; li perderete se io aiuto al chioschetto dei baci, glielo posso garantire». Alcuni risero, ma non mi importava: sapevamo tutti che era vero. Non assomigliavo per niente a Destiny; lei era snella con fianchi rotondi, tette grosse, capelli rosso fuoco e un viso bellissimo che non aveva quasi mai bisogno di trucco. Era uno schianto di natura mentre io… no. Sapevo di non essere grassa, ma non ero nemmeno magra come Destiny. Come dicevo, avevo una forma a pera, cioè seno piccolo e vita sottile con il culo grosso e le cosce che mi facevano sembrare enorme se non indossavo i vestiti giusti. «Oh, sciocchezze, non cominciare. Tu e Destiny siete entrambe graziosissime quindi nessuno può rifiutarsi», affermò la professoressa, riscuotendomi dai miei pensieri e facendomi sospirare. «Come vuole», mugugnai e strascicai i piedi fino al banco, senza osare guardare l’ultima fila. In fondo si sedeva quello. Sfortunatamente, la prima ora terminò in uno schiocco di dita; dentro di me gemetti e desiderai che quella lezione durasse per sempre. «Ora potete andare tutti nel salone principale; divertitevi e non fate niente perché io debba mettervi in punizione. Capito?». Tutti mugugnarono un “sì” che fece contenta la professoressa, poi uscimmo dalla classe e ci dirigemmo nella sala. Una volta dentro, sentii un colpetto sulla spalla e sobbalzai. «Scusa», ridacchiò Destiny girandomi attorno. «Non volevo spaventarti». Sì, come no. «Non l’hai fatto», mentii. Destiny fece un sorrisetto compiaciuto, poi un sorriso vero. «Andiamo al nostro chioschetto e mettiamoci al lavoro». Si avviò saltellando verso il fondo della sala, dove lo mettevano sempre. La seguii riluttante, con la testa bassa e le spalle cascanti. Arrivata al baracchino, Destiny si era già sistemata al suo posto. Quindi scivolai nel mio, appoggiai lo zaino a terra vicino a me, chiusi gli occhi e procedetti a desiderare di essere morta.
«Due euro a bacio, signorine. Fatevi dare prima i soldi». Aprii gli occhi e annuii verso il professore che parlava con noi. «Il chioschetto dei baci è aperto, ragazzi», gridò poi. Gemetti e abbandonai la testa sulle mani; cazzo, era troppo imbarazzante. Passarono circa due minuti prima che un gruppo di ragazzini del primo anno avesse il coraggio di avvicinarsi piano piano verso di noi. «Abbiamo i soldi», disse uno. Non potei trattenermi dall’indietreggiare un po’. Quei ragazzini dovevano avere appena tredici anni, era possibile che io o Destiny stessimo per diventare il loro primo bacio. Quel pensiero non mi andava giù. «Ok, ragazzi. Niente bionde quest’anno quindi quelli a cui piacciono le rosse in fila davanti a me e chi preferisce le brune davanti a Bronagh». Destiny prese il comando della situazione con la frase che le ragazze del chioschetto dovevano usare ogni anno. Era un modo rapido per formare le file e rendeva le cose un po’ meno imbarazzanti per chi non sapeva chi scegliere. C’erano otto ragazzini e cinque si misero davanti a me, cosa che mi tolse il fiato per lo shock. Immaginavo che avrebbero scelto Destiny anche se preferivano le brune, perché era tanto più bella di me persino in una giornata no. Sbattei le palpebre quando il primo si fece avanti, tese la sua moneta da due euro e la lasciò cadere nel mio cestino. «Sono Toby». Sorrise e rivelò un divario graziosissimo tra i due denti davanti. «Ciao Toby, sono Bronagh». Sorrisi e mi costrinsi a non vomitare. Era così carino e io mi sentivo come se stessi per violentarlo. Cambiò posizione e rimase lì a guardarmi come in attesa del semaforo verde per baciarmi, quindi espirai, protesi le labbra e mi chinai verso di lui. Sobbalzò, sorrise, poi mimò le mie azioni e incontrò le mie labbra, schiacciandoci contro le sue. Era un bacio che durava cinque secondi a labbra strette. Il tipo di bacio che si dà sulla guancia, rapidamente, invece era sulle mie labbra e Toby sembrò emozionatissimo. «Grazie», esalò. Quando mi scostai, lui rimase lì a fissarmi con un sorriso radioso e gli occhi spalancati. «Toby, tocca a me baciarla adesso», esclamò un ragazzino dietro di lui. Toby si accigliò, ma tornò rapidamente a sorridermi prima di spostarsi. I quattro successivi ottennero tutti lo stesso bacio di cinque secondi a bocca chiusa e dopo si comportarono come se gli avessi fatto vedere le tette, gli occhi fuori dalle orbite. «È divertente», cinguettò Destiny alla mia sinistra. La osservai, una smorfia di orrore in faccia. «Erano praticamente bambini!». Sembrava esasperata. «Ma per favore, abbiamo solo quattro o cinque anni più di loro. E poi è durato appena due secondi». “Cinque secondi”. Scossi la testa. «A me comunque non è sembrato divertente». «Cambierai idea quando arriveranno a frotte i ragazzi più grandi». Sorrise radiosa. Sbuffai e dissi: «Ti lascerò a vedertela con loro più che volentieri, visto che sembra piacerti tanto».
«Davvero?». Era eccitata. «Che figata, grazie!». “Non c’è di che”, pensai. Mi girai a osservare le altre attività organizzate per raccogliere fondi. C’erano giochi, prodotti da forno, balli e altra roba che non riuscivo a vedere da dov’ero seduta. «Lo sai che Jason è tornato prima dalle vacanze, vero? E che lui preferisce le brune alle rosse?». “Perché continua a parlarmi?”, brontolai tra me e me. “Aspetta, ha detto che Jason è tornato dalle vacanze… in anticipo?”. Gemetti forte. «Questa notizia mi ha appena fatto morire dentro». Destiny rise, quindi la guardai e dissi: «Sceglierà te; sa che non mi piace». Era un eufemismo: Jason sapeva che lo odiavo. Jason era capitano della squadra di calcio e una rottura di coglioni fin dalla seconda elementare, quando aveva deciso di tormentarmi per suo divertimento personale. I capitani di tutte le squadre sportive dovevano sempre presentarsi al chioschetto dei baci e portarsi dietro i loro giocatori. Per qualche ragione, gli altri maschi della scuola imitavano qualsiasi cazzata facessero e i professori lo sapevano, quindi si accordavano con le varie squadre per promuovere il chioschetto così da guadagnare più soldi per le uniformi e tutto il resto. Cioè, il denaro che mettevamo insieme finiva dritto alle loro squadre, quindi ogni anno ci mettevano sopra le mani – e le labbra – impegnandosi al massimo e si assicuravano che il baracchino guadagnasse più di tutti. Perché secondo loro era la parte più divertente dell’evento. La risata di Destiny attirò la mia attenzione. «Esatto, ed è per questo che sceglierà te, perché sa che ti farà arrabbiare e lui vive per questo». «Nemmeno io gli piaccio», protestai. «Perché mai baciarmi solo per rompermi le scatole?» «Non lo so». Un sorrisetto. «Ma puoi chiederlo a lui, eccolo che arriva con la squadra di calcio». «Signore». La voce odiosa di Jason mi risuonò nelle orecchie nel momento stesso in cui mi giravo e incontravo il suo sguardo. Sembrava uguale all’ultima volta che l’avevo visto, solo più abbronzato. Sogghignò e si fregò le mani, fermandosi davanti al banchetto. «Be’, signora e Bronagh». Lo guardai male, poi riservai la stessa occhiata alla squadra e presi il comando al posto di Destiny. «Conoscete la prassi», annunciai. «Se vi piacciono le rosse in fila davanti a Destiny e se volete un pugno in faccia, in fila davanti a me e vi servo subito». Odiai vedere che la squadra si divideva a metà; mi sorprese che un numero considerevole scegliesse me. «Avete sentito quello che ho appena detto? Vi tiro un pugno in faccia». Mi risposero sorrisetti, ghigni e persino un audace: «Correrò il rischio». «Ho l’herpes», esclamai, sperando che sarebbero fuggiti terrorizzati. Non lo fecero, si limitarono a ridere. «Siamo clienti paganti, devi baciarci. Sono le regole». Gavin Collins sorrise facendosi strada in prima fila. Frequentavo molti corsi insieme a Gavin e sembrava un ragazzo gentilissimo. Era anche molto carino, quindi quando arrossii non fu per la rabbia. Era un ragazzo davvero affascinante, alto e muscoloso e tuttavia educato e per nulla arrogante. L’uomo dei sogni perfetto di molte ragazze. «Va be’», mugugnai, cercando di minimizzare il rossore. Gavin si fece avanti, mise quattro euro nel cestino e sogghignò di fronte alle mie sopracciglia inarcate. «Voglio un bacio extra lungo».
Mi sentii inorridita e lusingata allo stesso tempo. «Cosa?», bisbigliai. «Perché?». Gavin mi guardò come se fosse ovvio, ma io non capii cosa avrei dovuto intuire, quindi rimasi lì a fissarlo finché non si mise a ridere e si allungò fino a me, mi appoggiò una mano dietro il collo e avvicinò la mia testa alla sua. Poi mi baciò, ed ero così sconvolta da aprire la bocca, che lui riempì con la sua lingua rovente. Non potevo ritrarmi e, visto come mi teneva il viso, non potevo fare altro che imitare i suoi gesti e ricambiare il bacio. Era il mio primo bacio vero. Non riuscii a pensare ad altro per tutto il tempo; non lasciava molto spazio per goderselo sul serio. Quando Gavin si scostò con un sorrisetto, sbattei le palpebre e lo guardai. «Valeva più di quattro euro quindi eccone altri due». Ridacchiò e gettò altri due euro nel mio cestino. Sbattei di nuovo le palpebre, poi mi schiarii la voce. «Uhm, grazie?». Gavin rise, poi mi fece l’occhiolino e si spostò fuori della fila. I due ragazzi successivi mi baciarono esattamente nello stesso modo. Mi sentivo strana. Non mi avevano mai prestato attenzione in questi anni di scuola, non che io ne prestassi a loro, eppure mi avevano baciato come se fossi la donna della loro vita. Ricambiai i baci alla stessa loro maniera, ma dietro i miei non c’era intensità. Stavo solo muovendo la bocca e la lingua. Cominciavano a farmi male le labbra ed erano anche un po’ gonfie, quindi quando si avvicinò l’ultimo componente della squadra fui felice di avere quasi finito. Tuttavia, la sensazione svanì quando vidi di chi si trattava. «Non pensarci neanche», sibilai. «Va’ da Destiny!». Jason sogghignò e disse: «Mi piacciono le brune, Bronagh, non posso cambiare le regole». Sibilai verso di lui. «Cazzate, tu mi odi e io odio te. Non succederà!». Avanzò e io ringhiai. «Problemi a baciarmi, Bronagh?». Sghignazzò. «Cazzo, ho una lista lunga un chilometro!», sbottai. Lo odiavo così tanto, probabilmente persino più di quanto odiassi Dominic. Gemetti. Jason era tornato a scuola e adesso c’era anche Dominic: rendevano la mia vita un inferno, tutti e due, e probabilmente se mi fossi mai uccisa sarebbe stato per colpa loro. Jason mosse un altro passo verso di me, quindi io cercai di colpirlo con il pugno destro, facendolo ridere e saltare indietro. Fu allora che sentii una risatina profonda alle sue spalle, che mi fece desiderare di potermi accartocciare su me stessa e morire. «Sono un po’ geloso, Bronagh, pensavo di essere io l’unico ragazzo che aggredivi fisicamente qui attorno». Ringhiai quando Dominic apparve dietro a Jason e mi guardò sogghignando. Spilungone bastardo! «Tu devi essere Nico». Dominic lo guardò e annuì; Jason sorrise. «Alcuni ragazzi mi hanno detto che hai preso il mio posto per tormentare Bronagh mentre ero via. Te ne sono molto grato, amico. Non volevo che si annoiasse troppo in mia assenza». Che testa di cazzo! «Quando avete finito di farvi le seghe a vicenda, siete pregati di levarvi dai coglioni», dissi tra i
denti; si girarono tutti e due con un sorrisetto. Li guardai male. «Le regole dicono che devi baciare chiunque abbia tra i tredici e i diciotto anni, se paga». Jason sorrise compiaciuto. Volevo dargli un calcio in faccia. «Conosco quelle cazzo di regole ma perché io? Perché non Destiny? Mi odiate, tutti e due, e io odio voi!». Sorrisero entrambi e io li guardai truce. Lanciai un’occhiata alle loro spalle e notai una ragazza che per una volta fui contenta di vedere. «Micah», gridai. «Il tuo ragazzo sta cercando di comprare un bacio!». Jason diventò paonazzo quando guardò dietro di lui e notò Micah Daley, la sua ragazza maligna quanto lui, che arrivava di gran carriera. «Puttana che non sei altro!», mi sibilò Jason. Si girò verso Micah e alzò le mani all’altezza del viso. «Sono capitano; devo baciarne una, e dovevo scegliere la bruna perché sono quelle che mi piacciono, ma gliene avrei solo piazzato uno sulla guancia. Lo giuro». Micah lo fulminò con lo sguardo. «Come se potessi baciare chiunque altra quando ho te, piccola», continuò Jason. «Soprattutto Bronagh. Micah, è disgustosa». “Grazie per la botta di autostima, coglione”, ringhiai dentro di me. «Dammi i soldi», sbottò Micah e tese la mano. Jason eseguì, poi si girò per seguirla con lo sguardo mentre lei lo superava e veniva verso di me. Cazzo! «Non gli avrei permesso di baciarmi sulla guancia, giuro», esclamai in fretta, resistendo all’impulso di ripararmi il viso con le braccia. Vedete, Micah faceva kick boxing e probabilmente avrebbe potuto uccidermi con un pugno o un calcio, e davvero non avevo voglia di morire a quel modo. Alzò gli occhi al cielo. «Le squadre sono obbligate a sostenere il chioschetto dei baci visto che è quello che guadagna di più, ma Jason non bacerà né te né Destiny. Lo rimpiazzo io». Lanciai un’occhiata a Jason e vidi che era rimasto a bocca spalancata; i suoi amici e Dominic erano altrettanto sconvolti. Guardai di nuovo Micah e feci spallucce, sempre meglio un bacio sulla guancia da lei che da lui. Per me andava bene. «Ok». Micah fece una smorfia di fronte alla mia rigidità e si chinò verso di me. Girai la testa per porgerle la guancia, ma lei mi afferrò il mento e mi costrinse a guardarla. Poi fece una cosa che fece quasi svenire i ragazzi e mi costò una specie di infarto. Mi baciò. Sulle labbra. Davanti a tutti – e mi ficcò la lingua in bocca. Si diceva che tenesse il piede in due staffe e a quel punto immaginai che fosse vero. Io avevo lo stesso problema con i gay, i bisessuali, gli etero, e praticamente chiunque allungasse le mani in generale. Non mi piaceva che mi si toccasse, parlasse o notasse in qualsiasi maniera. Micah stava mandando tutto a puttane in modo spettacolare, perché mi stava baciando alla grande e attirando un sacco di attenzione. Quando si scostò avevo gli occhi spalancati e la bocca aperta. Rise della mia espressione, poi si
girò e andò via ancheggiando come su una passerella. «Sono felicissima che sia toccato a te e non a me; ti ha risucchiato via la faccia», ridacchiò Destiny. «Vaffanculo, Destiny!», sbottai e mi asciugai la bocca con il dorso della mano. «È stato…». «Fottutamente…». «Sexy». Posai lo sguardo su Dominic quando la sua voce disse «sexy»; mi stava fissando e si leccava le labbra. Notai che anche gli altri maschi nelle vicinanze facevano lo stesso. Scattarono campanelli di allarme nella mia testa. «Un bacio a… persona!», esclamai ad alta voce, al che alcuni borbottarono e si allontanarono. Non potevo proprio dire “a ragazzo”, dal momento che Micah mi aveva appena baciata davanti a tutti. Sarebbe stato sessista e omofobo. Dominic mi si piazzò di fronte, ma lo ignorai, continuando a pulirmi la bocca. «A quanto vedo non ti è piaciuto essere baciata da una ragazza». Sentii una contrazione all’occhio. «No, sono etero e mi sento un po’ traumatizzata per quello che è successo, ma richiamerò Micah per il secondo round se serve a farti levare dai coglioni o passare nella fila di Destiny». Dominic rise. «Per quanto fosse erotico il bacio tra te e Micah, penso di volere un assaggio delle tue labbra». Arrossii, cazzo, arrossii proprio! «Mi prendi in giro, vero?». Scosse la testa. «Ma… ma… mi odi!», biascicai. Dominic sogghignò. «Anche se fosse, mi piacciono le brune». «Mi hai detto che questa settimana eri per le rosse», intervenne la voce di Destiny alla mia sinistra. «Hai detto che la prossima è la settimana delle bionde, e questa quella delle rosse, ricordi?». Lo guardai disgustata: quel coglione sceglieva davvero che ragazza scoparsi a seconda del colore dei capelli e le divideva per settimane. Puttaniere del cazzo – un attimo, se aveva sostenuto che quella settimana era per le rosse, mi salvavo dal bacio. Giuro che vidi i fuochi d’artificio. «Oh, davvero? Non puoi infrangere le regole, Dominic. Esistono per una ragione. Quindi per il tuo bacio accomodati da Destiny, la rossa della settimana, per favore». Ringhiò di fronte alla mia allegria e si chinò in fretta verso di me con le labbra protese. Tuttavia, girai la testa così in fretta che le sue labbra mi premettero sulla guancia. «Ah!». Risi e gli strappai i due euro di mano. «Ecco l’unico bacio che avrai da me, stronzo!». Sembrava così arrabbiato mentre si rialzava, e ancora di più al mio balletto vittorioso sullo sgabello. Pescò altri due euro dalla tasca e sputò qualche imprecazione e qualche insulto verso di me. Si spostò davanti a Destiny, gettò la moneta nel cestino, poi le afferrò la testa e premette forte le labbra sulle sue. Mi sentivo molto a disagio; tempo dieci secondi e stavano pomiciando sul serio, a un passo dallo strapparsi i vestiti a vicenda. Io non potevo fare altro che starmene seduta lì accanto. Quindi mentre ci davano dentro osservai ostentatamente i cartelloni appesi nel salone. Passarono un paio di minuti e
alcuni del terzo anno vennero al chiosco. Persino quelli che volevano baciare Destiny dovettero accontentarsi di me, perché lei e Dominic stavano ancora pomiciando. Quando finalmente la piantarono ero invecchiata di vent’anni. «Wow», bisbigliò la voce ammirata di lei. Mi stavo stendendo del burro cacao sulle labbra doloranti, ma non potei trattenere un verso sprezzante. Dominic mi trapassò con lo sguardo. «Invidiosa, culo poderoso?», domandò con un ringhio. Sentii bruciare un po’ l’insulto, poi risi con malevolenza. «Invidiosa? Di baciare te? Nemmeno per sogno, Facciadiculo». Poi lanciai un’occhiata a Destiny e dissi: «Ti deve almeno un biglietto da dieci per quel bacio. Due euro non sono sufficienti». Lei trattenne una risata, poi guardò Dominic che alzò gli occhi al cielo. Pescò una banconota dalla tasca e la mise nel cestino. «È stato un piacere, mia signora». Si inchinò, facendola ridere. Io gli mostrai il dito medio, poi lui si affrettò verso gli stand dei giochi. «Porca puttana, mi ha tolto il fiato. Ho davvero le labbra tumefatte!», squittì Destiny toccandosi la bocca rossa e tumida. Capivo bene cosa provava, visto che sentivo le labbra così gonfie che sembrava mi avessero tirato un pugno. Ridacchiai allo sguardo stupido con cui ammirava quell’individuo. «Personalmente credo che sia una testa di cazzo e non voglio dire niente di carino su di lui, ma è così preso da te che dovresti davvero darci dentro. Nessuno bacerebbe una ragazza a quel modo se non gli piacesse». «Hai ragione, hai ragionissima!». Destiny sorrise raggiante, poi prese il telefono e cominciò a picchiettare sullo schermo. Sorrisi dentro di me. Avevo la sensazione che Dominic avesse baciato Destiny in quel modo solo per mettermi a disagio, visto che ero seduta lì accanto e gli avevo fatto fare la figura dello scemo con quel trucco del bacio sulla guancia. Però, che Destiny lo braccasse avrebbe potuto infastidirlo e io non volevo altro. In realtà si sarebbe potuto dire che, dopo che Dominic mi aveva dato della culona davanti a Destiny, infastidirlo era l’unico scopo della mia vita.
Capitolo quattro
«Porca puttana!». Mi morsi forte il labbro per non ridere, altrimenti sarei diventata il suo bersaglio numero uno. Quindi imitai il resto della classe di fronte a Dominic che strillava e imprecava come una ragazzina: sobbalzai di spavento e mi girai di scatto per vedere cosa gli fosse successo. «Cosa? Che c’è?», gridò la McKesson. Dominic era in piedi, le mani premute sulle natiche e la fronte schiacciata contro la parete in fondo alla classe. Tutti lo guardarono scostare le mani con uno strattone che lo fece sibilare di dolore. Quando si girò e buttò le puntine da disegno sul banco, sussultammo tutti. Io solo per recitare la mia parte, in realtà avrei voluto scoppiare a ridere come una strega malvagia. Sapete, non ero brava a vendicarmi, perché di norma dovevo vedermela solo con Jason, che si limitava a seccarmi con le parole. Ma Dominic, lui entrava nel mio spazio personale e ci si metteva d’impegno per colpirmi in profondità. Il commento sul mio culo grosso davanti a Destiny la settimana prima, durante la raccolta fondi, mi aveva dato davvero fastidio; decisi che gli avrei reso pan per focaccia cospargendogli la sedia di puntine da disegno, in modo che quando si fosse seduto gli spilli affilati come aghi gli si sarebbero conficcati nelle chiappe e gli avrebbero fatto un male cane, come si poteva ben vedere. Il suo sedere avrebbe sofferto per avere chiamato grasso il mio! Ah, ah, cazzo! Il fatto che fosse il mio diciottesimo compleanno rallegrava ancora di più la scena. Non mi importava se faceva di me una sadica; era il regalo di compleanno migliore di sempre! «Chi ce le ha messe?», ringhiò Dominic saettando sguardi per la stanza. Io, come tutti gli altri, mi strinsi nelle spalle. «Sono certa che le hanno lasciate lì per sbaglio…». «Sono dieci puntine; non è un incidente». Dominic interruppe la professoressa con un ringhio. Damien si appoggiò allo schienale della sedia e gli guardò il sedere. «Mi sa che sanguini un po’, fratello». «Cazzo». Dominic grugnì e riappoggiò le mani sulle chiappe. Quando le tolse, erano davvero un po’ insanguinate. Non tantissimo, ma più di quanto avrebbero dovuto causare delle puntine da disegno. “Mi sa che hanno punzecchiato quel coglione proprio per bene”, esultai in silenzio. Odiai il verso che mi sfuggì a quel pensiero, perché attrasse l’attenzione di tutti, e intendo dire tutti. «Tu!», ringhiò Dominic nella mia direzione. Inarcai le sopracciglia, sconvolta, e alzai le mani. «Io? Non ho fatto niente. Mi veniva da starnutire, tutto qua». Dominic mi fissò torvo. «Non ti credo. Sei sempre la prima ad arrivare. Un’opportunità perfetta per
mettermi quelle sulla sedia». Sbattei le palpebre con aria confusa. «Non mi piacciono queste accuse tendenziose, signor Slater». Quando i nostri compagni risero, il volto di Dominic si fece paonazzo per la rabbia. «So che sei stata tu». Scossi la testa. «Be’, ti sbagli». «Apri lo zaino», esclamò. Lo stomaco mi balzò in gola. «Cosa? Perché?». Cercai di non sembrare terrorizzata, anche se in realtà sentivo che cominciavo a sudare. No che non avrebbe guardato nel mio zaino. «Perché sei così agitata, puttana?», domandò Dominic. Puttana? Ero la persona più frigida di tutta la scuola, incluse le matricole! Ero decisamente l’opposto di una fottuta puttana. Lo guardai male. «Perché mi stai dando la colpa di qualcosa che non ho fatto, frocio!». Un mugolio collettivo di sorpresa risuonò per la stanza al nostro scambio di insulti volgari. «Ora basta, voi due prendete gli zaini e uscite in corridoio. Subito!», esplose la McKesson. Spalancai la bocca. «Ma prof, è lui che…». «Tutti e due avete usato un linguaggio osceno e disgustoso e avete disturbato la mia classe, uscite e restate in corridoio fino al termine della lezione, quando sarò pronta a parlare con entrambi!». Ero sconvolta. Non aveva mai alzato la voce con me né mi aveva mai cacciato dalla classe; non ero mai stata cacciata da nessuna classe. Mai. «Ok», mugugnai alzandomi, afferrai lo zaino e passai le forche caudine insieme a Dominic. Cercò di uscire per primo, ma io con una spallata lo mandai contro un banco, facendo ridere alcuni studenti e ringhiare lui. Non appena fuori, mi spinse con la schiena contro il muro accanto alla porta, le mani ai lati della mia testa, e si chinò su di me. C’erano letteralmente solo pochi centimetri di spazio tra la sua faccia e la mia. «So che sei stata tu», brontolò accorciando ancora di più le distanze. Mi sentii intimorita, e lo odiai. Era quasi trenta centimetri più alto di me, più largo di spalle e muscoloso. Io pesavo sui settanta chili e qualcosa ed ero alta un metro e sessantuno. Non potevo esattamente fargli paura con il mio corpo, ma con le repliche stizzose e l’atteggiamento forse sì, quindi mi concentrai e lo guardai dritto negli occhi. «No», esclamai. «Tu vuoi che sia stata io così potrai tormentarmi un altro po’!». Ridusse gli occhi a due fessure e ringhiò: «Io non ti tormento». Sbuffai. «Sì invece, e lo sai. Sei patetico, te la prendi con una ragazza perché ti diverte. Sei un triste, tristissimo ragazzino». Contrasse un occhio. «Io non ho niente di “ino”, dolcezza». Era chiaro che non parlava della sua altezza. «Sono certa che cinque centimetri non siano roba di cui vantarsi, dolcezza». Sorrisi. Ovvio che non avevo idea della lunghezza del suo pene, ma qualsiasi numero inferiore a dodici centimetri doveva per forza costituire un colpo al suo ego, visto che avevo letto in una rivista che quella era la lunghezza media del membro maschile.
«Cinque?». Dominic aveva una voce stridula, come se non riuscisse a respirare bene. «Prova ad aggiungerne altri quindici, piccola, e arriverai alla lunghezza del mio cazzo». “Davvero si è misurato il pene?”, pensai. “Cioè, ce l’ha lungo venti centimetri? Sì, certo”. «Non è quello che dicono tutti i ragazzi per fare bella figura?», lo provocai. Dominic si stava facendo di nuovo rosso in faccia, quindi quando schiacciò il corpo contro il mio ero certa che stesse per soffocarmi. Tuttavia, rimasi sconvolta quando cercò di afferrarmi una mano e piazzarla là sotto. «Sentilo da te». Mi sfidò. «Levati di dosso pervertito che non sei altro». Annaspai e liberai la mano. «Non ho nessuna intenzione di toccarti… né lì né da nessun’altra parte!». «Hai paura che ti piaccia?». Aveva un’aria canzonatoria. Sbuffai, sardonica. «Preferirei uscire con Jason Bane che toccare te, Facciadiculo». Mi resi conto sorprendentemente che lo pensavo davvero, il che significava che odiavo Dominic più di quanto odiassi Jason Bane. Non pensavo che sarebbe mai successo! A Dominic non piacque quello che avevo detto, perché mi ringhiò addosso come un cane… un cane dall’aria assassina. «Saresti fortunata a toccarmi, stronza», esclamò. «Sei fortunata che ti stia così vicino proprio adesso!». “Chi cazzo si crede di essere?”, pensai con rabbia. «Già, mi sento proprio fortunatissima, pisellino!». Sentii la pressione sulla testa prima di capire cosa stesse succedendo. Dominic mi aveva preso per i capelli e si avvicinava ancora; mi si seccò la gola. Cercai di concentrarmi sulla sua stretta invece che sulla testa abbassata e la fronte che toccava la mia. Chiusi gli occhi e inspirai il suo profumo, lasciando che mi avvolgesse come una coperta. Era così buono. “Bronagh”, ringhiò la mia mente. “Concentrati”. Aprii gli occhi e fissai i suoi, grigi, notando che splendevano come un fuoco. Sentivo che mi stringeva più forte i capelli e il mio respiro accelerò, ma non sentivo dolore. Dominic continuò a fulminarmi, ma un paio di volte sembrò cedere e si leccò le labbra, abbassando lo sguardo sulle mie. Sentiva il mio respiro sulla faccia; ansimavo, spaventata, e a lui piaceva. Lo vidi chiudere gli occhi e sentii la parte inferiore del suo corpo sfregare contro di me. «Dominic», bisbigliai. Si riscosse da qualsiasi cosa lo avesse posseduto e mi fissò di nuovo dritto negli occhi, con aria minacciosa. «Continua a dare fiato a quella tua bocca saputa e ti piego in due, ti picchio su quel culo poderoso che ti ritrovi e ti trombo fino a farti urlare!». Porca puttana. Iniziarono a tremarmi le gambe. «Cosa… tu… Come osi parlarmi così! Allontanati o mi metto a urlare!». Dominic si limitò a guardarmi torvo, poi fissò il mio petto. Faceva caldo quel giorno e avevamo il permesso di toglierci il golfino dell’uniforme per rinfrescarci. Avevo la camicetta della scuola e, quando abbassai gli occhi per vedere cosa stesse guardando, sobbalzai. Avevo i capezzoli turgidi, ma non potevo permettere che pensasse fosse a causa sua.
«È la stoffa del reggiseno», affermai con rabbia. Dal suo sorrisetto capii che non mi credeva. Ringhiai. «Dico sul serio, è solo la stoffa. Come se potessi mai eccitarmi per quelli come te. Non sei il mio tipo». Si scostò un po’ e aggrottò le sopracciglia. «Io sono il tipo di tutte». Feci una smorfia incredula. «Non il mio, adesso levati dalle palle». Obbedì, ma con un sorrisino stampato in faccia. Solo allora mi accorsi che aveva in mano il mio zaino; sbattei le palpebre. Come diamine aveva fatto a sfilarmi gli spallacci senza che me ne accorgessi? Sentii montare la rabbia quando capii cosa aveva fatto: si era avvicinato per distrarmi così da raggiungere il mio zaino. «Ridammelo!». Lo fulminai con gli occhi. «Lo farò… dopo averci frugato». Prima che potessi muovermi e afferrare lo zaino o anche solo avvertirlo di non guardarci dentro, ci infilò una mano, armeggiò un po’ e tirò fuori una scatoletta di puntine. Una confezione da trenta da cui ne mancavano dieci, se si fosse preso il tempo di contarle. «Lo sapevo», sibilò, fulminando con gli occhi prima le puntine, poi me. Deglutii, ansiosa. «Non prova niente, un sacco di gente ha le puntine nello zaino». «Stai davvero cercando di convincermi che non è colpa tua quando ho qui in mano la prova?». Grugnii; aveva vinto lui. «E va bene», brontolai. «Chi se ne frega, sono stata io». Avanzò verso di me, che d’istinto alzai le mani e schiacciai la schiena contro la parete. «Ti sta bene dopo avermi detto che ho il culone». Restò lì a guardarmi come se fossi scema in dieci modi diversi. «Il tuo culo è poderoso», affermò. Proprio non capiva. «Che sia grasso o no, non me lo dici in faccia. È una cosa orribile da dire a chicchessia!». Dominic si sfregò le tempie, come se il nostro litigio gli stesse procurando un brutto mal di testa. «Ti ho detto due settimane fa nell’alimentari che quando dico che hai un culo poderoso, intendo nel senso migliore possibile, cazzo». Gemetti, non capivo la sua logica. «Questa è l’Irlanda, amico, qui grasso significa grasso e basta!». Scosse la testa, diede uno sguardo al mio zaino e me lo lanciò. Lo presi al volo e lo chiusi. «Posso riavere le mie puntine?». Dominic se le mise in tasca. «No». Guardai truce quel ladro bastardo. «Bene», sbuffai. «Tienitele. Non le volevo comunque». Si appoggiò alla parete di fronte a me, ma sussultò toccandola con il sedere. Cercai di soffocare una risata, ma fallii miseramente. «Sai che me la pagherai per questo, vero?». Mi zittì subito. Sgranai gli occhi, al che lui quasi sorrise. «Sul serio?». Mi accigliai. «Ma io non sono brava con i tiri mancini, mi ci è voluta una settimana intera per escogitare le puntine sulla sedia!». «Nemmeno io sono bravo, ma non è così che mi vendicherò». Le sue labbra fremettero.
Arretrai spaventata. «Mi picchierai o cosa?». Dominic mi esaminò da capo a piedi. «No, non ti farò del male. Potrei giusto alzare la posta nel darti fastidio, visto che chiaramente funziona». Questo era peggio! «Giuro che se mi secchi ancora di più di quanto fai già ti ficcherò una penna in un occhio!», lo avvisai. Non si scompose. «Non ho paura, bellezza, penso di poterti tenere testa». Merda, aveva ragione. Era più grosso di me e chiaramente più forte. Se anche avessi cercato di fargli male, le mie possibilità erano scarse, e lo sapevamo entrambi. «Ti denuncerò», minacciai. A quel punto rise di cuore. «Mi piaci, bellezza». Gli piaceva rendermi infelice. Era il suo divertimento preferito. Scossi la testa. «Piantala di chiamarmi così!». «Perché?». Incrociai le braccia al petto. «Perché non mi piace». Strizzò un occhio. «Il che è esattamente il motivo per cui ti chiamo così. E poi ti sta bene». Odiai il rossore che sentii coprirmi le guance. «Sta’ zitto, Dominic». Gli voltai le spalle, mentre lui ridacchiava. «Andiamo, lo saprai che sei carina». Adesso quel cretino mi stava provocando. «Finiscila», ringhiai senza voltarmi. Mi mancò il fiato quando lo sentii circondarmi la vita con le braccia e accarezzarmi i fianchi con i pollici. Percepii il suo respiro all’orecchio e la sensazione mi fece chiudere lentamente gli occhi. Volevo spingerlo via, ma non riuscivo proprio a muovermi. Mi sentivo in trappola. «Penso che tu non sappia quanto sei carina, Bronagh», mormorò al mio orecchio. «Sei diversa dalle altre ragazze in questa scuola. Non sei al loro stesso livello. Ne occupi uno tutto tuo». Spalancai gli occhi. C’erano un sacco di ragazze bellissime in quella scuola e che lui dicesse che non potevo nemmeno competere al loro livello faceva male; non sapevo perché, ma era così. Mi scostai proprio mentre suonava la campanella e si apriva la porta dell’aula. I nostri compagni si affollarono in corridoio e quasi tutti salutarono Dominic o gli batterono il cinque passandogli accanto. Damien si fermò accanto al fratello e gli disse qualcosa che lo fece ridere, poi se ne andò. Tenni gli occhi incollati al pavimento per tutto il tempo e non li alzai nemmeno quando la McKesson uscì dall’aula e si mise di fronte a noi. «Non voglio che si ripeta mai più quello che è successo prima nella mia classe, mi capite, tutti e due? Mai più! Vi sono uscite di bocca cose disgustose e se reagirete un’altra volta a quel modo fra voi o con chiunque altro vi farò sospendere. Mi avete capito?» «Sì, prof», rispondemmo in coro. «Non vi chiederò cosa vi abbia fatto agitare così tanto perché è una storia chiusa, e spero che abbiate imparato entrambi a non trattarvi male e a non insultarvi in modo così crudele. Devo mettervi in punizione per fare arrivare il messaggio?», minacciò. «No, prof». Di nuovo in coro.
«Bene. Adesso andate in classe». Mi allontanai mentre la professoressa fermava Dominic e gli chiedeva a bassa voce: «Hai bisogno di andare dall’infermiera della scuola per farti vedere il fondoschiena e medicare le ferite?». “Ferite?”. Per l’amor del cielo, erano minuscole punture di spillo; mica era appena tornato dalla guerra crivellato di proiettili! Tuttavia, non dissi nulla; chinai la testa e mi allontanai in fretta, poi ridacchiai piano ai miei stessi pensieri. «No, sto bene», rispose Dominic, quindi si avviò nella mia stessa direzione. «Te ne pentirai, Bronagh, te ne pentirai amaramente», brontolò alle mie spalle. Sospirai, perché sapevo che avrebbe tenuto fede alla minaccia e mi avrebbe fatto pentire di quel che avevo fatto. Pentire amaramente.
Capitolo cinque
«Scusa, non guardavo dove stavo andando», esclamai finendo dritta addosso a qualcuno e buttandolo a terra all’uscita di scuola. Ero in un mondo tutto mio, ripercorrevo nella mia testa ciò che Dominic mi aveva detto quella mattina. Ero rimasta con la nausea per il resto della giornata, ma mi sentii ancora peggio quando vidi chi avevo fatto cadere. Era Jason. “Cazzo!”, strillai nella mia mente. Allungai una mano per aiutarlo ad alzarsi. Anche se non mi piaceva, non ero tipo da non soccorrere qualcuno quando ero io nel torto. Tuttavia, rifiutò il mio aiuto e mi allontanò con uno schiaffo la mano. La ritirai, balzando indietro, e mi strinsi le dita con l’altra. Mi aveva fatto male, bruciava. Ma avevo sobbalzato più per lo shock del colpo che per il dolore. «Stupida troia del cazzo, guarda cosa hai fatto ai miei pattini nuovi! Sono tutti graffiati!», imprecò alzandosi; scattò in avanti e mi afferrò per un braccio, facendomi irrigidire. Quasi inciampai allo strattone con cui mi attirò a sé. «Li ripagherai, brutta puttana grassona!», ringhiò. Annuii freneticamente, sentendo le lacrime salirmi agli occhi. Non aveva mai usato la violenza fisica con me prima di allora; ero abituata agli insulti, ma che mi facesse davvero del male mi sconvolgeva. «Lo farò, mi dispiace tanto», esclamai in fretta. Ero terrorizzata e sinceramente scossa. Non potevo crederci, stava alzando le mani, e davanti agli studenti che passavano di là. Jason mi guardò truce, gli occhi che si muovevano da un lato all’altro del mio viso e si fermavano sulla mia bocca, per poi grugnire e spingermi via, facendomi incespicare all’indietro. Persi l’equilibrio e mi irrigidii, pronta a sbattere con il sedere per terra; invece, qualcuno mi afferrò in tempo. Sospirai di sollievo, ma poi mi si mozzò il fiato quando la persona che mi aveva sorretta mi fece voltare. Non nascosi nemmeno la sorpresa, spalancai gli occhi al punto che li sentii bruciare. «Dominic?». Fissai i suoi occhi grigi, socchiusi e con un leggero tic nervoso. Sembrava furibondo. «Stai bene?», mi chiese, guardandomi le guance. Fu solo allora che sentii scorrere le grosse lacrime; le spazzai via in fretta e annuii. Tuttavia, il singhiozzo che seguì insieme a nuove lacrime provò che mentivo. Dominic irrigidì la mascella e mi fissò. «Sta’ indietro e non muovere un muscolo». Aveva una voce più profonda del solito e mi terrorizzò. Per una volta, feci come diceva senza porre domande, poi lo guardai confusa togliersi lo zaino, porgermelo e voltarmi le spalle. Quando si avviò in direzione di Jason, sentii lo stomaco fare una capriola.
“Non sta per fare quello che penso, vero?”, urlai nella mia testa. «Ci credi a cosa ha fatto quella puttana, amico?», gli domandò Jason, ridacchiando. Dominic non disse una parola, caricò il pugno e lo abbatté dritto sulla mascella di Jason. Lui girò di scatto la faccia, rimase immobile per un secondo, poi si rese conto di cosa era successo e all’improvviso inchiodò Dominic a terra. Mi sentii strillare al tonfo della sua schiena che sbatteva contro il pavimento. Cercai persino di correre dai ragazzi per interrompere la rissa, ma un braccio attorno alla vita mi trattenne. «Non interferire, lo farai solo arrabbiare di più, ti ha detto di non muoverti». Mi girai e vidi la faccia di Dominic, ma incorniciata di capelli biondi. Damien. «Damien», singhiozzai. «Fermali!». Mi sorrise e fui un po’ sorpresa di notare come il suo sorriso fosse diverso da quello del gemello. Aveva le stesse fossette, e la bocca aveva la medesima forma, ma le labbra erano un po’ più rosse. Mi odiai per averci fatto caso. Distolsi lo sguardo da Damien e lo concentrai sul fratello. «Basta!», implorai quando il pugno di Dominic colpì la faccia di Jason, facendo urlare e trattenere il respiro ad alcune ragazze che assistevano. Sussultai, insieme a qualcun altro, sentendo uno strillo acutissimo. «Basta», gridò la voce. «Oh, mio Dio, basta!». Alzai gli occhi e vidi la fidanzata di Jason, Micah, uscire dai cancelli della scuola e correre verso di noi a tutta velocità. Sarebbe successo un disastro. Una volta scoperto che ero io il motivo per cui i ragazzi litigavano, mi avrebbe uccisa. Mi odiava già abbastanza a causa del tentativo di Jason di baciarmi la settimana prima. Quando Dominic colpì la faccia di Jason con un altro pugno, alcuni amici di quest’ultimo, rimasti in disparte perché era uno scontro leale, d’un tratto si fecero avanti per separarli. Prima, però, Jason riuscì ad assestare alla mascella di Dominic un gancio niente male che mi riverberò dentro. Quando gli amici di Jason li separarono, mi divincolai dalla stretta di Damien e corsi avanti. «Dominic, basta!», dissi vedendo che cercava di farsi sotto di nuovo. Mi misi proprio davanti a lui e gli appoggiai una mano sul petto. Guardava al di sopra della mia testa con aria minacciosa. Quando si rese conto del mio tocco, abbassò lo sguardo e addolcì la sua espressione. Aveva un brutto taglio su un sopracciglio. Cominciava a gonfiarsi ed era contornato di sangue. «Per favore», dissi solamente e premetti il palmo sul suo petto in uno sforzo supremo di allontanarlo da Jason. Non potevo credere che avesse fatto a botte con lui e, tanto per peggiorare la situazione, a causa mia. «Andiamo, fratello, gli hai fatto il culo», disse Damien appoggiandogli una mano ferma sulla spalla. «Non devi dimostrare più niente». Dominic tremava di rabbia. «Ha messo le mani su qualcosa di mio, non dirmi che non devo dimostrare niente, cazzo». “Suo”. Dentro di me ero incredula. “E questo che vuol dire?”.
«Nico!», urlò Jason alle mie spalle. «Che cazzo di problema hai, eh?». Dominic mi fece voltare e mi spinse con cautela dietro di sé. «Che problema ho?», sbraitò. «Che cazzo di problema hai tu?» «Io?», sibilò Jason. «Che cavolo significa?» «L’hai toccata, cazzo!», ruggì Dominic, e io saltai in aria per lo spavento. «Chi?», domandò Jason; poi rise quando feci capolino da dietro Dominic prima di ritirarmi di nuovo alle sue spalle. «Bronagh? Mi sei saltato addosso per quella stronza cicciona?». Dominic cercò di scattare in avanti, ma io mollai il suo zaino e lo afferrai per la vita. «Basta!», strillai. «Per favore!». Dominic cercò di scrollarmisi di dosso, ma così facendo mi colpì uno zigomo con il gomito, strappandomi un sibilo. Non si accorse di avermi colpito, ma suo fratello sì. «Dominic!», ruggì. Lui si girò di scatto. Damien sostenne il suo sguardo. «La stai spaventando, fratello». Dominic si irrigidì, tornò a guardare Jason di sbieco. «Sfiorala di nuovo con un dito e ti ammazzo. Insultala di nuovo e ti ammazzo. Se solo ti azzardi a guardarla di nuovo ti ammazzo, cazzo. Capito, amico?». Jason scosse la testa. «’Fanculo, come vuoi, amico», disse, poi si dedicò a Micah, tutta presa a smanacciargli il volto e baciarlo, cosa che sembrava divertire i suoi amici. Dominic si girò a raccogliere lo zaino, lo lanciò a Damien, poi guardò me. «Dietrofront e cammina», disse in tono burbero. Mi girai e mi incamminai attraverso la folla di studenti che si era radunata per guardare la rissa. Mi aprii la strada con precauzione, finché non mi ritrovai da sola sul marciapiede. Alzai la mano allo zigomo destro e la tenni lì perché pulsava parecchio. Mi faceva male anche l’occhio e resistetti all’impulso di rimettermi a piangere perché probabilmente una volta cominciato non mi sarei più fermata. «Bronagh!», sentii chiamare Dominic alle mie spalle. Non potevo affrontarlo, non dopo ciò che aveva fatto e detto, non riuscivo ancora a credere all’affermazione che ero sua. Quando mi chiamò iniziai a correre, sussultando ogni volta che i piedi toccavano terra perché ogni sobbalzo aumentava il dolore alla faccia scossa dai tremiti. «Bronagh, porca puttana», sbraitò. «Non scappare da me!». Corsi più veloce; tagliai attraverso alcuni giardini fino a ritrovarmi in un complesso residenziale più giù lungo il fianco della montagna, eppure continuai a correre. Andavo al massimo della velocità, ma non bastò. Le sue braccia mi si chiusero attorno e mi sollevarono letteralmente da terra per fermarmi del tutto. «Oh, mio Dio!», squittii; non mi piaceva la sensazione di essere sospesa per aria. «Vuoi smetterla di scappare da me?», ansimò Dominic tra i miei capelli. Non sapevo se si riferiva a ogni volta che lo vedevo o a quel preciso momento. «No!», sbottai. Non mi piaceva che mi dicesse cosa fare. Sentii le vibrazioni del suo ringhio contro la nuca, mentre sistemava meglio la presa. Ero acutamente consapevole delle sue braccia avvolte attorno e del suo corpo schiacciato contro il mio. Sentivo tutto. «Mettimi giù, Dominic!», grugnii, cercando di sembrare davvero arrabbiata invece che senza fiato.
«No», replicò, calmo. Strillai per la frustrazione. «Che significa no?», dissi tra i denti. «Mettimi giù, bastardo che non sei altro!». Sentii sfuggirgli una risatina che mi fece vedere rosso. «Giuro su Dio, ti ammazzerò di calci per avermi fatto questo!», promisi. Con un veloce movimento, mi posò a terra e mi girò verso di lui. Mi mozzò il respiro, perché non me lo aspettavo. «Fatto cosa?». Aveva un’aria truce. «Averti difeso?». Grandioso, adesso era arrabbiato con me. «Eh, certo!», ansimai. «Da quando ti ho incontrato, stento a crederlo ma è stato solo poche settimane fa, sei stato solo una spina nel culo. Mi provochi, mi prendi in giro e oggi mi hai fatto sentire una merda totale, quindi, cazzo, scusami se ce l’ho con i tuoi sbalzi d’umore. Passi dal fare il prepotente a difendermi nel giro di poche ore. Che genere di persona si comporta così?». Dominic mi guardò negli occhi, poi si concentrò sulla mia guancia destra. «Cazzo, ti ha colpito in faccia?», domandò, la voce avvelenata. Alzai gli occhi al cielo per quel cambio d’argomento. «No, sei stato tu!». Sembrò che gli avessi tirato uno schiaffo. «Io?», sussurrò. «Non ho…». «Sì, invece», lo interruppi. «Quando ho cercato di impedirti di aggredire Jason per la seconda volta, il tuo gomito mi ha colpito in faccia». Impallidì visibilmente. «Bronagh, io… Mi dispiace tanto. Non picchierei mai una ragazza; giuro che non l’ho fatto apposta», insistette. Alzò le mani e mi passò la punta delle dita sullo zigomo, facendomi sussultare perché era davvero parecchio dolorante. Sembrò angosciarsi e mi attirò a sé. «Vieni con me, per favore», mi pregò. Mi liberai dalla sua presa. «No, devo andare a casa e mettere un po’ di ghiaccio…». «Lo farò io. Per favore, bellezza, mi farebbe sentire meglio se mi permettessi di prendermi cura di te». Lo fissai; ancora non riuscivo a credere che mi avesse dato quel soprannome. Continuai a fissarlo e a chiedermi che cazzo stesse succedendo. Ero così confusa che mi faceva male la testa. «Sei Damien?», domandai, curiosa, il sopracciglio sinistro inarcato. «Fai sul serio?». Dominic sbatté le palpebre. «Non riesci a distinguerci?» «Certo che sì. Avete i capelli di colore diverso e tu hai le labbra più chiare. Lui scrive con la destra, tu sei mancino. Lui è gentile e tu no. È per questo che te lo chiedo, perché sei stato davvero gentilissimo con me negli ultimi venti minuti, ti sei fatto spappolare la faccia e tutto il resto». Dominic fece una specie di sorriso, per un attimo, poi mi rivolse uno sguardo di traverso. «Sono io che ho fatto il culo a quel coglione, non il contrario, piccola». «Piccola?», sputacchiai. «Dici che sono tua e adesso mi chiami piccola? Penso che Jason ti abbia picchiato in testa troppo forte, collega». Alzò gli occhi al cielo e mugugnò: «Sta’ zitta».
Sospirai, chiusi gli occhi e mi sfregai le tempie. Dominic fece di nuovo un passo verso di me; sentivo la sua vicinanza. «Vieni con me a casa mia così ti posso aiutare». Esitò un istante, poi disse: «Ci sarà anche Damien, se hai paura. Ha riportato la mia macchina a casa quando ti sono corso dietro». Aprii gli occhi e lo esaminai in viso; aveva un sopracciglio tagliato, circondato di sangue, e la mascella gonfia, e sembrava che si stesse formando un livido anche sul mento. «Penso che serva aiuto più a te che a me», commentai. «La tua faccia è messa maluccio». Sorrise, confondendomi ancora di più la mente già poco limpida. Sospirai, turbata dal fatto che stavo accettando sul serio. «Ok». Agitai una mano. «Fa’ strada». Il suo labbro ebbe un guizzo; mi indicò con un cenno di incamminarmi nella direzione da cui ero venuta. Lo feci e lui mi si affiancò. Non parlammo, ma non c’era imbarazzo né niente di simile. Superammo la nostra scuola e io fischiai entrando nella zona di Upton. «Vivi a Upton?», mugugnai. «Dovete avere soldi a palate». «E perché?», domandò divertito. Feci spallucce; attraversavamo il complesso residenziale pulitissimo. «Perché non è un quartiere di abitazioni popolari. Le case sono di proprietà e nessuno le dà in affitto perché sono troppo belle per non viverci dentro». Dominic giocherellò con le mani, come se fosse nervoso, cosa che attrasse la mia attenzione, ma non dissi nulla al riguardo. «Tu dove abiti?», mi chiese un istante dopo. «A una decina di minuti a piedi da qui, giù a Old Isle Green. È praticamente una discarica paragonato a questo complesso». «Per te ha importanza?». Scossi la testa, un po’ colpita dall’avere una conversazione regolare con lui. Quello era un trauma modesto, mentre il fattore di shock estremo era il fatto che mi piacesse. «No». Ero sincera. «Mi piace dove vivo. Mi piacciono la mia casa e la mia strada. Per qualche ragione m’intimorisce un po’ trovarmi qui, e non so perché. Aspetta, lo so, probabilmente è perché è perfetto e la mia presenza rovina tutto». All’improvviso mi ritrovai Dominic proprio davanti, la testa china alla mia altezza, e mi fermai di colpo. «Non farlo!», ringhiò. Deglutii, alzai gli occhi su di lui e domandai: «Fare cosa?» «Sminuirti, come poco fa». Era scuro in viso. Aggrottai le sopracciglia. «Quindi io non posso sminuirmi ma tu sì? Oggi mi hai detto la stessa cosa. Mi hai detto che il mio aspetto non è paragonabile a quello delle altre ragazze della scuola. Hai detto che sono su tutto un altro livello!». Dominic sospirò. «Non era quello che intendevo». Scossi la testa. «Non mentire, può anche ferire i miei sentimenti quando me lo dici, ma non mentire solo per farmi stare meglio. Se pensi che sia brutta non fa niente…». Dominic abbassò la testa e appoggiò la fronte sulla mia, facendomi trattenere il respiro e zittire. «Non era quello che volevo dire», pronunciò con chiarezza. «Non penso che tu sia brutta. Quando ho detto che sei su un altro livello rispetto alle altre ragazze di qui, intendevo che sei più bella di
loro. Sei la ragazza più affascinante che abbia mai visto, punto. Ti chiamo bellezza per una ragione, a parte infastidirti, Bronagh». Sentii le gambe tremare e rilasciai il respiro in un grande sbuffo che fece sorridere Dominic perché gli finì sulla faccia. Sentii che stavo per fare qualcosa di veramente stupido tipo baciarlo, quindi arretrai e abbassai gli occhi. Avevo lo stomaco in tumulto perché anche se lui ancora non mi piaceva per niente mi sentivo arrossire solo a guardarlo. «Manca ancora molto a casa tua?», domandai. «No, è laggiù». Il suo tono mi fece pensare che stesse sorridendo. Però non alzai gli occhi; gli feci cenno di muoversi, obbedì, e io lo seguii. Quando entrò nel giardino di una grande casa a quattro piani, mi fermai al cancello e la guardai a bocca aperta, senza cercare di nasconderlo. «Cazzo». Fischiai. «È un invito?», lo sentii domandare. Mi girai di scatto. «Cosa?», quasi urlai. Indicò il mio piede; abbassai gli occhi e vidi un volantino sotto la mia scarpa. Lo raccolsi e lo lessi: era l’invito per la festa di compleanno di un bambino di quattro anni quel fine settimana. «Uhm, sì», mugugnai e lasciai che il vento si portasse via il foglietto. Sentii il mio viso diventare paonazzo sotto lo sguardo sorridente di Dominic. «Cosa pensavi che intendessi?», domandò. Non ebbi il coraggio di guardarlo. «Niente», ribattei e lo seguii nel giardino. Ci fermammo sulla soglia mentre Dominic cercava le chiavi in tasca. Le trovò, aprì la porta e urlò: «Sono a casa». Sentii un coro di saluti volgari che mi immobilizzò sul posto. «Non c’è solo Damien», brontolai. Dominic mi osservò. «Esatto, ci sono anche i nostri tre fratelli maggiori». Spalancai la bocca. «Vado a casa», affermai voltandomi. Arrivai a malapena a metà del giardino prima di essere di nuovo sollevata da dietro. «Oh, mio Dio», strillai. «Che cazzo è questa fissazione di prendermi in braccio? Mettimi giù o ti ammazzo di calci!». Sentii delle risate trattenute che non venivano da Dominic e mi raggelai. «Ti odio», gli sussurrai. Grugnì. «Lo so». Mi posò a terra, ma senza lasciarmi andare. Mi girò verso di lui. «Devo metterti il ghiaccio su quel bel faccino, ricordi?». Odiai il fatto di arrossire di nuovo e odiai ancora di più Dominic perché sorrise di questo. Mi fece voltare insieme a lui verso casa sua e rimasi a guardare con gli occhi spalancati. I due uomini che se ne stavano appoggiati agli stipiti della porta erano veramente sexy. «Wow», bisbigliai. Dominic si girò di scatto verso di me, torvo. «Chi è questa bambolina, fratello?», domandò quello sulla sinistra.
“Bambolina?”, pensai. “Io?”. Oh. Mio. Dio. Aveva i capelli scuri come Dominic, ma lunghi quasi fino alle spalle. Aveva le stesse fossette quando sorrideva, le braccia gonfie di muscoli e diversi tatuaggi. Riuscivo a vederli perché era a torso nudo. Uno era coloratissimo e gli girava attorno al braccio per poi arrampicarsi fino alla spalla e sul collo. Anche l’altro ragazzo era senza maglietta, aveva qualche tatuaggio ed era altrettanto muscoloso. Aveva i capelli tagliati a spazzola e un sacco di cicatrici sul busto e sulla faccia che riuscivo a vedere anche a quella distanza, ma era comunque un gran figo. Trovai difficilissimo non guardare gli addominali scolpiti che entrambi mettevano in bella mostra, ma ci riuscii e pensai di meritarmi una medaglia per questo. «Non pensarci nemmeno, Alec, è mia». Dominic ringhiò, facendoli sorridere. “Ci risiamo con quella storia? Sul serio?”. «Ah», il fratello con i capelli più lunghi sogghignò. «Tu quindi devi essere Bronagh». «Come sai il mio nome?», domandai confusa. Entrambi risero quando Dominic grugnì contro di loro. «Non fare caso a loro. Il coglione che ti sta parlando è Alec, lo stronzo a destra è Kane e l’altro fratello Ryder è dentro con Damien». Dominic, Damien, Alec, Kane e Ryder. Oh, mio Dio, i loro nomi erano sexy quanto loro. «Piacere», mi disse Kane dopo un istante. Sembrava che mi stesse guardando di traverso, ma quando Alec gli mormorò qualcosa, sorrise e mi squadrò apertamente da capo a piedi. Mi sciolsi; aveva un sorriso così affascinante che dovetti per forza ricambiarlo. Non prestai nemmeno attenzione alla cicatrice che si curvava attorno alla sua bocca, perché il sorriso mozzava il fiato. «Il piacere è tutto mio, signor Slater», mormorai. All’improvviso la mano di Dominic afferrò la mia. «Ok, adesso basta». Mi tirò. Sentii la faccia e il collo in fiamme e cercai di divincolarmi. «Che cazzo, Dominic?», sbottai. «Sono settimane che mi secchi a distanza e nell’ultima mezz’ora non hai smesso di toccarmi. Che cazzo ti piglia, amico?» «Amico». Alec e Kane imitarono il mio accento nello stesso momento, mettendosi a ridacchiare. Spostai lo sguardo su di loro; era torvo, ma non lo rimase a lungo, dal momento che Kane rise dei miei tentativi di sfuggire a Dominic. «Quanti anni avete?», domandai, sorridendo. «Venticinque», rispose Alec. Kane inarcò un sopracciglio. «Io ventitré, tu?» «Ne compio diciotto oggi». «Buon compleanno», dissero in coro, facendomi sfarfallare il piacere nello stomaco. «Cosa?». Dominic attrasse la mia attenzione. «Oggi è il tuo compleanno?». Lo guardai e annuii.
Si accigliò. «Adesso mi sento ancora peggio per averti fatto male». «Cosa?», ruggirono Alec e Kane. Balzai in aria e Dominic sollevò le mani avanti in un gesto di resa. «È stato un incidente. Un coglione a scuola l’ha colpita e io l’ho preso a calci in culo, ma quando lei ha cercato di trattenermi si è presa una gomitata. L’ho portata qui per metterci un po’ di ghiaccio». Alec ci fece cenno di entrare. «Sì, Dame ci ha detto della rissa, ma ha omesso di parlare di lei». Ovviamente lei ero io. A quel punto Dominic mi tirò avanti, così lo seguii di nuovo su per i gradini fino a casa sua. Dovetti girarmi di fianco per superare il corpo muscoloso e mezzo nudo di Alec. «Mi p-piacciono i tuoi tatuaggi», balbettai. “E la tua faccia e il tuo corpo che fanno venire l’acquolina in bocca”, pensai. «Bronagh!». Dominic mi guardò accigliato mentre entravamo in quella casa bellissima. «Piantala». Liberai la mano dalla sua. «Che c’è? Ho solo detto che mi piacciono i suoi tatuaggi». Aggrottai le sopracciglia, poi gli puntai contro un dito con aria minacciosa. «Non so come mai pensi di avere il diritto di dirmi che cosa fare, perché non ce l’hai, quindi piantala prima che ti spezzi qualche osso!». Dominic sogghignò compiaciuto. «Vuoi passare al contatto fisico con me, tesorino?» «Cosa?», biascicai, poi mi leccai le labbra improvvisamente secche. «Penso che dovremmo portarti all’ospedale, dalla rissa dici cose strane e ti comporti in un modo che non è da te. Penso davvero che Jason ti abbia colpito in testa troppo forte». I fratelli di Dominic risero superandoci. Li guardai entrare in quello che avrei immaginato essere il soggiorno, ma che si rivelò una palestra casalinga. Ecco spiegato perché fossero a torso nudo e pompatissimi: si stavano allenando ed era chiaro che lo facevano spesso. «Vuoi fissare i miei fratelli per tutto il giorno o vieni con me?», domandò Dominic, impaziente. Mi morsi il labbro inferiore. «Se è davvero una domanda, voto per starmene qui a fissare i tuoi fratelli tutto il giorno». Mi afferrò la mano e mi trascinò bruscamente in corridoio e lontano dalla vista di Alec e Kane. «È stato un vero piacere conoscervi», gridai. «Anche per noi», risposero all’unisono. Grugnii quando entrammo in quella che evidentemente era la cucina. Mi stava tirando, quindi quando si fermò gli andai a sbattere contro la schiena. Non cercai nemmeno di divincolarmi, perché mi teneva ben stretta. «Era ora che arrivassi. Perché fai a botte a scuola, Dominic? Non ci serve attirare l’attenzione, cazzo, lo sai!», sbraitò una voce profonda. Mi pietrificai e decisi di rimanere dietro a Dominic. Era ovviamente il fratello maggiore, Ryder, che urlava e non volevo diventare bersaglio della sua rabbia, quindi rimasi immobile. E poi, ero curiosa di sentire se si sarebbe spiegato meglio. Cioè, perché non avevano bisogno di attirare l’attenzione? «Ne sono consapevole, e sono certo che Dame ti ha già detto perché ho fatto a botte», replicò Dominic con calma, richiamando la mia attenzione. «L’ha fatto», disse la voce profonda. «Voglio solo sentirlo da te». «Le ha messo le mani addosso e anche se non l’avesse toccata gli avrei rifatto i connotati per gli insulti», rispose con nonchalance.
Il mio stomaco faceva le capriole in tutte le direzioni. Che cazzo stava succedendo? «Bronagh?», chiamò la voce profonda. Uscii da dietro le spalle di Dominic e accennai un saluto con la mano. «Ehilà». «Sono Ryder, il fratello maggiore di Dominic e Damien». Porca puttana. Sembrava Matt Bomber, solo più sexy perché palestrato e coperto di tatuaggi! «Lieta di conoscerti», mormorai, fissandolo senza ritegno. Dominic scosse la testa di fronte alla mia reazione alla vista di suo fratello, ma non mi importava. Quella famiglia aveva bellissimi geni, come non mangiarseli con gli occhi? «Come sta la tua faccia?», mi chiese Ryder. Riflettei sulla domanda, poi mi toccai il viso e sibilai: «Fa male». Dominic attraversò la stanza, aprì quello che sembrava un surgelatore, prese un sacchetto di ghiaccio, poi, mentre tornava verso di me, afferrò un piccolo strofinaccio. Lo guardai accigliata. «Sei tu quello con il sopracciglio tagliato e la faccia pesta. Hai bisogno del ghiaccio più di me, principessa». I fratelli ridacchiarono. «Mi piace», commentò Ryder. «A me piace sempre di più ogni volta che lo insulta», affermò Damien, provocante. «’Fanculo a tutti e due». Dominic fece un sorrisetto senza fermarsi. Mi fece girare e mi diede una spinta sulla schiena perché iniziassi a camminare. «Questa cosa inizia a darmi sui nervi, Dominic», brontolai. «Piantala di spingermi. Piantala di toccarmi proprio!». «È questo che lo intriga, allora?», chiese Ryder sottovoce, poi mormorò: «Vuole ciò che non può avere». «Quello, il suo accento, e sono sicuro che c’entri in qualche modo anche il fatto che è sexy da morire», intervenne Damien. Dominic grugnì e mi indirizzò su per le scale. Salimmo fino al quarto piano, cosa che non mi fece piacere. «Perché veniamo quassù?», domandai, ansimando e sbuffando. Dominic rise alle mie spalle. «Non ti alleni mai? Sembri pronta al collasso». Ringhiai entrando nella stanza in cui mi spingeva. «No, non mi alleno; c’è un motivo se ho quest’aspetto e non è perché faccio esercizio nel tempo libero». «Non dico che ti serva, dalla mia prospettiva hai un aspetto favoloso…». «Oh, mio Dio», urlai all’improvviso. «Smettila. Davvero, smettila!». Dominic chiuse la porta dietro di noi e per un attimo si limitò a fissarmi. «Di fare cosa?». Lo guardai a bocca aperta. «Dici sul serio? Smettila di essere così gentile con me, smettila di fare commenti sul mio aspetto e sul mio corpo e per l’amor di Dio smettila di spingermi a destra e a manca!». Dominic indicò qualcosa alle mie spalle: «Ok, farò come dici se ti siedi sul mio letto così posso metterti il ghiaccio». Spalancai gli occhi e mi girai verso il letto king size dietro di me; cazzo, era enorme.
Esitai. «Uhm…». Lo sentii ridacchiare. «Non sto cercando di portarti a letto; non per le ragioni a cui stai probabilmente pensando, comunque». Arrossii. «Non stavo pensando a niente», mentii. «Allora siediti», mi sfidò. Lo feci, rigida come una tavola di legno. «Ok, sono seduta sul tuo letto», annunciai. «Posso avere il ghiaccio adesso?». Dominic annuì, avvolse lo strofinaccio attorno al sacchetto e me lo appoggiò con cura sullo zigomo. Sospirai subito. «È piacevole». «Sono contento». Si sedette accanto a me. Lo guardai, incupita. «Hai un kit di pronto soccorso?». Inarcò il sopracciglio integro e annuì, poi si alzò e andò in bagno. Aveva il bagno in camera! Tornò con un piccolo kit di pronto soccorso, si risedette vicino a me e me lo porse. Posai il sacchetto del ghiaccio e mi alzai. Aprii la valigetta, presi una garza per le medicazioni e una bottiglietta di acqua ossigenata. Bagnai il tessuto, poi mi chinai su Dominic. «Sta’ fermo», mormorai, prima di iniziare a medicare il sopracciglio tagliato. Sibilò un po’, strappandomi un sorriso. «Ho quasi finito, principessa». Dominic ringhiò e sibilò al tempo stesso. Rimase fermo mentre gli pulivo il sangue raggrumato sulla faccia. Il taglio era poco profondo e si era già formata la crosticina, quindi mi limitai a coprirlo con un cerotto. Poi presi il mio sacchetto del ghiaccio e glielo appoggiai sul viso. Cercai di non essere maldestra, ma era difficile. Dominic rimase in silenzio, studiandomi senza impedirmi di dargli una sistemata. «Grazie», mormorò. Feci un cenno con la testa. «Prego». Quelle parole erano la prima cosa carina che ci fossimo mai detti senza sarcasmo. Dominic sollevò una mano e l’appoggiò su quella con cui tenevo il ghiaccio. Mi paralizzai e lo guardai negli occhi, chiedendomi cosa stesse facendo. Iniziai a sudare quando con l’altra mano mi toccò la schiena e mi avvicinò a sé. Il cuore accelerò e cominciò a tamburellarmi contro le costole. «Dominic», sussurrai, la voce tremante. «Che fai?» «Perché mi chiami Dominic?», domandò, ignorando la mia domanda e i miei tremiti. La mente mi stava andando in pappa e lo stomaco era pieno di farfalle. «Perché è il tuo nome». Accennò un sorriso. «Però tutti mi chiamano Nico, solo i miei fratelli Dominic». Mi strinsi nelle spalle. «Io non sono tutti». Allora mi strinse di più. «Mi tormenti», sussurrò. Il suo profumo mi riempì il naso, facendomi sentire la testa leggera. «Hai cominciato tu», dissi, vacillando. Sorrise. «Non intendo quello; cioè sì, mi tormenti quotidianamente, ma mi tormenti senza tregua, giorno e notte». Lo guardai confusa e lui rise.
«Bronagh, mi colpisci nel profondo, mi fai impazzire», spiegò. “Cosa?”, pensai. “Com’è possibile?”. A scuola lo ignoravo più che potevo e quando si avvicinava troppo lo aggredivo fisicamente e verbalmente. Non dico che ne andassi fiera… ma nemmeno che non avrei continuato a farlo. Lo fissai torva. «Mi hai portata quassù solo per dirmi quanto ti infastidisco? Perché se è così, avresti potuto farlo a scuola e risparmiarmi la sfacchinata…». Mi interruppe con un bacio da sciogliermi l’anima. Aprii la bocca per protestare, ma invece delle parole uscì un gemito, quando sentii entrare una lingua calda e bagnata. Lasciai cadere il sacchetto del ghiaccio e Dominic lo prese al volo, mi afferrò l’altra mano e mi trascinò addosso a lui. Le sue mani si infilarono sotto la gonna della mia uniforme e si fermarono sul retro nudo delle cosce per poi sollevarmi. Ansimai, poi gemetti mentre mi mordicchiava il labbro inferiore. Mi sistemò a cavalcioni del suo corpo. Il suo braccio sinistro mi circondava la vita, mentre il destro se ne stava un po’ più in basso e scoprii perché quando la sua mano mi scivolò sulla natica destra. «Dominic!». Me la presi con me stessa per come mi era uscito: doveva servire a scuoterlo, ma assomigliava più a un gemito morbido. Dominic ringhiò nella mia bocca e se ne impadronì con un altro bacio. Le mie mani trovarono a tentoni i suoi capelli, e quando intrecciai le dita ai riccioli scuri, lui si alzò, con me ancora avvolta addosso. Si voltò e mi fece sdraiare sul letto, il suo corpo che incombeva su di me. Anche se non era il mio primo bacio, lo sembrava, perché non riuscivo a fare altro che provare sensazioni, ed erano così belle con Dominic. Si interruppe per il tempo necessario a sedersi e togliersi la maglietta. Espirai bruscamente alla vista del petto tonico e abbronzato seguito da visibilissimi addominali e muscoli laterali. Certo che si allenava anche lui! Lanciai uno sguardo al suo fianco destro e mugugnai di piacere; aveva un tatuaggio tribale che si avvolgeva a spirale dalle costole alla schiena e su per la spalla. Però, sembrava incompleto, come se prevedesse anche una manica tribale lungo tutto il braccio destro. “Gesù, aiutami”. «Siediti», ordinò Dominic, la voce roca. Lo feci, e quando mi sfilò il golfino e iniziò a sbottonarmi la camicia non lo fermai. La mia mente urlava letteralmente che non era giusto e che non ero il tipo di ragazza da fare quelle cose con qualcuno che non conoscevo davvero. Il mio corpo rispose un semplice “vaffanculo” e vinse la battaglia. «Cazzo, così sexy», ringhiò Dominic quando mi tolse la camicia. Non potevo crederci, stavo permettendo che accadesse. Sapevo cosa sarebbe successo se lasciavo che andasse avanti, ma decisi di non impedirglielo. Forse era sbagliato, ma in quel momento non sembrava così. Dominic allungò le mani per slacciarmi il reggiseno, ma nello stesso istante si aprì la porta della sua camera. «Dominic, vieni a fare una corsa con… Oh, merda, scusate». Strillai e mi coprii, anche se il corpo di Dominic mi nascondeva alla vista. «Alec, fratello», sbraitò Dominic guardandolo da sopra una spalla. «Levati dai coglioni!».
«Vado». La porta sbatté. Chiusi gli occhi e riuscii solo a immaginare cosa pensasse Alec. Dal suo punto d’osservazione, doveva avere visto la schiena nuda di Dominic con le mie gambe nude avvolte attorno alle sue, perché avevo la gonna sollevata. «Oh, mio Dio», bisbigliai. «Mi dispiace, piccola». Il mormorio di Dominic aveva un tono seducente. «Ora, dove eravamo?». “Diceva sul serio?”. «Stavo per vestirmi e andare a casa», risposi e lo spinsi via. Col viso paonazzo, mi affannai a raccogliere la camicetta e il golfino. Indossai rapidamente la prima e l’abbottonai e rimboccai nella gonna, poi infilai il maglione dalla testa. Presi lo zaino e me lo misi sulle spalle. Mi avvicinai alla porta senza rivolgere una parola a Dominic, cosa che lo fece arrabbiare. «Te ne vai e basta», sbottò. «Così come niente fosse?». Mi girai, non lo guardai in faccia, fissai solo il suo busto ancora nudo. «È sbagliato, non ci piacciamo nemmeno, quindi non dovremmo baciarci né fare nient’altro a parte ignorarci a vicenda. Apprezzo ciò che hai fatto per me oggi; lo apprezzo davvero ma non sistemerà niente, non mi piaci lo stesso». Dominic si accigliò. «Lo capisco, ma credevo che potessimo rimediare…». «Facendo sesso?». Ero sbalordita. «Uhm, è un modo buono come un altro, ma…». «Coglione! Pensavi che se mi avessi sedotta poi non ti avrei più odiato, come per magia?». Sgranai gli occhi. «È questo che intendevi stamattina, quando hai detto che ti saresti vendicato senza farmi del male? Volevi prenderti la mia verginità sapendo che me ne sarei pentita e che questo mi avrebbe ferita emotivamente? È questo che sta succedendo?». Dominic scosse la testa. «No, sono io che sto dicendo tutte le cose sbagliate, piccola». «Non chiamarmi così», urlai. «Togliti di mezzo, subito!». Si spostò, ma adesso era lui ad avere lo sguardo torvo. «Piantala di fare la stronza pazzoide per un secondo e ascoltami…». «Oh, un modo perfetto per farti ascoltare da una ragazza: insultarla», sputai sarcastica, poi mi precipitai fuori dalla stanza e giù per le scale. Arrivata in fondo, all’improvviso vidi Dominic superarmi con un balzo. La vista della sua schiena nuda e del tatuaggio prima che si girasse verso di me mi torturò. I muscoli fremevano sottopelle e per qualche ragione volevo morderlo. «Vuoi fermarti?», pregò. «Stai esagerando adesso». «Fratello», bisbigliò una voce alla mia destra. «Mai dire una cosa del genere a una donna arrabbiata. Soprattutto non a un’irlandese arrabbiata». «Vaffanculo, Kane», esclamò Dominic senza distogliere lo sguardo da me. «Perché non dovrei? Sei stato uno stronzo matricolato con me da quando ti conosco e adesso tutto a un tratto vuoi aggiustare le cose col sesso? Cazzo, sei un coglione di prima categoria!». Gli diedi uno spintone, rabbiosa. «Sai una cosa?». Rise. «Pensavo che saresti stata un po’ più carina con me visto che ti avevo fatto un favore oggi difendendoti, ma immagino che sei davvero una stronza fredda come il ghiaccio. Non mi meraviglia che nessuno voglia essere tuo amico a scuola. Levati dai coglioni, non c’è figa che
valga queste cazzate». “Figa? Ero solo questo?”. Davvero cercava solo di farsi scopare e sperava al tempo stesso di ferirmi. Odiai le lacrime che mi salirono agli occhi, ma ancora di più che Dominic se ne accorgesse e scuotesse la testa. «Se vuoi farmi un favore, allora stammi alla larga, cazzo», dissi in tono gelido, poi mi girai e mi allontanai. Mentre aprivo la porta mi fermai. Fuori pioveva, ma non era questo il motivo. Guardai indietro da sopra una spalla e sorrisi a Dominic con aria maligna, ignorando il fatto che tutti i suoi fratelli osservavano e ascoltavano dalla soglia del soggiorno-palestra. Mi aveva ferita a parole, peggio di quando il suo gomito mi aveva colpita, e volevo rendergli pan per focaccia. «E non ti gloriare pensando che volessi venire a letto con te, perché ho fatto finta che tu fossi Damien per tutto il tempo», dissi zuccherina, poi uscii e mi sbattei la porta alle spalle. «Puttana del cazzo!», ruggì Dominic. Sentii i suoi fratelli urlarsi a vicenda di prenderlo. Il suono delle loro grida si interruppe una volta a una certa distanza dalla villa. Ero così arrabbiata con me stessa: cosa mi era saltato in mente ad andare a casa sua? Era solo un altro tipico ragazzo viscido che pensava solo al sesso e credeva che difendermi gli avrebbe dato accesso alle mie mutande. La cosa fottutamente triste era che se Alec non fosse entrato in camera ce l’avrebbe fatta. A quanto pareva ero una facile! Continuai a fumare di rabbia per tutto il tragitto da casa di Dominic alla mia e quando finalmente arrivai ero fradicia e congelata. «Sono a casa», esclamai chiudendomi la porta alle spalle. «Sono in cucina», gridò Branna. «Buon compleanno, piccola». “Merda”, pensai con un sospiro. “Mi ero scordata che era il mio compleanno”. Gemetti entrando in cucina. «Grazie, Bran». «Stasera andiamo a festeggiare al cinema con Magic Mike, ci vediamo lì con Aideen e la sua amica Keela!», annunciò Branna con un sorriso smagliante che scomparve un attimo dopo mentre i suoi occhi si spalancavano. «Che cazzo ti è successo, Bronagh?», urlò fissandomi il viso. Si alzò da tavola e corse da me. Sospirai e rimasi immobile mentre lei mi esaminava la carne pesta. «Metti su il bollitore per il tè», mugugnai. «È una storia lunga».
Capitolo sei
Il mattino dopo fui la prima ad arrivare in classe, come al solito. La porta dell’aula non era chiusa a chiave, quindi entrai e mi sedetti al solito posto al solito banco. Tirai fuori l’iPod, misi gli auricolari, presi un blocco dallo zaino e iniziai a scarabocchiare zucche, fantasmi e altre cose spaventose a caso. Mancavano solo due settimane a Halloween. La festa in sé non mi piaceva per niente, però mi annoiavo e avevo voglia di disegnare qualche soggetto del genere. Dopo un istante sbadigliai; la sera prima ero rimasta per ore a raccontare a Branna di Dominic e di cos’era diventata la mia vita sin dal suo arrivo a scuola, per poi andare a festeggiare il mio compleanno al cinema con le sue amiche. Non sapevo perché, ma nel mio resoconto non avevo fatto parola di Damien e avevo chiamato Dominic Nico. Visto che mi aveva detto che solo i suoi fratelli usavano il nome completo, era come se fosse qualcosa di speciale riservato solo a me; patetico, davvero. Branna aveva trovato divertenti alcuni dei miei scambi con Dominic, ma quel che era successo quel giorno non le era piaciuto. Cercare di fare sesso con me per ferirmi perché gli avevo fatto male con le puntine. Non le era piaciuto nemmeno come si era comportato Jason: dovetti convincerla a non andare a casa sua e prenderlo a martellate. Le assicurai che le botte di Dominic erano state una punizione sufficiente. Le ci era voluto un po’, ma alla fine, nonostante la volontà di fargli del male, aveva accettato e rimesso il martello nella valigetta degli attrezzi. Dopo lo sbadiglio mi sfregai gli occhi, solo per ritrovarmi a sibilare di dolore. Grazie alla gomitata di Dominic avevo lo zigomo e la palpebra lividi; un occhio nero, proprio. Non sapevo perché si fosse annerito visto che mi aveva colpito sullo zigomo, ma comunque c’era un livido e non potevo fare niente per nasconderlo. Non si poteva nemmeno coprire con il trucco perché toccarlo faceva troppo male, quindi era esposto alla vista di tutti. Non provai neppure a cercare di nasconderlo con i capelli sciolti perché sarebbe stato visibile lo stesso, quindi presi un altro toro per le corna e mi feci una treccia, i capelli ben tirati indietro e lontanissimi dalla faccia. Sentii suonare la campanella nello stesso istante in cui entravano alcuni studenti. Come sempre non alzai gli occhi né salutai nessuno. Continuai a scarabocchiare sul quaderno, ma quando un’ombra si proiettò sul banco guardai su. Era solo Alannah che passava, ma proprio quando alzai gli occhi entrò da sinistra Dominic con un braccio attorno alle spalle di Destiny. “Cioè, sul serio?”, sibilò la mia mente. “Vuole pavoneggiarsi con un’altra ragazza nemmeno ventiquattr’ore dopo essere quasi riuscito a sedurmi?”. E quel pompinaro aveva il fegato di chiamare me puttana. Non potei reprimere un versaccio. Nello stesso istante Dominic mi guardò, offrendomi una visione perfetta della sua faccia. Aveva un livido sul mento e uno più piccolo sulla guancia. C’erano un taglio
e un livido anche al di sopra del sopracciglio. Per uno che aveva fatto a botte sembrava praticamente perfetto, mentre io ero stata colpita una volta sola e avevo un occhio nero coi fiocchi. Fottutamente tipico. Fissandomi, gli occhi di Dominic si diressero sul mio occhio. Destiny però attrasse la sua attenzione solleticandogli la pancia. Riportai lo sguardo sul quaderno e continuai a scarabocchiare. Alzai gli occhi solo quando udii la voce della McKesson superare la mia musica, quindi tolsi gli auricolari. Stava facendo l’appello, spuntando i nomi sulla lista delle presenze. «Bronagh Murphy», esclamò. «Presente», risposi. Alzò gli occhi, mi sorrise, poi sussultò e le cadde addirittura la penna per terra. «Che ti è successo?», domandò, avvicinandosi. Anche se avevo un occhio nero, non se ne era accorto nessuno, a parte Dominic, dal momento che avevo guardato solo lui. Gli altri compagni non mi avevano prestato attenzione, perché era quella la regola; io non badavo a loro e loro non badavano a me. Grazie alla professoressa, però, a quel punto mi fissavano tutti. «Porca puttana, Bronagh, è proprio messo male», disse la voce di Alannah alla mia sinistra. Annuii, perché aveva ragione: era proprio nero. Guardai la professoressa e sorrisi. «Sto bene, non è niente». «No che non è niente, hai un occhio nero, per l’amor del cielo», boccheggiò. Sorrisi di nuovo; era carina a preoccuparsi. «Davvero sto bene; è stato solo un malinteso, l’altro è morto». Quello alleggerì la tensione, perché tutti, inclusa la McKesson, ridacchiarono. Tensione che si riformò subito quando lei girò lo sguardo sulla classe, vide in fondo e sobbalzò. «Nico, che ti è successo… stavolta». Sbalordita, di nuovo. Volevo ridere a quel “stavolta”. Sapeva che era un combinaguai, visto il numero di volte che si era presentato a scuola con lividi e simili sulla faccia nelle ultime settimane. La rissa con Jason era la prima di cui avessi avuto notizia da quando lui e il fratello erano nella nostra classe, quindi dove si procurasse tutti quei lividi era un mistero per me. «Niente, ho solo preso delle decisioni di merda. Difendere qualcuno che non se lo meritava; errore mio». Digrignai i denti e mugugnai: «Tu sei un errore». Non volevo farmi sentire, ma non ci riuscii e i miei compagni emisero versi di stupore. Intendevo che Dominic era stato il mio errore e anche baciarlo, ma probabilmente la classe pensò che volessi dire che la sua esistenza era un errore, cosa che al momento, a essere sincera, non era poi lontanissima da quello che provavo. La McKesson spostò lo sguardo da me a lui per qualche secondo. «Voi due rimanete qui dopo la lezione». “Di nuovo?”, pensai. Volevo protestare, ma lei aveva un tono serio, quindi mi limitai a sospirare e rimettermi le cuffie. L’ora volò; notai Damien che entrava con circa trenta minuti di ritardo insieme a una nostra compagna di classe, Lexi Mars. Mi disgustò subito lo stato dei suoi capelli e dei suoi vestiti e il sorrisetto da mangiamerda di Damien.
Lui e quella ragazza – perché avevo saputo da conversazioni udite di passaggio che se ne era scopate più d’una da quando si era trasferito qui – erano la definizione di puttana, non io. Finita la lezione, non mi mossi dal mio posto. Aspettai che se ne fossero andati tutti prima di togliermi gli auricolari. «Per quanto gli studenti qui pensino che noi insegnanti siamo stupidi, non è così. Abbiamo saputo della discussione tra te e Jason ieri dopo la scuola, Nico. Ti dispiacerebbe spiegarmene il motivo?» «Il motivo era Bronagh», rispose lui dopo qualche secondo. Risi senza allegria. «No, ha ficcato il naso negli affari di qualcun altro e poi ha dato la colpa a me perché non ha ottenuto ciò che voleva». «E che cosa voleva?». La guardai con le sopracciglia inarcate. Si aspettava davvero che le parlassi in confidenza? «Un caldo abbraccio», replicai, sarcastica. Guardò Dominic, poi spostò gli occhi tra me e lui. «Non so cosa stia succedendo tra voi due, ma risolvetela per conto vostro e senza altra violenza. Basta risse, se non sapete andare d’accordo ignoratevi, capito?». Feci il saluto militare e lei alzò gli occhi al cielo. «Via», sospirò. «Tutti e due, andate a lezione». Mi alzai, spinsi la sedia sotto il banco e uscii in fretta dall’aula. I corridoi si stavano svuotando perché la seconda ora era già iniziata, quindi affrettai il passo, finché non fui strattonata per un braccio e costretta a fermarmi. «Perché tanta fretta, bellezza?». La sua voce aveva un tono derisorio. Mi liberai con uno strattone e ripresi a camminare verso la mia classe. «Non toccarmi, cazzone», sbottai. Dominic ridacchiò e mi raggiunse. «Ieri il mio cazzo lo volevi piantato dentro fino all’elsa, non è così?» «Quello di Damien, non il tuo», lo corressi, cercando di non arrossire d’imbarazzo di fronte alla verità. Il giorno prima lo volevo davvero. Quanto appena detto su Damien, Dio mi era testimone, era una bugia, ma non era necessario che Dominic lo sapesse. Il gemello non mi attraeva per nulla, anche se era il suo clone. Dominic rise, palesemente divertito. «No, volevi il mio cazzo. Sentivo l’odore di quant’eri bagnata per me…». Girai su me stessa e gli saltai addosso con l’intenzione di rompergli qualcosa, ma lui mi afferrò a mezz’aria, ci voltò e mi spinse contro la parete del corridoio. Toccavo terra a malapena con la punta dei piedi, perché il corpo di Dominic mi premeva tra le gambe, letteralmente inchiodandomi al muro. «Mi piace questa parte di te», sogghignò avvicinando la faccia pesta alla mia. «Ho ancora più voglia di scoparti, sapendo che lotterai per chi sta sopra». «Levati di dosso, subito! La McKesson ha detto che devi starmi lontano!». Dominic sogghignò e abbassò gli occhi sul punto in cui il suo corpo schiacciava il mio. «Io penso che ti stia piacendo, piccola». Lo guardai con astio. «Non sono la tua piccola, la tua proprietà, o la tua stronza aggressiva. Non sono tua in nessun modo. Adesso lasciami!». Dominic sembrò non scomporsi per nulla. «Non ti gloriare tanto, piccola. Volevo scoparmi la stronza fredda come il ghiaccio che si aggira per i corridoi di questa scuola. Volevo scoprire se
l’unica briciola di calore che hai fosse seppellita in fondo in fondo nella tua figa…». «Sei orribile! Ti odio, levati di dosso!», sibilai e cercai di schiaffeggiarlo, ma lui mi afferrò le mani. Fece ruotare il bacino contro di me, senza smettere di sogghignare. «Dammi un minuto e sarai pronta e abbastanza bagnata da farmene sentire l’odore…». «Chiudi il becco, stronzo!», ringhiai. «È stato un errore, l’hai detto anche tu quindi scordatene e basta. Lasciami e stammi alla larga, cazzo». Dominic rise e mi lasciò andare, guardandomi vacillare. Arretrò e indicò l’aula. «Mi piace troppo giocare con te per starti lontano, tesoro». Mi strizzò l’occhio. «Sei una creatura meschina e disgustosa». Gli lanciai uno sguardo d’odio, poi mi girai e corsi lungo il corridoio, ignorando alcuni studenti che si erano trattenuti fuori e avevano visto e sentito tutta la “conversazione”. «Una creatura meschina e disgustosa che per un pelo non ti sei trombata ieri!», mi urlò dietro Dominic, proprio mentre aprivo la porta della falegnameria. Lo sentirono tutti, persino il professor Kelly. Sbattei la porta dietro di me. «Lo sposti a un altro tavolo, prof. Giuro su Dio che se non lo fa lo accoltello!», affermai; l’insegnante mi fissava a occhi sbarrati. Quando si aprì la porta del laboratorio e Dominic entrò a passo tranquillo e si diresse alla mia postazione, il professor Kelly si alzò in fretta per intercettarlo. «Veramente, Nico, oggi ti scambi di posto con Gavin», gli ordinò lesto. «Bronagh sembra molto arrabbiata con te, figliolo». Questo era minimizzare, cazzo! «Ma certo, prof», rispose lui allegro. Stronzo bastardo schifoso. Fumavo di rabbia mentre ficcavo lo zaino sotto il bancone e mi precipitavo nel retro del laboratorio a prendere un grembiule. Quando rientrai, i ragazzi, incluso Dominic e il professore, mi stavano guardando. «Che c’è?», sbottai con rabbia. «Niente», replicarono in coro e si dedicarono a qualsiasi cosa avessero davanti. Li fulminai con gli occhi tutti quanti, poi andai nel magazzino e recuperai il legno che avevo nascosto così che Dominic non potesse usarlo al posto mio. Non aveva mai toccato i miei progetti, ma non volevo correre rischi, quindi per precauzione nascondevo la mia roba. Quando rientrai nella stanza, nessuno per fortuna mi prestò attenzione, quindi mi avvicinai alla mia postazione di lavoro e disegnai con la matita uno schema sul legno, segnando dove avrei segato e scartavetrato. Gavin ci mise un bel po’ a spostarsi sul mio bancone. «Ehi, Bronagh». Sorrise. Ricambiai, perché mi era sembrato sincero. «Ehi, Gav». Mi meravigliai di aver usato il soprannome con cui lo chiamavano gli altri ragazzi in classe. Però ero autorizzata a farlo, visto che tecnicamente era stato lui il mio primissimo bacio. «Stai bene? Sembri piuttosto accalorata». Sospirai. «Sto bene, è solo quel coglione americano che mi infastidisce».
Gavin sbuffò divertito e io sorrisi; era carino che anche qualcun altro ritenesse Dominic un coglione. «Sai cosa sta dicendo ai ragazzi lì dietro, vero?», mormorò. Guardai in fondo alla classe e notai che alcuni erano radunati attorno a Dominic, sogghignavano e gli battevano il pugno. «Che dice?» «Che è arrivato a un passo dal trovare il calore dentro di te. Ti ha definita “stronza di ghiaccio”. Era piuttosto ovvio che intendeva di averti quasi scopata». Spalancai la bocca alla franchezza di Gavin, poi mi affrettai a ricompormi. «Sta mentendo. Ci siamo baciati, ma è stato un terribile errore. Sta solo ingigantendo le cose!». Gavin mi guardò per un istante, poi annuì. «Ti credo, probabilmente gli brucia non essere riuscito ad arrivare fino in fondo con te. È chiaro che il suo ego l’ha presa male; fa il coglione per questo». Gemetti. «È un coglione di natura». Gavin rise, attirando l’attenzione del coglione. Guardai Dominic e mi accorsi che fissava torvo Gavin, poi spostò lo sguardo su di me, fece l’occhiolino e mi mandò un bacio. «Vaffanculo», ringhiai nella sua direzione. «Subito o dopo?», replicò. I ragazzi esplosero in una risata. Non ebbi la forza di ricacciare indietro le lacrime, quindi abbassai lo sguardo e afferrai di corsa lo zaino, mentre le guance mi si rigavano. «Bronagh», sospirò Gavin sentendomi tirare su col naso. «Non piangere, piccola». Non guardai né lui né nessun altro, praticamente corsi fuori dall’aula. Non chiesi nemmeno il permesso al professore, me ne andai e basta. «Bella mossa, amico», sibilò la voce di Gavin. «Ti eccita far piangere le ragazze o cosa?» «Vaffanculo, stronzo», ribatté Dominic. «Non ti impicciare degli affari miei, e già che ci sei, non azzardarti più a guardare Bronagh o anche solo a parlare con lei, o ti prendo a calci in culo». Non sentii la risposta di Gavin. Solo la voce del professor Kelly che ruggiva loro di smetterla, qualsiasi cosa stessero facendo, e di separarsi. Stavo camminando a passo svelto lungo il corridoio quando sentii qualcosa sbattere forte alle mie spalle. «Bronagh!». Guardai indietro e sobbalzai; Dominic correva verso di me. Urlai; non so perché, ma è quel che feci, e forte. Risuonò un altro schianto e stavolta dal laboratorio uscirono a frotte Gavin, il professor Kelly e tutti gli altri compagni. Smisi di urlare quando Dominic mi si schiacciò addosso e mi strinse tra le braccia. «Mi dispiace, ok?», ansimò. «Mi dispiace tanto, sono un coglione del cazzo. Non sarò più così orribile, lo giuro. Non volevo farti piangere, perdonami». Scossi la testa. «No, lo so che non ti dispiace». Tirai su col naso. «Lasciami. In. Pace». Stava per dire qualcos’altro, ma d’un tratto venne strappato via da me, persi l’equilibrio e finii col culo per terra. Fece un male del cavolo e dal dolore capii che mi sarei ritrovata un nuovo livido sul sedere. Alzai gli occhi nello stesso momento in cui Dominic li abbassava su di me; al mio sibilo sofferente, lui
divenne paonazzo. Si girò e inchiodò al tappeto la persona che me lo aveva tolto di dosso facendomi cadere. Gavin. «Basta!», strillai annaspando per alzarmi. Sentii il sangue defluire dalle guance alla vista di Dominic che assestava a Gavin un colpo dopo l’altro. Non era una cosa a senso unico, però; Gavin era altrettanto bravo e a un certo punto gli rifilò persino una testata. Ma, qualunque mossa tentasse, Dominic aveva la meglio. Era come se i colpi che riceveva non gli facessero nemmeno male. Sembrava un toro inferocito e mi terrorizzava a morte. «Basta!», strillai di nuovo e cercai di tirare via Dominic, ma Conner, un ragazzo della nostra classe di falegnameria, mi prese in braccio e mi trascinò indietro. «Ti farai male e basta», mi disse quando opposi resistenza. Mi divincolai e corsi verso l’aula di lavorazione dei metalli, mentre il professor Kelly cercava invano di interrompere la rissa. «Damien!», urlai spalancando la porta. Damien era seduto in fondo alla classe, circondato da ragazze, ma quando mi udì saltò in piedi e corse da me alla velocità della luce. «Dominic ammazzerà Gavin, fermalo!», urlai. Corse fuori dall’aula e seguì le grida. Tutti gli altri, insegnante compreso, lo seguirono per vedere cosa stesse succedendo, mentre io esitavo, restando in classe da sola. Avevo paura a tornare là fuori. Dovevo stare alla larga da Dominic, era pericoloso e io non mi immischiavo in cose pericolose.
Capitolo sette
«Non ti avevo detto di non litigare più con Dominic, Bronagh?», mi chiese la McKesson al termine delle lezioni, il primo giorno di rientro dalla sospensione. Una volta che Damien aveva interrotto la rissa, due settimane prima, sia Dominic che Gavin erano stati sospesi per avere fatto a botte entro i confini della scuola e io per essere uscita di classe senza permesso e, a quanto pareva, perché avevo incitato la loro rissa. Sospesa per due settimane con l’ingiunzione di non tornare se non dopo Halloween. Non ero sicura della durata della sospensione di Dominic e Gavin, ma avevo sentito dire che erano stati fortunati a cavarsela solo con quella, perché la rissa era stata così violenta che il preside avrebbe voluto chiamare la polizia; il professor Kelly era riuscito in qualche modo a fargli cambiare idea, per il bene dei ragazzi. «Bronagh, ma mi stai ascoltando?», sbottò la voce della professoressa, facendomi sobbalzare e sollevare lo sguardo. Annuii. «Sì, prof». «Allora rispondi alla mia domanda», mi sfidò. Sospirai. «Io non c’entro niente con la rissa, prof. È stato Dominic a inseguirmi e afferrarmi dopo che ero uscita dalla classe; Gavin stava cercando di difendermi e le ha prese per questo». La McKesson si sfregò le tempie. «Chi dei due è il tuo ragazzo?». Spalancai gli occhi, sconvolta oltre ogni dire. «Nessuno dei due. Odio Dominic e Gavin a malapena lo conosco». La professoressa scosse la testa. «Sei sicura di non uscire con uno di loro, magari Nico?». La fissai a bocca aperta. «Prof, Dominic non è il mio ragazzo!». Inarcò un sopracciglio. «Ma lui lo sa? Perché ha fatto vedere i sorci verdi a Gavin per averti toccata». Sussultai di nuovo. «Gavin non mi ha toccata, ha cercato di strapparmi di dosso Dominic e mi ha fatta cadere». «Che tu fossi finita per terra è quel che ha fatto arrabbiare Dominic, l’ha detto lui stesso durante l’incontro tra me, lui, suo fratello, Gavin e suo padre e il preside». Avevano convocato una riunione per l’accaduto? Gemetti e mi sfregai la faccia. «Non aveva il diritto di prendersela perché ero caduta, non sarebbe mai successo se non mi avesse afferrata!». La McKesson si mordicchiò il labbro. «Penso che sia molto protettivo nei tuoi confronti». Alzai gli occhi al cielo. «È uno stronzo che si eccita rendendomi infelice. Il suo “lottare” per difendermi non è niente di diverso da quello che fa un pitbull aggressivo che protegge il suo giochino preferito». Mi guardò a occhi sbarrati per un po’, poi aggrottò la fronte. «Dominic fa cose che non approvi, Bronagh?». La guardai accigliata. «Mi dà fastidio e basta, prof, gode nel farmi innervosire».
«Lo capisco, ma guarda la cosa dal mio punto di vista; a me sembrate una coppia, e Dominic il fidanzato adolescente protettivo… o forse il fidanzato adolescente violento. Ho perso il conto delle volte che è arrivato a scuola pieno di lividi e di recente è successo anche a te». «Non posso dire niente sul perché sia sempre tutto pesto, non ne ho idea, ma sul fatto che sia il mio ragazzo si sbaglia di grosso, prof». Sospirò di sollievo. «Quindi non ti ha fatto niente che potresti avere paura di raccontare a qualcuno?». “Dove vuole andare a parare?”. «Del tipo?», domandai, curiosa. Abbassò la voce. «Non ti ha toccata sessualmente senza il tuo permesso o qualcosa del genere, vero?». Arrossii; mi stava chiedendo se Dominic mi avesse stuprata? Porca puttana, come cazzo avevano fatto le risse con Jason e Gavin a causa mia a condurre a domande di quel tipo? «No, prof, non ha fatto proprio niente del genere», dichiarai con voce chiara. Anche se lo odiavo, non avrei detto che mi aveva stuprata quando non era vero. La McKesson si rilassò visibilmente. «Bene, molto bene. Mi dispiace se ti ho turbata con queste domande, dovevo solo accertarmi che stessi bene e che i litigi e le risse che coinvolgevano Dominic non fossero nulla che sfuggiva al tuo controllo». Non pensavo che avrei mai potuto gestire, o controllare, Dominic e qualsiasi situazione fosse quella in cui ci trovavamo. «Non si preoccupi, ho tutto sotto controllo, prof», mentii, sorridendo. Fece un gesto con il capo. «Sei una brava ragazza, adesso va’ e sbrigati prima che faccia buio». Annuii. «A lunedì, prof». Mi salutò con la mano mentre uscivo dall’aula e percorrevo i corridoi della scuola ormai vuoti. Le lezioni erano finite da venti minuti e anche se erano solo le quattro e venti del pomeriggio, il sole era già tramontato e il cielo si stava scurendo ogni secondo di più, il che non mi sorprendeva visto che eravamo già a novembre. Scossi un po’ la testa: non potevo credere che fosse solo novembre, sembrava passata un’eternità da quando Dominic era entrato nella mia vita e l’aveva buttata a gambe all’aria, non qualche settimana appena. A pensarci era una follia. La prima cosa che mi colpì quando uscii da scuola e mi avviai verso casa fu il freddo, la seconda fu un pugno emerso da dietro un pilone all’ingresso di un quartiere residenziale che dovevo attraversare per tornare a casa. Strillai cadendo a terra e gemetti quando l’impatto col terreno mi conficcò nella schiena il contenuto dello zaino. Poi sentii male alla faccia; la guancia destra era appena guarita del tutto dopo il colpo di Dominic due settimane prima e potevo già indovinare che si sarebbe formato un nuovo livido sopra quello vecchio. «Pensavi davvero che non ti avrei fatto niente dopo tutti i guai che hai causato tra Dominic e Jason nelle ultime settimane, stronza?». Sussultai mentre mi rialzavo e guardai Micah e le due sue amiche dietro di lei che ci osservavano divertite. «Non è stata c-colpa mia, Micah, non so perché Dominic l’ha fatto, lo giuro», le dissi, portandomi
una mano sulla guancia pulsante. Micah alzò gli occhi al cielo. «Perché è il tuo uomo e siccome non posso picchiarlo per avere fatto male al mio, farò male a te». «Dominic non è il mio uomo, Micah, lo giuro…». Mi interruppe saltandomi addosso e rispedendomi a terra. Potei fare ben poco oltre a ripararmi il viso con le braccia mentre lei mi tirava i capelli e colpiva ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere. Strillai quando si alzò e mi tirò un calcio dritto nello stomaco con tanta forza da mozzarmi il respiro. «Non azzardarti più a guardare Jason o anche solo nella sua direzione, perché se questo infastidisce Dominic e lui fa di nuovo male a Jason ti ammazzo. Capito, cicciona?». Mi diede un altro calcio. «Sì», ansimai. «Bene». Mi sputò addosso, poi si girò e se ne andò con le sue amiche. Rimasi a terra per un po’, finché non cominciai a sentire freddo e fui costretta a muovermi. Mi alzai con un fremito; era più buio adesso e, come prevedibile, non c’era un’anima in giro. Tossii e il mio stomaco esplose di dolore. Avevo voglia di piangere, ma non lo feci, in caso Micah fosse nelle vicinanze e potesse accorgersene. Mi aveva malmenata senza difficoltà, ma non le avrei dato la soddisfazione di vedermi o sentirmi piangere. Non sapevo cosa mi facesse più male, lo stomaco, la faccia, o la testa. Stabilii il naso quando un filo di sangue cominciò a gocciolare da una narice, scivolò sulle labbra e il mento e cadde sul maglioncino dell’uniforme. Non persi nemmeno tempo ad asciugarlo perché ero certa che prima o poi si sarebbe fermato da solo. Tornai piano piano a casa e non appena entrai mi diressi in bagno, riempii la vasca, mi spogliai e ci affondai dentro. Non piansi se non dopo un minuto e mezzo che ero in acqua e non smisi finché non ne uscii. Poi mi asciugai e usai una pezzuola asciutta per tamponarmi con prudenza il viso, il naso a quel punto libero dal sangue ma rosso e gonfio, la guancia destra un po’ tumefatta e così anche la mascella. Vedevo già il livido che cominciava a formarsi, ma non attorno all’occhio, il che mi faceva sperare che non si sarebbe annerito di nuovo. Uscita dal bagno andai in camera mia e indossai i pantaloni del pigiama, una canottiera e una felpa blu con il cappuccio appartenuta a mio padre. Mi pettinai i capelli con cautela, perché facevano un male cane dopo essere stati strattonati da Micah. Una volta finito, li legai in una treccia molto lenta, li gettai dietro le spalle e scesi di sotto in cerca di cibo. Tanto cibo. Sentii aprirsi la porta d’ingresso mentre versavo crema pasticciera e panna montata sulla mia ciotolona di gelato. Ascoltai il rumore del battente che si chiudeva, delle chiavi infilate sul gancetto appeso al muro e poi i passi che si avvicinavano alla cucina. «Ehi, tesoro, com’è stato il primo giorno di rientro a… Oh, mio Dio!». Sussultai; Branna riusciva a strillare piuttosto forte. «Scoprirò dove vive e lo ucciderò, cazzo!», giurò mia sorella e uscì a gran passi dalla cucina. “Lo?”. «Branna, è stata una ragazza», le gridai dietro. I suoi passi si arrestarono, poi tornarono in fretta verso di me. «Non è stato quel Nico, non è colpa sua?», domandò, piantandomi gli occhi addosso per vedere se mentivo.
Pensava che fosse stato Dominic a conciarmi a quel modo? Non mi sorprendeva, dal momento che le uniche volte in vita mia in cui mi ero ritrovata con la faccia coperta di lividi o nei guai c’entrava lui. «No, non l’ho più visto né ci ho parlato da quando mi hanno sospesa, due settimane fa», le assicurai. Mi osservò per un istante. «Allora chi è stato? Dammi i nomi e ci penso io». Sbattei le palpebre per la sorpresa. Si comportava come un assassino… o assassina, su richiesta. «Non so chi fosse, ma credo che mi abbia scambiata per qualcun altro. Mi ha chiamata Sarah e ha detto di stare alla larga dal suo uomo», mentii e mi sentii malissimo per questo. Non volevo dirle che era stata Micah perché Branna l’avrebbe trovata e le avrebbe ridotto la faccia come la mia, e non potevo permetterlo. Studiava medicina e stava per diventare ostetrica, dubitavo che l’avrebbero assunta da qualunque parte se si fosse sporcata la fedina penale per aggressione a una minorenne, dal momento che Micah aveva solo diciassette anni. Branna si accigliò, ma continuò a fissarmi in cerca di qualche segnale che non dicevo la verità. Di solito ero una pessima bugiarda, ma dover mentire per impedire che la sua carriera andasse a rotoli mi permise di conservare un volto inespressivo. «Oh, tesoro, che razza di sfiga». Si accigliò. «Era l’ultima cosa di cui avevi bisogno dopo quella stupida sospensione e soprattutto dopo l’occhio nero che ti ha fatto quel Nico». Volevo svenire per il sollievo, ma non lo feci, mi costrinsi a sbuffare ironica. «Dillo a me». Iniziai a ridacchiare, ma sobbalzai per il dolore al fianco e ci appoggiai le mani sopra. «Fammi vedere», mi ordinò Branna. Sollevai la felpa e la canottiera. «La tua pancia è tutta un livido!». Abbassai gli occhi e mugugnai. Branna aveva ragione; sul lato sinistro avevo un livido che andava dalla parte bassa delle costole all’anca. Sembrava che le lezioni di kick boxing di Micah avessero dato frutto perché le erano bastati pochi secondi per farmi parecchi danni. «Ho fatto un bagno, ha alleviato il dolore, ma per farmi sentire ancora meglio mangio questo». Indicai la mia porzione abbondante di gelato, crema pasticcera e panna montata. Branna ridacchiò e scosse la testa. «Grazie a Dio prendi la versione light di tutto ciò che compriamo. Diventerai grossa come una casa se continui con il cibo consolatorio con l’accanimento degli ultimi tempi». Alzai gli occhi al cielo. «Non sono nemmeno ingrassata, quindi è chiaro che non mi fa male». Branna sbuffò. «Dagli tempo, all’improvviso sentirai i jeans un po’ troppo stretti e dopo si scatenerà l’inferno». Scossi la testa e sollevai la ciotola. «Se hai bisogno di me, sarò in camera mia a mangiare i miei sentimenti e guardare Dear John». «Piccola». Branna aggrottò la fronte e sorrise. Le dispiaceva per me e mi seguì con lo sguardo fuori della cucina. Risalii in camera, mi sistemai a letto, accesi il televisore e ci diedi sotto col cibo. Risi della logica di Branna. Non c’era niente di male nel cercare conforto nel cibo, e se anche fossi ingrassata? Sinceramente, a chi gliene fotteva niente? Non a me. Preferivo affrontare le preoccupazioni cercando sollievo nel cibo e guadagnando qualche chilo che avere paura che Micah potesse picchiarmi di nuovo o di quel che sarebbe successo
quando avessi rivisto Dominic. Gemetti al pensiero di lui e dei guai che mi aveva procurato nel poco tempo da cui lo conoscevo. Scossi la testa; una ciotola di gelato non bastava nemmeno lontanamente ad affrontare quella merda.
Capitolo otto
«Non posso credere che siamo salite così in alto», ringhiai verso Branna e mi guardai rapidamente intorno. Ero arrabbiata perché mi aveva portato lassù, ma quando scorsi la visuale che si apriva su Dublino di notte rimasi sconvolta dal fatto di non esserci mai salita prima per ammirare il panorama. Tutte quelle luci e macchie di oscurità dei campi toglievano il fiato. Guardai Branna che alzò gli occhi al cielo. «Siamo a dieci minuti da casa nostra. Abitiamo ai piedi delle montagne quindi che c’è di straordinario nel salire un po’ più su?». Mi strinsi nelle spalle. «Hai detto che saremmo andate in giro per locali, quindi ho pensato che significasse Temple Bar, il night club Sin giù in città o persino The Playhouse a Tallaght Bypass, non sulle fottute montagne!», sbottai sottovoce e mi sfregai le braccia nude per generare un po’ di calore. Branna fece un’altra smorfia esasperata. «È un posto esclusivo; ha aperto quassù perché ci viene un sacco di gente piena di soldi che non vuole avventurarsi in città o anche solo nelle vicinanze». Scossi la testa. «Sai, Branna, una sorella maggiore normale che vuole risollevare il morale alla sua sorellina dopo un’aggressione la porta fuori a cena o al cinema oppure ordina un take away. Non la fa entrare in un night club underground», sibilai, in fila in attesa di venire identificate dai buttafuori del Darkness, un night club underground apparentemente molto esclusivo visto il numero di persone mandate via da quando eravamo arrivate. Branna mi zittì, guardando avanti. «Io però non ho ancora nessun documento d’identità», le bisbigliai all’orecchio, avanzando. «Ho appena compiuto diciotto anni, Branna, non mi faranno entrare». Iniziavo a sudare; non volevo che mi mettessero in imbarazzo rifiutandomi l’accesso al club. Branna mi ci aveva portata per risollevarmi il morale dall’abbattimento in cui ero caduta dopo l’assalto di Micah, una settimana prima, ma l’imbarazzo non mi avrebbe aiutata. «Chiudi il becco prima che ci infili il pugno!», sbottò in un tono bassissimo che mi fece accapponare la pelle. «Ok», mormorai e abbassai gli occhi. Mi sentii come se fossero stati i miei genitori a sgridarmi. Sbuffai a quel pensiero, poi sussultai sentendo la mano di Branna premermi sulla curva della schiena e spingermi avanti. Guardai mia sorella, poi in avanti: toccava a noi e i buttafuori aspettavano che ci avvicinassimo. «Branna, dolcezza». Un gorilla alto sorrise raggiante; era rasato a zero e aveva un grande tatuaggio nero a spirale che girava attorno alla guancia destra e scendeva lungo il collo, scomparendo sotto la camicia. Inorridii. Branna era già stata lì; lo sapevo, perché me l’aveva detto quando le avevo chiesto come facesse a conoscere un club che io non avevo mai sentito nominare, ma il peggio era che quel palese criminale la conosceva, a giudicare dal suo saluto entusiasta.
«Sembra un serial killer, cazzo, io me ne vado!», sibilai verso Branna e feci per uscire dalla fila, ma lei me lo impedì spostando la mano dalla mia schiena all’anca e tenendomi stretta. Sussultai un po’ perché si era appoggiata proprio sul livido, ma rimasi immobile nonostante il dolore. «Ehi, Skull, questa è la mia sorellina. Ha compiuto diciott’anni qualche settimana fa. Ho pensato di portarla a vedere l’incontro e a bere il suo primo alcolico da adulta», cinguettò, facendo ridacchiare Skull. «Conosce le regole del club?». Branna annuì. «Sì, gliele ho ripetute due volte e le ho fatto lasciare il cellulare a casa, quindi non può fare video o scattare foto delle zuffe all’interno». Skull annuì verso Branna, poi riportò lo sguardo nella mia direzione. Mi domandai se mi avrebbe chiesto comunque la carta d’identità e poi di che “incontro” parlasse Branna e perché fossero banditi i telefonini. Skull mi diede una rapida occhiata e fece un sogghigno che attirò tutta la mia attenzione, poi ci fece cenno di superare il cordone rosso ed entrare nel club. «Di’ a John di timbrarvi tutte e due per le bevande omaggio», ci gridò dietro. Branna si girò con un sorriso. «Grazie, amore». Skull. Mio Dio, si chiamava davvero Skull. La sudarella per il timore di venire mandata via scomparve e al suo posto si insinuò la paura, mentre seguivo Branna tenendola per mano giù per quattro rampe di scale. Era letteralmente un night club sotterraneo; ci trovavamo nelle profondità della montagna. A essere sincera, la cosa mi mandava non poco nel panico. «Dev’essere un incubo risalire quando sei ubriaco». Espressi il mio pensiero ad alta voce guardando i gradini. «Vero». Branna rise. In fondo alle scale c’erano due enormi porte nere. Erano chiuse sorvegliate da due enormi buttafuori. «S-salve». Sorrisi quando guardarono mia sorella e poi me. «Skull ha detto di timbrarci, John». Branna era raggiante. L’uomo alla mia destra ridacchiò, quindi immaginai che John fosse lui. «Lo riduci in brandelli quando mostri quelle gambe che ti ritrovi, Branna», scherzò. «Quel poveraccio non pensa più con lucidità». Branna rise piano. «Come no, gli piaccio solo perché sono amica della sua donna». John sbuffò. «Sì, certo». Poi annuirono verso di noi e mi accorsi che Branna tendeva il braccio destro, quindi feci lo stesso anch’io. Allora i buttafuori si tolsero di tasca un timbro, ci girarono le mani in su e lo premettero nella parta interna dei polsi. Lessi FREE stampato con un inchiostro nero. Poi il buttafuori mi prese l’altro polso e mi marchiò con un timbro diverso. La parola DARKNESS spiccava sulla mia pelle nello stesso grassetto nero. Tenni le mani in fuori per qualche secondo perché non volevo impiastricciare l’inchiostro, ma scoprii che si asciugava quasi istantaneamente, quindi non c’era nulla di cui preoccuparsi. «Divertitevi al Darkness, signore», disse John con un sorrisetto e spinse uno dei battenti. Balzai in aria quando la musica pulsante mi riempì le orecchie. Mi spaventò: le scale e la zona d’accesso erano silenziose come una tomba finché non venivano aperte le porte. Erano insonorizzate
alla perfezione, da chiuse non si sentiva assolutamente nulla. Branna mi fece strada nel club. Il nome Darkness era appropriato, perché l’entrata era virtualmente buia, finché i miei occhi non vennero aggrediti da luci stroboscopiche intermittenti. Abbassai la testa e mi appiccicai a Branna. «Questo posto è il peggiore incubo di un epilettico», le urlai. Percepii le vibrazioni del suo corpo, da cui capii che stava ridendo, ma non la sentivo a causa della musica che mi esplodeva nei timpani. Quando colsi l’immagine dell’enorme folla di gente che si dimenava, mi rincantucciai di nuovo contro mia sorella. Le luci stroboscopiche davano all’ambiente un’aria di pazzia. Era come sognare a occhi aperti, con tutti i movimenti al rallentatore. Le mani di Branna si chiusero sulle mie e mi guidò a sinistra della pista da ballo; solo allora vidi un bancone infinito che correva tutto intorno alla stanza, fermandosi solo a pochi metri da un’area buia. Mi allungai verso Branna, avvicinando la bocca al suo orecchio. «Quella parte lì a che serve?», domandai, indicandola. Branna guardò in quella direzione, poi di nuovo me e fece un sorrisetto. «Lì, mia cara sorellina, è dove le ragazze si bagnano le mutandine alla sola vista di uomini grossi, cattivi e intimidatori». Mi sentii impallidire. «È un sex club?», urlai, inorridita. Branna sogghignò alla mia espressione e scosse la testa. «No, non è un sex club». Rise stridula e si chinò al mio orecchio. «È un club di lotte clandestine». Mi spostai all’indietro e la fissai. «Un club di lotte clandestine?», ripetei, e lei annuì. «Uno vero? Come nel film Fight Club?», domandai, le sopracciglia inarcate. Quei film me li faceva vedere Branna. Adorava da morire tutta quella faccenda dei combattimenti clandestini e a me in realtà piaceva guardare, ma trovarmi lì, in un club vero, mi spaventava un po’. «Bronagh, quante volte devo dirtelo? Non si parla del fight club». Sogghignò. Alzai gli occhi al cielo. «Non so se mi sento a mio agio». Branna sospirò. «Andrà tutto bene; puoi startene qui dietro a guardare l’incontro. Non devi andare per forza vicino al ring. Ok?». Annuii. «Ok». Branna sorrise. «Però dicevo sul serio prima. Non devi parlare di questo posto; è conosciuto ma solo da certe persone. Dopo tutto è illegale». La fissai a bocca aperta. «Pensavo che stessi solo citando il film!». Rise. «Sì, perché ho sempre desiderato dire quella frase, ma in questo caso è vera. Non parlare del club, mai. È questo che intendeva Skull fuori. È un posto molto esclusivo quindi non una parola. A nessuno, ok?». Non parlavo con nessuno, quindi anche volendo non avrei saputo a chi raccontarlo, ma annuii lo stesso con decisione. Non potevo crederci, mia sorella maggiore mi aveva portata in un night club che ammetteva azioni illegali. Era terrificante, spaventoso e un po’ eccitante allo stesso tempo. «Allora che facciamo qui?», gridai. Branna rise voltandosi, urlò un’ordinazione a un uomo dietro il bar e poi si girò di nuovo verso di me. «Beviamo, balliamo, guardiamo dei tipi sexy combattere e porca puttana ci divertiamo da morire».
Esultò. Scoppiai a ridere; grazie a Dio era rimasta mia sorella anche dopo essere diventata mio tutore. Sarebbe stato orribile se si fosse adattata completamente al ruolo di mamma e papà. Non avrei avuto letteralmente nessuno che mi facesse fare esperienze irresponsabili e di certo nessuno che facesse cose stupide con me. «Non ho mai bevuto prima quindi che prendo?» «Ti ho già ordinato una bottiglia di WKD, è solo un alcopop. Non voglio che esci di qui assieme a me senza riuscire a reggerti sulle gambe». Mi strinsi nelle spalle; mi fidavo di lei, quindi mi andava bene. «Ok». Quando il barista tornò con un bicchiere colmo di un liquido blu intenso e un altro che sembrava di Coca-Cola mi leccai le labbra. Branna gli mostrò il polso destro, dove c’era il timbro FREE. Il barista annuì verso di lei e poi guardò me, quindi esposi anche io il mio e lui annuì di nuovo e andò a prendere altri ordini. «Com’è che abbiamo il timbro FREE?», domandai allungandomi verso Branna. Sorrise. «Ho avuto una storiella con Skull, ma è stato secoli fa. Adesso esce con Aideen Collins». Feci un cenno con la testa. Aideen era la migliore amica di Branna sin dalle elementari e anche sorella di Gavin Collins. «Già, quindi siamo tutti ottimi amici. Avere un’amica come lei paga, letteralmente», disse Branna indicando le nostre bevande e strappandomi una risata. Mi tese il mio bicchierone di liquido azzurro e mi guardò mentre lo assaggiavo. Rise quando spalancai gli occhi e ingurgitai una gran sorsata in un colpo solo. «Sa di ghiacciolo. Li mangiavamo da piccole, te lo ricordi?», esclamai, entusiasta. Branna ridacchiò e annuì. «Me lo ricordo, ma vacci piano; è alcolico anche se dal sapore non sembrerebbe». Annuii e da quel momento mi limitai a piccoli sorsi invece di scolarlo. Dopo mezz’ora ero al terzo bicchierone di WKD e Branna alla terza vodka e cola. Mi aveva detto cosa stava bevendo su mia richiesta. «Devo fare pipì», dissi proprio mentre Branna saltava in piedi per ballare Scream di Usher. «Vuoi che venga con te?», gridò. Guardai da sopra una spalla; vicino alla zona buia c’era l’insegna al neon del bagno delle signore. Scossi la testa. «No, è qui a due passi. Torno tra un secondo». Branna mi osservò un momento, poi annuì. «Non sparire con nessuno e non accettare drink né altro che ti possano offrire, capito?». Annuii con decisione. «Sì, afferrato». Poi mi girai, passai accanto a un po’ di gente e attraversai un’aria più illuminata fino alle toilette. Feci quel che dovevo fare, mi lavai le mani e uscii. Appena due passi fuori dal bagno una ragazza inciampò in avanti. Sapevo che sarebbe caduta di faccia se non l’avessi acchiappata, quindi è ciò che feci, anche se fu un duro colpo per il mio fianco pesto. «Oh, mio Dio!», strillò la ragazza, poi rise quando le feci riprendere l’equilibrio. «Stai bene?», le chiesi; le lasciai il braccio e mi appoggiai una mano sulla pancia. Annuì e alzò gli occhi su di me; le luci stroboscopiche erano di nuovo accese, il che rendeva
difficile vederla bene in faccia. «Grazie piccola, c’è mancato davvero poco. Mi hai salvata». Sorrise raggiante, poi guardò indietro. «Mi ha salvata», urlò a tutti e nessuno. Risi piano, più per l’imbarazzo che per allegria, e chinai il capo, pronta ad allontanarmi. Prima che un corpo mi si parasse all’improvviso davanti, sbucando dalla zona buia a sinistra. «Che cazzo ci fai tu qui?». Riconobbi subito quella voce, perché mi disgustava, cazzo. Quindi, quando inclinai la testa all’indietro e incontrai i luminosi occhi grigi di Dominic Slater, ringhiai. «Non sono cazzi tuoi, ora levati!», esclamai, cercando di sembrare arrabbiata e non eccitata, la mia reazione alla sua presenza negli ultimi tempi. Tutto il mio corpo diventata ipersensibile vicino a lui. Fece un sorrisetto e avanzò di un paio di centimetri. Era tutto lo spazio disponibile tra noi, quindi a quel punto mi stava schiacciato addosso. Odiavo la perdita di controllo davanti a quel coglione; chiunque altro sulla Terra poteva infastidirmi senza che perdessi la calma e la capacità di ignorarlo, a parte Dominic. Non so cosa avesse, però mi turbava con troppa facilità e ne era consapevole. Anche se mi sentivo intimidita, ero pronta a litigarci e baciarlo allo stesso tempo. Mi confondeva e frustrava tantissimo. Alzai le mani con l’intenzione di spingerlo via, ma lui mi afferrò, mi fece fare una piroetta e mi tenne stretta da dietro, inchiodandomi la schiena al suo petto. “Come ha fatto?”, strillò la mia mente. Sapevo di fare schifo nel corpo a corpo, ma lui era stato troppo veloce. Anche il mio movimento fu troppo veloce per me, perché mi fece male soprattutto al fianco, strappandomi un sibilo. «Lasciami!», urlai. Cercai con gli occhi la ragazza che avevo salvato da una caduta di faccia per chiederle aiuto, ma era scomparsa, quindi imprecai contro di lei. Era quello il ringraziamento per averle preservato quel bel visino? Stronza! «Davvero, piccola, che ci fai qui?», domandò Dominic fra i miei capelli, vicino all’orecchio, per farsi sentire al di sopra della musica. Mi feci piccola piccola perché il suo respiro mi faceva il solletico. Rabbrividii e chiusi gli occhi per qualche secondo. Presi un profondo respiro e il suo profumo mi riempì facendomi girare un po’ la testa, ma ricordai a me stessa per chi mi stavo liquefacendo e scossi il capo, schiarendomi le idee. «Sono venuta con mia sorella», risposi. «Adesso lasciami». Mi lasciò, quindi balzai via. Girai su me stessa e gli mostrai il dito medio; rise. Lo aggirai e tornai da Branna. Quando raggiunsi il punto in cui l’avevo lasciata e non la trovai, cominciai subito ad andare nel panico. «Ehi, mia salvatrice, tua sorella mi ha chiesto di venirti a prendere. È seduta con noi». Mi girai e riconobbi la ragazza che avevo acchiappato al volo; inarcai un sopracciglio, ma la segui. Quando ci avvicinammo all’area buia e girammo a destra, notai dei tavolini con divani annessi. Erano fighi e spaziosi, le sedute erano nere e il tavolo di marmo sembrava argentato con una sfera luminosa al centro: fantastico. Esaminai le facce ignote fino a fermarmi su qualcuno che conoscevo. “Alec?”. Proseguii verso destra e vidi Kane e Damien. Quasi caddi per terra quando scorsi Dominic che sogghignava. Lo guardai male e passai oltre e, quando vidi mia sorella seduta in braccio a Ryder, mi
si mozzò il respiro. Non poteva succedere! «NO! Cazzo, non esiste», sbraitai. «Alzati, subito!». Branna spalancò la bocca; Ryder sospirò, mentre il resto della tavolata rideva o mi guardava come se fossi pazza. «Bronagh, non essere così maleducata. Lui è Ryder, stavo per presentarti…». «’Fanculo, sei letteralmente seduta con il nemico. Quello è Nico! Il tizio che ti stai scopando vestita è suo fratello!». Indicai l’americano bastardo dall’aria compiaciuta. Branna spalancò gli occhi. «Dominic è Nico? Quel Nico che ha cercato di…». «Sì!», la interruppi con veemenza. Branna tirò un pugno a Dominic come Muhammad Ali; fu così veloce che nessuno di noi ebbe il tempo di reagire. La faccia di Dominic venne spinta di lato, ma lui la rigirò altrettanto in fretta per fulminare Branna con gli occhi. Ryder balzò in piedi e la spinse via come se fosse spazzatura, e questo mi mandò in bestia. «Non ti azzardare a spingere mia sorella, bastardo!», sbottai e cercai di colpirlo per vendicarmi, ma lui si scansò. «Levati di torno, Branna, abbiamo finito», sibilò, palesemente arrabbiato perché aveva colpito il fratello minore. Branna rise senza allegria e mi prese per mano. «Credimi, tesoro, me ne vado». Ringhiò. «O rischio di uccidere quel pervertito del tuo fratellino per quello che ha fatto alla mia sorellina!». Non ebbi l’opportunità di rialzare il dito medio verso Dominic o di lanciargli anche solo un rapido insulto d’addio, perché Branna mi trascinò via con sé. Tornate sulla pista, l’abbracciai. «Porca puttana, Bran, sei stata grande. Hai dato un pugno in faccia a Dominic: sono così invidiosa!». Ero piena di ammirazione e gioia. Branna sorrise e mi strinse forte. «Nessuno infastidisce la mia sorellina, specialmente non un ragazzino matto con una bella faccia». Era una forza, sul serio! Stavo per chiederle come avesse conosciuto Ryder, ma mi interruppe gridando: «Adesso, balliamo!». Non me lo feci dire due volte; lasciai che mi conducesse tra la folla di corpi che oscillavano qua e là. All’inizio ero un po’ nervosa, poi mi feci trasportare da Branna, alzai le mani in aria e mi persi nella musica. Era troppo divertente, forse più di qualsiasi cosa avessi mai fatto in vita mia. Sapevo che dovevo uscire più spesso, ma essere lì in quel preciso momento era un grosso passo avanti rispetto al nascondermi dietro il mio Kindle a casa o l’iPod a scuola. Era un progresso, e mi rendeva felice. Dopo cinque canzoni e balli scatenati senza pensieri, io e Branna avevamo la gola completamente secca. Mi ordinò una vodka e cola piccola perché non mi sentivo affatto brilla dopo i tre WKD che avevo bevuto. Alla fine del suo quinto bicchiere lei era piuttosto su di giri. Io ero ancora al primo: aveva un sapore forte, lo sorseggiavo con molte pause, invece di scolarmelo con la stessa rapidità dell’altro drink. Io e Branna stavamo ridendo di una sua battuta, quando all’improvviso le luci alla nostra destra illuminarono il lato in ombra del club, scatenando forti acclamazioni e grida. La maggior parte della pista e della zona bar si svuotò, tutti correvano verso le luci. Misi a fuoco e notai una pedana rotonda
rialzata nel centro dell’area che avevano appena illuminato. Un’unica striscia nera correva attorno al bordo; sembrava importante, quindi chiesi a Branna cosa fosse. «Serve solo a indicare il limite del ring. Se un lottatore viene spinto al di là, è automaticamente eliminato. È un cerchio piuttosto ampio, quindi nessun gran lottatore lo supera mai; di solito sono i deboli che vengono pestati così forte da arretrare senza accorgersene e rendere più facile buttarli oltre la linea», mi spiegò. Spalancai gli occhi e puntai il dito. «E la gente attorno alla piattaforma?» «Di solito arretrano abbastanza in fretta da evitare di rimanere schiacciati». Sussultai. «È orribile!». «Fa parte dello sport». Branna si strinse nelle spalle. «È un miscuglio di diverse cose, soprattutto uomini sensuali, sexy, sudati, pericolosi, feroci…». «Oh, sta’ zitta», mugugnai, facendola ridere. «Signore e signori, benvenuti al Darkness!», esclamò all’improvviso una voce profonda dagli altoparlanti che fino a pochi secondi prima trasmettevano la musica. Sonore acclamazioni si scatenarono in tutto il club. «È venerdì sera qui al Darkness e sapete tutti questo cosa significa…». «Notte di lotte!», strillò in risposta la folla che circondava la piattaforma e la voce profonda rise piano negli altoparlanti. «Esatto, notte di lotte, ma stasera è un po’ diverso. Invece dei soliti tre combattenti, stasera ne abbiamo quattro». Altre acclamazioni. «I primi due ragazzi che saliranno quassù sono ancora nuovi quindi andateci piano, perché è poco ma sicuro che loro non lo faranno. Entrambi hanno combattuto un paio di volte nelle ultime settimane quindi forse li riconoscerete». Esultanza e strilli accanto a me. Alzai gli occhi al cielo: Branna era davvero una fan di quelle cose. «Fate spazio ai nostri nuovi ragazzi, tutti voi potrete scegliere il loro nome di battaglia durante l’incontro di stasera, quindi per il momento date il benvenuto a Nico e Drake!». Spalancai gli occhi. Cazzo, no! «Bronagh, è Nico, il tuo Nico!». Branna sobbalzò. “Il mio Nico?”. «Non è mio». Digrignai i denti. «E per favore, chiamalo Dominic, non mi piace quel nomignolo stupido». Branna mi mise a tacere con un gesto perché stava guardando lo spettacolo, così mi girai anch’io e osservai Dominic issarsi sulla piattaforma e saltellare su e giù scuotendo le membra. Era a torso nudo, e anche se l’odiavo con tutta me stessa la mia mente corse in automatico a quando quel corpo senza maglia era schiacciato contro il mio; rabbrividii, per poi scuotere la testa e sloggiare quei pensieri. Lo esaminai; portava pantaloncini neri che arrivavano un po’ sopra il ginocchio e guanti imbottiti senza dita. Aveva i capelli pettinati all’indietro, lontani dal viso; immaginai che ci avesse messo il gel perché restavano in quella posizione, dandogli un’aria scomposta. Sgranai gli occhi alla vista del suo braccio destro e della schiena mentre saltellava. Gli avevo visto le spalle nella sua stanza quand’ero scappata da lui, ed erano solo parzialmente coperte da un lato da
un tatuaggio tribale. Adesso, invece, c’erano più dettagli sulla spalla e la manica era completa. «Bel tatuaggio», commentò Branna. Ringhiai. «Lui non ci piace, ricordi?». Si strinse nelle spalle. «Sì, però non significa che non possiamo dire che ha un bel tatuaggio, perché è vero». Sbuffai. «È nuovo, qualche settimana fa la manica era incompleta». Branna mi guardò con la coda dell’occhio. «Già, all’epoca l’hai visto proprio bene il suo corpo, vero?». Le ringhiai contro, facendola ridere mentre prendeva in mano la vodka e cola. Feci lo stesso e buttai giù un bel sorso. Fui felice del bruciore nella gola e nel petto perché allontanava la mente da Dominic. Be’, finché non lo guardai di nuovo. Sospirai quando un altro ragazzo di pari altezza e corporatura si arrampicò sulla piattaforma. Era vestito come Dominic, solo che i pantaloncini e i guantoni erano blu scuro. «Quel Drake è sexy», esclamò Branna, deliziata. L’osservai da capo a piedi e mi trovai d’accordo: era sexy. Aveva un corpo muscoloso e attraente, era biondo e potevo solo immaginare due begli occhi azzurri a completare il tutto. «Si comincia». Branna sorrise raggiante e mi tirò giù dallo sgabello portandomi verso la folla. La seguii senza protestare e risi quando gridò: «Ammazzalo, Drake!». Drake la sentì e sogghignò dietro i guantoni in guardia alta, mentre Dominic lanciò una rapida occhiata in basso. E tra tutti incrociò proprio il mio sguardo e mi fissò truce, come pensasse che fossi stata io a parlare. Al diavolo, lo avevo pensato. Dominic riportò l’attenzione su Drake e al suono di un forte beep lo attaccò. Mi mancò il fiato quando lo colpì con un pugno sonoro in faccia; mi ricordava quando aveva preso a botte Jason e Gavin. Dal suo modo di combattere in quelle occasioni avrei dovuto capire che lo faceva spesso, insieme ai lividi in faccia e alla carne gonfia ovunque con cui arrivava a scuola certi giorni. Ma non era stato così e per questo vederlo in azione mi sbalordiva ancora. «Forza, Drake!», incitai il biondo; Branna esultò e qualcuno attorno a noi rise. Alcuni scandivano a bassa voce il nome di Drake, che in qualche modo si mutò in “il Distruttore”, e ciò attirò l’attenzione dello speaker. «Sembra che Drake abbia ottenuto il suo nome di battaglia: il Distruttore», ruggì, ottenendo alte grida in risposta. Iniziammo a scandire: «Il Distruttore». Sembrò che Drake ne ricavasse un’iniezione di fiducia perché buttò Dominic a terra e iniziò a martellarlo di pugni. «Olé», urlai battendo le mani. Ogni pugno che Drake assestava a Dominic nella mia mente si trasformava nel giusto compenso per tutta la merda che mi aveva fatto attraversare da quando lui e il fratello avevano iniziato la scuola. Il sorriso mi si cancellò dalla faccia quando Dominic riuscì a sollevare una gamba sotto Drake e calciarlo via. Balzò in piedi e non appena Drake cercò di rialzarsi lo rispedì giù con un calcio. Allora gli saltò addosso e scatenò una sventagliata di pugni veloci come proiettili contro la testa, protetta dalla guardia alta, e il petto e lo stomaco scoperti. L’avevo già visto in quelle condizioni
quando aveva fatto a botte con Gavin a scuola, era come se perdesse del tutto la ragione e non riuscisse più a fermare i pugni e gli altri colpi. «Caspita! Nico è diventato una furia, potrebbe finire presto gente!», affermò lo speaker. Allora si sentì scandire: «Furia» e seppi subito che sarebbe diventato il suo nome di battaglia. Aggrottai la fronte, era un buon soprannome, gli si addiceva. Fissai con molto astio la schiena di Dominic, ora madida di sudore. Un pugno dopo, lo stesso beep che aveva dato inizio all’incontro vi pose fine. Dominic si tolse da Drake e si girò nella mia direzione; mi trovò con lo sguardo e mi fissò truce, allo stesso tempo sogghignando per la mia espressione sconvolta. Non potevo crederci, aveva appena distrutto il Distruttore! «Furia vince; il Distruttore non può continuare. Fatevi sentire per FURIA!». Sbuffai di scherno mentre attorno a me impazzivano tutti; Dominic alzò le braccia in segno di vittoria, senza smettere di guardarmi con quel ghigno sulla faccia. Gli mostrai il dito medio e mimai con la bocca: «’Fanculo». Mi fece l’occhiolino, io sbuffai di nuovo e mi girai verso Branna, che spostava lo sguardo da me a lui con gli occhi sbarrati. «Che c’è?» «Ti ha guardata dopo avere ammazzato di botte quel ragazzo». Sbatté le palpebre. «Mi sa che gli piaci». Alzai gli occhi al cielo. «Voleva solo assicurarsi che l’avessi visto vincere. È quel genere di bastardo pieno di sé». Ottenni in risposta un’alzata di spalle. Quando Dominic e un Drake tutto pesto scesero dalla piattaforma, la voce annunciò altri due combattenti che sembravano più grandi. Ci furono altri due incontri, poi le lotte finirono. Ero sconvolta dal mio esultare e strillare quando quello per cui tifavo vinceva o perdeva. Era eccitante in una maniera perversa; cioè, mi divertivo a vedere dei ragazzi che si facevano il culo a vicenda, ma come chiunque altro là dentro del resto. Non ero sola, erano tutti sadici e perversi quanto me. A incontri finiti erano passate le due del mattino, dal momento che, a parte in quello di Dominic, nessuno era andato al tappeto prima di venti minuti o più. Già, proprio così, quella roba durava tanto. Ci vedevo doppio e avevo la testa confusa, quindi chiesi al barista un bicchiere d’acqua prima che io e Branna ce ne andassimo. Giunsi alla conclusione che ero ubriaca quando caddi risalendo le scale del Darkness e scoppiai a ridere. Anche Branna era ubriaca, ma non sembrava avere problemi a camminare e rideva solo un po’ quando io facevo o dicevo qualcosa di stupido. «Su, andiamo a casa», annunciò una volta fuori. Salutai con la mano Skull, che non mi sembrava più un serial killer, con la sua faccia allegra e sorridente. «È stato grandioso!», gli urlai. Rise e mi salutò. «Arrivate a casa sane e salve, signore». «Ma certo». Branna rispose al saluto. Mi teneva un braccio sulle spalle mentre scendevamo lungo il sentiero con gente davanti e dietro di noi. Scossi la testa, cercando di liberarmi della confusione che mi avvolgeva. «Ehi, piccola», disse una voce alla mia sinistra. Guardai e subito sorrisi. «Drake!», urlai. «Sei il Distruttore! Ti ho visto c-combattere stanotte! Sei stato grande!». Aveva la faccia piuttosto malconcia, ma sorrideva comunque, quindi non doveva fargli poi tanto
male. «Mi hanno fatto il culo, ma grazie». Rise. «Migliorerò quando riuscirò ad allenarmi in modo decente». Annuii. All’improvviso mi sentivo al settimo cielo. «Scommetto di s-sì». Mi fece un sorriso compiaciuto e guardò Branna. «Tu e la tua amica avete voglia di venire a una festa?». Branna drizzò le orecchie. «Una festa?», chiese, facendo sogghignare Drake. «Dove?» «Upton, Nico dà un party per celebrare la sua vittoria di stasera». Mi adombrai subito. «Non possiamo». Drake si accigliò. «Perché?», chiese. «Perché io e Dominic ci odiamo e poi mia sorella gli ha dato un pugno in faccia poco fa, quindi non saremo invitate», dissi, poi scoppiai a ridere quando Branna sghignazzò al ricordo di ciò che aveva fatto. «Sono certo che a Nico non dispiacerà». Drake lanciò un’occhiata oltre la mia spalla. Adesso ridacchiavo io. «No, davvero», insistetti. «Gli dispiacerebbe». «Non mi dispiacerebbe affatto, bellezza». Mi pietrificai. “Perché compare nei momenti meno opportuni?”, commentai con disprezzo dentro di me. “È come un cazzo di herpes”. Mi irrigidii. «Fottiti, Dominic». Drake inarcò un sopracciglio, guardò dietro di me e chiese: «È la tua donna, amico?». Scoppiai a ridere, come se avesse detto la cosa più divertente del mondo. «La sua donna?». Storsi la bocca. «Cazzo s-se lo sogna…». «Già». Dominic mi interruppe. «È mia». Drake annuì, anche se non sembrava più allegro. «Allora ci si becca in giro, piccola. Ci vediamo da te, amico». «Sì, fratello, a dopo». Girai su me stessa, trascinandomi dietro Branna, e mi ritrovai davanti Dominic… e tutti i suoi fratelli. La mia testa scelse quel momento preciso per mettersi a girare. Li fulminai con gli occhi, tutti, tranne Damien, e poi alzai la mano che non stringeva Branna e la puntai verso la faccia rossa e un po’ gonfia di Dominic. Lui incrociò le braccia al petto con un sopracciglio arcuato e un sogghigno accennato sulle labbra tumefatte. «T-tu, stronzetto succhiacazzi, non sono tua. N-non sono niente per te e se ti azzardi a d-dirlo di nuovo…». Mi interruppi nel sentire Branna che prendeva fiato e si accasciava, causandomi un dolore immane perché dovevo sostenerla con tutte le mie forze. «No, Branna, non farlo», supplicai. «Non mi v-vomitare addosso e non morire, non posso portarti a casa; sto di m-merda!». Quando sentii i ragazzi ridere, alzai gli occhi e ringhiai. «’Fanculo a tutti… tranne te, Damien, tu sei g-gentile», dissi; Damien rise e Dominic brontolò. «Dammela, la porto a casa io».
Sentendo parlare Ryder, lo guardai. «Eh, no, pensa che sei un c-coglione, e anch’io, e ti prenderà a pugni se si accorge che sei c-con lei». Ryder ghignò e abbassò lo sguardo su Branna. «Correrò il rischio». Alzai gli occhi al cielo e vacillai un po’, perché quel movimento mi aveva dato di nuovo le vertigini. «Ti tengo». Sentii il peso del corpo di Branna che veniva sollevato dalle mie braccia e mi costrinsi ad aprire gli occhi e fissare truce quelli argentati chini su di me. «Lasciami. Andare», ringhiai. «Ok», cinguettò Dominic e mi lasciò, solo per riafferrarmi quando mi cedettero le ginocchia. Rise sollevandomi e stringendomi contro il suo corpo solido. «A quanto pare hai bisogno di me, bellezza». Odiavo ammetterlo, ma iniziava a piacermi molto quando mi chiamava così. «Non sono nemmeno b-bella», risposi, ignorando, ubriaca com’ero, il commento sull’avere bisogno di lui: non l’avrei ammesso mai nella vita. Mai. La replica di Dominic fu una risatina, mi strinse tra le braccia e mi trasportò da qualche parte. Il mio ultimo pensiero coerente prima che tutto diventasse nero fu che Dominic Slater avrebbe tagliato me e mia sorella a pezzettini, con l’aiuto di parte dei suoi fratelli. “Tranne Damien”, urlò la mia mente. “Non lo aiuterebbe mai perché lui è gentile”.
Capitolo nove
Dolore. Non sentivo altro nella testa e nel corpo, sbattendo le palpebre e aprendo gli occhi solo per richiuderli e stringerli pochi secondi dopo. Non c’era molta luce; in effetti la mia camera era buia, a indicare che le tende erano chiuse, quindi non era quello che mi faceva male alla testa. Le mie stesse azioni avevano causato quel pulsare terribile e le contrazioni allo stomaco. Se anche non mi fossi ricordata di essermi sbronzata, il saporaccio che avevo in bocca confermava che mi ero scavata la fossa da sola. “Alcol”, pensai, e quasi maledissi a Branna per avermi portata fuori la sera prima. Mi rilassai sul letto, mi stiracchiai un po’, poi mi sedetti piano piano. «Branna?», chiamai, sperando che mi rispondesse per poterle chiedere un po’ d’acqua. L’ultima cosa che ricordavo era Ryder che si offriva di aiutarmi con lei. Ricordavo Dominic che parlava con me, poi il buio. «Rimettiti giù, non avevo finito di coccolarti», disse una roca voce maschile, facendomi strillare a pieni polmoni. Mi affannai ad alzarmi dal letto e finii di culo sul pavimento. Urlai di dolore, ma mi rialzai in fretta, le braccia sollevate per respingere il mio aggressore. «Davvero vuoi batterti con me a occhi chiusi?». Adesso la voce sembrava divertita. Costrinsi gli occhi ad aprirsi del tutto, e quando si posarono sul proprietario della voce ansimai e urlai di nuovo. «Cosa… cosa sto… sto…». «Al momento stai balbettando, il che rende difficile capirti. Già hai un accento marcato, aggiungi che tartagli a manetta e in pratica parli cinese». Il mio accento non era così incomprensibile. «Vaffanculo», abbaiai. «Che ci faccio qui? In casa tua, nella tua stanza, nel tuo cazzo di letto?». Dominic fece un sorrisetto che mi annodò lo stomaco. «Ti prego», bisbigliai. «Non dirmi che… noi… abbiamo fatto… quello». «Quello?», ripeté. Sollevò le mani dietro la testa e sorrise sornione. «E cosa sarebbe, bellezza?». Odiai i miei occhi per essere scattati subito verso il suo petto; vedevo flettersi i muscoli delle braccia che si sollevavano e anche il tatuaggio che si curvava a spirale sulla schiena fino al fianco, su per la spalla e giù per il braccio destro. «Ti godi il panorama?». Lo guardai di scatto in faccia, torva. «Abbiamo fatto sesso?», ringhiai. Scosse la testa. «No, non l’abbiamo fatto. Altrimenti te ne ricorderesti perché saresti stata perfettamente sobria». Rilasciai un enorme sospiro di sollievo.
“Non ho fatto sesso con lui”, pensai. “Dio, grazie”. «Grazie, Gesù», dissi al cielo, poi riabbassai gli occhi e lo fissai con aria torva, mentre lui mi misurava con lo sguardo. «Come osi infilarmi nel tuo letto quando non sono lucida? Come cazzo osi…». «Come oso?», sbottò all’improvviso, saltò in piedi e mi si avvicinò a gran passi. Ero arrabbiata con lui, eppure mi accorsi che indossava solo i boxer e aveva un paio di lividi sul petto, le spalle e la faccia. Ovviamente venivano tutti dall’incontro della sera prima. «Eri tu quella così ubriaca da non stare in piedi. Cercavi di aiutare tua sorella quando ti reggevi a malapena tu stessa. E tanto per la cronaca, sei stata tu a preferire il mio letto allo startene di sotto a festeggiare con tutti gli altri. Mi hai detto tu che volevi che dormissi con te e che ti abbracciassi. L’hai chiesto tu, non io, cazzo». Tempo che finisse e avevo gli occhi sbarrati; deglutii, la gola un po’ secca. «Non ti credo…». «Be’, farai meglio a cominciare perché è vero!», ringhiò entrando nel mio spazio personale, la testa abbassata su di me, terrorizzandomi a morte. «Ero ubriaca, ecco perché ho detto qualsiasi cosa mi sia uscita di bocca ieri notte. Non me lo ricordo quindi non è successo…». «È successo, e ti è piaciuto. Cazzo, facevi le fusa per le mie coccole». Facevo le fusa? Che cazzo pensava che fossi, un gatto? «Gli umani non fanno le fusa…». «Piccola, emettevi un suono vibrante di fusa perché eri rilassatissima e soddisfatta tra le mie braccia. Che ti piaccia o no, te la sei goduta a dormire con me!». Ridussi gli occhi a due fessure. «Ero ubriaca». «È questa la tua scusa? Ti sei comportata a quel modo perché eri ubriaca?». Eh, sì! «Ma è ovvio. Dominic, non ti sopporto quindi dovevo essere ubriaca da perdere il lume della ragione per infilarmi di mia volontà nel tuo letto e volermi far toccare da te!». I suoi occhi d’argento si infiammarono. «Sai una cosa, Bronagh?». Mi fulminò con lo sguardo. «Fottiti, e già che ci sei levati quel bastone che hai infilato nel tuo culone poderoso». Gli diedi uno schiaffo dritto in faccia. Non mi importava nemmeno se mi restituiva il colpo, non si sarebbe trattato di un maschio che picchiava una femmina, perché a quel punto gli avevo messo le mani addosso più di quanto qualsiasi persona dovrebbe mai fare con un’altra, ma se le cercava. Mi girai per uscire di furia dalla sua stanza, ma una mano mi afferrò i capelli e un braccio mi circondò la vita, immobilizzandomi. «Lasciami!», urlai, le mani che balzavano ad aggrapparsi a quella che mi teneva i capelli. «No», mi ringhiò all’orecchio. «Mi hai colpito di nuovo». «Mi hai insultata quindi non me ne fotte un cazzo!», strillai. I suoi denti, sì, i suoi denti, mi affondarono nel collo e morsero. Sapevo che non poteva essere tanto forte da perforare la pelle, però mi fece male; mi fece un cazzo di male. Strillai di nuovo e slanciai le mani all’indietro, percuotendo ogni parte di lui che riuscivo a
raggiungere. «Ti ucciderò!», giurai. D’un tratto mi tolse mani e bocca di dosso, quindi girai su me stessa e gli balzai contro mulinando i pugni. Andammo a sbattere l’uno contro l’altro e ricademmo sul letto; rimasi sopra per circa tre secondi, prima che Dominic ci facesse rotolare e mi inchiodasse sotto di sé. Ero acutamente consapevole di indossare solo il vestito della sera prima, che mi si era sollevato fin quasi alla vita, scoprendo la biancheria intima e le cosce nude. «Pizzo blu? Pensavo fossi più tipo da mutandoni della nonna…». «Togliti di dosso!», gli ordinai e cercai di prenderlo a calci visto che mi bloccava le braccia al letto, ma lui si schiacciò tra le mie gambe per impedirmelo. «Calmati, non serve a niente comportarsi da psicopatica!». «Oh, mio Dio, ma sai qualcosa delle donne o delle persone in generale? Insultare qualcuno che stai cercando di calmare fa l’effetto opposto, coglione!». Ignorai il fatto che avrei dovuto seguire il mio stesso consiglio, perché in quel preciso momento Dominic era arrabbiato quanto me e inveirgli contro non l’avrebbe reso più felice. Scosse la testa, sibilando. «In questo momento potrei strozzarti davvero, cazzo, sei impossibile!». «Se non fosse illegale, ti ammazzerei!». Allora Dominic arricciò le labbra, poi scosse la testa. «Idem, bellezza». Ringhiai e lui mi lanciò un’occhiataccia. Abbassò la testa; trattenni il respiro quando la punta del suo naso toccò il mio, facendomi battere forte il cuore. «Ti odio», riuscii a dire a fatica. Ebbe un tic nervoso all’occhio. «Ti odio anch’io». Poi abbatté la bocca sulla mia e mi baciò con una voglia e un’intensità che mi sorpresero. Chiusi gli occhi, le palpebre frementi, e cercai di stringere le gambe perché i brividi che stavo provando in quel momento correvano tutti in una specifica direzione. Dominic era tra le mie gambe, perciò la mia stretta gli strizzò le anche e lui mi ringhiò contro. I miei fianchi sobbalzarono premendo contro i suoi. Lo odiai tantissimo per le reazioni che induceva nel mio corpo. Lo odiai ancora di più quando aprii la bocca per lui e ricambiai il bacio, con forza! «Cazzo, mi fai impazzire», brontolò nella mia bocca. “Idem, collega!”, esclamai dentro di me. Mi lasciò i polsi e si appoggiò sui gomiti, chinandosi su di me. Avrei dovuto usare le mani per spingerlo via o artigliargli la faccia o qualcosa del genere, ma non lo feci. Feci una cosa stupida e gli cinsi il collo con le braccia e gli avvicinai il più possibile la testa alla mia. Ci baciammo, e fu il replay esatto della scena della volta precedente in camera sua. Mi aveva supina sul suo letto, pronta a dargli qualcosa che non spettava a lui prendere. «Bronagh?», sentii Branna urlare, poi iniziò a battere con veemenza sulla porta di Dominic. Lui ringhiò nella mia bocca, e di nuovo quando io mi scostai. «Siamo occupati!», gridò a mia sorella. Chiunque fosse lì fuori con Branna rise, poi guaì di dolore. «Allontanati da mia sorella, stronzetto maniaco, o ti disintegro!», sbraitò lei.
Spinsi Dominic. «Togliti», esalai. Lo fece, quindi mi alzai in fretta e risistemai il vestito. Afferrai la borsa che era lì per terra e mi guardai intorno in cerca delle scarpe, ma non le trovai, quindi lasciai perdere, corsi alla porta e l’aprii. «Non mi ricordo niente, non so come sono finita quassù, ma non ho fatto nulla con lui, lo giuro!», dissi subito a Branna, che aveva un aspetto malconcio quanto sentivo di essere io. Mi osservò, posò gli occhi sul mio collo e arrossì. «Meglio che tu non l’abbia toccata senza permesso…». «No!», urlò Dominic. «Non sono un cazzo di stupratore!». Branna emise un suono rabbioso. «Meglio per te, perché se le hai fatto del male in qualsiasi maniera sarò io a stuprare te!». Il ghigno di Dominic bastò a farmi arrabbiare di nuovo con lui. «Puoi violentarmi quando vuoi, splendore». Mi mancò il fiato. «Sei un coglione!», sbottai. Spostò lo sguardo su di me, poi lo alzò al cielo con un sospiro. «Scherzo, non prendertela con me per questo. Anche se tua sorella è davvero sexy da far paura, tu lo sei di più». “Doveva essere un complimento o cosa?”. «Smamma, Dominic». Mi girai verso Branna e la presi per mano. «Ce ne andiamo!». Annuì, poi si voltò verso la figura alle sue spalle. «Levati!», esclamò. «Non ti lascio andare via finché non mi avrai ascoltato!», disse Ryder in tono fermo. Sbuffai. «Non puoi tenerla qui, stronzo». Mi guardò e socchiuse le palpebre. Mi spostai un pochino dietro Branna, perché mi accorgevo solo allora di quanto fosse più grosso di me; era persino più alto di Dominic. «Non guardare mia sorella a quel modo, mi hai sentito? La stai spaventando!», urlò Branna. Ryder si sfregò la faccia con le mani. «Bran, piccola, non sapevo che Bronagh fosse tua sorella. La chiamavi Bee quando parlavi di lei. Se avessi saputo chi era te l’avrei detto, così non mi avresti guardato come ieri sera». Sbarrai gli occhi. “Si conoscevano?”. «Ferma, riavvolgi e stop. Branna… esci con lui?», domandai, la voce intrisa di shock evidente. Mi guardò e si fece scura in viso. «Non te lo stavo nascondendo, tesoro. L’ho incontrato qualche settimana fa quando sono stata al Darkness con Aideen. Andavamo d’accordo e siamo usciti insieme qualche volta da allora; non ti avrei parlato di lui prima di essere sicura. So cosa provi per la gente e non volevo portarlo a casa se non ero certa che sarebbe rimasto». A quel punto perforò Ryder con lo sguardo e lui la stava fissando con una tale intensità che si mozzò il respiro a me. «Che problema hai con la gente, Bronagh?», chiese Dominic alle mie spalle, facendomi andare in tensione. Branna sentì la mia mano afferrare la sua, quindi lo guardò. «Non sono affari tuoi». Poi si rivolse di nuovo a Ryder. «Non posso farle questo; non le piacete, il che significa che non potrebbe funzionare tra noi». Ryder sembrava fuori di sé quando l’afferrò e la trascinò via per parlare in privato, ma non servì a
niente perché sentivo lo stesso ogni parola. «Non puoi mollarmi solo perché a tua sorella non piace entrare in confidenza con le persone, Branna. Mi piaci davvero e tengo a te, un sacco. So che tu provi lo stesso per me. Non voglio chiudere, voglio che tu sia la mia ragazza. Possiamo andare per gradi. Non costringerò Bronagh a uscire dalla sua bolla di sicurezza, ma ti prego non rinunciare a me, a noi». Mi si spezzò il cuore per Ryder; non sapevo che ci fosse qualcosa tra lui e Branna. Pensavo che l’avesse appena abbordata la sera prima quando l’avevo trovata sulle sue ginocchia, ma immagino che fossero una specie di coppia e che fossero seduti a quel modo per questo. Aveva senso, pensando a come Branna aveva detto di volermi presentare prima che la interrompessi. Era ovvio che le cose erano precipitate da allora perché non si sorridevano più né facevano i piccioncini come prima che si scatenasse l’inferno. Era chiaro che avevano litigato per via di Dominic e me, e questo mi faceva sentire di merda. Non era giusto che non stessero insieme a causa nostra, né, soprattutto, a causa mia. «Branna», mugugnai. Mi guardò, gli occhi pieni di lacrime. Era chiaro che ricambiava i sentimenti di Ryder; non voleva rompere con lui e io non volevo che lo facesse. «Non lasciarlo», dissi, abbassando la testa. «Io… io mi sforzerò di più per te; promesso». Allora Branna si mise a piangere e disse: «Piccola, non devi sforzarti per me. Fallo per te stessa, quest’atteggiamento mentale che hai non è sano. Voglio che lasci entrare altre persone; non posso esserci solo io nella tua vita. Se mi succedesse qualcosa, saresti sola al mondo e questo mi terrorizza più di tutto, Bee». Annuii; sapevo che era strano limitarmi a una persona sola, ma avevo paura di permettere a chiunque altro di diventare parte della mia vita perché sapevo che sarebbe potuto andarsene in fretta come era arrivato e odiavo la preoccupazione che accompagnava questa consapevolezza. «Ok, ci proverò. Promesso». Annuii. Mi baciò sulla guancia e mi abbracciò forte. Quando ci separammo, guardai Ryder e incontrai imbarazzata il suo sguardo. «Mi dispiace di averti causato problemi, Ryder». Mi sorrise. «Penso che tu me ne abbia appena risparmiati parecchi, Bronagh». Gli rivolsi un leggero sorriso, perché quando guardò Branna sembrava davvero felice. Era incredibile che non sapessi niente di lui. «Non posso credere che tu non mi abbia detto niente. Di solito non riesci a tenere la bocca chiusa, non so proprio come hai fatto a non farti scappare neanche una parola». Branna rise, tirò su col naso, poi si sfregò le narici. «È stato orribile. Volevo dirtelo un milione di volte e invece dovevo mordermi la lingua o parlare di qualcosa a caso». Ridacchiai. «Quindi, siete tipo una coppia vera? Fidanzato e fidanzata?». Si guardarono, sorrisero e annuirono. Borbottai: «Dovrebbe essere interessante». Ryder mi guardò. «Perché?» «Perché lei è uno scherzo della natura e presto scoprirai cose che ti faranno scappare a gambe levate. Per esempio, è ossessivo-compulsiva quanto alle pulizie di casa e ha personalità multiple. Non scherzo, un momento è mia sorella e il momento dopo è mamma e papà». Branna mi tirò uno schiaffo sul braccio, Ryder rise. «Perché mai dovrebbe essere tua madre o tuo padre?», domandò Dominic.
Abbassai subito lo sguardo; mi ero scordata che era lì. Aveva appena orecchiato tutta la conversazione. Oh, mio Dio. «I nostri genitori sono morti nove anni fa, Nico, sono suo tutore legale da quando ho compiuto diciannove anni. Mi sono assunta il ruolo di crescerla quando i nostri genitori sono deceduti, quindi mi considera sua sorella, mamma e papà tutto in una volta. Ha ricordi limitati con loro, perché era piccolissima quando se ne sono andati. Non ne parla mai». Strinsi gli occhi, la mia mente si riempiva dell’immagine del viso pallido di mia madre incorniciato dai capelli castani liberi al vento mentre correva inseguita dall’alta figura di mio padre nel giardino sul retro. Branna assomigliava alla mamma con la sua faccia a forma di cuore e gli occhi azzurri, mentre io avevo alcuni tratti di papà, con la carnagione pallida e i luminosi occhi verdi. Quello riuscivo a ricordarlo senza guardare le fotografie. Non sapevo perché, ma non avevo altri ricordi a parte quel singolo momento dei miei genitori che scherzavano nel giardino sul retro. Quand’ero più piccola mi ero rifiutata di vedere uno psicoterapeuta, ma uno aveva espresso a Branna l’educata opinione che l’impatto e il trauma della loro perdita avevano causato un allontanamento completo dalla mia mente. Volevo bene ai miei genitori e sentivo un dolore al petto quando pensavo a loro, per questo non lo facevo spesso. Credevo che fosse un bene ricordarli a malapena. Rendeva la perdita più o meno sopportabile anche dopo tanti anni. A qualcuno piaceva parlare dei propri cari estinti e decorare la casa con le loro fotografie, ma non a me e Branna. Celebravamo alcune cose, come i loro compleanni, l’anniversario di matrimonio e quello di morte, ma a parte questo non avevamo nessun memento, era semplicemente più facile così. Faceva meno male. Il ricordo svanì e io riaprii gli occhi sbattendo le palpebre e scoprii che c’era silenzio, finché Dominic non parlò di nuovo. «Per questo hai problemi con la gente, non vuoi entrare in confidenza con nessuno a scuola o altrove perché hai paura di perderli come hai perso i tuoi genitori?». Spalancai gli occhi; aveva centrato il bersaglio. «Dominic», esclamò Ryder, «mostra un po’ di compassione». «Ho solo fatto una domanda», si difese. «Quando i nostri genitori sono stati uccisi tu ti sei assunto il loro ruolo come ha fatto Branna, ma io non ho allontanato tutti per paura che morissero. È un modo merdoso di vivere». Quelle parole mi ferirono, perché erano verissime. «Voglio andare a casa», dissi, con le lacrime agli occhi. «Bronagh», sussurrò Branna e si affrettò a seguirmi quando spinsi via Ryder e corsi verso le scale. Sentii Ryder urlare. Poi i ruggiti di Dominic che mi diceva di aspettare e mi chiedeva scusa. Ignorai tutto e tutti e percorsi le scale a gran velocità. Fu un miracolo non cadere e rompermi l’osso del collo, perché un paio di volte incespicai, barcollando. Alla fine però dovetti rallentare, perché c’erano delle persone sdraiate sulle scale del piano terra, il che mi ricordò perché mi trovavo lì. La festa. Sentii la mano di Branna prendere la mia quando mi raggiunse e ci facemmo strada attorno ai corpi addormentati e ubriachi sparsi per tutto il piano terra. Udii delle risatine e suoni di baci, così mi girai e vidi Damien che accompagnava una ragazza fuori dalla cucina e verso il corridoio che conduceva alla porta d’ingresso. «Bronagh!», sussultò la ragazza quando i suoi occhi si posarono su di me.
Era Destiny. Oh, Gesù! Spostai lo sguardo tra lei e Damien; lei era sconvolta, lui mi guardava con un sorrisetto in faccia. «Piccola, ascoltami prima di andartene…». «Dominic, lasciala in pace!». Sbattei le palpebre trovandomi davanti all’improvviso Ryder e Dominic. Gli occhi di Destiny in pratica uscirono fuori dalle orbite. «Tu e Nico?», ansimò, guardandolo lì in boxer. Scossi la testa con furia. Aveva la bocca larga e se le lasciavo pensare quel che stava pensando avrebbe sparso la voce per tutta la scuola entro la prima ora di lunedì. «No, no. Sono qui con mia sorella e il suo ragazzo, Ryder. È il fratello maggiore di Dominic e Damien; tutto qui». Destiny sospirò e sembrò credermi, fin quando Dominic non mi si piantò proprio di fronte. «Allora cosa c’è stato lì di sopra? Non hai dormito con tua sorella ieri notte, Bronagh; sei stata nel mio letto e c’ero io con te!». «Oh, mio Dio! Avete dormito assieme?», squittì Destiny, la faccia contorta dalla rabbia. «Sul serio?». Ovviamente la sua versione di “dormire” non era la stessa mia. Damien in pratica la sollevò di peso e la trascinò in corridoio e fuori di casa non appena Branna si fiondò addosso a Dominic e Ryder dovette trattenerla. «Quella ragazza pensa che Bronagh sia venuta a letto con te!», urlò. Dominic la fissò torvo. «L’ha fatto!». Branna si girò di scatto verso di me, che alzai le mani. «Intende in senso letterale; abbiamo letteralmente dormito uno accanto all’altra e basta». Branna alzò le braccia al cielo e indicò Dominic. «Capisco perché non ti sopporta. Sei uno stronzetto che rigira le parole come vuole!». Dominic ghignò e questo fece arrabbiare Branna ancora di più. Lo spinsi nel soggiorno-palestra cosparso di bevande e cartacce. Sbattei le doppie porte dietro di noi e mi girai a guardarlo. «Sai che Destiny dirà a tutti quello che ha visto e sentito. Tutti penseranno che abbiamo fatto sesso e che sto con te o qualcosa del genere!». Dominic si strinse nelle spalle. «E allora?». Lo fissai a bocca aperta. «Allora è una bugia, non è vero niente!». Avanzò verso di me. «La parte sullo stare insieme potrebbe essere vera». Risi. «Che fai, sfotti?». Mi lanciò un’occhiataccia. «No, lo sai. È vero, ti odio, Bronagh e certe volte non ti sopporto. Ma sono anche attratto da te più che da qualsiasi altra ragazza incontrata in vita mia. Ti voglio». Rimasi lì a guardarlo. «Quindi vuoi che stiamo insieme perché mi desideri anche se mi odi?». Fece spallucce. «Se desiderare significa essersi preso una cotta, allora sì. Ho una cotta per te e una volta che avremo sbrigliato i nostri sentimenti scommetto che ci piaceremo a meraviglia…». «Tu hai qualcosa che non va, hai un modo di pensare del tutto sballato!». Sorrise. «Fidati, lo so». Sospirai. «Dominic, lasciami in pace e basta. Per favore!». Incollai lo sguardo al suo e lui rimase a fissarmi intensamente, per poi sospirare forte.
«Ok, se vuoi andartene e non darci nemmeno una possibilità, allora vai. Fuori». Il sollievo del peso che mi tolsi dalle spalle fu immenso come il dolore orribile che mi riempì di colpo il petto. Non sapevo perché facesse male quando avrei dovuto solo essere contenta. Mi costrinsi a non pensarci. «Ok». Annuii, poi mi girai e tornai nell’ingresso, dove Ryder stava svegliando delle persone per buttarle praticamente fuori a calci. «Possiamo andare?», domandò Branna. La porta della palestra sbatté alle mie spalle e d’un tratto esplose una musica a tutto volume; Ryder sospirò. «È arrabbiato», mormorò guardando la porta, poi me. «Che gli hai detto?». Mi strinsi nelle spalle. «Voleva che ci mettessimo insieme, che fossi la sua ragazza, ma gli ho detto di no, perché tra noi non funzionerebbe». Ryder mi fissò per un istante, poi sorrise e disse: «Penso che tu sia l’unica a cui abbia mai chiesto di essere la sua ragazza, e l’hai respinto. Questo potrebbe dargli una svegliatina e fargli capire che non è Dio». Branna sbuffò, ironica. «Ne dubito, tuo fratello ha un ego troppo grande perché la cosa non gli scivoli subito di dosso». Ero stufa di tutto ciò che concerneva quella conversazione. «Possiamo andare a casa adesso?». Branna annuì. «Sì, ho bisogno di cibo e sonno». «Già, ci sono un po’ mancati ieri notte». Ryder la guardò con un sorrisetto. Avevo la nausea. «Senti, Ryder», esordii. «Sto cercando di essere comprensiva verso il tuo ingresso improvviso nella mia vita come nuovo fidanzato di mia sorella, sul serio, ma non parlare mai, dico mai, di sesso con lei in mia presenza. Altrimenti ti vomiterò addosso. Chiaro, fratello?». Branna si schiaffò una mano sulla fronte, Ryder invece si morse il labbro e si schiarì la voce. «Chiaro, Bronagh». «Fantastico». Ci accompagnò a casa in macchina e grazie al cielo viaggiammo in silenzio. Non sapevo cosa dire o di che parlare con lui, quindi rimasi zitta. Una volta arrivate, Branna si allungò a dargli un bacetto a fior di labbra, poi mi prese per mano. «Ti chiamo dopo». Ryder annuì e la guardò allontanarsi risalendo il giardino verso il portico; lei lo salutò con la mano mentre io aprivo la porta di casa. Una volta dentro mi immobilizzai e girai lo sguardo intorno. «Qui non è cambiato niente eppure sembra tutto così diverso», mormorai. Le braccia di Branna mi circondarono da dietro. «Per noi è un nuovo capitolo. Sta succedendo qualcosa di nuovo e ci vorrà un po’ a tutte e due per abituarci». Annuii perché aveva ragione; speravo solo di abituarmi davvero alla presenza di Ryder, perché altrimenti avrei spezzato il cuore di Branna.
Capitolo dieci
«Mi sa che il tuo sedere sta diventando ogni giorno più grosso, Bronagh», scherzò Jason. Chiusi gli occhi e sospirai, entrando a lezione di educazione fisica nel salone principale della scuola. Tutte e quattro le quinte si univano per quella materia, perché non eravamo classi molto numerose e dovevamo raggiungere il numero minimo per giocare a calcio o ad altro una volta finito con la corsa e i vari esercizi orribili. Dopo la frecciata di Jason sulle dimensioni delle mie chiappe, il mio più grande desiderio era rientrare nello spogliatoio delle ragazze, prendere la giacca della tuta e legarmela in vita. Ma non lo feci; invece, mi limitai a una scrollata di spalle. «Non vedo perché il mio fondoschiena dovrebbe riguardarti», replicai avvicinandomi alla zona in cui ci dovevamo allineare per i giri di corsa. «Mi permetto di dissentire; vedi, mi distrae tantissimo», proseguì Jason, sogghignando mentre i suoi amici facevano commenti volgari sull’utilizzo che avrebbero potuto fare del mio didietro. «Allora non guardarlo», ringhiai. «Credo che il punto di Jason, Bronagh, sia che è difficile ignorare il tuo culo a causa della sua grandezza, perciò distrae tantissimo». Oh, Dio, separati riuscivo ad affrontarli in qualche modo, ma insieme? Avrei potuto sbriciolarmi e morire lì! «Allora voi due correte davanti a me, così non sarò una cazzo di distrazione!», sbottai. Dominic e Jason risero con gli amici di quest’ultimo. Scossi la testa. «Siete davvero due coglioni. Scommetto che vi scopereste alla grande fra voi». Mi pentii di quelle parole appena le ebbi pronunciate, perché capii dal sorrisetto allargatosi sulla faccia di Jason che stava per dire qualcosa che mi avrebbe fatto venire voglia di ucciderlo o correre a casa a piangere. «Non penso che funzionerebbe granché bene dal momento che il cazzo di Nico si è infilato nel tuo culo, il mio non lo attirerebbe molto, dopo quello». Oh. Mio. Dio. «È una fottuta bugia!», urlai. Jason e i suoi amici risero e guardarono Dominic, che mi osservava con un ghigno malizioso. Avanzai verso di lui e lo spinsi su una spalla; non vacillò nemmeno. «Diglielo che è una bugia!», gli ordinai. La festa dopo il Darkness era stata il venerdì, e quella mattina, di lunedì, all’arrivo a scuola era apparso chiaro che Destiny e la sua bocca si erano date un gran da fare nel fine settimana, perché tutti sapevano che io e Dominic avevamo dormito assieme. Solo che pensavano che avessimo fatto sesso, e non era vero!
«Che cosa è una bugia?», domandò Dominic con aria innocente. Sentii l’occhio sinistro contrarsi. «Digli che non abbiamo dormito assieme!». Inarcò un sopracciglio. «Ma l’abbiamo fatto». Jason e i suoi amici risero, esultarono e batterono le mani, mentre io sentivo tutto il corpo andare a fuoco per la rabbia. «Però non abbiamo fatto sesso!», ringhiai. Dominic stava per aprire la bocca, quando all’improvviso Jason si mosse e mi si materializzò accanto. «Quando tocca a me fare un giro sul tuo sedere e sulla tua figa visto che non sei più una piccola vergine Maria?». Dominic inarcò le sopracciglia e perforò Jason con lo sguardo, cosa che lo zittì, ma solo un po’. Volevo piangere. Non era proprio giusto; ero davvero vergine e non avevo fatto sesso con Dominic, ma tutti gli altri pensavano il contrario e all’improvviso ero diventata la puttana della scuola. Ingoiai la bile che mi saliva in gola e ringhiai. «Se non mi lasci in pace riferirò a Micah quello che hai detto». Jason sospirò, scosse la testa e tornò vicino a Dominic. «Stronza del cazzo», mi sputò contro, e i suoi compari risero. Alzai gli occhi al cielo. «Sei tu lo stronzo, coglione!». Risero tutti, quindi senza un’altra parola mi girai e mi allontanai come una furia. Mi fermai accanto al distributore di acqua per bere, pietrificandomi subito dopo quando delle braccia mi circondarono la vita e un petto si modellò contro la mia schiena. Mi fece irrigidire e sciogliere allo stesso tempo, perché mi sentivo al sicuro e protetta. «Vattene, Dominic». Ridacchiò e abbassò la bocca fino al mio orecchio. «Come sapevi che ero io?». Strinsi i denti. «Perché sei l’unico che mi tocca o entra nel mio spazio personale, ecco come». «Mmh, non sembrava dispiacerti le volte che ci siamo baciati». Sfregò il naso contro il mio orecchio. «Sembravi godertela un mondo, bellezza». Ringhiai e mi girai verso di lui; quella testa di cazzo non arretrò, quindi lo feci io. «Sono stati due momenti di rincoglionimento». Dominic ridacchiò e scosse la testa. «Come dici tu, bellezza». «Ti odio proprio», esclamai. Sorrise, mostrandomi le fossette. «Anch’io ti odio proprio, dolcezza. Ci vediamo dopo». Perché si comportava come se non l’avessi respinto sabato mattina e perché cazzo tornava da Jason e la sua banda? Scossi la testa. Poche settimane prima avevano fatto a botte, si erano pestati a sangue, a calci e pugni, e adesso erano amici del cuore? Dominic aveva letteralmente detto a Jason di starmi lontano e adesso giravano assieme per la scuola? Non avrei mai capito gli uomini! «Stai bene, Bronagh?». Sobbalzai e mi girai di scatto, la mano al petto. «Mi hai spaventata», bisbigliai. Gavin mi sorrise, il livido sulla mascella quasi del tutto sbiadito, ma ancora leggermente visibile. «Scusa». Scossi la testa. «Non fa niente, ero in un mondo a parte. Rientri oggi dalla sospensione, vero?
Come stai?». Sorrise di nuovo; aveva un sorriso così carino. «Sì, oggi, e sto bene, grazie». Mi accigliai, d’un tratto mi sentivo malissimo e in colpa. «Gavin, non ti ho mai ringraziato per avermi aiutata con Dominic. Apprezzo davvero che tu mi abbia difesa e abbia cercato di levarmelo di dosso». Gavin agitò una mano e indicò la faccia in via di guarigione. «Non credo di essere stato di grande aiuto». Scossi la testa. «Sì invece. Non gli è piaciuto che qualcun altro gli chiedesse conto di come mi sta trattando. Di recente si è comportato come un coglione possessivo, che faccia il bullo o cerchi di sedurmi». Gavin si accigliò. «Stai con lui?». Scossi la testa. «Mi ha chiesto di essere la sua ragazza, ma ho detto di no. Non so perché mi perseguiti a questo modo. Penso che in realtà gli piaccia semplicemente irritarmi». Gavin sbuffò. «È chiaro che ti vuole, e anche se l’hai respinto vuole comunque starti vicino. Sembra che fare il prepotente sia l’unico modo che ha per raggiungere questo scopo. Però può darsi che un po’ gli piaccia anche mandarti su tutte le furie». Più che un po’. Feci una smorfia. «Dillo a me». Gavin sorrise. «Però in un certo senso gli sono debitore, lo siamo tutti. Non sei più solo un’ombra che si aggira per la scuola; da quando è arrivato lui sei come tutti quanti noi». Sorrisi lievemente e scherzai: «Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe servito un americano sborone per trascinarmi fuori dalla mia bolla di sicurezza?» «Non io, poco ma sicuro». Ridacchiò. Gli sorrisi, sconvolta da quanto fosse facile parlare con lui. «Impaziente di fare dieci meravigliosi giri di corsa in questo bel salone?», disse poi, sarcastico, accennando con la mano all’ambiente circostante. Sbuffai, ironica. «Oh, sì, non vedo l’ora di sentirmi come se stessero per staccarmisi le gambe. Non aspettavo altro da tutto il fine settimana». Gavin ridacchiò e mi fece cenno di mettermi accanto a lui. «Puoi prendermi se cado», scherzò. Risi. «Te l’immagini se caschi sul serio e io provo ad acchiapparti? Due secondi e finiamo a terra tutti e due». Gavin rise a quell’immagine. A metà risata gli scappò un grugnito, il che fece ridere me ancora più forte, cosa che divertì tantissimo lui. Quando cominciammo i giri di corsa, rimanemmo fianco a fianco e Gavin rideva mentre cercavo di parlare nonostante fossi senza fiato. Come al solito, arrivai al quarto giro e mi dovetti fermare, perché sinceramente mi sentivo morire. Ero sempre la prima a smettere di correre, tutti gli altri erano più in forma di me. Di norma non mi importava perché nessuno diceva mai niente, nemmeno Jason, ma quella volta Facciadiculo aprì la bocca non appena la sua corsa lo portò vicino a me. «Non fermarti, continua, Bronagh». Alzai il dito medio sopra la testa e gracchiai: «’Fanculo!». Rise e mi tirò uno schiaffone sul sedere passandomi accanto. «Bastardo!», esclamai. Non avrei nemmeno provato a rincorrerlo, per due ragioni: numero uno stavo morendo, e numero
due sapevo che comunque non l’avrei mai acchiappato. Andai verso i tappetini, arrabbiata, e iniziai lo stretching, dopo essere passata accanto al nostro insegnante di educazione fisica, il professor Rivers. Non gli importava granché delle ragazze. Se smettevamo di correre o non facevamo stretching, non gliene fregava niente. La sua unica preoccupazione erano i maschi della classe, perché la maggior parte di loro giocava nella sua squadra di calcio e dovevano essere all’altezza della partita anche solo per essere presi in considerazione. Nonostante l’allenamento fosse dopo la scuola, usava pure le lezioni di educazione fisica per farli sudare. Era un bene per noi ragazze – per me –, perché quando eravamo stanche potevamo piegarci in due e non ci veniva urlato addosso come ai maschi. Cercavo, sì, di correre il più a lungo possibile, ma non ero allenata e basta, quindi resistevo poco. Però, nello stretching ero bravissima. Ero piegata in avanti, le gambe larghe e i palmi schiacciati sul pavimento di fronte a me, quando sentii la confusione alle mie spalle. «Slater, ragazzo, non sarai in squadra ma questo non significa che puoi fermarti di botto e farti cascare addosso i miei giocatori!», urlò il professor Rivers. «Mi dispiace ma, cristo santo, come può aspettarsi che continui a correre con una vista del genere a pochi metri di distanza?». In nome di Dio, di che andava cianciando adesso? Perché non poteva correre e basta senza causare problemi a nessuno? Era come un virus del cavolo! «Piantala di guardarla!», sbraitò il professore. «Non ti permetto di adocchiare le studentesse e distrarre i ragazzi, quindi o ti rimetti a correre o vai a fare stretching…». «Voto per lo stretching». Dominic interruppe il professore, guadagnandosi qualche risatina. «Lasciala in pace». Sapevo che era la voce di Gavin ed ebbi subito paura perché l’ultima volta che aveva interferito con qualcosa che riguardava Dominic era finito in una scazzottata con lui. Mi alzai con precauzione, scossi le gambe, poi mi girai per vedere perché ci fosse tanto chiasso, quindi scattai d’impulso. Dominic avanzava minaccioso verso Gavin e tutti gli altri si erano allontanati, come se non avessero nessuna intenzione di interrompere una rissa nel caso scoppiasse. «Basta!», sbottai verso tutti e due e mi infilai tra loro. Avevo il sedere e la schiena contro Gavin e la parte davanti schiacciata su Dominic. Inclinai la testa all’indietro e guardai di fronte a me. «Falla finita, ok?», lo implorai. «Piantala di provocare guai. Sono stufa e arcistufa di tutto questo!». Dominic mi guardò stringendo gli occhi e il suo respiro accelerò quando Gavin arretrò di un passo e mi portò con sé, un braccio fermo attorno alla mia vita, stringendomi forte. «Toglile. La. Mano. Di. Dosso», ringhiò in un basso, pericoloso tono di avvertimento. Volevo urlare e piangere allo stesso tempo. Quand’era che aveva cominciato a dire alla gente cosa fare con me? Lo avevo respinto, eppure aveva ancora il coraggio di cercare di controllare chi poteva e non poteva toccarmi? «Non ti vuole, accettalo una buona volta e levati dai coglioni. Sta cominciando a essere patetico, amico!», gli disse Gavin, arretrando con me di un altro passo. Dominic sembrava sul punto di perdere la pazienza, quando d’un tratto Damien apparve al suo fianco. «Lascia perdere, fratello».
«Voglio sentirlo dire da lei», ringhiò Dominic. “Sentirmi dire cosa?”. Damien sospirò, poi guardò me. «Bee, vuoi stare con Gavin, giusto?». E quello che voleva dire? «Eh?», mormorai, confusa. Damien sorrise appena e stava per dire qualcosa, ma Gavin parlò. «Ha un appuntamento con me stasera, quindi direi che la risposta alla tua domanda è sì, Damien». Questa mi giungeva nuova. L’occhio sinistro di Dominic ebbe uno spasmo e la sua faccia arrossì un po’. «Non vuoi uscire con me, ma uscirai con quella patetica scusa di un…». «Ehi! Basta così!», sbottai all’improvviso, non mi piaceva che Dominic cercasse di sminuire Gavin. Mi resi conto allora di cosa stava cercando di fare lui; mi offriva chiaramente la possibilità di sottrarmi al radar di Dominic dicendo che saremmo usciti insieme. «Vaffanculo Bronagh, e vaffanculo a te, coglione». Dominic rivolse uno sguardo torvo a Gavin. Lui si irrigidì contro di me. «Ascolta, amico, a volte si vince, a volte si perde. Lei è mia, quindi stalle lontano, cazzo. Hai capito?». Porca puttana, Gavin era davvero un maestro. Sembrava serissimo e appariva davvero un fidanzato protettivo. Dominic rise e così Jason, al che risero anche i suoi amici. «Altrimenti che farai, stronzo? So che ti batti di merda. Esattamente, che mi farai se non la lascio in pace?». Fece un sorrisetto cattivo. Capivo che era ancora in collera. In quel momento sembrava pura malvagità, e non mi piaceva. «Lui non farà niente, ma Ryder sono sicura di sì. Sai, tuo fratello maggiore che guarda caso è il fidanzato di mia sorella maggiore», intervenni con un sorriso zuccherino. Damien sogghignò. «La piccola Bee sa tenerti testa, sono fiero di lei». Lo guardai e gli rivolsi un sorriso sincero; era adorabile, così diverso dal gemello pazzoide. «Sta’ zitto, tu», esclamai per gioco, facendolo ridere. «Non che quest’episodio di telenovela americo-irlandese non sia interessante, ma potreste darvi una mossa tutti quanti?», urlò all’improvviso il professor Rivers. I ragazzi della squadra ripresero subito a correre e le ragazze si spostarono sui tappetini, dove era chiaro che i pettegolezzi volavano da tutte le parti. Gavin mantenne il braccio attorno alla mia vita e il corpo schiacciato contro il mio, sotto lo sguardo torvo di Dominic. Lui mi guardò dritto negli occhi. «Fottiti, Bronagh». Mi sentii come se stesse affermando un dato di fatto, tipo che con me aveva chiuso, e inorridii perché faceva male. Mi schiarii la voce e mi costrinsi a dire: «Non in questa vita né nella prossima, Facciadiculo». Se si potesse uccidere con lo sguardo, sarei stata morta e sepolta dopo quello che mi rivolse Dominic. Aveva tutto il corpo in tensione, le mani strette a pugno e vene in rilievo ovunque. «Va’ via», gli sussurrò Damien. Tuffò lo sguardo nel mio e mi accorsi che non riuscivo a sostenerlo, quindi abbassai la testa e lo evitai. Guardai i suoi piedi che si giravano e correvano via, unendosi al resto dei ragazzi sotto le urla del professor Rivers.
«Mi scuso per lui, fratello, ha la miccia un po’ corta», disse Damien. Alzai gli occhi, sbuffando, mentre Gavin alle mie spalle ridacchiava. “Un po’?”. Non avevo mai sentito un eufemismo più grossolano. Damien mi fece l’occhiolino. «Ci becchiamo dopo, Bee». Gli sorrisi, mi piaceva che mi chiamasse Bee come Branna. «A dopo». Quando lui corse via, mi girai verso Gavin, che mi sorrise. «Mi aspetto davvero che tu esca con me, è il minimo che puoi fare visto che Dominic potrebbe ammazzarmi presto». Feci una smorfia di finta esasperazione. «Però mi sento strana; non sono mai uscita con nessuno». Gavin inarcò le sopracciglia. «Mai?». Sembrava sconvolto. Scossi la testa. «No, non mi ha mai invitato nessuno. Cioè, io non piaccio ai ragazzi. Sei stato tu il mio primo bacio». «Cosa?». Spalancò la bocca. «Perché tanto sorpreso?». Mi fissò con occhi vacui, sbattendo le palpebre. «Gavin?», lo incalzai. «Collins!», strillò il professor Rivers, facendomi saltare. «Prof?», rispose Gavin, dopo essersi limitato a fissarmi per alcuni secondi. «Lascia in pace la femmina e riporta la testa e le gambe in funzione!». Feci una smorfia al professor Rivers e guardai di nuovo Gavin, che mi stava di nuovo fissando. «Inizi a farmi venire la pelle d’oca a startene lì che mi fissi e basta, Gav», scherzai. Sbatté le palpebre. «Scusa, ma non hai idea di quanto mi hai reso felice proprio adesso». «E come?». Scosse la testa. «Lascia stare, Bee. Devo scappare, letteralmente, però mi dai il tuo numero? Voglio riscuotere l’appuntamento che ho inventato a beneficio di Dominic». Gli rifilai un pugno sulla spalla che lo fece ridere. Cercai di mascherare il rossore che mi saliva lungo il collo. Mi aveva chiamata Bee; immaginai che fosse il mio soprannome ufficiale. Tra Branna che mi aveva sempre chiamata a quel modo e Damien che aveva appena cominciato, era ovvio che sarebbe rimasto. Che anche Gavin lo usasse mi faceva venire voglia di ridere. Nel frattempo stavo cercando di ricacciare indietro il sudore che iniziava a coprirmi i palmi delle mani. «Gavin, negli ultimi tempi mi stanno succedendo un sacco di cose nuove. Sono stata invisibile per un sacco di tempo e all’improvviso non lo sono più e cazzarola…». «È un appuntamento, Bronagh, non un matrimonio. Tranquilla». Rise. Risi un po’ con lui. Sapevo che per un appuntamento non si andava nel panico, ma io sì perché sinceramente non avevo idea di cosa volesse dire. Cioè, non sapevo nemmeno quale fosse il modo giusto di accettare. «Hai ragione». Sospirai. «Cioè, è solo per divertirsi, giusto?». Annuì. «Già, possiamo andare a vedere un film. Potrei persino farlo scegliere a te». Mi fece
l’occhiolino. “Sta flirtando con me?”. Non ne ero certa, ma arrossii, non si sa mai. «Ok». «Sì?». Sorrise. Aveva un sorriso carinissimo. «Sì». Ricambiai. Prese il cellulare dalla tasca dei pantaloncini e me lo porse; digitai in fretta il mio numero e glielo restituii. «Ti tormenterò di messaggi». Fece un sorrisetto diabolico. Sorprendentemente, quel pensiero non mi infastidiva affatto. «Oh, Dio, ho appena dato il mio numero a un potenziale stalker?». Mi finsi sconvolta. Gavin fece una smorfia e mi spinse per gioco; risi. «Collins! Con la fidanzata ci stai a casa, adesso stai con me quindi muoviti!». «Fidanzata?», esclamò una voce alla mia sinistra. «Hai fatto in fretta, bellezza». Mi costrinsi a non girarmi per correggere Dominic, perché per qualche motivo volevo che pensasse che ero fidanzata con Gavin, sperando di fargli male come lui aveva fatto male a me. «Non lasciarti turbare», mormorò Gavin chinandosi e abbracciandomi. Sobbalzai, poi lo strinsi per un momento, come avevo visto fare ad altre ragazze con i maschi. «Ti mando un SMS più tardi, ok?». Sorrise, poi si girò e corse via. Chiaramente era una domanda retorica visto che non era rimasto per sentire la risposta, ma era un bene che se ne fosse andato, perché pochi secondi ancora e mi sarei liquefatta sul pavimento per quel sorriso che mi lanciava da sopra una spalla. Come avevo fatto a non mangiarmelo con gli occhi sin dall’inizio del primo anno? Avevo fatto un po’ caso al suo aspetto visto che andavamo a scuola insieme, ma, porca puttana, non l’avevo mai guardato sul serio. Cazzo, era uno schianto, e il suo sorriso poteva tenere testa a quello di Dominic, anche senza fossette. Mi fermai a metà di quel pensiero e grugnii. Come aveva fatto quel coglione a entrare nei miei pensieri su Gavin? Non poteva proprio lasciarmi in pace, nemmeno nella mia mente! Scossi la testa, mi girai e andai verso la zona in cui si trovavano le corde per saltare. Non partecipavo mai a nessuno sport di squadra, quindi in un certo senso quello era il mio spazietto personale. Tuttavia, quel giorno le ragazze si avvicinarono e mi si affollarono attorno, il che mi mise davvero a disagio. «Che c’è di nuovo, Bronagh?», mi chiese Micah. Mi schiarii la voce, subito spaventata. «Niente», mormorai. «Che combinate?». Si strinse nelle spalle. «Questa lezione è una noia, abbiamo pensato di rilassarci qui per un po’. Ti sta bene?». “No”. Annuii. «Certo». «Perfetto». Ero tesissima quando mi affiancò e afferrò una corda. Non avevo idea del perché, ma mi aspettavo che andasse su tutte le furie e la usasse per picchiarmi, e volevo essere pronta al colpo perché
facesse meno male. Mi leccai le labbra secche e guardai a destra, desiderando che il professor Rivers chiamasse le ragazze per qualcosa, invece incontrai gli occhi di Dominic che mi stavano già fissando. Mi pietrificai, poi mi rigirai di scatto verso Micah, che lanciò un’occhiata a Dominic e annuì in risposta al gesto della testa con cui lui le intimava di spostarsi. Avevo sentito dire che avevano fatto una “chiacchierata” dopo che si era sparsa la voce dell’aggressione ai miei danni meno di due settimane prima. Chiaramente era vero perché Micah sembrava terrorizzata da lui e da quella sera non mi aveva più nemmeno guardato. «In realtà, mi faccio un’altra corsetta. A dopo, Bronagh». Sorrise. «Ciao, Micah», mormorai. Si allontanò insieme alle sue due amiche, i cui nomi non mi ero mai presa il disturbo di imparare, lasciando Destiny, Lexi e altre tre ragazze a giocare con le corde vicino a me. Alannah era dalla parte opposta del salone, seduta su una panchina a leggere sul Kindle, come faceva sempre una volta finiti i giri di corsa e lo stretching. Sentivo degli occhi su di me, mi intimidivano, non volevo più saltare la corda. Feci per metterla via, quando d’un tratto mi trovai di fronte Destiny. «Mi sono trombata Nico ieri notte», disse con il tono tranquillo di un saluto. Perché cazzo mi sembrava di avere ricevuto un calcio nello stomaco? «Congratulazioni». Costrinsi la voce a suonare piatta e annoiata. Destiny inarcò un sopracciglio. «Non ti dà fastidio che abbia trombato con il tuo ragazzo?» «Non è il mio ragazzo e nonostante quello che hai visto sabato e ciò che dice Dominic non ho fatto sesso con lui». Stavo per superarla, poi mi fermai e la fissai truce. «E mi disgusta che tu pensassi che fosse il mio fidanzato eppure sembri orgogliosa di essertelo trombato. Davvero, perché vantarsi di essere una puttana rovinafamiglie?», le domandai. Desiderai di essere rimasta zitta, perché capii che mi avrebbe urlato addosso prima ancora che aprisse bocca. «Non sono una puttana, sei solo gelosa!», strillò. Piombò il silenzio nella sala. Sentii la mano contrarsi e il sangue ribollire. Come cazzo si permetteva di urlarmi in faccia e dire che ero gelosa di lei? «Stai scherzando? Solo la settimana scorsa ti sei vantata di esserti fatta cinque ragazzi diversi in sette giorni. Se questo non è essere una puttana, non so cosa sia! E perché dovrei essere gelosa di te, in nome di Dio? Mi hai appena detto in faccia che ieri notte hai trombato con Dominic anche se pensavi che io fossi la sua ragazza. Sei una patetica coglionazza infetta e se non sparisci io…». Non potei terminare la frase perché mi si lanciò addosso con un ruggito. Tuttavia, a differenza dell’ultima volta che ero stata aggredita, non ero ignara e spaventata, ma pronta e arrabbiata. Sollevai le braccia e la spinsi via e inclinai la testa a sinistra, evitando la mano che cercava di afferrarmi. Ricadde di culo con un tonfo. «Si picchiano!», gridò uno dei ragazzi. «Basta!», urlò il professor Rivers. «Primo e ultimo avvertimento, stammi alla larga, Destiny, cazzo», ringhiai, e lei piagnucolò lì per terra e si rannicchiò come se fossi stata sul punto di balzarle addosso. Non l’avrei picchiata, ma chiunque fosse che mi tirava via di peso non voleva correre rischi. «Sei una calamita per i guai, Bee». Mi misi a ridere. «Tutta questa merda ha cominciato a capitare solo quando tu e il tuo gemello
malvagio siete arrivati in città!». Damien sbuffò divertito nel mio orecchio e mormorò: «Risse, ragazze arrabbiate, sesso, feste… cazzate che succedono sempre nelle città in cui andiamo». Significava che si spostavano spesso? «Be’, io non voglio farne parte, eppure in un modo o nell’altro ci vengo trascinata in mezzo!», sbottai. «Perché Dominic ti vuole». Sospirò. Ringhiai. «Non può avermi!». «E questo è uno dei motivi per cui non ti lascerà mai in pace». Gemetti. «Odio gli uomini». Damien rise, poi si allontanò quando Gavin apparve di fronte a me. «Stai bene? Hai bisogno di qualcosa?», mi chiese, accigliato. «Dritte nell’ufficio del preside, Bronagh e Destiny, subito!». Mi feci piccola piccola al ruggito del professor Rivers. Mugugnai e dissi a Gavin: «Sì, mi serve un’ambulanza, perché mia sorella mi ucciderà appena lo verrà a sapere».
Capitolo undici
«Sei stata fortunata che non ti abbiano sospeso di nuovo!». Tenni la testa bassa entrando nel retro della jeep di Ryder; era praticamente la macchina di famiglia degli Slater, visto che tutti i ragazzi la guidavano a turno. «Dame, siediti in mezzo», gli ordinò mia sorella. «Non voglio sentirli strozzarsi a vicenda». Ignorai del tutto Branna. Mi stava costringendo ad accettare un passaggio da Ryder pur sapendo che ci sarebbe stato Dominic in macchina, e ce l’avevo con lei per questo. Ero arrabbiata anche perché se la prendeva con me per quello che era successo con Destiny. Cioè, le avevo spiegato con esattezza cosa fosse accaduto, ed era comunque in collera con me. Mi allacciai la cintura di sicurezza, strinsi lo zaino al petto e guardai fuori dal finestrino. «Che ti è saltato in mente, Bronagh?», urlò Branna. Mi aggrappai allo zaino e la ignorai di nuovo. Branna si contorse sul sedile e mi guardò, gli occhi socchiusi. «Rispondimi!». Deglutii, la fissai e dissi con calma: «Mi è saltato in mente che sono stanca della gente che mi passa sopra come un tappetino solo perché sono un tipo silenzioso; mi stavo difendendo!». Branna scosse la testa. «Ma cazzo, facendo a botte?». Persi la testa. «No! Mi si è piazzata in faccia e ha cercato di umiliarmi vantandosi di essersi scopata quel coglione là e poi ha detto che ero gelosa! E poi, è stata lei a cercare di colpirmi, io l’ho spinta nel tentativo di difendermi; o volevi che mi lasciassi ammazzare di botte come da Micah?». Un lampo le passò negli occhi; solo di recente aveva scoperto che era stata Micah a picchiarmi e che le avevo mentito dicendole che non sapevo chi fosse stato. Comprendeva le mie ragioni, ma la infastidiva lo stesso. «Sai che non voglio che ti succeda mai più, la tua pancia sta a malapena guarendo adesso dopo ciò che ti ha fatto quella Micah». Sentii gli occhi di lui su di me. «Che ti ha fatto alla pancia?», mi chiese. Lo ignorai. Non volevo parlare con lui, perché ancora una volta quel che era successo era colpa sua; Destiny aveva cercato di ferirmi dicendomi di aver fatto sesso con lui. «Era piena di lividi perché quella ragazza l’ha presa a calci mentre era a terra. Sono quasi scomparsi, ma ci sta mettendo parecchio a guarire». Ringhiai verso Branna. «Non sono affari suoi perché quello è stato colpa sua, questo è colpa sua, è tutta colpa sua». Incredula, sentii la mia voce spezzarsi sul finire della frase. Ero sul punto di piangere; lo sapevo io come lo sapevano tutti gli altri. Guardai fuori dal finestrino mentre Ryder faceva manovra per uscire dal parcheggio della scuola. Mi morsi il labbro e pregai che le lacrime si prosciugassero, ma non
accadde. Quando sbattei le palpebre, mi scivolarono sulle guance e poi mi uscì un piccolo singhiozzo dal naso. Damien al mio fianco sospirò e mi mise un braccio attorno alle spalle. Non disse una parola né mi strinse a sé, si limitò a lasciare lì il braccio per confortarmi. Di solito non mi piacevano queste cose. Intuivo che non piacevano nemmeno a lui, ma ero contenta perché mi faceva sentire un pochino meglio. Il viaggio in macchina non era lungo, quindi mi asciugai il viso con tutta la discrezione possibile quando Ryder accostò vicino a casa mia e di Branna. «A presto, Bee», disse Damien. Lo guardai e accennai un sorriso, poi spostai gli occhi di sicuro rossi e gonfi su Dominic e li socchiusi. «Ti odio», brontolai, mi girai e scesi dalla macchina, chiusi la portiera e risalii a passi pesanti il giardino. «Ciao, tesoro», sentii dire Branna; sbuffai di disprezzo. Ryder era più grosso di lei e me messe insieme. Non era proprio possibile chiamare “tesoro” un uomo della sua taglia, era sbagliato e basta. Ci rimuginai sopra frugando nello zaino in cerca delle chiavi. Dopo averle trovate, aprii e andai dritta in camera mia. Sentii Branna che mi seguiva e gemetti dentro di me. Avevo bisogno di sdraiarmi e starmene da sola per un po’, ma era chiaro che non me lo avrebbe permesso. Una volta in camera, calciai via le scarpe e cominciai a togliermi l’uniforme scolastica. Mi infilai i pantaloni del pigiama sotto la gonna prima di sfilarla. Indossata una canottiera, feci cenno di entrare a Branna che se ne stava appoggiata alla mia porta. «Per favore, continua pure a sminuirmi e urlarmi contro, non mi è bastato quello che hai fatto a scuola o in macchina». Branna mi guardò stringendo gli occhi, entrò e si venne a sedere sul mio letto. «Non ti sto sminuendo. E ti ho urlato contro solo per lo shock di dover lasciare una lezione e venire a scuola da te perché avevi fatto a botte!». Mugugnai. «Non ho fatto a botte, non so quante volte devo dirtelo per farmi credere!». «Hai buttato a terra Destiny. Questo si definisce fare a botte, Bronagh». Grugnii. «Se lo meritava. Mi si è piazzata davanti e ha cercato di sconvolgermi sputandomi in faccia di avere trombato con Dominic, quella puttana!». Branna sospirò e borbottò: «Quel ragazzo non fa altro che portare guai». «Lo so! Sono settimane che lo dico!», esclamai. Branna mi calmò con un gesto della mano. «Capisco quanto ti irriti e i problemi che ti sta creando. Ryder gliene parlerà stasera. Non sistemerà tutto come per magia, ma se riusciste almeno a salutarvi e trovarvi nelle vicinanze l’uno dell’altra senza far scoppiare una guerra, io e gli altri ne saremmo eternamente grati». Brontolai: «Però non lo sopporto, pensa di essere un dono del cielo o qualcosa del genere. Cioè, mi ha praticamente supplicato di mettermi con lui, e quando gli dico di no non aspetta nemmeno un giorno e si scopa Destiny e poi si comporta come se nulla fosse. Che maniere sono?». Branna si strinse nelle spalle. «Il suo ego si è inalberato al tuo rifiuto. Gliene hai parlato?». Scossi la testa. «Allora come sai che è vero?».
Mi strinsi nelle spalle, non sapevo che rispondere. «Diciamo che è davvero andato a letto con lei. Non state insieme visto che tu l’hai respinto, quindi può andare con chiunque senza problemi perché non sei la sua ragazza». Mi incupii. «Lo so. Però, che stiamo o no insieme, non mi fa sentire meglio che sia andato a letto con lei. Se sta cercando di corteggiarmi non dovrebbe stare con nessuno…». Mi interruppi appena mi resi conto di cosa stavo blaterando. «Aspetta». Branna era sbalordita. «Ti dispiace che Nico abbia fatto sesso in generale? Non solo perché potrebbe averlo fatto con Destiny?». No. Cielo no. Cielo e inferno no! «Ti dispiace!». Branna boccheggiò di nuovo. «Lui ti piace!». «No invece, lo odio», ribattei. «Non sopporto nemmeno la sua vista…». «Lascia stare, Bee, ti stai mettendo sulla difensiva ed è una prova schiacciante». «Pensare che qualcuno è affascinante, anche un bastardo malefico, non significa che ti piace». Non potevo crederci, avevo ammesso ad alta voce, ammesso e basta per quel che valeva, che pensavo Dominic fosse affascinante! Branna annuì. «Hai ragione, ma se il suddetto bastardo affascinante fa sesso con un’altra ragazza e questo ti sconvolge allora sì, significa che ti piace». Ingoiai la replica che mi si stava arrampicando in gola e mi accontentati di lanciarle un’occhiataccia, al che Branna rise. «Oh, Dio, odi il fatto che ti piace, vero?». Sghignazzò come una gallina. Grugnii e le tirai un calcio, che la fece ridere ancora di più. Rinunciai a cercare di zittirla e incrociai le braccia al petto, arrabbiata, in attesa che smettesse – il che richiese almeno due minuti buoni. «Quando cazzo è cominciato tutto questo?», chiese, asciugandosi gli occhi. Gemetti e mi coprii la faccia con le mani. «Non ne ho idea… Sinceramente penso che sia stato la prima volta che mi ha baciata in camera sua dopo avermi difeso da Jason. Mi era piaciuto come si era comportato; non era stato cattivo o che, e sembrava gentile, avevamo avuto una vera conversazione. Immagino che sia partito tutto da lì». Aggrottai la fronte. «Ma non fraintendermi, lo odio davvero per tutte le volte che fa lo stronzo, in pratica la maggior parte del tempo, però mi scopro sempre a interessarmi a quel che gli succede o a guardarlo e basta. Odio che Destiny sia andata con lui o che lui sia andato con altre ragazze o voglia andarci. Non ci avevo mai pensato davvero, però mi fa arrabbiare un sacco e sentire male al petto. È orribile, Branna, come faccio a farlo smettere?». Branna ricominciò a ridere. «Bee, non puoi spegnere i tuoi sentimenti. Se ti piace Nico continuerà a piacerti finché non ti passerà o non comincerà a piacerti qualcun altro che sposterà tutta l’attenzione su di sé». Colsi la palla al balzo. «C’è un altro ragazzo che penso mi potrebbe piacere, si chiama Gavin Collins». «Il fratellino di Aideen?». Branna inarcò un sopracciglio. «Quello che ha picchiato Dominic e ti ha fatto sospendere?». Non presentava Gavin sotto la luce migliore.
Sussultai. «Uhm, sì, ma è tutto l’opposto di Dominic quindi ti piacerebbe. Giuro». Branna fece un sorrisetto. «Non posso crederci, finalmente sta succedendo». Non capivo. «Non puoi credere che finalmente sta succedendo cosa?» «Stai iniziando ad aprirti ad altre persone». Era euforica. «Hai un problema di cuore e non con un ragazzo solo ma due! Pensavo che questo giorno non sarebbe mai arrivato, sono così felice, cazzo!». Ero un po’ terrorizzata perché ciò che diceva era vero, ma quel che mi fece proprio perdere il controllo fu che Branna cominciò a piangere. Subito mi spostai accanto a lei e l’abbracciai. «Perché piangi?», le domandai, nel panico. Si strinse nelle spalle. «Sono solo felice». Mi scostai e la guardai male. «Sei contenta che abbia problemi di cuore?» «Sì!», squittì e scoppiò di nuovo in lacrime. Oh, cristo. «Ho bisogno che ti fai forza, smetti di piangere e mi aiuti a sistemare le cose. Sono in un territorio inesplorato, che cazzo devo fare?». Branna raddrizzò la schiena e si asciugò la faccia, ma ancora tirava un po’ su col naso. Non potevo crederci, piangeva perché avevo problemi di cuore; c’era qualcosa di stranissimo e del tutto sbagliato in quella situazione. «Uscire con Nico non esiste, giusto?». Era una domanda seria? «Eh, già! Mi piace a malapena, Branna. Sinceramente, le qualità che apprezzo di lui sono cose che ha mostrato tipo due volte. Per il resto del tempo è una spina nel fianco e non riesco a togliermelo di torno». Annuì, comprensiva. «Ok, uscire con Nico è fuori questione. Che mi dici di te e Gavin?». Mi mordicchiai il labbro. «Me l’ha chiesto oggi. All’inizio era solo una cosa di facciata per allontanare Dominic, per fargli credere che stavamo insieme o qualcosa del genere, ma visto quanto si è arrabbiato, lui ha voluto un vero appuntamento, in caso muoia per sua mano… o piede». Branna rise. «Questo spiega perché Nico fosse ancora più irritato del solito: sabato l’hai respinto e, a quanto pare, oggi, appena due giorni dopo, stai insieme a un altro ragazzo. Lo stesso che qualche settimana fa ha fatto a botte con lui per difenderti… Dev’essere stato un bel colpo al suo ego». Gemetti e mi sfregai la faccia con le mani. «Non so come sia successo tutto questo, Branna. È come se più mi sforzo di respingere Dominic, più lui si impone. Perché non può accettare un no come risposta e lasciarmi in pace? Cioè, magari vuole baciarmi, ma non gli piaccio per quello che sono, in realtà mi odia». Branna sospirò. «Forse è solo che non è abituato che una ragazza gli dica di no. Forse ti vede come una sfida e sappiamo tutti che adora le sfide». Grugnii. «Sa che non sto facendo la difficile, gli ho detto chiaro e tondo che non sono interessata a lui». «È stato prima o dopo le due volte che avete pomiciato?», domandò con accento americano. Ringhiai, facendola sorridere deliziata. Alla fine mi strinsi nelle spalle, non riuscivo a ricordarmelo. «Sembra che il mio corpo e la mia mente corrano su due circuiti diversi quando si tratta di Dominic, con mio gran dispiacere». «Su questo non ci sono dubbi», commentò Branna. Brontolai.
Mia sorella insistette: «È una situazione strana, tuttavia sembra esserci una soluzione». Rizzai le orecchie. «Davvero? Quale? Qual è la soluzione?» «Gavin Collins». Branna mi rivolse un sorrisetto maligno. Oh, ehm. «Gavin?», ripetei. Annuì. «Hai detto tu stessa che potrebbe piacerti e il modo migliore per superare un ragazzo è ficcarsi sotto un altro». Fece una pausa alla mia risata trattenuta. «Non intendo quello, non devi sdraiarti sotto Gavin…». «Capisco la metafora, Bran, ti sto prendendo in giro». Alzò gli occhi al cielo. «Ok, bene. Comunque, stavo dicendo, se ti metti con Gavin ti aiuterà a lasciarti questa cosa alle spalle, e forse Nico capirà finalmente che davvero non lo vuoi e che anche lui dovrebbe lasciar perdere. Capisci?». Scossi la testa. «Vuoi dire uscire sul serio con Gavin o fare solo finta? Perché in entrambi i casi non penso di esserne capace, lo conosco a malapena». Branna sospirò. «Hai detto che ti piace, da lì cominci a conoscerlo, Bee. E poi, a questo servono gli appuntamenti, a conoscersi. Te ne sei già assicurata uno quindi possiamo vedere come va e basta; non si sa mai, potresti trovarti bene con Gavin». Alzai gli occhi al cielo. «Penso che nessuno possa sapere se starà bene con qualcuno dopo un solo appuntamento». Branna sorrise. «Io l’ho capito dopo il primo appuntamento con Ryder». Inarcai le sopracciglia. «Davvero?». Annuì. «Me lo sono sentito dentro che poteva piacermi davvero e che forse saremmo stati bene insieme. Magari per chiunque altro è diverso, ma io l’ho capito e basta». Fischiai, poi la guardai a bocca aperta. «Non stai dicendo che sai che è quello giusto, vero?». Branna si limitò a un sorriso raggiante, e io gemetti. Ryder era quello giusto per lei. «Perché il tuo prescelto deve essere un parente stretto della mia nemesi?». Soffocò una risata. «Forse Dio si diverte della situazione tua e di Nico. Io di sicuro sì, per la maggior parte del tempo». Spostai lo sguardo in alto e parlai al soffitto. «Puoi darmi tregua, Gesù? Queste cazzate non sono più divertenti…». Mi sfuggì un’esclamazione quando Branna mi volò addosso, buttandomi di schiena sul letto. «Non diceva sul serio, se lo rimangia», gridò. Risi di lei, che mi diede una gomitata. «Non dire parolacce quando parli con Gesù. È come chiedere che ti colga un fulmine». Grugnii. «Fidati, la presenza di Dominic nella mia vita è una punizione sufficiente». Branna rotolò via e si sdraiò supina al mio fianco. Sentii il cellulare vibrare sul comodino; lo presi e vidi un SMS di un numero sconosciuto. Lo aprii e mi sentii arrossire. Oggi ho detto a Dominic che ti portavo fuori stasera; mantengo la parola. Alle 8 ok? ;-)
Mi aveva mandato una faccina che faceva l’occhiolino. Che voleva dire?
«Gavin vuole portarmi fuori alle otto», mormorai. Branna batté le mani. «Perfetto, possiamo iniziare l’operazione superamento Nico sotto Gavin». La guardai e scossi la testa. «Tu hai qualcosa che non va, e grave anche. Sono tua sorella minore!». Fece una smorfia. «Hai diciotto anni, Bee, non sei più una pupetta». Grugnii. «Quello lo capisco». Branna mi sorrise. «Dove ti porta?». Feci spallucce. «A scuola parlava del cinema». Annuì. «Digli che alle otto va benissimo poi alzati e porta il culo in doccia». Feci un cenno, risposi a Gavin, poi guardai Branna che mugugnava imprecazioni frugando nel mio armadio. Stavo entrando in bagno quando la vidi andare in camera sua. «Che fai?», le gridai. Fece un verso. «I tuoi jeans neri vanno bene, ma non hai maglie decenti. Scelgo una delle mie». Quando saltellò di nuovo in camera mia con un top rosso di pizzo dalla scollatura profonda, la fissai a bocca spalancata. Si aspettava che indossassi quel fazzoletto? «Non posso metterlo, è praticamente inesistente!», protestai. Branna sbuffò divertita. «Ma per favore, è solo un po’ scollato e sotto un cardigan starà benissimo. Devi sfoderare le tue carte migliori quando vai a un appuntamento. I jeans abbracceranno il sedere e metteranno in mostra i fianchi, questo top mostrerà che possiedi un paio di tette anche se piccole. Scoprirai pochissima pelle eppure avrai il corpo in bella mostra, è perfetto». Continuai a fissare Branna come se le fosse cresciuto un orecchio supplementare. Scosse la testa. «Avrò il mio bel da fare; fila in doccia, su. Ti stiro i vestiti e preparo i miei trucchi e i prodotti per capelli per quando sarai pronta. Ti farò sembrare ancora più bella di quello che sei già. Gavin rimarrà con un palmo di naso». Aprii la bocca, poi la richiusi, entrai muta in bagno e mi spogliai. Ero agitata; agitata per quello che Branna stava per farmi, agitata per ciò che avrebbe pensato Gavin vedendomi e agitata in generale per il nostro appuntamento. Sinceramente mi veniva da vomitare. Era così che si sentivano le ragazze prima di uscire con un ragazzo o peggiorava durante la serata? Speravo di no perché rimettere pezzi di cibo sulle scarpe di Gavin avrebbe compromesso seriamente l’operazione superamento Dominic sotto – non letteralmente – Gavin. Quell’operazione doveva avere successo.
Capitolo dodici
«È arrivato Gavin, e sembra sexy!». Mia sorella era al settimo cielo. «Non un ragazzo che ti noti per anni, e all’improvviso ti vengono dietro due fighi pazzeschi. È così eccitante!». “Eccitante?”, pensai. “Più da fottuto cedimento di nervi”. Rimasi nascosta in bagno mentre Branna bussava piano alla porta. «Che fortuna», mormorai, fissandomi nello specchio a figura intera appeso alla parete. Sembravo me stessa, e allo stesso tempo diversa. Era ancora la mia faccia, solo con un trucco extra. Avevo i capelli vaporosi e ricci. Davvero, erano una montagna. Il mio corpo sembrava lo stesso, ma più in evidenza; i pantaloni attillati abbracciano sempre la parte bassa di una persona, ma uniti a un top stretto mi facevano sentire nuda. «Non posso metterlo, Bran, si vede tutto quel poco di décolleté che ho», gemetti quando aprii la porta e la lasciai entrare. Fece una smorfia d’esasperazione. «Smettila di fare la melodrammatica, si vede solo un po’ e con quel top è normale. Hai i jeans e il cardigan ti copre le braccia. L’unica pelle in vista è un po’ di scollatura, una piccola parte del collo e la faccia». Grugnii. «È tutto così stretto e attillato che sembra una seconda pelle. Tanto valeva essere nuda!». Branna si pizzicò il dorso del naso e scosse la testa. «È tutto alla rovescia. Dovresti essere tu a volerti vestire così e io a oppormi perché sono più grande e responsabile». Feci un verso ironico. «Sei solo eccitata perché adesso sono come una bambola che puoi giocare a vestire e con cui parlare di ragazzi». Branna batté le mani, entusiasta. «Non è splendido?». “No”. «Splendidissimo», risposi, impassibile. Mi tirò uno schiaffo per gioco. «Fa niente, sarò io eccitata per te». Sospirai; ero eccitata, ma sin troppo nervosa riguardo quell’appuntamento con Gavin. Cioè, che cazzo dovevo fare? «Smettila di pensare e andiamo, ti aspetta». Prima che potessi temporeggiare qualche minuto ancora, Branna mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dal bagno e giù per le scale. Mi liberai con uno strattone e stavo per rimproverare mia sorella, quando vidi Gavin con la coda dell’occhio e dovetti impedirmi di trattenere il respiro. Indossava jeans grigi, maglietta nera e cappotto nero. I capelli erano tirati su col gel; mi piaceva quello stile perché si poteva vedere bene il suo viso. Mi resi conto che lo stavo fissando quando Branna mi diede una gomitata nel fianco. «Di’ qualcosa», borbottò. Mi schiarii svelta la voce. «Ehi, Gav». Alzò lo sguardo dal mio petto e mi rivolse un sorriso abbagliante. «Ehi, sei magnifica». Arrossii.
«Che carino». Branna era in brodo di giuggiole. «Le ho detto la stessa cosa, ma non mi crede». “Che cazzo ha detto?”. Ringhiai dentro di me. “Sta cercando di mettermi in imbarazzo?”. «Allora dovrò semplicemente ricordarglielo abbastanza spesso stasera, quanto è meravigliosa». Gavin sorrise e mi fece l’occhiolino, e io lo fissai in trance. Davvero, perché non l’avevo mai notato prima? Sentii la porta aprirsi e chiudersi e un campanello d’allarme scattò dentro di me. Chi cazzo era e come aveva fatto a entrare così facilmente? Non avevo idea del perché, ma quando guardai da sopra una spalla e vidi la sagoma di un uomo, strillai e balzai in direzione di Gavin. Le sue braccia mi circondarono la vita e la mia testa premette contro il suo collo. «È solo Ryder!», urlò Branna al di sopra delle mie grida. Alzai la testa e guardai di nuovo l’uomo. E, poco ma sicuro, nell’ingresso c’era Ryder con le sopracciglia inarcate, dei cartoni di pizza in mano e delle chiavi in bocca. «Sul serio? Mi trovi così brutto che strilli e corri a nasconderti?», mugugnò senza sputare le chiavi. Branna sbuffò divertita e persino Gavin ridacchiò. Mi ricomposi, poi guardai storto Ryder. «Non sapevo che eri tu. Da quando hai le chiavi di casa mia?». Sapevo che avrei dovuto essere gentile con lui, ma ci stavo mettendo un po’ ad abituarmi ad averlo intorno. Nessun uomo con cui si vedesse Branna era mai a casa quando c’ero io. Non pensavo nemmeno che ce ne avesse mai portato uno, quindi era strano che negli ultimi giorni Ryder facesse avanti e indietro come se fosse casa sua. «Da stamattina, quando gliele ho date», mi disse Branna con un’occhiata torva. Gliela restituii. «Be’, avresti dovuto dirmelo. Abito qui anch’io, sai?». Incurvò un po’ le spalle e spianò il cipiglio. «Giusto, scusa. Immagino di essermene dimenticata». Annuii, poi guardai Ryder, che stava guardando Gavin. «Lui è Gavin…». «Ci siamo già incontrati», mi interruppe, senza smettere di fissarlo. “Si sono già incontrati?”. «Quando vi siete conosciuti?» «Alla riunione di qualche settimana fa, quando lui e Dominic si sono scazzottati a scuola». Ryder mi interruppe di nuovo, sempre guardando Gavin. Spalancai un po’ gli occhi; mi ero dimenticata del tutto di quella riunione. “Accidenti”. Le cose si stavano facendo molto imbarazzanti e ancora non eravamo nemmeno usciti di casa. «Quindi… voi due, eh?», domandò Ryder a Gavin. Lo sentii alzare le spalle. «Stasera usciamo insieme quindi sì, immagino di sì». Ryder spostò gli occhi su di me, ma non disse nulla. «Metto la pizza nei piatti, piccola», informò Branna, poi guardò di nuovo Gavin e me. «Divertitevi». «Grazie», rispondemmo all’unisono. A quel punto cadde il silenzio e per fortuna Gavin lo interruppe schiarendosi la voce. «Meglio andare, il film inizia alle otto e mezza». Annuii e uscendo di casa salutai Ryder – che si dirigeva in cucina – e Branna – che saltellava sulla punta dei piedi.
«Mi… mi dispiace tanto per… qualsiasi cosa sia successa lì dentro», dissi una volta vicino alla macchina. Almeno, pensavo che fosse la sua macchina. «Non c’è nessunissimo problema. Ricordo che hai detto a scuola che il fratello maggiore di Nico era fidanzato con tua sorella. Ero mentalmente preparato a incontrarlo». Ridacchiò. Lo imitai e sorrisi quando lui mi aprì la portiera da vero gentiluomo. Scivolai dentro, mi allacciai la cintura di sicurezza e incrociai le mani in grembo. «Papà mi ha lasciato usare la macchina visto che non ne ho ancora una mia. Ho superato l’esame la settimana scorsa, quindi stasera si è proprio fidato di me», disse una volta entrato dalla sua parte. Lo guardai inespressiva. «Ti prego, dimmi che hai superato tutto a pieni voti». Mi fissò dritto negli occhi, un angolo della bocca ricurvo verso l’alto. «Ho passato l’esame a pieni voti». Sussultai. «Sto per morire!». Gavin scoppiò a ridere. «Sono un buon guidatore, Bee, non preoccuparti. Sei al sicuro con me, promesso». Lo guardai con la coda dell’occhio e sorrisi appena. Ok, una volta superato l’imbarazzo dentro casa, era un buon inizio per il mio primo appuntamento. Mi sentivo eccitata e per nulla nervosa. Andando verso il cinema, io e Gavin chiacchierammo della sua squadra di calcio a scuola e di quanto fossero dure le sessioni di allenamento organizzate dal professor Rivers. Sinceramente non me ne fregava niente del calcio, ma era chiaro che Gavin lo adorava, quindi ero tutta orecchi mentre lui parlava. Feci qualche domanda pertinente qua e là e mi mostrai interessata. Non ci volle molto per arrivare al cinema. Una volta scesi dalla macchina ed entrati, Gavin mi prese per mano e mi sorrise. «Che vuoi mangiare? Sta a me pagare». Ero arrossita perché mi teneva per mano, ma risi alla sua scelta di parole. «Hai fatto la rima», commentai. Gavin sogghignò. «Sono un poeta, lo so». Allora risi piano e non smisi di sorridere mentre ci avvicinavamo a una cassa aperta, mano nella mano. Volevo i popcorn, le M&M’S e una Coca-Cola. Gavin lo stesso, quindi ordinò un menu coppie con M&M’S extra. Avevo la faccia in fiamme: un menu coppie. Coppie! Più pensavo a quello che significava più mi girava la testa e avevo un po’ di nausea. Eravamo una coppia o era solo la scelta intelligente per due persone? Non ne avevo idea! Acquistati i biglietti e il cibo – rifiutò i miei soldi –, Gavin portò le bibite e le M&M’S e io il secchiello grande di popcorn. Raggiungemmo la sala in cui davano il nostro film e ci sistemammo ai nostri posti nella fila centrale. Stava andando tutto alla grande, finché non scorsi Kane, uno dei fratelli maggiori di Dominic e Damien, seduto tra due bionde quasi in ultima fila. Mi guardò dritto negli occhi, poi lanciò un’occhiata verso Gavin, mi osservò di nuovo e si fece un po’ torvo. Non avevo idea del perché, ma quando notai la luce che gli si rifletteva in faccia e il dispositivo tra le sue mani gemetti e mi accasciai sul sedile. «Che succede?», domandò Gavin, sedendosi al mio fianco, poi mi passò la mia Coca e le M&M’S. Lo guardai e sorrisi. «Niente».
Mi rivolse uno sguardo d’intesa e io mi ritrovai a sospirare per poi allungarmi un po’ verso di lui. «Il tizio seduto in fondo tra le due bionde è il fratello più grande di Dominic e Damien. Ci ha guardati e si è fatto scuro in faccia. Ha tirato fuori il cellulare e scritto un messaggio. Potrebbe non essere niente, ma scommetto che sta dicendo a Dominic che sono qui con te». Gavin socchiuse un po’ le palpebre. «Che problema ha quel tipo? Un’ossessione per te o cosa?». Arrossii. «No, secondo me pensa solo che stia giocando a fare la difficile». Inarcò un sopracciglio. «E stai facendo la difficile?». Lo fissai a bocca aperta. «No! Certo che no». Annuì. «Bene, non voglio giocare una partita persa in partenza». Aggrottai le sopracciglia e stavo per dire qualcosa, quando la stanza divenne buia e lo schermo davanti a noi si illuminò. Il film si chiamava Shadowhunters. Città di ossa. Era un bel film, ma per qualche motivo non riuscii a concentrarmi, quindi fui in parte sollevata quando finì. Io e Gavin uscimmo per primi dal cinema, cosa di cui fui grata, perché proprio non volevo dover salutare Kane. Pensavo che Gavin mi avrebbe accompagnata a casa, ma quando suggerì un McDonald’s accettai, perché sentivo che avevamo bisogno di parlare di qualcosa, qualsiasi cosa, per arginare l’imbarazzo crescente seguito alla conversazione nel cinema. Una volta preso il nostro cibo e seduti, ci demmo sotto e iniziammo a parlare del più e del meno e a ridere di cose stupide. Mi sentivo felice e rilassata e all’apparenza anche Gavin. Cioè, finché non vidi entrare Kane con le due ragazze e Dominic alle calcagna. Sentii il cuore martellare nel petto e i palmi delle mani inumidirsi di sudore. «Cazzo, no», gemetti e abbassai un po’ la testa. Gavin aggrottò le sopracciglia, poi si girò. Divenne teso come una corda di violino e quando mi guardò di nuovo io deglutii, nervosa. Sembrava irritato. «È qui perché ci siamo noi, giusto?». Sapevamo entrambi che era così, quindi annuii. Gavin sospirò e prima ancora che parlasse sentii le lacrime pungermi gli occhi. Sapevo che stava per mettere fine all’appuntamento e non me ne avrebbe chiesto un altro. «Bronagh, mi piaci, mi piaci sul serio. Sei bellissima, semplice e una ragazza fantastica in tutto e per tutto, ma questa cosa con Dominic è troppo per me. Se quel che c’è tra noi arrivasse da qualche parte e ci mettessimo insieme, dovrei stare in guardia quando c’è lui nei paraggi e preoccuparmi di come potrebbe cercare di attirarti lontano da me. È pazzo di te ed è evidente che non gli importa se deve passarmi sopra per raggiungerti». Mi morsi l’interno delle guance: faceva male, e non avevo idea del perché. «Possiamo essere amici; non scherzavo quando ho detto che sei una ragazza fantastica, è vero», proseguì. Oh, Dio, ero sul punto di piangere, e non volevo. «Vado in bagno un momento, torno subito», bisbigliai. Balzai in piedi e andai verso la toilette. «Bronagh, aspetta…». Tagliai fuori la voce di Gavin chiudendo la porta del bagno. Subito mi sventolai con le mani gli occhi e inclinai la testa all’indietro, sbattendo in fretta le palpebre per scacciare le lacrime. Agguantai dei fazzoletti, tamponai attorno agli occhi e feci qualche respiro profondo. Mi sentivo triste ma anche arrabbiatissima. Sapevo che Gavin aveva visto giusto: Dominic si sarebbe sempre
immischiato nella nostra relazione se ne avessimo avuta una, quindi non potevo davvero sorprendermi se non voleva nulla più di un’amicizia. Meglio mollarmi adesso che dopo qualche altro appuntamento, quando avrei iniziato a tenere a lui anziché di trovarlo solo piacevole. Però faceva male lo stesso. Era la prima volta che mi capitava una cosa del genere, e per giunta al mio primo appuntamento! Mi ricomposi, sistemai i capelli davanti allo specchio e tornai fuori. Gavin era dove l’avevo lasciato, ma adesso il mio posto era occupato da Dominic. Lo affiancai come una furia, lo afferrai per una spalla e tirai. «Alzati e lasciaci in pace!». Guardò la propria spalla, poi me, truce. Tolsi la mano, ma continuai a fissarlo malevola. «Dominic, vattene», ripetei. Mi fece un sorriso che però non raggiunse gli occhi. «Sto solo parlando con il tuo ragazzo…». «Gavin non è il mio ragazzo e grazie a te non lo sarà mai, quindi fuori dalle palle e lasciaci in pace. Hai già rovinato abbastanza il mio primo appuntamento, quindi vattene!». Odiai che la mia voce si fosse incrinata; tutti quelli che erano nel ristorante sentirono l’urlo e l’imbarazzo non fece che aumentare la mia rabbia. Lasciai perdere Dominic e guardai Gavin. «Puoi portarmi a casa, per favore?». Sembrava arrabbiato e triste insieme, annuì e si alzò in piedi. Fece per prendermi la mano, ma qualcuno spinse via la sua e mi tirò da parte. Ritrovato l’equilibrio, fissai Dominic, incredula. Mi si era proprio messo davanti, aveva respinto la mano di Gavin e poi gli si era piazzato quasi in faccia. «Che cazzo fai? Stupido yank…». Il pugno di Dominic volò contro la mascella di Gavin, interrompendo la sua frase. Mi sfuggì un urlo quando lo vidi cadere a terra. Poi gridai mentre Dominic si chinava su di lui e sollevava di nuovo il pugno. Andai su tutte le furie e gli balzai sulla schiena. Gli avvolsi il braccio sinistro attorno al collo, le gambe attorno ai fianchi e iniziai a tempestargli la testa di pugni. Ogni colpo mi faceva male alla mano, ma non mi importava. Volevo che soffrisse perché aveva fatto soffrire me, stupido che era, quando Gavin aveva troncato l’appuntamento a causa sua. «Accidenti, Bronagh, levati di dosso!». «No!», gridai e continuai a picchiarlo sulla testa, le spalle e la schiena. A quel punto mi sentii strattonare e tirar su come una bambola di pezza. «Calmati, arpia», ridacchiò una voce al mio orecchio. Lottai contro la sua presa. «Lasciami, Kane. Lo ammazzo quel bastardo!». «Quel bastardo è il mio fratellino quindi non posso permettertelo», disse piano. Mi divincolai ancora, ma smisi quando Gavin si alzò in piedi strofinandosi la mascella rossa e un po’ gonfia. Guardò malissimo Dominic, poi fissò gli occhi su di me. «Me ne vado, Bronagh», annunciò. «Scusami, ma questo è troppo». Ciò detto, si girò e uscì a gran passi. Lo seguii con gli occhi spalancati. «Gavin, aspetta, per favore…». «No!». Dominic ringhiò. «Non richiamarlo. Non è abbastanza uomo se non vuole battersi per te». “Battersi per me?”. «Non deve!», affermai. «Ero sua se mi avesse voluto ma non vuole, ed è tutta colpa tua! Perché non
mi lasci in pace e la smetti di interferire con la mia vita?». Dominic sostenne il mio sguardo e disse: «Perché ti voglio». Sapevo che voleva fare sesso con me, me l’aveva detto già abbastanza spesso, ma per qualche ragione sentii che quella volta non stava parlando solo di quello. Era come se stesse dicendo che mi voleva tutta. ’Fanculo, peccato che non poteva avermi. Era pericoloso; me l’aveva fatto capire ogni volta che l’avevo incontrato, e io non potevo averlo così nella mia vita. Avrebbe potuto spezzarmi. «Dominic, non posso», sussurrai. «Sei troppo diverso da me…». «Solo stronzate. Poco fa eri appesa alla mia schiena a riempirmi la testa di pugni in preda a una furia cieca. Mi assomigli più di quanto credi». Lo fulminai con gli occhi. «Avere un brutto carattere non significa assomigliarti. Tu fai a botte per divertimento come un cazzone malato e perverso. Io ti ho colpito per difendere…». Mi fermai per un istante, poi mi schiarii la voce. «Per difendere Gavin, non perché mi piacesse». «Non combatto per divertimento, su questo ti do la mia parola», mugugnò, attirando la mia attenzione. Mi confondeva, quindi chiesi: «E allora perché?». Mi guardò negli occhi. «Combatto per la mia famiglia, per mio fr…». «Dominic». Kane lo fermò con un basso tono di avvertimento. Inarcai le sopracciglia, avrei voluto picchiare Kane per l’interruzione. Non potei chiedergli cosa intendesse, perché tutto d’un tratto la mia mano cominciò a pulsare; mi sfuggì un urlo soffocato e mi strinsi le dita al petto. «Oh, merda, credo di essermi rotta la mano!». Kane mi posò a terra – si, mi aveva tenuta sollevata per tutta la durata della conversazione, e dato il mio peso dovevo avergli distrutto la schiena – e si avvicinò a esaminarla insieme a Dominic. «Fammi vedere», mormorò quest’ultimo. Scossi la testa come una bambina e sbottai: «No, fa male! Va’ via!». Fece un leggero sorriso. «Andiamo, ti porto in ospedale». Ospedale? Dove ficcano aghi dentro la gente e la aprono in due? Mi sentii impallidire e prima di rendermene conto stavo barcollando e poi ero tra le braccia di Dominic. «Ti tengo», mi bisbigliò all’orecchio. Non era confortante! Mi sorresse con un braccio attorno alla vita mentre uscivamo dal ristorante. Andammo a sbattere contro delle guardie di sicurezza che entravano a frotte e Dominic sospirò guardandole. «Lo so, lo so. Che non mi ripresenti più da queste parti». Mi accigliai, uscendo, e lui mi sorrise. «Non è la prima volta che mi cacciano da qualche posto per avere fatto a botte». «Sconvolgente», grugnii, facendolo ridere. Kane se ne andò con le sue amiche dopo che Dominic gli ebbe assicurato che sarei stata al sicuro con lui; ne dubitavo fortemente, visto che era colpa sua se la mano mi stava uccidendo! «La prossima volta che vedo tuo fratello gli tiro un pugno in faccia, lo so che ti ha scritto lui dov’ero». Dominic ridacchiò, allacciandosi la cintura di sicurezza. «In realtà mi ha chiesto se volevo
raggiungerlo al McDonald’s dopo il suo appuntamento con quelle ragazze. Non avevo nient’altro da fare quindi ho accettato. Ero sorpreso quanto te quando sono entrato e ti ho vista con Gavin». Kane aveva un appuntamento con due ragazze? Scossi la testa. «Tuo fratello sapeva che sarebbe successo qualcosa, sadico bastardo». A quel punto rise di gusto e io odiai la voglia che mi venne di sorridere. La mano però ormai pulsava davvero tanto, perciò piagnucolai. «Stai bene?». Mi girai di scatto verso di lui, truce. «A te sembra che stia bene?». Non rispose, quindi mi incupii ancora di più. «Rispondimi!». Si mordicchiò un labbro. «No, perché qualsiasi cosa dica mi urlerai contro e basta, quindi terrò la bocca chiusa». Grugnii. «Cazzo, sarebbe la prima volta!». Non rispose qualcosa di sprezzante, stranamente. Lo guardai, lui rise e mi lanciò un’occhiata. «Non discuterò con te, piccola, quindi smettila di tendermi esche». Ringhiai. «Non sono la tua piccola». «Me n’ero dimenticato». Sorrise. «Scusa». Non gli dispiaceva per niente, bastardo. Scossi la testa, gemetti e mi strinsi la mano al petto. «Dio, fa tanto male». Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi e le ricacciai indietro. «Bronagh, per favore, non piangere», mi pregò. Tirai su col naso. «Non posso farci niente, fa davvero male». «Lo so, ma siamo quasi arrivati in ospedale. Ti farò rimettere a posto, ok?». Annuii, tirando ancora su col naso, mentre recuperavo il cellulare. Chiamai Branna prima che il dolore diventasse così forte da non riuscire a parlare. «Come sta andando?», squittì nel rispondere. Piagnucolai. «Bronagh? Piccola? Che succede? Qualcosa non va? Gavin ti ha fatto male? Cazzo, lo uccido…». «Branna, sta’ zitta», la interruppi con un grido. «Gavin non mi ha fatto male, ma sono ferita lo stesso e sto andando in ospedale». «In ospedale? Perché? Che è successo? Stai bene?». Mi sfuggì una risata in mezzo al dolore. «È successo Dominic». Lui sospirò, strappandomi un sorrisetto malgrado il male che sentivo. «Dominic?», sbottò Branna, poi digrignò i denti. «Ucciderò tuo fratello». «Non se lo uccido prima io», sentii urlare Ryder. Lo sentì anche Dominic, perché gemette forte, ampliando il mio sorriso. «Arriviamo. Sarò lì appena possibile, Bee, ok?». Annuii e tirai su col naso. «Ok». Riattaccai proprio mentre Dominic entrava nel parcheggio dell’ospedale e trovava un posto vicino al pronto soccorso; scendemmo dalla macchina ed entrammo. Mentre davo le informazioni alla donna dietro il bancone sentivo Dominic alle mie spalle, mi distraeva. Fatta la registrazione, ci spostammo nella sala d’attesa, stracolma di gente. Lanciai un’occhiataccia a Dominic. «Ti odio».
Annuì. «Mi odio anch’io. Cazzo, passeremo qui tutta la notte». Digrignai i denti. «E allora vattene, nessuno ti chiede di rimanere». Mi lanciò un’occhiataccia. «Se pensi che ti lascerò qui, non mi conosci molto bene». «Non ti conosco per niente», rimbrottai. Alzò gli occhi al cielo e mi tirò per la mano sana verso l’unico sedile libero in tutta la stanza; gli tirai un calcio nello stinco, facendo ridacchiare un paio di persone. «Problemi in paradiso?», chiese un uomo a Dominic, sogghignando. Lui sbuffò. «No, fratello, sono i nostri preliminari». Ansimai e Dominic si spostò subito per evitare un colpo, cosa che quell’uomo e alcuni altri trovarono divertente. Ero mortificata; sentivo la faccia e il collo bruciare. «Scusa, scherzavo», mormorò Dominic quando vide quant’ero arrossita. Mi limitai a un’occhiataccia, poi spalancai gli occhi vedendolo accomodarsi sull’unico posto libero. Che testa di cazzo! Ero io quella ferita, avrei dovuto sedermi io, non lui. Stavo per dirglielo, quando mi prese per i fianchi, mi fece voltare e mi trascinò sulle sue ginocchia. Mi sentii ancora più mortificata di quanto già non fossi quando alcuni adocchiarono la mia posizione. Avevo il culo direttamente sul suo pacco, le cosce appoggiate sulle sue, la schiena contro il suo petto e la nuca sulla sua spalla. Era una posizione molto intima e mi fece eccitare e infuriare allo stesso tempo. «Puoi picchiarmi dopo. Adesso rilassati e lasciati abbracciare finché non ti visita un dottore», mi disse Dominic all’orecchio, poi mi baciò tre volte la guancia. Era un gesto sorprendentemente dolce che in effetti mi azzittì. Sentii il cuore che iniziava a battere più forte e le farfalle erompere nello stomaco. Riusciva a farmi impallidire di rabbia con un gesto e poi portarmi al settimo cielo con un altro. Quando si trattava di lui non ero in grado di distinguere le emozioni. Dopo qualche istante mi rilassai e cominciai a guardarmi intorno. C’erano quattro ragazze sedute davanti a noi, almeno due anni più giovani di me e Dominic, che gli sorridevano e gli lanciavano occhiatine di apprezzamento. Una di loro mi squadrò le cosce e si mordicchiò il labbro prima di distogliere lo sguardo. Abbassai gli occhi e deglutii: stare seduta su Dominic triplicava la grossezza delle mie gambe e mi metteva a disagio. Rimasi dov’ero, però mi raddrizzai, tolsi il golfino e mi coprii le gambe. «Hai caldo?», mi chiese lui quando mi riappoggiai al suo petto. Scossi la testa, la mano ferita stretta a me. «Allora perché…». «Mi coprivo le gambe», mugugnai. Rimase zitto per un secondo. «Probabilmente mi pentirò di averlo chiesto, ma perché?». Arrossii e sussurrai: «Perché da seduta sono tre volte più grosse». Silenzio. Stavo per parlare quando Dominic borbottò: «Dio mi salvi dalle ragazze e dal loro stupido modo di pensare». Sussultai, lui sbuffò e mi sfregò il naso contro il collo. «Guarda caso io penso che tu sia fottutamente stupenda stasera. Non ti avevo mai visto indossare abiti della tua vera taglia finora. Devo dire, Bronagh, che mi piace parecchio». Sentii le punte delle orecchie andare a fuoco e ritirai la testa tra le spalle; lui rise.
«Bronagh Murphy?», chiamò una voce femminile. Mi alzai, strinsi il cardigan e mi avvicinai all’infermiera che mi aveva chiamato. Sentii che Dominic mi seguiva, ma non dissi niente. Sapevo che avrei avuto bisogno della compagnia di qualcuno lì dentro o sarei probabilmente svenuta. «Bronagh?», chiese l’infermiera quando mi fermai davanti a lei. Annuii, poi mi morsi il labbro quando la vidi guardare dietro di me. «Solo parenti o partner…». «Sono il suo ragazzo», la interruppe Dominic. Arrossii, la donna sorrise e fece un cenno con la testa, indicandoci di entrare nell’area triage. Andai a sedermi sul lettino per l’esame. L’infermiera guardò la mano che tenevo stretta a me e fece una smorfia. «Sembra doloroso». Fremette. «Lo è», le assicurai. «Come è successo?». Dominic abbassò la testa, io mi strinsi nelle spalle e dissi: «Ho preso a pugni un tizio che mi ha detto che ero grassa e dovevo mettermi a dieta». Dominic alzò di scatto la testa, fissandomi da dietro le spalle dell’infermiera; io rimasi serissima e dissi: «Di solito non mi comporto così ma quel tipo ha davvero ferito i miei sentimenti». L’ultima parte della frase la indirizzai a Dominic, che si accigliò. L’infermiera scosse la testa. «Spero che tu abbia lasciato dei bei lividi a quella merdina. È una cosa disgustosa da dire a chiunque!». “Vai così infermiera!”. Annuii. «Penso di avergli fatto male». «Eccome», mimò Dominic con le labbra, sfregandosi la nuca con un sussulto, e io dovetti mordermi il labbro per non sorridere. L’infermiera continuò a esaminarmi la mano, scusandosi ogni volta che sobbalzavo, gemevo o strillavo a pieni polmoni. «Ti prenoto una radiografia prima di vedere il medico. Puoi capire dalla sala d’aspetto che stasera siamo piuttosto impegnati. Al momento il tempo d’attesa è di sette ore; ce ne vorranno altre due o tre dopo la visita prima che tu possa andare a casa, ok?». A quanto pareva il giorno dopo non sarei andata a scuola. «Va bene, grazie. Mia sorella sta arrivando quindi starà lei con me…». «Starò io con te; Branna può discutere quanto vuole, ma non vado da nessuna parte», mi interruppe Dominic. Sollevai un sopracciglio, l’infermiera gli sorrise radiosa. «È molto dolce da parte tua restare con la tua ragazza». Stavo per dire che non era il mio ragazzo, quando Dominic ricambiò il sorriso e io dimenticai ciò che stavo pensando. Aveva le fossette sull’attenti, non potevo non guardarle. In quel momento capii che le sue fossette erano una mia grande debolezza ed era stupido perché dei crateri sulla faccia di una persona non dovrebbero essere così affascinanti, cazzo! Continuai a guardarlo mentre l’infermiera mi fasciava la mano e il braccio e me li legava al collo. Lui per un po’ osservò i movimenti delle sue mani, poi alzò gli occhi e mi sorprese a fissarlo. Sapevo che ero lì perché lui aveva rovinato il mio appuntamento con Gavin e ogni possibilità che avessi di mettermi con lui, ed ero arrabbiata per questo, ma per quanto dicessi che lo odiavo non
potevo costringermi a provare un sentimento che non esisteva. Certo, mi faceva uscire dai gangheri, ma non lo odiavo. Non la pensavamo allo stesso modo quasi su niente, ma la sua testardaggine nel volermi mi stava facendo perdere di vista il fatto che probabilmente non avremmo potuto essere peggio assortiti. E averlo nella mia vita andava contro tutto ciò che avevo mai costruito per tenere fuori le persone. Era un rischio e invece di allontanare di nuovo quell’idea mi ritrovavo a contemplare la possibilità di correre quel rischio. Porca puttana. «A che pensi?», mi chiese Dominic quando l’infermiera uscì per andare a prendermi degli antidolorifici e un tagliando per la radiografia da conservare in attesa che mi chiamassero. «Sto pensando che sei pericoloso, e che averti nella mia vita significherebbe fare quello che ha sempre voluto Branna, aprirmi a qualcuno. Sei un rischio che sto pensando di correre». Dominic mi fissò per qualche istante, poi si insinuò tra le mie gambe. «Mi vuoi?», sussurrò. Ingoiai l’orgoglio. «Devi impegnarti a non farmi arrabbiare così tanto, ma sì, ti voglio». Mi prese la faccia tra le mani, accarezzandomi con i pollici. «Non sto dicendo che diventerò subito la tua ragazza», aggiunsi. «Sto dicendo che è una possibilità». Inarcò un sopracciglio. «Quindi sono in prova?». Annuii. «Esatto, voglio solo provare a vedere se funziona questa cosa tra noi prima di metterci un’etichetta sopra, a te sta bene?» «Posso baciarti quando voglio?». Alzai gli occhi al cielo. «Niente baci a scuola perché non voglio affrontare quei melodrammi, soprattutto dopo quello che è successo con Destiny, e per la cronaca non ne parleremo mai. In quel fine settimana non eravamo niente quindi quel che è successo o non è successo non sono affari miei. A parte questo però, sì, puoi baciarmi quando vuoi». «Allora mi sta bene», bisbigliò. Detto ciò appiccicò le labbra alle mie e mi infilò a forza la lingua in bocca, facendomi sussultare e aggrapparmi al suo braccio con la mano sana. Ebbi a malapena la possibilità di ricambiare il bacio perché all’improvviso il suo corpo e la sua bocca non erano più premuti contro i miei. Aprii gli occhi e lo vidi dall’altra parte della stanza con una donna addosso che lo tempestava di pugni. La donna era mia sorella. E lo stava ammazzando di botte. Cazzo!
Capitolo tredici
«Sei sicuro di non voler sporgere denuncia, tesoro?». Scossi la testa e mi sfregai la faccia con la mano buona mentre la poliziotta faceva a Dominic la stessa domanda per la quinta volta. Era giovane, venticinque anni al massimo, e gli sorrideva e annuiva ogni volta che lui parlava, e poi diventava tutta moine, come la nuova infermiera quando Dominic sussultava per l’ago con cui gli ricucivano il taglio sotto l’occhio causato dall’anello di Branna quando gli aveva tirato un pugno. «Le ha già detto che non vuole denunciare mia sorella, perché continua a ripetersi?», chiesi alla poliziotta; il ringhio nella mia voce non passò inosservato. Quella mi guardò, torva. «Fa parte del mio lavoro porre questo genere di domanda alle vittime di un’aggressione più di una volta per essere sicura che siano certe della propria decisione. Già, come no. «Fa parte del suo lavoro anche flirtare con la suddetta vittima quando la sua ragazza è proprio lì accanto?». Ebbe la decenza di arrossire, mentre l’infermiera che stava ricucendo Dominic si azzittì di colpo e smise di coccolarlo quando emetteva versi di dolore. «Sta’ a sentire, non stavo flirtando…». «Sì invece, ma può anche lasciar perdere, non gli interessa. Giusto?». Quando guardai Dominic scoprii che lui mi stava già fissando e sentii lo stomaco fare una piccola capriola, perché aveva uno sguardo intenso e completamente concentrato su di me. «Giusto». Sorrise. L’infermiera finì in quel momento di mettergli i punti e si scostò, ma solo di qualche centimetro. Feci un gesto del capo verso di lui e guardai di nuovo la poliziotta. «Visto?». Quella stava per scagliarmisi addosso, ma si fermò a bocca aperta quando Dominic si schiarì la voce e stiracchiò le braccia sopra la testa, facendo flettere e contrarre i bicipiti, tricipiti e tutti gli altri “-cipiti” che possedeva. Era a petto nudo perché Branna aggredendolo gli aveva strappato la maglietta e aveva dovuto buttarla. Non mi dispiaceva, perché aveva un torso così bello che ero contenta di ammirarlo. Solo che i miei non erano gli unici occhi in ammirazione e per la primissima volta mi sentii estremamente gelosa e possessiva nei suoi riguardi. Per questo mi irritavano la poliziotta e l’infermiera: se lo mangiavano con gli occhi senza nemmeno provare a nasconderlo e flirtavano con lui senza vergogna con me seduta proprio accanto. A un certo punto mi avevano scambiata per sua sorella, che stronzata. Dominic era un gran figo, ma non un accidenti di Dio, non ero indegna della possibilità di essere la sua ragazza, qualunque cosa gli altri potessero pensare. Aveva dei difetti che l’aspetto non poteva nascondere ed ero stata io a rifiutarlo nelle ultime settimane, quindi palesemente l’idea non era così remota come pensavano quelle donne. «Hai un tatuaggio stupendo», disse l’infermiera, interrompendo i miei pensieri.
La poliziotta annuì, della stessa opinione. Avevo la sensazione che mi avrebbero arrestato per avere preso a scapaccioni quelle due sceme, se non la piantavano prima di peggiorare la situazione. «Grazie, signore, la mia ragazza è d’accordo con voi». Dominic sorrise e mi circondò la vita con il braccio sinistro. Entrambe si accigliarono al suo gesto; ero esasperata. Sembravano due a cui avevano dato un cucciolo per poi strapparglielo dalle mani. «Ha finito qui?», domandai. Annuirono, anche se si capiva che non avrebbero voluto. «Allora possiamo andarcene?». Avevo un tono che più sprezzante non si poteva. La poliziotta mi trapassò con lo sguardo. «Hai qualche problema?» «Sì, in effetti», la interruppe Dominic con un sorriso. «Si è slogata la mano qualche ora fa e non ha ancora preso gli antidolorifici. Appena finisco andiamo a recuperarli alla farmacia a orario continuato». Quella gli sorrise di nuovo; la maledissi dentro di me. Faceva schifo nel suo mestiere, se bastava un bel ragazzo a distrarla. «Ora ti dimetto». L’infermiera fece un gran sorriso a Dominic. Ero impaziente, avrei voluto che al suo posto ci fosse la donna che mi aveva fasciato il braccio. Era tranquilla e non una pervertita come quella giovane. «Anch’io ho finito qui, a meno che tu non voglia esporre denuncia. In tal caso possiamo verbalizzarla in centrale». Cazzo, scommetto che le sarebbe piaciuto da matti portarlo in un posto con facile accesso a delle manette! «No, grazie». Dominic sorrise di nuovo. «Resto della mia convinzione». La poliziotta annuì, salutò e uscì dalla stanza. Fumai di rabbia in silenzio per un po’, finché non sentii i suoi occhi su di me. «Che c’è?», mugugnai senza guardarlo. «Cazzo, sei così sexy», ringhiò e si chinò su di me; incollò le labbra al mio collo e succhiò. Il mio corpo ebbe un sussulto e mi scostai svelta. «Smettila, potrebbe entrare chiunque!». Lo guardai male. Si limitò a un sorrisetto. «Come se mi importasse, vederti gelosa e possessiva mi ha fatto diventare duro come il diamante. Cazzo adoro questo lato di te». “Duro come il diamante?”. Oh, Dio! «Dominic», ansimai, sentendo il sangue correre su per il collo e raggiungere le guance. Rise di me. «Stai passando da sexy a adorabile da morire. Mi stai uccidendo!». Gli lanciai un’occhiataccia. «Ti ucciderò se non la pianti, non mi piace». «Allora perché incroci le gambe?». Sorrise. Abbassai lo sguardo, senza capire. Effettivamente tenevo le gambe incrociate, e fu solo allora che mi resi conto del dolore immane nel mezzo. Senza pensarci strinsi le cosce per cercare di placarlo e Dominic se ne accorse. «Sta’ zitto!», sussurrai. Si leccò le labbra. «Se vieni qui da me, farò andare via quel dolore e lo trasformerò in un piacere
immenso». Sentii pulsare il mio nucleo; faceva così male che sentivo il bisogno di sfregarlo per farlo smettere. Strinsi ancora di più le gambe; Dominic gemette. «Scommetto che ti sei bagnata per me; riesco praticamente a sentire il tuo calore da quaggiù», mormorò con voce calda. Chiusi gli occhi e cercai di ignorare lui e il pulsare. «Vieni qui da me, piccola», mormorò di nuovo. Sentii i piedi muoversi prima che il cervello registrasse qualcosa; aprii gli occhi quando le mie ginocchia sbatterono contro quelle di Dominic. Mi sorrideva abbassandosi a sfregare il naso contro il mio. «Cosa senti adesso?», bisbigliò. «Dimmelo, bellezza». Aprendo la bocca, avevo il respiro un po’ affannato. «Ho caldo… e male». Annuì come se capisse con esattezza cosa provavo. «È un male insinuante?», mormorò, sfiorandomi le labbra con le sue. Annuii. «Mmh-mmh». Succhiò il mio labbro inferiore per un secondo, poi lo rilasciò. «Il tuo corpo sa cosa vuole e più ti trattieni più il tuo bel clitoridino si mette a pulsare, pretendendo la mia attenzione. Vuole solo la mia attenzione, giusto?». Sentii le gambe che cedevano un po’, quindi mi aggrappai alla sua spalla nuda con la mano buona. La strinsi quando sentii le sue mani circondarmi la vita, poi scendere più giù e afferrarmi il sedere. «Perché mi fai questo? Quando tornerò lucida ti ammazzerò», gemetti; lui mi strinse il fondoschiena e io lo baciai. Ricambiò con trasporto e nel contempo fece scivolare la mano destra sul davanti dei miei jeans e con un rapido movimento delle dita li sbottonò e tirò giù la lampo in pochi secondi. «Dominic, per favore», ansimai contro la sua bocca. Non ero sicura se gli stessi chiedendo di non toccarmi o di toccarmi, in quel preciso momento avevo la mente più che confusa. «Rilassati, piccola, e lascia che mi prenda cura di te», bisbigliò, affondando la mano sul davanti delle mie mutandine. Ansimai quando il suo indice scivolò tra le mie pieghe lisce e bagnate, seguito dal pollice in una carezza sul minuscolo nodo di nervi che mi stava causando tanto dolore. «Bronagh, piccola, cazzo, sei fradicia», gemette catturando la mia bocca in un bacio. Non riuscii a ricambiarlo come si deve perché quando il suo pollice iniziò a ruotare lentamente attorno al clitoride rigonfio mi fece perdere la bussola. «Oh, Dio», esalai sulla sua bocca. Mi guardò in faccia, come se in qualche modo ci vedesse riflesso quel che stavo provando. «Occhi su di me», ordinò. Le pulsazioni si intensificavano con le sue richieste e il bisogno di avere le sue mani dappertutto stava diventando insopportabile. «Sì, sì! Non fermarti», lo pregai e costrinsi gli occhi a rimanere fissi nei suoi. «Cazzo, non ci penso nemmeno. Ti piace, bellezza?», sussurrò, muovendo il pollice più in fretta. Le mie anche sussultarono e lui sorrise. «Lo prenderò per un sì, allarga un po’ le gambe per me». Feci come chiedeva, senza vergogna, e gemetti un po’ più forte quando lui affondò il dito tra le mie
pieghe e mi penetrò con cautela. «Un dito solo ci passa a malapena, piccola, non vedo l’ora di sentirti attorno al pisello», sibilò. «Mi distruggerai, bellezza, lo so». Dopo avere affondato le dita dentro e fuori un paio di volte, tornò sul clitoride e roteò a velocità maggiore, facendomi emettere suoni di cui non mi sapevo capace. «Oh, Dio», ansimai, mi sentivo come se il mio corpo stesse per prendere fuoco. «Ok, puoi fermarti a-adesso, Dominic, è troppo. Non p-posso…». «Stai per venire, piccola, tutto qui. Permettimi di farti venire, bellezza», mi disse, chino su di me, e mi prese la bocca nella sua quando cominciai a gemere forte. Mi teneva forte con la mano libera e quando cercai di scostarmi mi strinse ancora di più. Era troppo, non riuscivo a sopportare la sensazione che stava causando, ed ero sul punto di urlargli di smetterla quando dei puntini mi confusero la vista e il mio corpo si abbandonò al piacere bruciante e fremente che mi aggrediva a ondate, facendomi sobbalzare e sgroppare tra le sue braccia. Dopo un minuto o due sbattei le palpebre e riuscii di nuovo a vedere e sentire. Mi trovai davanti la faccia di Dominic con stampato sopra un sorrisetto stronzo. «Sei fottutamente sexy quando vieni, bellezza», disse; tolse piano piano le mani dalle mie mutande e se le portò alla bocca, leccando e succhiando via tutto. «Mmh, e il tuo sapore è ancora meglio». Scelsi quel momento per sentirmi mortificata. Mi… mi aveva appena assaggiata sulle sue dita, le dita che erano state dentro di me. “Oh, mio Dio”. Ero nel panico. “Che ho fatto?”. «Oh, Gesù», sospirai e abbassai la testa; Dominic rise piano. «No, Bronagh. Non sentirti in imbarazzo per quello che è successo. Cazzo, è stato bellissimo, e non ti permetterò di pensare niente di meno, mi hai capito?». Non riuscivo a parlargli. Non riuscivo nemmeno a guardarlo, quindi mi sollevò il capo dal mento fino a incrociare i miei occhi. «Mi hai capito?», ripeté. Gemetti. «Come faccio a non sentirmi in imbarazzo! Tu… quello che mi hai fatto e poi hai… hai…». «Leccato via il tuo orgasmo dalle mie dita? Sì, l’ho fatto, e quindi? Era buonissimo e non vedo l’ora di assaggiarlo di nuovo». Oh, Dio! «Dominic!», ansimai. «Non dirmi queste cose, non ho mai fatto niente del genere, mai. Be’, a parte quando abbiamo quasi fatto sesso in camera tua ma comunque, è una cosa enorme per me e non so come metabolizzare quello che provo…». «Piccola, devi prendere fiato e calmarti. È una cosa naturale, hai avuto un orgasmo, un orgasmo che ti ho procurato io. Che cazzo sarà mai, ti ha fatta sentire benissimo, quindi perché vergognarsi? Sono il tuo ragazzo, servo proprio a questo. Praticamente solo a questo». Sentii quello che diceva e costrinsi la mente a rilassarsi quanto il corpo. Dominic aveva ragione – anche se non l’avrei mai ammesso – non era niente di che. Al massimo, era una cosa grandiosa perché dimostrava la mia fiducia in lui. Non avevo mai permesso a nessun ragazzo di toccarmi a quel modo. Era lui il primo, quindi sì, era un passo importante, un buon passo. «E poi», mormorò, «sono contentissimo che nessuno te l’avesse mai fatto provare prima. E fremo per la voglia di essere il primo a fare sesso con te. Me lo sogno la notte, bellezza».
Sentii il rossore coprirmi le guance. «Davvero?», sussurrai. «Ogni notte», rispose. «Fin da quel giorno a casa mia in cui mi hai detto che eri vergine, dopo che avevo fatto a botte con Jason; non riesco più a togliermelo dalla testa». Deglutii. «È difficile da credere?» «Solo perché sei bellissima, mi sorprende che nessuno sia arrivato prima di me». Sogghignò. «Però sono contento, perché la tua verginità è mia». Sentii un fremito alle labbra. «Tua, eh?» «Il fidanzato sono io, quindi sì». Mi fece l’occhiolino. «Tutta mia». «Non avevo detto che sarai in prova prima che io ci dia un qualche titolo?». Sorrisi pigramente, facendolo ridere. Ebbe la gentilezza di soprassedere sul fatto che mi ero definita la sua fidanzata mentre la poliziotta lo interrogava e fu un bene, perché lo feci anch’io. «Già, be’, mi promuovo fidanzato perché ti ho fatto ubriacare con un orgasmo. Comunque prego». Ghignò soddisfatto. Alzai gli occhi al cielo. «Non so nemmeno perché ho perso tempo a dirti che eri in prova. Non appena ho detto che avrei corso il rischio con te hai dato per scontato di essere il mio ragazzo, giusto?». Si strinse nelle spalle. «Più o meno. Avevo intenzione di farti credere che il gioco fosse in mano tua, ma come hai già scoperto ho io tutto il potere del mondo proprio qui sulla punta delle dita». Fece un sorrisetto e agitò i polpastrelli verso di me; arrossii. «Sei un coglione». Risi. «Piantala di mettermi in imbarazzo!». Ridacchiò. «Mi dispiace». Gli diedi un pizzicotto sul braccio con la mano buona. «No invece, bastardo!». Rise e mi abbracciò, stringendomi a sé. «Mi hai reso felice, lo sai, vero?». Sorrisi, le farfalle nello stomaco. Lo circondai con un braccio. «Davvero? Be’, sono felice anch’io finché non farai qualcosa che mi farà venire voglia di ucciderti». Sbuffò e mi baciò sui capelli. «Già, vediamo quanto ci vorrà, ok?». Alzai gli occhi al cielo, gli guardai l’occhio pesto imbronciata e poi mormorai: «Per una volta mi piacerebbe vedere la tua faccia senza lividi o tagli». Sorrise. «Mi dispiace, piccola, tagli e lividi fanno parte del pacchetto che accetti uscendo con me». Mi incupii. «Devi proprio batterti al Darkness? Cioè, non puoi trovarti un hobby che non comporti il rischio di danni cerebrali o altre importanti menomazioni fisiche?». Mi guardò inarcando un sopracciglio. «Cioè, stiamo insieme ufficialmente da due minuti e già mi dai il tormento per la lotta?». Mi scostai un po’. «Non ti do il tormento, ti faccio solo delle domande. Scusa se mi piacerebbe vederti senza ferite tanto per cambiare». Sospirò e abbassò gli occhi su di me. «Non ti arrabbiare con me. Non voglio avere il nostro primo litigio ufficiale come coppia nell’ambulatorio di un ospedale». Lo guardai interrogativa. «Dove preferiresti averlo?» «In camera mia, dove puoi strillare, urlare e lanciarmi roba che io cerco di evitare. Poi quando meno te l’aspetti posso placcarti, portarti a letto e fotterti fino a sottometterti o finché non ti
dimentichi cosa ho fatto per farti arrabbiare. È più facile fare la pace con il sesso se stiamo comodi». Diceva sul serio? Ero a bocca aperta. «Cazzo, sei incredibile!». Sorrise. «Lo so, giusto?». Non lo intendevo come un complimento, e lui lo sapeva! Scossi la testa. «Possiamo andarcene? Voglio tornare a casa. Ho visto abbastanza di quest’ospedale da bastarmi una vita intera». L’unico risultato positivo dell’irruzione di Branna nella stanza delle infermiere del triage e della sua aggressione a Dominic era stato farmi schizzare di colpo al primo posto per l’esame medico insieme a lui. Una volta che Branna gli fu strappata di dosso, era chiaro che lui avesse bisogno dei punti, e la cosa aveva abbreviato il nostro tempo d’attesa del novanta percento, il che mi faceva piacere. In cima alla lista, avevo fatto la radiografia e scoperto che in fondo la mia mano non era rotta. Era solo slogata e anche questo mi faceva piacere, perché non dovevo portare il gesso per sei settimane, ma solo una fasciatura stretta fino alla guarigione dei muscoli. Controllai l’orologio e gemetti. «È mezzanotte e mezza, di solito sono già a letto da due ore!». Dominic si mise a ridere di me; non capivo. «Che c’è?» «Vai a dormire alle dieci e mezza?». Sembrava divertito. Sbuffai. «Non posso farci niente, o vado a letto a quell’ora o mi addormento ovunque mi trovi. Mi alzo presto quindi zitto». Si limitò a sorridermi e abbracciarmi di nuovo. Quando sentii qualcuno schiarirsi la voce, mi scostai. «È dimesso, signor Slater, libero di andare». Mi girai verso l’infermiera, che sembrava triste che Dominic se ne andasse, e alzai gli occhi al cielo. «Muoviamoci prima che cambi idea e ti chiuda in magazzino», grugnii, lo tirai giù dal lettino e mi piazzai in faccia un sorriso falso quando passammo accanto alla donna. Dominic la ringraziò, ottenendo una risatina. «Sei davvero gelosa adesso?». Camminando mi circondò da dietro con un braccio; probabilmente ci dava un’aria buffa, vista la differenza di altezza. «Gelosa di lei e di tutte le altre qui dentro che ti scopano con gli occhi?», domandai, sarcastica. «No, per niente». Dominic mi baciò su una guancia. «Scopano con gli occhi? Divertente, mi piace». Sbuffai. «Me l’aspettavo». Rise piano, mentre entravamo nell’androne del pronto soccorso; scorgendo mia sorella e Ryder, mi lasciò andare e si spostò al mio fianco. «È rotta?». Branna balzò su dal sedile e corse verso di me. Le guardie di sicurezza dell’ospedale l’avevano mandata via quando aveva aggredito Dominic; un poliziotto l’aveva interrogata mentre la stronza interrogava-flirtava con Dominic. «No, solo slogata. Devo tenerla a riposo per un paio di settimane. Se i muscoli non si rafforzano per allora devo tornare, ma in caso contrario sto una favola», spiegai. Quand’ebbi finito Ryder guardò Dominic, scosse il capo vedendolo a petto nudo e si concentrò
sull’occhio. «Quanti punti?» «Otto». Dominic trapassò Branna con lo sguardo. Lei alzò le mani. «Non ti chiederò scusa; stasera mia sorella è stata ferita in più di un modo a causa tua!». Arrossii. «Branna, è storia morta e sepolta quindi lascia perdere». Sembrava pronta a discutere, invece fece un cenno con il capo verso di me. «Andiamo, ti porto a casa con la mia macchina. Ryder va con Dominic nella loro». Sentii la mano di Dominic sulla schiena e capii che voleva accompagnarmi lui, ma non ero disposta a litigare ancora, quindi lo guardai. «Parliamo domani, ok?», mormorai. Strinse i denti, ma annuì. Non lo baciai perché c’erano Branna e Ryder e non sapevano che adesso stavamo insieme. Volevo aspettare un po’ prima di dirlo a chicchessia. Tornai a casa con Branna e la ringraziai quando mi portò a letto un sacchetto di ghiaccio e un asciugamano su cui appoggiare il polso. Le raccontai tutto ciò che era successo con Gavin e Dominic prima di andare in ospedale, ma ovviamente lasciai da parte i dettagli intimi con quest’ultimo. «Accidenti, quel ragazzo non vuole proprio mollare». Grugnì. Annuii. «È tenace, devo riconoscerglielo». «Dimenticalo e dormi un po’, hai avuto una serata d’inferno». Mi diede il bacio della buonanotte sui capelli e uscì; mi addormentai quasi subito, solo per svegliarmi dopo quelli che sembravano pochi minuti per un dolore pulsante alla mano. L’avevo mossa nel sonno e faceva male, quindi scesi di sotto e presi gli antidolorifici che Branna mi aveva comprato alla farmacia notturna dell’ospedale prima di tornare a casa. Non era buio fuori; c’era abbastanza luce, così guardai l’ora e vidi che erano le otto meno un quarto. Sapevo che non ero costretta ad andare a scuola, ma decisi di farlo lo stesso. Era meglio che starsene a casa tutto il giorno con le mani in mano. Mi vestii ed evitai con cura di toccare la fasciatura. Lasciai i capelli sciolti in un ammasso di onde perché non potevo legarli né fare una treccia e il viso al naturale perché non avevo voglia di truccarmi. Presi lo zaino e feci capolino in camera di Branna, solo per scoprire che era già uscita. “Doveva avere il turno presto in ospedale”, pensai uscendo e avviandomi verso la scuola. Una volta lì, sempre la solita minestra. Rimasi un fantasma e mi consolai nel silenzio e nella quiete dell’essere ignorata, finché non entrai in classe per l’appello e quel che vidi mi pietrificò. «Cazzo, stai scherzando!», sbottai ad alta voce. Dominic si girò di botto verso di me, passando dallo sguardo di lei al mio. Si alzò lentamente, girò attorno a Destiny e si avvicinò a me piano piano con le mani in aria in gesto di resa. Io arretrai di un passo e scossi la testa. «No! Non pensarci neanche a tirarti d’impaccio con le parole, cazzo!». Digrignai i denti e corsi lungo il corridoio verso l’entrata. «Bronagh! Non è come sembra, lo giuro!», urlò correndomi dietro. Risi. Già, cazzo, come no. Stava per baciarla e cazzo, lo sapevamo tutti e due. Ero incavolata da morire, quel coglione aveva fatto i salti mortali per distruggere la mia vita e
ottenere che uscissi con lui e appena avevo ceduto cercava di tradirmi con la sua ex – o la sua donna per quanto ne sapevo –, nemmeno dieci ore dopo che ci eravamo messi assieme? Passai come una furia tra la folla di studenti e ignorai i brontolii di Dominic che diceva alla gente di togliersi di mezzo. Una volta fuori dalla scuola accelerai il passo e corsi fino a ritrovarmi nel cuore di un quartiere silenzioso, certa che Dominic non mi stesse seguendo. Solo allora mi accorsi che la mano pulsava di dolore, il petto mi faceva male e le lacrime mi scorrevano a fiotti sulle guance. Però non ero certa di quale dolore mi facesse piangere; erano piuttosto forti entrambi.
Capitolo quattordici
Dove sei? Ryder mi ha scritto e Dominic dice che sei scappata da scuola. Stai bene?
Sospirai leggendo il messaggio di mia sorella e schiacciai “Rispondi”. Sono quasi a casa; ho camminato quasi tutto il giorno. Parliamo tra poco, metti su il bollitore.
Infilai il telefono in tasca con un grugnito; messaggiare con la mano malandata era stato più difficile di quanto pensassi. Tirai più su lo zaino sulle spalle e mi guardai intorno, percorrendo il sentiero familiare verso il cancello del mio giardino. Vidi la jeep di famiglia di Ryder nel cortile e mugugnai. Fantastico, proprio quello che mi ci voleva, il fratello di quel coglione davanti agli occhi. «Sono a casa», urlai entrando e chiudendomi la porta alle spalle. «Però vado a letto…». «Prima vieni in cucina, piccola», urlò la voce di Branna sovrastando la mia. Sospirai, mi sfregai il dorso del naso e ci andai. «So che vuoi una spiegazione, ma adesso non ce la faccio a raccontarti, voglio solo…». Smisi di parlare e in pratica di respirare quando guardai verso il tavolo di cucina e vidi Dominic seduto con una tazza di tè tra le mani. Quel. Figlio. Di. Puttana. Mi prendeva per il culo? Presi un respiro molto lungo e profondo, poi espirai e guardai negli occhi lo stronzo del secolo. «Cazzo, meglio che esci di casa mia prima che perda il controllo!». «Bronagh!», gridò Branna, offesa, nello stesso tempo in cui Dominic sbuffava e diceva: «Altrimenti cosa, bellezza?». Nessuno ebbe il tempo di muoversi perché mi girai, afferrai una tazza dal bancone e la scagliai addosso a Dominic con tutte le mie forze. Lo centrai dritto in testa e lui lanciò un ruggito molto mascolino per un diciottenne, balzando in piedi con la mano alla fronte. La povera tazza era per terra in mille pezzi, ma non mi importava. Ero stata un fenomeno a prendere una mira perfetta con il braccio più debole. Però non avevo finito. Mi girai, presi un piatto sempre dal bancone – pieno di biscotti – e glielo tirai. Stavolta, però, lui parò il colpo con un braccio. Tuttavia, doveva avergli fatto male lo stesso, perché il piatto andò in pezzi al momento dell’impatto. «Lasciami!». Branna strillava contro Ryder, che la teneva saldamente per la vita, impedendole di aggredirmi. Fottuta traditrice, come osava cercare di prendersela con me dopo aver invitato il nemico nel mio più intimo rifugio, con quello che mi aveva fatto! Mi girai in cerca di altri piatti da lanciare addosso a Dominic, ma non ce n’erano. Stavo per avvicinarmi ai coltelli, quando un corpo mi si abbatté sulla schiena e un braccio mi abbrancò, bloccandomi le mani lungo i fianchi.
Sapevo che era lui. «Levati di dosso!», sbraitai. «Ti farò arrestare per questo. Sono stufa e arcistufa di te che mi tocchi e mi porti dove ti pare, grosso bastardo che non sei altro!». «Bronagh Jane Murphy!», urlò Branna. Spalancai la bocca e girai la testa verso sinistra. Mi aveva appena urlato il mio nome completo. Lei. Era. Arrabbiata! «Le tue iniziali sono BJ?». Dominic sbuffò divertito nel mio orecchio, strappandomi una smorfia. Lo ignorai e mi concentrai su Branna. «Me ne frego, Branna. Non dovrebbe essere qui, e mi fa incazzare che tu abbia messo Ryder e lui prima di me, vacca!». In un certo senso, stavolta fui grata a Ryder quando rafforzò la presa su Branna, perché lei cercò di saltarmi addosso con due occhi assassini e sapevo senza ombra di dubbio che se fosse riuscita ad acchiapparmi mi avrebbe ammazzato di calci in sette sfumature diverse. «Stronzetta senza rispetto! Come osi parlarmi così. Sono tua sorella! Aspetta che ti metta le mani addosso e ti faccio a pezzi!». Inarcai un sopracciglio. «Maltrattamento su minore». Branna ruggì e si avvinghiò alle mani di Ryder con le unghie, che erano la cosa più mortale del pianeta. Come dei minirasoi del cazzo. Anche grande e grosso com’era, Ryder allontanò di scatto le mani quando gli fece uscire il sangue. Urlai: «Assassinio». Pestai il piede destro a Dominic per farlo balzare indietro e lasciarmi – cosa che fece con un altro ruggito –, poi scattai come Usain Bolt fuori dalla cucina e verso le scale per raggiungere la mia camera e mettere una grossa porta di quercia tra me e Branna. Ero arrivata a circa metà strada quando lei mi agguantò per una gamba e tirò forte, facendomi cadere di faccia sui gradini. Strillai girandomi sulla schiena e alzai subito la mano sana per parare i colpi impellenti. «Ti ammazzo!», promise. Stavo ancora gridando, ma riuscii a tenerla a bada. «Mi dispiace». La imploravo. «Non sei una vacca… be’, non tantissimo comunque…». «Oh, questo sì che la calmerà!». Dominic rise. «Vaffanculo, porco traditore!», strillai, girandomi a guardarlo da oltre la ringhiera. Ryder e Dominic se ne stavano allineati contro il muro dell’ingresso e mi osservavano subire l’attacco malefico della mia cosiddetta sorella senza alzare un dito per fermarla. In realtà sembravano divertiti, quei coglioni. «Smettila», esclamò Branna colpendomi sulle mani. «Smettila di fare la piccola…». «La piccola cosa? Perché difendi Dominic? E se mi dici che è perché ti scopi suo fratello, ti disconosco e non ti parlerò mai più!». Branna interruppe l’attacco, ma non si levò di dosso. «Non lo difendo», disse con fermezza. «Penso ancora che sia una merdina a cui serve una bella sberla ogni tanto, ma credo che dovresti dargli la possibilità di spiegarsi. A te piace davvero, altrimenti non saresti così sconvolta. Anche a lui piaci, altrimenti non ti sopporterebbe». Lo guardai con disprezzo quando sentii lui intervenire. «Penso che sia un po’ troppo parlare di “piacere” dopo essere stato aggredito con dei piatti…». «Sta’ zitto», lo interruppe Ryder. «Vedi rosso ogni volta che Damien parla di lei e del suo forsefidanzato Gavin».
«Non è il suo fidanzato, quante cazzo di volte devo dirtelo? Ti ho raccontato cosa è successo ieri sera!». Sgranai gli occhi, piena d’irritazione. «Come sai che non siamo fidanzati adesso?», gli chiesi. «Per quanto ti riguarda potrei essere andata da lui oggi!». Fissò lo sguardo su di me, un tic nervoso all’occhio. «Perché prima di entrare a scuola gli ho detto che se ti tocca lo ammazzo. Potrei anche avere accennato al fatto che sei mia». Oh. Mio. Dio. «Ma che problema hai? Non sono una tua proprietà. Non puoi dire alla gente di non toccarmi…». «Posso e lo farò», mi interruppe. Guardai di nuovo Branna, che aveva un sorrisetto in faccia. «Che hai da sorridere tu?», ringhiai infastidita. Fece spallucce, ancora addosso a me. «Vuole che stiate insieme per sempre. Vuole spiegarti cosa hai visto oggi a scuola, ma teme che non lo lascerai nemmeno parlare». «Perché dovrei sprecare il mio tempo con lui?». Mi accigliai. «Stava per baciarla, Branna». Dominic gemette. «No invece, Bronagh. Anche se pensi che sia un coglione, non lo farei mai. Ho molti difetti, ma non sono sleale». Mentre parlava continuai a guardare mia sorella e quando le lessi negli occhi che gli credeva tornai con il pensiero a ciò che avevo visto. Stavo per permettere a Dominic di spiegarsi, ma osservai Branna che girava la testa e guardava Ryder. Spostai lo sguardo dall’uno all’altra e sbattei le palpebre. Si stavano solo fissando, ma davano una sensazione di grande intimità. «Voi due vi amate?», domandai. Branna sorrise, distolse gli occhi da Ryder e li riportò su di me. «Sì», annuì. «Lo amo davvero». Merda. «E lui ama me». Cazzo. «E vivremo insieme». Puttana. «Poi ci sposeremo e avremo dei bambini». Cazzo. Cazzo. Cazzo! «Cosa?», strillai, cancellandole il sorriso dalla faccia. «Sei fidanzata con quello?». Puntai una mano tremante contro Ryder, che evitò di incrociare il mio sguardo. «Lui», brontolò Branna. «Non quello!». Sentii le lacrime salirmi agli occhi. «Non posso credere che sei disposta a farmi questo!». Piansi. «Se lo sposi, quel bastardo non uscirà mai dalla mia vita. Mai!». Le lacrime sgorgarono e non mi importava che Ryder o Dominic le vedessero. Stava cambiando tutto troppo, e troppo in fretta. «Smettila, Bronagh». Il labbro inferiore di Branna tremava. «Non lo faccio per ferirti, piccola. Ti amo più di qualsiasi altra cosa. Sei mia sorella, ma i tuoi problemi con Dominic non hanno niente a
che vedere con Ryder». «Solo che sono parenti», esclamai tirando su col naso. Mia sorella si accigliò. «Piangi solo perché ce l’hai con Dominic, perché pensi che stesse baciando Destiny oggi a scuola e questo ti ferisce». In parte, ma non era l’unica ragione. «Non voglio avere niente a che fare con qualsiasi cosa c’entri con i fratelli Slater, e se questo include te e Ryder, così sia!». Mi divincolai fino a che Branna si sollevò. Non fece un gesto mentre io mi alzavo, mi giravo e correvo su per le scale. Una volta in camera mia, mi buttai sul letto, affondai la faccia nel cuscino e singhiozzai. Il tempo di tirare fuori tutto e ansimavo, immobile. Il mio mondo e la mia vita come li conoscevo stavano per finire. Branna era fidanzata con Ryder. Cazzo, fidanzata con Ryder! Lo conosceva solo da pochi mesi ed erano già fidanzati. Com’era possibile? Sentii aprirsi la porta della mia camera e mi irrigidii. «Lasciami in pace, Branna», mugugnai. «Non voglio parlare con te». Sentii delle scarpe che cadevano per terra, poi il mio letto si piegò al centro, poi vicino a me, mentre lei mi strisciava accanto. Girai la testa. «Ho detto di lasciarmi stare, Bran… Fuori di qui!», ringhiai quando gli occhi grigi di Dominic mi fissarono al posto di quelli azzurri di mia sorella. «No». Era accigliato. «In questo momento hai bisogno di me». Voltai la testa e la seppellii nel cuscino in un debole tentativo di sfuggirgli e trovare la reclusione di cui avevo un disperato bisogno. Tuttavia, me la negò: mi afferrò e mi ribaltò sulla schiena. Per un istante mi ritrovai a fissare il soffitto, poi apparve una vista migliore: Dominic, chino su di me, che si faceva strada tra le mie gambe, puntellandosi con i gomiti accanto alle mie spalle. Volevo dirgli di uscire dalla mia stanza e dalla mia vita, ma lui aveva altri progetti. «Dominic», mormorai quando il suo viso coprì il mio. «Smettila». Mi ignorò e approfittò della mia bocca aperta per ficcarci dentro la lingua. Pensai di morderlo per farlo desistere, ma non volevo fargli male… non così tanto. «Zitta e baciami, tesoro», sbottò. «Cazzo, baciami e basta!». Strinsi forte gli occhi e mi costrinsi a non ricambiare il bacio, anche se avrei voluto. Pensai a tutte le volte che mi aveva dato motivi per non fidarmi di lui, per non permettergli di baciarmi o di toccarmi, ma qualunque costruzione razionale andava in mille pezzi a ogni guizzo della sua abilissima lingua. «Smettila di pensare», brontolò. «Baciami». Aprii gli occhi e scossi la testa. «No». Mi leccai le labbra e sentii il suo sapore. «Non hai in mente niente di buono. Ti conosco abbastanza bene da sapere che non ti piaccio come credi. Mi odi quanto ti odio io e stai cercando di…». «Sto cercando di baciare la mia ragazza, tutto qui», mi interruppe. «La tua ragazza?». Annaspai cercando di staccarmi da lui, ma non mi lasciava andare. “Non ha capito che vederlo quasi baciare Destiny significa una grossa, grassa rottura del cazzo?”. Ero incredula. «Sei la mia ragazza da quando mi hai dato un ceffone dopo due giorni che ti conoscevo».
Sorrideva. «Nessuna mi aveva mai picchiato per averle toccato il sedere, ma tu l’hai fatto e mi hai insultato all’infinito e da allora hai professato apertamente il tuo odio per me ogni volta che mi vedevi. Mi piaci in un modo strano, perverso. Non ti incanto con le mie stronzate, Bronagh, con me sei te stessa. Non ti comporti come pensi che io voglia solo per poterci mettere assieme. Mi eviti a ogni costo e per la maggior parte del tempo ti rifiuti di guardarmi; sei straordinaria». Lo fissai a bocca aperta. «Sei fuori, Dominic. Ti piaccio davvero perché ti odio?». Ridacchiò. «No, mi piaci perché sei fedele a te stessa e per nulla falsa. Sei anche una vera bomba e hai un culo fantastico, ma questi sono solo dei bonus. In realtà mi piaci per quello che sei. E tu sai che non mi odi, bellezza. Proprio come io non odio te». Dominic Slater, il mio arcinemico, aveva appena ammesso che gli piacevo. Ormai sapevo che era così da un po’, e dopo la sera prima ne ero certa, ma sentirglielo dire ad alta voce per la prima volta mi dava comunque un senso di debolezza. Perché quella dichiarazione mi faceva contrarre il cuore e riempire lo stomaco di farfalle? Conoscevo bene la risposta a quella domanda: anche lui mi piaceva. Un sacco proprio. «Ignorerò i commenti cocciuti sul mio aspetto e sul mio culo e ignorerò anche il tuo rincoglionimento attuale. Io non ti piaccio, Dominic. Ti piace Destiny o avevi un altro motivo per ficcarle quasi la lingua in gola oggi all’appello?». Odiavo il modo in cui quella situazione mi infastidiva. Sospirò. «Non stavo per baciarla, piccola. Mi si è piazzata davanti e stava cercando di corrompermi perché la baciassi, ma non avrei ceduto, non quando ti ho appena conquistata. Se fosse stato un test, però, l’avresti superato a pieni voti». «Un test? Che cavolo di test?» «A volte sei come un libro chiuso, Bronagh». Sfregò la punta del naso contro il mio. «Non ho idea di cosa provi o cosa pensi, ma quando Destiny si è avvicinata alla mia bocca e tu eri paonazza, ho capito che ti aveva fatta arrabbiare». Sentii il calore che si arrampicava su per il collo e si spandeva sulle guance. «No, invece. Non mi importa, Dominic». «Sì, ti importa», mormorò. «Non ti piace che baci Destiny e scommetto che non ti piace che baci nessun’altra, vero?». Distolsi lo sguardo, ma lui mi prese per il mento e mi costrinse a guardarlo di nuovo. «Vero?», ripeté. “Mi piace che Dominic baci altre ragazze?”, pensai. “Proprio per niente”. «No», sospirai, sconfitta. Sorrise trionfante. «Bene, perché a me piace baciare solo te e ’fanculo se mi piacerebbe che tu baciassi qualcun altro. So che sono un coglione e che non sei la mia fan numero uno, ma voglio stare con te. Penso che se appartenessi a qualcun altro potrei uccidere». Riecco quella parola stupida. «Non sono la proprietà di nessuno», replicai, piccata. Il sorrisetto di Dominic mi fermò a metà frase. «Che c’è? Perché mi guardi così?». Fece spallucce. «Smettila di metterti sulla difensiva con me, piccola. Ti voglio, e tu mi vuoi. Ammettilo con te stessa e basta così possiamo ripartire da lì».
Girai la testa e chiusi gli occhi. «Ho dei problemi, Dominic…». «Guarda con chi stai parlando», mi interruppe ridendo. «Non farmi la predica sui problemi». Deglutii e aprii gli occhi e lo guardai. «No, ho problemi a… a… permettere alle persone di avvicinarsi a me». Sollevò le sopracciglia. «In questo momento sono piuttosto vicino, piccola». Mi mordicchiai l’interno della guancia. «No, voglio dire qui», mugugnai, indicandomi il cuore, poi feci ricadere la mano e guardai altrove. «Bronagh», mormorò. Non lo guardai, quindi mi strinse a sé e mi baciò sulla guancia. «Piccola, non c’è niente di male ad affezionarti a qualcuno. Non è la stessa cosa successa con i tuoi genitori». Sentendoli menzionare chiusi gli occhi. «Per favore, non parlare di loro», sussurrai. «Gli voglio bene e mi mancano, ma non ci sono più. Parlare di loro mi fa solo male al cuore». Mi baciò di nuovo la guancia e annuì, comprensivo. «Ok, non li nominerò più. Voglio solo che tu sappia che non è lo stesso». Grugnii. «Sì, invece. Se inizio a tenere a te, più di quanto non faccia già, e succede qualcosa che ti porta via, allora mi farà male. Ho già perso due degli amori della mia vita, Dominic; mi resta solo Branna. Non mi affeziono alle persone perché non posso sopportare il fatto che potrebbero lasciarmi da un momento all’altro. Mi terrorizza, ok?» «Io non ti lascerò mai. C’è una cosa di me che dovresti sapere, piccola». Mi sfregò il naso contro la guancia. «Una volta che sei mia, non ti lascerò più andare. Sono un coglione testardo per l’ottanta percento del tempo, quindi anche se volessi lasciarmi non lo permetterei». Io avrei detto il novantanove virgola nove percento, ma tenni la bocca chiusa. Mentre lui parlava il mio cuore batteva forte contro le costole, i miei sentimenti nei suoi confronti diventavano più profondi ogni secondo che passava. «Devi promettere che non mi lascerai. Dillo». Mi guardò dritto negli occhi e sorrise. «Prometto di non lasciarti mai se tu prometti di non ferirmi». Alzai gli occhi al cielo, aveva voglia di scherzare. «Promesso». «Anch’io». Mi accigliai. «E se ti stufi di me?». Dominic mi guardò come se fossi un’idiota e disse: «Piccola», con un tono da “quello che hai detto è troppo stupido per commentarlo”. «E se prendi un pugno in testa e muori?». Inclinò la testa da un lato e mi guardò. «Non posso prometterti di non morire, perché nessuno sa quando quel treno passerà per lui, ma non ti permetterò di tirarti indietro perché hai paura della morte. La morte fa parte della vita, piccola, a un certo punto tutti muoiono. Voglio solo averti accanto finché non arriverà quel giorno». Spalancai la bocca. «Profondo, eh?». Ridacchiò. Mi voleva accanto fino alla sua morte, il che sarebbe potuto succedere il giorno dopo o settant’anni dopo. Quindi sì, cazzo se era profondo. «Sì, Dominic!», bisbigliai. «Lo è». Si strinse nelle spalle. «È la verità. Non hai idea di ciò che mi fai, Bronagh. Mi fai provare
emozioni, piccola, emozioni vere. Stavolta voglio che tu sia mia per sempre, niente stronzate. Sarai mia?», domandò, le sopracciglia inarcate. A quel punto il mio stomaco era un ammasso sfarfallante. «Posso pensarci su?» «No. Ieri sera ci hai messo pochissimo a decidere di stare con me quindi rispondi subito». «Non posso decidere subito dopo tutto quello che è successo oggi. Devo riflettere». «No, non devi. Se mi vuoi, rispondimi adesso e dimmelo». Avevo voglia di strangolarlo. «Come faccio a stare con qualcuno che mi piace ma che allo stesso tempo a volte non sopporto?», domandai, torva. Dominic sogghignò. «Facile». Era impossibile. «Mi lascerai in pace a scuola e la smetterai di tormentarmi?». Stavolta fu lui ad alzare gli occhi al cielo. «Io non ti tormento, ti provoco, ma non farò più niente per farti arrabbiare con me». «Cosa vuol dire esattamente?» «Non ti irriterò». Mi fece l’occhiolino. «Invece ti bacerò solamente». Mi leccai le labbra. «Non possiamo baciarci a scuola». Aveva un’espressione interrogativa. «Perché no?» «Perché tutti sanno che ci odiamo», replicai come se fosse ovvio. Ridacchiò. «No, tutti sanno che ho una cotta per te». Sbattei le palpebre, incredula. «Prego?». Deglutii. «Come fanno a saperlo tutti quando io non ne avevo idea?» «Perché tu ti arrabbi con me così tanto da non vedere ciò che hai a un palmo dal naso. Mi ignori, ma nessun altro lo fa. Damien mi dice che tutti mi osservano quando ti fisso o cerco di farti innervosire solo per attirare la tua attenzione». Non risposi. Mi ero appena ricordata che una volta, quand’ero piccola, la mamma mi aveva detto che se un ragazzo si comporta davvero male con una ragazza forse significa che gli piace, ma non sa come dirglielo, quindi fa il bullo, perché così attrae comunque la sua attenzione. In effetti me lo aveva detto quando Jason aveva iniziato a tormentarmi, da bambini, dopo che gli avevo negato un bacio durante la ricreazione. Pensavo che fosse stupido, ma era un dato di fatto. Non con tutti, certo, ma con Dominic pareva di sì. «Se Ryder e Branna si sposano», mi sentii male al solo pensiero, «sarai mio cognato e io sarò tua cognata. Non puoi baciare un parente acquisito». Dominic mi diede un bacetto sulle labbra. «Sta’ a guardare». Respirai il suo profumo mentre si sdraiava, la fronte appoggiata alla mia. «Rispondimi», mi esortò. «Adesso». Repressi un sorriso e dissi: «Va bene». I suoi occhi si illuminarono. «Va bene cioè sarai la mia ragazza… di nuovo?». Al peggio, che poteva succedere? A parte che lui spezzasse in un milione di pezzi quel che restava del mio cuore. Feci spallucce. «Certo».
Mi baciò con un desiderio che mi fece sobbalzare di eccitazione proprio là in mezzo. Quando si sollevò sui gomiti e impresse una pressione maggiore al bacio, gemetti, cedetti a quello che voleva e ricambiai. Misi un braccio attorno al suo collo, infilai la mano buona tra i suoi capelli e intrecciai le dita ai suoi riccioli di seta. Non pensavo che fosse possibile, ma mi baciò con trasporto ancora maggiore, intensificando tantissimo tutto. Iniziava ad avere effetto sulla temperatura del mio corpo, quindi interruppi il bacio e ansimai. «Rallenta», bisbigliai. Ringhiò e cercò di baciarmi di nuovo, ma lo tenni a distanza con la mano sul petto. «Davvero, rallenta», insistetti. «Non verrò a letto con te solo perché adesso stiamo insieme. So che il messaggio che ti ho mandato dopo ciò che abbiamo fatto in ospedale potrebbe farti pensare che voglia il sesso, ma non è così. Non sono pronta per quello». Dominic sbatté le palpebre un paio di volte, poi sospirò e rotolò da un lato, sdraiandosi su un fianco accanto a me. «Scusami; non ti farò pressioni, promesso, ma quando mi baci a quel modo diventa molto difficile non cedere a ciò che il mio corpo vuole». Senza volerlo abbassai gli occhi; vedevo bene gli effetti che il bacio aveva avuto su di lui. Sentii le guance arrossire e girai la testa, facendolo ridere. Mi trascinò accanto a sé e sfregò il viso contro il mio collo. «Non sentirti in imbarazzo», mormorò. «No, certo», mentii sempre senza guardarlo. Rise di nuovo e con una mossa veloce mi fece rotolare sotto di sé. Si sistemò tra le mie gambe e schiacciò, facendomi accelerare i battiti al massimo. Non ero pronta per il sesso, ma questo non significava che Dominic non potesse fare eccitare il mio corpo. Perché poteva e lo sapeva bene, bastardo. Sfregò il bacino contro di me e guardò i miei occhi accendersi a quel breve contatto del suo membro indurito sul clitoride pulsante. I vestiti ci separavano, ma questo non fermava quella sensazione incredibile. Inarcai la schiena, l’estasi mi riempiva il nucleo… e volevo di più. Non tantissimo, ma di più. «È questo che mi fai ed è così dalla prima volta che ti ho vista», ringhiò Dominic. «Il cazzo mi fa male e la bocca mi si secca. Voglio scoparti con entrambi. Prima la lingua, poi voglio sbatterti con l’uccello fino a farti urlare». Spalancai gli occhi a quell’affermazione e non potei non ammettere che lo volevo anch’io. Un sacco! Dominic stava per chinarsi a baciarmi di nuovo, quando uno strillo alla nostra sinistra e qualcosa che gli colpiva la testa lo fecero rotolare giù. «Ahi, cazzo!», sbottò. «Perché diavolo mi tirate sempre roba in testa voi due?». Mi girai e vidi Branna che entrava a passo di carica nella mia stanza, recuperava la scarpa a fianco al letto e se la rimetteva al piede. Sbuffai divertita: gli aveva lanciato una scarpa e l’aveva colpito in testa. Bella mira. «Sta’ lontano dalla mia sorellina», sibilò. «Ti ho detto solo di parlarle di quello che provavi…». «L’ho fatto, e mi rivuole con sé», protestò Dominic, sfregandosi ancora la testa. «Stiamo ufficialmente di nuovo insieme quindi dacci un taglio col tiro di oggetti. Cazzo, non mi tartassano
così nemmeno sul ring!». Ryder ridacchiò, fermo sulla soglia, guadagnandosi un dito medio da Dominic, che lo guardava male. Branna si rivolse a me con le sopracciglia inarcate e un’aria furba. «Che ne è di tutto quello che hai detto di lui giù?», mi chiese. Sussultai. Mi faceva sembrare una cretina totale. Avevo detto un sacco di roba che contraddiceva le mie azioni. Mi strinsi nelle spalle. «Solo perché sto con lui non significa che non pensi che sia un coglione a volte, perché lo è». «Grazie, piccola», borbottò Dominic. Lo ignorai e continuai a fissare Branna. «Pensi che sia un coglione e ci esci assieme lo stesso?». Era attonita. La fissai più truce. «Ci lavorerà!», ringhiai, poi guardai Dominic. «Giusto?». Annuì. «Tutto quello che vuoi, piccola». «Vorrei che Dame fosse qui a vedere!». Ryder rise, poi imitò la voce di Dominic: «Tutto quello che vuoi, piccola». «Vaffanculo, Ry!». Dominic gli lanciò un’occhiata torva. Scossi la testa verso entrambi. «È il fratello maggiore e adesso si comporta come un bambino. Grandissima, Bran, te li scegli proprio bene!». Lei sbatté le palpebre. «Perché tu sei meglio? Hai scelto il fratello minore per ragazzo, se io ho cattivi gusti in fatto di maschi ce li hai anche tu!». Ero prontissima a sparare una risposta stizzita, ma per una volta non ne avevo, cosa che mi irritò. Mi piaceva avere una replica per tutto, ma quella volta Branna mi aveva segato le gambe. «È colpa tua!», esclamai alla fine. Mi guardò a bocca aperta. «È colpa mia se hai deciso di metterti con Dominic? È ridicolo!». «No, invece!», ribattei. «Continuerei a odiarlo a distanza se tu non stessi con Ryder». Branna alzò gli occhi al cielo. «Avrebbe trovato comunque un modo per arrivare a te». «È vero», disse Dominic alle mie spalle. «Possiamo chiudere questa conversazione, per favore? È fatta. Io sto con Dominic e tu stai con Ryder. Tutti contenti. Evviva noi», dissi, inespressiva, esausta per le discussioni. Per la terza volta, la faccia di Dominic apparve sopra la mia. «Sei così sexy quando ti arrabbi!». Mi sorrise. Odiai il rossore sulle mie guance, perché Branna ridacchiava dall’altra parte del letto, guardandoci insieme a Ryder. «Un po’ di privacy no?». Alzò gli occhi al cielo, poi li spostò su Dominic, torvi. «Niente sesso con lei se non vuole. Avrà anche diciotto anni ma è ancora la mia sorellina, capito spaccone?». Dominic annuì. «Sì». Branna lasciò la stanza con un Ryder tutto sorridente. Dominic mi guardò di nuovo, sorridendo e agitando le sopracciglia allusivo per poi cercare di risistemarsi tra le mie cosce. «Ci siamo appena messi insieme, sul serio non farò sesso con te ancora per un bel pezzo! Non ti pigliavo per il culo poco fa». La faccia di Dominic si mutò in dolore e nausea, facendomi ridere.
«Un bel pezzo», mormorò, la voce rotta. «Davvero?». Risi. «Piantala di fare quello col cuore spezzato. Hai diciotto anni, quanto sesso hai fatto per sentirne così tanto la mancanza?». Mi interruppi di fronte alla sua espressione indecifrabile. Scossi la testa. «Non lo voglio sapere quindi tieniti per te le tue esperienze sessuali». Dominic si accigliò. «Non mi vanterei di niente del genere con te. Sai che non sono vergine e se non farai domande non saprai altro. Ok?». Mi strinsi nelle spalle. «Ok». Dominic mi guardava ancora. «Quindi… quali sono i miei limiti?» «I tuoi limiti?» «Già». Annuì. «Cosa ho il permesso di toccare? Tette, culo, figa sono territorio di caccia? Sii specifica». «Dominic!», boccheggiai. «Non essere così volgare!». Sentii che arrossivo al punto da avere le guance in fiamme. Inclinò la testa all’indietro e rise, mentre io mi coprivo la faccia con le mani. «Piccola». Aveva la voce roca per il gran ridere. «Se avessi saputo quanto ti fanno arrossire le parole sconce, la scuola per te sarebbe stata dieci volte peggio». Brontolai dietro le mani. Dominic sfregò il naso contro le mie dita fino a farmele spostare. Catturò le mie labbra con le sue e mi baciò dolcemente. Sollevai le braccia e cercai di stringerlo a me, cosa che mi permise senza esitare. «Limiti», mugugnò sulle mie labbra. «Ho bisogno che fissi dei limiti, altrimenti farò di tutto tranne penetrarti con l’uccello». Spalancai gli occhi e mi sollevai a sedere, spingendolo un po’ sul letto. «Le mie parti private non si toccano, a meno che non ti dica altrimenti», cominciai. Gemette. «Meglio che non significhi il tuo culo!». Mi morsi il labbro inferiore. «Mi sta bene che lo tocchi visto che sembri uno che va matto per i sederi, ma niente strizzatine, o mi arrabbierò». Sogghignò. «Prontissimo a giocare alla lotta con te, bellezza». Sbuffai, ironica. «Già perché sei più grosso e più forte e puoi bloccarmi con facilità!». Si limitò a una smorfia allusiva; scossi la testa e mi misi a pensare a qualche altro limite. «Oh, le tette non si toccano». «Cioè, mai?». Ridacchiai e ripetei: «Cioè, mai». Gemette e schiacciò la faccia sul cuscino che avevo sotto la testa; risi. «Che melodrammatico. Ho il seno piccolo, non ti perdi molto». Rialzò di scatto la testa. «Non hai le tette piccole; non sono grosse ma nemmeno piccole, mi riempirebbero le mani e questo mi basta». Arrossii di nuovo e lo spinsi via per gioco. «Ok», sospirò. «Tutto qui quello che non posso fare o c’è altro?». Non mi veniva in mente altro, quindi mi strinsi nelle spalle. «Per adesso è tutto, quando mi viene in mente altro te lo faccio sapere». «Strega», ringhiò, e io feci un sorrisetto. Mi baciò di nuovo e io ricambiai. Andammo avanti per qualche minuto, finché non mi rilassai al punto da ricordarmi quanto fossi stanca.
«Sono esausta», mormorai nella sua bocca. Si fermò, arretrò un poco e stette lì a guardarmi, ansimando. «Ce l’ho duro come la pietra e baciarti sta peggiorando le cose, ma a quanto pare non riesco a smettere. C’è una battaglia nella mia testa perché voglio scoparti da morire ma non posso, e tu sei solo… stanca? Dimmi che ti ho fatta bagnare o il mio ego sarà ferito a morte». Mi mossi e cercai di sfregare insieme le gambe per alleviare il dolore che in effetti c’era lì in mezzo, ma Dominic non me lo permise e quando cercai di voltargli le spalle mi fermò. «Ti ho fatta bagnare?», domandò, speranzoso. Lo sapeva già. «Bagnata e dolorante, contento adesso?», borbottai. Il sorriso smagliante di Dominic indicava come fosse felicissimo di sapere cosa era in grado di farmi con un semplice bacio. «Mettiamoci sotto le coperte…». «Ehi!», esclamai. Rise, alzando le mani. «Per dormire. Solo dormire, promesso». Lo guardai male. «Le coppie normali dovrebbero frequentarsi per un po’ prima di dormire insieme, Dominic». Sogghignò, sollevò la trapunta e ci coprì entrambi, poi mi abbracciò e si accoccolò contro il mio corpo. «Noi non siamo una coppia normale, bellezza», mi sussurrò all’orecchio, spedendomi dei brividi lungo la schiena. Sospirai e chiusi gli occhi. Mi accoccolai contro di lui, adoravo la sensazione di incastrarmi perfettamente contro il suo corpo sodo. Per una volta, non potevo protestare. Eravamo appena diventati una coppia, ma chiunque con un po’ di cervello avrebbe capito che non eravamo normali. C’era un’attrazione piena di desiderio tra noi. In pratica ci mettevamo insieme e speravamo per il meglio, eravamo tutt’altro che normali.
Capitolo quindici
«Ma ciao, bellissima». Stavo entrando a scuola e mi sfuggì un gemito. Alzai gli occhi e vidi Dominic avvicinarsi, mentre Damien rimaneva appoggiato al muro accanto all’ingresso del salone principale che portava alla nostra classe d’appello. Solo al vederlo il cuore martellò all’impazzata, ma cercai di nascondere la mia reazione per non sembrare patetica e bisognosa di lui. «È troppo presto, non cominciare», affermai; Damien ridacchiò e Dominic fece un sorrisetto, senza fermarsi. Sentii gli occhi degli altri studenti già a scuola che si fissavano su di noi; mi fermai e guardai il mio fidanzato. «Non mi piace essere al centro dell’attenzione e tu ne stai attirando parecchia, quindi piantala!», borbottai quando fu a pochi passi da me. Continuò a sorridere e quando fu abbastanza vicino mi trascinò tra le sue braccia. «Mi sei mancata», mormorò, poi chinò la testa per baciarmi. Sentii alcune ragazze sussultare e pensai che fosse molto melodrammatico e un po’ artificiale. Era come nei film, dove il ragazzo che piace a tutte bacia la fortunata e le altre sono gelose e arrabbiate e in pratica vogliono accoltellare a morte la prescelta e prendere il suo posto. «Dominic», mugugnai nella sua bocca, facendolo sorridere. Mi diede un paio di bacetti a fior di labbra, poi si scostò. «Di’: “Mi sei mancato anche tu, Nico”». Si sarebbe dovuto arrendere, non l’avrei mai chiamato Nico. Lo guardai, testarda, e dissi: «Mi sei mancato anche tu, Dominic». Mi mordicchiò piano il labbro inferiore. «Sul serio?». Il cuore martellante diceva di sì e sapevo che lui voleva che lo ammettessi ad alta voce. Iniziavo a capire che gli piaceva sentirsi dire quelle cose. Gli piaceva sapere che pensavo a lui. «Sì». Mi imbronciai. «Mi sono svegliata e non c’eri più». Fece scivolare la lingua sul mio labbro, in modo provocatorio, poi si scostò. «Branna mi ha mandato via dopo che ti sei addormentata». Sospirai. «Mi piace dormire con te, mi fa sentire al sicuro». Mi accarezzò le guance con i pollici e mi guardò negli occhi. Sentii che arrossivo, ma non distolsi lo sguardo, perché quel momento era tutto per noi. «Ti faccio sentire al sicuro?», mormorò. Annuii. «Sì; non so cosa mi fai, ma in questo momento ho il cuore a mille solo a starti vicino», bisbigliai. Mi strinse di più a sé e mi spostò qualche ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Continua con queste parole dolci e prima ancora di arrivare in classe sarò ridotto a un malloppo emotivo che ti dichiara
amore eterno». Il suo senso dell’umorismo non rovinò il momento; vi aggiunse solo un po’ di verve. «Non mi basta mica», lo stuzzicai. «Devi prendere una pagina dal libro di Heath Ledger e farmi la serenata davanti a tutta la scuola». Rise piano e sorrise raggiante. «Sai che non esiterei nemmeno un secondo». Lo sapevo, non aveva paura di niente, nemmeno dell’umiliazione. Feci un sorrisetto bastardo. «Però dev’essere una canzone di Justin Bieber o degli One Direction, niente roba vecchia scuola». Brontolò e disse: «Tipico, piccola canaglia». Si abbassò e mi coprì la bocca con la sua. «Ehi, dateci un taglio, piccioncini», gridò un insegnante. «Niente effusioni in pubblico dentro la scuola!». A quell’avvertimento mi sentii un pesce fuor d’acqua e cercai di allontanarmi da Dominic con un balzo, ma lui rise e mi strinse forte. «Prof, non mi rovini la festa a letto», disse, facendo ridere gli altri studenti. «Potrei ucciderti», gli bisbigliai, mi sciolsi dalla sua stretta e andai verso il portone. «Visto che ha fatto, prof?». Dominic rise. «Sono finito a cuccia!». Più la gente rideva, più io volevo prenderlo a pugni. «Tuo fratello è un cretino», dissi passando accanto a Damien. «Dillo a me», soffocò una risata e mi seguì fuori. «Bronagh, aspetta!», chiamò Dominic, inseguendoci. Non mi fermai finché non raggiunsi l’aula dell’appello e mi sedetti. «Lasciala stare», sentii dire Damien. «Per lei è troppo presto per sopportarti». Il gemello coi capelli bianchi era fantastico! «Amen», dissi, facendolo ridere. Dominic gli diede un pugno scherzoso, poi si avvicinò al mio banco. «Posso sedermi vicino a te?». Mi sentii in colpa perché volevo rifiutare. Stavamo insieme, ma avrei avuto bisogno di tempo per abituarmici e il fatto che lui volesse baciarmi e starmi vicino in ogni momento non era proprio prendere le cose con calma. Tuttavia mi strinsi nelle spalle, perché quel giorno sembrava così bello e volevo averlo accanto. Era sempre bello, ma quella mattina risultava delizioso. Aveva l’uniforme scolastica come al solito, ma anche un cappellino di lana grigio e una felpa grigia con la cerniera sopra il maglione. Decisamente non modaiolo, ma sexy… davvero sexy. «Certo». Tolsi di mezzo lo zaino e lo appoggiai sotto il banco. Dominic prese la sedia, l’avvicinò un po’ di più alla mia, poi si sedette con un braccio sul mio schienale e mi guardò. Feci una smorfia. «Piantala di fissarmi, metti i brividi». Sbuffò divertito, si chinò a baciarmi sulla guancia. «Sei bellissima». Avevo le guance in fiamme per le sue moine. «Piantala di cercare di mettermi in imbarazzo, per favore», mugugnai. Mi baciò sulla tempia. «Non ci sto provando, giuro. Ti dico solo la verità». Che incantatore. «Be’, grazie», mormorai. «Anche tu hai un bell’aspetto». «Solo?». La domanda mi fece trattenere una risata.
«Ok», sorrisi. «Sei sexy». «Meglio», commentò. Si girò per parlare con Damien, seduto al solito posto in fondo alla classe, a battere sullo schermo del telefonino. Presi il mio iPod e stavo per mettere su una canzone quando mi cadde l’occhio sull’app della macchina fotografica. All’improvviso sentivo l’urgenza di avere una foto di Dominic… o di me e Dominic, sul mio iPod, e mi imbarazzava perché probabilmente lui avrebbe pensato che era roba da bambini. Però, mi costrinsi a non darci peso: cioè, era il mio ragazzo, se volevo una foto con lui potevo averla, cazzo! «Dominic?», borbottai; ogni traccia di coraggio lasciò il mio corpo in un soffio. «Mmh?». Si girò verso di me. «Voglio una foto di noi due, ce la facciamo?», chiesi molto in fretta ed evitando i suoi occhi. Tuttavia, capii che sorrideva quando disse: «Pronto». Alzai gli occhi e non potei trattenere un sorriso: sembrava così felice. Mi avvicinai a lui, aprii l’app e alzai l’iPod. Dominic mi mise un braccio attorno alla vita, premette la guancia contro la mia e sorrise. Apparvero entrambe le sue fossette e io sospirai; era meraviglioso! Sorrisi anch’io, guardando l’obiettivo, e schiacciai sullo schermo. Quando l’immagine si salvò e riapparve avrei voluto fare i salti di gioia, perché davvero sembravamo una normale coppia di adolescenti – a parte il fatto che Dominic aveva i punti in faccia e un occhio nero – ed ero così felice per questo. «La adoro!», esclamai, raggiante. Dominic ridacchiò e mi baciò sulla guancia. «Anch’io, ma ne voglio una di te da sola». Lo guardai prendere l’iPhone, sbloccarlo, aprire l’app fotografica e puntarlo nella mia direzione. «Devo sorridere mostrando i denti oppure no?». Si strinse nelle spalle. «Mostrali, quando lo fai ti vengono delle minuscole fossette sulle guance». Inarcai un sopracciglio. «Le tue sono fossette, i miei sono solo pori grossi». Ridacchiò. «Sorridi e basta, sapientona». Lo feci guardando dritto nell’obiettivo. «Splendida». Osservò la foto, poi me la mostrò. Feci una smorfia. «Ho gli occhi troppo grandi e le orecchie sporgenti». Dominic mi guardò, inespressivo. «Sei stupida». «Maleducato». Mi incupii. Rise. «Sei bellissima quindi smettila di evidenziare cose che secondo te sono difetti». Gli feci il verso, strappandogli una risata mentre digitava sullo schermo e poi lo rivolgeva verso di me. Arrossii: mi aveva fatto diventare sfondo e screen saver. Avevo già fatto lo stesso con la nostra foto sull’iPod; sorrisi, poi guardai di nuovo Damien, ancora chino sul telefono. «Damien?», chiamai. «Mmh?», domandò senza alzare lo sguardo. Sorrisi. «Vuoi farti una foto con me?» «Solo se mi ti siedi in braccio». Ghignò. «Fratello», ringhiò Dominic in segno d’avvertimento. Ridacchiai. «Ok». Mi avvicinai a Damien.
«Bronagh!», sbottò Dominic. «È tuo fratello, Dominic. Tuo fratello gemello, non mi palperà il culo». «Sì che ruberà una palpata, è peggio di me con quelle cazzate», affermò, ancora seduto al mio banco. Damien mi fece un sorrisetto e si batté sulla gamba sinistra; soffocai una risata e mi sedetti, poi alzai l’iPod e gli circondai le spalle con un braccio. «Sorridi». Ero raggiante, e risi quando la mano di Damien mi toccò il sedere. «Scusa, pensavo che fosse il fianco», ridacchiò. La foto che scattai mostrava Damien sorridente e io che ridevo con gli occhi chiusi. Ne facemmo un’altra, e poi un’altra ancora perché Damien disse che ne voleva un sacco solo per fare infuriare Dominic. «Ok, tempo foto scaduto». La voce di Dominic interruppe le nostre risate. «Adesso levati di dosso a mio fratello, per favore». Mi alzai ridendo e tornai da Dominic, che mi prese in braccio e guardò torvo il gemello. «Piantala di fissarmi a quel modo, praticamente adesso è mia cognata. Non cercherò di fare niente, né ora né mai, anche se bisogna dire che è davvero sexy». Boccheggiai. «Abbiamo a malapena cominciato a uscire insieme, non usare la parola cognata in mia presenza. Vuoi che abbia un infarto?». Risero tutti e due e io tornai al mio posto. «Hai un profilo Facebook?», chiese Dominic distrattamente mentre mi sedevo. «No, perché?». Ero curiosa. Fece spallucce. «Ti avrei aggiunta come amica». Gli lanciai un’occhiata. «Più tardi lo creo così mi aggiungi, ok?». Sorrise. «Puoi mettere quella di noi due come foto profilo». Annuii. «Ok, perché no». «E puoi segnare che sei fidanzata con me», aggiunse. Lo guardai con un sopracciglio alzato. «Quand’è che sei diventato una troietta?». Mi guardò interrogativo. «Ti comporti come una ragazzina, vuoi aggiungermi su Facebook e cambiare lo status sentimentale», lo provocai. «E va be’, fottiti», mugugnò. Risi, proprio mentre alcuni compagni entravano in classe. Tra loro c’era Alannah; quando vide Dominic seduto vicino a me fece un gran sorriso e andò svelta a prendere il suo vecchio posto accanto al fratello. «Ehi, bella». Damien le fece un sorrisetto quando si sedette; mise in tasca il telefono e le dedicò tutta la sua attenzione. «Ehi». Alannah sorrise, le guance paonazze. Soffocai una risata per quell’arrossire e per il modo in cui giocherellava con i capelli mentre parlavano. Lo faceva spesso quando c’era Damien nelle vicinanze. «Che c’è di tanto divertente, Miss Piggy?», mi chiese Dominic, punzecchiandomi i fianchi con un dito. «Il fatto che le ragazze si comportano da sceme totali quando parlano con te o con tuo fratello». Mi mise un braccio sulle spalle e mi baciò sulla tempia. «Siamo i rubacuori della scuola. Mi offenderei se le ragazze non si prendessero una cotta per me o Dame».
Lo pizzicai nell’interno coscia. «Scherzi, vero?» «Ma sì!», mi interruppe, ridendo. Con una smorfia sulle labbra, mi appoggiai a lui. «Ti va di andare a vedere un film più tardi?». Altri studenti entrarono in classe. Chiesi, senza guardarlo: «Da soli?». «Già». «Per vedere cosa?». Mi girai. Se avesse detto Shadowhunters mi sarei sentita morire. Si strinse nelle spalle, indifferente. «Purché non sia romantico o roba per ragazzine, a me fa lo stesso». Pensai ai film in sala e sobbalzai. «Il nuovo Fast & Furious, decisamente!». Annuì. «Ottima scelta, piccola». Sorrisi, orgogliosa, ma smisi quando mi accorsi che alcuni compagni mi stavano guardando. «Sa sorridere», sentii che diceva qualcuno. «Nico, hai rotto Bronagh? Perché ride e permette a qualcuno di sederle vicino e per lei è, ecco… strano», gli disse Robert More, un suo amico. Sapevo che nessuno mi stava prendendo in giro, ma vederli così sconvolti per la mia capacità di stare in compagnia era imbarazzante. «Non l’ho rotta, sta benissimo», rispose Dominic ad alta voce. «In fondo ha il permesso di sedersi accanto al suo ragazzo, no?» «Ragazzo?», esclamarono tutti in coro. La risata di Damien esplose dissonante in fondo alla classe, avevo voglia di prenderlo a sberle fino a renderlo scemo. «Oh, mio Dio». Abbassai gli occhi. «Ti meriti una medaglia, amico». Robert era ammirato. «Hai fatto l’impossibile, hai piegato Bronagh Murphy». Era ridicolo. Non ero mica una specie di cassaforte che nessuno riusciva ad aprire – aspetta, merda, per un certo periodo ero stata esattamente quello. Dominic era stato l’unico ragazzo a tentare di trovare la combinazione! Mi resi improvvisamente conto che Robert aveva ragione e Dominic aveva fatto l’impossibile penetrando dentro di me. Mi dava l’ansia. Non mi era mai importato di nessuno a parte Branna e i miei genitori, ma in quel momento… mi sentivo come se Dominic si stesse arrampicando sempre più su fino a guadagnarsi un posto sulla lista. Mi piaceva persino la compagnia di Damien e Ryder. Non ci avrei messo molto ad abituarmi ad avere loro e gli altri fratelli nella mia vita. Era un territorio inesplorato per me e non volevo mentire, mi terrorizzava a morte. «Grazie… credo». La voce di Dominic mi distolse dai miei pensieri. Quando vide la mia faccia, inarcò un sopracciglio. «Sembra che tu abbia visto un fantasma, perché?». Mi avvicinai, appoggiai il viso contro il suo collo e lo abbracciai. Ci eravamo messi insieme ufficialmente solo il giorno prima, quindi era la prima volta che lo facevo di mia spontanea volontà. Persino quando non ci frequentavamo era sempre lui a toccarmi per primo, per cui questa era roba da Guinness.
«Ehi», mormorò Dominic tra i miei capelli, abbassando la testa sulla mia. «Stai bene?». Annuii e mi girai per guardarlo. «Robert ha ragione, sei la prima persona che sia arrivata così lontano con me e a essere sincera e accettare la realtà. Sei l’unico che è riuscito a piantarmi le tende nell’anima, mi manda un po’ nel panico». Il suo corpo vibrò quando rise. «Piccola, siamo solo all’inizio. Aspetta un po’ e, una volta che ti sarai abituata a tutto questo, accetterai che sei mia e basta, e sarai felice. Te lo garantisco». Mi leccai le labbra ora asciutte e Dominic emise un brontolio di gola; trovavo ancora strano che riuscisse a far sembrare sexy suoni del genere. «Sono tua?», mugugnai. Ancora mi riempiva di meraviglia il fatto che una persona tanto bella volesse me quando avrebbe potuto avere qualsiasi altra ragazza. Mi sorrise e mi baciò la punta del naso. «Sei sempre stata mia, bellezza. Solo che non lo sapevi».
Capitolo sedici
«L’ultima volta che ti ho vista in questa casa hai affermato che immaginavi Damien mentre baciavi Dominic in camera sua», mi disse Alec, prendendomi in giro scherzosamente. Sentii le guance scaldarsi. «Sono venuta alla festa dopo l’incontro di Dominic qualche settimana fa». Mi sorrise, gli occhi scintillanti. «Vero, me n’ero dimenticato. Quindi l’ultima volta che sei stata qui hai respinto il mio fratellino che ti chiedeva di essere la sua ragazza?». Arrossii ancora di più, facendolo ridere. «Lasciala in pace». Dominic lo guardò male e mi strinse alla vita, per poi rimettersi a mangiare. Ero seduta a cena nella cucina di Dominic con tutti i suoi fratelli e Branna. Era un po’ surreale; i ragazzi erano enormi, mi sentivo come se io e Branna fossimo andate a cena con dei giganti. In pratica giocherellavo solo con la bistecca e le patate che avevo nel piatto. Prima di arrivare avevo fame, ma adesso che ero lì non riuscivo a ingoiare il cibo. Io e Dominic stavamo insieme da pochi giorni; avevamo avuto il nostro primo appuntamento al cinema e poi all’improvviso eccoci lì a una cena di famiglia. Stava succedendo tutto molto in fretta e a essere sincera mi terrorizzava davvero tanto. Mi leccai le labbra e inclinai un po’ indietro la schiena, facendo scorrere lo sguardo irrequieto attorno al tavolo, fino a incontrare gli occhi di Branna. Guardava dritto verso di me. «Bronagh, ti voglio parlare un attimo in corridoio, vieni». In pratica balzai su dalla sedia e corsi fuori, e una volta lì andai meccanicamente verso la porta principale. Vedere un’uscita mi faceva venire voglia di tagliare la corda. «Alec», sentii ringhiare Damien. «L’hai sconvolta!». Non era vero, sapevo che scherzava. Non ero affatto sconvolta; mi sentivo solo un po’ sopraffatta da tutte le novità che uscire con Dominic introduceva nella mia vita. «Guardami», disse Branna alle mie spalle. Mi girai e la guardai con un sospiro. «Scusami, ci sto provando. Lo giuro, ma è così strano. Tutti insieme a cena a comportarci come una grande famiglia felice; è difficile perdere l’abitudine di essere sempre e solo io e te. Non… non so se mi piace dividerti con qualcun altro e stare in compagnia, e sono una sorella orribile e una sfigata per questo». Non mi resi conto che stavo piangendo finché non sentii il braccio di Branna stringermi e la sua voce che mi zittiva con dolcezza. «Voglio essere sincera con te, Bee», sussurrò. «Anch’io ci sto mettendo un po’ ad abituarmi. A volte torno dal lavoro o da scuola e voglio stare con te e basta, ed è normale. Per tanto tempo siamo state solo noi due, però penso in effetti che stiamo cercando di cambiare abitudini troppo in fretta. Quindi che ne dici di uscire domani, solo io e te, per un po’ di svago tra ragazze? Possiamo andare a vedere un film, fare shopping e cenare fuori, e poi torniamo a casa e ci rilassiamo un po’». Quando terminò di parlare mi sembrò che il peso del mondo mi si sollevasse dalle spalle. Si
sentiva anche lei come me. Le persone nuove nella nostra vita stavano generando dei cambiamenti e non ero anormale io se pensavo fosse strano sentirsi come se all’improvviso vivessi la vita di un altro. «Mi sembra perfetto». Annuii. Branna mi abbracciò di nuovo, e quando ci separammo c’era Dominic accanto a noi. «Saliamo in camera mia a rilassarci». Mi prese per mano. Branna sorrise mentre io salivo, poi tornò in cucina dagli altri fratelli. «Odio le scale», borbottai senza fiato una volta all’ultimo piano; Dominic grugnì. Quando entrammo in camera sua, d’un tratto mi sentii timidissima e in imbarazzo e incrociai le braccia sul petto. L’ultima volta che ci ero stata era la sera della festa e ci eravamo baciati sul suo letto. «Perché arrossisci?». Sorrise girandosi verso di me, dopo avere chiuso la porta. Abbassai gli occhi e mormorai: «Ma no». Rise. «Sei adorabile, bellezza». Repressi un sorriso. Mi tirò le braccia lungo i fianchi e mi condusse fino al letto. «Che film vuoi vedere? Ho Netflix, quindi abbiamo un sacco di opzioni». Lo guardai accendere televisore e Xbox, poi chiudere le tende e fare sprofondare la stanza nel buio. L’unica luce proveniva dallo schermo, per cui quando avanzai inciampai su qualcosa e andai a sbattere contro Dominic, spedendoci entrambi sul materasso. «Qualcuno è impaziente di portarmi a letto», scherzò mentre io mi sedevo. Ero per metà addosso a lui e contro la sua faccia. Non potevo rizzarmi perché avevo la mano infortunata sotto, perciò quando guardai il suo viso sorridente non potei non ridere. «È colpa tua, sono inciampata…». «E caduta tra le mie braccia? Oh, piccola!». Feci scattare i denti per gioco e cercai di morderlo, e lui strillò come una ragazzina. Il che ovviamente mi fece ridere a crepapelle. Dominic mi osservò per un po’, poi mi prese per le spalle e mi girò sulla schiena. Ansimai quando mi salì a cavalcioni e mi bloccò il braccio sano sopra la testa. «Così mi piaci», commentò. Inarcai un sopracciglio. «Così come?» «Alla mia mercé». Fece un sorrisetto demoniaco. Gli lanciai un avvertimento con gli occhi. «Non provarci nemmeno a sedurmi, non mi entrerai nelle mutande». Gemette e si piegò in avanti, pesando su di me. «Dominic», annaspai, «non riesco a… respirare». Si rialzò e mi guardò torvo. «Peso novantacinque chili, non centottanta, merdina». Risi, cercando di riprendere fiato. «Io ne peso settantuno, quindi hai aggiunto ventiquattro chili in più a cui non sono abituata; ecco tutto». Il suo sguardo mi percorse il corpo e si fermò sulla mia pancia, sotto di lui. «A vederti non si direbbe». Feci spallucce. «Ho una forma a pera, significa che porto la maggior parte del peso al di sotto della pancia. Sono certa che da quando sei a scuola avrai sentito Jason chiamarmi “Culo di lardo” o
“Cosce di tuono”». Le sue labbra si strinsero in una linea sottile, minacciosa. «Quel coglione non riconosce il corpo di una donna da quello di una ragazzina, quindi la sua opinione è irrilevante». Ridacchiai. «Però ce l’ho il sedere grosso…». «Hai un sedere poderoso e sexy, ecco cos’hai», mi interruppe. Le mie labbra fremettero. «Non discuterò di nuovo di questo con te. Ho ancora mal di testa per quella volta da Dunnes in cui ci siamo cimentati in una guerra di parole, un assalto verbale se vogliamo…». «E fisico. Mi hai colpito, ricordi?». Ringhiai per gioco. «Mi hai immobilizzata e hai cercato di prendermi i biscotti! Un giudice capirebbe e mi direbbe grazie per non avere causato ulteriori danni». Dominic si mise a ridere, cosa che alleggerì quasi subito il mio umore. «Mi piaci davvero, bellezza». Sorrise raggiante e rotolò via, facendomi subito sentire la mancanza del suo corpo sopra il mio. Mi sedetti, calciai via le scarpe, incrociai le gambe e lo fissai, sdraiato sul cuscino con le mani intrecciate dietro la testa, i bicipiti bene in vista. Deglutii ed evitai di soffermarmici. «Lo spero, altrimenti come coppia non funzioneremmo», lo provocai. Sogghignò. «No, intendo davvero. Adesso per stare bene ho bisogno che tu faccia parte della mia routine quotidiana. Tutto quello che faccio gira attorno a te». Sentii il cuore stringersi. «Dominic, usciamo solo da qualche giorno…». «E allora? Non credo a tutte quelle stronzate secondo cui ci vuole un sacco di tempo per entrare in sintonia. Sono già in sintonia con te a un livello profondo, bellezza». Lasciai che le sue parole affondassero dentro di me e sorrisi. «Sai che potrei essere l’ultima ragazza che bacerai o con cui farai sesso, intendo quando arriveremo a quel punto». Dominic mi fece l’occhiolino. «Sarai l’ultima che bacerò e con cui farò sesso». Gli feci l’occhiolino. «Perché sai che se sgarri ti ammazzo?». Alzò scherzosamente gli occhi al cielo e mi diede una spintarella con la gamba e mugugnò: «Saputa». Feci una smorfia. «Saputella, non saputa». Ghignò. «Piccola, vuoi sul serio discutere di come vadano pronunciate le parole? Perché tu non dici nemmeno la metà delle cose nel modo giusto, il suono “T” da queste parti è inesistente!». Ero incredula. «Non è vero!». Era vero, ma non avrei ceduto e riconosciuto che aveva ragione lui. Mi sorrise. «Di’ “tè”». Lo guardai truce e pronunciai la parola in questione. Scoppiò a ridere. «Visto? Ci hai messo la D». Ero furente. «Sì, be’, tu qualche volta sembri… uno del ghetto». Ridacchiò. «Vengo da New York, non mi sorprende proprio». Scivolai sul materasso accanto a lui; Dominic tolse una mano da dietro la testa e mi circondò la schiena, accarezzandomi pigramente in un modo che mi dava i brividi. «Com’è New York?», domandai. «Voglio andarci un giorno, fare il giro turistico». Mi sorrise raggiante. «È una bellissima città, ma piuttosto caotica. Ci ho vissuto per quasi tutta la
vita e per questo mi piace così tanto stare qui. Abitiamo sul fianco della montagna; cioè, quanto è meraviglioso il panorama che vediamo ogni giorno?». Mi strinsi nelle spalle. «L’ho visto ogni giorno della mia vita e anche se sì, è davvero bellissimo, mi piacerebbe lo stesso visitare New York. Non andarci a vivere o che, solo farci un giro. Io abiterò qui per sempre; sono una ragazza da piccola città fino al midollo e lo sarò sempre». Storse un labbro. «Be’, chi l’avrebbe mai detto? Quando avevo sedici anni mi sono fatto leggere il futuro e quella signora disse che mi sarei trovato una graziosa irlandese di una piccola città». Distolsi lo sguardo. «Piantala di inventare cose solo per mettermi in imbarazzo, cretino». Rise forte. Rimasi zitta per un po’, poi osservai sua stanza e mi accorsi di quanto fosse meravigliosa; tutta casa sua era bellissima. Mi ricordai che la prima volta lì avevo pensato che la sua famiglia dovesse essere ricca per vivere a Upton, e adesso mi chiedevo come se lo potessero permettere. «Dominic?», mormorai. «Mmh?» «Che lavoro fanno i tuoi fratelli?». Rimase in silenzio per un istante. «Abbiamo un’attività di famiglia, ma davvero non ho voglia di parlarne. È noiosa e poco importante». Mi accigliai, non mi piaceva quella risposta, ma dissi: «Ok». Dominic allora mi afferrò per la vita e mi trascinò giù al suo fianco. Mi sistemai accanto a lui, rigida come un palo. «Rilassati», mi disse. «Anche se vorrei strapparti i vestiti non lo farò… se non me lo chiedi tu». Gli diedi uno schiaffo leggero sul petto. Lui guaì e io risi. «Oh, zitto! Ti fanno il culo a paiolo al Darkness; i miei schiaffi non fanno male». Mi baciò sulla testa, sfregandosi il punto in cui l’avevo colpito. «Primo, non mi fanno il culo a paiolo, sono io che lo faccio agli altri, e…». «Però ti feriscono spesso», lo interruppi con un sorrisetto. Inarcò un sopracciglio. «Mi becco qualche livido qua e là, ma non si può evitare. Non importa quanto sei bravo a combattere; non lasci mai il ring senza qualche bozzo o livido. Chiunque ti dica il contrario mente per fingersi migliore di quello che è». Mi punzecchiò un fianco e io fremetti. «Comunque, potrei essere debolissimo e riuscire ugualmente a placcarti, piccina come sei». Scoppiai a ridere e mi sollevai a sedere, guardandolo. «Non sono piccola…». «Pesi ventiquattro chili meno di me e sei trenta centimetri più bassa. Sei una cosina, bellezza». Gli lanciai un’occhiataccia. «Non sono così tanto più bassa di te…». «Branna ha detto che sei un metro e sessantuno. Io sono un metro e novantadue, quindi sì, sei di tanto più bassa di me». Mi tolse la parola sogghignando. Lo fissai. «Sei davvero un metro e novantadue?». Annuì e io sbuffai. «I maschi crescono fino a ventun anni, tu nei hai diciotto… e se diventi ancora più alto?». Rise. «Al massimo prenderò altri tre centimetri. Alec è alto un metro e novantacinque e anche Ryder e Kane. Dame è quattro centimetri meno di me, un metro e ottantotto». Scossi la testa. «Siete tutti altissimi, invece io e Branna siamo basse. Non è giusto!». Dominic si stava divertendo. «Mi piace il fatto che sei più bassa di me, ti rende più adorabile».
Ringhiai. «Un metro e novantadue o no, chiamami di nuovo adorabile e ti spacco la testa a suon di pugni». Gli si illuminarono gli occhi. «Quale testa?» «Dominic!», sputacchiai. Scoppiò a ridere e mi tirò di nuovo giù. Lo abbracciai alla vita e lo strinsi un po’. «In effetti è piacevole accoccolarsi vicino a te», commentai. «Pensavo che coi muscoli saresti risultato scomodo». Grugnì e riprese ad accarezzarmi la schiena. «Lo sarei se mi irrigidissi. Allora li avvertiresti di più, così invece non tanto. Sono troppo rilassato per cercare di fletterli». Ridacchiai e feci scorrere un dito sui suoi addominali; sentivo il profilo di ognuno attraverso la maglietta. «Ti piace la mia pancia?». “È così ovvio?”, pensai. «Perché?», chiesi piano. «Perché la stai strofinando con le dita». Aveva un tono divertito. Feci spallucce, ma non risposi. Quando si mosse sotto la mia testa e la mia mano, mi tirai un po’ su. Dominic si sedette, si sfilò la maglietta e si stese di nuovo. «Ecco qua, traccia tutto ciò che vuoi». Riportò le mani dietro la testa. Smisi di respirare e mi limitai a fissarlo. Adesso i bicipiti, tricipiti e tutti gli altri muscoli erano flessi e mi facevano venire voglia di leccarlo dappertutto. Spostai gli occhi sul tatuaggio e fui costretta a distoglierli di nuovo perché mi faceva tremare. «Non avevi detto che eri troppo rilassato per fletterli?», sussurrai. «Il tuo sguardo da scopami-adesso mi ha fatto cambiare idea», replicò, la voce bassa e roca. Spostai gli occhi dal tatuaggio alla sua faccia; quando vide la mia espressione, smise di sorridere. Potevo solo immaginare che aspetto avessi, mi sentivo accaldata e nervosa. «Posso provare una cosa?», domandai, timida. Annuì in fretta, leccandosi le labbra. Mi avvicinai, poi, prima di perdere coraggio, slanciai una gamba oltre la sua pancia e gli salii a cavalcioni. Guardai giù e decisi che la vista da sopra Dominic era una di quelle che volevo godermi spesso, molto spesso. Mi chinai fino a portare la bocca a un millimetro dalla sua. «Sei magnifico», sussurrai. Gemette piano, poi spostò le mani da dietro la testa e me le mise sul sedere. «Cazzo, tu sei sexy», rispose in un ringhio. Sorrisi, il mio Io interiore era deliziato all’idea di poter essere sexy. «Amo il tuo corpo», bisbigliai di nuovo e gli sfiorai le labbra con le mie. Ringhiò, quel suo brontolio basso di gola. «Anch’io amo il tuo, piccola, tutto curve e culo. Per me è il corpo perfetto in una donna». Quando si dice sentirsi potente. Lo baciai e sorrisi sentendolo strizzarmi il sedere. Mi accarezzò su e giù dietro le cosce, di nuovo il culo e su fino ai fianchi. Mi sciolsi addosso a Dominic quando all’improvviso le sue mani lasciarono la parte inferiore del
mio corpo e mi toccarono il viso per un bacio profondo. Poi ci ribaltò; squittii nella sua bocca, ritrovandomi sotto di lui. Pesò in parte su di me e siccome mi stava tra le gambe sentii tutto. Allora cominciai ad andare nel panico. «Dominic», ansimai. «Aspetta…». «Voglio solo fare quel che ho fatto in ospedale, promesso», disse piano, agganciò le dita all’elastico dei miei leggings e li tirò giù, portandosi dietro le mutande. Quasi caddi dal letto. «Dominic!», dissi in un bisbiglio, e cercai di chiudere le gambe, ma non potevo perché in mezzo c’era lui. Continuò a guardarmi negli occhi. «Fidati di me, bellezza». Tremavo per l’agitazione. «Proprio… proprio come in ospedale?». Annuì piano, poi chinò il capo fino al mio. «Ti farò venire di nuovo». Sentii il corpo accendersi di calore e bisogno. A quel punto mi baciò, come si deve. Iniziai a sentire dolore e il bisogno di essere toccata e Dominic sembrava saperlo. «Il tuo bel clitoridino è pronto per me?», chiese sulla mia bocca. Se non fossi stata così eccitata e accaldata, mi sarei sentita mortificare da quelle parole volgari. «Mmh-mmh». Annuii. «Sei bagnata per me?». La sua voce era un rombo. Sobbalzai quando le sue dita scivolarono tra le mie pieghe e risalirono senza fermarsi fino ad appoggiarsi al clitoride. Cominciai ad ansimare. «Dominic, ti prego!». «Lo sei. Sei fradicia, piccola», gemette e iniziò a far girare le dita attorno a quel nodulo di nervi sensibili. Mi sentivo bene, ma allo stesso tempo insoddisfatta, perché non lo toccava mai direttamente. «Ti piace?». La sua voce era più roca di prima. «Ancora», gemetti. Sorrise, poi si arrese e passò le dita sul clitoride, facendomi ruotare gli occhi all’indietro. «Cazzo, Bronagh», grugnì. «Potrei venire solo guardando la tua faccia, tesoro». Sentii la sua mano allontanarsi e il suo peso sollevarsi. Ero a un passo dal sedermi e chiedergli cosa stesse facendo, quando percepii una lingua morbida, calda e bagnata leccarmi. Là sotto! Andai in estasi e di colpo urlai. Dominic allungò una mano e mi coprì la bocca, zittendo le mie grida. La sua lingua girò attorno al clitoride e lo succhiò fino a farmi vibrare il corpo di piacere e apparire dei puntini davanti agli occhi. Tolse la mano e risalì lungo il mio corpo fino a riportare la bocca sulla mia, e sentii precisamente che sapore avessi sulla sua lingua. Io! «Oh, Dio», bisbigliai, mentre lui spostava le labbra sul mio collo. «No, piccola. Dominic». Stavo ancora sussultando per i postumi dell’orgasmo e avevo la mente confusa come non mai. «Fai sesso con me», bisbigliai.
Si sollevò un poco e mi sorrise, ansimante com’ero. «La sbornia da sesso ti si addice». Aggrottai le sopracciglia, confusa, e lui ridacchiò. «Niente mi farebbe più piacere che affondare dentro di te, piccola, però me lo stai chiedendo solo perché ti ho fatta venire e ti senti benissimo, non perché sei pronta». Lo guardai accigliata. «Ma ti voglio davvero, davvero, dentro di me. Per favore». Gemette e appoggiò la testa alla mia. «Mi stai uccidendo, piccola. Mi stai. Uccidendo». «Sono qui, prendimi», insistetti. «Scopami, per favore». «Bronagh», brontolò. «Smettila. Il mio autocontrollo ha un limite. Se vorrai che ti scopi quando ti sveglierai lo farò, ma fino ad allora, dormi». Sbadigliai e lui sorrise. «Sei splendida, mia bellezza», mormorò e mi baciò la punta del naso. Dentro di me sbuffai ironica alle sue parole; mi vedeva come qualcosa che non ero. «Dormi», mi esortò di nuovo. «Stasera ti serviranno energie per il Darkness». Chiusi gli occhi e sospirai, sentivo il mio corpo leggero come una piuma. «Stasera ti batti?». Rise a quella che immagino fosse la mia voce assonnata. «Già, e la mia ragazza deve esserci e ben riposata anche, per il mio bacio portafortuna».
Capitolo diciassette
Ero nella camera di Dominic e mi aggiravo irritatissima per la stanza perché lui mi diceva di sbrigarmi a vestirmi per il Darkness. Avevamo dormito troppo e dal momento che avevo zero vestiti lì – perché avrei dovuto? Non ci abitavo mica – sarei dovuta andare a casa a cambiarmi, ma così avremmo fatto tardi. Quindi Branna mi aveva proposto un vestito e un paio di tacchi che teneva in camera di Ryder. Dominic le era stato grato, e anch’io, prima di vedere l’abito. Ecco, Branna era due taglie più piccola di me nella zona fianchi. Il mio fondoschiena prendeva un bel po’ di spazio, così quando l’avevo indossato e avevo scoperto che era una seconda pelle che a malapena mi copriva le chiappe, avevo gridato al lupo e avevo detto che non sarei andata. Dominic aveva protestato finché non mi aveva vista vestita. Allora erano stati Alec e Kane a dover discutere con lui perché non smetteva di toccarmi e cercare di baciarmi. Aveva deciso che gli stava bene che lo indossassi una volta coperto da un blazer. Non sarebbe servito a niente per il sedere, ma lui aveva dichiarato che se doveva sarebbe rimasto dietro di me per tutta la sera… un posto in prima fila per godersi il panorama. Era disgustoso. Quello e il fatto di essere in ritardo erano i motivi per cui correvo per la stanza cercando di infilare i tacchi. Agganciai il sinistro e poi tentai di mettere il destro, e fu allora che accadde: persi l’equilibrio e caddi su qualcosa che produsse uno scricchiolio sonoro che mi fermò il cuore. «Oh, no», ansimai. «Ti prego, no». Mi alzai in fretta, lasciai cadere la scarpa a terra e mi girai, guardando la scena del mio crimine. Fissai la Xbox di Dominic e mi venne voglia di piangere: sembrava che ci fosse caduta sopra una palla di cannone tanto era grosso il bozzo. Il mio sedere l’aveva ammaccata, sul serio! «Cazzo», sussurrai e mi coprii la bocca con la mano. Mi avrebbe lasciata; uscivamo insieme da appena una settimana e avevo già fatto qualcosa per cui avrebbe mollato il mio culo ciccione. «Cazzo!», ripetei, stavolta un po’ più forte. «Cazzutissimo cazzo!». «Bronagh?», chiamò la voce di Dominic fuori dalla stanza. «Piccola, sei pronta?». Oh, cristo! Calciai via la scarpa e corsi alla porta. Dominic entrò e spalancò un po’ gli occhi, poi allargò le braccia per acchiapparmi quando mi fiondai addosso a lui. Di solito non saltavo mai al collo di nessuno per paura che il mio peso lo/la rompesse, ma sapevo che Dominic pesava più di me – grazie a Dio – e con tutti quei muscoli sarebbe riuscito bene a sostenermi. Forse scomodamente, e forse non a lungo, ma avevo solo bisogno di distrarlo per pochi minuti e tenerlo lontano dal lato destro della sua camera. «Sei così sexy», bisbigliai e lo baciai.
Era sbalordito o confuso… o probabilmente entrambe le cose, perché gli ci vollero cinque secondi buoni per ricambiare il bacio e tirarmi un pochino più su per una presa migliore. «Piccola…». Cercò di sottrarsi al bacio, ma non glielo permisi. Spinsi più forte la bocca contro la sua e ci infilai a forza la lingua dentro, gli afferrai i capelli e tirai. Gemette e cercò per la seconda volta di staccarsi e quando non glielo permisi mi appioppò un tale ceffone sul culo che strillai di dolore nella sua bocca e mi tirai indietro. «Cazzo, ho un incontro tra quaranta minuti. Non posso scoparti perché mi farebbero il culo in pedana. Stai rendendo fottutamente difficile dirti di no e mi fai diventare l’uccello duro come il diamante! Porca puttana, donna, perché cazzo mi fai questo?». La parola “cazzo” iniziava a suonarmi strana, tanto spesso la diceva. Imprecava un sacco, davvero, ma potevo capire il perché, quindi cosa rispondergli? Verità o bugia? Bugia. No, verità. Sì, era sempre meglio la verità. «ForsetihorottolaXboxmanonvolevogiuro», esclamai tutto d’un fiato. Dominic si limitò a fissarmi per un secondo, poi mi mise a terra piano piano. «Spostati e fammi vedere lei», brontolò. Spalancai gli occhi per due motivi. Primo, aveva capito la confessione accelerata, e secondo chiamava la Xbox “lei”. «È una macchina, non una donna», mugugnai, ma subito abbassai gli occhi e chiusi il becco, perché Dominic mi aveva lanciato uno sguardo che prometteva schiaffi dolorosi al mio didietro se non l’avessi piantata. «Spostati, Bronagh». Il modo in cui pronunciò il mio nome mi diede i brividi. «Non voglio perché ti arrabbierai. Non volevo, stavo cercando di infilarmi le scarpe e ci sono caduta sopra. Se ci pensi è colpa tua, sei tu che l’hai lasciata per terra invece di rimetterla sul mobile». Alzai lo sguardo per un secondo, poi lo riabbassai; era paonazzo, segno di irritazione. «Ignorerò il tuo giochetto delle colpe, perché ho fretta e non voglio che il nostro primo litigio di coppia sia per una macchina. Fammi controllare l’hard drive, il resto si può sostituire; ma se quello è andato a puttane probabilmente mi accuseranno di omicidio dopo l’incontro». Alzai di scatto la testa e sbattei le palpebre, ma feci come chiedeva – o ordinava – e mi spostai. Lo guardai avvicinarsi alla console. Si coprì la faccia con le mani e rilasciò uno sbuffò d’aria pericolosamente simile a un singhiozzo. «Uhm… Dominic…». «Che cazzo le hai fatto?», mi interruppe. Giocherellavo con le dita. «Te l’ho detto, ci sono caduta sopra». «Di culo?». Grugnii. «Già». Scosse la testa. «Cazzo, sei fortunata che adoro quel culo poderoso, altrimenti te lo taglierei di netto. Mi ha fracassato la Xbox. L’ha proprio fracassata. Cristo!». Mi sentivo offesissima per il mio sedere.
«Mi dispiace, non volevo». Aggrottai la fronte. «Sono inciampata e caduta!». Dominic mi lanciò un’occhiata. «Ti sei fatta male? La tua mano è di nuovo ferita?». Esitai. «Be’, no». Grugnì e rise al tempo stesso. «Giusto, mi ero scordato che sei caduta di culo e dubito che sentiresti l’impatto laggiù». Be’, scusatemi eh, cazzo! «Ti ho chiesto scusa, che altro vuoi che faccia?», urlai. Scosse la testa. «Non puoi fare niente, hai incrinato l’hard drive e ammaccato la copertura. È andata». Mi sentii in colpa, tanto, ma ero comunque arrabbiata perché non mostrava nemmeno un po’ di comprensione. «Be’, porto il mio culo ciccione fuori di qui, dove non potrò causare altri danni», sbottai e andai a recuperare le scarpe. Dominic alzò gli occhi al cielo, quindi gli tirai una scarpa e urlai di rabbia quando lui l’afferrò al volo; sembrò trovarlo divertente. «Bene. Tienitela, non mi importa, comunque è di Branna», esclamai e corsi fuori, la scarpa sinistra in mano e Dominic alle calcagna. «Non so proprio perché ti arrabbi. Sono io quello che ha visto la sua bambina assassinata da un culo poderoso che ci è piombato sopra!». Arrivata in fondo alle scale, mi girai e aggredii Dominic con il tacco che mi rimaneva. Balzò indietro e osservò i miei movimenti. Quando cercai di nuovo di colpirlo, mi afferrò per le braccia, mi fece girare su me stessa e me le bloccò sul petto. Però stette attento a non schiacciarmi la mano infortunata, il che gli fece guadagnare un paio di punti. «E hai detto che non saresti riuscita a tenere testa a Micah. Se le fossi saltata addosso come fai con me, quella stronza non avrebbe messo a segno nemmeno un colpo!». Lo odiai per aver tirato in ballo quella rissa. Pensasse ciò che voleva, non l’avrei spuntata con Micah. Lei faceva kick boxing e io ero solo una che dava addosso al fidanzato quando diventava troppo indisponente. «Tiferò per chiunque sia il tuo avversario stasera, bastardo che non sei altro!», grugnii e lottai per liberarmi dalla sua presa. «Se sento qualsiasi cosa che non sia Furia o Dominic uscire dalla tua bocca, quando torniamo a casa il tuo culo sarà mio!», mi ringhiò in un orecchio. Il mio sedere sarebbe stato suo… che cazzo voleva dire? «Ehi, non minacciare la mia sorellina di sculacciarla, merdina», sentii esplodere la voce di Branna e poi Dominic che sussultava vicino al mio orecchio, facendomi sobbalzare. «Ehi, mettimi subito giù. Ryder!». Guardai Ryder che portava di peso Branna fuori di casa, tirandole giù il vestito quando iniziò a sollevarsi. Kane, Alec e Damien seguirono a ruota, ridendo nella nostra direzione. «Venti dollari che lo prende a calci in culo prima di uscire». Kane fece un sorrisetto da sopra la spalla. Ringhiai. «Euro, non dollari. Cretino!». Damien ululò dalle risa, chiudendo la porta dietro di loro. Sbuffai e mi contorsi per liberarmi dalle braccia che mi intrappolavano, ma, non riuscendo a spostarle, ci rinunciai e mi abbandonai contro
Dominic, che non si mosse di un millimetro. «Finito di fare i capricci, tesorino?». Aveva un tono infastidito. Feci spallucce. «Dammi un attimo, troverò un sussulto di energia da qualche parte e ti caverò gli occhi». «Per quanto sia divertente il tuo fare la pazza scatenata, puoi darmi tregua fino a dopo l’incontro? Allora possiamo litigare cinquanta round di fila. Ok?» «No!», protestai. «Lasciami. Non ci vengo al tuo incontro. Voglio andare a casa, da qualche parte dove non ci sarà la tua stupida arena, o pedana, o quello che è quella stupida cosa». Mi lasciò e io incespicai in avanti. «Bene, levati dai coglioni e vai a casa allora. Non mi servono queste stronzate prima di un match». Lui e i suoi stupidi combattimenti di merda. «Stronzate del cazzo!», ringhiai, fronteggiandolo. Mi osservò da capo a piedi nel mio abito aderente e si leccò le labbra. Lo fissai così male che gli sarebbero dovuti comparire dei buchi nel cranio. Mi girai e uscii come una furia – a piedi nudi – giù per il vialetto fino al sedile di dietro della jeep. «Prima lasciatemi a casa, non ci vado a quello stupido incontro», affermai, gli occhi fissi davanti a me, seduta tra Alec e Kane che dopo avermi sentita non mi guardarono neppure. Dominic salì e non essendoci un sedile libero lo divise con Damien. Borbottarono per tutta la strada fino a casa mia; mi irritavano, perché sentivo Damien dire cose come: «Diglielo» e «Ha il diritto di sapere cosa fai» e mi terrorizzavano. «Vuoi che…». «No, va bene così. È venerdì, c’è Supernatural. Lo guardo e vado a letto», borbottai verso Branna, interrompendola, poi mi chinai e la baciai sulla guancia. «Toccala», ringhiò all’improvviso Dominic. «Cazzo, provaci, fratello!». La voce di Alec rise. «Non sto facendo niente». «Le stai guardando il culo!». Uscii a fatica dalla macchina, arrampicandomi con rabbia oltre Damien e Dominic, che grugnirono e sibilarono di dolore quando le mie ginocchia schiacciarono delle parti sensibili. «Ce l’avevo in faccia, che dovrei fare, comportarmi da maleducato e girare lo sguardo?», domandò Alec, al che Kane e Ryder ridacchiarono. Ignorai lui e i suoi scherzi e presi la chiave che Branna mi porgeva. Salutai mia sorella, mostrai il dito medio a Dominic, un sorriso a tutti gli altri e feci per salire. «Gesù, Bronagh! Si gela, piccoletta! Porta le chiappe in casa e mettiti dei vestiti caldi!», urlò alla mia destra la signora Brown, la nostra anziana vicina, che usciva di casa in quel momento. Sentii delle risatine alle mie spalle, ma le ignorai. «Certo, signora Brown». Le sorrisi. Entrai e chiusi la porta senza guardarmi indietro. Mi scossi, accorgendomi che mi pizzicavano le gambe per il freddo. Salii dritta di sopra e mi infilai sotto una doccia calda, poi indossai il pigiama. Mi presi tutto il tempo per asciugarmi e piastrarmi i capelli, poi scesi, feci scorta di gelato e biscotti e tornai nella mia stanza. Accesi sul canale di Supernatural e nell’attesa ci detti sotto col cibo. Quando finalmente cominciò, ressi solo venti minuti, poi spensi e mi accoccolai sotto le coperte. Per fortuna lo registravo sempre. Mi giravo e rigiravo nel letto; anche se ero stanca morta, non riuscivo a dormire. Mi ci volle
qualche minuto per capire che ero preoccupata per Dominic e il solo pensiero bastò a farmi mettere a sedere e iniziare a sudare. Se ero preoccupata che si facesse male durante l’incontro, era ovvio che tenevo a lui. A quel punto gemetti perché sapevo che era più di questo. Solo pensare a lui mi accelerava i battiti. Sapevo che tutti mettevano il cuore a rischio in una relazione, ma quando pensavo seriamente all’impatto che quel dolore avrebbe potuto avere su di me, tremavo. Se fosse stato come quando avevo perso i miei genitori, sarei morta. Non c’era modo di sopravvivere una seconda volta. Scossi la testa per quei pensieri e dentro di me mi presi a calci per essere così negativa. Dovevo pensare positivo, altrimenti avrei avuto solo infelicità. Sospirai, mi alzai dal letto e presi il telefono dal comodino. Sta bene? Ha vinto?
Schiacciai “Invia” e andai in bagno. Quando rientrai nella stanza buia, il telefonino si illuminò e mi ritrovai a correre per afferrarlo. Hanno ritardato il suo incontro, è sceso dal ring solo adesso, ma sì, sta bene. Ha vinto per K.O., nessuna sorpresa visto che era arrabbiato dopo il vostro litigio. Il ragazzo che lo affrontava non aveva possibilità.
Sapere che stava bene mi tolse un peso dalle spalle e mi restituì parte della mia testardaggine. Va be’. Ha cominciato lui dicendo che il mio sedere fa provincia!
Ok, non l’aveva detto, ma era chiaro che lo pensava dopo la sua descrizione del danno fatto dal mio fondoschiena alla sua stupida Xbox. A quel punto infilai il telefono sotto il cuscino e tornai a letto; il sonno venne con molta facilità, e nemmeno il cellulare che vibrava mi riscosse. Non ero del tutto addormentata, ma nemmeno sveglia, quindi quando sentii la porta aprirsi e qualcuno parlare al piano di sotto capii che in qualche modo Dominic era riuscito a convincere Branna a farlo entrare. «No, prima la doccia», la sentii dire fuori dalla mia porta. «Ti prenderà a calci se entri nel suo letto tutto sudato». Ignorai la sua voce e caddi in un sonno più profondo, che fu disturbato di nuovo, ma stavolta da braccia, gambe e un corpo che si intrecciava al mio. «Dominic», gemetti. «Sto dormendo… spostati». Mi baciò dietro il collo senza problemi, perché avevo i capelli legati in su, e io mi agitai e rabbrividii. Sbattei le palpebre e sforzai gli occhi nell’oscurità. Quando capii che non mi avrebbe lasciata stare, sospirai e mi appoggiai a lui. «Non ho detto che il tuo culo fa provincia», mormorò d’un tratto. Mugugnai. «Quella stronza non riesce a tenersi nulla per sé?». Dominic soffocò una risata alle mie spalle. Sospirai. «Scherzavo». «Mmh». Sentii la sua mano scivolarmi sul ventre e l’afferrai, bloccandola.
«Sono sdraiata su un fianco, in questa posizione tutto il grasso che ho pende verso il basso e tu non lo toccherai», affermai con voce stanca. Gemette. «Un po’ di carne addosso non significa che sei grassa, ma che sei umana». Mi masticai l’interno della guancia. «Tu hai zero grasso, quindi non puoi parlare». «Ho il dodici percento di grasso corporeo e peso novantacinque chili, è tanto perché i muscoli pesano più del grasso. Mi alleno per averli, quindi sono in forma e potente». Non mi importava niente di tutto ciò. «Che ci fai qui? Come hai fatto a convincere Branna a lasciarti venire?». Mi baciò sulla nuca e fece pressione per liberare la mano dalla mia e appoggiarmela sulla pancia. «Le ho detto la verità, che mi mancavi e volevo solo dormire accanto a te». Quando finì di parlare lo strato di ghiaccio che mi si era formato attorno al cuore a causa del litigio si sciolse. Mi girai verso di lui. «Ti sono mancata?», mormorai. Annuì nel buio; non riuscivo a vederlo bene, ma la luce della luna delineava parte del suo profilo. «Sì, piccola, mi sei mancata, e odiavo non averti al mio incontro. Volevo il mio bacio portafortuna». Mi strinse forte. Sentii una contrazione al labbro. «Hai vinto, quindi non ti serviva». Mi baciò la punta del naso. «Mi serviranno sempre i tuoi baci portafortuna, bellezza». Mi stava distruggendo! «Anche tu mi sei mancato», ammisi e appoggiai il capo al suo. «Mi dispiace di averti rotto la Xbox e di avere litigato con te. Non pensavo nulla di quello che ho detto». Mi accarezzò la schiena. «Nemmeno io, ho esagerato». Non proprio, avevo rotto un attrezzo costoso. Era più calmo di come sarei stata io se fosse stata roba mia. Molto più calmo. «Posso rimediare?», sussurrai. Lo sentii deglutire. «Come?». Mi sollevai, lo spinsi sulla schiena e gli salii a cavalcioni. Sussultò, e io lo guardai perplessa, ma non riuscivo a vedere niente, quindi accesi la lampada. Sobbalzai. Dominic aveva lividi sulle costole sinistre e la sua povera faccia era di nuovo malridotta. «Comincia a stufarmi che ti colpiscano in faccia! Perché mirano sempre lì?». Mi chinai e lo baciai su tutta la mascella bluastra e sugli occhi. Dominic sorrise e un’ondata di bisogno attraversò il mio corpo. Nessuno aveva il diritto di essere così splendido con la faccia pesta. Nessuno! Abbassai lo sguardo per vedere dov’ero seduta, poi scivolai più giù, dai fianchi agli stinchi. «Bronagh?». Si puntellò sui gomiti e mi guardò. Sorrisi, timida. «Mi dici cosa fare? Voglio farlo». Sembrava un po’ combattuto, quindi mi accigliai. «Per favore?». Emise una risata strozzata. «Non pregarmi di succhiarmi l’uccello, piccola. Puoi farlo a tuo piacimento. Voglio solo essere sicuro che è quello che vuoi davvero. Sempre sull’attenti, gioco di parole volontario, per la tua bocca e le tue mani, voglio solo assicurarmi che lo fai perché vuoi e non perché lo voglio io». Gli sorrisi di nuovo, misi le mani sui suoi boxer – non indossava altro – e afferrai l’elastico. Erano
tesi prima ancora che li toccassi; questo mi rilassò perché sapevo che era eccitato e pronto perché tentassi quel… compito? No, non era un compito, era qualcosa che volevo fare. Tante ragazze erano contente di dare piacere ai loro fidanzati e a quanto pare io non ero un’eccezione. Sapere che facevo cose che avrebbe fatto una fidanzata normale mi rendeva felice. «Dominic», ansimai quando gli abbassai i boxer fino alle ginocchia. Forse ero maleducata, ma non potevo evitarlo. Rimasi a fissarlo per un minuto buono prima di sollevare lo sguardo. «Mi farà un sacco male, vero?». Mi si spezzò la voce per l’ansia. «Di solito la prima volta è sgradevole per le ragazze, ma quando succederà sarò molto delicato. Promesso». Mi sconvolgeva che riuscisse a essere così dolce e sincero con il pene completamente eretto appoggiato alla pancia: ecco quant’era grande. Era grosso e lungo, avevo davvero paura che mi facesse male quando finalmente avremmo fatto sesso, ma allontanai quel pensiero. «Un pompino». Mi schiarii la voce. «Come si fa? Istruiscimi». Quasi soffocò dalle risate, si riappoggiò al cuscino e si strofinò la faccia con le mani. «Non dire così!», mi pregò. «Sto cercando di pensare a come chiederti di leccarmi e succhiarmi senza sembrare… Oh, Gesù!». Sorrisi, alzando lo sguardo, e allontanai la lingua dalla punta salata dell’uccello di Dominic. Osservai la sua faccia, il modo in cui la sua espressione era cambiata quando avevo appoggiato la bocca su di lui. Ripetei la leccata e questa volta cominciai dalla base e feci scorrere la lingua in su e poi attorno alla punta. Sconvolgente quanto assomigliasse al succhiare un lecca-lecca. Dovevo solo ricordarmi di non mordere. «Usa anche la mano, mettimela sull’uccello e falla andare su e giù a ritmo con la bocca e… oh, sì, così. Proprio così, cazzo, che bello», gemette. «Succhia un po’ più forte… passa la lingua sulla punta, sì! Continua così, cazzo, proprio così». Venire lodata per un pompino mi dava una sensazione di potere, mi faceva sentire molto adulta. «Bronagh, vacci piano con il risucchio adesso, non posso… Cazzo! Piccola, per favore, voglio che duri». Stava ansimando, letteralmente ansimando, ed era straordinario che fossi io a ridurlo in quello stato. Alzai la bocca dall’uccello con uno schiocco, sparsi baci per tutta la lunghezza e arrivai alle palle. Sapevo che erano una parte sensibile: Jason era caduto in ginocchio più volte per i miei calci, e anche Dominic prima che stessimo insieme, quindi mi chiesi se sarebbero state sensibili a un bacio. Provai e guadagnai un piccolo gemito; ne leccai una, poi l’altra, e le sue anche mi sussultarono un po’ contro la faccia. Cercando di fare centro, ne succhiai una in bocca e ci passai la lingua attorno. Dominic emetteva dei gemiti bassi e continuava a spingere il bacino verso la mia faccia, quindi lo interpretai come un buon segno e ripetei l’operazione con l’altra palla. Gli stavo succhiando le palle! Volevo ridere dei miei pensieri, ma non lo feci perché avrebbe rovinato l’atmosfera. Sentii le sue mani tra i miei capelli mentre risalivo leccando l’uccello e quando ne presi la punta in bocca lo guardai.
«Porca puttana», ansimò. «Potrei venire solo guardandoti che mi succhi il cazzo, piccola». Praticamente fuseggiando di piacere, appoggiai di nuovo la mano sotto la mia bocca e la feci andare su e giù, succhiando forte ogni tanto e guadagnando un forte gemito che mi sconvolse. Non pensavo che i maschi potessero emettere quel genere di suoni, ma a quanto pareva sì. «Damien vestito da drag queen, Kane coi tacchi. Alec in tutù…». Senza fermarmi, alzai lo sguardo su Dominic e lo trovai a occhi chiusi a parlare da solo dei fratelli in tenute bizzarre di ogni tipo. Volevo chiedergli che cazzo stesse facendo, ma non riuscivo a fermarmi, perché desideravo che avesse presto un orgasmo. La mascella cominciava a uccidermi e il braccio sembrava sul punto di staccarsi. Aumentai il ritmo; succhiai più forte, fino ad avere la certezza che la mascella si sarebbe bloccata. Anche le frasi di Dominic accelerarono, andando perfettamente a tempo con le mie carezze. «Ryder nudo, Alec nudo, Damien nudo, Kane nudo. Tutti che scopano… Oh, cazzo, Bronagh, sto venendo!». Come finì di parlare sentii gli schizzi bollenti del suo liquido salato coprirmi la lingua. Ingoiai, reprimendo l’impulso a vomitare: era salatissimo e per nulla buono. Anzi era disgustoso. Mi sedetti sui talloni e guardai Dominic, le braccia spalancate sul letto; il suo uccello si afflosciava piano piano sulla pancia e la sua faccia dava l’idea che dormisse già. «Dominic?». Lo punzecchiai sulla pancia. Aprì un occhio, quindi gli sorrisi. «Sono stata brava?». Alzò lentamente una mano, il pollice in su, e mi fece l’occhiolino. «Un fottuto più, piccolina. Fottuto più». Dentro di me feci un balletto di felicità; non era stata dura come pensavo – battuta involontaria. La bocca e la mano mi facevano più male di quanto pensassi, ma non era difficile! «Perché parlavi dei tuoi fratelli con addosso vestiti strani?», domandai con un sorriso. Si strinse nelle spalle. «Cercavo di distrarmi da quello che stavi facendo per non venire». Mi accigliai. «Aspetta, quindi i ragazzi pensano sempre al sesso, però durante il sesso e altri atti sessuali pensano a tutt’altro?» «Già». Risi. «Ma che stupidaggine, perché non lo accogliete e basta…». «Perché finirebbe prima di cominciare. Non scherzavo quando ho detto che la vista della tua bocca sul mio uccello bastava a farmi venire». Capivo quel che intendeva, ma lo trovavo comunque stupido. Mi sdraiai accanto a lui, rilassandomi. «Hai ingoiato il mio orgasmo», mormorò lui quando mi rannicchiai al suo fianco. Rimasi a guardarlo attonita mentre ci copriva con una coperta. Non avrei dovuto essere così sconvolta, cioè gli avevo appena fatto un pompino e dopo tutto era il mio ragazzo, ma era comunque nudo nel mio letto. Un’altra manciata di prime volte! «Scusa, non dovevo?». Temevo di avere rovinato tutto. «Mi prendi per il culo? È sexy all’ennesima potenza, piccola», mi assicurò. Respirai. «Felice che lo pensi, perché non ho mai assaggiato niente di così salato». Dominic rise e mi abbracciò. «Ti vivo, bellezza».
Mi tirai indietro e lo fissai. «Mi vivi?». Aveva gli occhi chiusi e si stava appisolando, quindi lo scossi. «Mi vivi? Hai detto la parola “vivere”, Dominic», ripetei quando sbatté le palpebre. Annuì con un sorriso pigro. Dio, era meraviglioso. «Non posso dire che mi piaci perché è qualcosa di più, ma nemmeno posso proprio dire che ti amo, quindi metto le due cose insieme e ti vivo. Mi sono vivificato di te, bellezza». Sapevo che poteva essere la cosa più dolce che mi avesse mai detto, ma comunque lo guardai con un sopracciglio inarcato, non avevo mai sentito un’espressione del genere. «Te lo sei inventato tu?». Scosse la testa. «No, me l’ha detto una ragazza che mi scopavo l’anno scorso, mi ha spiegato che veniva da un libro che aveva letto. Non ricordo il nome. Ho solo pensato che fosse una cosa carina e che questo fosse il momento adatto per dirla». No, non l’aveva detto, vero? Gli diedi un pugno nello stomaco. «Sei un coglione!». Emise un verso di dolore, poi rise e si portò le mani sulla pancia. «Sei straordinaria». Feci per colpirlo di nuovo, ma lui mi afferrò svelto e mi trascinò giù, poi chinò la testa e fece scorrere il naso sul mio, fino a baciarmi tra gli occhi. «Sul serio ti vivo, lo giuro». «Dominic», ansimai, con un nodo allo stomaco e il petto stretto. Faceva quasi male, ma un dolore buono; così capii che provavo le stesse cose. «Anch’io ti vivo». Chiuse gli occhi e sorrise di nuovo, stringendomi. Feci lo stesso e mi addormentai tra le sue braccia, felicissima e soddisfatta. «Piantala di sorridere a quel modo, Dominic, mi dà i brividi!», sbottò Ryder la mattina dopo, mentre finivamo di fare colazione. Dominic soffocò una risata, poi mi guardò. «Sono solo felice». Mi sentii arrossire. «Ti prego, dimmi che avete usato il preservativo», esclamò Branna dall’altro lato del tavolo. «Se resti incinta ti ammazzo, Bronagh!». La guardai a bocca aperta. «Non abbiamo fatto sesso!». Mia sorella mi fissò incredula. «Ho sentito dei gemiti provenire dalla tua camera ieri notte, non mentirmi!». Dovevo essere diventata scarlatta come un papavero! «Non abbiamo fatto sesso!», ripetei e distolsi lo sguardo da lei e da chiunque altro. «Ha ragione, non l’abbiamo fatto», affermò Dominic. «Quel che hai sentito ero io che mi godevo un cazzo di grandioso pom…». «Dominic!», strillai. Scoppiò a ridere e così Ryder. Branna arrossì un po’ a sua volta. «Oh, Signore, la mia sorellina ha fatto un lavoretto al suo ragazzo…». «Branna!», urlai. “Perché mi stanno facendo questo?”, pensai con rabbia. “Doveva essere una faccenda privata!”. Cercai di fuggire in camera mia, ma Dominic mi raggiunse in fondo alle scale e mi sollevò da terra, stringendomi al petto.
«Non sentirti in imbarazzo, quei due scopavano l’altra notte quindi non possono romperci i coglioni su quello che abbiamo fatto». Non avevo nessun bisogno di quell’informazione. «Non mi importa, dovevi tenere la bocca chiusa; sono cose personali!», sbottai. «Non farò mai più sesso orale con te se…». «Non parlerò più di queste cose finché avrò vita, giuro. Non negarmelo quando ho appena cominciato ad avere qualcosa, ti prego». Sorrisi tra me e me; avevo io il potere supremo, ed era una bella sensazione, bellissima. «Ok», dissi con fermezza. «Ma solo se non ne parli più, non mi piace». Dominic mi baciò sulla guancia. «Andata». Poi mi abbracciò da dietro, strappandomi un sorriso. «Adesso devi andare», dissi. Mi strinse. «Sì, sì, lo so. Giornata tra ragazze. Bla, bla, bla». Risi. «Ci vediamo domani. Possiamo stare insieme tutto il giorno, ok?» «Ti farò mantenere la parola, bellezza». Mi rimise a terra e mi girò. Poi mi baciò leggero sulle labbra, prima di gridare: «Fratello, spicciati!». Ryder uscì in corridoio, stiracchiando le braccia. «Andiamo, fratello. Abbiamo degli affari di cui occuparci». Spostai lo sguardo da lui a Dominic. «Che affari?». Ryder si sfregò il collo. «Solo cose di famiglia». Fissai Dominic con uno sguardo interrogativo. «Qual è quest’attività di famiglia? Non ne parli mai, mi hai detto che non è importante, ma io voglio saperlo lo stesso». Il silenzio che seguì mi diede un senso di nausea. «L’aggiorno io», disse Branna da dietro Ryder. «Voi andate». Entrambi la guardarono e, dopo una specie di comunicazione muta, annuirono e uscirono. Rimasi a osservarli per un istante, poi mi girai verso Branna. «Ti prego, dimmi che non sono degli spacciatori», scherzai. Branna mugugnò. «Non sono spacciatori; purtroppo sono invischiati in qualcosa di leggermente peggiore». “Che?”. «Che c’è di peggio che essere uno spacciatore?». La mia voce era a malapena udibile. Branna sospirò e mi guardò dritta negli occhi, dicendo: «Lavorare per uno di loro».
Capitolo diciotto
La fissai, inorridita, poi spalancai la bocca vedendola voltarmi le spalle e tornare in cucina. «Non puoi dire una cosa del genere e poi andartene!», sbraitai e la seguii di corsa. Mi lanciò uno sguardo da sopra la spalla e fece un gesto noncurante. «Metto su il bollitore. È una conversazione che richiede un tè». Capii che aveva ragione quando sentii le mani tremare e le ginocchia sbattere l’una contro l’altra, quindi raggiunsi il tavolo e mi accasciai su una sedia. «Ripetilo di nuovo. I nostri fidanzati lavorano per uno spacciatore?». Branna si sfregò la faccia con le mani, poi incrociò le braccia al petto, appoggiò un fianco al bancone e mi guardò. Il suo occhio sinistro si contrasse. «Scherzi!», sbottai. «Non lo trovo affatto divertente!». Non disse una parola, non un suono, facendo aumentare la mia nausea. «Dominic me l’avrebbe detto se fosse stato coinvolto in quella merda!», insistette. «Non mi avrebbe tormentato per uscire con lui se fosse stato invischiato in qualcosa di grave come le droghe! Non fuma nemmeno, Branna, e beve raramente perché deve allenarsi per gli incontri». «Non ho mai detto che si droghi. Nessuno dei ragazzi le assume, ma sono tutti coinvolti. Tranne Damien». La fissai per un istante lunghissimo; tutto cominciava ad acquistare un senso nella mia testa. Le conversazioni sottovoce tra Damien e Dominic, Ryder che diceva che le risse a scuola attiravano attenzioni non volute, e poi Dominic che ammetteva di non combattere per divertimento ma per “l’attività di famiglia”, di cui non voleva mai parlare. D’un tratto scoppiai in lacrime. «Non posso c-crederci… perché mai…Oh, mio Dio, esco con uno spacciatore!». Mi coprii il volto con le mani e singhiozzai come una bambina. Mi faceva male il petto e avevo lo stomaco sottosopra. Sapevo che stavo per vomitare. E lo feci, sul pavimento accanto alla sedia. «Non muoverti, ok? Pulisco io», mormorò Branna. «Resta ferma e concentrati sul respiro, così ti calmi». Annuii, incapace di ragionare, guardando nel giardino sul retro attraverso le porte a vetri. Ignorai il saporaccio che avevo in bocca e mi costrinsi a non pensare al mal di stomaco. Ma per quanto mi sforzassi non potevo fermare il senso di costrizione al petto. «Lo lascio», dissi, senza spostare lo sguardo. Branna sospirò accanto a me, mentre finiva di pulire il vomito. La osservai andare a prendere un succo di frutta in frigo e riempire un bicchiere. Tornò al mio fianco e me lo porse. Lo bevvi mentre lei mi accarezzava la schiena. «Se può cambiare il tuo punto di vista», mormorò, «non vogliono avere a che fare con quest’uomo, solo che non hanno scelta». Mi girai di scatto; capendo che non intendeva proseguire la spiegazione, divenni paonazza.
«Branna», ringhiai, «smettila di interromperti quando dici qualcosa di così importante!». Sorrise debolmente. «Scusa, Bee, ma non dirò altro. È una conversazione che devi avere con Dominic, da soli. Sappi solo che sono totalmente dalla parte sua, di Ryder e degli altri. Non uscirei mai con qualcuno coinvolto in roba tanto pericolosa e non ti permetterei di uscire con un tipo del genere senza una buona ragione. I ragazzi sanno quello che fanno quindi non abbiamo niente di cui preoccuparci». La fissai, inespressiva, senza sbattere le palpebre. Come faceva a restare così calma, in nome di Dio? Scossi la testa, mi alzai, uscii dalla cucina e salii in camera mia, dove mi buttai sul letto. Stavo ancora imparando a gestire il fatto di stare con Dominic e permettergli di entrare nel mio intimo. E adesso dovevo affrontare questa cazzo di bomba? Scossi la testa contro il cuscino. Per questo combatteva al Darkness? Per questo combatteva? Era questo il motivo per cui arrivava sempre a scuola pesto e pieno di lividi? Per questo lui e i suoi fratelli erano venuti in Irlanda? Avevo così tante domande e zero risposte. Mi sedetti, presi il telefono dal comò e lo sbloccai. Ti devo parlare!!
Inviai il messaggio, chiusi gli occhi e iniziai a riflettere preoccupata. Come cazzo aveva fatto la mia vita a diventare così complicata? Pochi mesi prima ero invisibile, single, vittima dei bulli e una solitaria completa e totale, finché non era comparso Dominic. Non riuscivo nemmeno a ricordarmi come fosse non provare niente per nessuno. Non tenevo a nessuno, tranne Branna, prima che lui irrompesse nella mia vita e ribaltasse il mio mondo. E adesso tenevo a Dominic, tantissimo; lo vivevo, ma questo era qualcosa che non ero sicura di poter affrontare. Era coinvolto in cose troppo più grandi di me. Aprii gli occhi al beep del telefono e schiacciai sulla faccia di Dominic, era arrivato un suo messaggio. So che devo darti tante spiegazioni, piccola, ma non decidere niente prima di avermi ascoltato. X favore?
Mi accigliai; sapeva che la mia reazione automatica sarebbe stata lasciarlo e questo mi infastidiva. Il senso di stare con Dominic era abbandonare le mie vecchie insicurezze e non avrei ricominciato a scappare da ciò che mi spaventava o minacciava il mondo della mia bolla personale. No, mi sarei tirata su i pantaloni da bambina grande e avrei ascoltato quel che aveva da dire. Ogni decisione su di noi l’avrei presa dopo avere sentito tutto e riflettuto. Annuii, picchiettando sul telefono. Ok, ma adesso sono furiosa con te. Questo – tu – mi ha ferita tanto.
Non mentivo; soffrivo per quella cosa. Non sapevo se fosse perché Dominic me l’aveva tenuto nascosto così a lungo o per la natura stessa del segreto. “Tutte e due”, pensai. Sentii un bip e guardai il telefono. Mi dispiace, bellezza. Vengo stanotte. Devo prima sistemare delle cose con Ryder, poi vengo subito da te. Sta’ con Branna e cerca di
non pensarci troppo. Non farti venire il mal di testa. So che capirai quando ti avrò svelato tutto. Ti vivo, piccola.
Mi rimisi a piangere perché pregavo che avesse ragione; davvero tanto. «Che hai fatto con Dominic?», domandò Branna in tono casuale, sedute sul divano in soggiorno. «Cioè, quanto avanti vi siete spinti?». Erano passate le nove di sera e dopo una lunga giornata di shopping a Grafton Street stavamo guardando In her shoes. Se fossi lei. Tuttavia, posta quella domanda, il film venne dimenticato, anche se continuammo a mangiare la pizza che avevamo in mano. Guardai Branna e cercai di assumere un’aria truce, ma ero piuttosto sicura di sembrare stupida, perché sentivo le guance scaldarsi. Ridacchiò. «Non vergognarti, si parla sempre di queste cose tra sorelle». Sospirai e mi strinsi nelle spalle. «Non quanto te con Ryder, che sono sicura sia fino in fondo e ritorno, più volte, ma probabilmente troppo in là per due che escono assieme solo da qualche settimana». Sul viso di mia sorella apparve una smorfia allusiva che mi fece ridere e soffocare con la pizza, al che lei scoppiò in una risata battendosi la mano su un ginocchio. Scossi la testa; lei sorrideva ancora, asciugandosi gli occhi. «Dettagli, Bee», incalzò. «Mi servono dettagli». Mugugnai. «Gli ho fatto un… sai». Si limitò a inarcare le sopracciglia; la odiavo, sapevo che mi avrebbe costretta a dirlo ad alta voce. «Un pompino». Squittii e mi nascosi la faccia tra le mani. Era strano pensare di avere fatto qualcosa di così intimo con Dominic e averlo appena detto a mia sorella! «Sporca civetta!», mi prese in giro; le diedi un calcio su una gamba che la fece solo ridere. «Lui è anche… sai… sceso giù e… mi ha infilato le mani lì». Branna spalancò gli occhi. «Porca puttana, quel ragazzo non perde tempo, eh?». Mi accigliai. «Che vuoi dire?» «Ha cercato di portarti a letto da quando è arrivato qui». Sorrisetto. «Deve essersi immaginato di fare cose sconce con te per un’eternità e adesso che state insieme non riesce a trattenersi». Alzai gli occhi al cielo. «Be’, peggio per lui, perché ho messo dei limiti. Non andrò oltre quello che abbiamo già fatto finché non saprò in cuor mio che sono pronta. Né lui mi metterà pressione addosso; tiene troppo alla vita e al suo uccello». Branna scoppiò a ridere e fece ridere anche me. Smettemmo sentendo qualcuno bussare. Seppi subito che non erano i ragazzi, perché Ryder aveva la chiave e anche Dominic – l’aveva rubata a Ryder e si era fatto una copia. Guardai Branna e mi strinsi nelle spalle. «Vado io». Continuò a mangiare la sua pizza, però mi seguì con lo sguardo finché non sparii in corridoio. Aprii la porta d’ingresso e quasi mi pietrificai per quello che vidi fuori. «Ehi, Bronagh. Posso parlarti un secondo?». Mi schiarii la voce. «Certo, Gavin. Entra».
Capitolo diciannove
«Chi è?», esclamò la voce di Branna in soggiorno. Appena Gavin fu entrato, chiusi la porta. «Gavin Collins, vuole fare due chiacchiere». Gli sorrisi e indicai le scale, bisbigliando: «Possiamo salire a parlare in camera mia. Origlia se restiamo quaggiù». Ridacchiò sottovoce e io feci lo stesso. Poi salimmo di sopra, con lo sguardo interrogativo di Branna incollato alla schiena finché non fummo al sicuro nella mia stanza. «Allora… che succede?». Imbarazzata, mi sedetti sul letto, guardando Gavin. Sospirò e si passò una mano tra i riccioli folti color biondo sporco; per un istante riuscii solo a fissarlo. Ero la ragazza di Dominic, ma pur sempre umana e Gavin era sexy. Chiunque provvisto d’occhi se ne sarebbe accorto. «Volevo dirti che mi dispiace», sospirò. «Sono stato un fottuto stronzo a tagliare la corda a quel modo. So che tra noi non potrebbe funzionare e che adesso stai con Nico, ma voglio davvero che siamo amici. Sono stato uno schifo da allora e ancora peggio quando ti ho vista a scuola con la mano fasciata». Inarcai le sopracciglia; non so cosa mi aspettassi che dicesse, ma di sicuro non “scusa”. «È grave?». Indicò la mia mano. La guardai, rialzai lo sguardo e scossi la testa. «No, adesso sta bene, è solo un po’ rigida. Il livido si è ingiallito. La settimana prossima farò un controllo in ospedale e poi potrò togliere la benda», spiegai. Annuì, poi sospirò, fissandomi. «Stai bene». Mi sentii arrossire. Sorrise. «Non sto flirtando, voglio solo dire che hai… un bell’aspetto». Si strinse nelle spalle. Continuai comunque ad arrossire e lui a sorridere. Mi schiarii la voce. «Non ti mentirò, ti ho affibbiato qualche appellativo ben scelto quando mi hai piantata in asso al McDonald’s, ma capisco perché lo hai fatto, davvero. Dominic… può essere molto insistente e un boccone troppo grosso da ingoiare». Gavin grugnì e venne a sedermi accanto sul letto. «Stai minimizzando, Bee». Gli sorrisi. «Ti perdono, se è questo che hai bisogno di sentire. Non serbo rancore… tranne che verso Jason Bane. Ma visto che non sei lui, tranquillo». Rise e si rilassò completamente. «Stasera prima di andare a letto ringrazierò Dio per questa benedizione». Soffocai una risata, al che Gavin sghignazzò con un verso stridulo, al che io esplosi a ridere. Non ci potevo fare niente, quando la gente emetteva quel suono scoppiavo, ogni volta. «Me ne vado, mi sono fermato solo un attimo per togliermi questo peso. Però, spero che potremo essere amici. Tipo uscire assieme e cose così», disse, girandosi verso di me. Ricambiai lo sguardo e ignorai la voce nella mia testa che gridava: “No, non vogliamo altri
cambiamenti!”; sorrisi e dissi: «Sì, penso che mi servirebbe proprio un amico». Vederlo raggiante mi intimidì; avevo un bellissimo ragazzo come amico e un figo da paura come fidanzato… non me la stavo cavando malaccio. Gavin mi abbracciò e io ricambiai. «Ci vediamo lunedì e…». «No, Ryder, fermalo!», strillò all’improvviso la voce di Branna al piano di sotto. Io e Gavin smettemmo di abbracciarci e ci girammo verso la porta della mia stanza al suono dei passi che salivano pesanti. «Oh, merda», bisbigliò lui quando la porta venne spalancata. Sobbalzai sentendola sbattere contro il muro e mi feci piccola piccola alla vista di Dominic che riempiva la soglia, il viso contorto dalla rabbia. Balzai davanti a Gavin e sollevai le mani in gesto di resa. «Dominic», urlai. «È venuto solo per chiedermi scusa. Non sta cercando di invitarmi fuori o cose del genere, vuole solo che siamo amici…». Dominic balzò in avanti e fui costretta a buttarmi addosso a lui per impedirgli di girarmi attorno e raggiungere Gavin, che sentivo in piedi alle mie spalle in attesa di un colpo. Dominic mi teneva stretta e io facevo lo stesso con lui. Ringhiò contro la mia tempia e cercò di scrollarmisi di dosso, ma non avrei mai mollato e dopo un istante se ne rese conto anche lui, si rilassò un pochino e mi abbracciò meglio. «Primo e unico avvertimento che riceverai, Collins». Lo guardò di sbieco. «È mia, se cerchi di togliermela, ti ammazzo». Porca. Puttana! «Dominic», sussurrai. «Va tutto bene». «Vaffanculo, Nico», strillò Gavin. «Può essere mia amica se vuole!». Dominic cercò di spingermi via, ma gli tenevo le braccia ben strette attorno alla vita e non le avrei allargate tanto presto. «FUORI DI QUI!», ruggì, costringendomi ad abbassare la testa perché il rumore mi aveva fatto male alle orecchie. «Vado, amico. Sta’ tranquillo». Gavin ringhiò e si diresse alla porta. «Ci vediamo a scuola, Bee». Dominic cercò di colpirlo con un braccio, ma Gavin lo schivò e uscì, superando Branna e Ryder che se ne stavano lì a osservare da fuori la stanza. Incrociai lo sguardo di mia sorella e le feci cenno di andarsene. Lei annuì e chiuse la porta, lasciandoci soli. Sciolsi l’abbraccio e feci per arretrare per lasciare spazio a Dominic, ma lui mi tenne ferma, strappandomi un sospiro. «Sto solo cercando di darti spazio per calmarti…». «Che ci faceva lui qui?», ringhiò, interrompendo la mia frase a metà. «In camera tua?». Feci spallucce. «Voleva scusarsi e…». «Questo l’ho capito», intervenne con rabbia. «Ma. Che. Ci. Faceva. In. Camera. Tua?». Sbattei le palpebre, poi scossi la testa. «Voleva parlare». Lo sguardo di Dominic era duro. «Perché qui? Perché non di sotto?». Sospirai. «Non so, ho pensato che sarebbe stato più facile parlare quassù e…». «Hai suggerito tu di salire in camera tua?», ruggì. Mi scostai con un brivido. Sapevo che non mi avrebbe picchiata né ferita fisicamente, ma questo non cambiava il fatto che mi spaventava.
«Dominic, mi fai paura». Mi tremava la voce. Grugnì, mi lasciò e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza. Mi faceva venire il mal di testa a guardarlo, quindi andai a letto, mi ci infilai dentro e mi rannicchiai sotto le coperte. Avevo già il pigiama e mi stava bene rimanere lì tutta la notte ormai che c’ero. Dopo qualche altro minuto di avanti e indietro, sentii Dominic sospirare. «Bronagh?». Non risposi, il che gli fece uscire di bocca un altro profondo sospiro. Lo sentii muoversi qua e là e poi percepii il rumore di qualcosa che cadeva per terra; capii subito che erano i suoi vestiti e le sue scarpe. Si stava spogliando. Avrei voluto prendermi a calci: avevamo problemi seri e io mi stavo sciogliendo perché era seminudo. A quanto sembrava, quando si trattava di Dominic la mia mente andava a farsi benedire. Mi irrigidii al suo ingresso nel letto dietro di me. Non lo respinsi quando intrecciò il corpo al mio. Prima le sue braccia mi strinsero fino a modellarmi contro il suo petto, poi incastrò le nostre gambe e appoggiò la testa alla mia. «Ti vivo, bellezza», mormorò e mi baciò sui capelli. Strinsi gli occhi per un attimo, poi li riaprii. «Anch’io ti vivo». A quel punto mi fece voltare e mi sfiorò le labbra con le sue. Sapevo che avrei dovuto rispondere con un bacio leggero o persino cercare di provocarlo sfiorandolo appena, ma non ci riuscii. Premetti forte la bocca sulla sua e gli ficcai la lingua in gola. Dominic gemette, si irrigidì, poi si scostò in fretta. «Bronagh, voglio scoparti quando mi baci così!», ringhiò. Gli sorrisi; adoravo eccitarlo a quel modo. Mi faceva sentire potente. Mi allungai a baciarlo con delicatezza, ma lui gemette di nuovo. «Voglio comunque scoparti». Risi. «Allora smetto di baciarti e basta?» «Non smettere mai di baciarmi. Mai!», brontolò; fremetti e gli sorrisi stanca. Mi baciò sulla fronte e sospirò. «Scusa se ti ho spaventata. Sai che non ti metterei mai le mani addosso per farti del male. Vero?». Annuii. «Lo so, ma sei comunque spaventoso quando ti comporti a quel modo. Va bene se sono altrettanto arrabbiata anch’io perché penso di farti paura in quei casi». «Sì, ma ti trovo anche molto sexy», mugugnò Dominic. Scossi la testa. «Dobbiamo parlare». Annuì e mi guardò dritto negli occhi. «Dimmi cosa ti ha detto Branna». Lo feci e quando ebbi finito lui accennò un gesto d’assenso. «Hai mai sentito parlare di un uomo chiamato Marco Miles?». Ci pensai su, poi scossi la testa. «Cazzo, piccola, sei davvero protetta», mormorò. Ero perplessa. «Non conosco gente cattiva, Dominic. Per anni sono stata attenta a non parlare con nessuno e non dare ascolto ai pettegolezzi». Di nuovo annuì. «Lo so, ma tutti conoscono Marco, il suo nome è famoso in tutto il mondo. È… una persona molto cattiva». Chiusi gli occhi e domandai: «E lui è il tuo capo?» «Sì». Il cuore mi si spezzò in due.
«Oh, mio Dio», bisbigliai. Dominic mi abbracciò ancora più stretta. «Non vendo droga, non la assumo e non uccido la gente, né faccio lavori che mi spedirebbero in prigione a vita». Aprii gli occhi, sentendomi un po’ più che confusa. «E allora che fai?». Strinse i denti. «Si potrebbe dire che sto ripagando un debito, combattendo». Non capivo. «Soldi?». Sospirò e chiuse gli occhi. «No, non soldi. È più complicato di così». Mi sedetti e lo tirai su con me. Mi girai verso di lui, incrociai le gambe e gli feci cenno di proseguire. «Ho tempo a palate quindi parla». Il suo labbro fremette. «Prepotente». Feci spallucce. Si sfregò il viso prima di incontrare di nuovo il mio sguardo. «Papà era il migliore amico di Marco da quand’erano ragazzini. Erano due cattive persone e misero su il loro impero dal nulla. Avevano legami con moltissimi boss di mafie diverse, quasi tutti i cartelli della droga conosciuti al genere umano e la legge in tasca». Grugnì e scosse la testa. «Io e i miei fratelli siamo cresciuti nella violenza e in quello stile di vita senza sapere che era sbagliato. Ci trattavano come principi e ci davano tutto quello che volevamo a causa di nostro padre. A tredici anni delle escort di alto borgo mi offrivano le loro grazie perché non mi andava di masturbarmi. La vita era una visione confusa, finché mamma e papà non sono stati uccisi, subito dopo che io e Damien avevamo compiuto quindici anni». Irrigidì la mascella. «Papà fece lo sgambetto a Marco nel tentativo di guadagnare qualche soldo extra su un accordo con un cartello della droga, così Marco li fece uccidere prima che potessero chiamarlo fuori. Erano amici per la pelle, ma la sete di denaro e potere li aveva cambiati, li aveva resi vuoti… malvagi. Mamma non era migliore di loro; amava solo i soldi e le cose materiali. Incoraggiava papà a mantenere alto il nostro stile di vita… Alla fine li uccise entrambi». Dominic mi guardava e si fermò quando si accorse che piangevo. «Piccola, per favore, non piangere». Incupito, mi tese le braccia. Mi avvicinai e lo avvolsi in un abbraccio, stringendolo più forte di quanto avessi mai fatto prima. «Mi dispiace tanto», sussurrai. Dominic mi cullò. «Per che cosa?» «Per come sei cresciuto». Tirai su col naso. «Vorrei che tu e i tuoi fratelli aveste avuto l’amore che i nostri genitori hanno dato a Branna e me». Mi sfiorò la guancia con un pollice e disse: «Nessuno aveva mai pianto per me». «Be’, io ti vivo quindi è logico che pianga quando sento della tua infanzia». Singhiozzai. Sorrise appena. «A parte i miei fratelli, sei la cosa più importante che ho al mondo, significhi tutto per me. Voglio che tu lo sappia prima di finire di dirti quello che devo, ok?». C’era dell’altro? Oh, Dio! «Ok», sussurrai. Espirò e si leccò le labbra prima di ricominciare. «È disgustoso a dirsi, ma davvero non mi importa che Marco abbia fatto uccidere i miei genitori. Lo odio, ma non per questo. Non li vedevamo mai e quando succedeva erano freddi, quindi la loro morte non ferì nessuno… tranne Damien. È un amatore e non un combattente sotto tutti gli aspetti. Era l’unico che continuasse a sperare che un
giorno mamma avrebbe amato noi invece dei suoi vestiti e delle sue borse e che papà sarebbe stato fiero di noi invece che dei nipoti di Marco, Trent e Carter. Dopo la loro morte non ci permetteva di dire una sola parola cattiva su di loro; in caso contrario diventava molto violento». Sbattei le palpebre, sconvolta, e Dominic annuì. «Lo so, è difficile immaginarselo come una persona violenta, ma dopo la scomparsa dei nostri genitori è cambiato». Mi sentivo male al suo racconto, avevo il crepacuore per Dominic e i suoi fratelli. Volevo abbracciarli forte tutti quanti. «Carter non assomiglia per niente al resto della famiglia, ma è malvagio quanto gli altri e Trent era ancora peggio. Era la versione più giovane di Marco sotto tutti gli aspetti, da quello fisico a quello caratteriale». Aggrottai le sopracciglia. «Era?». Annuì, chiuse gli occhi per un istante, poi li aprì e fissò i miei. «È morto. La sua morte è il motivo per cui la mia famiglia è in debito con Marco». «Gli dovete un mucchio di soldi o cosa?». Ero confusa. Scosse la testa. «Non soldi, ma dobbiamo lavorare per ripagare il nostro debito. I miei fratelli, a parte Damien, fanno certi lavori per Marco. Il mio è combattere». Mi accigliai. «Non capisco. Perché tu e i tuoi fratelli siete in debito con Marco per la morte del nipote?». Dominic sospirò. «Dobbiamo lavorare per lui per tenere Damien al sicuro». Sentii il cuore fermarsi. «Perché solo Damien? Perché è sempre un caso a parte?» «Perché è lui il motivo della morte di Trent». Mi guardò. «Lo ha ucciso».
Capitolo venti
«Cos’hai detto?», bisbigliai, sperando di avere sentito male. Dominic mi prese il volto tra le mani. «Per favore, non disprezzarlo, Bronagh», mi implorò. «Devi capire cosa gli ha fatto la morte dei nostri genitori, cosa continua a fargli. Pensi di avere problemi ad affezionarti alle persone? Damien ama a malapena me, e sono il suo gemello». Sgranai gli occhi. «Non dire questo, ti vuole bene. Basta vedervi insieme per capirlo». Sospirò e mi sfregò una guancia con il pollice. «Si è aperto molto di recente, da quando siamo qui. So che non ha dimenticato il nostro passato, ma sembra diverso qui, non è più così freddo». Lo guardai severa. «Dillo alla fila di ragazze con il cuore spezzato a scuola e giù in città». Sorrise appena. «Non fa promesse, Bronagh. Fare sesso è l’unica intimità che ha con le ragazze. Non prova niente per loro, non prova niente per nessuno e non per scelta; è solo vuoto dentro. È un bravo ragazzo, ma se cerchi qualcuno sensibile o con cui parlare di sentimenti e altre cazzate, passa oltre perché lui non fa niente del genere con nessuno». Alzai un dito. «E qui ti sbagli, caro fidanzato. L’altro giorno mi ha detto così dal nulla che cominciavo a piacergli e non solo perché sono sexy». Feci una smorfia sull’ultima parte della frase, al che lui sbuffò divertito. «Per lui è inedito, piccola. Non parla mai molto con le ragazze, tranne quando le corteggia o le fotte». Deglutii. «Allora mi considererò molto fortunata». Sogghignò. «Dovresti. Sei importante per me e lui lo sa. Non sai quanto sono felice che mio fratello stia uscendo dalla depressione e grazie alla mia fidanzata». Scossi la testa. «Non credo che sia grazie a me, ma perché vede che hai una relazione e sei felice…». «Sto con te, e sono felice grazie a te, quindi è comunque merito tuo se si sta riprendendo», mi interruppe. Repressi un sorriso raggiante. «Sì, be’, sono solo contenta che si stia scongelando». Dominic sospirò. «Non penso che si scongelerà mai del tutto, quella merdata con i nostri genitori e Trent l’ha davvero incasinato». Deglutii, poi mi mordicchiai un po’ il labbro, prima di domandare: «Posso chiedere perché…». «Ha ucciso Trent?». Terminò la domanda per me. Annuii, e in risposta a un suo gesto mi sistemai al suo fianco. «Compimmo quindici anni due settimane prima che i nostri genitori venissero uccisi, più di tre anni e mezzo fa, e Trent ci restò accanto per tutto il tempo. Anche Carter, per un po’, ma era più solitario, al contrario di Trent. In pratica noi tre eravamo amici del cuore; eravamo cresciuti insieme nello stesso ambiente, quindi lui pensava come noi e accettava la merda che avevamo visto e fatto come cosa normale. L’unica differenza era che a lui piaceva la malvagità e a noi no. «Non lo dicevamo mai ad alta voce, perché non volevamo apparire deboli, ma io e Dame a volte
parlavamo di notte ed eravamo d’accordo che la vita di papà e Marco non faceva per noi. Ci eravamo decisi a dire a papà che volevamo andarcene da New York verso chissà dove, il giorno che è morto». Si incupì, giocherellando con i miei capelli. «Dopo Damien non volle più allontanarsi dal quartiere in cui vivevamo. Tutte le cose di cui avevamo parlato finirono nel dimenticatoio perché se comprendevano lasciare New York lui non voleva saperne nulla. Iniziò a estraniarsi da tutti noi, a parte Trent e Nala». Il nome femminile risvegliò il mio interesse. «Chi è Nala?» «Era la ragazza di Damien, ma prima era stata solo la sventola asiatica che ci seguiva dappertutto». Sorrise, come se stesse rivivendo un ricordo che la riguardava. Sorrisi anch’io, poi chiesi: «È una bella persona?». Si strinse nelle spalle. «Il padre era coinvolto nelle stesse stronzate di papà e Marco, ma lei come noi odiava i suoi “affari”. Era silenziosa, ma gentile e aveva una cotta per Damien. Diceva che ad attrarla erano i suoi capelli biondi e che la sua, nostra, bellissima faccia non ci entrava per niente». Sbuffai. «Stronzo vanitoso, te lo stai inventando!». Fece un sorrisetto. «Ok, non ha mai detto che avevamo una bellissima faccia, ma aveva davvero un’ossessione per il colore di capelli di Damien. Venne a vivere nel nostro quartiere quando avevamo circa dieci anni. Anche a Damien piaceva, perciò a tredici anni lui le chiese di diventare la sua ragazza e lei disse di sì, non fu una sorpresa». Ridacchiò, poi emise un sospiro. «L’unica sorpresa fu che Trent odiava vederli insieme. Penso che anche a lui piacesse Nala e fosse solo geloso di lei e Dame, ma non sono sicurissimo che sia quello il motivo preciso». Fece spallucce, si stiracchiò e tornò al mio fianco. «Dame e Nala stavano ancora insieme dopo l’assassinio dei nostri genitori, ma alla fine si allontanò anche da lei. Per quanto cercasse di farlo sentire meglio, non ci riusciva. In quel periodo Trent fu la spalla su cui piangere, per lei; però una notte commise l’errore di cercare di baciarla. Damien vide tutto e impazzì. Aggredì Trent e lo riempì di botte per avere toccato la sua ragazza». Dominic guardò il soffitto e mi strinse più forte. «Penso che amasse Nala. So che eravamo ragazzini, ma uscivano insieme da due anni di fila, sapevano tutto l’uno dell’altra ed erano sempre insieme. Erano letteralmente le due metà della mela, ed erano felici finché non si scatenò l’inferno. Dopo avere cercato di baciare Nala ed essere stato preso a calci in culo, Trent vomitò ogni sorta di cazzate addosso a Damien e questo lo fece solo arrabbiare ancora di più. Gli disse che non era all’altezza di stare con Nala e che il suo posto era sottoterra con quel traditore di nostro padre». Scosse la testa. «Era una brutta cosa da dire a un amico in un litigio per una ragazza. Non fraintendermi, Nala era fantastica, ma era comunque una ragazza e trovo stupido che litigassero per lei. Dal punto di vista della lealtà, però, ce l’avevo con Trent per averci provato con la ragazza di mio fratello. Non mi importava come definiva nostro padre, ma quando si augurò che Damien fosse morto fu il mio turno di prenderlo a calci in culo. Era la prima volta in assoluto che prendevo parte a una rissa e lo distrussi. Damien però mi tirò via, perché voleva farlo lui stesso. A me andava bene, perché avevo mandato a segno qualche colpo. Una volta che Damien mi ebbe trascinato via, Trent si alzò e tirò fuori una pistola, quel pazzo bastardo, una cazzo di pistola vera». Quando vidi che iniziava ad avere degli scatti nervosi gli accarezzai un braccio; sembrò calmarlo un po’. «Non avevo paura che mi sparasse. Però, avevo paura per Damien, per l’odio con cui Trent lo guardò prima di puntargli la pistola contro. Fu allora che capii quanto somigliasse a Marco nel profondo. Non ho dubbi che se Nala non gli fosse saltata sulla schiena, facendogli cadere la pistola,
avrebbe sparato e ucciso Dame; mi sento male al solo pensiero». Spalancai gli occhi. «Dove l’aveva presa la pistola?». Dominic si strinse nelle spalle. «Non c’erano mai armi o merci dove abitavamo perché la polizia faceva irruzione spesso, ma credo che avesse fregato la pistola regolarmente detenuta da Marco in ufficio. Dopo essere caduta di mano a Trent, in qualche modo finì in quelle di Damien e fu allora che andai nel panico. Ricordo ancora che piangevo come uno stronzo e gli urlavo di metterla giù, che noi non eravamo come papà e Marco. Mi ascoltò, finché Trent non rise e disse che ero un coglione come papà, che lui se l’era meritato di stare due metri sotto terra con del piombo in testa. Si era già scrollato di dosso Nala, così quando Damien sparò lei era al riparo dal proiettile che lo ha trapassato». Scosse la testa, come se ancora non riuscisse a credere che quanto raccontava fosse successo davvero. «Trent fu colpito al cuore o alla spalla. Non lo sapevo perché il sangue che sgorgò dalla ferita gli inzuppò la camicia, rendendo impossibile definire il punto esatto da cui usciva. Non si muoveva, immagino che Damien l’abbia freddato con un colpo solo». Scosse di nuovo la testa e si schiarì la voce. «Da quel momento fu il caos. Successe tutto in fretta, Marco disse ai suoi ragazzi di mandare tutti via dal cortile e di lavare il sangue di Trent mentre lui chiamava il medico, ma era troppo tardi. Ci dissero che all’arrivo del dottore era già morto. Ryder, essendo il più grande, andò da Marco per “discutere” la situazione. Ryder, Kane e Alec facevano già parte del giro, ma dopo che Damien ebbe ucciso Trent ci finirono invischiati ancora di più. «Non eravamo stupidi; sapevamo che l’incontro tra Ryder e Marco serviva a tenerci tutti in vita. Quando uscì dall’ufficio, ci disse che Damien era al sicuro, ma per mantenere tale sicurezza avremmo dovuto lavorare. Sapevo che Marco non avrebbe concesso niente per niente, quindi ero pronto a fare la mia parte, una volta saputo che così avrei protetto Dame». Mi sorprese sentirlo soffocare una risata, ma non lo interruppi. «Mi aspettavo di trasportare e vendere merce o stronzate del genere, ma Marco aveva dei “compiti” specifici per noi. Sembra che io fossi il suo pupillo; adorava scommettere e fare soldi in modo eccitante e in quel periodo ci fu il gran botto degli incontri clandestini. Voleva un combattente che lo rappresentasse nell’underground, ed è questo che divenni dopo che ebbe visto come avevo fatto il culo a Trent sui nastri delle telecamere a circuito chiuso. Negli ultimi tre anni e mezzo abbiamo girato più Paesi di quanti ne possa ricordare. A quanto pare ogni due mesi Marco mi chiama per dirmi che c’è un nuovo circuito in cui vuole essere rappresentato da me». Mi aggrappai a lui, sentivo il cuore impazzito nel petto. «Allora può chiamarti in qualsiasi momento e dirti di cambiare Paese per combattere, giusto? Se l’ha fatto in passato può farlo di nuovo…». «Bronagh», mi interruppe, scuotendomi. «Ascoltami attentamente, io non ti lascerò. L’Irlanda sarà l’ultimo Paese in cui combatto. L’ho già detto a Marco e lui ha accettato perché comincia ad annoiarsi, vinco sempre io. A quanto pare se non ho un degno avversario manca l’eccitazione e io combatto come un animale per soddisfarlo. Quando finirà il circuito in cui sono adesso, saremo tutti liberi. Ancora qualche settimana e sarà finita». Mi alzai a sedere e lo guardai. «Quindi tutto qui? Marco lascerà andare la tua famiglia così facilmente? Damien ha ucciso suo nipote». Dominic si strinse nelle spalle. «A uomini come Marco non importa della famiglia o dell’onore.
Sapeva che Ryder stava progettando di portarci via da New York, che Damien lo volesse o meno, e dopo la morte di Trent ha avuto l’assist perfetto da giocare per tenerci con sé». Feci una smorfia. «Nemmeno l’ho incontrato e già lo odio». Dominic mi attirò con la testa vicino alla sua. «E non lo incontrerai mai». Feci un cenno. «Bene». Mi sfiorò le labbra con un bacio, poi si scostò. «Adesso capisci perché faccio quello che faccio?». Annuii di nuovo. «Proteggi tuo fratello». Mi baciò sulla fronte. «Sapevo che avresti capito, una volta che ti avessi raccontato tutto». Gli lanciai un’occhiataccia. «È proprio tutto, vero? Non mi nascondi nient’altro?». Scosse la testa. «Sai tutto del mio passato; per lo più non è nemmeno mio, ma di Damien, ma sai comunque tutto». Sospirai pesantemente. «Capisco, ma lo sto ancora metabolizzando. È una pillola grossa da ingoiare». Dominic mi accarezzò le gambe incrociate. «Lo so, piccola». Rimasi in silenzio per un attimo, poi chiesi: «Tu e Damien andate a scuola come copertura per “l’attività di famiglia”, per sembrare normali?». Quella domanda lo fece ridere sotto i baffi. «No, vogliamo andare a scuola. È l’unica cosa normale delle nostre vite che possiamo controllare». Annuii, poi pensai ai suoi fratelli. «Se tu combatti per Marco, gli altri che fanno?». Dominic si morse il labbro prima di rispondere. «Kane è il suo esattore di debiti, quello che Marco chiama il suo “procuratore di lividi”. Se qualcuno è in ritardo con i pagamenti o ha bisogno di una “chiacchierata”, Kane è l’uomo che Marco manda a compiere l’opera». Mi si mozzò il respiro. «Ma Kane è adorabile!». Dominic si accigliò. «Hai visto le cicatrici, non se le è procurate facendo quello adorabile». Porca puttana! Kane con il suo ampio, bellissimo sorriso picchiava la gente per quel verme di Marco. Faceva la sua parte per tenere al sicuro Damien, lo capivo, ma comunque era a dir poco sconvolgente! «Alec, lui che fa? Se mi dici che pesta la gente mi metto a piangere in un angolo». Dominic rise. «Alec fare a botte? Sii realista, fotte i problemi di Marco. Letteralmente». Fissai il mio ragazzo con gli occhi sbarrati. «Cazzo, questa è meglio che me la spieghi». Dominic si sfregò gli occhi. «Marco commercia dalle droghe alle armi a ogni specie di intrattenimento, inclusi, ma non esclusivamente, incontri di lotta e sesso». Lo fissai, sempre in attesa che arrivasse al ruolo di Alec in tutto questo. Si strofinò la faccia. «Alec fa da escort per i clienti di Marco, Bronagh. Di solito le mogli o i mariti dei suoi clienti, il suo compito è tenerli allegri». «Cosa?», strillai. Dominic sobbalzò spaventato. «Dopo tutto ciò che ti ho detto, perdi la testa per questo?». No, ma insomma! «Alec è gay?». Non riuscivo a crederci. Dominic scosse la testa. «È bisessuale». Oh, mio Dio.
«Non l’avevo proprio capito, pensavo fosse etero». Dominic rise sotto i baffi. «Adora la figa e il cazzo, quello stronzo ingordo non riesce a decidersi». Sbattei le palpebre, aprii la bocca per parlare, poi la richiusi. Dominic rise, mentre io rimanevo immobile, scioccata. «Quindi tu sei un pugile underground; Kane è un picchiatore e Alec è un… escort. Fin qui ci sono?», domandai, poi scossi la testa. Ecco una frase che non pensavo mi sarei mai sentita pronunciare. «Già, e Ryder trasporta droghe e armi per Marco, quindi tecnicamente è un trafficante di droga e armi». Oh, cazzo! «E Damien?», squittii. «E Damien niente», disse con fermezza. «Non ha rapporti con Marco. È parte dell’accordo per tenerlo al sicuro. Resta fuori da tutto, ce ne occupiamo noi». Espirai. «Grazie a Dio uno di voi è normale». Pochi secondi appena e Dominic mi aveva sdraiata sulla schiena e si era infilato tra le mie gambe. «Che avrei io di anormale, bellezza?», mi provocò. «Dovresti essere un diciottenne in scambio culturale, non un combattente illegale in incognito legato a uno degli uomini più pericolosi al mondo!». Non rimasi sconvolta quando gli occhi mi si riempirono di lacrime, e nemmeno Dominic, perché quando mi rigarono il volto fece un piccolo sorriso; pensai che fosse un enorme bastardo. Premette la fronte contro la mia. «Mi stavo chiedendo quando sarebbero arrivate le lacrime. Mi sorprende che tu abbia ascoltato tutto senza piangere». Tirai su col naso. «Grazie per la botta di autostima». Mi baciò sul naso. «So che è tutta una follia, è difficile da credere e da accettare, ma ho bisogno che ti fidi di me, ok? So quello che faccio; posso cavarmela». «Mi fido di te», mormorai. «Non riesco a credere a che schifo sia, però mi fido di te». Mi baciò con forza, ma smise quando io allungai una mano e gli afferrai l’uccello con ben poca gentilezza e lo strinsi. «Cazzo!», ringhiò. «Perché?». Lo lasciai e sorrisi al suo lieve piagnucolio. «Mi hai appena detto alcune delle cose più sconvolgenti che abbia mai udito in vita mia e cerchi di baciarmi a quel modo mentre io sto ancora metabolizzando? Fottiti». Rise e sussultò allo stesso tempo, rotolando via con una mano sulla parte lesa. «Ti vivo, bellezza», disse in mezzo al dolore. Le mie labbra fremettero. «Ti vivo anch’io, Facciadiculo».
Capitolo ventuno
«È la prima volta da settimane che vieni a scuola il lunedì senza nuovi lividi sulla faccia», mi disse la McKesson quando entrai in classe. Mi meravigliai che fosse già lì: di solito ero la prima ad arrivare. Mi sforzai di sorridere, ma non risposi. Indicò la porta con la testa. «Puoi fare un salto nel salone e aiutare Alannah e gli altri?». Aggrottai le sopracciglia. «Aiutarli con cosa? Che ci fa là? Le lezioni cominciano tra dieci minuti». La professoressa sorrise. «Lei e qualche altro studente si stanno avvantaggiando per il concerto di Natale, bisogna preparare la sala. Dopo tutto manca solo una settimana». Spalancai gli occhi. «Porca puttana, ho davvero perso il senso del tempo. Non avevo idea che Natale fosse così vicino». Si accigliò. «Di recente sei stata un po’ tra le nuvole in classe, non mi sorprende che ti sia sfuggito qualcosa». Deglutii. «Ero occupata con alcune questioni familiari, ma adesso è tutto a posto». Scossi la testa e risi piano. «Mi sento come se avessi tenuto la testa nascosta nella sabbia, non sapere che è quasi Natale!». La professoressa trattenne una risata. «Succede ai migliori di noi». Annuii e guardai la porta. «Allora vado a dare una mano ad Alannah e gli altri». La McKesson mi diede il permesso con un gesto. «Perfetto, tra dieci minuti suonerà la campanella e arriveranno anche gli altri». Annuii e uscii. Percorsi i corridoi vuoti fino a sbucare nel salone principale. Buffo, pensai, di lì a poco sarebbero stati invasi da nugoli di studenti, ma in quel momento sembravano una silenziosa città fantasma. Nella sala, invece, c’era tutto fuorché silenzio. Gemetti quando notai Micah comandare a bacchetta alcune amiche e altri studenti, mentre Alannah se ne stava dalla parte opposta a dipingere poster di Natale. Avrei preferito fare qualcosa da sola, ma se dovevo scegliere chi delle due aiutare puntavo decisamente su Alannah. «Ehi», dissi una volta vicino a lei. Mi lanciò un’occhiata e sgranò gli occhi quando mi riconobbe. «Ehi a me?». Si guardò intorno per vedere se per caso parlavo a qualcun altro. Annuii e lei sorrise raggiante. «Ehi anche a te, Bronagh. Sei venuta a dare una mano?». Feci di nuovo cenno di sì e lei batté le mani. «Perfetto; puoi aiutarmi a finire questi poster, ti va? Non sei costretta, ovvio, se preferisci stare da sola puoi fare qualcos’altro e…». «Alannah», la interruppi, ridacchiando. «I poster vanno bene». Mi fissò. «Davvero? Sul serio? Sai che starò qui vicino a te a darti una mano, vero?». Le sorrisi di nuovo. Era molto gentile e premurosa a offrirmi una scappatoia per lavorare da sola e non sentirmi a disagio a starle vicino, ma non era necessario. Pensavo che non fosse il tipo da farmi un milione di domande o mettersi a chiacchierare a caso per riempire il silenzio, e ciò per i miei
standard significava essere ok. «Sì, so che starai vicino a me». Ridacchiai di nuovo. Alannah rimase lì a fissarmi, poi sembrò riscuotersi, sbatté le palpebre e scosse un po’ la testa. Si girò, prese un pennello pulito e me lo porse. «Grazie». Mi rivolse un cenno e un sorriso, poi indicò la sezione vuota del poster e spinse la vernice rossa verso di me. «Pensavo che potresti colorare di rosso le lettere del nome e poi usare un pennello più piccolo per contornarle di nero. Ma se vuoi possiamo fare cambio». Guardai quello che stava dipingendo lei e spalancai la bocca, meravigliata. «Quella renna l’hai disegnata tu?». La mia voce era un po’ più alta di qualche secondo prima. Alannah annuì. «Ho disegnato tutti i poster con l’insegnante d’educazione artistica, il prof. Wall, la settimana scorsa. Nessun altro del gruppo ha voluto darci una mano quindi eravamo solo noi due. Io ho disegnato gli animali e altri personaggi piccoli e Wall ha scritto le parole con un carattere elegante e ha riempito lo sfondo di vischio eccetera. È venuto bene, eh?». A dir poco. Annuii. «Eccome. Dico davvero, Alannah, è eccezionale!». Arrossì e si strinse nelle spalle con aria modesta. «Grazie, ho paura di rovinarli con il colore, per questo ci sto mettendo un po’ a dipingerli. Sto superattenta». Rise piano. Sospirai. «Vado a prendere delle sedie, abbiamo meno possibilità di fare errori se coloriamo da sedute». Alzò il pollice in aria. «Bella idea, Sherlock». Sogghignai. «Quando vuoi, Watson». Scosse la testa e rise, mentre io andavo a staccare due sedie pieghevoli dai ganci sulla parete. Erano leggere, quindi non ebbi problemi a trasportarle. Una volta tornata da Alannah, vicino al nostro tavolo, aprii le sedie e nel frattempo alzai gli occhi su Micah e le sue amiche. Lei era seduta a gambe incrociate sul pavimento e ordinava alle altre cosa fare. Decoravano il grande albero di Natale che doveva andare in fondo alla stanza: era enorme, perciò non avrebbe potuto essere collocato altrove. Scossi la testa alla prepotenza di Micah. Indicava alle amiche dove dovevano posizionare le decorazioni invece di aiutare e appenderle con le sue mani. Mi girai di nuovo verso Alannah e ci mettemmo al lavoro sui nostri poster. Passarono cinque minuti, poi suonò la campanella della prima ora. Sobbalzai e quasi uscii dai margini con la vernice rossa; Alannah rise. «Cazzo», ansimai. «Merda», rise, chiocciando. «C’è mancato troppo poco». Quando si mise a ridere a quel modo persi la testa e scoppiai in risatine isteriche, al che lei mi puntò un dito contro e rise ancora più forte. Non ci eravamo ancora calmate quando un’ombra si proiettò sul nostro tavolo e, come per un sesto senso, seppi che lui era lì prima ancora di girarmi a controllare. «Che vuoi, stalker?», domandai, senza voltarmi, mentre Alannah guardò dietro di lei da sopra una spalla. Arrossì un po’ vedendo chi era e tornò alla sua parte di poster. Il rossore e il sorriso rivelarono che c’era anche Damien dietro di noi. Nelle ultime settimane avevo notato che in classe reagiva spesso così quando lui la guardava.
«Stalker? Se hai intenzione di affibbiarmi un soprannome, penso che dovrebbe essere Dita magiche. O Lingua. Non sono schizzinoso». Damien rise, Dominic grugnì per la gomitata che gli rifilai nelle costole. Mi abbracciò e mi baciò sulla guancia e sfregò il naso contro il mio collo, inspirando. Chiusi gli occhi e mi godetti le farfalle che mi svolazzavano nello stomaco. Rabbrividii al suo morsetto sul collo e gemetti piano. Gli spostai la testa con la mia. «Va’ a renderti utile. Tu e Damien potete sollevare le cose pesanti». Damien rise e disse: «Vuoi solo vedermi lavorare, pervertita». Scossi appena la testa e lo guardai, lì fermo e sorridente. Non avevamo parlato di nessuna delle cose che avevo scoperto la settimana prima, anche se lui sapeva che sapevo cosa aveva fatto, e non ce n’era bisogno. Non cambiava l’opinione che avevo di lui; era comunque un tesoro e stava diventando velocemente una delle mie persone preferite. «Oh, sì, sei così figo che ho bisogno di vedere quel corpo che ti ritrovi dedito a lavori pesanti». Damien ghignò, mentre Dominic mi mordeva di nuovo il collo. «Piantala di flirtare». Grugnii. «Se mi fai rovinare il disegno ti prendo a calci nel sedere». Dominic si raddrizzò, si sporse a vedere cosa stavo facendo e mi baciò sui capelli. «Bello, piccola». Indicai Alannah. «Ha disegnato lei tutti i poster, io sto solo colorando dentro i bordi». Damien si mise dietro Alannah, guardò la sua sezione e fischiò. «Cazzo, Lana, hai disegnato tutto tu?». “Lana?”. Lei divenne paonazza. «No, non tutto da sola. Il professor Wall ha fatto le lettere, il vischio e l’agrifoglio». Damien le fece un sorrisetto. «Quindi tu hai disegnato quegli animali fantastici e i personaggi?». Alannah si strinse nelle spalle, quindi le diedi una spintarella. «Piantala di fare la modesta». Mi rivolse una smorfia, poi lanciò un’occhiata a Damien che le stava ancora alle spalle osservando il suo lavoro. Pensai che fosse una specie di codice femminile, ma sinceramente non avevo idea di cosa significasse, per cui mi schiarii la voce. «Ragazzi, andate a dare una mano con l’albero. Qui abbiamo tutto sotto controllo». Li scacciai con un gesto. Dominic si accovacciò al mio fianco e mi diede una leggera testata. «Mi sei mancata ieri notte, di nuovo. Sto pensando di entrare di nascosto in camera tua per stare con te». Stava cercando di farmi sciogliere dall’emozione? Sorrisi e mi appoggiai a lui. «Probabilmente è meglio se non rimani da me, sto cominciando a perdere la battaglia in atto con me stessa, averti accanto mi farebbe cedere subito». I suoi occhi si incollarono ai miei. «Che battaglia?», sussurrò. Sorrisi e mi chinai a leccargli il labbro inferiore. «Una battaglia personale per non scoparti prima di essere stati insieme un altro po’». Gemette in modo udibile e mi afferrò il labbro con i denti, facendomi sibilare di dolore. Sorrise. «Così impari a controllare quella boccaccia quando siamo a scuola». Finsi di morderlo, strappandogli un sorrisetto. «Sparisci, su». «Se non ti conoscessi penserei che stai cercando di liberarti di me e Dame».
Sorrisi. «Potrei mai farlo?» «Sì», dissero in coro. «Sparite, su», ripetei con un gesto. Fecero come chiedevo, ridacchiando mentre se ne andavano. Osservai Alannah, che si guardava ogni tanto alle spalle, seguendo i due gemelli. «Che è successo?» «Ho quasi smesso di respirare! Hai visto quanto mi stava vicino?», sussurrò. Ridacchiai. «Sì, ti ha anche chiamata Lana. È il tuo soprannome preferito o cosa?». Fece spallucce. «Nessuno mi ha mai chiamata così a parte Damien. Ha iniziato dal nulla la settimana scorsa, in classe. Però mi piace, non ho mai avuto un soprannome». Sorrisi e misi da parte l’informazione. «Quindi se dicessi che ti piace…». «Avresti completamente ragione, ma per favore non dirlo né a lui né a Nico, faccio del mio meglio per non farlo notare». Si guardò intorno per essere sicura che non ci fosse nessuno a portata d’orecchio. Inarcai le sopracciglia. «Perché non gli dici la verità e basta?». Sospirò. «Lo sai che non si lega a nessuno. Da quando è qui è stato con più ragazze di quante ne voglia contare, e anche se mi piace davvero tanto non mi aggiungerò alla lista dei suoi “trofei”». Risi al sottinteso, ma annuii. «Capisco cosa intendi. Anche Dominic era una troia prima che ci mettessimo insieme. Se può cambiare lui, può farlo anche Damien. Dico solo che non devi perdere la speranza». Alannah sospirò e si rimise a dipingere. La imitai, ma continuavo a guardarla di tanto in tanto. «Che c’è?», mi chiese infine con un sospiro. Le sorrisi. «Non ho detto niente». «Perché mi guardi e sorridi a quel modo?». Mi strinsi nelle spalle e indicai quello che stavamo facendo. «Mi piace, in un certo senso». «Dipingere?» «Dipingere va bene, ma intendo parlare con te. È più gradevole di quanto mi aspettassi», ammisi. Alannah rise. «Non sono come tutti gli altri qui a scuola, Bronagh. Non ti giudico perché preferisci stare per i fatti tuoi. Se ti rende felice, allora per me va benissimo». «Mi sei sempre piaciuta per questo; mi hai sempre rispettata e non hai mai cercato di costringermi a parlare, fare amicizia o qualsiasi cosa che mi mettesse a disagio». Sorrisi, poi però aggrottai le sopracciglia e sospirai forte. «Però non ero felice da sola; stare con Dominic mi sta facendo capire che non vivevo davvero, esistevo e basta e non era nemmeno divertente. Stare con lui mi ha portato chilometri al di fuori della mia bolla di sicurezza e ogni giorno mi allontano un po’ di più. Cioè, per esempio sto seduta qui e parlo con te. Oh, e uno ancora più grosso: adesso Gavin Collins è mio amico, non è una follia?». Alannah sorrise. «No, solo una fortuna sfacciata perché Gavin è uno schianto!». Risi. «Vero, posso cercare di organizzarti qualcosa…». «Oh, Gesù, no!». L’interruzione mi fece ridere. Mi sorrise. «Apprezzo l’offerta d’aiuto, ma dal momento che non posso avere chi voglio come voglio, starò alla larga dai ragazzi e mi concentrerò sulla preparazione al diploma. In fondo mancano solo sei mesi». Mugugnai.
«Perché me l’hai detto?», piagnucolai. Alannah alzò gli occhi al cielo. «Oh, zitta! Probabilmente sei la più preparata di tutte le quinte per gli esami!». Il mio labbro si contrasse. «Ok, probabilmente sono un po’ più preparata, perché prima che comparisse Dominic non facevo altro che studiare e ripassare, letteralmente, ma ho notato che da quando è nella mia vita sono settimane che non apro un libro! Avere un fidanzato durante quest’anno scolastico mi ucciderà». Alannah spostò lo sguardo oltre la mia spalla, un po’ sulla destra, e si mordicchiò il labbro. «Perché ti distrae?», chiese, guardando sempre in quella direzione. Annuì. «Sì, eccome». Sbuffò divertita. «Non sei l’unica». Aggrottai la fronte, poi mi girai per vedere cosa stesse guardando. Sbuffai dal naso come una locomotiva e incrociai le braccia al petto con rabbia: il mio ragazzo e suo fratello avevano puntati addosso gli occhi di venti o più studentesse… e di uno o due maschi! Dominic, Damien e un gruppetto di ragazzi delle quinte stavano aiutando ad appendere sulle pareti i poster completati. Salivano sulle scale o sulle spalle gli uni degli altri per sistemarli al posto giusto. Loro due non usavano la scala: Damien era in piedi sulle spalle del gemello e si allungava a fissare i poster al muro. Quando alzava le braccia si vedevano i muscoli della schiena contrarsi a ogni movimento. I bicipiti di Dominic erano praticamente sul punto di strappare la camicia dell’uniforme già stretta, perché li teneva tesissimi e flessi, puntellandosi al muro per sorreggere Damien. Non capivo perché si fossero tolti i maglioni, tanto per cominciare, ma non mi importava. Mi importava delle teste piegate che fissavano senza pudore il corpo del mio uomo! «Le prenderei tutte a schiaffi», brontolai. Alannah rise. «Sono gelosa di quelle troie che si mangiano Damien con gli occhi e non è nemmeno mio, quindi posso solo immaginare come ti senti per il tuo fidanzato. Immagino sia lo svantaggio di uscire con un figo». Sospirai. «Non ne hai idea». Ridacchiò. «Vado a prendere la vernice marrone. Mischio qualche colore nella classe d’arte e torno, ci metto un attimo». Annuii e non le prestai attenzione mentre prendeva un po’ di roba e si dirigeva all’uscita. Ero troppo occupata a guardare le ragazze che fissavano Dominic, ma lo schianto nel corridoio mi riscosse… e anche le grida. Nessun altro nella stanza sembrò udirle, soffocate dalle voci e dalla musica, ma io sì. Il fatto che Alannah fosse appena uscita mi preoccupava, quindi senza pensarci mi alzai e andai in corridoio. Una volta fuori, rimasi più che sconvolta alla vista di Micah che torreggiava su Alannah e le spremeva il poco colore rimasto nelle sue bottiglie di vernice sui capelli, sul viso e sull’uniforme. «Ecco, stronza, io pagherò per portare a lavare l’uniforme e tu farai lo stesso per la tua. La prossima volta guarda dove vai, invece che per terra!», sbraitò Micah. Ero disgustata, ma, quando Alannah tirò su col naso e si sfregò il volto cercando di ricacciare indietro le lacrime, diventai furibonda. «Chi cazzo ti credi di essere?», sbottai, mi lanciai in avanti e spinsi Micah sulla schiena, facendole cadere tutte e due per terra.
Mi chinai in fretta e aiutai Alannah ad alzarsi. Piangeva e aveva vernice ovunque. I capelli erano in disordine, come se glieli avessero tirati, e capii subito chi ne era la causa. Mi girai verso Micah, che si stava alzando e spolverando i vestiti. «Fatti gli affari tuoi, non ti riguarda!», mi urlò. La guardai torva e non mi mossi di un millimetro. «Sono affari miei se fai male alla mia amica». «La tua amica? Da quando tu hai degli amici?». Era ironica. Stavo per rispondere, quando sentii una mano sulla spalla. «Da adesso», disse la voce di Alannah. Mi girai e sorrisi alla sua faccia macchiata di lacrime e vernice. «Non è commovente, una solitaria e un topo di biblioteca diventano amiche? Scusate, mi viene da vomitare». Scossi la testa mentre Micah ci passava accanto. «Lasciaci in pace, Micah. Noi non diamo fastidio a te e tu non dai fastidio a noi, da adesso. Ci stai?», le dissi quando spinse la porta per la sala grande. Mi guardò a lungo, poi annuì. «Statemi lontano e non avremo problemi». Non sapevo perché, ma in quel momento seppi che non mi avrebbe dato più fastidio, e non perché Dominic l’aveva avvertita di non farlo, ma perché le avevo tenuto testa. Non sapeva come reagire. Era una sensazione fantastica; non solo lei mi sarebbe stata alla larga, ma Destiny non mi aveva nemmeno guardata dopo lo scontro nel salone. Entrambe mi avevano causato problemi nelle ultime settimane e potevo respirare più liberamente adesso che sapevo che quei guai non si sarebbero più ripresentati. Persino quella testa di cazzo di Jason non borbottava un insulto nella mia direzione da secoli. Certo, mi lanciava occhiatacce e probabilmente nella sua mente mi rivolgeva ogni genere di orrori, ma non li esprimeva più a voce e non mi tormentava: ero in paradiso. Sapevo che il suo starmi lontano dipendeva solo da Dominic, ma non mi importava; girava al largo e io ero contenta. Quando Micah rientrò nel salone, il suono della porta che si chiudeva risvegliò la mia attenzione. Mi girai verso Alannah e sospirai. «Che stronza, ha sparso vernice dappertutto». A quel punto Alannah mi sorprese con un abbraccio, la guancia premuta contro la mia. «Grazie». All’improvviso mi sentii investita da un’ondata enorme di emozione, quindi ricambiai l’abbraccio. Era come se l’ultimo strato del muro di mattoni che avevo costruito attorno al cuore tanto tempo prima fosse appena crollato ed era bello, davvero bello. «Nessun problema, a questo servono gli amici! Guardarsi le spalle a vicenda». Alannah si scostò e sorrise. «Giusto». Dopo avermi osservata ben bene, scoppiò a ridere. «Ti ho sparso addosso un po’ di colore». Abbassai gli occhi sull’uniforme e risi a mia volta: era più che un po’. Mi toccai la guancia e poi guardai le dita ora azzurre. Risi, osservando me e Alannah. «Siamo bellissime». «Delle sventole, altroché», rispose sarcastica, poi si chinò a raccogliere le sue cose. L’aiutai, poi la seguii nell’aula di educazione artistica per riempire le bottiglie di vernice e mischiare i nuovi colori che ci servivano per i poster rimasti. Mentre lei era occupata, mi guardavo intorno e leggevo le etichette di alcune delle bottiglie nuove. «Dice che sono completamente sicuri sui vestiti e si lavano via dai tessuti con facilità». Guardai Alannah. Annuì. «Lo so, ho cercato di dirlo a Micah, ma non mi è stata a sentire. Mi ha spinta a terra e mi ha
tirato i capelli». «Che troia», grugnii; la feci ridere. Mi unii a lei, poi l’aiutai a riportare nel salone la vernice e qualche pennello e tavolozza pulita. «Ragazze, che è successo?», gridò la McKesson al nostro arrivo. L’attenzione di tutti si concentrò su di noi. Alannah mi guardò, nel panico, quindi assunsi un’espressione scherzosa e dissi: «Le cose ci sono un po’ sfuggite di mano nell’aula di arte, mentre mescolavamo i colori, ma non si preoccupi, nessun danno. Be’, niente di irreparabile». La professoressa scosse la testa e ci fece cenno di andare, ridacchiando. Io e Alannah sospirammo di sollievo e tornammo alla nostra postazione, con i poster da completare. Stavamo sistemando tutto quando sentii una presenza alle mie spalle, seguita da un’ombra proiettata sul mio tavolo. «C’è un motivo per cui Micah è coperta di vernice e sembra arrabbiata?». La voce di Dominic. Mi girai e sorrisi radiosa. «Non so di che parli, fidanzato». Ghignò e percorse con gli occhi il mio viso e l’uniforme. Guardò anche Alannah, la quale cercava disperatamente di fare l’indifferente, come se Damien non fosse proprio davanti a lei a chiederle perché le si stesse gonfiando un occhio. L’afferrai per mano, l’attirai vicino a me e bisbigliai: «Hai detto che ti ha solo tirato i capelli! Ti ha anche dato un pugno in faccia?» «Uno solo, ma non fa niente», rispose sottovoce. «Sentiamo tutto, sapete?». La voce di Damien interruppe i nostri bisbigli. Guardai lui, poi Dominic, che aveva l’aria di aspettarsi una spiegazione. Assunsi un’aria truce. «Non guardarmi a quel modo. Micah la picchiava per uno stupido incidente, non me ne sto lì senza alzare un dito per un’amica che ha bisogno di me!». Lui si limitò a farmi un gran sorriso. «Amica?». Sentii che arrossivo. «Sì, siamo amiche, non c’è mica da sconvolgersi tanto!». Rise, mi afferrò e mi strinse a sé. «Ti sporco di vernice». Sussultai. «Colori della scuola, lavabili», rispose. «Se solo Micah seguisse questa logica», mugugnò Alannah; risi. Con la coda dell’occhio, osservai come ignorasse apertamente i tentativi di Damien di flirtare per attrarre la sua attenzione. La confusione che aveva in faccia, gli occhi accigliati sulla nuca di lei, mi strapparono un sorrisetto. Quel poveraccio non capiva che non l’avrebbe avuta per la sporca sveltina che voleva. «Finisco di dare una mano ad appendere i poster», disse rivolto al retro della testa di Alannah. «Ciao», cinguettò lei e cominciò a canticchiare piano la canzone diffusa dagli altoparlanti. Damien grugnì e si voltò per andarsene. No, più che altro filò via irritatissimo. «Cos’è che gli rode?», mormorò Dominic guardando il gemello allontanarsi. Lo tirai per la camicia e una volta avuta la sua attenzione indicai Alannah con gli occhi. «Vuole qualcuno che non può avere», bisbigliai. Dominic guardò lei, poi il fratello, che si era già rimesso a flirtare con le ragazze all’altro capo del salone, probabilmente per consolarsi dell’essere stato ignorato. Quando guardò di nuovo me, sorrise apertamente. «Tu ti fai un’amica e ti scontri con Micah.
Damien viene rifiutato da una ragazza e io non ho avuto nemmeno una rissa questa settimana. Che cazzo sta succedendo?». Feci una risatina e l’abbracciai stretto. «Le cose stanno cambiando in meglio», dissi io, guardando la mia nuova amica, poi Damien, che la fissava con aria determinata. «Decisamente in meglio».
Capitolo ventidue
«Bronagh?», mi chiamò Dominic dal piano inferiore. Sbirciai da sotto le coperte. «Che c’è?», gridai. «Vieni qui!», urlò ancora più forte. Gemetti, spinsi via le coperte e mi alzai dal letto. Infilai le mie pantofole pelose e come uno zombie uscii dalla camera, percorsi il corridoio e scesi le scale. Non c’era nessuno in soggiorno, quindi andai in cucina e mi paralizzai alla vista di tutti i fratelli Slater seduti al tavolo. Facevano sembrare quella stanza minuscola. «È morto qualcuno?». Avevo un tono cauto. Ryder mi guardò in modo strano. «No, perché?». Mi strinsi nelle spalle. «L’ultima volta che c’è stata tanta gente seduta nella mia cucina era per dirmi che mamma e papà erano andati in paradiso e non sarebbero tornati a casa. Ero piccola, ma sapevo lo stesso che significava che erano morti». Ryder sbatté le palpebre, mentre gli altri mi fissavano con diverse espressioni. «Poi ovviamente la polizia cercò di portarmi via e darmi in affido, il che si tradusse in Branna che rischiava l’arresto per avere aggredito un ufficiale». Sogghignai, facendo sbuffare e ridere anche loro. «Come mai non l’hanno denunciata?», mi chiese Damien, mentre io andavo in cerca di cibo in frigorifero. «Stabilirono che era sconvolta per la morte dei nostri genitori e cercare di portarmi via da lei significava cercarsi un pugno in faccia, esattamente quello che successe». Mi raddrizzai con gli ingredienti per un panino tra le mani e feci un sorrisetto a Ryder. «Prima che mamma e papà morissero faceva kick boxing, ricordatelo quando la fai arrabbiare». Rise e si strofinò la mascella. «Quest’informazione mi avrebbe fatto comodo qualche mese fa». Sorrisi. «Ha un destro micidiale, eh?». Lui mise il broncio e annuì; i fratelli risero. Anch’io, poi cominciai a prepararmi il panino. «Come mai tutti qui stasera? Avete una nottata libera dalle attività criminali o cosa?», domandai. Mi rispose un completo e totale silenzio. Guardando da sopra la spalla quegli occhi sgranati che mi fissavano, sorrisi. «Conosco un tizio viscido in un condominio in fondo alla strada, il signor Doyle, che fissa troppo, se avete bisogno di soddisfare un’urgenza delittuosa. Farò anche finta di non vedere, niente spiate». Alec fu il primo a sorridermi. «Cazzo, fai l’attrice di mestiere vero?». Sbuffai, divertita. «Certo, solo perché ho insinuato che potresti prendere a calci il culo di qualcuno invece che scopartelo, Mr Escort». Non riuscii a sentire la sua replica, perché gli altri si misero a ridere a crepapelle e a battere le mani sul tavolo. Pronto il panino, lo presi e addentai prima di girarmi, appoggiata al bancone, per guardare il
gruppetto ancora ridacchiante. Dominic mi sorrideva raggiante, il che attrasse la mia attenzione. «Che c’è?», domandai, inquieta. «Oh, guardate che faccia, ha paura che il fratellino le faccia il culo rosso», mi prese in giro Kane. Gli rivolsi un’occhiata ironica. «Il giorno che mi prenderà a sculacciate i maiali voleranno». Tra esclamazioni di sorpresa tutti aizzarono Dominic dicendo che lo stavo sfidando, al che lui si alzò scuotendo braccia e gambe, e io subito misi giù il panino per avere le mani libere. «Vuoi farti sotto, spilungone? Avanti». Alzai i pugni, facendoli di nuovo ridere tutti. Dominic ricadde sulla sedia, con Damien che si piegava in due su di lui dal gran ridere. Tornai al mio spuntino, ma proprio quando stavo per riprenderlo sentii il rumore di una sedia che strusciava contro il pavimento e poi il dolore che mi invadeva il fondoschiena. «Ahia, dal suono è stato uno sculaccione niente male». Ryder rise. «Oh, è un maiale quello che vedo attraversare il cielo notturno?», sghignazzò Alec. Li ignorai entrambi e mi slanciai su Dominic, in piedi dietro di me e già pronto ad acchiapparmi. Quello stronzo era velocissimo; parava ogni mio tentativo di colpirlo. Persino i calci fallirono miseramente. Le risate degli altri e la sua faccia compiaciuta mi ridussero alle lacrime. Finte, ovviamente. Mi coprii il volto con le mani e piansi, girandomi di spalle. Ci vollero solo tre o quattro secondi perché piombasse il silenzio e Dominic, che mi teneva, si irrigidisse. «Merda, piccola, mi dispiace non volevo… Ahi!», esclamò alla mia gomitata in pieno stomaco. Annaspava in cerca d’aria, piegato in due nel tentativo di alleviare il dolore, ma io lo aumentai colpendolo proprio là in basso. Non forte, in nessun senso, ma cadde comunque in ginocchio e gemette come se stesse per morire. Tutti i fratelli mugugnarono e si afferrarono tra le gambe come se partecipassero alla sua sofferenza. Alzai gli occhi al cielo e mi scostai da Dominic. Presi il panino e lo finii. «Sei una donna malvagia», disse Alec, sussultando alla vista del fratello minore per terra. Gli sorrisi e lo vidi rabbrividire come se avesse la pelle d’oca. «Penso di essermi innamorato di te». Il tono di Damien esprimeva timore reverenziale. Sbuffai. «Ti amo anch’io, Dame». Sgranai un po’ gli occhi, perché, anche se l’avevo detto per gioco, era vero. Amavo lui e i suoi fratelli come se fossero miei fratelli. Quella consapevolezza mi accelerò i battiti e mi riempì di un senso di felicità che mi piaceva davvero tanto. Era bellissimo che l’affetto per altre persone mi facesse sentire così completa. Non sapevo perché mi fossi tenuta alla larga da quei sentimenti per tanti anni. Damien mi fece l’occhiolino, Dominic si alzò con cautela e si avvicinò, sussultando nell’abbracciarmi. «Fa male», gemette tra i miei capelli. Alzai gli occhi al cielo e lo abbracciai alla vita e gli accarezzai la schiena. «Così impari a non sculacciarmi mai più, giusto?» «Sì», rispose all’unisono con i fratelli. Feci capolino da dietro Dominic per guardarli con aria interrogativa. «Perché rispondete tutti?». Ryder si strinse nelle spalle. «Abbiamo appena imparato tutti quanti che non dobbiamo colpirti sul culo nemmeno per gioco, perché le ripercussioni sarebbero letali». Ridacchiai e mi nascosi di nuovo dietro Dominic, che ancora teneva la testa piegata e premuta sui miei capelli. Gli diedi qualche spintarella fino a fargliela voltare abbastanza da poterlo baciare su
una guancia, poi mi allungai verso il suo orecchio e sussurrai: «Più tardi bacio la bua e passa tutto». Dominic mi strinse più forte, ringhiando. Risi. Cercò di baciarmi, ma schivai i suoi tentativi. «Che ci fate tutti qui? Dov’è mia sorella?», domandai ad alta voce quando rinunciò a baciarmi e affondò la faccia tra i miei capelli. «È andata a prendere Alannah», rispose Ryder. Alannah? «La mia Alannah?». Dominic ridacchiò e fece scivolare le mani sul mio fondoschiena, mettendosi a strofinarlo per cancellare il bruciore dello schiaffo e guadagnandosi un morso sulla spalla che trovò divertente. «Sì, la tua Alannah», rispose Damien. «Perché? Sono le undici e mezza di sera!». «Andiamo al Darkness», mormorò Dominic sulla mia testa. Mi scostai fino a incrociare il suo sguardo. «È mercoledì, non venerdì». Mi rivolse un sorrisetto. «E quindi?». Grugnii. «Non combatti solo il venerdì?». Si strinse nelle spalle. «Combatto tutte le volte che Marco mi chiama e mi dice di farlo». Feci una faccia scontenta. «Mi dispiace tanto. Non ti avrei fatto male se l’avessi saputo». «Tranquilla, sto bene. Non ho sentito quasi niente». «Allora facevi solo scena, gemente di dolore per terra?», domandò Damien. Dominic guardò il gemello e annuì. «Già». Scossero tutti la testa a quella palese bugia, io invece mi guardai il pigiama e spinsi da parte Dominic. «Devo vestirmi!», urlai e corsi su in camera mia, seguita dalla sua risata. Presi nell’armadio il vestito blu Savoia che Branna mi aveva comprato la settimana prima, le solite scarpe nere col tacco alto e la pochettina coordinata. Era inutile, sempre vuota visto che tenevo il cellulare in mano, ma Branna voleva che la portassi lo stesso. Il corpetto del vestito era attillato mentre la parte inferiore era ampia e a metà coscia ondeggiava in modo carino. La cosa che più mi piaceva, a parte il colore, era la scollatura sulla schiena; era meraviglioso. Tolsi il pigiama, cambiai la biancheria intima, poi mi pietrificai al suono della porta che si apriva scricchiolando. «Oh, cazzo, sì», borbottò la voce di Dominic. La porta scattò, chiudendosi. Mi girai a fissarlo, nuda a parte le mutande. Dominic mi fissò il seno, poi i fianchi e le gambe e di nuovo un altro giro. Mi costrinsi a non coprirmi le tette o la pancia, perché lo sguardo che aveva in quel momento mi faceva sentire bellissima. Gli sorrisi. «Non farti venire strane idee, devo vestirmi». Avanzò di un passo e io arretrai altrettanto. Fece un sorrisetto, avanzò ancora e io arretrai ancora. «Dominic, no!», strillai ridendo quando mi volò addosso e mi sollevò tra le braccia. Strillai di nuovo quando saltò con me in braccio sul letto. Brontolai e cercai di spingerlo via, ma lui mi afferrò le mani e me le bloccò in alto con la destra, mentre la sinistra percorreva in tutta libertà il mio corpo. Sentii i capezzoli indurirsi e mi dava fastidio, quindi cercai di strofinarmi contro il petto di Dominic, nella speranza che la sua maglietta lo alleviasse. Lui ridacchiò e si spostò abbastanza da essere fuori della mia portata. Gemetti e lo guardai implorante, al che lui sorrise, abbassò la testa e mi prese il capezzolo sinistro in bocca.
«Cazzo!», sibilai mentre la sua lingua calda e bagnata si muoveva, invadendomi con una sensazione di estasi. Quando cambiò seno e mostrò la stessa cura e attenzione al destro, inarcai la schiena. Ansimavo e cercavo di stringere le gambe, ma gemetti perché il corpo di Dominic sdraiato lì in mezzo me lo impediva. Cercai di liberare le mani, forse premendo le dita sul clitoride avrebbe smesso di pulsare. Dominic mi lasciò la sinistra e senza pensarci me la infilai nelle mutande e cominciai a sfregarmi; stavo meglio. «Porca puttana», esalò Dominic, si sedette sui talloni e mi guardò masturbarmi. Stavo troppo bene per sentirmi in imbarazzo o smettere. Anzi, mi eccitava ancora di più lo sguardo di lui incollato alla mano che avevo tra le gambe. «Sei bellissima». Dominic ringhiò, mordendosi il labbro inferiore. Gemetti, volevo sentire la sua bocca sulla mia. «Baciami», ansimai. Dominic gattonò al mio fianco, si puntellò su un gomito e si chinò a baciarmi. Mi toccava solo con le labbra e mi faceva impazzire. «Oh, ti prego», mugolai nella sua bocca. Si fece un po’ indietro, guardò il mio polso ruotare e sorrise. «Non vuoi venire?». Scossi la testa. «Tu. Per favore». Sorrise. «Vuoi che…». «Fammi venire», esclamai. Ringhiando, Dominic mi tolse la mano dalle mutande e la sostituì con la sua. Infilò le dita dentro di me per bagnarle, poi si spostò svelto sul clitoride e lo strofinò ancora più velocemente di quanto stessi facendo io prima. Sentii che perdevo la testa e allargai ancora di più le gambe. «Sì! Sì!», gridai, per essere subito zittita dalla sua bocca. Quando successe mi inarcai verso la mano di Dominic. Una sensazione incandescente, bruciante si sparse sul mio nucleo; gli occhi mi si ribaltarono e smisi di respirare. Il mio corpo sobbalzò e si contorse nella presa di Dominic finché l’ondata di piacere che l’aveva colpito non fu passata. «Oh, mio Dio», sussurrai appena ci riuscii. Dominic mi sfiorò il naso con il suo e mi baciò piano sulle labbra. «Adoro farti venire e guardarti mentre lo fai, è la cosa più bella che abbia mai visto. Cazzo, sei perfetta». Premette la fronte sulla mia e sorrise. «Sei tutto per me, bellezza». Sollevai le braccia, gliele misi al collo e lo guardai dritto negli occhi. Sospirai, rilassata, e sorrisi nel dire: «Ti amo». Una volta pronunciate quelle parole fui in ansia per un attimo, perché secondo il pensiero comune non eravamo stati insieme abbastanza a lungo da provare sentimenti come l’amore. Però, non potevo farci niente. Era un dato di fatto, sapevo con tutta me stessa di amarlo. Mi aveva colpito in pieno e avevo deciso che non volevo stare mai più senza di lui. Era quello giusto, e la soggezione che gli lessi in faccia mi toccò il cuore al punto che avevo bisogno di stare con lui completamente, in ogni senso possibile. Avrei dovuto essere terrorizzata per quanto mi era successo, invece no. Provare quei sentimenti per qualcuno era meraviglioso. «Bronagh, io…». «Fa’ l’amore con me», sussurrai. Spalancò gli occhi e mi guardò bene prima di dire: «Sei sicura di volerlo?». Annuii e sorrisi. «Lo voglio più di quanto tu possa immaginare, ho bisogno che succeda».
Mi guardò per un altro secondo, poi mi baciò. Continuò per qualche minuto, poi si alzò dal letto e iniziò a togliersi la maglia. Io però mi raddrizzai svelta e lo fermai, volevo spogliarlo e toccarlo. «Faccio io», bisbigliai. Non sorrise, tolse le mani dall’orlo della maglietta e mi guardò con tale intensità da farmi tremare. Lo spogliai piano piano. Quando fu a torso nudo, passai le mani sulle sue braccia ammirando l’inchiostro sulla pelle, poi giù per il petto e gli addominali. «Li adoro», sussurrai. Sentii le sue mani scivolarmi sulle cosce e sul fondoschiena e dopo avermi strizzato forte le natiche Dominic ringhiò: «Io adoro questo». Sorrisi e abbassai le mani sulla fibbia della cintura. Mi accelerò il respiro quando gli sbottonai i jeans e tirai giù la zip. Lui se li calò e li sfilò. Non accennai a togliergli i boxer, quindi mi prese lui le mani e le guidò ad abbassarli insieme. «Sei duro», dissi, la voce un po’ rauca. Dominic inclinò la testa e mi sfregò la faccia contro il collo, poi disse: «Sempre, quando sono con te, quando ti vedo… quando ti penso». Cominciò a battermi più forte il cuore. «Amore», sussurrai. Si piegò sui jeans, prese il portafoglio e tirò fuori un preservativo dalla taschina di dietro; il mio respiro accelerò. «Sdraiati per me, bellezza». Feci come chiedeva. Dominic non lasciò un attimo i miei occhi, prese l’elastico delle mie mutandine e le abbassò, facendole scivolare fino alle caviglie e per terra. Allora abbassò lo sguardo e mi allargò le gambe. Gemette, si chinò e stampò un bacio sull’interno di ogni coscia, poi portò la bocca al centro e saettò la lingua sul clitoride. Gemetti e gli afferrai i capelli con la mano destra. Il giorno prima ero andata in ospedale e avevano detto che stavo bene. Era guarita. «Dominic», mugugnai. «Ho bisogno di averti dentro di me. Subito!». Mi zittì piano. «Ho bisogno che tu sia pronta prima di prendere il mio uccello, bellezza. Fa parecchio male e voglio limitare la cosa se ci riesco». Poi mi succhiò il clitoride e io quasi caddi dal letto. Mi penetrò con un dito e andò avanti e indietro, lentamente. Sobbalzai quando curvò le dita dentro di me come un uncino e sfregò qualcosa, facendomi urlare dietro le mani subito alzate a coprire la bocca. Allora andai nel panico, perché qualunque cosa stesse facendo mi sentivo in paradiso ma anche sul punto di fare pipì, perciò quando pensai di esserci vicinissima gli dissi di smettere, invece lui mi diede un morsetto al clitoride e il dolore si mescolò al piacere spedendomi in un cazzo di gorgo di luce. Mi accorsi a malapena che si stava muovendo su di me, finché non entrò piano piano e sentii il dolore e la pressione attraverso l’orgasmo. «Ahi», esclamai, ma sollevai il bacino perché stavo ancora cavalcando l’orgasmo mentre lui spingeva. «Ssh», bisbigliò e mi baciò su tutta la faccia. Una volta penetrato e sepolto fino alla base, rimase fermo, senza muoversi. L’unica parte di lui in movimento era la bocca sul mio viso. Mi sciolsi quando baciò le lacrime minuscole che si raccoglievano all’angolo dei miei occhi e lo abbracciai e gli artigliai le spalle strappandogli un ringhio. Spinsi la sua faccia con la mia fino a farlo scostare per guardarmi. «Puoi muoverti», dissi
sottovoce. Con molta cautela si tirò in fuori e poi affondò di nuovo. Gemetti e lanciai la testa all’indietro cercando di decifrare quel che stava provando il mio corpo. Mi sentivo tranquilla e rilassata, ma anche un po’ a disagio. Non avrei mentito dicendo che fare sesso con Dominic per la prima volta era grandioso dal punto di vista delle sensazioni fisiche, perché non lo era. Percepivo la forzatura nel suo muoversi avanti e indietro. Pressione e un leggero dolore come di pizzicotti. Avrei detto che, nonostante fosse sgradevole, era la cosa più bella che avessi mai sperimentato. Avevo il cuore gonfio della consapevolezza che stavo dando qualcosa di prezioso per me a qualcuno con cui volevo passare il resto della mia vita. Quello era l’attimo di cui leggevo nei libri e che avevo visto nei film. Sapevo che ero davvero innamorata di lui e non avrei potuto esserne più felice. Sollevai la testa per baciarlo, ma mi teneva schiacciata contro il materasso, affondando dentro di me. Il sudore gli imperlava la fronte e lo sentivo ricoprirgli la schiena. Grugniva e tremava muovendosi. «Stai bene?», mi bisbigliò quando i nostri occhi si incontrarono. Annuii. «Alla perfezione, questa è perfezione». Sobbalzai un po’ quando cambiò inclinazione e il suo uccello affondando toccò il punto che pochi secondi prima avevano trovato le sue dita. La sensazione mutò all’improvviso da dolore pungente e pressione a pura estasi da arricciare le dita dei piedi. «Oh, cos’è?», mugolai. «Quello», disse Dominic quando affondò in avanti e mi vide tremare di piacere, «è il tuo punto G, piccola». “Cazzo”. «È bellissimo!», ansimai, poi gemetti quando lui colpì di nuovo quella zona. «Tu sei bellissima, piccola, ho la tua figa avvolta attorno all’uccello come una morsa», brontolò e si chinò e mi prese in bocca il capezzolo sinistro. Sobbalzai. «Sì! Sì!». Mollò la presa con uno schiocco e spostò la bocca sulla mia. «Ti piace? Ti piace come scopo quella graziosa fighetta?». Annuii frenetica, le parole sconce mi eccitavano. Affondò con forza e ringhiò: «Dimmelo». «Sì», gridai. «Lo adoro, non fermarti». Risucchiò in bocca il mio labbro inferiore. «’Fanculo se lo farò, bellezza». Iniziò ad ansimare e anche se ero stanca costrinsi il mio corpo a muoversi a tempo con gli affondi di Dominic per andargli incontro. «Posso trombarti più forte?», mi chiese all’improvviso, anche se aveva la voce spezzata. Quello non era forte? «Sì», bisbigliai. All’affondo successivo, un sonoro schiocco riempì la stanza. Quando il suo corpo entrò in contatto con il mio, le vibrazioni che mi trasmise mi fecero contorcere. «Oh, Dio. Sì!», ringhiai e lo graffiai sulla schiena, ottenendo solo che sibilasse e colpisse con forza maggiore. «Ti amo, Bronagh», ringhiò e pompò più forte, il ritmo accelerato adesso andava a tempo con il
mio cuore martellante. «Cazzo». Affondo. «Ti». Affondo. «Amo». Affondo. Avvolsi le gambe attorno ai suoi fianchi e urlai: «Ti amo anch’io». Sei affondi dopo Dominic venne. Aveva la testa buttata all’indietro, gli occhi chiusi e il corpo percorso da piccoli sussulti e spasmi. Dopo circa un minuto si ritrasse con precauzione e proprio mentre stavo per sedermi e abbracciarlo, mi spinse di nuovo giù e piombò con la bocca tra le mie gambe. Mi si mozzò il respiro. «Che diavolo fai?» «Non sei venuta», replicò e venerò il mio clitoride con la bocca, ma si tenne alla larga dalla mia fessura, dopo che avevo sibilato, sentendola irritata, al suo infilarci un dito dentro. «Sono venuta… due volte». Boccheggiai perché la pressione della sua lingua mi stava mettendo di nuovo in tensione. «Tu vieni per prima e per ultima, sempre!». Dominic allungò le mani e le chiuse sul mio seno. Ruotò i capezzoli tra le dita e succhiò un po’ più forte il clitoride. Avevo il cuore a mille e la sensazione che il mio corpo fosse sul punto di esplodere. Dominic scelse quell’istante per pizzicarmi i capezzoli e mordermi il clitoride, al che non solo raggiunsi il limite, ma cazzo, piombai dritta di sotto. Dovevo avere urlato e detto: «Oh, mio Dio» un centinaio di volte, più o meno, ma quando aprii gli occhi e vidi Dominic che mi guardava sorrisi e dimenticai qualsiasi cosa che non fosse lui. «Ti amo», disse e mi baciò. Ricambiai il bacio, ma quasi da schifo perché ero esausta. Dominic ridacchiò nella mia bocca, allungò una mano sul clitoride ormai ipersensibile e lo pizzicò, al che io balzai su dal letto e barcollai finché lui non si precipitò a reggermi, ridendo. Mi accasciai tra le sue braccia e sbadigliai. «Sono stanchissima, possiamo dormire?». Mi baciò sui capelli. «Vorrei poterti tenere nuda in questo letto per giorni, piccola, ma ho un incontro fra un’ora». Gemetti, lui rise, poi sbadigliò a sua volta. Lo guardai, alzai una mano e gli premetti le dita contro la bocca; balzò indietro e io risi. «Stupro di sbadiglio», sghignazzai. Dominic ringhiò. «Questa era cattiva!». Sorrisi zuccherosa. «Però mi ami lo stesso, vero?». Mi si avvicinò di nuovo, mi scostò i capelli dagli occhi e mi baciò sulla punta del naso. «Sì, ti amo lo stesso». Sorrisi radiosa. «Bene, perché un po’ ti amo anch’io». Dominic chiuse gli occhi e appoggiò la fronte alla mia. Mi guardò di nuovo e fece un sorrisetto quando gli diedi un pizzicotto sul sedere dicendogli di vestirsi. Lo guardai togliersi il preservativo usato, farci un nodo e buttarlo nel cestino. Fui costretta a dirgli di nuovo di vestirsi e stavolta mi diede retta, guardandomi mentre facevo lo stesso. Mi aiutò a indossare il mio vestito e poi cercò di convincermi a toglierlo. «Voglio scoparti di nuovo». «Non ti avvicinerai finché la mia vagina non smetterà di pulsare, quindi sta’ indietro!». Risi e andai in bagno. Una volta ripulita tornai nella stanza e lo guardai. «Perdo un po’ di sangue». Dominic si accigliò. «Ti ho fatto male». Alzai gli occhi al cielo. «Hai preso la mia verginità, ecco tutto».
Dirlo ad alta voce era surreale. Mi lanciò un’occhiata. «Uno dei molti doni preziosi che mi hai fatto». Inarcai le sopracciglia. «Uno dei molti?». Annuì. «Già, uno è la tua verginità. Un altro è il tuo amore. I tuoi voti futuri saranno un grande regalo ma il migliore di tutti sarà un figlio». “Cosa?”. Lo fissai. «Vuoi sposarmi e avere dei figli da me?» «Voglio tutto con te. Tu sei tutto per me». Allungò una mano verso di me quando vide che mi tremava il labbro. «Non piangere». Rise piano. Lo strinsi forte. «Ti amo davvero». Era così, era proprio così. «Anch’io ti amo, bellezza», disse, poi si alzò e mi portò con sé. «Ora finisci di vestirti. Voglio arrivare presto al club così posso fare un po’ di riscaldamento». Mi accigliai. «Una volta hai detto che non va bene il sesso prima di un incontro. Forse dovresti chiamare Marco e dirgli che stasera non puoi». Sbuffò, ironico. «E dirgli cosa? Non posso combattere perché ho fatto del sesso da sballo con la mia ragazza? Già, gli piacerebbe da morire». Da sballo erano le parole perfette per descrivere quell’esperienza. «Dico solo che…». «Puoi lasciar perdere, per favore?», mi interruppe con un grugnito. «Non infastidirmi parlando di Marco dopo che mi hai reso così felice». Lo guardai e dissi: «Piantala di ribattere, se avessi voglia della tua bocca mi siederei sulla tua faccia». Soffocò, guardandomi con gli occhi spalancati; risi. Si riscosse dallo shock e stava per dire qualcosa di sconcio, ne ero certa, perciò lo fermai alzando una mano. «Non voglio che tu ti faccia male, tutto qui». Mi sorrise e mi abbracciò. «Non preoccuparti, starò bene. Non ho mai perso un incontro e non comincerò la notte più bella della mia vita. Ho tutto sotto controllo, piccola». Speravo che avesse ragione.
Capitolo ventitré
«Sto solo dicendo che il fratellino possiede capacità che ovviamente ha preso da me. Ho perso il conto delle volte in cui la sua ragazza ha invocato Dio. Aveva pieno controllo di quella fi…». «Finisci quella frase, puttanella, e ti disintegro!», ringhiai verso Alec, che non aveva smesso di prendermi in giro sin da quando ero uscita con Dominic dalla mia camera per andare al Darkness. Sembrava che tutti avessero sentito la nostra prima volta insieme e questo mi mortificava. Naturalmente, i fratelli gli avevano battuto il cinque, cazzo. Arrivate Branna e Alannah, dissi loro perché i ragazzi mi sfottevano e loro si accertarono che stessi bene. Era così sbagliato, mi metteva a disagio che tutti sapessero che avevo fatto sesso e non ero più vergine. Progettavo di comprare un bavaglio per chiudermi la bocca in futuro perché sopportare quell’umiliazione era orribile. Alannah trovava esilarante che arrossissi parlandole. Ormai eravamo amiche, ma non avevamo ancora creato niente di simile a un legame solido. Tecnicamente, era la nostra quinta vera conversazione in una settimana e dovevo affrontare il fatto che sapeva in vividi dettagli cosa facevamo io e Dominic nella mia stanza, grazie ai suoi stupidi fratelli. Damien era l’unico che cercava di zittirli e l’avrei abbracciato per questo. Non riuscivo proprio a concepire che avesse ammazzato qualcuno: era un tesoro! Eravamo al Darkness da circa venti minuti. La musica martellava, la gente ballava e Dominic menava pugni all’aria nell’angolo vicino al ring per “scaldarsi” o qualcosa del genere. Io ero a pezzi e un po’ dolorante e arrossata. Ero seduta su un grande divano con Alannah, Branna e i ragazzi e mi costringevo a non appoggiarmi alla spalla di Kane, perché si era stravaccato accanto a me in modo tale che ce l’avevo all’altezza della testa. Era come se mi tentasse a usarlo per cuscino. «Dovevo rimanere a casa», sbadigliai stiracchiandomi. Alannah, alla seconda vodka e cola, mi guardò e alzò gli occhi al cielo. «Bevi qualcosa e sciogliti un po’. È divertente!». Le lanciai un’occhiata. «Domattina c’è scuola quindi passo. E tu dovresti piantarla di bere, altrimenti morirai di postsbornia quando ti svegli». Mi mandò un bacio. «Grazie, mamma, lo terrò a mente». Scema impudente! «Stronza», grugnii, sogghignando alla sua risata. Mi piaceva; era così facile parlare con lei e non si offendeva quando la insultavo, il che era perfetto visto che io prima o poi davo dello stronzo a chiunque. «Balliamo», esclamò rivolta a me, perché Branna era salita in braccio a Ryder e gli sussurrava all’orecchio quelle che ero sicura fossero cose sconce. Guardai la mia amica e sospirai. “Non mi ha vista o sentita sbadigliare e stiracchiarmi un minuto fa?”. «Non pensare nemmeno a dirmi di no, Bronagh. Dobbiamo stabilire un legame e ballare aiuta, quindi andiamo», piagnucolò.
Mi sfuggì un gemito quando si incupì e mi puntò addosso gli occhioni nocciola da cucciolo. Non era giusto; quando mi fissava triplicavano di volume e mi facevano sentire una merda. «Ok», mugolai e le presi la mano tesa. Dio aiuti il suo ragazzo, quel poveraccio non avrà possibilità di resistere a quegli occhi, quando gli chiederanno qualcosa. «Evviva». Sorrise raggiante. «Torniamo tra un po’», disse alla tavolata senza guardare nessuno. Io li fissai uno per uno e aggiunsi: «Con “tra un po’” spero che intenda la fine della prossima canzone». I ragazzi ridacchiarono, Alannah scoppiò a ridere e a quel punto naturalmente sghignazzai anch’io. «Poco probabile. Adesso vieni, adoro questa canzone!». Dieci secondi dopo eravamo al limite della pista a ballare Best Love Song di T-Pain e Chris Brown. Sia Alannah che io invece di cantare le parole le urlavamo ed era esilarante. Io facevo oscillare un po’ i fianchi e agitavo le mani in aria mentre lei si divertiva da matti a scuotere il sedere e ondeggiare come una ballerina di danza del ventre. Io non ero malaccio, ma Alannah era uno spettacolo. Non da un punto di vista coreografico, solo di semplice potere seduttivo. Scoprii che ballando la fissavo. Quando due mani mi circondarono da dietro sobbalzai perché non me lo aspettavo. Mi girai svelta, pronta a dire a chiunque fosse di levarsi di torno, ma mi fermai quando incontrai i suoi occhi. Allora sorrisi e appoggiai la schiena al suo petto. Si chinò al mio orecchio, muovendo il corpo insieme al mio. «Cazzo, mi stai uccidendo. Che idea ti è venuta a muovere così tanto il culo e i fianchi? Stai cercando di scatenare una rissa?». Alzai gli occhi al cielo. «Sto solo ballando». «Come una cazzo di ammaliatrice». Ringhiò e mi prese per le anche e mi tirò il sedere sul pacco, così che mi ritrovai a sfregarmi lentamente contro di lui. «Un’ammaliatrice? Io? Il titolo va ad Alannah. Non hai visto come ballava?». La cercai con gli occhi, ma scoprii che non era dove l’avevo lasciata, né da nessuna altra parte che riuscissi a vedere. «Non la guardavo, né lei né nessun altro in realtà. Avevo gli occhi incollati su di te… e quel culo». Lo ignorai e mi alzai sulle punte dei piedi per cercare Alannah. Mi si annodò lo stomaco. «Dov’è andata? Era proprio lì un secondo fa. Devo trovarla…». «Eccola là». Dominic indicò la sezione poco illuminata del club dove alcuni corridoi portavano alle camere private. Socchiusi gli occhi, poi li spalancai. «Ma è con Damien!», strillai al di sopra della musica alta. Dominic rise e tutti e due guardammo Alannah e Damien pomiciare all’altro capo della stanza. Non si baciavano e basta: praticamente si stavano trombando con i vestiti addosso. Arrossii. «Devo fermarla, non pensa con lucidità e domattina se ne pentirà. Mi ha detto che non si sarebbe aggiunta alla lista di trofei di Damien anche se lui le piace». Dominic scoppiò a ridere. «La sua cosa?». Mi girai a guardarlo. «La sua lista di trofei, lo sai quante ragazze si è scopato da quando vi siete trasferiti qui». Dominic vibrava dalle risate e mi riportava verso il divano di prima, occupato da un sacco di ragazze e da un bel giovanotto seduto vicino ad Alec. Quest’ultimo aveva una ragazza sulle ginocchia, ma teneva anche una mano sulla coscia del ragazzo; mi colse di sorpresa, ma non so
perché. Più lo guardavo più altri pensieri mi riempivano la mente. «Ti disturba che Alec sia bisessuale?», mi chiese Dominic quando se ne accorse. Scossi la testa. «No, sono solo curiosa di scoprire se lui dà o riceve». Dominic sembrava inorridito. «Non parleremo mai più dell’orientamento sessuale di mio fratello». Risi, interrotta però da una voce stridula che mi fece sobbalzare. «FURIA!», strillarono due ragazze. Feci un balzo dalla paura. Mi spostai a sinistra, scostandomi un po’ da Dominic, mentre quelle due lo affiancavano. Odiai la sensazione di nodo allo stomaco che mi prese di fronte alle loro moine estasiate. Sapevo che era bellissimo e un combattente di successo, ma era mio ed era meglio che quelle ragazze e chiunque altro se ne rendessero conto. «Non vedo l’ora di vederti combattere, sei sempre straordinario», fuseggiò una con i capelli rosso fuoco. Lui sorrise e fece l’occhiolino. «Grazie, bellissima. Non mi sorprende, con signore come voi a fare il tifo». Risero come ragazzine e guardarono fisso Dominic, poi io avanzai e le spinsi da parte. «Il tempo delle fan è scaduto, signore, quindi march!». Potevano avere sette o otto anni più di me, ma non mi importava. Se dovevo inchiodargli addosso le mie rivendicazioni perché la gente capisse che ero la sua ragazza, ’fanculo, lo avrei fatto. «Bee, tranquilla». Venne da sinistra la voce di Branna. La guardai; stava ancora in braccio a Ryder. Scossi la testa e dissi: «Digli di smetterla e lo faccio anch’io». «Smettere cosa?». Mi girai e guardai male Dominic, poi mi schiarii la voce e ripetei le sue parole con il suo accento: «Grazie, bellissima. Non mi sorprende, con signore come voi a fare il tifo». Quando tacqui Alec, Kane, Ryder e Branna scoppiarono a ridere, ma proprio non stavo cercando di essere spiritosa. In realtà ero piuttosto irritata. «Ripeti quelle stronzate da cascamorto, che io sia a portata d’orecchio o no, e ti castro», sbottai. Dominic rimase impalato a fissarmi mentre mi allontanavo. «Dove vai?», chiese Branna. «A cercare Alannah», dissi forte per superare la musica. Sapevo che mi stava seguendo senza nemmeno dovermi voltare e mi faceva rizzare i capelli sul collo. Mi costrinsi a ignorarlo e raggiunsi la zona in penombra verso i privé. Non vedevo Alannah né Damien, quindi mi avvicinai ai buttafuori di guardia all’entrata del corridoio. Non volevo sapere cosa succedeva in quelle stanze: non poteva essere niente di buono se servivano dei gorilla enormi per farci la guardia. «Solo VIP , tesoro», mi disse Skull quando lo raggiunsi. Non mi guardava, ma quando lo fece gli apparve un gran sorriso sulla faccia. «Bronagh! È bello vederti, piccola, sembri in forma». Mi sentii arrossire al complimento e stavo per ringraziarlo, quando d’un tratto fui strattonata non tanto gentilmente dietro il corpo di qualcuno. Un corpo sodo. «Non voglio guai, Nico, stavo solo salutando la tua donna. Tutto qui». Skull parlava forte per farsi sentire al di sopra della musica che sembrava alzarsi sempre più.
Dominic teneva una mano dietro la schiena per reggere la mia. Non era una presa delicata, quindi mi divincolai finché non cedette. Quando lo fece, gli diedi un calcio al polpaccio, al che lui girò su se stesso e diede le spalle a Skull e all’altro buttafuori. «Sto parlando con questo gorilla gentile, tesoro. Puoi tenere a bada i capricci per un momento mentre i grandi discutono? Puoi? Fantastico». Cinguettava e ringhiava nello stesso momento. Lo fissai per un attimo, finché non mi sentii invadere da una fortissima sensazione di collera. Lo afferrai per un braccio e cercai di passargli avanti con la forza. Lui mi tenne stretta con la schiena e il sedere premuti contro il davanti del suo corpo, ma io feci finta di niente e mi concentrai su Skull. «Ignora il cavernicolo dietro di me e dimmi se hai visto la mia amica, sai, la ragazza che hai fatto entrare insieme a noi. Capelli neri, un metro e settanta circa, tette grosse, bel viso. Ti dice niente?». Skull guardò il compagno che gli fece cenno di volergli dire due parole in privato. Si chinò verso di lui, sogghignò a quello che gli stava dicendo, poi si raddrizzò e guardò di nuovo me. Fece un cenno con la testa verso il corridoio alle proprie spalle. «È là dietro con lo Slater dai capelli bianchi. Il gemello del tuo ragazzo». Spalancai gli occhi. «È in una di quelle stanze con lui? Ha bevuto! Fammi entrare subito…». «Bronagh!», sbottò Dominic, spaventandomi, e mi fece voltare. «Stai insinuando che sia pericoloso per lei trovarsi da sola con Damien? Lui non le farà del male, quindi, cazzo stanne fuori!». Lo fissai truce. «Scommetto che una volta lo pensava anche Trent». Mi pentii di quelle parole non appena le ebbi pronunciate, perché non pensavo male di Damien. L’avevo detto solo perché Dominic mi aveva fatto arrabbiare, ma mi odiai alla vista del suo sguardo ferito. «Non posso credere a quello che hai detto», disse, e poi fece qualcosa che mi annodò lo stomaco. Mi spinse via. Non abbastanza forte da buttarmi a terra, ma da farmi uscire dal suo spazio privato sì; mi venne voglia di piangere. Avevo un groppo in gola e qualcosa di pesante nel petto. Volevo scusarmi, ma non riuscivo ad articolare le parole. E comunque Dominic non rimase nei paraggi per sentirle. Mi guardò da capo a piedi, scosse la testa, si voltò e tornò al divano. Lo vidi sedersi e fissare il pavimento. Non si mosse, nemmeno quando i fratelli gli diedero gomitate o urlarono per farsi sentire al di sopra della musica. Avevo la nausea. Era la notte più bella della mia vita. Stavamo insieme e ci eravamo detti ti amo per la prima volta, non avremmo dovuto litigare proprio allora. Volevo sistemare tutto, ma volevo anche trovare Alannah perché sapevo che la mattina dopo si sarebbe pentita di essere andata a letto con Damien. Lui non avrebbe voluto niente più del sesso e lei ne sarebbe stata distrutta, era mio dovere di amica proteggerla da quel dolore, se potevo. Il resto avrebbe dovuto aspettare, quindi con un sospiro mi girai verso Skull e dissi: «Devo riprendere la mia amica. In che stanza sono lei e Damien?». Si mordicchiò il labbro prima di spostarsi. «In fondo alla tua sinistra. Forse è chiusa a chiave, semmai bussa». Annuii e imboccai il corridoio. Prima di arrivare a quella dove secondo Skull stavano Damien e Alannah, superai nove porte. Mi schiarii la voce, alzai una mano e bussai forte. Dovetti aspettare fuori picchiando per un buon quarto d’ora senza sentire nessun rumore provenire da dentro la camera; quindi quando la porta si aprì di colpo feci un balzo fin quasi al soffitto, con una mano sul cuore. «Mi hai messo paura, bastardo», sbottai contro un Damien a torso nudo che si limitò a un sorrisetto.
«Lei dov’è?», ringhiai. Inarcò le sopracciglia e smise di sorridere. «In bagno…». «Avete fatto sesso?», lo interruppi. A quel punto assunse un’espressione torva. «Non penso che siano affari tuoi, Bee». Restituii l’occhiataccia. «Cazzo, lo sono eccome se fai lo stronzo con la mia amica». Lo spinsi da parte per entrare. Avevo fatto solo pochi passi quando mi afferrò per un braccio e mi attirò a sé. «Porca puttana, non l’ho mica stuprata!». Digrignò i denti. Me la feci quasi addosso, non l’avevo mai visto così arrabbiato; in effetti non l’avevo mai visto arrabbiato e basta. «Lasciami o lo dico a Dominic». Avevo un tono inequivocabile. Scosse la testa, però mi mollò. «È così che affronti i problemi? Li fai sistemare a mio fratello?». Ero sconvolta e anche incollerita. «Vaffanculo, Damien. Sai benissimo che mi risolvo i miei problemi da sola. Non mi serve Dominic per difendermi!». Rise. «Jason Bane e Gavin Collins avrebbero qualcosa da ridire». Scossi la testa. «Davvero, fottiti». Rise, io gli voltai le spalle e mi diressi a un’altra porta che si apriva su un lato della stanza. Bussai e chiamai: «Alannah?» «Ci sono». «Stai bene?», domandai da fuori. «Sì e no». Sentii una fitta allo stomaco. «Spiegati». «Be’, lo so, ho d-detto che non l’avrei fatto ma ho f-fatto sesso con Damien ed è stato f-fantastico. Mi fa un po’ male ma comunque fantastico… Però, lui ha detto che non ne nascerà niente, e possiamo essere solo amici perché le re-relazioni non fanno per lui… Sono t-triste per questo». Poco prima era brilla, ma in quel momento non aveva la voce di un’ubriaca; solo di una davvero sconvolta. Mi girai verso Damien, che guardava accigliato la porta del bagno. Sembrava scontento di avere rattristato Alannah. Gli andai davanti e lo spintonai sul petto e questa volta non cercò di resistermi. Mi guardò dritto negli occhi e mi spronò in silenzio a colpirlo, a fargli male. Tuttavia, non lo toccai di nuovo. Invece, lo misurai con gli occhi, disgustata oltre ogni dire. «Mi sbagliavo di grosso su di te. Pensavo che fossi una brava persona; non ho permesso a quello che mi ha raccontato Dominic sul tuo passato di cambiare l’opinione che avevo di te, perché non l’avevi previsto e nemmeno ci avevi pensato prima. L’hai fatto per proteggere te stesso, tuo fratello e Nala, ma questo? Sapevi di piacerle tanto, sapevi che era vergine e sapevi che non voleva essere il fuoco di paglia di una sveltina sola, eppure l’hai incalzata e sei riuscito a farti strada nelle sue mutande solo perché ti aveva rifiutato e ti piaceva la sfida di farla cedere». Scossi la testa, piena di disgusto. «Cazzo, non sei meglio di tutti gli altri sacchi di merda là fuori che usano le ragazze e spero che ti renda conto di quanto sia freddo e crudele, Damien Slater!». Feci per voltare le spalle alla sua faccia gelida come il marmo, ma esitai e scossi la testa, poi lo guardai di nuovo. La mia espressione era dura. «Vista la descrizione che mi ha fatto Dominic dei vostri genitori, sembra che la mela non sia caduta poi molto lontana dall’albero, perché pensi a una persona sola,
proprio come loro. Te stesso. Scommetto che sono fottutamente orgogliosi di te». La sua espressione si disgregò del tutto e sembrò vacillare, come pronto a cadere da un momento all’altro. A me però non importava; tornai vicino al bagno in cui ancora si rintanava Alannah. Bussai piano e quando la sentii tirare sul col naso posai la mano sulla maniglia. «Lana?», mormorai, usando il suo soprannome per la prima volta. «Sono io, posso entrare?». Ignorai i tonfi dietro di me. Sapevo che Damien doveva vestirsi ed era palesemente irritato, ma non mi importava. ’Fanculo a lui. Sentii girare la chiave nella toppa ed entrai nel bagno, poi lo richiusi. Calciai via le scarpe, mi inginocchiai e abbracciai Alannah, seduta sul coperchio del water con la testa tra le mani. Quando la strinsi lei pianse e mi abbracciò a sua volta e mi tenne stretta. «Andrà tutto bene, Lana. Sei forte e non permetterai a un fastidioso coglione americano di abbatterti, giusto?». Alannah tirò su col naso e represse una risata, scostandosi per prendere un fazzoletto con cui asciugare il moccio che le colava dal naso. «Sai una cosa? So che Nico è il tuo ragazzo, ma una volta pensavo che lui fosse il coglione e Damien quello carino. Mi sbagliavo di grosso. Nico è sincero ed è rimasto se stesso, amato o odiato. Damien invece… è come un serpente in forma umana. Lo odio». L’abbracciai di nuovo, vedendo le lacrime che riprendevano a scorrerle sul viso; volevo uccidere Damien per quello che le aveva fatto. Chi mai poteva trattare così un’altra persona e non sentirsi in colpa? Dominic non scherzava quando aveva detto che Damien era vuoto. Cazzo, era freddo come il marmo! «Se ti fa sentire meglio, Dominic in realtà è un coglione». Alannah si mise a ridere fra le lacrime, poi si tirò indietro per pulirsi di nuovo. Da inginocchiata mi sedetti. Sobbalzai, preoccupandola. «Mi sono appena resa conto che tutte e due abbiamo perso la nostra verginità stanotte, con i gemelli». Inarcai le sopracciglia. «Be’… almeno possiamo starcene qui doloranti a odiarli insieme». Alannah ridacchiò e, anche se vedevo che era ancora sconvolta, iniziavo già a scorgere il muro che stava ergendo attorno al suo cuore ogni volta che sputava qualcosa su Damien. Non l’avrebbe mai perdonato, a meno che non le avesse dato una vera prova di sé. Tuttavia, non sarebbe successo tanto presto. Alannah sembrava assomigliarmi molto, perciò sapevo che avrebbe tenuto duro per anni con la guardia sempre alta, finché le sue mura non fossero state demolite di colpo, proprio come le mie. «Bee?», disse, attirando la mia attenzione. La guardai. «Sì?» «Pronta a tornare fuori? Adesso che hanno fermato la musica per l’incontro sento che acclamano “FURIA”». Pochi secondi ed ero in piedi a infilarmi le scarpe. Mi ero completamente dimenticata dell’incontro di Dominic! Cazzo! Afferrai Alannah per una mano e insieme corremmo fuori dalla camera, lungo il corridoio e oltre Skull e il suo compare. Spalancai gli occhi quando guardai la pedana, dove Dominic era davanti a un tizio due volte più grosso di lui. Erano alti uguali, ma quell’altro doveva avere trent’anni e pesava almeno venti chili di più. Aveva braccia muscolose, ma la pancia assomigliava più a ciccia che a addominali. Quando Dominic gli
tirò un pugno lì feci una smorfia: dubitavo che sentisse qualcosa. «Cazzo ammazzalo, FURIA, bellissimo!». Non capii quale ragazza l’avesse detto e non persi nemmeno tempo a individuarla, perché non era l’unica femmina a gridare cose del genere al mio ragazzo. Donne molto più vecchie di noi urlavano oscenità che sinceramente mi facevano ribollire il sangue. Dominic era un uomo, non un fottuto pezzo di carne… e se proprio doveva, era il mio pezzo di carne e io non dividevo il cibo con nessuno! «Sembri irritata, Bumble Bee». Tenevo ancora Alannah per mano; alzai gli occhi verso la faccia deturpata ma bellissima di Kane. «Lo sono», dissi, sovrastando i commenti indecenti che non finivano di piovere sul mio ragazzo. Guardai la folla di vagine pulsanti e ringhiai: «Sono disgustose!». Kane mi mise un braccio sulle spalle e ridacchiò. «Lui ha occhi solo per te, senza se e senza ma. Solo per te». Lo guardai e sorrisi, poi lo strinsi con il braccio libero. «Sai, ti voglio un po’ bene». Spalancò gli occhi per un attimo, guardandomi. Mi diede una strizzatina, poi disse: «Sì? Be’, penso di volerti un po’ bene anch’io, Bumble Bee». Alzai gli occhi al cielo per scherzo a quel soprannome che si era inventato la settimana prima, dopo avere deciso che Bee era troppo corto e noioso. Mi aveva trasformata da ape a calabrone e da allora si era ritenuto Albert Einstein. Aveva detto a tutti di chiamarmi a quel modo, ma chi usava Bee continuò a farlo e solo lui passò al nuovo. Era adorabile, e non gliel’avrei mai detto, ma dentro di me amavo quel soprannome. Distolsi gli occhi da Kane per riportarli sul ring e mi morsi il labbro, poi urlai alla vista dell’avversario che bloccava Dominic a terra. Riuscii a sentire il tonfo di schiena anche a quella distanza. Spinsi via Kane e Alannah e andai dritta verso la piattaforma. Mi feci strada tra la folla urlando di fermare l’incontro; ma non successe. Al contrario, il fatto che Dominic fosse finito in svantaggio gasò ed eccitò la gente ancora di più. Andai nel panico vedendo che l’avversario era sopra Dominic e lo tempestava di pugni crudeli. Strillai, ma nessuno mi sentì, e se anche sentirono pensarono che stessi facendo il tifo. Cercai addirittura di saltare sul ring, ma non ci arrivavo. Stavo soffocando tra i singhiozzi, accecata dalle lacrime, quando sentii delle braccia circondarmi da dietro. Mi accorsi che mi sollevavano e portavano fuori dalla mischia. «Sta bene», mi disse la voce di Ryder all’orecchio. Fui depositata davanti a mia sorella e Alannah ed entrambe mi chiesero se stessi bene. Scossi la testa, guardai di nuovo il ring e sentii il cuore fare un balzo quando Dominic agganciò con le gambe l’avversario e in qualche modo riuscì a bloccarlo a terra. Allora fu il suo turno di colpire, e lo fece, ma l’uomo non alzò la guardia davanti alla testa per attutire l’impatto – o non riuscì a farlo. Batté una mano sul pavimento e un secondo dopo Dominic smise di infierire e balzò in piedi. Sanguinava da un sopracciglio e dal naso ed era coperto di sudore, ma a parte quello sembrava stare bene. L’altro, invece, gemeva di dolore. «Fatevi sentire per il campione indiscusso del Darkness… FURIA!». Sobbalzai al suono della voce che usciva dagli altoparlanti del club, ma persi interesse alla vista di Dominic che saltava giù dalla pedana e veniva assalito da mucchi di gente. Andai verso di lui e mi feci strada nella ressa fino ad arrivargli davanti. Non credo che si fosse reso conto di chi ero quando gli saltai al collo, perché non mi abbracciò finché non abbassò lo sguardo per controllare.
Quando si accorse che non ero una fan impazzita, mi strinse e mi sollevò. Avevo la bocca proprio accanto al suo orecchio, quindi lo baciai e piansi, dicendo: «Mi dispiace tanto». Dominic mi tenne sempre più stretta e continuò a camminare. Avevo la testa seppellita nell’incavo del suo collo, quindi non seppi dove stava andando finché non sentii la voce di Skull, una porta che si apriva e si chiudeva, e poi solo il silenzio completo. Be’, a parte i miei singhiozzi. Mi sentii mettere seduta su un letto e poi Dominic si inginocchiò davanti a me, portandosi alla mia altezza. Mi asciugò il viso segnato dalle lacrime e sospirò. «Perché ti fai questo?», mi chiese, accigliato. «Non posso farci niente: ti stava uccidendo! Non riesco a sopportarlo, mi uccide vedere che ti fanno del male. Lo odio!», gridai e lo spinsi su una spalla. «Sto bene, bellezza». Un sorriso lieve. «Ho la testa dura». «E che mi dici del resto?», sbottai, asciugandomi il naso. Dominic sogghignò. «Il resto è sempre duro, soprattutto quando tu sei nei paraggi…». «Piantala di fare lo scemo, sono seria!», ringhiai. Dominic sospirò. «Abbiamo litigato prima dell’incontro, quindi non potevo perdere. Ero troppo arrabbiato per non rifarmi su quel tizio e vincere». Mi incupii… quel tipo le aveva prese sode. «Ti ho fatto arrabbiare così tanto?». Abbassai gli occhi. «Guardami», mormorò. Lo feci e per poco non mi misi di nuovo a piangere. «Perché sempre in faccia?», sussurrai e gli asciugai un po’ di sangue dal sopracciglio con il dorso della mano. Dominic sorrise e chiuse gli occhi. «Sì, per rispondere alla domanda di prima. Hai affondato parecchio le unghie con quel commento su Damien». Be’, ero contenta che non fosse nella stanza quando avevo detto cose anche peggiori. Però, non me ne pentivo; doveva sentirsi dare del coglione per avere fatto torto ad Alannah. «L’ha trattata male, Dominic. Le ha preso la verginità e poi ha detto che sarebbe stato solo un amico perché non si lega a nessuno. Cazzo, lo odio per quanto male le ha fatto. Sapeva di piacerle, eppure l’ha fatto lo stesso e l’ha trattata come fosse solo un buco in cui ficcare il cazzo. Pensavo che fosse un ragazzo adorabile, ma mi sbagliavo. È crudele quello che ha fatto, e gli ho detto cosa pensavo di lui, e se non puoi sopportarlo, mi dispiace per te». Distolsi lo sguardo dai suoi occhi brucianti. «Che gli hai detto?». Dominic lottava per tenere la rabbia sotto controllo. Mi strinsi nelle spalle. «Non voglio cominciare. Se vuole riferirtelo lo farà, ma ne dubito». «Come mai?» «Perché ho detto cose che l’hanno fatto quasi svenire. Non sono stata gentile, ma doveva sentirselo dire. Non può continuare a trattare così le ragazze. Non ha rispetto per le donne ed era ora che qualcuno lo mettesse al suo posto, quindi l’ho fatto». Dominic mi sollevò il mento per farsi guardare. «Bronagh, che hai detto a mio fratello?». Mi batteva forte il cuore, ma non risposi. «L’ho visto praticamente scappare dal club. Era da tanto che non lo vedevo così sconvolto. Non perde mai la testa a meno che non vengano in qualche modo… tirati in ballo i miei genitori». Quando i suoi occhi lampeggiarono di comprensione, desiderai morire.
«Dimmi che non hai nominato i nostri genitori». Digrignò i denti.
Capitolo ventiquattro
Quasi inghiottii la lingua e distolsi lo sguardo da quello fiammeggiante di Dominic. Non durò a lungo, però. Mi afferrò per il mento e mi costrinse a sollevare la testa fino a guardarlo di nuovo in faccia. «Rispondimi, Bronagh», ringhiò. «Subito». Sentii che mi si riempivano gli occhi di lacrime – era così arrabbiato da spaventarmi. Non temevo che esplodesse e mi facesse del male. Avevo più paura di tutto il danno che poteva fare senza sfiorarmi con un dito. «Gli ho detto che a giudicare dalla descrizione che mi avevi fatto dei vostri genitori lui non era tanto diverso da loro. Pensavano solo a se stessi e a nessun altro e così faceva lui», sussurrai, e poi trattenni il respiro in attesa della reazione di Dominic. Il silenzio che seguì sembrò ben più lungo di pochi secondi. «Ti avevo detto che lui è così per colpa dei miei genitori e poi tu glieli butti in faccia dicendo che è uguale a loro, cazzo?». La sua voce non era aggressiva, semplicemente calma, e mi spaventò a morte. Sapevo che non bisognava controbattere quand’era così in collera, ma non potevo permettergli di difendere qualcuno che aveva maltrattato la mia amica. «Ma è davvero come loro! Come puoi dire il contrario? Non è nella merda di cui si occupavano, ma ha ereditato il gene di fregarsene delle altre persone. Usa e abusa delle ragazze…». «Non abusa di loro», mi interruppe con un grido che mi fece balzare indietro sul letto. Riaccorciò le distanze e quando me ne accorsi mi balzò il cuore in gola. «Si scopa delle troie che vogliono essere scopate da lui», esclamò, mi afferrò le mani, si infilò tra le mie gambe e mi intrappolò premendo con tutto il peso. «Non vomita false promesse per avere la figa perché la figa gli cade dritta in braccio… o sul pisello, a quanto sembra». Cercai di colpirlo. Detestavo che si riferisse alle donne in quei termini. L’avevo odiato quando mi aveva chiamata con quella parola al nostro primo bacio nella sua camera, quindi non me ne sarei stata ferma e zitta mentre lo faceva per altre ragazze, soprattutto se una di loro era mia amica. «Non chiamare Alannah a quel modo», ringhiai. «È più di un buco in cui Damien può infilare il pisello e così ogni altra femmina con cui lui e qualsiasi altro ragazzo entrano in contatto. So che la maggior parte di quelle che si è trombato volevano solo fare sesso con lui, ma per molte non era così ed è disgustoso che fosse gentile e romantico prima di toccarle e dopo non rivolgesse loro nemmeno la parola! Come puoi giustificare questo?», sbraitai. «Perché è mio fratello e gli voglio bene!», mi urlò in faccia. Scossi la testa e lo guardai truce. «Puoi volergli comunque bene, ma non essere d’accordo con quello che fa. Se gli parlassi di…». «Di cosa, Bronagh? Vuoi che faccia sedere mio fratello e gli dica di darci un taglio con l’unica cosa che gli fa ancora provare qualche sensazione?», brontolò. Strinsi i denti. «Il suo scopo su questa Terra non è scoparsi qualsiasi cosa che abbia una vagina e il
battito cardiaco, Dominic! Se ha bisogno di sesso continuo forse dovresti considerare il fatto che è un ninfomane…». «Chiudi quella cazzo di bocca, non hai idea di quello di cui stai parlando, porca puttana. Non è un ninfomane, tromba le ragazze perché gli piace. A un sacco di gente piace fare sesso senza impegno e Dame è uno di loro!». Quando cercò di schiacciare la fronte contro la mia, lo respinsi. «Be’, deve rivalutare la sua vita, perché fa del male alle persone usandole, esattamente come ha fatto con Alannah. Sapeva che non sarebbe stata una di quelle che se ne fregavano. Ce l’aveva scritto in faccia quanto l’aveva ferita!». Dominic era torvo. «Anche lei ha fatto sesso con lui, Bronagh. Non era costretta se non voleva!». Strillai e mi divincolai sotto di lui. «Tu non capisci; ha usato la sua attrazione contro di lei!». Dominic scosse la testa. «Allora gliene parlerò, ma tu stagli alla larga. Buttare in faccia a qualcuno i suoi genitori morti è disgustoso. Pensavo che avresti dimostrato maggiore sensibilità visto che sai cosa significa perderli». Rimasi attonita, mentre lui si alzava, poi mi sedetti in fretta e dissi: «I miei genitori non assomigliavano per niente ai tuoi!». Dominic si strinse nelle spalle. «Gli volevi bene e Damien voleva bene ai nostri nonostante le loro scelte di vita, eppure li hai comunque usati come un’arma verbale per ferirlo. Non pensavo che mi avresti mai deluso. So che dici sempre quello che pensi, ma è stato meschino, Bronagh. Davvero meschino». Mi si formò un groppo in gola vedendolo girarsi e andare verso la porta. «Dove vai?». Parlò senza voltarsi. «A cercare mio fratello e assicurarmi che stia bene. Farò come vuoi e gli parlerò di quanto ha ferito Alannah visto che è così importante per te». La nube di rabbia incombente su di me iniziò a dissolversi. «Grazie…». «Ma lo farò da solo. In questo momento ho bisogno di starti lontano». Mi si spezzò il cuore quando si allontanò da me. «Mi stai lasciando?». Mi tremava la voce. Si fermò ed esitò, poi disse: «No, questo no. Ti amo, Bronagh, ma mentirei se dicessi che in questo momento non ti odio un pochino. Ho bisogno di allontanarmi finché non ci siamo calmati». Sentii scorrere le lacrime. «Hai detto che non mi avresti mai lasciata… hai promesso che non l’avresti mai fatto». Sospirò e raggiunse la porta. «E tu hai promesso di non ferirmi mai. Immagino che abbiamo mancato entrambi alla parola data». Quando aprì la porta e se la richiuse alle spalle, scoppiai a piangere e ricaddi sul letto. Provavo un dolore al petto, faceva così male che era come se qualcosa di pesante lo schiacciasse. Mi costrinsi a respirare per controllare i singhiozzi. Sapevo che quando mi ero scagliata su Damien stavo difendendo la mia amica, ma non potevo sfuggire al fatto che avevo costruito io l’abisso che in quel momento separava Dominic e me. Avrei potuto scegliere le parole in modo diverso, ma no, dovevo colpire dritto al cuore tirando in ballo i suoi genitori. Dominic aveva ragione: non avrei mai dovuto buttarglieli in faccia, tutte le cose che gli avevo vomitato addosso prima di quello sarebbero state già abbastanza dolorose. «Stupida!», urlai e tirai un pugno al cuscino vicino alla mia testa. Continuai a piangere per quelli che sembrarono secoli e alla fine mi addormentai.
Mi svegliai dopo un po’ di soprassalto e mi alzai assonnata. Ero leggermente instabile sulle gambe a causa dei tacchi, ma dopo un secondo o due assunsi il controllo e camminai sicura fino alla porta del privé. Aprii e mi vennero incontro risate e una musica bassa che non assomigliava per nulla al volume che rimbombava prima dell’incontro di Dominic. Chiusi gli occhi pensando a lui e cercai di ignorare il dolore al petto. Mi ripetei che non ci eravamo lasciati, rimanevamo lontani perché ci stavamo calmando. Avremmo parlato presto; probabilmente era già a casa mia, irritato perché non ero lì ad aspettarlo. Uscii in corridoio e chiusi la porta, poi tornai verso il night club. Le risate e i fischi di apprezzamento che sentivo mi fecero rizzare i capelli sulla nuca e quando sbucai nella sala e mi guardai attorno mi venne la pelle d’oca. La pista era vuota, a parte due ragazze impegnate in una danza osé a tempo con la musica sensuale a basso volume. Diedi un’occhiata al ring, ma quella zona era al buio, le luci spente. Balzai in aria sentendo una risata profonda, roboante provenire dalla mia sinistra. Guardai in quella direzione e notai tre uomini sul divano che di solito occupavano Dominic e i suoi fratelli. Due erano sui quaranta o cinquant’anni mentre l’altro era più giovane, probabilmente attorno ai diciannove anni. L’uomo che rideva guardò verso di me e mi fissò per un attimo, poi mi fece cenno con il dito di avvicinarmi. Non so perché, ma invece di andare dritta all’uscita mantenni gli occhi su di lui e obbedii. Quando lo raggiunsi sorrise e mi tese la mano. La presi e quando lui mi tirò delicatamente a sedere al suo fianco non feci resistenza. «Come ti chiami, bella?», mi domandò, l’accento non irlandese, ma americano. «Bronagh», replicai, senza smettere di fissarlo. Aveva i capelli nerissimi, gli occhi nocciola chiaro e la pelle un po’ abbronzata. Niente di eccezionale; era solo un bell’uomo, persino nella media, ma aveva qualcosa che mi faceva desiderare di stargli vicino. Era la sensazione più strana che avessi mai provato in vita mia; mi bastava guardarlo per sapere che era una persona importante. Era avvolto da un’aura di potere e, a essere onesta, ero curiosa di sapere chi fosse. «Che nome grazioso per una ragazza graziosa». Sorrise, poi allungò le mani e mi asciugò le ciglia con i pollici. Sorrise ai miei occhi che non lasciavano i suoi, poi chiese: «Che ci fai qui?». Deglutii prima di rispondere. «Ero venuta a vedere un incontro, ma poi mi sono addormentata in una delle camere». Fece un sorrisetto. «Ti piace guardare la lotta?». Scossi la testa. «Per niente, in realtà la odio, ma il mio fidanzato si batte quindi devo venire a sostenerlo, altrimenti si arrabbia». A quel punto lui inarcò le sopracciglia, poi le riabbassò e mi scostò i capelli dalla faccia. Era molto cortese quando domandò: «Chi è il tuo fidanzato? Scommetto sugli incontri, potrebbe avermi fruttato un po’ di soldi in passato». Gli altri ridacchiarono, ma io non li guardai, tenni gli occhi fissi su quello al mio fianco e risposi: «Dominic Slater, è il campione indiscusso del Darkness. Vince ogni incontro». Non so che cosa mi aspettassi, ma non il ringhio del giovanotto accanto. «Quel fighettino è fortunato». Mi arrabbiai subito. «Ah sì, è solo fortunato in ogni singolo incontro?», domandai al ragazzo. Capii subito che doveva
essere imparentato con l’uomo accanto a me, perché gli somigliava molto, solo in versione più giovane. «È un fighettino, troia», ringhiò. «Be’, sai come si dice?», lo guardai male. «Sei quello che mangi». Mi rispose con un sorrisetto, mentre gli altri due scoppiavano a ridere. Quando quello accanto a me mi circondò le spalle, sempre ridendo, sobbalzai. «Fammi una foto con questa bellezza irlandese. Non succede spesso che qualcuno tappi la bocca a mio nipote». Guardai l’uomo, mentre quello più vecchio ci scattava una foto sul cellulare dall’altro lato del tavolo. Poi fissai quest’ultimo che digitava qualcosa e passava l’apparecchio all’uomo al mio fianco. Pensare a loro come “uomini” e basta mi stava dando il mal di testa, quindi domandai: «Come si chiama lei?». Aprì la bocca per rispondere, ma proprio allora il telefono che aveva in mano squillò, facendogli illuminare il volto di un sorriso. «Non penso che mi abbia mai richiamato così in fretta prima d’ora». Ridacchiò, poi rispose. «Nico, ragazzo mio, come stai?». Quando disse quel nome, concentrai su di lui tutta la mia attenzione. Scostò un po’ dall’orecchio il cellulare, da cui uscivano delle grida. Annuì verso l’altro uomo. Dopo di che, quello si alzò e si diresse al corridoio dei privé. Aggrottai le sopracciglia e lo guardai scomparire, poi continuai a fissare in quella direzione in attesa che riapparisse; quando lo fece, trascinava verso di noi un corpo tenendolo per le gambe. «Oh, mio Dio», strillai di orrore. L’uomo al mio fianco mi acchiappò all’improvviso per i capelli e ringhiò: «Bronagh, non mi piacciono le grida quindi o la pianti o ti taglio la lingua, a te la scelta». Respiravo pesantemente e chiusi di scatto la bocca. «Brava bambina». Poi rise. «Hai addestrato bene la tua puttana, Nico, sono fiero di te, figliolo. La tua donna sa qual è il suo posto». Mi misi a piangere a mano a mano che l’uomo trascinava il corpo più vicino al divano. Avevo capito che era un ragazzo, ma più si avvicinava, più dettagli notavo. Confusa, sbattei le palpebre tra le lacrime quando riconobbi chi era. Appena il suo volto fu visibile, urlai e cercai di alzarmi e correre da lui. «Damien!». Era svenuto e con la faccia pesta. Così gonfia che se non avessi saputo che era lui non avrei potuto riconoscerlo. «Zitta, puttana, sei più bella con la bocca chiusa», ringhiò l’uomo che mi teneva per i capelli. Tirò fino a farmi alzare. Mi fece voltare e mi diede una spinta, così che caddi addosso al ragazzo più giovane, il quale mi abbrancò e mi mise a sedere in braccio a lui con il culo direttamente sul suo pacco. «Cazzo, hai un bel culo», commentò, dandomi una stretta allo stomaco. «Marco, per favore, fammela provare». Sbarrai gli occhi verso l’uomo che ancora teneva il telefono all’orecchio e mi sorrideva. «Ti voglio qui tra un’ora o ammazzo la ragazza e paralizzo tuo fratello». Riagganciò e buttò il telefono sul tavolo, davanti a me. «Marco Miles?», bisbigliai. Sogghignò. «Allora Nico ti ha parlato di me?».
Strinsi i denti. «Mi ha detto tutto», ringhiai. Ridacchiò. «Solo cose buone, spero». Arricciai il labbro, disgustata, e lui rise rimettendosi a sedere sul divanetto. «Pensavo che non sarebbe valsa la pena di visitare questo Paese. Immaginavo che sarebbe stato difficile continuare a tenere Nico e i suoi fratelli alle mie dipendenze, ma tu e Damien mi avete facilitato molto le cose. Damien è uscito dal Darkness proprio mentre arrivavamo noi quindi acchiapparlo è stato facile. Poi quando siamo andati a metterlo in una delle stanze sul retro, Trent ha scoperto te addormentata. Uno dei buttafuori ti ha identificata e per caso ha detto con chi stavi». Ridacchiò. «L’hai confermato quando hai detto che Nico era il tuo tipo». Rimuginai su quel che aveva appena detto e la mia mente si soffermò su una cosa, il nome “Trent”. Guardai da sopra una spalla il sacco di merda che mi accarezzava le cosce. «Trent Miles?». Mi rivolse un sorriso malvagio. «In carne e ossa, puttana».
Capitolo venticinque
«Dovresti essere morto!», urlai e cercai di divincolarmi. «Damien ti ha ucciso!». Marco rise all’altro capo del tavolo. «No, Damien gli ha sparato alla spalla, e io ho detto a Ryder che il colpo era arrivato al cuore e che Trent era morto. Stavo per perdere quei ragazzi e non potevo permetterlo, dopo che io e il loro padre li avevamo tirati su tutta una vita per la nostra attività. Perciò, quando mi si è presentata l’opportunità di metterli dove li volevo, l’ho afferrata a piene mani». Lo fissai disgustata. «Hai finto che tuo nipote fosse morto solo per ricattare i ragazzi e farli lavorare per te?» «Geniale, vero?». Rise soddisfatto. «I fratelli Slater sono assolutamente leali gli uni agli altri. Rinuncerebbero a tutto pur di tenere uno di loro al sicuro, e avere la vita di Damien tra le mie mani mi ha guadagnato in cambio le loro. Quella famiglia appartiene a me». Scossi la testa. «Vogliono andarsene. Dominic mi ha detto che avrebbero rotto ogni legame con te!». Sbuffò in tono ironico. «Già, l’ha detto anche a me, ma non mi piace che i miei ragazzi migliori abbandonino la nave. Ciascuno di loro mi procura dei guadagni sostanziali e io sono molto legato ai miei soldi, quindi dovremo semplicemente parlare di estendere i loro contratti lavorativi invece che terminarli». Mi veniva da vomitare. «Non puoi più costringerli a lavorare per te. Trent non è morto; li hai ricattati con qualcosa che non esisteva per tenerli in riga!». Marco rise di nuovo di me. «Quella era un’illusione; quel che avevo davvero era la minaccia di uccidere il fratello, e ce l’ho ancora… la minaccia di uccidere te è nuova, ma sono sicuro che sarà altrettanto efficace». Cazzo, era matto! «Non la passerai liscia!», esclamai. Trent rise e mi afferrò per i capelli. «L’ha già fatto», disse e mi colpì sulla nuca, facendomi piombare immediatamente nell’oscurità. Mi svegliai quando qualcuno mi chiamò per nome. Gemetti, ma non risposi. Il mal di testa mi stava uccidendo e volevo solo dormire finché non fosse scomparso. Mugugnai in risposta. «Bee?», mormorò una voce familiare. «Svegliati, per favore». Gemetti e sbattei le palpebre. Girai lo sguardo intorno fino a capire che non ero nella mia camera. Scattai a sedere e mi afferrai il retro della testa, improvvisamente sofferente. Tolsi la mano e la ritrovai sporca di sangue, sia fresco che raggrumato. “Che cazzo?”. «Che è successo?», domandai guardandomi intorno. Sentii un braccio che mi circondava la vita e sobbalzai. Guardai la persona che mi reggeva e mi si
mozzò il respiro. Sapevo che era Damien, ma aveva la faccia talmente gonfia e piena di tagli che stentavo a riconoscerlo. «Damien», piagnucolai e lo abbracciai. Sussultò, però mi strinse con il braccio che già mi teneva la vita. «Stai bene?». Piansi, allontanandomi un po’ da lui. Annuì, e io gli scostai i capelli dalla faccia e lo baciai sulla fronte. «Andrà tutto bene, promesso». Mi strinse di nuovo. «Lo so». Lo guardai e sentii scorrere le lacrime sul mio viso. «Mi dispiace per tutto quello che ti ho detto. Sei comunque uno stronzo, ma quello che ho detto era sbagliato». Rise, ma la faccia non gli permise di sorridere. «Zitta, Bee, avevi ragione su tutto e ho reagito a quel modo solo perché sapevo che era vero e l’odiavo. Non voglio essere come i miei genitori, e le cazzate che ho fatto dimostrano che invece lo sono». Lo guardai accigliata. «Non lo faccio apposta a spezzare il cuore alla gente. In effetti cerco di non avere niente a che fare con i cuori, ma alcune ragazze si affezionano a me. Giuro che non ho mai voluto ferire Alannah. So che sembrerò un coglione. Lo sono, ma volevo solo stare con lei nell’unico modo che conosco. Lei è diversa». Gli lanciai un’occhiata. «È il tuo modo sibillino di dire che ti piace?». Si strinse nelle spalle, ma non rispose. Mi guardai attorno, poi mugugnai: «Non posso crederci, mi hanno messa al tappeto». «Dillo a me», ringhiò. «Mi hanno conciato così dopo avermi fatto perdere i sensi, cazzo di mammolette!». Scossi la testa, fremendo per quel gesto. «Mi pulsa la nuca, sanguina anche». Damien mi fece voltare in modo che gli dessi la schiena, poi mi appoggiò piano le mani sul collo e mi fece inclinare la testa in avanti. Passò le dita tra i miei capelli, fermandosi quando sibilai di dolore. «Non è un taglio profondo e sta iniziando a formarsi la crosta. Vedo tutto il sangue raggrumato». Sospirai di sollievo. «Grazie a Dio». «Chi ti ha colpito? Marco?». La sua voce era un ringhio. «Ho visto la sua faccia prima che colpissero me». Deglutii e mi girai verso di lui. «Non è stato Marco, Damien… è stato Trent». Inarcò le sopracciglia e spalancò la bocca. «Trent… Trent Miles?», balbettò. Annuii. «Non è morto. Marco ha detto che ha solo finto che lo fosse, così poteva ricattare i tuoi fratelli con la minaccia sospesa di ucciderti. Ha mentito a tutti voi, Damien». Damien mi guardò per un attimo, poi si voltò e fissò lo sguardo nel vuoto. Stavo per chiedergli se stesse bene, quando disse: «Per tre anni e mezzo ho visto la sua faccia ogni notte quando andavo a dormire. Ero certo che mi stesse perseguitando a causa di ciò che gli avevo fatto, ma adesso capisco che era tutto nella mia testa». Ingoiai il groppo che mi si era formato in gola e dissi: «Adesso puoi lasciarti tutto alle spalle». Damien annuì, mi guardò e proprio mentre la porta della stanza in cui ci trovavamo si apriva chiese: «È vivo sul serio?». Una risata sulla soglia ci fece girare in quella direzione. Strinsi i denti al vederlo, mentre Damien lo fissava a bocca aperta. Trent sogghignò e si indicò con le braccia aperte: «Sono vivo sul serio. Ti
sono mancato, amico?».
Capitolo ventisei
«A quanto pare devo migliorare la mira», ringhiò Damien, al che Trent rise. Si batté su una spalla e gli fece l’occhiolino. «Lieto che faccia schifo. Altrimenti le cose non sarebbero andate così bene per me». Damien si alzò in piedi, ma si paralizzò quando Trent tirò fuori una pistola e gliela puntò addosso. «Oh, déjà-vu». Rise. «Ti ricorda qualcosa, fratello?». Sbuffai, disgustata, mi alzai dal letto e afferrai Damien per un braccio. «Lasciaci in pace». Trent mi fece un sorrisetto e indicò con la testa alle proprie spalle. «Non posso farlo, piccola. Zio Marco vuole fare due chiacchiere». Ci fece cenno con la pistola di uscire dalla stanza. Damien mi tenne per mano mentre obbedivamo senza discutere. Tremavo come una foglia, sapendo che Trent era dietro di noi con una pistola vera; mi aspettavo che partisse uno sparo da un momento all’altro. Rientrati nella sala del club, io e Damien ci dirigemmo al divanetto dove stavamo prima e rimanemmo fermi mentre una delle ragazze che avevo visto ballare prima faceva la lap dance a Marco. Quando lui mi guardò e mi fece l’occhiolino, mi spostai un po’ dietro Damien. Rise vedendo che cercavo di nascondermi. Poi appioppò uno schiaffo sul sedere alla ragazza che ballava su di lui e le disse di andarsene, cosa che quella fece senza una parola. Mi guardai intorno e notai due omaccioni, tra cui quello che aveva trascinato Damien fuori dalle camere, che andavano a posizionarsi all’ingresso del corridoio dov’erano Skull e il suo collega prima. Quando sentii Damien che cominciava a irrigidirsi al mio fianco, distolsi a forza lo sguardo e lo spostai su di lui. «Mi hai lasciato credere di averlo ucciso!», ringhiò verso Marco. Lui annuì. «Esatto». Volevo prenderlo a pugni. Aveva risposto con la nonchalance con cui si accetta una tazza di tè. «Solo per tenere la mia famiglia in affari?». La voce di Damien era intrisa di veleno. Marco si strinse nelle spalle, accese una sigaretta, inalò, poi soffiò il fumo verso di noi, facendomi tossire un po’. «I tuoi fratelli sono nati per quest’attività, letteralmente», disse, con un sorriso sbilenco. «Di recente ho sentito dire che riesci a ottenere fighe solo sbattendo le palpebre. Potrei agganciarti a quello che fa Alec, se ti interessa. Fratelli a richiesta, potrebbe essere il mio, o vostro, prossimo colpaccio». Marco, Trent e i due all’altro capo della stanza risero, al che io li fulminai con lo sguardo. «Siete solo degli stronzi!», esclamai. Damien mi si parò davanti, con il solo risultato di fare ridere Marco. «Calmati, biondino. Non toccherò la pupa di tuo fratello». Gli rispose uno sguardo torvo. «Ti ucciderà per questo, spero che tu lo sappia. Strike uno,
trascinarmi qui; strike due, fare svenire Bronagh; e merdissimo strike tre, usare la sua vita come asso nella manica per farlo restare in attività». Marco aveva un’aria annoiata. «So essere molto convincente, Damien». Lui scosse la testa. «Non riuscirai a cavartela a parole stavolta, o a inventare qualche stronzata come hai fatto con Trent. Non siamo le stesse persone di cui ti sei approfittato a New York». Marco inarcò le sopracciglia e lo fissò. «Siete gli uomini che siete oggi perché vi ho fatti io così, cazzo!». «Ed è esattamente per questo che ti si rivolterà contro. Sappiamo tutti i trucchi del mestiere. Ciascuno dei miei fratelli conosce a menadito il tuo modo di condurre gli affari; fanno loro tutto il lavoro mentre tu te ne stai lì comodo a mietere i profitti. Senza di loro non saresti nessuno!». «Nessuno?», ruggì. «Chi cazzo ha costruito questo impero? Io!». Damien sbuffò, ironico. «Tu e mio padre, finché non vi ha dato alla testa. Adesso la sua è piena di piombo, e credimi quando ti dico che presto lo sarà anche la tua». Marco sembrava sul punto di lanciarsi addosso a Damien, poi però rise piano e scosse la testa, guardò Trent e si strinse nelle spalle. «Immagino che sia questo il lato di lui che quella stronzetta cinese amava così tanto». Aggrottai le sopracciglia, perché non avevo idea di cosa o di chi stesse parlando, e nemmeno Damien. Trent rise alla nostra espressione. «Le piaceva solo per il colore dei capelli, ecco perché ho messo una parrucca bionda insieme a lei nella mia fossa. Nessuno potrà mai dire che non ho dato niente a quella puttana». “Di nuovo, cosa?”. «Chi hai seppellito nella tomba di Trent se lui è qui?». La voce di Damien tremava. Trent si limitò a sorridere, il che fece solo battere il mio cuore ancora più veloce. «Chi hai seppellito se lui è vivo?», strillò Damien. Marco fece spallucce. «Quella pollastra asiatica con cui uscivi e scopavi. Come si chiamava? Gala? È venuta a cercarti il giorno dopo “l’incidente” e ha beccato Trent con un dottore che lo medicava. Ovviamente, non potevo lasciarla andare viva. Vi avrebbe detto che Trent non era morto e a quel punto non avrei potuto monetizzare il talento di Dominic. Avere i tuoi fratelli che gestivano cazzate per me era un extra, ma il vero premio era portare Dominic dove lo volevo. «Dopo averlo visto sui filmati di sorveglianza che attaccava Trent, prima che tu gli sparassi, ho capito che tuo fratello era un lottatore nato. Il corpo di quella ragazzina è stato un altro bonus perché forniva il peso che mi serviva per la bara di Trent. All’epoca probabilmente pesava quanto lui». Marco e i suoi scagnozzi ridacchiarono, mentre Trent ringhiava: «Vaffanculo, ho sviluppato tardi!». Marco non smise di ridere, poi si girò verso Damien, che era arrossito tanto da sembrarmi sul punto di esplodere. «Hai ucciso Nala e l’hai sepolta nella tomba di Trent?», domandò, piano, perché gli tremava la voce. Marco schioccò le dita. «Nala, ecco come si chiamava! Una pollastrella graziosa, ha lottato un bel po’». Quasi non vidi Damien muoversi: quando caricava qualcuno, era veloce quasi quanto Dominic. Non abbastanza, però, perché proprio mentre stava per raggiungere Marco l’uomo all’altro capo della stanza scattò e lo colpì più volte in faccia con il calcio della pistola. L’altro comparve al mio fianco e mi afferrò per i capelli per tenermi ferma.
«Damien!», gridai e cercai di correre in suo aiuto, ma la presa si rafforzò, strappandomi qualche ciocca. Ululai di dolore e cercai di sferrare un calcio all’indietro al coglione che mi teneva, con l’unico risultato di essere trascinata a terra per i capelli, il che fece molto più male della sola stretta. «Lasciala!», sbraitò la voce di Damien, proprio mentre un ginocchio premuto dietro al collo mi bloccava a terra e mi toglieva ossigeno. «Matt, mi serve viva. Sarà impossibile ragionare con Nico se è morta!», esclamò Marco; io presi ad agitare le braccia e le gambe, cercando di liberarmi per respirare di nuovo. Il bruciore che mi stava crescendo nel petto si alleviò di colpo quando il delinquente che mi bloccava a terra allentò la pressione. Una volta libera ansimai in cerca d’aria, poi sollevai le mani dietro al collo e lungo il lato sinistro, perché pulsava e faceva male da morire. Rimasi sdraiata a terra per un istante, poi sobbalzai, sentendo una mano stringermi il braccio. «Sono io, Bee», disse Damien. Alzai gli occhi su di lui e gemetti. Sanguinava dalle narici, aveva un grosso taglio sopra un sopracciglio, il lato sinistro della mascella gonfio e così l’occhio, che non riusciva più ad aprire; era un disastro. Allungai una mano a sfiorargli il bozzo, poi singhiozzai e mi piegai contro di lui. Lui mi prese in braccio e mi strinse forte, cullandomi. «Andrà tutto bene, Bee», sussurrò e mi diede un bacio sulla testa dolorante. «Verrà a prenderci». Sapevo che parlava di Dominic e pregavo che avesse ragione. Se non fosse arrivato presto, non sarebbe finita bene. Non credevo che Marco ci tenesse prigionieri solo per fare una bella chiacchierata sul passato dei ragazzi. «Stai trombando la ragazza di tuo fratello, D?», sghignazzò Trent. «Sarebbe roba da maestro». La presa di Damien su di me si accentuò. «Smettila». Guardai Trent che rideva di nuovo e diceva: «Eterno protettore delle femmine. Un aspetto che ti faceva nuotare nella figa quando eravamo ragazzini. Sono lieto di vedere che niente è cambiato». Mi disgustò che Trent mi indicasse con la testa, come se Damien mi tenesse al sicuro solo per la voglia di fare sesso con me. «È una brava persona, coglione di merda. Non gli serve un motivo per proteggere qualcuno!», esclamai, poi ebbi un attacco di tosse, perché avevo la voce rauca e la gola mi stava uccidendo. Trent fece schioccare i denti verso di me. «Ripeti “merda”, piccola. Il tuo accento mi fa sbellicare». Arricciai il labbro, disgustata. «Sei un essere spregevole». Mi sorrise. «Non hai ancora visto niente, piccola. Vediamo come mi insulterai quando ti avrò scopato quella bocca sapientona fino a staccartela». Sentii un nodo allo stomaco; Damien ci tirò tutti e due in piedi. «Toccala e stavolta ti ammazzo sul serio!». Trent spostò lo sguardo da me a lui, indurendolo. «Oh, la toccherò eccome; a quanto pare ho bisogno di scoparmi le puttane Slater. Nala era una combattente, ma scommetto che l’irlandesina qui mi farà sudare sette camicie». Spalancai gli occhi, non perché aveva detto che mi avrebbe stuprata, ma perché aveva ammesso di avere stuprato Nala. Damien era immobile, quindi mi misi al suo fianco e mi aggrappai a lui; spostò lo sguardo su Marco, che ci osservava tutti e tre con aria mediamente divertita. «Hai detto di averla uccisa». Scosse la testa. «Non l’ho mai detto. Ho detto che non potevo lasciarla uscire viva da casa mia. È
morta quel giorno, ma non per mano mia; per mano sua». Indicò con la testa Trent, sogghignante, e io singhiozzai; il ragazzo guardava Damien con un compiacimento che mi diede fisicamente la nausea. «Sapevo che l’amavi e, dopo che lei mi aveva rifiutato, quale vendetta migliore per avermi quasi ucciso? Uccidere il tuo cuore, ovviamente. Ha anche urlato, così forte che mi è quasi venuta voglia di incappucciarla ancora prima di finire di scoparla, ma non l’ho fatto. Ho girato tutti i suoi buchi prima di farle esplodere il cervello. Letteralmente». Nemmeno provai a trattenere Damien quando si staccò da me e caricò Trent. Stavolta nessuno fu abbastanza veloce da impedirgli di raggiungere il suo obiettivo. Lo colpì in pieno ed entrambi caddero per terra. Immaginandolo con i capelli castani, avrei potuto giurare di vedere Dominic che picchiava qualcuno, perché menava pugni proprio come lui. Riuscì a metterne a segno cinque o sei prima che gli uomini di Marco intervenissero e lo tirassero via. «Era incinta di dieci settimane!», urlò, cercando di liberarsi dalla loro presa e gettarsi di nuovo su Trent. Con una mano sulla bocca, lasciai che le lacrime di cui avevo pieni gli occhi mi scorressero sulle guance. Damien emise un urlo mascolino che mi spezzò il cuore e mi fece gridare per lui e Nala. “Era incinta quando l’hanno stuprata e uccisa?”. «Ti ucciderò per questo!», giurò a Trent, che si stava rialzando asciugandosi il sangue da sotto il naso e le labbra. Lo guardò e gli sorrise con tale malvagità da farmi rabbrividire. «Quindi ho ucciso la tua puttana e tuo figlio? Cazzo, quando si dice prendere due piccioni con una fava, o meglio con una pallottola». Damien ruggì di nuovo e cercò di divincolarsi dalle braccia che lo trattenevano, ma non ci riuscì. Nessuno, però, bloccava me, né mi prestava attenzione, quindi piena di rabbia e dolore per Nala mi buttai addosso a Trent, gli affondai le unghie nella faccia e lo graffiai con tutta la forza che avevo. Urlò come un maledetto e mi gettò a terra, ma era troppo tardi. Lo avevo già sfregiato con graffi e tagli profondi che avrebbero lasciato delle cicatrici, per quanti punti gli dessero. Risi, poi urlai: ruggendo Trent mi aveva dato un calcio nello stomaco con tale forza da mozzarmi il fiato e farmi vomitare sul pavimento. «Ti farò urlare, troia. Cazzo, vedrai quanto spregevole posso essere», ringhiò, sovrastandomi, con il sangue che colava dalle ferite che gli avevo inferto e gli macchiava il collo e la camicia. Fece per colpirmi di nuovo, ma si fermò all’apparire di Marco che gli afferrò il braccio, impedendone i movimenti. «Basta! Mi serve viva. Quante cazzo di volte devo dirlo?», esclamò. Gli lasciò la mano e Trent l’abbassò, deglutendo. «Ma zio…». «Niente ma, puoi avere l’altra. Questa appartiene a Nico, e lui mi serve, e a lui serve lei, quindi non se ne parla. Lo capisci, ragazzo?». Adesso lo stava fulminando con lo sguardo. Trent annuì e deglutì di nuovo. «Sì, signore». Marco sospirò leggermente, poi agitò una mano verso i due uomini che sovrastavano Damien in lacrime. Lo lasciarono cadere a terra e si diressero alle camere. «Se rimani tranquillo per il resto della riunione, potrai divertirti con quella». Mi tirai su a sedere con cautela, sussultando per il dolore, per riuscire a guardare oltre Marco e vedere di chi stava parlando. Mi venne di nuovo da vomitare quando il corpo svenuto di una ragazza
fu trascinato nella stanza e buttato a pochi metri da me. «Alannah!». Singhiozzai alla vista del suo viso. Gattonai fino a lei e subito le posai le dita sul collo in cerca del battito; sentirlo mi strappò un grido di sollievo. «È viva?», urlò Damien, la voce carica di emozione. «Sì», risposi e raccolsi Alannah tra le braccia, poi alzai gli occhi su Marco, sfidandolo a permettere a Trent di portarmela via. Sembrò sapere cosa stavo pensando, perché rise e scosse la testa. «Mi piaci, ragazzina. Hai fegato, ma non so se questo ti renda coraggiosa o stupida». Gli lanciai un’occhiataccia e dissi: «Probabilmente tutte e due». Mi puntò un dito contro. «Decisamente, mi piaci». «Sì, be’ io ti odio, cazzo!», ringhiai. Soffocò una risata. «Non saresti la prima né l’ultima, ragazzina». Strinsi forte Alannah e guardai Damien che arrancava verso di noi. Riusciva a malapena a trascinarsi, ma arrivò di fronte a noi e io piansi ancora più forte. Tremavo con Alannah tra le braccia, ero coperta di vomito e sangue e mi sentivo pronta a cadere in terra da un momento all’altro, tuttavia mi costrinsi a rimanere dritta. Non potevo permettere a Trent di prenderla e trascinarla in una delle camere. Sarebbe dovuto passare sul mio cadavere. Trent rideva guardando il nostro gruppetto, ma smise sentendo un rumore di spari provenire dalle scale di accesso al Darkness attraverso le porte socchiuse. Mi aggrappai forte ad Alannah, allungai una mano verso il braccio di Damien e lo strinsi. Guardai Marco; sogghignava. «I fratelli Slater sono arrivati». Trent si spostò nell’ombra alla mia sinistra, gli uomini di Marco estrassero le pistole dai cappotti. Anche Marco tirò fuori una rivoltella. Passarono trenta secondi, poi le porte che davano sulle scale furono spalancate con un calcio. Sentii un balzo al cuore vedendo entrare Dominic, Ryder, Alec e Kane con le pistole in pugno. Però, non le alzarono per puntarle contro nessuno, ed ero piuttosto sicura che fosse perché gli uomini di Marco incombevano su Damien, Alannah e me con le loro armi puntate su di noi. Guardai i fratelli e catturai lo sguardo di Dominic, che sembrava in preda a una lotta interiore; gli feci un debole sorriso e mimai con le labbra “Ti amo”, nel caso fosse la mia ultima occasione per dirglielo. Aveva gli occhi colmi di emozione, poi li spostò su Marco e subentrò la rabbia. «Lascia andare mio fratello, la mia ragazza e la sua amica e non ti farò soffrire quando ti ucciderò». Marco rise, sedendosi su quel divanetto che decisi di odiare con tutto il cuore. «Non mi vedi da mesi ed è così che saluti lo zio?» «Non sei niente per noi!», ringhiò Kane. Spalancai gli occhi, sconvolta da quanto fosse diversa la sua voce. Adesso che non sorrideva era terrificante. Sembrava capace di ammazzare Marco e tutti i suoi uomini, alla prima occasione. Guardai Marco, che rideva piano, e scossi la testa; li stava solo irritando ancora di più. A quel punto ebbi un capogiro e sentii che le ginocchia mi cedevano, ma la gamba alle mie spalle mi sostenne. L’uomo dietro di me fischiò per attirare l’attenzione del capo e una volta avutala disse: «Svenirà da un momento all’altro». «Mettila quassù allora», sbottò Marco. Damien afferrò Alannah mentre l’uomo mi metteva dritta e, tenendomi saldamente, mi trascinava al
divanetto su cui era seduto Marco. Mi accasciai subito sul tavolo e a malapena udii il ruggito di Dominic. «Piantala, fratello», cantilenò la voce di Trent. «Ha preso una botta in testa, ma sta bene». «Trent?», esclamarono in coro gli Slater. Non riuscivo a vederli, ma percepivo lo shock nelle loro voci. «Felici di vedermi?». Sghignazzò. «Che cazzo sta succedendo?», urlò Alec, la voce venata di confusione. «Ve lo dico io», ringhiò Damien da terra. «Marco ha mentito quando ha detto che avevo ucciso Trent. Voleva solo una facile scusa per invischiare voi quattro nelle sue attività e quale occasione migliore che dire che così mi avreste tenuto in vita?» «Ma abbiamo seppellito quello stronzetto», sbottò Ryder. «No». La voce di Damien era vuota. «Abbiamo sepolto Nala. Trent l’ha uccisa quando lei ha scoperto che non era morto davvero». La stanza piombò nel silenzio, interrotto da Trent. «E quella troia aspettava anche un figlio da lui. Direi che ha avuto una sfortuna nera». «Un figlio?». I fratelli erano increduli. «Me l’aveva detto il giorno che hanno ucciso mamma e papà», disse Damien tristemente. «Per questo ti sei allontanato da tutti?», domandò Dominic. «Non per mamma e papà, ma per Nala?» «Cazzo, pensavo che se ne fosse andata di sua volontà con mio figlio quindi sì, mi aveva sconvolto parecchio, ma adesso so che è morta e anche il bambino. Anche essere tormentato ogni notte da quel coglione perché credevo di averlo ucciso non è stato divertente». «Significa che sono l’uomo dei tuoi sogni, D?». Mi costrinsi ad aprire gli occhi quando Marco ridacchiò sottovoce. Non mi guardava: osservava Damien e Alannah. La sua pistola era sul tavolo, non la teneva in mano, solo vicina. Era uno sbruffone o semplicemente uno stupido perché tutti i fratelli avevano le armi in pugno e lui se ne stava seduto lì con la rivoltella sul tavolo di fronte a lui come se non fossero una minaccia. Pensava che avessi perso i sensi, o non si aspettava che cercassi di prendergli la pistola. Si sbagliava in entrambi i casi, perché non appena sollevò una mano per pescare un’altra sigaretta nel taschino della giacca, io scattai in avanti e l’afferrai. Armeggiai a casaccio per un secondo, ma una volta stabilita una presa ferma sull’impugnatura misi il dito sul grilletto e puntai dritta alla testa di Marco. Le sue sopracciglia quasi toccarono l’attaccatura dei capelli, lo sguardo sulla canna della sua stessa arma. Spostò gli occhi su di me, sorrise e disse: «Cazzo, irlandese, sai proprio come fare l’uomo». Costrinsi gli occhi a restare aperti e il braccio a reggere la pistola. «Di’ ai tuoi uomini di farsi indietro o giuro su Dio che premo il grilletto e ti ammazzo», lo avvertii. «Non ho paura di farlo». «Resta dove sei!», sentii brontolare uno dei suoi scagnozzi. «Se non vuoi le cervella del tuo capo sparse dappertutto, ti consiglio di lasciarmi andare dalla mia ragazza o lo uccide sul serio», disse Dominic a bassa voce. «Fidati». Trent, alle spalle di Damien e Alannah, ringhiò. Si portò nel mio campo visivo e sputò verso di me, poi disse: «Sta bluffando, non è capace di premere il grilletto». «Non ci scommetterei», disse Kane. Sentii dei passi alle mie spalle. «Ehi, bellezza». Dominic, alla mia destra, scivolò sul divanetto accanto a me.
Mi tremava la mano e avevo gli occhi pieni di lacrime. «Potrei ucciderlo e fare sparire tutto, potrei». Non distolsi gli occhi da Marco, che in effetti cominciava ad apparire inquieto. «So che puoi, piccola, ma per questo pezzo di merda non ne vale la pena». Dominic allungò con precauzione una mano verso di me. Mi scostai un po’. «Vuole portarti via da me e non glielo permetterò», giurai. «Sei mio, non suo!». Sentii Dominic avvicinarsi e baciarmi su una spalla e sussurrare: «Sono già tuo, bellezza. Sempre». A quel punto mi misi a piangere. «Dammi la pistola», bisbigliò. «Così, brava». Abbassai un po’ la rivoltella, ma ce l’avevo ancora in mano quando risuonò uno sparo nella stanza. Strillai e premetti il grilletto d’istinto, le orecchie stordite da un colpo ancora più forte. Mollai la pistola e un’ondata di dolore mi attraversò il braccio. Pensai che mi avessero colpita, ma dopo un secondo capii che era stato il contraccolpo a farmi male. Quando altri spari esplosero nella stanza Dominic mi si precipitò addosso e mi coprì con il suo corpo. Mi sembrava che mi schiacciasse. Quando si spostò, annaspai in cerca d’aria, assorbendola avidamente nei polmoni. Aprii gli occhi e li sbarrai: Marco era sempre seduto davanti a me, ma si teneva una spalla e gemeva di dolore. Mi si mozzò il respiro, mi girai verso Dominic e scorsi entrambi gli uomini di Marco a terra immobili con delle macchie di sangue sul petto. Anche Trent giaceva sul pavimento, ma era vivo; lo capivo da come piangeva e si contorceva per il dolore. Riportai gli occhi su Marco, sconcertata alla vista del sangue che cominciava a inzuppare la stoffa della camicia nonostante la mano premuta sulla ferita d’arma da fuoco. Gli avevo sparato. Avevo davvero sparato a qualcuno. Oh, mio Dio. «Non volevo, mi sono spaventata e…». «Bronagh!», esclamò Dominic, interrompendomi. «Va tutto bene, piccola, andrà tutto bene». Scossi la testa. «Finiremo in prigione, quegli uomini…». «Ce ne sbarazzeremo, e anche di Marco e Trent una volta finito con loro». Girai di scatto la testa verso Kane e tremai sotto il suo sguardo duro. «Allora non finiremo nei guai?». Mi sorrise e, per qualche ragione, quel lieve sorriso da parte sua sembrò convincermi che il casino non era grande come sembrava. «Ho fatto molto più che ferire della gente per questo farabutto, Bronagh», mi assicurò. «Sta per sperimentare cosa succede quando offro i miei “servigi” fino in fondo». Ok, dimenticate quello che ho appena detto, era un casino enorme. «Nico, Kane… possiamo parlarne», disse Marco, poi gridò di dolore quando Alec girò attorno al divano per andargli a schiacciare un dito nella ferita; quasi vomitai. «Sulla lunga lista delle cose da fare, Marco, non c’è parlare con te». Oh, mio Dio. Mi sentii cadere di nuovo, ma qualcuno mi afferrò. «Porta Alannah nella stanza in cui sto portando Bronagh. Hanno l’isolamento acustico, quindi anche se si svegliano non sentiranno niente». Oh, cazzo!
Poi fui sollevata in aria e dopo un minuto o due adagiata su una superficie morbida che mi fece gemere forte. Sentii un bacio sulla fronte, poi una voce che sussurrava: «Farò sparire tutto, bellezza». «Non possiamo lasciarle per molto. Bronagh ha una commozione cerebrale e Alannah non si è più svegliata da quando uno di quegli stronzi l’ha colpita». Sentii scrocchiare delle nocche, poi Dominic che ribatteva: «Fidati di me fratello, non ci vorrà molto». «Promettimi una cosa», disse Damien. «Cosa?» «Trent lascialo a me». La mia mente scelse quel momento preciso per oscurarsi e spedirmi in un mare di tenebre.
Capitolo ventisette
«Vuoi che menta alla mia migliore amica, Dominic?», sbottai verso il mio irritante fidanzato, con Branna alle mie spalle che mi pettinava cauta i capelli. Non potevo farlo da sola, perché ogni volta che ci provavo le setole della spazzola sfregavano sulla ferita che avevo alla testa e facevano un male cane. Branna però era attenta, quindi non mi dispiaceva che lo facesse lei, ed era un caso unico. Da quando la situazione era esplosa al Darkness, una settimana prima, mi trattavano tutti come una bambola di vetro. Certo, ero stata colpita alla testa e avevo un taglio. Certo, avevo avuto una piccola commozione cerebrale. E certo ero stata picchiata ed ero stata tra le mani di uno degli uomini più pericolosi al mondo e da allora avevo avuto gli incubi su quell’esperienza, ma cazzo, non ero così fragile. Potevo affrontarlo benissimo da sola; desideravo solo che tutti gli altri se ne rendessero conto. «Non sa da cosa è stata colpita e non si è svegliata se non la mattina dopo, quindi è meglio tenerla all’oscuro di tutto». Dominic cercava di convincermi. «Capisco che è tua amica, ma meno gente sa cosa è successo meglio è. Ryder ha già tagliato i ponti con i soci di Marco. Tutti pensano che sia scomparso e visto che per anni hanno creduto Trent morto nessuno sa di lui. Ci siamo occupati dei suoi uomini di sopra e di sotto e abbiamo pulito ogni centimetro del Darkness. E comunque nessuno sapeva che era lì, dal momento che ha volato con il suo aereo privato senza farsi annunciare per coglierci di sorpresa. Una cazzata che gli si è rivoltata contro». Annuii; lo capivo, ma odiavo parlarne. Non avevo chiesto i dettagli di quella notte e non volevo sentirli. I fratelli mi avevano detto che Marco e Trent erano morti e non avevo bisogno d’altro per sentirmi al sicuro. Ogni informazione in più sul “come” avrebbe peggiorato gli incubi. «Ecco fatto», annunciò Branna. «I capelli sono a posto quindi possiamo finalmente andare a fare spese!». Gemetti. Branna era l’unica capace di buttarsi nel centro di Dublino alla vigilia di Natale. «Penso che i ragazzi capiranno se non avremo regali da fargli aprire domattina, dopo tutto quello che è successo in questa settimana». Branna mi girò attorno e mi fulminò con un’occhiata alla “chiudi il becco”, quindi eseguii. «Non mi importa se Gesù in persona si presenta a cena, andremo a prendere quei regali», affermò. «E poi, è tutto già pagato, dobbiamo solo ritirare i pacchi, punto, capito?». Feci il saluto militare. «Sì, madre». Rise e mi baciò su una spalla. Oltrepassando Dominic sulla porta della mia stanza, gli diede un colpetto con il fianco, facendolo sorridere. La guardò andarsene da sopra una spalla, al che io mi tolsi una scarpa e gliela tirai. Lo beccò dritto al centro del petto, strappandogli un’esclamazione di dolore. «Cazzo, che ho fatto?», sbottò girandosi verso di me. «Guardavi il sedere di mia sorella, bastardo pervertito!», brontolai. Sentii la risata di Branna in fondo al corridoio; Dominic sogghignò, sfregandosi i pettorali, e si
avvicinò al mio letto. Si arrampicò al mio fianco e mi strinse. Rimase in silenzio per un istante, poi disse: «Damien ha prenotato il volo». Mi accigliai; Damien tornava un’ultima volta in America per dire addio a Nala. Sapeva che non poteva farla tirare fuori dalla tomba di Trent perché avrebbe sollevato troppe domande, quindi la cosa migliore era ignorare il nome inciso sulla lapide e mettere dei fiori freschi per lei. Aveva detto che sarebbe tornato in Irlanda; me l’aveva promesso. Solo che non aveva promesso quando e questo mi rattristava, perché sapevo che non sarebbe stato tanto presto. «Lo sai che starà via per un po’, vero?», mormorai. Dominic annuì. «Lo so, non tornerà prima di qualche anno almeno, ma se lo aiuta a rimettere in ordine la sua mente, buon per lui». «E se non torna più?», sussurrai, chiudendo di scatto la bocca quando mi tremò la voce. Dominic mi strinse. «Tornerà; questa è casa nostra, Bronagh. Siamo la sua famiglia… E poi, Lana è qui, e anche se gli ha dato un calcio nelle palle ieri quando ha cercato di scusarsi per quel che aveva fatto, tornerà lo stesso per lei. Il calcio nelle palle ha messo il sigillo finale. Nessuna ragazza reggerà mai il confronto adesso». «Ancora non riesco a crederci». Sbattei le palpebre. «Lo capisco, ma non riesco a crederci». «Non so perché abbiamo questa cosa in famiglia, ma una volta che una ragazza ce le suona noi decidiamo di volerla. Tu sei un esempio eclatante, mi hai insultato dal primo giorno e mi hai dato uno schiaffo quando ho cercato di toglierti un ragno dal culo…». Lo interruppi con una gomitata nello stomaco. «Sei un pezzo di merda bugiardo. Stavi cercando di palpeggiarmi il sedere, non di togliere qualcosa!». Dominic fece spallucce e ridacchiò. «Adoro quel culo poderoso». Alzai gli occhi al cielo per scherzo. «Ho invitato Gavin per un drink della Vigilia stasera dopo la cena in famiglia, quindi dovrai comportarti al meglio o niente più sederone per te». Grugnì. «Vuoi dire che non posso pestare nessun ragazzo che ti si avvicina? Nemmeno il tuo amico?». Lo guardai e sorrisi. «Una volta finite le vacanze di Natale e tornati a scuola, puoi puntare Jason Bane e pestarlo quanto vuoi». Scoppiò a ridere. «Ti amo, piccola, anche se sei un po’ una sgualdrinella malefica». Gli feci scorrere le dita sugli addominali. «Ti amo anch’io, tesoro, anche se hai rigirato il mio mondo sottosopra». «Ma in senso buono, vero?», mormorò. Sorrisi e lo guardai. «Il migliore possibile». D’un tratto mi ribaltò sulla schiena e sogghignò, agitandomi davanti alla faccia le fossette. Strillai ridendo quando cercò di slacciarmi i pantaloni. «Non pensarci nemmeno, Nico», urlò Branna dal piano di sotto. «Usciamo fra trenta secondi quindi lasciala in pace!». Dominic mugugnò, cadde di schianto sul letto e brontolò: «Tua sorella è un’enorme ammazzacazzi di merda». Risi e mi allungai a baciarlo su una guancia. «Torno presto». «Sarà meglio», brontolò, mentre io balzavo giù dal letto e scendevo dalla mia sorellona impaziente.
«Cazzo, stiamo morendo di fame», protestò Dominic per la decima volta dal nostro ritorno, un’ora prima. Mentre preparavamo la cena, avevamo incaricato i ragazzi di incartare i regali che avevamo ritirato al posto loro. Li avevo controllati un paio di volte e li avevo trovati tutti, grandi e grossi com’erano, a brontolare sul procedimento o a far scoppiare la carta con le bollicine che gli avevamo dato. «Lamentati un’altra volta e resti senza cena», sbottai mentre versavo la salsa nella salsiera. Sentii delle mani sui fianchi e un bacio dietro al collo. «Scusa», mugugnò. «Non ti avevo mai sentito scusarti così in fretta». Branna rise alla mia destra. «Chiede perdono alla velocità della luce se figa e cibo sono in pericolo», disse Damien. Ringhiai guardando il fratello Slater coi capelli bianchi da sopra una spalla. «Sei disgustoso». Sorrise quanto glielo permetteva la faccia ancora gonfia. «Mi vuoi bene lo stesso». Le mie labbra fremettero. «Solo un pochino». Dominic ridacchiò insieme a Damien ed entrambi si avvicinarono al grande tavolo in cucina. Branna stava già disponendo piatti pieni di cibo e il profumo attirava i fratelli come una masnada di animali selvaggi. «Tocca quelle patate arrosto, Dominic, e ti sopprimo», dissi senza voltarmi. «Come sapevi che stavo per prenderne una?», domandò, sorpreso. «Perché sei impaziente e ingordo», risposi, facendolo ridere. Mi voltai e sorrisi a tutti, guardandoli prendere posto mentre io andavo ad appoggiare la salsiera su un sottopiatto. Mi sedetti accanto a Dominic e mi sciolsi quando mi strinse la mano. Osservai tutto quel cibo e feci un sorrisetto. «Non per vantarmi, ma ha un aspetto fantastico». Ryder ridacchiò. «È vero, tu e Branna avete fatto un lavoro strepitoso». Tutte e due gongolammo al complimento, sorridendo radiose quando i fratelli si dichiararono d’accordo. Damien, seduto alla mia destra, fece per prendere una patata arrosto e io gli mollai uno schiaffo sulla mano, facendo strillare lui e ridere i fratelli. «Maleducata!», sbottò. Inarcai le sopracciglia. «Disse lo scemo ingordo che prende da mangiare prima della preghiera!». Sospirò. «Scusa». Annuii e guardai gli altri. «Prendetevi per mano». Nessuno si mosse a parte Branna; sbuffai, divertita. «Non preghiamo a ogni pasto, ma Natale è diverso. E poi, dopo tutto quello che avete fatto negli ultimi anni, avete bisogno di pregare Dio». Branna ridacchiò quando i fratelli si affrettarono a intrecciare le mani e stringerle; abbassarono la testa e così mia sorella, quindi immaginai che toccasse a me dire la preghiera. «Grazie per averci benedetti con questo cibo che stiamo per ricevere e grazie per averci fatto attraversare sani e salvi tutte le tribolazioni delle ultime settimane». Sorrisi. «Grazie per avere reso di nuovo completa la famiglia mia e di Branna portando i fratelli nelle nostre vite. Ti prego tieni Damien al sicuro durante il suo viaggio in America e quando sarà pronto riportalo sano e salvo a casa da noi. Chiedo questo nel nome di Gesù. Amen». «Amen», dissero tutti in coro. Alzai gli occhi e allungai le mani verso la ciotola di purè di patate, poi mi immobilizzai, perché tutti mi fissavano. Mi sentii arrossire, mi schiarii la voce e dissi: «È sempre Branna che rende grazie, io mai. Ho fatto casino?». Dominic si chinò, mi premette una mano dietro il collo e avvicinò la mia faccia alla sua. Mi baciò a
lungo, con dolcezza. «No, bellezza, era perfetta». Sorrisi quando ci dividemmo, guardai gli altri e scoprii che tutti mi sorridevano; mi sembrò di essere sul punto di andare a fuoco quando Damien si allungò a darmi un bacio sulla guancia. «Ti voglio bene, Bee». Mi costrinsi a non piangere, ma a fatica, perché cazzo se era un momento toccante. «Ti voglio bene anch’io, Dame». Risi sentendo Alec che si schiariva la voce in modo teatrale. «E anche a te, Alec». Spostai lo sguardo su Kane e scoprii che già mi stava guardando, le sopracciglia inarcate. «Ti voglio bene, Kane, e a te, Ryder, e a te, Branna. Voglio bene a tutti voi». Risero tutti mentre altre dichiarazioni d’affetto si rincorrevano avanti e indietro, facendoci sorridere di felicità. Poi ci buttammo sul cibo e bevemmo birra mentre i ragazzi si mettevano a parlare in tono generale del futuro. Dominic voleva finire la scuola e andare al college per diventare personal trainer; Damien sarebbe tornato in America per un po’; Alec voleva restare scapolo; Kane voleva provare a mettere su qualcosa per i ragazzini della zona con il centro ricreativo abbandonato giù in città, e Ryder voleva solo sposare Branna. Un paio di volte mi fermai a guardare i visi delle persone attorno a me; tutte avevano fatto ciò che credevo impossibile: avevano piantato le tende nel mio cuore rifiutandosi di andarsene. Era la sensazione più bella del mondo. Avevo di nuovo una famiglia, una famiglia intera, ed era una vera benedizione. «Stai bene, culo poderoso?», domandò Dominic con tono provocatorio alla mia sinistra. Lo guardai; guardai oltre i lividi e vidi lui. Era perfetto; mi aveva salvata da me stessa, ed era tutto mio. Gli feci l’occhiolino. Lui sorrise. «Mai stata meglio, Facciadiculo».
Ringraziamenti
Scrivere e pubblicare da indipendente Love. Un nuovo destino ha richiesto una folla di persone, senza le quali non avrei potuto intraprendere questo viaggio. Non sarei riuscita a fare niente di tutto questo senza di voi. Mia figlia – sei tutto per me, mini-me. Ti voglio bene con tutto il cuore. Mia sorella – il genio dietro le sessioni di brainstorming a tarda notte, non sarei riuscita a fare niente di tutto questo senza di te. Sei pazza, fastidiosa e a volte geniale. Ti voglio bene! La mia famiglia – il vostro sostegno non è stato secondo a nessuno. Voglio bene a tutti voi. I miei primi lettori – Neeny Boucher e Yessi Smith, che hanno sezionato Love. Un nuovo destino un pezzetto alla volta, mi hanno fornito un feedback impressionante e mi hanno aiutata a modellarlo nella storia che è oggi. Anche se avevo un nodo allo stomaco in attesa del vostro input, avete reso fantastica la mia prima esperienza con i lettori. Grazie dal più profondo del cuore! Yessi – non posso dirti quanto mi hai aiutata durante tutto il processo. Dalle conversazioni casuali alle risposte alle domande infinite da novellina del libro, sei stata straordinaria. Sarei stata persa senza di te. Jennifer Van Wyk della JaVa Editing per l’editing. Grazie tante. Jenny della Editing4Indies per la revisione delle bozze! Grazie di tutto! L.J. Anderson della Mayhem Cover Creations per avere creato una copertina di cui mi sono innamorata. Ultimi, ma mai ultimi, i miei lettori. Spero che vi sia piaciuta la storia di Dominic e Bronagh quanto io ho adorato scriverla. State in campana per i prossimi libri della serie Love. Non ho assolutamente finito con loro ;-)
Indice
Capitolo uno Capitolo due Capitolo tre Capitolo quattro Capitolo cinque Capitolo sei Capitolo sette Capitolo otto Capitolo nove Capitolo dieci Capitolo undici Capitolo dodici Capitolo tredici Capitolo quattordici Capitolo quindici Capitolo sedici Capitolo diciassette Capitolo diciotto Capitolo diciannove Capitolo venti Capitolo ventuno Capitolo ventidue Capitolo ventitré Capitolo ventiquattro Capitolo venticinque Capitolo ventisei Capitolo ventisette Ringraziamenti
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