04 Sylvia Day - In Gioco Per Te
May 2, 2017 | Author: Elena Szilagyi | Category: N/A
Short Description
IN GIOCO PER TE...
Description
Il libro Gideon mi dice che sono il suo
angelo, ma è lui a essere il vero miracolo nella mia vita. Il mio meraviglioso guerriero ferito, tanto determinato a sconfiggere i demoni del mio passato quanto deciso a non affrontare i suoi. Le promesse che ci siamo scambiati avrebbero dovuto legarci più di carne e sangue, invece hanno aperto vecchie ferite, ci hanno esposto al dolore
e all’insicurezza e hanno permesso ai nostri acerrimi nemici di venire allo scoperto. Sento che Gideon mi sta sfuggendo, la mia più grande paura sta diventando realtà, il mio amore è messo alla prova in un modo che non sono sicura di riuscire a
sopportare. Nel momento più luminoso della nostra storia, l’oscurità del suo passato ha invaso e compromesso tutto ciò per cui avevamo combattuto. Ci troviamo di fronte a una scelta terribile: la sicurezza delle vite che avevamo prima di conoscerci o la
lotta per un futuro che improvvisamente sembra un sogno impossibile e senza speranza...
L’autrice Numero 1 nella classifica del “New York Times” e
dei bestseller internazionali, Sylvia Day è autrice di oltre venti romanzi pluripremiati e tradotti in più di quaranta paesi. È stata al primo posto nelle classifiche di ventitré paesi e i suoi libri, complessivamente, hanno venduto
più di dieci milioni di copie. I diritti televisivi della serie “Crossfire”, la più amata dalle sue lettrici, sono stati opzionati da Lionsgate. Dell’autrice, Mondadori ha pubblicato inoltre Sette anni di peccato, Orgoglio e piacere e Marito
amante. Visitate le pagine dell’autrice: www.sylviaday.com facebook.com/authorsylviaday twitter.com/sylday Sylvia Day
IN GIOCO PER TE Traduzione di Eloisa Banfi e Bianca Noris In gioco per te Questo libro è dedicato a tutti i lettori che hanno atteso con pazienza il nuovo
capitolo della storia di Gideon e Eva. Spero che l’amiate tanto quanto l’amo io! Ringraziamenti Innumerevoli persone hanno dato il loro contributo affinché potessi scrivere, rispettare i miei impegni e rimanere sana di mente. Grazie a Hilary Sares, che mi tiene in carreggiata rivedendo ogni mio libro a mano a mano che procedo. Conto su di te più di quanto tu sappia.
Grazie a Kimberly Whalen, agente straordinaria, per tutto quello che fai, ma specialmente per il tuo sostegno. Ti sono grata ogni giorno. Grazie a Samara Day per tutto lo stress di cui mi liberi. Non posso immaginare quanto sarei indietro senza di te. Grazie
ai miei figli, che sopportano di stare senza di me per lunghi periodi mentre lavoro (con tutti gli inconvenienti che ne derivano). Non potrei fare quello che faccio senza il vostro appoggio. Vi amo. Grazie a tutta la straordinaria squadra della Penguin Random House:
Cindy Hwang, Leslie Gelbman, Alex Clarke, Tom Weldon, Rick Pascocello, Craig Burke, Erin Galloway, Francesca Russell, Kimberley Atkins… e questo solo per rimanere negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Ci sono squadre validamente all’opera in Australia, Irlanda, Canada, Nuova Zelanda,
India e Sudafrica. Sono grata a tutti voi per il tempo e gli sforzi che dedicate alla pubblicazione dei miei libri. Grazie a Liz Pearsons e alla squadra della Brilliance Audio per avere realizzato audiolibri che hanno suscitato l’entusiasmo del pubblico. E grazie ai miei editori in tutto il mondo, che lavorano senza sosta nei loro Paesi. Vorrei potervi ringraziare tutti personalmente. Per
favore, sappiate che mi sento fortunata a lavorare con voi. 1 Un pungente scroscio di acqua gelida mi martellava il corpo sovreccitato, disperdendo i frammenti indistinti di un incubo. Chiusi gli occhi e mi lasciai investire dal getto, desiderando che la nausea
e la paura si avvolgessero nel gorgo ai miei piedi. Fui scosso da un brivido e pensai a mia moglie, il mio angelo che dormiva tranquillo nell’appartamento accanto. Avevo bisogno di lei, volevo perdermi in lei e odiavo non poterlo fare, non
poterla tenere stretta, non poter avere il suo splendido corpo sotto il mio per affondarvi dentro, lasciando che le sue carezze scacciassero i ricordi. «Cazzo.» Premetti il palmo delle mani contro le piastrelle fredde e lasciai che il gelo doloroso dell’acqua mi entrasse nelle ossa.
Ero uno stronzo egoista. Se fossi stato un uomo migliore, avrei lasciato perdere Eva Cross nell’istante in cui l’avevo vista. Invece l’avevo sposata e avrei voluto che tutti sapessero del nostro matrimonio, invece di tenerlo nascosto come un segreto noto solo a pochissimi. E la cosa peggiore era che, dal momento che
non avevo intenzione di lasciarla andare, dovevo trovare un rimedio al maledetto casino della mia vita che non ci permetteva nemmeno di dormire insieme nella stessa stanza. Mi insaponai, lavando via il sudore appiccicoso. Nel giro di pochi minuti uscii dal bagno ed entrai in camera, dove mi infilai un paio di
pantaloni della tuta per poi passare nello studio. Non erano ancora le sette del mattino. Un paio d’ore prima avevo lasciato l’appartamento che Eva condivideva con il suo migliore amico, Cary Taylor, perché dormisse un po’ prima di andare al lavoro. Avevamo fatto l’amore tutta la notte, spinti dal bisogno e dal
desiderio. Ma c’era stato anche qualcos’altro: un’urgenza da parte di Eva, che mi tormentava e mi faceva sentire a disagio. Qualcosa preoccupava mia moglie. Lasciai vagare lo sguardo sulla finestra e sul panorama
di Manhattan, poi fissai la parete vuota nello stesso punto in cui nel mio studio del nostro attico sulla Fifth Avenue erano appese foto di noi. Riuscivo a immaginare distintamente quel collage: negli ultimi mesi l’avevo
guardato un’infinità di volte. Abbracciare con lo sguardo la città era stato il mio modo, un tempo, di delimitare il mio mondo; adesso lo facevo contemplando Eva. Mi misi alla scrivania, mossi il mouse per riattivare il computer, e feci un profondo sospiro quando il viso di mia moglie riempì lo schermo. In quella foto non era truccata e
una spruzzata di lentiggini chiare sul naso la faceva sembrare ancora più giovane dei suoi ventiquattro anni. Lasciai scivolare lo sguardo sui suoi lineamenti: la curva delle sopracciglia, la luminosità degli occhi grigi, la pienezza delle labbra.
Nei momenti in cui mi lasciavo andare al pensiero riuscivo quasi a sentire quelle labbra sulla pelle. I suoi baci erano benedizioni, promesse dell’angelo che aveva reso la mia vita degna di essere vissuta. Respirai con decisione e presi il telefono, richiamando il numero di Raúl Huerta. Nonostante fosse
ancora mattino presto, rispose subito. «Mrs Cross e Cary Taylor andranno a San Diego oggi» dissi, stringendo il pugno a quel pensiero. Non dovevo aggiungere altro. «Ricevuto.» «Voglio una foto recente di Anne Lucas e un resoconto dettagliato sulla mia scrivania entro
mezzogiorno di dov’era ieri sera.» «Al più tardi» garantì. Chiusi la telefonata e fissai il volto splendido e attraente di Eva. L’avevo sorpresa in un momento felice in cui aveva la guardia abbassata: avrei fatto di tutto perché rimanesse così per il resto della vita. Ma ieri sera era stata sconvolta da un possibile scontro con una donna che una volta avevo usato. Era da un po’ che non incontravo Anne, ma se avesse
infastidito mia moglie, mi avrebbe rivisto, e presto. Guardai la posta in arrivo e cominciai a scorrere le e-mail, scrivendo una rapida risposta quando necessario e cercando di arrivare velocemente al messaggio il cui oggetto aveva attirato la mia attenzione fin dal primo momento. Avvertii la presenza di Eva
ancora prima di vederla. Alzai la testa e rallentai il frenetico digitare sulla tastiera. Un’improvvisa fitta di desiderio placò l’ansia che provavo ogni volta che non ero con lei. Mi appoggiai allo schienale della sedia per godermi meglio la visione. «Ti sei alzata presto, angelo.» Eva era in piedi sulla soglia con la sua copia delle chiavi in mano, i capelli biondi arruffati sulle spalle in modo sexy, le guance e le labbra
arrossate per il sonno e il corpo sinuoso coperto da una canotta e un paio di shorts. Non indossava il reggiseno e il suo seno stupendo premeva delicatamente contro il cotone a coste della maglia. Minuta e fatta apposta per far cadere un uomo in ginocchio, sottolineava spesso quant’era diversa dalle donne con cui ero stato fotografato prima di lei. «Mi sono svegliata sentendo la tua mancanza» ribatté con quella
voce gutturale che me lo faceva sempre diventare duro. «Da quanto sei in piedi?» «Da non molto.» Feci rientrare il cassetto della tastiera per fare posto a Eva sulla scrivania. Si avvicinò lentamente a piedi nudi, seducendomi con naturalezza. Fin dal primo momento in cui l’avevo vista avevo capito che mi avrebbe rovinato: lo dicevano i suoi occhi e il modo in cui si muoveva. Ovunque andasse gli uomini la
fissavano, la desideravano, proprio come succedeva a me. Quando fu abbastanza vicina, la afferrai per la vita e la feci sedere sulle mie ginocchia invece che sulla scrivania. Piegai la testa e le presi in bocca un capezzolo, cominciando a succhiarlo lentamente e con decisione. Udendola ansimare e sentendo il suo corpo reagire con un fremito, sorrisi tra me e me. Potevo farle quello che volevo: Eva me ne aveva dato la facoltà,
facendomi il più bel regalo che avessi mai ricevuto. «Gideon.» Mi passò le mani tra i capelli. Mi sentivo già infinitamente meglio. Alzai la testa e la baciai: il gusto alla cannella del dentifricio si mescolava a quel suo inconfondibile sapore. «Mmh?» Mi toccò il viso, frugandomi con lo sguardo. «Hai avuto un altro incubo?»
Respirai in fretta. Riusciva sempre a vedermi dentro, una cosa a cui non ero sicuro di potermi abituare. «Di che si trattava?» Feci una smorfia di fronte alla sua ostinazione. «Non ricordo.» «Gideon…» «Lascia perdere, angelo.» Eva si irrigidì. «Volevo solo
aiutarti.» «Sai in che modo farlo.» Lei ridacchiò. «Demonio del sesso.» L’abbracciai stretta. Non riuscivo a trovare le parole per dirle la sensazione che mi dava tenerla tra le braccia, così le strofinai il naso sul collo, inspirando il profumo della sua pelle, che tanto amavo. «Asso.» Qualcosa nel tono della sua voce mi mise in allerta. Mi scostai
lentamente, facendole scorrere lo sguardo sul volto. «Dimmi.» «A proposito di San Diego…» Abbassò gli occhi e si mordicchiò il labbro inferiore. Rimasi in silenzio, in attesa di capire che piega avrebbe preso la conversazione. «Ci saranno anche i Six-Ninths.» Non aveva cercato di nascondere quello che già sapevo, il che era un sollievo, ma c’era qualcos’altro che mi fece irrigidire.
«Mi stai dicendo che è un problema.» Parlai con voce ferma, anche se ero tutt’altro che calmo. «No, non è un problema» ribatté lei dolcemente, ma le sue dita si muovevano senza posa tra i miei capelli, arruffandoli. «Non mentirmi.» «Non mento.» Fece un profondo respiro e mi guardò. «C’è qualcosa che non va. Sono confusa.» «A che proposito, esattamente?» «Non fare così» rispose con
calma. «Non diventare così freddo e non escludermi.» «Devi perdonarmi, ma sentire mia moglie che mi racconta che è confusa da un altro uomo non mi mette di buonumore.» Eva si divincolò e si allontanò da me, e io la lasciai andare, per poterla osservare – valutare – a una certa distanza. «Non so come spiegarlo.» Ignorai volutamente il nodo gelido che mi chiudeva la gola.
«Provaci.» «È che…» Ancora una volta, abbassò lo sguardo e si mordicchiò il labbro inferiore. «C’è qualcosa… che non è ancora chiuso.» Una morsa incandescente mi strinse il petto. «Lui ti eccita, Eva?» Lei si irrigidì. «Non è quello.» «È la sua voce? I suoi tatuaggi? Il suo pene favoloso?» «Basta! Non è facile parlare di questo argomento. Non complicare le cose.»
«È maledettamente difficile anche per me» sbottai, alzandomi. La squadrai dalla testa ai piedi, desiderando scoparla e punirla al tempo stesso. Avrei voluto legarla, chiuderla a chiave, preservarla da chiunque potesse minacciare il potere che avevo su di lei. «Ti ha trattata da schifo, Eva. Vedere il video di Ragazza d’oro te l’ha fatto dimenticare? Senti il bisogno di
qualcosa che io non ti sto dando?» «Non dire idiozie.» Incrociò le braccia, un atteggiamento difensivo che mi fece infuriare ancora di più. Avevo bisogno che fosse sincera e dolce. Avevo un assoluto bisogno di lei. A volte il pensiero di quanto significava per me mi faceva impazzire. Era l’unica cosa che non potevo immaginare di perdere, e stava dicendo l’unica cosa che non potevo sopportare di ascoltare. «Per
favore, non essere sgradevole» sussurrò. «Mi sto comportando in modo molto civile, considerando quanto mi sento violento in questo momento.» «Gideon.» Il rimorso le incupì gli
occhi grigi, e spuntarono le lacrime. Distolsi lo sguardo. «Non farlo!» Ma lei mi vide dentro come faceva sempre. «Non intendevo ferirti.» Il diamante al suo anulare – la rivendicazione del mio diritto su di lei – intercettò un raggio di luce e proiettò bagliori
colorati sulla parete. «Non sopporto di vederti sconvolto e arrabbiato con me. È una cosa che ferisce anche me, Gideon. Io non voglio lui, te lo giuro.» Mi avvicinai alla finestra, cercando di ritrovare la calma di cui avevo bisogno per affrontare il
pericolo rappresentato da Brett Kline. Avevo fatto tutto quello che potevo: avevo pronunciato i voti nuziali, le avevo messo l’anello al dito, l’avevo legata a me in ogni modo. Ma non era ancora abbastanza. La città si stendeva davanti a me, la visuale bloccata da edifici più
alti. Dal mio attico lo sguardo spaziava per chilometri, ma dall’appartamento nell’Upper West Side che avevo preso accanto a quello di Eva la vista era limitata; non riuscivo a vedere le strade intasate di taxi gialli che si snodavano all’infinito come nastri né la luce del sole riflessa dalle finestre dei grattacieli.
Avrei potuto dare a Eva New York. Avrei potuto darle il mondo. Ma non avrei potuto amarla più di quanto l’amavo; mi consumava. E tuttavia uno stronzo emerso dal suo passato si stava dando da fare per tagliarmi fuori. La ricordavo tra le braccia di Kline, mentre lo baciava con un abbandono che avrebbe dovuto provare solo per me. La possibilità che lo desiderasse ancora mi faceva venire voglia di spaccare qualcosa.
Strinsi il pugno con forza, facendo sbiancare le nocche. «Dobbiamo già prenderci una pausa? Prenderci del tempo in modo che Kline ti liberi dalla confusione? Forse dovrei fare la stessa cosa con Corinne, aiutandola
ad affrontare la sua, di confusione.» Eva fece un sospiro tremante nel sentire il nome della mia ex fidanzata. «Dici sul serio?» Ci fu un terribile momento di silenzio. Poi… «Complimenti, testa di cazzo, mi hai appena ferita più di quanto lui abbia mai fatto.» Mi girai in tempo per vederla uscire a grandi passi dalla stanza, con la schiena rigida e tesa. Aveva abbandonato sulla scrivania le
chiavi con cui era entrata e quella vista mi suscitò una reazione disperata. «Fermati!» La afferrai e lei si divincolò, secondo un copione ormai familiare nei nostri rapporti: Eva che scappava e io che la inseguivo. «Lasciami andare!» Chiusi gli occhi e premetti il viso
contro il suo. «Non permetterò che lui ti abbia.» «Sono così arrabbiata con te, adesso, che potrei colpirti.» Avrei voluto che lo facesse. Avrei voluto provare dolore. «Colpiscimi.» Mi artigliò le braccia. «Lasciami andare, Gideon.» La inchiodai contro la parete del corridoio. «Che cosa dovrei fare, secondo te, quando mi dici che sei confusa a proposito di Brett Kline? Mi sento come se fossi in bilico
sull’orlo di un precipizio e stessi perdendo la presa.» «Così intendi fare a pezzi me per resistere? Perché non capisci che non andrò da nessuna parte?» La fissai, cercando di pensare a cosa dire per sistemare le cose tra noi. Il suo labbro inferiore cominciò a tremare… e io mi sciolsi. «Dimmi cosa devo fare» la supplicai con voce
roca, afferrandole i polsi ed esercitando una leggera pressione. «Dimmelo.» «Cosa fare con me, intendi?» Raddrizzò le spalle. «Perché qui quella sbagliata sono io. Ho conosciuto Brett durante un periodo della mia vita in cui odiavo me stessa ma volevo che gli altri mi amassero, e adesso lui si comporta come avrei voluto che facesse allora e mi manda in tilt.» «Accidenti, Eva.» Premetti il mio
corpo contro il suo. «Come potrei non sentirmi minacciato da questo?» «Dovresti fidarti di me. Te ne ho parlato perché volevo evitare che ti arrivassero strane voci e che tu saltassi alle conclusioni. Ho voluto essere onesta su questo proprio perché tu non ti sentissi minacciato. So di avere un po’ di problemi da
risolvere dentro di me. Andrò dal dottor Travis questo weekend e…» «Gli strizzacervelli non sono la panacea!» «Non urlare.» Repressi l’impulso di sferrare un pugno contro la parete alle sue spalle. La fiducia cieca che mia moglie riponeva nella psicoterapia mi irritava da morire.
«Non correremo da un maledetto dottore ogni volta che abbiamo un problema. In questo matrimonio ci siamo io e te, non la dannata comunità psichiatrica!» Eva sollevò il mento, assumendo quell’espressione determinata che mi faceva impazzire. Non mi
concedeva mai nulla, a meno che il mio cazzo non fosse dentro di lei. Allora mi concedeva tutto. «Tu puoi anche pensare di non avere bisogno di aiuto, asso, ma io so di averne bisogno.» «Ciò di cui ho bisogno sei tu.» Le presi il viso tra le mani. «Ho bisogno di mia moglie, e ho bisogno che lei pensi a me e non a un altro uomo!» «Mi stai facendo desiderare di non averti detto nulla.»
Sogghignai. «Sapevo come ti sentivi. L’ho visto.» «Oddio. Geloso, pazzo che non sei altro…» mormorò dolcemente. «Perché non capisci quanto ti amo? Brett non ha niente più di te. Niente. Ma francamente non voglio stare con te in questo momento.» Avvertii la sua resistenza, l’urgenza del suo impulso a fuggire.
Mi aggrappai a lei come a un’àncora di salvezza. «Non vedi che cosa mi stai facendo?» Eva si rilassò tra le mie braccia. «Non ti capisco, Gideon. Come puoi spegnere i tuoi sentimenti semplicemente premendo un interruttore? Sapendo cosa penso di
Corinne, come hai potuto buttarmela in faccia in quel modo?» «Sei la ragione per cui respiro, non posso spegnerla.» Le sfiorai una guancia con la bocca. «Non penso ad altro che a te, tutto il giorno, tutti i giorni. Ogni cosa che faccio la faccio avendo in mente te. Non c’è spazio per nessun altro. Mi uccide che in te ci sia spazio per
lui.» «Tu non ascolti.» «Basta che tu stia alla larga da lui.» «Questo significa eludere il problema, non risolverlo.» Mi affondò le dita nei fianchi. «Sono a pezzi, Gideon, lo sai. Sto cercando di rimettere insieme i frammenti.» L’amavo così com’era. Perché
non bastava? «Grazie a te sono più forte di quanto sia mai stata» proseguì «ma ci sono ancora delle crepe e quando le trovo devo capire che cosa le ha prodotte e come sistemarle, per sempre.» «Che cazzo significa?» Le mie mani si insinuarono sotto la sua canotta, cercando la pelle nuda. Lei si irrigidì e mi respinse. «Gideon, no…» Premetti la mia bocca sulla sua,
poi la sollevai e la distesi a terra. Lei si divincolò e io grugnii: «Non respingermi». «Non puoi semplicemente fottertene dei nostri problemi.» «Io voglio solo fottere te.» Infilai i pollici nell’elastico dei suoi shorts e glieli abbassai. Non vedevo l’ora di essere dentro
di lei, di possederla, di sentirla arrendersi. Tutto pur di far tacere la voce nella mia testa che mi diceva che avrei fatto una cazzata, di nuovo, e che stavolta non sarei stato perdonato. «Lasciami.» Eva rotolò sulla pancia. Quando tentò di strisciare via le circondai i fianchi con le braccia. Poteva liberarsi di me come si era
allenata a fare e poteva interrompermi con una parola. La sua parola di sicurezza… «Crossfire.» Si raggelò al suono della mia voce e dell’unica parola destinata a trasmettere il vortice di emozioni con cui mi distruggeva. Fu nel pieno di quella tempesta
che scattò qualcosa. Una violenta e familiare quiete esplose in me, mettendo a tacere il panico che faceva vacillare la mia sicurezza. Rimasi immobile, per assorbire l’improvvisa assenza di ansia. Era passato molto tempo dall’ultima volta in cui avevo avvertito il frastornante passaggio dal caos al controllo. Solo Eva riusciva a scuotermi così profondamente,
rimandandomi in modo traumatico al tempo in cui ero in balia di tutto e di tutti. «Tu la smetterai di combattermi» le dissi con calma «e io chiederò scusa.» Si rilassò tra le mie braccia. La sua sottomissione fu totale e rapida. Avevo avuto la meglio ancora una volta. La tirai su e la feci sedere sulle mie ginocchia. Aveva bisogno che io avessi
il controllo. Quando vacillavo, lei andava nel panico, il che non faceva che peggiorare le cose. Era un circolo vizioso e io dovevo imparare a padroneggiarlo meglio. «Scusami.» Mi dispiaceva averla ferita e aver perso il controllo della situazione. Ero nervoso a causa dell’incubo – cosa che lei aveva intuito – e l’essere messo di fronte
al problema di Kline subito dopo non mi aveva dato il tempo di recuperare la lucidità. Avrei fatto i conti con lui e avrei tenuto una presa salda su di lei. Punto. Non c’erano alternative. «Ho bisogno del tuo sostegno, Gideon.» «E io ho bisogno che tu gli dica che sei sposata.» Avvicinò la testa alla mia guancia. «Lo farò.» La misi seduta a cavalcioni delle
mie gambe, poi mi appoggiai con la schiena alla parete e me la tirai più vicina. Lei mi circondò il collo con le braccia e il mio mondo riprese a girare per il verso giusto. Fece scivolare una mano sul mio petto. «Asso…» Conoscevo bene la sfumatura adulatoria nel suo tono. Mi venne duro all’istante e il sangue mi bruciò nelle vene. La sottomissione la eccitava e quella reazione mi metteva il fuoco addosso come
nient’altro. Le infilai una mano fra i capelli, afferrando le morbide ciocche dorate e stringendole nel pugno, e osservai i suoi occhi socchiudersi alla sensazione di quel lieve strattone. Era prigioniera e alla mia mercé, e la cosa le piaceva moltissimo. Ne aveva bisogno, proprio come ne avevo bisogno io. Le presi la bocca. Poi presi lei. Mentre Angus ci accompagnava
al lavoro in macchina, diedi una scorsa all’agenda degli appuntamenti e mi occupai del volo di mia moglie alle otto e mezzo. Le lanciai un’occhiata. «Prenderai uno dei jet per la California.» Eva stava guardando la città dal finestrino con il solito
vivo interesse. Si girò verso di me. Io ero nato a New York e cresciuto nei dintorni della città, che avevo finito per sentire mia, tanto che a un certo punto avevo smesso di prestarvi attenzione; ma l’interesse e la gioia con cui Eva la viveva me l’avevano fatta ritrovare. Pur non osservando la città con
l’intensità di mia moglie, la vedevo comunque in modo nuovo. «Ah, sì?» ribatté lei in tono di sfida, mentre i suoi occhi tradivano l’attrazione per me. Il suo sguardo da “scopami” mi teneva costantemente in allerta. «Sì.» Chiusi la custodia del tablet. «È più veloce, confortevole e sicuro.» Lei sorrise. «Va bene.» Quel pizzico di divertita presa in giro mi affascinò, mi fece venire
voglia di farle cose perverse e oscene fino a ottenere la sua completa resa. «Dovrai dirlo a Cary» proseguì e accavallò le gambe, rivelando il bordo di pizzo delle calze e uno scorcio della giarrettiera. Indossava una camicia rossa senza maniche, una gonna bianca e scarpe con il tacco alto, una mise da ufficio perfetta a cui il corpo che vi stava dentro conferiva una sensualità discreta. Una scarica
elettrica crepitò tra noi, la prova istintiva che eravamo fatti l’uno per l’altra. «Chiedimi di venire con te» dissi, detestando l’idea che fosse lontana per tutto il weekend. Il suo sorriso svanì. «Non posso. Se devo cominciare a dire alla gente che siamo sposati, il primo è Cary e non posso farlo se ci sei anche tu. Non voglio che abbia l’impressione di essere tagliato fuori dalla vita che sto costruendo con
te.» «Nemmeno io voglio essere tagliato fuori.» Intrecciò le sue dita alle mie. «Passare un po’ del nostro tempo libero con gli amici non ci toglie nulla come coppia.» «Io preferisco passare il mio tempo con te. Sei la persona più interessante che conosco.» Mi fissò con gli occhi spalancati, poi si mosse con la velocità di un fulmine, tirandosi su la gonna e
mettendosi a cavalcioni delle mie gambe prima che io avessi il tempo di capire quello che stava facendo. Mi prese il volto tra le mani, premette la bocca carnosa sulla mia e mi baciò perdutamente. «Mmh» gemetti, non appena si staccò da me senza fiato, e affondai le dita nelle curve generose del suo stupendo sedere. «Fallo di nuovo.» «Sono così eccitata adesso» ansimò, passandomi un pollice sulle labbra per pulirle dal rossetto.
«Perfetto.» La sua risata roca mi avvolse. «Mi sento da favola!» «Meglio che nel corridoio?» La sua gioia era contagiosa. Se avessi potuto fermare il tempo, lo avrei fatto in quel momento. «È una sensazione diversa.» Le sue dita mi danzavano sulle spalle. Era … radiosa quando era felice e illuminava tutto ciò
che la circondava, me compreso. «È stato il complimento più bello, asso, soprattutto perché veniva da quel Gideon Cross. Tu incontri persone interessanti ogni giorno.» «E vorrei che sparissero tutte per ritornare da te.» I suoi occhi brillarono. «Oddio, ti amo tanto da stare male.» Mi tremavano le mani, così le nascosi sotto le sue cosce perché
non se ne accorgesse, e mi guardai intorno in cerca di qualcosa a cui potermi aggrappare. Se solo avesse saputo l’effetto che avevano avuto su di me le sue parole. Mi abbracciò. «Voglio che tu faccia qualcosa per me» mormorò. «Qualunque cosa. Tutto.» «Diamo una festa.» Colsi al volo quell’opportunità di cambiare argomento… «Magnifico! Installerò l’altalena.»
Eva si scostò da me, dandomi un colpetto scherzoso sulla spalla. « N o n quel genere di festa, demonio.» «Che peccato» sospirai. Mi lanciò un’occhiata maliziosa. «Che ne dici se ti prometto l’altalena in cambio della festa?» «Adesso sì che ci intendiamo!» Mi misi comodo, godendomi Eva
immensamente. «Dimmi che cos’hai in mente.» «Alcol e amici, tuoi e miei.» «Va bene.» Considerai le possibilità. «Vedo i tuoi “alcol e amici” e rilancio con una sveltina in qualche angolo buio nel frattempo.» Eva deglutì rapidamente e io sorrisi tra me e me. Conoscevo bene il mio angelo. Assecondare il
suo segreto esibizionismo era una cosa completamente nuova per me e anche se, quando ci pensavo, ancora me ne stupivo, non mi dispiaceva affatto. Non c’era nulla che non avrei fatto per quei momenti in cui l’unica cosa che contava per lei era essere riempita dal mio pene. «Sei un abile negoziatore» disse. «Proprio così.» «Okay, allora.» Si passò la lingua sulle labbra. «Vedo la tua sveltina e
rilancio con una sega sotto il tavolo.» Inarcai le sopracciglia. «Vestita» ribattei. Un suono che ricordava le fusa di un gatto riecheggiò nell’abitacolo. «Penso che tu abbia bisogno di una messa a punto, Mr Cross.» «Penso che dovrai lavorare di più per convincermi, Mrs Cross.» Fu, come sempre, la trattativa più entusiasmante del giorno. Ci separammo al ventesimo
piano, quando Eva uscì dall’ascensore nell’atrio della Waters, Field & Leaman. Ero deciso ad assumerla nel mio team e a farla lavorare per me: si trattava di un obiettivo che perfezionavo ogni giorno. Quando arrivai in ufficio, il mio
assistente era già alla sua scrivania. «Buongiorno» mi salutò Scott, alzandosi in piedi mentre mi avvicinavo. «Quelli delle pubbliche relazioni hanno chiamato pochi minuti fa. Sono sommersi da un’insolita quantità di domande su un presunto fidanzamento tra lei e Miss Tramell e vorrebbero sapere come rispondere.» «Sarà bene che confermino.» Gli passai accanto
e mi diressi all’appendiabiti nell’angolo dietro la mia scrivania. Lui mi seguì. «Congratulazioni.» «Grazie.» Mi tolsi la giacca e la appesi a un gancio. Quando lo guardai di nuovo, Scott aveva un sorriso da un orecchio all’altro. Scott Reid gestiva una miriade di incarichi per me con silenzioso zelo, cosa che induceva spesso gli altri a
sottovalutarlo e consentiva a lui di passare inosservato. In più di un’occasione le sue dettagliate osservazioni sulle persone si erano dimostrate molto perspicaci e così io lo strapagavo per il suo ruolo per evitare che se ne andasse. «Miss Tramell e io ci sposeremo prima della fine dell’anno» gli dissi. «Tutte le richieste di foto e interviste a entrambi
devono passare attraverso la Cross Industries. Comunicalo anche alla sicurezza al pianoterra. Nessuno deve avvicinarsi a Miss Tramell senza prima essere passato da me.» «Lo farò. Un’altra cosa: Mr Madani ha chiesto di essere avvisato del suo arrivo perché
vorrebbe parlarle qualche minuto prima della riunione di stamattina.» «Quando lui è pronto, io ci sono.» «Ottimo» disse Arash Madani, entrando nell’ufficio. «C’era un tempo in cui eri qui prima delle sette. Stai battendo la fiacca, Cross.» Gli lanciai uno sguardo tra l’ammonitore e l’indulgente. Arash viveva per il lavoro ed era dannatamente in gamba, motivo
per cui lo avevo assunto portandolo via al suo precedente datore di lavoro. Era l’avvocato più tenace in cui mi fossi mai imbattuto e negli anni non si era smentito. Gli feci segno di accomodarsi su una delle sedie davanti alla mia scrivania e mi sedetti al mio posto osservandolo. L’abito blu scuro era semplice ma fatto su misura e i capelli neri ondulati erano domati da un taglio accurato. Dagli occhi scuri
traspariva un’intelligenza acuta e il suo sorriso era più un avvertimento che un saluto. Oltre che un dipendente era un amico e apprezzavo il fatto che non si perdesse in stronzate. «Abbiamo ricevuto un’offerta di tutto rispetto per la proprietà sulla Trentaseiesima» disse. «Ah, sì?» Per un attimo un groviglio di emozioni mi trattenne dall’aggiungere altro. L’hotel che
Eva detestava sarebbe stato un problema finché fosse rimasto di mia proprietà. «Bene.» «È curioso» replicò, accavallando le gambe, «vista la lentezza con cui il mercato si sta riprendendo. Ho dovuto scavare un bel po’, ma alla fine è emerso che l’offerta viene da una controllata della LanCorp.» «Interessante.» «Sfacciata. Landon sa che l’unica altra offerta
degna di considerazione è parecchio più bassa… circa una decina di milioni. Consiglio di ritirare la proprietà dal mercato e di ritornarci fra un anno o due.» «No.» Liquidai il suggerimento con un cenno della mano e mi appoggiai allo schienale della sedia. «Lascia che se la compri.» Arash sbatté le palpebre. «Mi prendi in giro? Perché hai tanta
fretta di liberarti di quell’hotel?» “Perché non posso tenerlo senza ferire mia moglie.” «Ho le mie ragioni.» «È la stessa risposta che mi hai dato anni fa quando ti avevo consigliato di venderlo e tu invece hai scelto di investirci milioni per ristrutturarlo, una spesa dalla quale sei finalmente rientrato. E adesso hai intenzione di liberarti dell’hotel in un mercato ancora instabile per darlo a un tizio che vuole la tua
testa?» «Non è mai un cattivo momento per vendere immobili a Manhattan.» E di sicuro non era un cattivo momento per sbarazzarsi di qualcosa che Eva chiamava il mio “scannatoio”. «Ci sono momenti migliori: lo sai tu, come lo sa Landon. Se vendi a lui, non farai che incoraggiarlo.»
«Bene. Magari alzerà la posta.» Ryan Landon aveva un interesse personale e io non ce l’avevo con lui. Mio padre aveva praticamente fatto a pezzi il patrimonio della sua famiglia e lui voleva che un Cross pagasse per questo. Non era il primo né l’ultimo uomo d’affari che mi perseguitava a causa di mio padre, ma era il più tenace, ed era abbastanza giovane da avere un sacco di tempo da dedicare a quel compito.
Guardai la foto di Eva sulla mia scrivania. Tutte le altre considerazioni erano secondarie. «Ehi» disse Arash alzando le mani in segno di finta resa «sono affari tuoi. Ho solo bisogno di sapere se le regole sono cambiate.» «Non è cambiato nulla.» «Se ne sei convinto, Cross, sei più fuori dal gioco di quanto
pensassi. Mentre Landon trama la tua rovina, tu te ne stai sdraiato in spiaggia.» «Smettila di rimproverarmi perché mi sono preso un weekend di vacanza, Arash.» L’avrei rifatto subito. I giorni che avevo trascorso con Eva negli Outer Banks erano stati il sogno più bello che mi fossi mai concesso di fare. Mi alzai dalla sedia e mi avvicinai
alla finestra. La LanCorp aveva sede in un grattacielo a due isolati di distanza e dal suo ufficio Ryan Landon si godeva una vista privilegiata del Crossfire. Sospettavo che
ogni giorno passasse diversi minuti a fissare il mio ufficio e a pianificare la mossa successiva. Di tanto in tanto, lo fissavo a mia volta e lo sfidavo a giocare più duro. Mio padre era un criminale che aveva distrutto innumerevoli vite. Era anche l’uomo che mi aveva insegnato ad andare in bicicletta e a usare il mio nome con orgoglio. Non potevo salvare la reputazione
di Geoffrey Cross, ma di sicuro potevo proteggere quello che avevo costruito sulle sue ceneri. Arash mi raggiunse alla finestra. «Non voglio dire che non mi imbucherei da qualche parte con una ragazza come Eva Tramell, se potessi, ma porterei il mio dannato cellulare con me, soprattutto nel bel mezzo di una trattativa con un’alta posta in gioco.» Ricordando il
sapore del cioccolato fuso sulla pelle di Eva, pensai che un uragano avrebbe potuto scoperchiare il tetto senza che io me ne accorgessi. «Quasi quasi mi fai pena.» «L’acquisizione di quel software da parte della LanCorp ti ha fatto perdere anni di ricerca e sviluppo. E ha reso Landon spregiudicato.» Ecco cosa
faceva davvero infuriare Arash: il piacere che Landon traeva dal proprio successo. «Quel software è praticamente inutile senza l’hardware di PosIT.» Lui mi lanciò un’occhiata. «Davvero?» «Terzo punto
all’ordine del giorno.» «Sulla mia copia c’è scritto: “Essere determinato”.» «Be’, sulla mia c’è scritto: “PosIT”. È abbastanza per te?» «Dannazione.» L’interfono sulla mia scrivania ronzò e subito dopo si udì la voce di Scott. «Un paio di cose, Mr Cross. Miss Tramell è sulla linea uno.» «Grazie,
Scott.» Mentre mi dirigevo verso il ricevitore, sentii l’adrenalina scorrermi nelle vene. Se avessimo acquisito la PosIT, Landon sarebbe tornato al punto di partenza. «Quando mi sarò liberato, chiamami Victor Reyes.» «Senz’altro. Un’altra cosa: Mrs Vidal è alla reception» aggiunse Scott, facendomi bloccare a metà strada. «Vuole che posticipi la
riunione di stamattina?» Guardai attraverso la parete di vetro che separava il mio ufficio dal resto del piano, anche se da quella distanza non sarei riuscito a scorgere mia madre. Strinsi i pugni lungo i fianchi. Secondo l’orologio del mio telefono, avevo dieci minuti liberi e mia moglie in linea. Avrei avuto voglia di far aspettare mia madre finché non avessi avuto modo di inserirla nella mia agenda, non nella sua, ma cedetti.
«Dammi venti minuti» dissi a Scott. «Prenderò le chiamate di Miss Tramell e di Reyes, poi potrai far entrare mia madre.» «Ricevuto.» Aspettai un attimo, poi afferrai il ricevitore e premetti il tasto che lampeggiava. 2 «Angelo.» La voce di Gideon aveva sui miei sensi lo stesso violento impatto che aveva avuto la prima volta in cui
l’avevo sentita. Colta e venata di sensualità, mi stordiva sia nell’oscurità della mia camera sia al telefono, dove non potevo essere distratta da quel suo volto strepitosamente bello.
«Ciao.» Feci scivolare la sedia più vicino alla scrivania. «È un brutto momento?» «Se hai bisogno di me, sono qui.» Qualcosa nella sua voce mi fece drizzare le antenne. «Posso richiamarti più tardi.» «Eva.» La nota autoritaria che percepii quando pronunciò il mio
nome mi diede un brivido che si trasmise fino alle dita dei piedi inguainate nelle Louboutin. «Dimmi di cosa hai bisogno.» “Di te” fui sul punto di dire, il che era piuttosto folle, visto che mi aveva scopata fino allo sfinimento solo un paio di ore prima, dopo aver fatto altrettanto per quasi tutta la notte. «Ho bisogno di un favore» gli dissi invece. «Mi godrò la ricompensa.»
Parte della tensione si allentò e le mie spalle si rilassarono. Gideon mi aveva ferita menzionando Corinne in modo inopportuno e il ricordo della discussione che ne era seguita era ancora fresco nella mia memoria, ma dovevo levarmelo dalla testa, dimenticarmene. «La sicurezza ha l’indirizzo di casa di tutti
quelli che lavorano nel Crossfire?» «Hanno la copia dei documenti d’identità. Perché me lo chiedi?» «L’addetta alla reception che lavora nel mio ufficio è una mia amica ed è in malattia da giorni. Sono preoccupata per lei.» «Se conti di andare a casa sua per controllare come sta, dovresti
chiedere l’indirizzo a lei.» «Lo farei, se rispondesse alle mie telefonate.» Feci scorrere un dito sul bordo della tazza del caffè e fissai il collage di foto di Gideon e me che si trovava sulla mia scrivania. «Non siete in buoni rapporti in questo momento?» «No, non abbiamo litigato né altro. Non è da lei non mettersi in contatto con
me, soprattutto quando si dà malata in ufficio ogni giorno. È una ragazza loquace, hai presente?» «No» rispose. «Non ho presente.» Se fosse stato un altro a darmi una risposta del genere, avrei pensato che fosse sarcastico. Ma
non Gideon. Ero convinta che non avesse mai parlato con le donne in modo approfondito. Mi ero accorta che spesso nel nostro rapporto non sapeva che pesci pigliare, come se il suo sviluppo sociale si fosse bloccato, lasciandolo incapace di misurarsi con l’altro sesso. «Allora devi fidarti di quello che ti dico, asso. Io voglio solo… assicurarmi che lei stia bene.» «Il mio avvocato è qui in piedi davanti a me, ma non ho bisogno di
consultarlo in merito alla legalità di darti le informazioni che chiedi nel modo che suggerisci. Chiama Raúl, troverà lui la tua amica.» «Davvero?» Mi balenò nella mente l’immagine dell’esperto di sicurezza con i capelli scuri e gli occhi scuri. «E lui sarà d’accordo?» «Angelo, lui è pagato per essere d’accordo su qualunque cosa.» «Ah.» Giocherellai con la penna. Sapevo che non avrei dovuto sentirmi a disagio nell’usare le
risorse di Gideon, e tuttavia avevo la sensazione che il nostro rapporto fosse sbilanciato a suo favore. Non che pensassi che me lo avrebbe rinfacciato, però avevo l’impressione che non mi considerasse uguale a lui, una cosa che invece per me era molto
importante. Si era già fatto carico da solo di questioni nelle quali avrei dovuto essere coinvolta anch’io: era stato così sia nel caso dell’orribile video porno di Sam Yimara che riprendeva Brett e me, sia con la faccenda di Nathan. «Come faccio a mettermi in
contatto con lui?» chiesi comunque. «Ti mando un SMS con il suo numero.» «Okay, grazie.» «Voglio che o Angus o Raúl vengano con te quando andrai a trovarla, altrimenti ci verrò io.» «Una cosa per niente imbarazzante!» Lanciai un’occhiata verso
l’ufficio di Mark per assicurarmi che il mio capo non avesse bisogno di me. Cercavo di non fare chiamate personali in ufficio, ma Megumi era assente da quattro giorni e per tutto il tempo non aveva risposto né
alle telefonate né agli SMS. «Non tirare fuori la storia che “le amiche vengono prima degli amanti”, Eva. Devi concedermi qualcosa, qui.» Colsi il messaggio sottinteso: era preoccupato per il mio viaggio a San Diego e stava sorvolando sulla questione, ma in cambio io dovevo
cedere su qualcos’altro. «Okay, okay. Se non sarà tornata in ufficio lunedì, vedremo come affrontare la cosa.» «Bene. C’è altro?» «No, è tutto.» Mi cadde l’occhio su una foto di lui e sentii una piccola fitta al cuore, come mi succedeva sempre quando lo guardavo. «Grazie. Ti auguro una
magnifica giornata. Ti amo da impazzire, lo sai. E, no, non mi aspetto che tu mi dica altrettanto mentre il tuo avvocato è nei paraggi.» «Eva.» C’era un che di dolente nella sua voce che mi commosse più di qualunque parola. «Passa da me quando stacchi dal lavoro.» «Certo. Non dimenticarti di avvertire Cary che prenderemo il tuo jet.» «Consideralo fatto.»
Chiusi la telefonata e mi abbandonai contro lo schienale della sedia. «Buongiorno, Eva.» Feci girare la sedia e mi trovai di fronte Christine Field, la presidente del consiglio di amministrazione. «Buongiorno.» «Desidero congratularmi per il
suo fidanzamento.» Puntò lo sguardo sulle fotografie alle mie spalle. «Non lo avevo realizzato.» «Non si preoccupi. Cerco di non parlare della mia vita privata in ufficio.» Lo dissi in tono disinvolto, perché non volevo inimicarmi uno dei soci dell’agenzia, e tuttavia sperai che lei cogliesse l’allusione. Gideon era
il centro della mia vita, d’accordo, ma c’erano spazi che dovevano appartenere solo a me. Christine rise. «Va benissimo! Ma ciò significa che non faccio abbastanza attenzione a quello che si dice in giro.» «Sono convinta che le cose importanti non le sfuggono.»
«È lei la ragione per cui Cross si è rivolto a noi per la campagna Kingsman?» Trasalii tra me e me. Ovviamente Christine pensava che io avessi raccomandato il mio datore di lavoro al mio fidanzato, perché presumeva che Gideon e io uscissimo insieme da un tempo
abbastanza lungo da rendere plausibile il fidanzamento. Dirle che stavo con la Waters, Field & Leaman da più tempo che con Gideon, quando ero stata assunta lì solo da un paio di mesi, avrebbe dato il via a congetture che preferivo evitare. Ma ero abbastanza sicura che Gideon avesse effettivamente usato
la campagna della vodka come scusa per attrarmi nel suo mondo alle sue condizioni. Ciò non significava che Mark non avesse fatto un lavoro eccezionale con la sua offerta: non volevo che la mia relazione con Gideon spostasse in alcun modo l’attenzione dal mio capo e dai risultati che aveva
ottenuto. «Mr Cross si è rivolto all’agenzia per conto suo» ribattei, attenendomi alla verità. «È stata una decisione molto azzeccata. Mark è stato grande con quella richiesta di offerta.» «Sì, davvero. Bene, la lascio al suo lavoro. Anche Mark tesse le sue lodi, tra parentesi. Siamo contenti
di averla nella nostra squadra.» Abbozzai un sorriso, anche se la mia giornata aveva avuto una partenza in salita. Prima Gideon mi aveva lasciata di stucco con quella sparata su Corinne, poi avevo scoperto che Megumi era ancora malata e, per finire, adesso sarei stata trattata diversamente al lavoro perché il mio nome era legato a quello di Gideon in modo rilevante. Aprii la posta in arrivo e
cominciai a scorrere le e-mail del mattino. Capivo che Gideon aveva voluto farmi sentire quello che stava provando, per cui aveva usato Corinne contro di me. Sapevo che parlare di Brett sarebbe stato un problema, per cui avevo rimandato la cosa, ma non c’era nessun secondo fine quando avevo sollevato l’argomento, e neppure
quando avevo baciato Brett. Sì, avevo ferito Gideon, ma potevo dire con tutta sincerità che non era stata mia intenzione farlo. Per contro, Gideon aveva deliberatamente voluto ferirmi. Non mi ero resa conto che ne fosse capace o che fosse disposto a farlo. Quella mattina
qualcosa di importante era cambiato tra noi: avevo la sensazione che fosse stato minato un solido pilastro di fiducia. Se ne era reso conto? Aveva capito che era una questione importante? Il telefono sulla mia scrivania squillò e io risposi con l’abituale formula di saluto. «Quanto avevi intenzione di aspettare prima di dirmi del tuo
fidanzamento?» Mi sfuggì un sospiro prima che riuscissi a trattenerlo. Il mio venerdì stava davvero diventando una dura prova. «Ciao, mamma, ti avrei chiamata durante la pausa pranzo.» «Lo sapevi ieri sera!» mi accusò. «Te lo ha chiesto mentre venivate alla cena? Non hai fatto parola di una proposta ufficiale quando abbiamo parlato del fatto che lui aveva chiesto la tua mano a tuo padre e a Richard. Ho visto l’anello
al Cipriani e ne ero abbastanza sicura, ma dal momento che tu non hai detto nulla, non ho insistito perché sei così permalosa ultimamente, e…» «E tu hai violato la legge ultimamente» la interruppi. «… anche Gideon portava un anello, per cui ho pensato che potesse essere una sorta di
promessa o qualcosa del genere…» «Lo è.» «… e poi ho letto del tuo fidanzamento online! Voglio dire, Eva, nessuna madre dovrebbe scoprire su Internet che la propria figlia sta per sposarsi!» Fissai il monitor del computer con lo sguardo assente, sentendo i battiti del cuore accelerare. «Che cosa? Su Internet dove?» «Scegli tu! Page Six del “New York Post”, Huffington Post… E
lasciami ripetere che in nessun modo riuscirò a organizzare un matrimonio come si deve entro la fine dell’anno!» La rassegna stampa di Google Alert non era ancora arrivata nella mia posta, per cui feci una rapida ricerca, digitando sui tasti così velocemente che scrissi il mio nome sbagliato. Ma non importava. Eva Tramell, nota alle cronache mondane, si è aggiudicata l’anello di ottone. Non in senso letterale,
ovviamente. L’imprenditore multimiliardario Gideon Cross, il cui nome è sinonimo di eccesso e lusso, non infilerebbe mai nulla meno del platino al dito della donna che porterà il suo nome. (Vedi la foto a sinistra.) Una fonte della Cross Industries conferma l’importanza del gigantesco diamante all’anulare sinistro della Tramell. Nessun commento è stato fatto sull’anello indossato da Cross. (Vedi la foto a destra.) È previsto un
matrimonio prima della fine dell’anno. Dobbiamo chiederci la ragione di tanta fretta. L’operazione Occhio al pancione di GidEva è cominciata. «Oh, mio Dio» mormorai, inorridita. «Devo andare. Devo chiamare papà.» «Eva, bisogna che tu venga da me dopo il lavoro: dobbiamo parlare del matrimonio.»
Per fortuna, mio padre stava sulla Costa occidentale, il che mi assicurava almeno tre ore di margine, a seconda dei suoi turni di lavoro. «Non posso, vado a San Diego con Cary questo weekend.» «Penso che dovresti rinunciare a qualunque viaggio per un po’. Devi…» «Comincia senza di me,
mamma» tagliai corto esasperata, dopo avere lanciato un’occhiata all’orologio. «Non ho in mente niente di specifico.» «Non puoi parlare sul serio…» «Devo andare. Ho del lavoro da fare.» Riagganciai e aprii il cassetto della scrivania dove tenevo lo smartphone. «Ciao.» Mark Garrity si affacciò al mio cubicolo e mi regalò uno dei suoi affascinanti sorrisi sghembi. «Pronta a cominciare?»
«Ehm…» Il mio dito indugiava sul tasto home del telefono. Ero combattuta tra fare ciò per cui ero pagata – lavorare – e assicurarmi che mio padre sapesse da me del fidanzamento. In condizioni normali non avrei avuto dubbi su cosa scegliere – amavo troppo il mio lavoro per rischiare di perderlo battendo la fiacca –, ma mio padre era stato di pessimo umore dopo la scappatella con mia madre e io ero preoccupata per lui. Non era il tipo
di uomo che prendeva a cuor leggero il fatto di essere andato a letto con una donna sposata, per quanto ne fosse innamorato. Rimisi il telefono nel cassetto. «Assolutamente sì» risposi, alzandomi e prendendo il mio tablet. Quando mi accomodai sulla solita sedia di fronte alla scrivania di Mark, mandai un SMS a mio padre
dal tablet per dirgli che avevo una cosa importante di cui parlargli e che l’avrei chiamato a mezzogiorno. Era la cosa migliore che potessi fare. Dovevo solo augurarmi che bastasse. 3 «Caspita, sei un adulatore.» Alzai lo sguardo su Arash, mentre mettevo giù il ricevitore. L’avvocato rise e si mise comodo sul divano del mio ufficio. La visione era assai meno piacevole di quella
che mi aveva offerto mia moglie non molto tempo prima. «Blandire il suocero» disse. «Sono impressionato, e prevedo che lo sarà anche Eva. Scommetto che conti su questo per il weekend.» Dannatamente
giusto. Avrei dovuto guadagnare più punti possibile quando avrei incontrato Eva a San Diego. «Lei sta per andare fuori città e tu devi raggiungere la sala conferenze prima che quelli diventino troppo irrequieti. Ti raggiungo appena posso.»
Si alzò in piedi. «Sì, ho sentito, tua madre è qui. Che la follia da matrimonio abbia inizio. Visto che sei libero questo weekend, che ne dici di ritrovarci con alcuni dei soliti amici a casa mia stasera? Ne è passato di tempo dall’ultima volta, e i tuoi giorni da scapolo sono contati. Be’, tecnicamente sono finiti, ma nessun altro lo sa.» E lui era vincolato dal segreto professionale. Mi ci volle un istante per
decidere. «Va bene. A che ora?» «Intorno alle otto.» Annuii, poi scambiai un’occhiata con Scott. Lui colse al volo il messaggio e si diresse verso la reception. «Ottimo.» Arash sorrise. «Ci vediamo alla riunione.» Nei due minuti in cui rimasi solo mandai un SMS ad Angus sul viaggio in California. Avevo ancora un lavoro in sospeso lì e occuparmene mentre Eva faceva visita a suo
padre mi dava la scusa per essere dov’era lei… anche se non avevo assolutamente bisogno di una scusa. «Gideon.» Quando mia madre entrò, strinsi i pugni. Scott entrò a sua volta e chiese: «Davvero non posso portarle niente, Mrs Vidal? Un caffè, magari?
O dell’acqua?». Lei scosse la testa. «No, grazie, sto bene così.» «Perfetto.» Scott sorrise e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Premetti il pulsante del telecomando che regolava l’oscuramento della parete di vetro,
impedendo a chi stava fuori di guardare dentro l’ufficio. Mia madre si avvicinò, elegante nei suoi pantaloni blu scuro e camicetta bianca. Si era raccolta i capelli in uno chignon liscio color ebano, lasciando scoperto il viso privo di difetti che mio padre adorava. Un tempo lo adoravo anch’io. Adesso invece avevo problemi a guardare questa donna. E visto come ci somigliavamo, qualche volta avevo problemi anche
a guardare me stesso. «Buongiorno, mamma, che cosa ti porta in città?» Lei posò la borsetta sul bordo della scrivania. «Perché Eva indossa il mio anello?» Il momentaneo piacere che avevo provato nel vederla svanì subito. «È il mio anello, e la risposta alla tua domanda è ovvia: lo indossa perché gliel’ho dato quando le ho chiesto di sposarmi.» «Gideon.» Tirò indietro le spalle.
«Non sai in che cosa ti stai cacciando con lei.» Mi costrinsi a guardarla. Detestavo quando mi fissava con il dolore negli occhi. Occhi blu così simili ai miei. «Non ho tempo per questo. Ho posticipato una riunione importante per vederti.» «Non sarei dovuta venire nel tuo ufficio se tu avessi risposto alle mie
telefonate o ti fossi fatto vedere a casa ogni tanto.» Strinse la piccola bocca rosa in una smorfia di disapprovazione. «Quella non è casa mia.» «Lei ti sta usando, Gideon.» Recuperai la giacca. «La discussione è finita.» Incrociò le braccia sul petto a mo’ di scudo. Conoscevo mia
madre: aveva appena cominciato. «Se la fa con quel cantante, Brett Kline. Lo sapevi? E ha un lato sgradevole che non hai mai visto. È stata decisamente aggressiva con me, ieri sera.» «Le parlerò.» Mi infilai la giacca, sistemandola con un brusco strattone, e mi diressi alla porta. «Non dovrebbe sprecare il suo
tempo.» Mia madre boccheggiò. «Sto cercando di aiutarti.» «È un po’ tardi per questo, non trovi?» Le lanciai un’occhiata, di fronte alla quale lei fece un esitante passo indietro. «So che la morte di Geoffrey è stata un colpo per te. È stato un periodo difficile per tutti noi. Ho cercato di darti…» «Non qui!» sbottai, furioso per il fatto che avesse tirato fuori un
argomento così personale come il suicidio di mio padre mentre stavo lavorando. Anzi, che l’avesse tirato fuori e basta. «Ti sei impadronita della mia mattinata e mi hai fatto incazzare. Lascia che ti chiarisca una cosa: non c’è alcuna possibilità che tu esca vincitrice da un confronto con Eva.» «Non mi ascolti!» «Nulla di ciò che potresti dire avrebbe alcun effetto. Se lei volesse il mio denaro, le darei ogni
centesimo. Se volesse un altro uomo, glielo farei dimenticare.» Si portò una mano tremante ai capelli, sistemandoli anche se non c’era una sola ciocca fuori posto. «Voglio solo il meglio per te e lei sta riportando a galla fango eliminato da tempo. Non può essere un rapporto sano per te. Sta creando una frattura con la tua famiglia che…» «Ci siamo allontanati, mamma. Eva non ha niente a che fare con
questo.» «Non voglio che sia così!» Si avvicinò e tese una mano. Un filo di perle nere occhieggiava dallo scollo della camicetta e un Patek Philippe ornato di zaffiri le impreziosiva il polso. Dopo la morte di mio padre aveva riprogrammato la sua vita, azzerando il passato e ricominciando da capo, e non si era
mai guardata indietro. «Mi manchi. Ti voglio bene.» «Non abbastanza.» «Non è giusto, Gideon. Non mi dai nemmeno una possibilità.» «Se hai bisogno di un passaggio, Angus è a tua disposizione.» Feci una pausa, con la mano sulla maniglia della porta. «Non tornare qui. Non mi piace litigare con te. Sarebbe meglio per entrambi se tu stessi alla larga e basta.» Lasciai la porta aperta dietro di
me e mi diressi verso la sala conferenze. «Hai scattato questa foto oggi?» Alzai gli occhi su Raúl, che era in piedi davanti alla mia scrivania. Indossava un semplice abito nero e aveva lo sguardo fermo e vigile di chi si guadagna da vivere vedendo e ascoltando tutto. «Sì» rispose. «Non più di un’ora fa.» Mi concentrai di nuovo sulla foto che avevo davanti. Era difficile per
me guardare Anne Lucas. Il suo viso volpino, con il mento aguzzo e gli occhi ancora più aguzzi, mi riportava alla memoria ricordi che avrei voluto cancellare, non solo di lei, ma anche di suo fratello, che le assomigliava in un modo che mi faceva accapponare la pelle. «Eva ha detto che la donna
aveva i capelli lunghi» mormorai, notando che Anne li portava di nuovo corti. Ricordai la sensazione delle punte irrigidite dal gel che mi graffiavano le cosce mentre lei mi faceva un pompino, cercando disperatamente di farmelo diventare abbastanza duro per
scoparla. Restituii il tablet a Raúl. «Scopri chi era.» «Lo farò.» «Eva ti ha chiamato?» Lui aggrottò la fronte. «No.» Ma tirò fuori lo smartphone per controllare. «No» confermò. «Magari aspetterà finché non sarete decollati per San Diego. Vuole che le trovi un’amica.» «Nessun problema. Mi occuperò della cosa.»
«Occupati di lei» ribattei, senza abbassare lo sguardo. «Non c’è bisogno di dirlo.» «Lo so, grazie.» Quando lasciò il mio ufficio, mi abbandonai contro lo schienale della sedia. C’erano diverse donne nel mio passato che potevano crearmi problemi con mia moglie. Quelle con cui ero andato a letto erano aggressive per natura, il genere di persone che mi metteva nella posizione di dover prendere il
sopravvento. Eva era l’unica che avesse mai assunto il comando e mi avesse fatto volere di più. Stava diventando più difficile permettere che si allontanasse da me, non più facile. «Quelli dell’Envoy sono qui» annunciò Scott nell’interfono. «Falli entrare.» Lavorai sodo per tutto il giorno, concludendo gli impegni della settimana e preparando quelli futuri. C’erano parecchie cose che
dovevo sbrigare prima di potermi prendere del tempo libero con Eva. La nostra luna di miele di un giorno era stata perfetta, ma decisamente troppo breve. Avrei voluto passare almeno due settimane via con lei, meglio un mese, in qualche posto lontano dal lavoro e da altri obblighi, dove potessi averla tutta per me senza interruzioni. Lo smartphone vibrò
sulla scrivania. Lo guardai e fui sorpreso di vedere la faccia di mia sorella Ireland sullo schermo. Prima le avevo mandato un messaggio per farle sapere del fidanzamento. La sua risposta era stata breve e c o n c i s a : “Evvai! Gasatissima. Congrat, frate!”. Avevo appena detto un rapido “ciao”, quando lei mi interruppe. «Sono
così fottutamente eccitata!» urlò, costringendomi ad allontanare il telefono dall’orecchio. «Modera il linguaggio.» «Vuoi scherzare? Ho diciassette anni, non sette. È così fantastico! Ho sempre voluto una sorella, ma pensavo che sarei diventata vecchia e grigia prima che tu e Christopher la smetteste di fare i cascamorti in giro e vi sistemaste.» Mi appoggiai allo schienale della
sedia. «Vivo per servire.» «Ha-ha. Sì, giusto. Hai fatto bene, sai. Eva è un angelo custode.» «Sì, lo so.» «Grazie a lei, adesso comincerò a darti il tormento. È sempre la parte migliore della mia giornata.» Sentii una fitta al petto, che mi costrinse a prendermi un istante prima di replicare in tono leggero: «Curioso, la stessa cosa vale per me».
«Be’, sì, dovrebbe.» Abbassò la voce. «Ho sentito che la mamma ha dato di matto prima. Ha detto al papà che è venuta in ufficio da te e che avete litigato di brutto o giù di lì. Penso che sia, tipo, gelosa. Le passerà.» «Non preoccuparti, va tutto bene.» «Lo so. È uno schifo che non sia riuscita a trattenersi proprio oggi. Comunque io sono eccitatissima e volevo che tu lo sapessi.»
«Grazie.» «Ma non farò la damigella, sono troppo vecchia. Piuttosto, ho l’età per fare la testimone della sposa, o quella dello sposo, o qualsiasi altra cosa… La butto lì.» «Va bene.» Sorrisi. «Lo riferirò a Eva.» Avevo appena concluso la telefonata,
quando l’interfono ronzò. «Miss Tramell è qui» annunciò Scott, e io mi resi conto di quant’era tardi. «E le ricordo che la videoconferenza con il team dello sviluppo in California è tra cinque
minuti.» Mi scostai dalla scrivania e vidi Eva venire avanti. Avrei potuto guardarla camminare per ore: lasciava ondeggiare i fianchi in un modo che mi faceva venire voglia di scoparla e teneva il mento sollevato con una determinazione che metteva a dura prova il mio istinto di dominatore.
Volevo prenderla per i capelli, impadronirmi della sua bocca e premere il mio corpo contro il suo, proprio come mi era successo la prima volta in cui l’avevo vista, e tutte le volte successive. «Manda al team la bozza della proposta» dissi a Scott. «Digli che la esaminino e che mi metterò in contatto con loro fra poco.» «Sì, signore.» Lei entrò. «Eva.» Mi alzai. «Com’è andata
la tua giornata?» Girò intorno alla scrivania e mi afferrò per la cravatta. Mi venne duro all’istante e non ebbi occhi che per lei. «Ti amo, cazzo» disse, prima di attirare la mia bocca sulla sua. Le strinsi la vita con un braccio e con la mano libera premetti il pulsante per oscurare la parete di vetro, lasciando al tempo stesso che lei mi baciasse come se mi possedesse.
E mi possedeva, decisamente. La sensazione delle sue labbra contro le mie e l’inconfondibile possessività dei suoi gesti erano proprio quello che mi ci voleva dopo una giornata come quella che avevo avuto. Tenendola stretta, mi girai e mi sedetti sul bordo della scrivania, poi attirai Eva tra le mie cosce, in teoria per avere una presa più salda
su di lei, ma in realtà perché mi tremavano le gambe. I suoi baci avevano questo potere su di me, come tre ore di allenamento con il mio personal trainer. Inspirai, sentendo crescere il desiderio di averla, e mi lasciai inebriare dall’aroma delicato del suo profumo e da quella provocante fragranza che era solo sua. Le sue labbra erano morbide e umide, abilmente esigenti. La sua lingua mi
leccava con delicatezza, assaporandomi, stuzzicandomi ed eccitandomi senza sforzo. Mi baciò come se fossi la cosa più deliziosa che avesse mai assaggiato, un sapore per cui andava pazza e di cui non poteva fare a meno. Era una sensazione inebriante, che ormai era diventata necessaria. Vivevo per i suoi baci. Quando mi baciava, mi sentivo
appagato. Piegò la testa e gemette nella mia bocca, un suono dolce di piacere e di resa. Mi infilò le dita fra i capelli, stringendoli nel pugno. La sensazione di essere catturato – reclamato – fu un potentissimo stimolo. L’avvicinai ancora di più a me, in modo che il suo ventre piatto premesse contro la mia erezione. Il mio pene
pulsava dolorosamente. «Mi farai venire» mormorai. Tutti gli sforzi che un tempo avevo dovuto fare per arrivare all’orgasmo erano inutili con mia moglie. Il solo fatto che lei esistesse mi eccitava. La forza del suo desiderio bastava a farmi esplodere. Si scostò appena, senza fiato quanto me. «Non mi dispiace.» «A me neppure, ma ho una riunione che mi aspetta.»
«Non voglio trattenerti, ma solo ringraziarti per quello che hai detto a mio padre.» Sorrisi e le strizzai il sedere. «Il mio avvocato l’aveva detto che mi sarei guadagnato un sacco di punti per questo.» «Sono stata talmente impegnata con il lavoro che ho potuto chiamarlo solo all’ora di pranzo. Ero preoccupata che la notizia del nostro fidanzamento gli arrivasse prima che riuscissi a parlargli.» Mi
diede una piccola spinta. «Avresti potuto avvertirmi che lo stavi annunciando a tutto il mondo.» Mi strinsi nelle spalle. «Non era previsto, ma non intendevo negarlo, in caso di domande.» Fece una smorfia ironica. «Certo che no. Hai visto quel ridicolo post sul pancione?» «Un pensiero spaventoso, in questo momento» dissi, cercando di mantenere un
tono leggero nonostante l’improvviso attacco di panico che mi aveva assalito. «Ho in programma di tenerti tutta per me per un po’.» «Lo so.» Scosse la testa. «Mi faceva impazzire l’idea che mio padre pensasse che ero fidanzata e incinta e che semplicemente non avevo avuto voglia di dirglielo. È stato un sollievo chiamarlo e scoprire che tu gli avevi spiegato
tutto e mi avevi spianato la strada.» «Mi fa piacere.» Avrei fatto fuoco e fiamme per spianarle la strada, se quella era la ricompensa. Cominciò a slacciarmi il gilet. Aggrottai la fronte con aria interrogativa, ma senza alcuna intenzione di fermarla.
«Non sono ancora partita e già mi manchi» disse dolcemente, allentandomi la cravatta. «Non partire.» «Se volessi semplicemente rintanarmi da sola con Cary per un po’, lo farei a casa mia e non a San Diego.» Alzò lo sguardo su di me. «Ma il fatto che Tatiana è incinta l’ha mandato fuori di testa. E poi ho bisogno di passare un po’ di tempo
con mio padre, soprattutto adesso.» «C’è qualcosa che dovresti dirmi?» «No. Mi è sembrato che stesse bene quando gli ho parlato, ma secondo me sperava che avremmo avuto più tempo per stare insieme prima che mi sposassi. Per lui tu e io ci siamo appena conosciuti.» Sapevo che avrei dovuto stare
zitto, ma non ci riuscii. «E non possiamo dimenticarci di Kline.» Eva contrasse la mascella, e abbassò lo sguardo. «Sto per partire, non voglio litigare di nuovo.» Le presi le mani. «Eva, guardami.» Fissando i suoi occhi turbati
sentii una stretta al petto: una lenta fitta lancinante che avrebbe potuto sconvolgermi. Continuava a essere arrabbiata con me, e io non riuscivo a sopportarlo. «Non capisci ancora quello che mi fai, quanto mi fai impazzire.» «Lascia perdere, per favore. Non avresti dovuto sbattermi in faccia Corinne come hai fatto.» «Forse no. Ma di’ la verità: stamattina hai tirato fuori la storia di Kline perché sei preoccupata
all’idea di vederlo.» «Non sono preoccupata.» «Angelo.» Le lanciai un’occhiata paziente. «Sei preoccupata. Non penso che tu sia andata a letto con lui, ma penso che tu sia in ansia per l’eventualità di spingerti più in là del dovuto. Avevi bisogno di una reazione forte da parte mia, così sei stata sincera e l’hai avuta. Avevi bisogno di vedere l’effetto che mi avrebbe fatto, di constatare come il solo pensiero di te con lui mi manda
fuori di testa.» «Gideon.» Mi strinse le braccia. «Non succederà niente.» «Non mi sto giustificando.» Le sfiorai le guance con le dita. «Ti ho ferita e mi dispiace.» «Dispiace anche a me. Volevo evitare complicazioni, ma è successo lo stesso.» Sapevo che era pentita per il
nostro litigio, glielo leggevo negli occhi. «Stiamo imparando un po’ alla volta e ogni tanto faremo cazzate. Devi solo avere fiducia in me, angelo.» «Ce l’ho, Gideon. È per questo che siamo arrivati fin qui. Ma il fatto che tu mi abbia ferita… di proposito…» Scosse la testa e io
vidi quanto ciò che avevo detto la stesse tormentando. «Ho sempre creduto che tu fossi l’unico che non mi avrebbe mai fatto del male deliberatamente.» Sentirla mettere in dubbio la sua fiducia in me fu un duro colpo. Lo incassai, poi mi spiegai, una cosa che facevo solo con lei. Avrei chiarito ogni cosa, parlato per ore, scritto la promessa con il sangue… se fosse stato necessario perché mi credesse.
«C’è una differenza tra un’azione ponderata e un’intenzione malevola, non sei d’accordo?» Le presi il viso tra le mani. «Ti prometto che non ti causerò mai dolore solo per ferirti. Non vedi che sono altrettanto vulnerabile? Anche tu hai il potere di ferirmi.» Il suo volto si addolcì, diventando ancora più bello. «Ma non ti ferirei.» «Io l’ho fatto, per cui dovrai
perdonarmi.» Fece un passo indietro. «Non sopporto quando usi quel tono di voce.» Per non rischiare, trattenni il sorriso che stava per spuntarmi sulle labbra. «Però ti eccita.» Eva si avviò verso la finestra, girandosi a lanciarmi un’occhiata, e si fermò nello stesso punto dove mi ero fermato io quella mattina. I capelli raccolti in una coda facevano risaltare la sua bellezza… e non le
permettevano di nascondere le sue emozioni. Arrossì violentemente. Sapeva quante volte avevo pensato di legarla, quando era così irritata? Non per imprigionarla o imbrigliarla, ma per trattenere quell’esuberante energia, quella voglia di vivere che io non avevo mai avuto. Lei me la dava, me la cedeva completamente. «Non cercare di controllarmi con il sesso, Gideon» disse, dandomi le spalle.
«Non voglio affatto controllarti.» «Mi manipoli. Fai cose… dici cose… solo per ottenere una particolare reazione da me.» Incrociai le braccia, ricordando il suo bacio a Kline. «Come fai tu, cosa di cui abbiamo appena discusso.» Si girò verso di me. «A me è consentito, sono una donna.» «Ah.» Stavolta sorrisi.
«Lo sapevo.» «Sei un tale enigma per me.» Sospirò e io mi accorsi che il suo risentimento stava svanendo. «Tu invece hai capito come sono fatta. Sai bene quali tasti premere per far scattare la mia reazione.» «Se pensi che io non passi buona parte delle mie giornate a cercare di capirti, ti sbagli. Pensaci mentre sono occupato in questa riunione, e poi ci saluteremo nel modo giusto.»
Eva mi seguì con lo sguardo mentre mi sedevo alla scrivania. Mi misi l’auricolare e mi fermai un attimo, quando mi accorsi che mi stava fissando. Le piaceva guardarmi e il suo era l’unico sguardo bramoso che mi avesse sempre fatto sentire bene con me stesso. Nei confronti del suo interesse sessuale non avevo mai
avuto l’istintiva reazione di difesa che altre mi suscitavano. Mi faceva sentire amato e desiderato in un modo che non aveva nulla di minaccioso. «Guardarti entrare in modalità “uomo d’affari” mi eccita» spiegò, con la voce sufficientemente roca da impedirmi di concentrarmi del tutto sul lavoro. «Sexy da morire.» Feci un sorrisetto
ironico. «Angelo, comportati bene per quindici minuti.» «E dov’è il divertimento? Tra l’altro, io ti piaccio un sacco.» Verissimo. «Quindici minuti» ribadii. Considerato che avevo previsto circa un’ora per la riunione, era una grande concessione. «Fai quello che devi fare.» Si
fermò accanto alla mia sedia e si chinò come una pin-up per sussurrarmi nell’orecchio: «Troverò qualcosa con cui intrattenermi mentre tu sei al telefono a giocare con i tuoi milioni». Mi divenne subito dolorosamente duro. Eva mi aveva detto qualcosa del
genere quando avevamo cominciato a uscire insieme e io ci avevo fantasticato sopra nelle settimane successive. Avrei voluto dirle di aspettare, ma sapevo che non l’avrebbe fatto. Aveva lo sguardo determinato e muoveva i fianchi in
modo provocante mentre girava intorno alla scrivania. Avevo fatto una cazzata e lei voleva prendersi parte della rivincita. C’erano coppie che si punivano a vicenda con il dolore o l’astinenza. Eva e io ci punivamo con il piacere. Nell’attimo in cui lei sparì dalla mia vista, mi collegai alla riunione senza attivare la webcam e disattivai il microfono. La mezza dozzina
di partecipanti stava animatamente discutendo del materiale fornito da Scott. Diedi loro un minuto per capire che ero in linea… e nel frattempo mi alzai e aprii la patta dei pantaloni. Eva si tolse le scarpe. «Bene. Sarà più facile se collabori.» «Non crederai sul serio che
prendermi in bocca il cazzo mentre sono impegnato in una videoconferenza sarà facile.» Intanto, attraverso il microfono mi giungevano i saluti del team californiano. Per il momento li ignorai, pensando solo a quello che stava succedendo nel mio ufficio.
Solo qualche settimana prima non ci sarebbe stata alcuna possibilità che io stessi al gioco mentre lavoravo. Se Eva non fosse stata così eccitata, l’avrei fatta aspettare finché non avessi potuto dedicarle il tempo e l’attenzione necessari. Ma il mio angelo era un’amante pericolosa, che andava pazza per il brivido che si prova quando si sta per essere scoperti. Non avrei mai saputo che mi piaceva una cosa del
genere se non fosse stato per lei. A volte avrei voluto scoparla davanti a tutti, così si sarebbe finalmente saputo che la possedevo completamente. Il suo sorriso era pura
perversione. «Se ti piacevano le cose facili, non dovevi sposarmi.» Stavo per sposarla di nuovo, il più presto possibile. E non sarebbe stata l’ultima volta. Avremmo rinnovato i nostri voti spesso, ricordandoci a vicenda che avevamo promesso di stare insieme per sempre, a prescindere da quello che la vita ci avrebbe riservato.
Eva si inginocchiò con grazia, appoggiò le mani a terra e si avvicinò come una leonessa a caccia di prede. Attraverso la superficie di vetro fumé della scrivania la osservai mettersi in posizione, con la lingua che saettava tra le labbra umide. Mi sentii invadere dal brivido della sfida e dell’attesa erotica. In mia moglie tutto mi dava piacere, ma la bocca in modo particolare. Mi succhiava come se fosse avida del
mio sperma, come se il suo sapore fosse qualcosa di cui non poteva fare a meno. Eva mi faceva i pompini perché li adorava e guardarmi venire era solo un incentivo. Regolai l’apertura della patta e tirai giù l’elastico dei boxer, osservando la sua faccia quando scoprì quanto mi aveva eccitato. Con il respiro sempre più affannoso, aprì le labbra e si sedette sui talloni come una supplice.
Quando mi risistemai sulla sedia, provai un’insolita sensazione di costrizione intorno alle ginocchia e il fastidio dell’elastico sotto le palle. Ebbi una reazione brusca e sgradevole, mentre l’impressione di essere legato riportava a galla ricordi che tenevo implacabilmente sepolti.
Cominciai a ripensare al passato, mentre le mie pulsazioni aumentavano… Eva me lo prese in bocca. «Cazzo» sibilai, affondando le dita nei braccioli, mentre le sue dita affondavano nei miei fianchi. L’afflusso di calore umido sulla punta sensibile del pene fu intenso e sconvolgente. La bocca che
succhiava mi stringeva avidamente, mentre la sua lingua di seta mi accarezzava. Attraverso i battiti del mio cuore sentivo il team californiano chiedersi se la mia webcam e il mio
auricolare funzionassero correttamente… Mi raddrizzai, scivolai in avanti e attivai i feed. «Scusate il ritardo» dissi bruscamente mentre Eva continuava a prendermi. «Adesso che avete avuto l’opportunità di esaminare la bozza, parliamo di quello che farete per mettere in atto le modifiche consigliate.» Eva manifestò la
sua approvazione con una specie di ronzio che si riverberò attraverso il mio corpo. Ero duro come il marmo e le sue dita affusolate mi stuzzicavano esercitando una pressione sufficiente a farmi desiderare che continuasse.
Tim Henderson, il project manager e team leader, parlò per primo. Riuscivo a mettere a fuoco a fatica, e ciò che vedevo di lui si basava più sul ricordo che sulle immagini dello schermo. Alto, penosamente magro, con la
carnagione pallida e una criniera di riccioli scuri, amava parlare, il che era una benedizione, visto che avevo la bocca completamente secca. «Avrei gradito più tempo per esaminare il documento» esordì «ma, a spanne, penso che si tratti di un programma dal ritmo molto accelerato. In parte è ottimo e le sue potenzialità mi entusiasmano, ma l’inserimento graduale in un test della versione beta da parte dei
consumatori richiede almeno un anno, non sei mesi.» «È quello che mi hai detto sei mesi fa» gli ricordai, stringendo i pugni, mentre Eva mi prendeva il cazzo fino in fondo alla gola. Un rivolo di sudore mi bagnò la nuca, mentre labbra di velluto scivolavano sulla mia erezione. «Il nostro migliore progettista se ne è andato alla LanCorp…» «E io ho offerto un rimpiazzo, che tu hai rifiutato.»
Henderson contrasse la mascella. Era un genio della programmazione e aveva una brillante mente creativa, ma non interagiva bene con gli altri ed era refrattario agli interventi esterni. Sarebbe stata una sua prerogativa… se non avesse prosciugato il mio tempo e il mio denaro. «Un team creativo è un equilibrio delicato» ribatté. «Non si può semplicemente inserire una persona a caso. Adesso abbiamo l’uomo
giusto per il lavoro…» «Grazie» si intromise Jeff Simmons, il cui volto spigoloso si aprì in un sorriso per quel complimento. «… e stiamo facendo progressi» continuò Tim. «Noi…» «… proseguite con le scadenze che vi siete autoimposti.» Il mio tono risultò più brusco di quanto
volessi a causa della lingua maledettamente abile di mia moglie. Le sue dolci leccate mi stavano facendo quasi impazzire. Avevo le cosce doloranti e i muscoli contratti per lo sforzo di tenermi
ancorato alla sedia. Eva accarezzava con il dorso della lingua le vene sensibili e pulsanti del pene, seguendole in tutta la loro lunghezza. «E nel frattempo creiamo un’eccezionale
e innovativa esperienza d’uso» rilanciò Tim. «Stiamo lavorando e lo stiamo facendo bene.» Volevo scopare Eva sulla scrivania fino allo sfinimento. Ma prima dovevo concludere quella dannata riunione. «Eccellente. Ora dovete solo
farlo più in fretta. Vi manderò un team che vi aiuti a raggiungere gli obiettivi in tempo. Loro…» «No, aspetta un attimo, Cross» intervenne Henderson, avvicinandosi alla webcam. «Se ci manderai una squadra di contabili aziendali per starci con il fiato sul collo, non farai che rallentare il lavoro! Devi lasciare lo sviluppo a noi. Se avremo bisogno di aiuto, te lo chiederemo.»
«Se avete pensato che vi avrei dato il mio denaro astenendomi dall’intervenire nella gestione, avete capito male.» «Oh-oh» mormorò Eva da sotto la scrivania, con lo sguardo divertito.
Allungai una mano e le diedi una strizzatina alla nuca. «Il settore delle app è estremamente competitivo, e questo è il motivo per cui vi siete rivolti a me. Mi avete presentato un’idea di videogioco originale e affascinante
e un piano di sviluppo e lancio di un anno, che la mia squadra ha giudicato ragionevole e raggiungibile.» Mi fermai per prendere fiato, torturato dalla sensazione di quelle labbra bollenti che scivolavano su e giù sul mio membro. Adesso Eva agiva con intenzione, pompandomi forte con la mano per portarmi al culmine. Non mi seduceva più
lentamente né mi stuzzicava. Voleva che io venissi, adesso. «Lei guarda le cose dalla prospettiva sbagliata, Mr Cross» disse Ken Harada, passandosi la mano sul pizzetto blu. «Le scadenze tecniche non tengono conto del processo creativo organico. Lei non capisce…» «Non fatemi fare la parte del
cattivo, qui.» L’impulso di spingere, di scopare era insostenibile. L’aggressività mi montò dentro come un’onda di marea, costringendomi a fare uno sforzo per assumere un atteggiamento civile. «Mi avete garantito una
consegna puntuale di tutti gli elementi sulla base di un programma da voi creato e non state tenendo fede agli impegni. Mi vedo quindi costretto ad aiutarvi a mantenere le promesse che avete fatto.» Harada si abbandonò sulla sedia, brontolando tra sé.
Strinsi la presa sul collo di Eva, nel tentativo di farle rallentare il ritmo, poi desistetti e cominciai a sollecitarla rudemente a succhiare più in fretta, più avidamente, a prosciugarmi. «Porteremo a termine il lavoro in questo modo. Lavorerete con il team che vi manderò, e se non rispetterete un’altra scadenza toglierò a Tim la gestione del progetto.» «Stronzate!» urlò lui. «Questa è la mia fottuta app! Non puoi
portarmela via.» Avrei dovuto essere diplomatico, ma mi era impossibile, preda com’ero dell’animalesco bisogno di accoppiarmi. «Avresti dovuto leggere il contratto con maggiore attenzione. Fallo stasera e ci aggiorneremo domani dopo che il team sarà arrivato.» “Dopo che io sarò venuto…” Brividi mi corsero lungo la
schiena, mentre le mie palle erano sul punto di scoppiare. Non ce la facevo più, ed Eva lo sapeva. Con le guance incavate per lo sforzo di succhiare, faceva saettare la lingua sulla parte più sensibile della punta del pene. Respiravo a fatica e avevo le mani madide di sudore. Mentre fissavo una mezza dozzina di facce arrabbiate e
sentivo esplodere un frastuono di proteste nell’auricolare, fui travolto dall’orgasmo come da un treno in corsa. Cercai a tentoni il tasto e disattivai l’audio, poi lasciai che un ruggito mi uscisse dalla gola mentre inondavo di un potente getto la bocca di Eva che continuava a succhiare avidamente. Lei gemette e mi pompò con entrambe le mani, tirando e stringendo finché non venni del tutto, in un diluvio inarrestabile.
Mi sentivo il volto in fiamme. Con lo sguardo fisso sul monitor, resistetti all’impulso di chiudere gli occhi e di appoggiare la testa allo schienale per godermi più liberamente il piacere di venire per mia moglie… di venire a causa sua. Quando la pressione si allentò, accarezzai le guance di Eva con la punta delle dita.
Riattivai il microfono. «La mia amministrazione vi chiamerà fra dieci minuti per organizzare la riunione di domani» comunicai con la voce roca. «Mi auguro che per allora possiamo raggiungere un accordo amichevole.» Chiusi il collegamento e mi tolsi l’auricolare. «Vieni qui, angelo.» Spinsi indietro la sedia e aiutai
Eva a uscire da sotto la scrivania, prima che avesse la possibilità di farlo da sola. «Sei una macchina del sesso!» boccheggiò, con la voce roca quanto la mia e le labbra rosse e gonfie. «Non posso credere che tu non abbia fatto una piega. Come…? Oh.» Il minuscolo frammento di pizzo che indossava a mo’ di slip cadde a terra, a pezzi. «Mi piacevano quelle mutandine»
disse senza fiato. La sollevai e la feci sedere sul vetro freddo della scrivania. «Questo ti piacerà di più» dissi, pronto a penetrarla. «Angelo.» Eva sbatté le palpebre come una gattina assonnata, mentre uscivo dal bagno dell’ufficio. «Mmh?» Sorrisi
nel vederla ancora abbandonata sulla sedia della scrivania. «Presumo che tu stia bene.» «Mai stata meglio.» Si passò una mano sui capelli. «A parte il fatto che mi hai scopata fino allo sfinimento, per il resto sono in perfetta forma, grazie.» «Non c’è di che.» Mi avvicinai a lei con una salvietta umida.
«Stai cercando di stabilire un nuovo record per il maggior numero di orgasmi in un solo giorno?» «Una proposta interessante. Sono disposto a fare un tentativo.» Mise le mani avanti come per bloccarmi. «Basta, maniaco. Scopami di nuovo e mi ridurrai uno straccio.»
«Se cambi idea, fammelo sapere.» Mi inginocchiai davanti a lei e le feci aprire le gambe. Liscia e rosa, la sua vagina era incantevole, perfetta. Eva mi guardò mentre la pulivo e allungò una mano per ravviarmi i capelli. «Non lavorare
troppo questo weekend, okay?» «Come se ci fosse qualcos’altro che vale la pena di fare quando tu non sei qui» mormorai. «Dormi, leggi, organizza una festa.» Feci una smorfia. «Non me ne sono dimenticato. Chiederò ai ragazzi stasera.» «Oh.» L’indolenza svanì dal suo sguardo. Mi tirai indietro prima che chiudesse
le gambe. «Quali ragazzi?» «Quelli che vuoi conoscere.» «Li chiamerai?» Mi alzai. «Ci vedremo.» «Per fare cosa?» «Bere, stare insieme.» Ritornai in bagno, buttai la salvietta nel cesto della biancheria sporca e mi lavai le mani. Eva mi raggiunse. «In un
locale?» «Forse. Probabilmente no.» Si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia. «Qualcuno di loro è sposato?» «Sì.» Rimisi a posto
l’asciugamano. «Io.» «E basta? Ci sarà anche Arnoldo?» «Forse. Probabilmente sì.» «Che cosa sono queste risposte lapidarie?» «Che
cos’è questo interrogatorio?» chiesi a mia volta, anche se conoscevo la risposta. Mia moglie era una donna gelosa, possessiva. Per fortuna di entrambi, la cosa mi piaceva, e molto. Eva si strinse nelle spalle, ma era un gesto difensivo. «Voglio solo sapere che cosa farai, tutto qui.» «Se vuoi, rimarrò a casa.» «Non ti sto chiedendo questo.» Aveva una sbavatura scura di
trucco sotto gli occhi. Adoravo scompigliarla e darle quell’aria da “ho appena scopato”. A nessuna donna donava come a lei. «Vieni al punto, allora.» Fece un mugolio di frustrazione. «Perché non mi dici che cosa avete in programma tu e gli altri ragazzi?» «Non lo so, Eva. Di solito ci troviamo a casa di uno di noi e beviamo qualcosa, giochiamo a carte, qualche volta usciamo.» «A cuccare. Un gruppo di ragazzi
attraenti che si sono presi una sbornia e vogliono divertirsi.» «Non è un reato. E chi ti ha detto che gli altri sono attraenti?» Mi lanciò un’occhiata. «Escono a cuccare con te, il che significa o che sono abbastanza sexy da non sparire completamente nella tua ombra o che sono troppo sicuri di sé per preoccuparsene.» Alzai la mano sinistra e i rubini della fede catturarono la luce. Non avevo mai tolto l’anello e non l’avrei
mai fatto. «Ricordi questo?» «Non sono preoccupata per te» mormorò, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «Se non ti scopo abbastanza, hai bisogno di aiuto.» «Disse la moglie che non poteva aspettare quindici minuti.» Mi fece la linguaccia. «Arnoldo non si fida di me, Gideon. In realtà non vuole che tu stia con me.» «Non spetta a lui decidere. E poi
ci saranno alcuni dei tuoi amici a cui io non piacerò. So che Cary non ha preso posizione.» «E se Arnoldo dice agli altri che cosa pensa di me?» «Angelo.» Mi avvicinai e la presi per i fianchi. «Parlare di sentimenti è una cosa prevalentemente da donne.» «Non essere sessita.» «Sai che ho ragione. Inoltre Arnoldo sa come vanno le cose, è stato innamorato anche lui.»
Mi guardò con quei suoi splendidi occhi. «Sei innamorato, Mr Cross?» «Perdutamente.» Manuel Alcoa mi diede una pacca sulla schiena. «Mi sei appena costato mille dollari, Cross.» Mi appoggiai al bancone della cucina e mi infilai una mano in tasca, stringendo lo smartphone. Eva era in volo e io aspettavo un messaggio da lei o da Raúl. Non avevo mai avuto paura di volare né mi ero preoccupato della sicurezza
di qualcuno durante un viaggio… fino a ora. «Perché?» chiesi, prima di bere un sorso di birra. «Sei l’ultimo uomo che avrei immaginato che si sarebbe sposato e ora salta fuori che sei il primo.» Manuel scosse la testa. «Mi fa morire.» Smisi di bere. «Hai scommesso contro di me?» «Già. Anche se sospetto che qualcuno
in segreto fosse a conoscenza dello scoop.» Il manager finanziario lanciò un’occhiata ad Arnoldo Ricci al di là del bancone, e lui si strinse nelle
spalle. «Se ti può consolare» dissi «anch’io avrei scommesso contro di me.» Manuel si aprì in un enorme sorriso. «Le latinoamericane sono le migliori, amico mio: sensuali, formose, parecchio irrequiete a letto e fuori, focose e passionali.» Fece un verso di approvazione con
la bocca chiusa. «Ottima scelta.» «Manuel!» urlò Arash dal salotto. «Porta qui i lime.» Guardai Manuel lasciare la cucina con una ciotola piena di lime a fette. L’appartamento di Arash era moderno e ampio, con una vista panoramica dell’East River. C’era una notevole mancanza di pareti, fatta eccezione per quelle dei bagni. Girai intorno al bancone rivestito di granito e mi avvicinai ad Arnoldo.
«Come stai?» «Bene.» Abbassò lo sguardo sul liquido ambrato che stava facendo girare nel bicchiere. «Ti chiederei la stessa cosa, ma hai un aspetto magnifico. Sono contento.» Non persi tempo in convenevoli. «Eva pensa che tu abbia un problema con lei.» Mi guardò. «Non ho mai mancato di rispetto alla tua donna.» «Non ha mai detto che lo hai fatto.»
Arnoldo bevve un sorso del pregiato liquore, prendendosi un attimo per assaporarlo prima di inghiottirlo. «Capisco che tu sia – come si dice? – vinto da questa donna.» «Avvinto» suggerii, chiedendomi perché non si limitasse a parlare italiano. «Ah, sì.» Mi fece un debole sorriso. «Ci sono passato anch’io, amico, come sai. Non ti giudico.» Sapevo che Arnoldo mi capiva.
L’avevo ritrovato a Firenze, mentre si riprendeva dalla perdita di una donna bevendo liquore e cucinando una tale quantità di cibo a cinque stelle che doveva regalarlo. Ero rimasto affascinato dalla sua disperazione totalizzante, e incapace di immedesimarmi.
Ero convintissimo che non avrei mai provato nulla di simile. La mia visione della vita era opaca e insonorizzata come la parete di vetro del mio ufficio. Sapevo che non sarei mai stato in grado di spiegare a Eva come mi era apparsa la prima volta in cui l’avevo vista, così piena di energia e di calore: un’esplosione di colore in un paesaggio in bianco e nero. «Voglio che sia felice.» Una frase semplice, che però costituiva il
nocciolo della questione. «Se la sua felicità dipende da quello che penso io» ribatté Arnoldo «mi chiedi troppo. Non dirò mai nulla contro di lei e finché starete insieme la tratterò sempre con il rispetto con cui tratto te, ma ho il diritto di avere la mia opinione su di lei, Gideon.» Lanciai un’occhiata ad Arash, che stava allineando una serie di bicchierini di liquore sul bancone del bar in salotto. In qualità di mio
avvocato, sapeva sia del matrimonio sia del video porno di Eva e non aveva sollevato alcun problema né con l’uno né con l’altro. «Il nostro rapporto è… complesso» spiegai con tranquillità.
«L’ho ferita tanto quanto lei ha ferito me… probabilmente di più.» «Non mi sorprende, ma mi dispiace.» Arnoldo mi fissò. «Non potevi scegliere un’altra, una che non ti avrebbe dato problemi, un rassicurante ornamento da inserire nella tua vita senza increspature?» «Come dice Eva, che divertimento ci sarebbe?» Il mio
sorriso svanì. «Lei mi sfida, Arnoldo. Mi fa vedere le cose… mi fa riflettere sulle cose come non avevo mai fatto prima. E mi ama, a differenza delle altre.» Allungai di nuovo la mano verso il telefono. «Non hai permesso alle altre di amarti.» «Non potevo. Stavo aspettando lei.» Un’espressione pensierosa gli apparve sul viso e io dissi: «Non riesco a immaginare che la tua Bianca fosse priva di problemi».
Rise. «No, ma la mia vita è semplice. Posso permettermi delle complicazioni.» «La mia vita era ordinata. Adesso è un’avventura.» Lo sguardo di Arnoldo si fece serio. «Ma quella sregolatezza che ami tanto in lei è ciò che mi preoccupa.» «Smettila di preoccuparti.» «Te lo dirò solo adesso e poi mai più. Arrabbiati pure con me per quello che dico, ma sappi che le
mie intenzioni sono buone.» Contrassi la mascella. «Parla liberamente.» «Sono stato seduto accanto a Eva e Brett a cena, li ho osservati insieme. C’è un’alchimia fra loro, non diversa da quella che c’era fra Bianca e l’uomo per cui mi ha lasciato. Mi augurerei che Eva la ignorasse, ma ha già dimostrato di non riuscirci.» Lo fissai. «Aveva le sue ragioni. Ragioni che le avevo fornito io.»
Arnoldo bevve un altro sorso di liquore. «Allora prega di non dargliene altre.» «Ehi» urlò Arash. «Smettetela di parlare, voi due, e venite qui.» Arnoldo fece tintinnare il suo bicchiere contro la mia bottiglia prima di andare in salotto. Finii la birra da solo,
prendendomi un attimo per riflettere su ciò che Arnoldo aveva detto. Poi mi unii alla compagnia. 4 «Perché quella fronte aggrottata, piccola?» mi chiese Cary, con la voce bassa e assonnata a causa dell’antistaminico contro il mal d’aria che aveva preso prima del
decollo. Fissando le opzioni nel menu a tendina su cui il mio cursore indugiava, meditavo su quale scegliere. “Fidanzata” o “È complicato”? Dal momento che anche “Sposata” andava bene,
pensavo che “Tutto quanto sopra” avrebbe dovuto essere un’opzione. Non avrebbe dovuto essere divertente da spiegare? Mi guardai intorno nella fastosa cabina del jet privato di Gideon e vidi il mio migliore amico rovesciato sul divano di pelle bianca con le mani intrecciate dietro la testa. Alto e snello, era una visione deliziosa con la maglietta sollevata e i pantaloni cargo abbassati a rivelare quegli addominali straordinari che
stavano aiutando la Grey Isles a vendere jeans, biancheria intima e altro abbigliamento maschile. Cary non aveva il minimo problema ad abituarsi alle lussuose comodità dell’immensa ricchezza di Gideon. Aveva preso possesso come se niente fosse della cabina ultramoderna e arredata con eleganza e, non so come, a dispetto
del suo abbigliamento casual, sembrava perfettamente a proprio agio circondato com’era dall’acciaio spazzolato e dal rovere grigio. «Sto cercando di impostare alcuni account sui social media» risposi. «Wow.» Improvvisamente sveglio e attento, si tirò su a sedere con grazia disinvolta. «Un grande passo.» «Già.» A causa di Nathan mi ero
tenuta nell’ombra, nel timore di uscire allo scoperto e rischiare che lui potesse trovarmi facilmente. «È arrivato il momento. Mi sento come… Non importa. È arrivato il momento e basta.» «Molto bene.» Appoggiò i gomiti sulle ginocchia e unì le punte delle dita. «Allora perché hai quell’espressione tesa?»
«Be’, ci sono parecchie cose da considerare. Cioè, fino a che punto posso condividere? Non devo più preoccuparmi di Nathan, ma Gideon è costantemente sotto i riflettori.» Pensando a lui cercai il suo profilo, il quale uscì contrassegnato da quel bollino blu con il segno di spunta bianco che ne certificava l’autenticità. La vista della sua foto, uno scatto in abito a tre pezzi con la cravatta blu che adoravo, mi provocò una fitta di nostalgia. Era
stato fotografato sul tetto di un edificio con lo skyline di Manhattan sfocato alle spalle, su cui lui si stagliava nitidamente in primo piano Nella realtà era ancora più elegante e sexy. Fissai i suoi occhi, perdendomi in quel blu incredibile. I capelli incorniciavano il suo perfetto volto da angelo caduto con ciocche setose color inchiostro. Poetico? Sì. D’altro canto, il suo aspetto poteva ispirare sonetti…
Per non dire del matrimonio estemporaneo. A quando risaliva quella foto? A prima che ci conoscessimo? Aveva quello sguardo implacabile e distante che lo faceva sembrare un sogno impossibile. «Sono sposata» sbottai,
distogliendo lo sguardo dall’uomo più bello che avessi mai visto. «Con Gideon, ovviamente. Con chi altro, se no?» Mentre io blateravo, Cary rimase impietrito. «Come, scusa?» Mi strofinai le mani sui pantaloni da yoga. Dargli quella notizia mentre aveva ancora il cervello annebbiato dall’antistaminico era stato un colpo basso, ma dovevo prendermi tutto il vantaggio che potevo. «Quando siamo andati via
lo scorso weekend. Abbiamo fatto una fuga d’amore.» Rimase in silenzio a riflettere per un interminabile minuto, poi scattò in piedi. «Mi stai prendendo in giro?» Raúl girò la testa verso di noi. Il movimento fu lento e noncurante, anche se lo sguardo era attento e vigile. Era seduto in un angolo lontano ed era
stranamente discreto per un tipo che di sicuro non passava inosservato. «Perché tanta fretta?» chiese Cary bruscamente. «È successo… e basta.» Non potevo spiegarlo. Avevo pensato che fosse troppo presto, e lo era, ma Gideon era l’unico uomo che avrei mai amato in modo così totale. Quando ci riflettevo, sapevo che lui aveva ragione: avremmo solo
rimandato l’inevitabile. E Gideon aveva bisogno che gli promettessi che ero sua per sempre. Il mio stupendo marito, che trovava così difficile credere di poter essere amato! «Non me ne pento.» «Non ancora.» Cary si passò entrambe le mani nei capelli. «Accidenti, Eva, una non prende e sposa il primo tizio con cui ha una
relazione seria.» «Le cose non stanno così» obiettai imbarazzata, evitando di guardare Raúl. «Sai che cosa proviamo l’una per l’altro.» «Certo. Separati siete matti, insieme siete una gabbia di matti.» Gli mostrai il dito medio. «Ci lavoreremo sopra. Indossare un anello non significa smettere di capire le cose.» Si lasciò cadere sulla poltrona di fronte a me. «Che incentivo ha a
risolvere le cose? Lui ha incassato il premio e tu sei inchiodata dai suoi sogni psicotici e dai suoi sbalzi d’umore di dimensioni cosmiche.» «Aspetta un attimo» dissi con decisione, sentendo il sapore amaro della verità nelle sue parole. «Non ti sei agitato tanto quando ti ho detto che eravamo fidanzati.» «Perché immaginavo che sarebbe passato almeno un anno
prima che Monica organizzasse il matrimonio, magari anche un anno e mezzo; in ogni caso il tempo necessario perché voi due provaste a convivere.» Lo lasciai protestare. Meglio che lo facesse a novemila metri di quota piuttosto che in qualche luogo pubblico dove tutti potevano sentirlo. Si protese verso di me, con un lampo feroce negli occhi verdi. «Sto per avere un figlio e non sono
sposato. Sai perché? Perché sono troppo incasinato e lo so, e quindi non ho voluto prendere un altro passeggero a bordo in questa folle corsa. Se lui ti amasse, dovrebbe pensare a te e a cosa è meglio per te.» «Sono davvero contenta che tu sia felice per me, Cary. Significa molto.» Le mie parole
grondavano sarcasmo, ma a loro modo erano sincere. Avrei potuto chiamare un sacco di amiche che mi avrebbero detto che ero una stronza parecchio fortunata. Cary era il mio più intimo amico perché mi diceva sempre le cose come stavano, anche quando io avrei disperatamente voluto che mi indorasse la pillola. Ma pensava solo al lato negativo e non capiva che, invece, Gideon aveva portato la luce nella mia vita,
l’accettazione e l’amore, la sicurezza. Mi aveva restituito la libertà, un’esistenza senza paura. Dargli in cambio i miei voti nuziali era semplicemente un modo per ripagarlo di tutto questo. Riportai l’attenzione sul profilo di Gideon, facendo scorrere la pagina per scoprire che il post più recente era un link a un articolo sul nostro
fidanzamento. Dubitavo che l’avesse postato lui stesso – era troppo impegnato per occuparsi di cose del genere –, però immaginai che l’avesse approvato. Se non altro, aveva in qualche modo già messo in chiaro che ero abbastanza importante per diventare l’unica notizia personale degna di essere condivisa in un profilo focalizzato sull’aspetto professionale.
Gideon era orgoglioso di me, orgoglioso di essere sposato con me, un disastro sexy con una storia di scelte sbagliate. Indipendentemente da quello che chiunque altro pensava, sapevo che ero io quella che aveva incassato il premio. «Cazzo.» Cary era rovesciato sulla poltrona. «Mi fai sentire un idiota.»
«Chi la fa…» mormorai, cliccando sul link per vedere altre foto di Gideon. Fu un errore. Tutte le foto postate dall’amministratore dei suoi social media erano di carattere
professionale, ma quelle non ufficiali in cui Gideon era stato taggato non lo erano. Lì, in colori vividi, c’erano immagini di lui insieme a donne stupende. Fu un duro colpo per me: la gelosia mi attanagliò e mi causò una fitta allo stomaco. Mio Dio, era strepitoso in smoking! Tenebroso e pericoloso: il
volto selvaggiamente bello, gli zigomi e la bocca perfetti, l’atteggiamento sicuro di sé e abbastanza arrogante. Un maschio alfa nel fiore degli anni. Sapevo che le foto non erano recenti e che quelle donne non avevano sperimentato le sue folli abilità di amante, perché lui aveva
una regola al riguardo, ma non potevo fare a meno di sentirmi nervosa. «Sono l’ultimo a saperlo?» chiese Cary. «Sei l’unico.» Lanciai un’occhiata a Raúl. «Almeno per quanto mi riguarda. Gideon vorrebbe dirlo al mondo intero, ma intendiamo mantenere il segreto.» Mi fissò. «Per quanto tempo?» «Per sempre. Per tutti gli altri il matrimonio
che celebreremo prossimamente sarà il primo.» «Hai ripensamenti?» Mi faceva impazzire che a Cary non importasse che qualcuno ci ascoltasse. Io invece ero fin troppo consapevole che ogni mia mossa e ogni mia parola erano viste e sentite da qualcuno. Non che la presenza di Raúl influenzasse minimamente la mia risposta. «No, sono contenta che
siamo sposati. Lo amo, Cary.» «Lo so» replicò lui con un sospiro. Smarrita, aprii il laptop e mandai un SMS a Gideon. “Mi manchi.” Lui mi rispose quasi istantaneamente: “Inverti la rotta”. Sorrisi. Era così nel suo stile e così poco nel mio. Sprecare il tempo dei piloti, il carburante… mi
sembrava così futile. Ma soprattutto, sarebbe stato la prova di quanto dipendevo da lui, il colpo di grazia al nostro rapporto. Lui avrebbe potuto avere qualsiasi cosa, qualsiasi donna, in qualsiasi momento. Se mai io fossi diventata troppo facile per lui, avremmo entrambi perso il rispetto per me, dopodiché non ci sarebbe voluto
molto a perdere il suo amore. Ritornai al mio nuovo profilo e caricai un selfie che io e Gideon ci eravamo scattati con il mio smartphone. Ne feci l’immagine di copertina, poi taggai Gideon e scrissi: “L’amore della mia vita”. Dopotutto se
le sue foto dovevano includere delle donne, volevo che in almeno una ci fossi io. E quella che avevo scelto era innegabilmente intima: eravamo sdraiati supini, con le teste che si toccavano, il mio viso struccato e il suo rilassato e con gli occhi sorridenti. Sfidavo chiunque a non capire, guardandola, che io avevo con lui un legame privato che il
mondo non avrebbe mai saputo. Improvvisamente avevo voglia di chiamarlo, a tal punto che riuscivo quasi a sentire la sua voce stupendamente sensuale, tanto inebriante quanto il miglior liquore, vellutata con appena un accenno di mordente. Avevo voglia di essere con lui, mano nella mano, con le labbra sul suo collo, dove l’odore della pelle mi faceva pensare a
qualcosa di famelico e primitivo. A volte mi spaventava il pensiero di quanto avevo bisogno di lui, fino a rinunciare a tutto il resto. Non c’era nessun altro con cui volessi stare più che con lui, compreso il mio migliore amico, che in quel momento aveva bisogno di me in modo quasi altrettanto impellente. «Va tutto bene, Cary»
lo rassicurai. «Non preoccuparti.» «Sarei più preoccupato se pensassi che ci credi davvero.» Si scostò i capelli dalla fronte con un gesto impaziente. «È troppo presto, Eva.» Annuii. «Ma funzionerà.» Doveva funzionare. Non potevo immaginare la mia vita senza
Gideon. Cary appoggiò la testa allo schienale e chiuse gli occhi. Avrei pensato che avesse ceduto alla sonnolenza indotta dall’antistaminico, se non l’avessi visto stringere con forza i braccioli della poltrona. Stava reagendo male alla notizia. Non sapevo che cosa dirgli per rassicurarlo. “Stai ancora andando nella direzione sbagliata” mi scrisse
Gideon. Ero quasi sul punto di chiedergli come facesse a saperlo, ma mi trattenni. “Ti diverti con i ragazzi?” “Mi divertirei di più con te.” Sorrisi. “Lo spero.” E dopo un attimo aggiunsi: “L’ho detto a Cary”. La replica fu immediata. “Sempre amici?” “Non mi ha ancora rinnegata.”
Non replicò e io mi sforzai di non caricare di altri significati il suo silenzio. Era fuori con gli amici e avere sue notizie era già stato molto. E tuttavia fui strafelice di ricevere un altro messaggio dieci minuti dopo. “Non smettere di sentire la mia mancanza.” Alzai lo sguardo su Cary e vidi che mi stava osservando. Anche Gideon veniva disapprovato in quel
modo dai suoi amici? “Non smettere di amarmi” scrissi di rimando. La sua risposta fu semplice e molto nel suo stile: “Affare fatto”. «California meridionale, mi sei mancata.» Mentre scendeva le scale dell’aereo, Cary alzò gli occhi per guardare il cielo notturno. «Dio, che bello essersi lasciati alle spalle l’umidità della Costa orientale.» Mi affrettai a scendere dietro di lui, ansiosa di raggiungere l’alta
figura scura che aspettava accanto a una lucente Suburban nera. Victor Reyes era il tipo di uomo che si imponeva all’attenzione, in parte perché era un poliziotto e in parte per la sua stessa natura. «Papà!» Gli corsi incontro e lui si staccò dal SUV a cui era appoggiato e aprì le braccia per accogliermi. Mi prese e mi sollevò da terra, stringendomi così forte da togliermi il fiato. «È bello vederti, bambina mia» disse burbero.
Cary ci raggiunse a passo lento e mio padre mi mise giù. «Ciao.» Strinse la mano del mio amico, poi lo attirò a sé per un veloce abbraccio e una calorosa pacca sulla spalla. «Stai bene, ragazzo.» «Ci provo.» «Avete preso tutto?» chiese papà. Lanciai un’occhiata a Raúl, che era sceso dall’aereo per primo e ora stava in piedi in silenzio accanto a una Mercedes-Benz parcheggiata
lì vicino. Gideon mi aveva detto di dimenticarmi della presenza di Raúl, ma non era facile. «Sì» rispose Cary, sistemando la cinghia del pesante borsone che portava a tracolla. Teneva in mano il mio bagaglio, che era più leggero del suo: nonostante tutti i trucchi e le tre paia di scarpe che mi ero portata, Cary mi aveva battuta. Adoravo quel lato di lui. «Avete fame?» Mio padre mi aprì
la portiera del passeggero. In California erano le nove passate da poco, ma a New York era mezzanotte inoltrata. In condizioni normali, per me sarebbe stato troppo tardi per mangiare, ma non avevamo cenato. Cary rispose prima di salire in macchina: «Da morire». Scoppiai a ridere. «Tu hai
sempre fame.» «Anche tu, bel culetto» ribatté, scivolando verso il centro del sedile posteriore e protendendosi in avanti per partecipare alla conversazione. «Ma io non mi sento in colpa.» Ci allontanammo dal jet e lo vidi diventare sempre più piccolo mentre percorrevamo la pista di atterraggio verso l’uscita. Lanciai
un’occhiata a mio padre, cercando di capire che cosa pensava del mio stile di vita come moglie di Gideon: i jet privati, le guardie del corpo a tempo pieno. Sapevo quali erano i suoi sentimenti nei confronti della ricchezza di Stanton, ma quello era il mio patrigno. Mi auguravo che con un marito sarebbe stato più tollerante. Ciononostante, mi rendevo conto che le abitudini erano cambiate in modo radicale. In passato ci
saremmo precipitati al porto di San Diego, ci saremmo diretti al Gaslamp e avremmo preso un tavolo al Dick’s Last Resort, passando un’ora o più a ridere di stupidaggini, a cenare e a bere birra. Adesso c’era una tensione che prima non c’era. Nathan, Gideon, mia madre… si erano messi tutti in mezzo. Che rottura. Proprio una gran rottura.
«Che ne dite di quel posto in Oceanside dove servono birra sciropposa e il pavimento è coperto di gusci di arachidi?» propose Cary. «Sì!» Mi girai per sorridergli con gratitudine. «Sarebbe divertente.» Rilassato e familiare: perfetto. Notai che anche mio padre la pensava così, quando gli lanciai un’occhiata e lui sorrise.
«Aggiudicato.» Ci lasciammo l’aeroporto alle spalle. Tirai fuori lo smartphone e lo accesi: volevo sincronizzarlo con l’impianto audio della macchina per poter ascoltare della musica che ci avrebbe riportato a tempi meno complicati. Una raffica di SMS riempì lo schermo. Il più recente era di Brett. “Chiamami quando arrivi in città.” Proprio in quel momento la radio
mandò in onda Ragazza d’oro. Stavo salendo le scale della minuscola veranda di mio padre il giorno dopo, quando il cellulare vibrò. Lo tirai fuori dalla tasca degli shorts e provai un brivido di felicità nel vedere apparire la foto di Gideon sullo schermo. «Buongiorno» dissi, sedendomi su una delle due sedie di ferro battuto accanto alla
porta d’ingresso. «Hai dormito bene?» «Abbastanza.» La voce lievemente roca che tanto amavo mi scivolò dentro dolcemente. «Raúl dice che il caffè di Victor sveglierebbe un orso in letargo.» Lanciai un’occhiata alla Mercedes-Benz
parcheggiata dall’altra parte della via stretta. I vetri fumé erano così scuri che non riuscivo a vedere l’uomo seduto dentro. Era un po’ inquietante che prima ancora che potessi rientrare in casa Raúl fosse, non so come, riuscito a parlare con Gideon del caffè che gli avevo appena portato. «Stai cercando di spaventarmi marcandomi così stretta?» «Se il mio scopo fosse quello di spaventarti, non andrei tanto per il
sottile.» Presi la tazza che avevo lasciato sul tavolino della veranda prima di portare il caffè a Raúl. «Sai che quel tono di voce mi fa venire voglia di provocarti, vero?» «Perché ti piace il modo in cui reagisco alla sfida» disse con soddisfazione, facendomi venire la pelle d’oca nonostante il caldo della giornata estiva. Sorrisi. «Dunque, alla fine che cosa avete fatto esattamente ieri
sera?» «Le solite cose: abbiamo bevuto e ci siamo presi in giro a vicenda.» «Siete usciti?» «Per un paio d’ore.» Strinsi la presa sul telefono al pensiero di un branco di ragazzi sexy fuori a caccia. «Spero che vi siate divertiti.» «Non è stato male. Dimmi i tuoi progetti per la giornata.» Colsi nelle sue parole lo stesso accenno di tensione che avevo
appena provato io. Sfortunatamente il matrimonio non era un rimedio contro la gelosia. «Quando Cary si sveglia e si tira su dal divano, facciamo un pranzo veloce con mio padre, poi andiamo a trovare il dottor Travis.» «E stasera?» Bevvi un sorso
di caffè, preparandomi a una discussione. Sapevo che Gideon stava pensando a Brett. «Il manager della band mi ha mandato un’e-mail per dirmi dove recuperare i biglietti VIP, ma io ho deciso di non vedere lo spettacolo. Cary può andarci con un amico, se vuole. Quello che ho da dire non porterà via molto tempo, per cui vedrò Brett domani mattina prima di partire oppure faremo una
chiacchierata al telefono.» Lui respirò piano. «Immagino che tu sappia cosa vuoi dirgli.» «Gli dirò semplicemente che d o p o Ragazza d’oro e il mio fidanzamento non ritengo opportuno che noi due ci
frequentiamo. Spero che rimarremo amici e ci terremo in contatto, ma, a meno che tu non sia con me, le email e gli SMS sono preferibili.» Rimase in silenzio tanto a lungo da farmi pensare che fosse caduta la linea. «Gideon?» «Ho bisogno di sapere se hai paura di vederlo.» A disagio, bevvi un altro sorso di caffè. Si era raffreddato, ma ormai non ne sentivo quasi il sapore. «Non voglio litigare su Brett.»
«E così la tua soluzione è evitarlo.» «Tu e io abbiamo abbastanza cose su cui litigare senza bisogno di tirare in ballo lui. Non ne vale la pena.» Gideon rimase di nuovo in silenzio, ma stavolta non lo sollecitai.
Quando riprese a parlare, la sua voce era sicura e determinata. «Non posso convivere con questa cosa, Eva.» Le mie spalle si rilassarono e qualcosa dentro di me si sciolse. E poi, paradossalmente, sentii una stretta al petto. Mi ricordai quello che lui mi aveva detto una volta: che pur di avermi avrebbe vissuto con me anche se amavo un altro. Mi amava molto di più di quanto amasse se stesso. Mi spezzava il
cuore che si sminuisse così. Mi rendeva impossibile trattenermi. «Tu sei tutto per me» mormorai. «Non faccio che pensare a te.» «Vale lo stesso per me.» «Davvero?» Abbassai ulteriormente la voce, cercando di non alzarla. «Perché io sono pazza di te. Mi… be’… eccita. È come se fossi travolta dal disperato bisogno di toccarti. Non ragiono più e devo prendermi
un minuto per ricompormi, ma è così difficile. Tante volte ho quasi mollato quello che stavo facendo per venire da te.» «Eva…» «Mi immagino di interrompere una delle tue riunioni e gettarmi fra le tue braccia. Te l’ho detto? Quando il desiderio è davvero forte, riesco quasi a sentire che mi attiri
verso di te.» Lo udii grugnire piano, così mi affrettai a proseguire: «Ogni volta che ti vedo mi manca il respiro. Se chiudo gli occhi, riesco a sentire la tua voce. Stamattina mi sono svegliata in preda a un lieve panico perché tu eri così lontano. Avrei d a t o qualsiasi cosa per poterti raggiungere e al pensiero di non poterlo fare mi
veniva da piangere». «Mio Dio, Eva, per favore…» «Se devi preoccuparti per qualcosa, Gideon, preoccupati per me, perché non riesco a essere razionale quando si tratta di te. Sono pazza di te, letteralmente, e non posso pensare un futuro senza
di te… mi terrorizza.» «Maledizione! Non sarai mai senza di me. Noi invecchieremo insieme, moriremo insieme. Non intendo vivere un solo giorno senza di te.» Mi scese una lacrima, e
l’asciugai. «Ho bisogno che tu capisca che non dovrai mai accontentarti di frammenti di me. Anzi, non dovresti accontentarti affatto. Meriti di meglio. Potresti avere chiunque…» «Basta!» La sua voce fu una sferzata che mi fece sobbalzare.
«Non dirmi mai più cose del genere» sbottò. «O ti giuro, angelo, che ti punirò.» Sconvolti, rimanemmo in silenzio. Non facevo che ripensare a ciò che avevo detto, sentendomi ridicola per quanto potevo essere patetica. Non avrei mai voluto essere dipendente da lui, ma lo ero già. «Devo andare» dissi con la voce roca. «Non riagganciare. Per l’amor di Dio, Eva, siamo sposati, ci amiamo,
non c’è nulla di cui vergognarsi. Che importa se è folle? Siamo noi. Siamo fatti così. Bisogna che tu lo accetti.» La porta a zanzariera cigolò quando mio padre uscì sulla veranda. Lo guardai e dissi: «Papà è qui, Gideon, parliamo più tardi». «Tu mi rendi felice» disse con quel tono di voce fermo che usava quando prendeva una decisione incrollabile. «Mi ero dimenticato come ci si sente. Non sottovalutare
quanto significhi per me.» “Oddio.” «Ti amo anch’io.» Conclusi la telefonata e posai il telefono sul tavolino con la mano che mi tremava. Papà si sedette con una tazza di caffè in mano. Indossava un paio di bermuda e una T-shirt color oliva scuro, ed era scalzo. Si era fatto la barba e aveva i capelli ancora umidi, con le punte che si arricciavano leggermente a mano a
mano che si asciugavano. Pur essendo mio padre, non potevo fare a meno di riconoscere che era incredibilmente attraente. Si manteneva in gran forma e aveva un portamento naturalmente sicuro di sé. Capivo perché mia madre non era riuscita a resistergli quando l’aveva conosciuto. E, a quanto pareva, non ci riusciva nemmeno adesso. «Ti ho sentita parlare» disse senza guardarmi.
«Oh.» Sentii un vuoto allo stomaco. Stavo già abbastanza male per avere aperto il mio cuore a Gideon, ma sapere che mio padre mi aveva ascoltata mi faceva sentire peggio. «Avevo intenzione di chiederti se sapevi quello che stavi facendo, fidanzandoti così presto e così giovane.» Tirai su le gambe e le incrociai. «Immaginavo che l’avresti fatto.» «Ma ora penso di capire che cosa
provi.» Mi guardò con i suoi occhi grigi dolci e indagatori. «L’hai espresso molto meglio di quanto sarei riuscito a fare io un tempo. Il massimo che sono mai stato capace di tirare fuori è “Ti amo”, e non basta.» Capii che stava pensando a mia madre e sapevo che sarebbe stato difficile non farlo, visto che le assomigliavo tanto. «Anche Gideon pensa che non basti.» Abbassai lo sguardo sui miei
anelli: quello con cui lui aveva manifestato il desiderio di tenermi stretta a sé e quello che rappresentava un simbolo sia del suo impegno sia di un periodo del passato in cui si era sentito amato per l’ultima volta. «Però me lo dimostra… In continuazione.»
«Gli ho parlato poche volte.» Mio padre fece una pausa. «Devo ricordarmi che non ha ancora trent’anni.» Sorrisi. «È molto padrone di sé.» «È anche molto difficile da decifrare.» Il mio sorriso si allargò. «È un giocatore di poker, ma fa sul serio.» Credevo a Gideon incondizionatamente.
Mi aveva sempre detto la verità. Il problema era che c’erano parecchie cose che non mi diceva. «E vuole sposare mia figlia.» Gli lanciai un’occhiata. «Gli hai dato la tua benedizione.» «Ha detto che si sarebbe sempre preso cura di te e ha promesso di proteggerti e di renderti felice.» Fissò la Mercedes-Benz. «Non so ancora perché gli credo, anche se
sorveglia la mia casa. Non aiuta il fatto che ha mentito sull’aspettare a chiedere la tua mano.» «Non poteva aspettare, papà, non avercela con lui. Mi ama troppo.» Mi guardò di nuovo. «Non sembravi felice poco fa, al telefono.»
«No, sembravo disperata e insicura.» Sospirai. «Lo amo da impazzire, ma detesto quando ne divento dipendente. Dovremmo essere equilibrati nel nostro rapporto, alla pari.» «Bell’obiettivo, non perderlo di vista. Lo vuole anche lui?»
«Gideon vuole che siamo insieme in tutto, ma lui si è costruito una reputazione e un impero e io voglio costruirmi i miei. Non necessariamente l’impero, ma la reputazione di sicuro.» «Gliene hai parlato?» «Oh, sì.» Feci una smorfia. «Ma lui crede che Mrs Cross dovrebbe giocare nel team Cross, e posso
capire il suo punto di vista.» «Fa piacere sentire che ci hai riflettuto a fondo.» Notai la pausa. «Ma?» «Ma potrebbe diventare un problema serio, no?» Adoravo il modo in cui mio padre mi incitava ad analizzare le cose senza cercare di influenzarmi o giudicarmi. Era sempre stato così. «Sì. Non credo che diventerà una causa di rottura, ma potrebbe crearci dei problemi. Gideon è
abituato a ottenere quello che vuole.» «Allora tu hai un effetto positivo su di lui.» «Lui crede di sì.» Mi strinsi nelle spalle. «Il problema non è Gideon, sono io. Ne ha passate tante e se l’è sempre cavata da solo. Non voglio più che senta di dover gestire tutto da solo. Voglio che senta che siamo una cosa sola e che io sono qui per sostenerlo. È un messaggio difficile da far passare, soprattutto
quando, al tempo stesso, sto cercando la mia indipendenza.» «Mi assomigli molto» disse con un sorriso dolce. Era così bello che provai un moto di orgoglio. «So che andrai d’accordo con lui. È una brava persona, con un cuore grandissimo. Farebbe qualsiasi cosa per me, papà.» “Perfino uccidere.” Quest’ultimo pensiero mi diede la nausea. La possibilità che Gideon dovesse in
qualche modo rispondere della morte di Nathan era fin troppo concreta. Non potevo lasciare che gli accadesse nulla. «Mi permetterà di pagare la cerimonia nuziale?» Mio padre scoppiò a ridere. «Forse dovrei chiederti quanto pensi che dovrò lottare contro tua madre.» «Papà…» Sentii di nuovo una stretta al
cuore. Dopo la discussione che avevamo avuto sul pagamento delle mie tasse universitarie, sapevo che era meglio evitare di dirgli che non doveva spendere i suoi soldi per me. Lui ne faceva una questione di orgoglio, ed era un uomo molto orgoglioso.
«Non so cos’altro dire, se non grazie.» Sorrise, sollevato, e io mi resi conto che si aspettava che mi opponessi. «Ho da parte circa cinquemila dollari. So che non è molto…» Mi protesi per prendergli la mano. «È perfetto.» Riuscivo già a sentire i deliri di mia madre. Li avrei affrontati al momento opportuno. Ne sarebbe valsa la pena, vista
l’espressione sul volto di mio padre in quel momento. «Non è cambiato.» Cary si fermò sul marciapiede, fuori dall’ex centro ricreativo, e si tolse gli occhiali da sole. Il suo sguardo si soffermò sull’entrata della palestra. «Mi è mancato questo posto.» Gli presi la mano e intrecciai le mie dita alle sue. «Anche a me.» Ci avviammo lungo il vialetto e facemmo un cenno della testa alla coppia che stava in piedi accanto
alla porta a fumare, poi entrammo e fummo accolti dal caos e dal frastuono di una partita di basket. Due squadre di tre persone stavano giocando in metà campo, prendendosi in giro a vicenda e ridendo. Sapevo per esperienza che talvolta gli insoliti uffici del dottor Travis erano l’unico posto in cui uno si sentiva abbastanza libero e
protetto da poter ridere a crepapelle. Salutammo con la mano i giocatori, che si fermarono giusto il tempo di darci un’occhiata, e poi puntammo dritti verso la porta sul cui riquadro di vetro c’era ancora la scritta ALLENATORE. Era socchiusa e un uomo che amavamo molto era
allungato su una poltroncina consunta con i piedi sulla scrivania. Lanciava a ripetizione una pallina da tennis contro il muro e la riprendeva con destrezza, mentre una paziente che conoscevo fumava una sigaretta elettronica e
chiacchierava. «Oh, mio Dio.» Kyle si alzò in piedi in fretta, spalancando la graziosa bocca e lasciandone uscire una nuvoletta di vapore. «Non sapevo che voi due foste tornati.» Si buttò tra le braccia di Cary, dandomi appena il tempo di lasciargli andare la mano. Il dottor Travis piegò le gambe e si alzò, mentre il suo volto amichevole si illuminava di un sorriso caloroso. Indossava gli
abituali pantaloni cachi con camicia elegante, mentre i sandali e l’orecchino gli davano un’aria un po’ alternativa. Aveva i capelli castano chiaro ispidi e spettinati e gli occhiali con la montatura di metallo leggermente sghembi sul naso. «Non vi aspettavo fino a dopo le tre» disse. «Dopo le tre ora di New York» ribatté Cary, staccandosi da Kyle. Avevo il sospetto che il mio amico, a un certo punto, fosse
andato a letto con la graziosa biondina e che lei non lo avesse archiviato con la stessa facilità con cui l’aveva fatto lui. Il dottor Travis mi diede un rapido abbraccio e poi fece altrettanto con Cary.
Vidi quest’ultimo socchiudere gli occhi e indugiare con la testa sulla spalla del dottore. Mi commossi, come sempre quando vedevo Cary felice. Il dottor Travis era come un padre per lui e sapevo quanto gli voleva bene. «Voi due vi guardate le spalle a vicenda nella Grande Mela?» «Ovviamente» risposi. Cary mi indicò con il pollice. «Lei sta per sposarsi e io sto per avere
un figlio.» Kyle rimase senza fiato. Io diedi una gomitata nelle costole a Cary. «Ahia!» si lamentò lui, massaggiandosi il fianco. Il dottor Travis sbatté
le palpebre. «Congratulazioni. Avete bruciato le tappe entrambi.» «Direi!» borbottò Kyle. «Quant’è passato? Un mese?» «Kyle» il dottor Travis accostò la poltroncina alla scrivania «ci daresti un minuto?» Lei sbuffò e si avviò con tutta calma verso la porta. «È in gamba, Doc, ma penso che le servirà più di un minuto.» «Fidanzata, eh?» Kyle diede un
altro tiro alla sigaretta, gli occhi puntati su Cary che superava con un balzo il dottor Travis e faceva una schiacciata. Eravamo sedute sugli spalti consunti a circa tre file dalla sommità, abbastanza lontane per non sentire la seduta di terapia che si svolgeva in campo. Cary diventava irrequieto quando si sbloccava, e il dottor Travis aveva ben presto imparato a tenerlo fisicamente attivo se voleva che continuasse a parlare.
Kyle mi guardò. «Ho sempre pensato, tipo, che tu e Cary alla fine vi sareste messi insieme.» Risi e scossi la testa. «Non è così tra noi, non lo è mai stato.» Si strinse nelle spalle. Aveva gli occhi dello stesso colore del cielo di San Diego e pesantemente truccati con un eyeliner blu. «E il tizio con cui ti sposi lo conosci da molto?» «Da abbastanza tempo.» Il dottor Travis infilò un canestro e poi scompigliò affettuosamente i
capelli di Cary. Lo vidi lanciarmi un’occhiata e capii che era il mio turno. Mi alzai e mi stiracchiai. «Ci si vede dopo» dissi a Kyle. «In bocca al lupo.» Feci una smorfia sarcastica e scesi le scale per raggiungere il dottor Travis. Era alto più o meno come Gideon, per cui mi fermai prima di raggiungere l’ultimo gradino, in modo che ci trovassimo alla stessa
altezza. «Ha mai pensato di trasferirsi a New York, Doc?» Mi fece un sorriso sghembo. «Come se le tasse in California non fossero abbastanza alte.» Sospirai teatralmente. «Dovevo fare un tentativo.» Mi circondò le spalle con un braccio quando lo raggiunsi nel campo da basket. «Ci ha provato anche Cary. Ne sono lusingato.» Andammo nel suo ufficio. Chiusi la porta, mentre lui afferrava una
malconcia sedia di metallo e la girava in modo da avere di fronte a sé lo schienale su cui appoggiare le braccia. Era uno dei suoi vezzi. Si sedeva sulla poltroncina della scrivania quando si intratteneva amichevolmente, mentre si metteva a cavalcioni di quel cimelio quando lavorava. «Raccontami del tuo fidanzato» disse, quando io mi sistemai come al solito sul divano di plastica verde tenuto insieme con il nastro adesivo
e decorato di firme di pazienti vecchi e nuovi. «Andiamo» lo rimproverai «sappiamo entrambi che Cary l’ha aggiornata.» Cary cominciava sempre le sedute con un discorso su di me e sulla mia vita, che alla fine sfociava
in un discorso su se stesso. «E io so chi è Gideon Cross.» Il dottor Travis tamburellò con i piedi sul pavimento in un modo che, chissà come, non sembrava mai né irrequieto né impaziente. «Ma io voglio sapere dell’uomo che tu stai per sposare.» Ci pensai su un attimo e lui rimase tranquillamente seduto a osservarmi, senza avere l’aria di chi aspetta. «Gideon è… Oddio, è così tante cose. È complicato. Dobbiamo
risolvere alcune questioni, ma ce la faremo. Il mio problema più immediato sono i sentimenti che provo per quel cantante con cui… uscivo.» «Brett Kline?» «Si ricorda il suo nome!» «Me lo ha ricordato Cary, ma io ricordo le nostre discussioni su di lui.» «Sì, be’…» Guardai la mia meravigliosa fede
nuziale, facendola girare intorno al dito. «Sono così innamorata di Gideon. Ha cambiato la mia vita sotto molti aspetti. Mi fa sentire bellissima e preziosa. So che sembra troppo presto, ma è l’uomo per me.» Il dottor Travis sorrise. «Tra me e mia moglie è stato amore a prima vista. Eravamo alle superiori
quando ci siamo conosciuti, ma io sapevo che era la ragazza che avrei sposato.» Lanciai un’occhiata alle foto di sua moglie sulla scrivania. Ce n’erano una di quando era giovane e una più recente. Quell’ufficio era un caos di documenti, attrezzature sportive, libri e vecchi poster di atleti famosi del passato, ma le cornici e il vetro che proteggevano le foto erano immacolati. «Non riesco proprio a capire
perché Brett mi faccia effetto. Non è che io lo voglia. Non posso immaginare di stare con un uomo che non sia Gideon, sessualmente o in altro modo, eppure non sono indifferente a Brett.» «Perché dovresti esserlo?» mi chiese semplicemente. «Lui ha fatto parte della tua vita in un momento cruciale e la fine della vostra relazione è stata una specie di epifania per te.» «Il mio… interesse – non è la
parola giusta – non sembra nostalgia.» «No, sono sicuro di no. Direi che provi un certo rammarico, pensando a come sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente. Per te è stata una relazione soprattutto sessuale, per cui può esserci dell’attrazione residua, anche se sai
che non ci ricascheresti di nuovo.» Ero pressoché certa che avesse ragione su questo. Tamburellò con le dita sullo schienale della sedia. «Hai detto che il tuo fidanzato è un uomo complicato e che avete questioni da risolvere. Brett era molto semplice. Con lui sapevi a cosa saresti andata incontro. Negli ultimi mesi hai fatto un gran cambiamento, ti sei avvicinata di più a tua madre e ti sei fidanzata. Magari, ogni tanto,
vorresti che le cose fossero più semplici.» Lo fissai mentre assimilavo le sue parole. «Come fa a trovare un senso nelle cose in questo modo?» «Con la pratica.» In preda alla paura dissi: «Non voglio incasinare le cose con Gideon». «State parlando con qualcuno a New York?» «Siamo in terapia di coppia.» Annuì. «Bene, è una cosa
positiva. Anche lui vuole che funzioni. È al corrente?» “Di Nathan?” «Sì.» «Sono orgoglioso di te, ragazza.» «Intendo evitare Brett, ma mi chiedo se questo significa che non sto affrontando il problema alla radice. Come un alcolista che non beve è ancora un alcolista: il problema è sempre lì, e lui si limita a starne lontano.» «Non è del tutto vero, ma è interessante che tu abbia usato
l’esempio di una dipendenza. Tu sei incline a un atteggiamento autodistruttivo con gli uomini. Molte persone con una storia come la tua lo sono, per cui non è una cosa inaspettata e l’abbiamo già affrontata in passato.»
«Lo so.» Ecco perché avevo tanta paura di perdermi in Gideon. «Ci sono alcune cose su cui devi riflettere» continuò. «Sei fidanzata con un uomo che, in apparenza, si avvicina molto al tipo di persona che tua madre avrebbe voluto per te. Considerando ciò che pensi della dipendenza di tua madre dagli uomini, potrebbe darsi che tu stia mettendo in atto una specie di resistenza.» Arricciai il naso.
Agitò il dito verso di me. «Ah, quindi è davvero una possibilità? L’altra è che tu abbia la sensazione di non meritare ciò che hai trovato con lui.» Sentii un peso allo stomaco. «E mi merito Brett?» «Eva.» Mi rivolse un sorriso gentile. «Il fatto che tu ti faccia ancora la domanda… è esattamente il tuo problema.» 5 «Non ti avevo riconosciuto senza la
giacca e la cravatta» disse Sam Yimara, mentre mi accomodavo sulla sedia di fronte a lui. Era un uomo dal fisico compatto, ben al di sotto del metro e ottanta ma muscoloso. Aveva la testa rasata e tatuata e i lobi delle orecchie forati al punto che ci si poteva vedere attraverso. Il Pete’s 69th Street Bar non si trovava sulla Sessantanovesima Strada, per cui non sapevo a cosa dovesse il proprio nome. Sapevo
però che i Six-Ninth si chiamavano così per via del locale, dove si erano esibiti per qualche anno. E sapevo anche che i bagni sul retro erano stati uno dei posti in cui Brett si era scopato mia moglie. Avrei voluto averlo tra le mani per tirargli un pugno. Lei si meritava palazzi e isole private, non gli squallidi cubicoli dei bagni di un bar. Il Pete’s non era una bettola, ma era privo di classe: un bar da
spiaggia che al buio aveva un aspetto migliore ed era perlopiù conosciuto come un posto in cui gli studenti della San Diego State University si ritrovavano a bere finché non riuscivano a ricordarsi che cosa avevano fatto o chi si erano scopati. Una volta che l’avessi raso al suolo, non si sarebbero ricordati nemmeno del bar. La scelta del luogo era stata intenzionale e molto astuta da
parte di Yimara: mi innervosiva e faceva capire chiaramente qual era la posta in gioco. Se, d’altro canto, la mia decisione di presentarmi da solo e vestito in jeans e T-shirt lo spiazzava, potevo ritenere che eravamo pari. Mi appoggiai allo schienale della sedia, osservandolo attentamente. Nel bar non c’erano molti clienti, e la maggior parte erano seduti nella veranda. Eravamo in pochi nella sala interna arredata in stile
spiaggia. «Hai deciso di accettare la mia offerta?» «L’ho esaminata.» Accavallò le gambe e si sistemò in modo da poter appoggiare il braccio allo schienale della sedia. Eccessivamente sicuro di sé e non abbastanza intelligente da andarci cauto. «Ma, ehi, considerando quanto vali, mi sorprende che la privacy di Eva per te non meriti più
di un milione di dollari.» Sorrisi tra me e me. «La serenità di Eva è inestimabile. Ma se credi che alzerò l’offerta, ti sbagli. L’ingiunzione contro di te andrà a buon fine e poi c’è il piccolo, seccante dettaglio che riguarda la legalità di filmare Eva senza il suo consenso, uno scenario molto diverso da un video
porno reciprocamente concordato che viene diffuso.» Yimara contrasse la mascella. «Pensavo che volessi mantenere la faccenda tra noi, non renderla di pubblico dominio. Eva sarebbe sola in qualunque azione legale, lo sai. Ho già parlato con Brett e abbiamo risolto la cosa.» La tensione mi fece contrarre le
spalle. «Ha visto il filmato?» «Ne ha una copia.» Yimara si infilò una mano in tasca e ne tirò fuori una chiavetta. «E qui ce n’è una per Eva. Ho pensato che avresti voluto vedere ciò per cui stai pagando.» Il pensiero di Kline che guardava delle immagini sconce di Eva mi riempì di rabbia. I suoi ricordi erano già abbastanza sgradevoli. Un video era intollerabile. Strinsi la chiavetta nel pugno.
«Verrà fuori che il filmato esiste, non posso impedirlo. Hai contattato troppi giornalisti offrendoti di venderglielo. Quello che posso fare è distruggere te. Personalmente, sarebbe ciò che preferisco: voglio vederti bruciare, pezzo di merda.» Yimara si mosse sulla sedia, a disagio. Mi protesi verso di lui. «Non hai
ripreso solo Eva e Kline con la tua videocamera. Ci sono decine di altre vittime che non hanno firmato liberatorie. Possiedo questo bar. Possiedo la band, maledizione. Non c’è voluto un grande sforzo per trovare i clienti abituali e i fan dei Six-Ninth che erano qui mentre tu facevi riprese illegali nei bagni.» L’ultimo residuo di avidità nel suo sguardo si smorzò e poi si spense del tutto. «Se
tu fossi stato più intelligente» proseguii «avresti spinto per un guadagno a lungo termine anziché per un pagamento immediato. Invece adesso firmerai il contratto che ti metterò davanti e te ne andrai con un assegno di duecentocinquantamila dollari.»
Si raddrizzò. «Cazzo, avevi detto un milione! Era questo l’accordo.» «Che tu non hai accettato» mi alzai. «Non è più disponibile. E se ci metterai ancora molto a decidere, non lo sarà più nemmeno la nuova offerta. Ti farò strisciare e finire dritto in galera. Mi basta poter dire a Eva che ci ho provato.» Andandomene, mi infilai in tasca la chiavetta, di
cui avvertii immediatamente il peso. Scambiai un’occhiata con Arash, mentre passavo davanti al punto in cui era seduto in attesa del segnale per entrare in azione. Lui balzò giù dallo sgabello. «È sempre un piacere vederti spaventare a morte qualcuno» disse
prima di avviarsi verso la sedia da cui mi ero appena alzato, con il contratto e l’assegno in mano. Uscii dall’atmosfera cupa del bar nell’accecante luce del sole di San Diego. Eva non voleva che io vedessi il filmato, mi aveva fatto promettere che non l’avrei fatto. Ma provava qualcosa per Kline, e lui rimaneva una minaccia molto reale. Vederli insieme,
in atteggiamento intimo, avrebbe potuto darmi le informazioni di cui avevo bisogno per sconfiggerlo. Con lui Eva era stata così sessualmente sfrenata come lo era con me? Lo aveva desiderato con altrettanta forza e avidità? E lui riusciva a farla venire come ci riuscivo io? Chiusi gli occhi per scacciare le
immagini che mi si affollavano nella mente, ma non se ne andarono. Ricordando la promessa che avevo fatto, attraversai il parcheggio per raggiungere la mia macchina a noleggio. “È stupido che essere tua ‘amica’ mi ecciti quasi quanto essere tua moglie?” Risi sommessamente nel leggere
il messaggio di Eva e risposi: “Essere il tuo amante mi eccita tanto quanto essere tuo marito”. “Oddio… demonio.” Questa volta risi forte. «Che cos’era quel suono?» Comodamente seduto sul divano della mia suite d’albergo, Arash mi lanciò un’occhiata da sopra il suo tablet. «Era una risata, Cross? Stavi
davvero ridendo o ti sta venendo un infarto?» Gli mostrai il dito medio. «Sul serio?» ribatté. «Il dito?» «Eva dice che è un classico.» «Eva è abbastanza sexy per farla franca, tu no.» Aprii una nuova finestra di navigazione sul portatile ed entrai
nel mio profilo, linkandolo a quello di
Eva con la definizione “Fidanzato”, adesso che eravamo “amici”. Aspettando che lei accettasse il link, cliccai sul suo profilo e sorrisi ancora una volta nel vedere l’immagine di copertina che aveva scelto. Si esponeva al mondo
per la prima volta e lo faceva come la donna che mi apparteneva. “ Sto tenendo fede alla mia parte del nostro accordo.” Spostai lo sguardo alla foto di noi due sul profilo di Eva. Accarezzai il suo viso con la punta delle dita, resistendo all’impulso di andare da lei. Aveva bisogno di tutto lo spazio che riuscivo a darle. “Anch’io, angelo mio.” Il teatro nel casinò non era un
posto enorme, ma nemmeno piccolo, ed era più facile da riempire. Per i Six-Ninth era meglio vantarsi di concerti da tutto esaurito che correre il rischio di imbarazzanti posti vuoti, anche nella loro città natale. Christopher avrebbe dovuto tenerlo presente. Mio fratello era bravo in quello che faceva, anche se avevo
imparato a non dirglielo, per non farlo diventare ancora più stronzo. A mano a mano che il pubblico defluiva lentamente, mi feci strada verso il backstage. Non era il mio ambiente, nonostante tutti i pass di libero accesso di cui disponevo in qualità di azionista di maggioranza della Vidal Records. Kline era decisamente in vantaggio. Ma non ero stato capace di aspettare fino al mattino dopo, anche se sapevo che sarebbe stata
la mossa più saggia: lui sarebbe stato stanchissimo e forse in preda ai postumi di una sbornia, e allora io avrei avuto il coltello dalla parte del manico. Non potevo aspettare tanto. Kline aveva il filmato e doveva averlo visto almeno una volta, magari di più. Non potevo tollerare il pensiero che lo vedesse ancora. Portarglielo via era l’impegno più importante all’ordine del giorno. E volevo che lui sapesse che ero
nei paraggi prima che incontrasse Eva. Stavo marcando il mio territorio, per così dire, e avevo scelto di farlo con i jeans e la Tshirt che avevo indossato per l’incontro con Yimara. Tutto ciò che riguardava Eva era una faccenda personale, non professionale, e intendevo che fosse chiaro nel
momento in cui Kline mi avrebbe visto. Mi infilai a sinistra del palco e mi feci strada in mezzo al caos. Donne semisvestite si facevano della loro droga o del loro superalcolico preferito lungo lo stretto corridoio con le pareti tutte segnate. Decine di uomini tatuati e pieni di piercing smontavano e impacchettavano attrezzature con un’abilità e una velocità dovute
alla pratica. Altoparlanti nascosti diffondevano musica stridente, che faceva a pugni con le melodie che uscivano dai singoli camerini. Mi feci largo in quel pandemonio, cercando con lo sguardo una caratteristica testa di capelli a spazzola con le punte biondo platino. Una bionda dall’aria
dolorosamente familiare uscì da una porta aperta qualche metro più avanti, con i capelli sciolti sulle spalle e un magnifico sedere che calamitava l’attenzione. Rallentai il passo, mentre i battiti del mio cuore acceleravano. Kline la seguì, tenendo una birra in una mano e allungando l’altra verso la donna. Lei l’afferrò e lo trascinò dietro le quinte. Sapevo quant’era delicata quella mano, quant’era liscia la pelle e
ferma la presa. Sapevo che sensazione davano quelle unghie quando affondavano nella mia schiena e quelle dita quando mi afferravano con forza i capelli, mentre lei veniva nella mia bocca. La scossa trasmessa dalle sue carezze. La
consapevolezza primordiale. Mi fermai, raggelato, con un nodo allo stomaco. Lei era in piedi vicino – troppo vicino – a Kline. Aveva le spalle appoggiate alla parete, teneva i fianchi in una posa seducente e sfiorava allusivamente l’addome di lui, che le rivolse un sorriso sfacciato e provocante, accarezzandole gli avambracci in modo decisamente troppo intimo. Guardandoli, nessuno avrebbe
potuto dubitare che fossero amanti. Mi sentii ribollire il sangue per la rabbia, e su di me scese una tenebra nauseante. Un dolore bruciante, che affondava le radici nel profondo dell’anima, mi tolse il respiro e ogni traccia di autocontrollo. Una donna mi posò un braccio su una spalla e mi infilò una mano
nello scollo della T-shirt per toccarmi il petto, mentre con l’altro braccio mi circondava i fianchi e mi accarezzava il pene con la mano libera. Un profumo nauseabondo mi colpì le narici, spingendomi a scrollarmela di dosso con violenza mentre una bruna magra come una modella e con gli occhi azzurri pesantemente truccati cercava di premersi addosso me. «Andatevene!» grugnii,
fissandole entrambe in un modo che le indusse a indietreggiare barcollando e a darmi dello stronzo. In altri tempi me le sarei scopate tutte e due, trasformando la sensazione di essere la preda in una di controllo assoluto. Avevo imparato come trattare i predatori sessuali dopo Hugh, come farli stare al loro posto. Feci un balzo in avanti e mi spinsi in mezzo alla folla, ricordando la sensazione dell’impatto del mio
pugno sulla mascella di Kline, la durezza inflessibile del suo addome, l’aria che usciva dai suoi polmoni strappandogli un grugnito mentre lo colpivo con tutta la forza che avevo. Lo volevo steso e malconcio, sanguinante, a pezzi. Kline si chinò verso di lei per dirle qualcosa nell’orecchio. Strinsi i pugni. Lei gettò la testa all’indietro e rise, e io mi bloccai, sbalordito e confuso. A dispetto del rumore di sottofondo, quel suono mi colpì
come una nota stonata. Non era la risata di Eva. Era troppo alta. Quella di mia moglie era bassa e gutturale, sensuale, unica come la donna a cui apparteneva. La bionda girò la testa e la vidi di profilo. Non era Eva. Il fisico e i capelli erano simili, ma il viso no. “Ma che cazzo…?” All’improvviso capii. Era la tipa del video di Ragazza d’oro, la controfigura di Eva.
Organizzatori e groupie mi passavano accanto sfiorandomi, ma io rimasi fermo dov’ero, mentre Kline accarezzava e seduceva una pallida imitazione della mia incomparabile moglie. La vibrazione del cellulare nella
tasca mi riscosse. Imprecai e lo tirai fuori, leggendo l’SMS di Raúl: “Lei è appena arrivata al casinò”. Quindi aveva cambiato idea sul fatto di vedere Kline. Volgendo la situazione a mio favore, scrissi di ri ma ndo: “Portala alla quinta di sinistra adesso”. “Ricevuto.” Mi appoggiai con la schiena alla parete, infilandomi in una nicchia seminascosta da casse d’acciaio piene di attrezzature impilate su
carrelli. I minuti passarono lentamente. Percepii la sua presenza ancora prima di vederla e la sensazione mi diede un brivido. Girai la testa e la individuai senza difficoltà. A differenza della sua imitatrice, che
portava un miniabito attillato, Eva indossava jeans che esaltavano tutte le sue curve e una semplice canotta grigia, sandali con il tacco e orecchini a cerchio: informale e rilassata. Il desiderio si impadronì di me con forza brutale. Era la donna più bella che avessi mai visto e senza dubbio la più sexy del mondo. Al suo passaggio le altre donne girarono la testa, invidiando la sua naturale bellezza e sensualità. Gli
uomini le lanciarono occhiate concupiscenti, ma lei sembrò non notarle, concentrata com’era su Kline. Strinse gli occhi per mettere a fuoco quando si trovò davanti alla stessa scena che avevo visto io un attimo prima. La osservai mentre valutava la situazione e capii quando
giunse alla stessa conclusione a cui ero arrivato io. Una miriade di emozioni le passò sul viso. Doveva essere strano per lei vedere un ex amante così desideroso di riprendersi quello che un tempo aveva avuto con lei. Per me era inconcepibile: se non avessi potuto avere Eva, non avrei avuto nessun’altra. Tirò indietro le spalle, alzò il
mento, poi incurvò le labbra in un sorriso. Notai nel suo atteggiamento una nuova consapevolezza, un nuovo tipo di pace. Qualunque cosa fosse ciò di cui aveva bisogno, l’aveva trovato. Mi passò
davanti senza accorgersi di me. Raúl, invece, mi raggiunse. «Imbarazzante» disse e si concentrò su Kline mentre il cantante alzava lo sguardo e notava mia moglie, irrigidendosi visibilmente. «Perfetto» ribattei, nel momento
in cui mia moglie salutò Kline tendendogli la mano sinistra. Il mio anello brillò sul suo dito, impossibile da non notare. «Tienimi informato.» Me ne andai. Con i muscoli che mi bruciavano mentre facevo l’ottantesima flessione, fissai la chiavetta per terra davanti a me. Il modo in cui avevo sistemato la faccenda con Yimara e Kline era stato efficace
ma insoddisfacente. Ero ancora teso e irritato e morivo dalla voglia di fare a botte. Rivoli di sudore che colavano dalla fronte mi facevano bruciare gli occhi, mentre gli addominali si contraevano per lo sforzo. Sapere che Eva era in giro per locali con Cary e alcuni loro amici californiani non faceva che assottigliare l’orlo del precipizio su cui mi trovavo. Sapevo come andava su di giri quando beveva e ballava. Adoravo
scoparla quando era madida di sudore e aveva la vagina bagnata e pronta. “Oddio.” Il mio pene pulsò e diventò ancora più duro, avevo le braccia che mi tremavano per lo sforzo e le vene in rilievo lungo gli avambracci e le mani. Avevo bisogno di una doccia fredda, ma non volevo darmi un orgasmo. Lo tenevo sempre in serbo per Eva, ogni densa, cremosa goccia. Il portatile emise un ping e io
rallentai il ritmo spietato, arrivando alla centesima flessione prima di alzarmi in piedi. Presi la chiavetta e la lasciai cadere sulla scrivania, poi recuperai l’asciugamano che avevo buttato sullo schienale della sedia. Mentre mi asciugavo il sudore dal viso in attesa di aprire la finestra di navigazione sul computer, mi aspettavo
di leggere l’ultimo aggiornamento sulla serata di Eva. Quello che trovai era un suo messaggio: “In che stanza sei?” Fissai lo schermo per un attimo, elaborando la domanda. Un altro ping annunciò un messaggio di Ra ú l : “Sta venendo verso il suo hotel”. L’ansia
dell’attesa mi fece spostare l’attenzione dall’allenamento alla mia deliziosa, intelligente moglie. Le risposi: “4269”. Allungai la mano verso il telefono della scrivania e chiamai il servizio in camera. «Una bottiglia di Cristal» ordinai. «Due flûte, fragole, panna montata. Consegna in dieci minuti,
grazie.» Mentre riagganciavo, mi misi l’asciugamano intorno al collo e lanciai una rapida occhiata all’orologio: erano le due e mezzo del mattino. Prima che il campanello della porta suonasse, avevo spento tutte le luci sia nel salotto sia nella camera da letto e avevo aperto le
tende che impedivano la vista dell’oceano illuminato dalla luna. Andai alla porta e l’aprii, trovando ad aspettarmi sia Eva sia il servizio in camera. Vestita come l’avevo vista prima, mia moglie aveva un’aria da monella che me lo fece tornare duro all’istante. Aveva i capelli flosci e il volto acceso, con il
mascara che colava appena. Odorava di pulito, di sudore e di alcol. Se il cameriere non fosse stato in piedi dietro di lei, l’avrei presa da dietro sul pavimento dell’atrio prima che lei se ne rendesse conto. «Cazzo» mormorò, squadrandomi dalla testa ai piedi. Abbassai lo sguardo. Ero ancora
accaldato, con la pelle lucida di sudore. L’elastico dei pantaloni della tuta era tutto bagnato e attirava l’attenzione sull’erezione che non avevo nemmeno tentato di far passare. «Spiacente, sei arrivata proprio mentre mi allenavo.» «Che cosa ci fai a San Diego?» chiese, ancora fuori dalla porta. Arretrai di un passo e le feci segno di entrare. Non si mosse. «Non mi lascerò risucchiare nel tuo vortice di dio del
sesso finché non mi avrai risposto.» «Sono qui per affari.» «Stronzate.» Incrociò le braccia. Allungai una mano, la presi per il gomito e la trascinai dentro. «Posso provarlo.» Il cameriere entrò dietro di lei, spingendo il carrello. «Sei troppo ottimista» borbottò, lanciando un’occhiata a quello che avevo ordinato mentre firmavo la ricevuta. Restituii il tablet al cameriere,
aspettai che se ne andasse, poi raggiunsi il telefono accanto al divano e feci il numero di Arash. «Fai sul serio?» rispose, intontito. «Qualcuno di noi dorme, Cross.» «Mia moglie vuole parlarti.» «Che cosa?» Si udì un fruscio di lenzuola. «Dove sei?» «Nella mia stanza.» Allungai il ricevitore a Eva. «Il mio avvocato.» «Sei fuori di testa?» sbottò lei. «Sono le cinque del mattino a New York! Ed è domenica.»
«È nella stanza accanto. To’, chiedigli se oggi ho lavorato.» Eva si avvicinò a passo di carica e mi strappò di mano il ricevitore. «Dovresti trovarti un nuovo lavoro» disse ad Arash. «Il tuo capo è pazzo.» Lui replicò e lei sospirò: «Prima». Mi guardò. «Per fortuna, è molto attraente. E comunque dovrei farmi controllare da un
buon strizzacervelli. Scusaci per averti svegliato. Torna a dormire.» Eva mi restituì il ricevitore. Lo presi e me lo avvicinai all’orecchio. «Come ha detto Eva, torna a dormire.» «Mi piace. Ti insulta.» Feci scorrere lo sguardo su di lei. «Piace anche a me. Buonanotte.» Riagganciai e allungai la mano per afferrarla. Si ritrasse, sottraendosi alla mia
presa. «Perché non mi hai detto che eri qui?» «Non volevo esserti d’intralcio.» «Non ti fidi di me?» Inarcai le sopracciglia. «Chiese la moglie che ha messo sotto controllo il mio cellulare fino all’albergo.» «Ero solo curiosa di sapere se saresti andato all’attico oppure no!» Sporse in fuori il labbro, dal momento che io continuavo a fissarla senza dire nulla. «E… mi mancavi.»
«Sono qui, angelo.» Aprii le braccia. «Vieni e prendimi.» Lei arricciò il naso. «Devo farmi una doccia. Puzzo.» «Siamo sudati entrambi.» Mi avvicinai a lei e stavolta non si ritrasse. «E adoro il tuo odore, lo sai.» Le misi le mani sulla vita, facendole risalire fino a raggiungere la pienezza dei suoi seni. Li presi tra le mani attraverso la canotta, soppesandoli
delicatamente e strizzandoli piano. Non avevo mai avuto fissazioni per una particolare parte del corpo femminile finché non avevo incontrato Eva. Veneravo ogni centimetro di lei e avevo il culto di tutte le sue generose curve. Le sfiorai i capezzoli con il
pollice, sentendoli indurirsi. «Adoro come ti senti.» Abbassai la testa e strofinai il naso nell’incavo del suo collo, facendole il solletico con i capelli umidi. Lei gemette. «Non è giusto, tu sei mezzo nudo, con il fisico scolpito e lucido, e io non ho forza di volontà.» «Non ne hai bisogno.» Infilai le mani sotto la sua canotta e le slacciai il reggiseno.
Inspirai lentamente e profondamente, mentre lei faceva scivolare una mano nell’elastico dei pantaloni e mi afferrava il pene. «Mmh» sussurrò. «Guarda che cosa ho trovato.» «Angelo.» Le presi il sedere tra le mani. «Dimmi che lo vuoi proprio nel modo in cui io voglio dartelo.» Alzò lo sguardo su di me, con gli occhi socchiusi. «E sarebbe?»
«Qui, per terra, i jeans impigliati intorno a una caviglia, la canotta tirata su e le mutandine scostate. Voglio infilarti dentro il cazzo, riempirti del mio sperma.» Passai la lingua lungo la vena che le pulsava sul collo. «Mi prenderò cura di te quando sarai a letto, ma adesso… voglio solo usarti.» Lei tremò. «Gideon.» La feci distendere lentamente sulla moquette. La mia bocca trovò la sua, morbida, calda, umida, la
sua lingua che leccava dolcemente la mia. Mi circondò il collo con le braccia, cercando di trattenermi. Glielo lasciai fare, mentre mi mettevo a cavalcioni di lei e le aprivo i jeans. Aveva l’addome piatto e liscio come la seta e lo contrasse con una risatina quando le sfiorai i fianchi. La mia bocca ancora sulla sua, sorrisi per quella sensibilità al solletico e il cuore mi si riempì di una gioia incontenibile.
«Starai con me» le dissi. «Ti sveglierai con me.» «Sì.» Sollevò le anche per aiutarmi a sfilarle i jeans. Le liberai una gamba sola, poi le aprii le cosce e la guardai: le mutandine si erano spostate mentre le tiravo giù i pantaloni, dandole proprio
l’aspetto che volevo. Era mia moglie, la mia proprietà più preziosa, e io la custodivo come un tesoro. Ma l’amavo anche sciatta e sporca, un oggetto sessuale per il mio piacere, l’unica donna che poteva far tacere i ricordi nella mia testa e liberarmi. «Angelo.» Scivolai giù, prono, con l’acquolina in bocca al pensiero del suo sapore.
«No» protestò, coprendosi con le mani. Le bloccai i polsi ai lati del corpo e la fissai. «Ti voglio così.» «Gideon…» La leccai attraverso la seta e lei si inarcò con un mugolio, affondando i talloni nel tappeto e venendomi incontro. Con i denti
scostai le mutandine e scoprii la sua pelle incredibilmente morbida. Mi lasciai sfuggire un gemito roco, mentre il pene mi diventava così duro da farmi male. Le presi il clitoride con la bocca e glielo succhiai, poi glielo leccai, e lo sentii contrarsi. Le lasciai le mani, sapendo che era mia adesso, incapace di opporre resistenza. «Oddio» mormorò, contorcendosi. «La tua bocca…»
Tenendole le gambe spalancate, la toccai con la lingua portandola verso il culmine. Mi afferrò i capelli e li tirò dolorosamente, spronandomi finché non venne con un grido di stupore. La leccai dentro, scopandola e sentendola rabbrividire intorno alla mia lingua. Era sempre più eccitata e bagnata. Le sfiorai il clitoride e le feci
scivolare dentro due dita, dimenandomi contro il pavimento alla sensazione di quella cavità morbida e stretta. Desideravo ardentemente infilare il pene nel suo calore accogliente, sapendo quant’era stupendo e bramando di sentirlo stringersi intorno a me. «Ti prego» mi supplicò Eva, contorcendosi all’affondo delle mie
dita e avvertendo la necessità di essere riempita dal mio membro. Volevo scopare, venire, e non perché avevo bisogno del sesso, ma perché avevo bisogno di lei. Eva si contrasse e si tese in preda a un altro orgasmo, e gridando inarcò il collo. Mi pulii la bocca su una sua coscia, mi misi in ginocchio e abbassai i pantaloni,
poi puntellandomi al pavimento con una mano avvicinai con l’altra la punta pulsante del pene alla sua vagina, e spinsi con tutto il peso del corpo, emettendo un gemito. «Gideon.» «Mio Dio!» Strofinai la fronte madida di sudore contro la sua guancia, desiderando che avesse il mio stesso odore. Lei mi affondò le unghie nella schiena. Volevo che mi marchiassero, che mi lasciassero il
segno. Prendendole il sedere tra le mani, la sollevai e la inclinai, facendo leva con i piedi sulla moquette per spingermi dentro fino in fondo. Eva boccheggiò e mosse i fianchi, adattandosi a me. «Prendimi» sibilai attraverso i denti serrati, lottando contro il bisogno di venire prima che lei mi avesse preso del tutto. «Fammi entrare.» Mi risucchiò dentro di sé. Io mi
puntellai alle sue spalle per tenerla e spinsi più forte. Lei cedette, lasciando che la possedessi. La sensazione della sua vagina che si stringeva intorno al mio pene avvolgendolo completamente fu tutto quello di cui avevo bisogno: l’abbracciai, la tenni stretta a me, la baciai rudemente e venni con una violenza che mi lasciò tremante fra le sue braccia. Il vapore ci circondava mentre cullavo Eva nell’immensa vasca a
pavimento della suite. I suoi capelli bagnati erano incollati al mio petto e le sue braccia indugiavano sulle mie, che le abbracciavano la vita. «Asso.» «Mmh?» Le premetti le labbra su una tempia. «Se noi non potessimo stare insieme – non che succederà mai, ma solo in via ipotetica – andresti a letto con una donna che mi assomigliasse? Cioè, so che non sono il tuo solito tipo, ma vorresti
fingere con qualcuna che ti ricordasse me?» «Non intendo fare congetture su qualcosa che non accadrà mai.» «Gideon.» Si appoggiò sul fianco e tirò indietro la testa per guardarmi. «Capisco. Ho provato a pensare se avrei trovato conforto nello stare con qualcuno che ti
assomigliasse. Cioè, magari se fosse buio e lui avesse i capelli lunghi come i tuoi…» Strinsi la presa. «Eva, non raccontarmi le tue fantasie su altri uomini.» «Come al solito, non ascolti.» «Di che cazzo si tratta?» Lo sapevo, ovviamente, ma non volevo lasciare nulla di inesplorato in quell’argomento. «Brett va a letto con la tipa del video di Ragazza d’oro, quella che
mi assomiglia.» «Nessuna ti assomiglia.» Lei alzò gli occhi al cielo. «Può anche avere le tue curve» concessi «ma non sembra te. Non ha il tuo senso dell’umorismo, la tua arguzia, il tuo cuore.» «Oh, Gideon.» Le passai le punte delle dita bagnate sulle sopracciglia. «Spegnere
la luce non mi aiuterebbe affatto. Una bionda a caso con un bel corpo non avrebbe il tuo odore, non si muoverebbe come te, non mi toccherebbe come fai tu e non avrebbe bisogno di me nello stesso modo.» La sua espressione si addolcì e lei appoggiò la guancia sulla mia spalla. «È quello che ho pensato
anch’io. Non potrei farlo. E nel momento in cui ho visto Brett con quella ragazza, ho saputo che non lo avresti fatto nemmeno tu.» «Non con chiunque. Mai.» Le baciai la punta del naso. «Hai cambiato il significato del sesso per me, Eva. Non potrei tornare indietro. Non vorrei nemmeno provarci.» Si girò per mettersi a cavalcioni su di me, facendo sciabordare l’acqua fuori dalla vasca. La
guardai, assorbendo l’immagine dei suoi capelli colore del grano lisciati all’indietro, degli sbaffi lasciati dal trucco, dello scintillio dell’acqua sulla sua pelle dorata. Mi massaggiò la nuca. «Mio padre vuole pagare la cerimonia nuziale.» «Davvero?» Annuì. «Ho bisogno che tu sia d’accordo.» Ero d’accordo su tutto quando la mia vivace moglie, nuda e bagnata,
era abbracciata a me. «Ho avuto la cerimonia che volevo. Questa volta puoi fare quello che preferisci.» L’attrassi più vicina a me. Si morse il labbro inferiore, poi disse: «Mia madre avrà un travaso di bile. È capace di dilapidare cinquantamila dollari solo in fiori e inviti». «Allora di’ ai tuoi genitori che tuo padre offrirà la cerimonia e che tua madre può dare un contributo per il ricevimento. Problema risolto.»
«Oh, proprio così! È utile averti vicino, Mr Cross.» La sollevai e le leccai un capezzolo. «Permettimi di dimostrarlo.» La prima luce dell’alba illuminava la camera quando il respiro di Eva assunse il ritmo profondo e regolare del sonno. Mi districai da lei e dalle lenzuola il più cautamente possibile e mi fermai in piedi accanto al letto
per guardarla. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e le labbra e le guance arrossate dal sesso. Mi massaggiai il petto contratto per la tensione. Lasciarla in quel modo era sempre difficile e lo diventava ogni giorno di più. Mi faceva male staccarmi da lei. Chiusi le tende della camera, dopodiché mi spostai nel salotto e feci la stessa cosa anche lì, immergendo la stanza nell’oscurità. Poi mi sdraiai sul divano e mi
addormentai. Un improvviso lampo di luce mi svegliò. Sbattei le palpebre e mi stropicciai gli occhi, notando che le tende erano state aperte in modo che la luce del sole mi inondasse il volto. Eva venne verso di me, il corpo nudo circonfuso da un alone luminoso. «Ehi» sussurrò, inginocchiandosi accanto a me. «Hai detto che mi sarei svegliata con te.» «Che
ore sono?» Guardai l’orologio e scoprii che avevo dormito solo un’ora e mezza. «Immaginavo che avresti dormito di più.» Mi premette le labbra sul petto. «Non dormo bene senza di te.» Avvertii una fitta di rimorso. Mia moglie aveva bisogno di cose che non potevo darle. Mi svegliava con la luce anziché toccandomi perché
aveva paura della mia reazione. Faceva bene a essere prudente. Quand’ero in preda a un incubo, una mano che mi sfiorava avrebbe potuto farmi svegliare pronto a colpire con un pugno. Le scostai i capelli dal volto. «Mi dispiace.» “Per tutto. Per tutto quello a cui stai rinunciando per stare con me.” «Ssh.» Sollevò l’elastico dei miei pantaloni della tuta e lo abbassò, scoprendo il mio pene duro e pronto
per lei. Come avrebbe potuto essere diversamente, visto che mi era comparsa davanti nuda e con gli occhi assonnati? Me lo prese in bocca, avvolgendo la punta con le labbra. Chiusi gli occhi e gemetti. Più tardi a svegliarmi fu qualcuno che bussava alla porta. Eva si girò tra le mie braccia, accoccolandosi contro il mio corpo nello spazio angusto del divano. «Maledizione»
mormorai, stringendola ancora di più a me. «Fai finta di niente.» Continuarono a bussare. «Andatevene» urlai. «Porto caffè e croissant» urlò Arash di rimando. «Apri la porta, Cross, è mezzogiorno passato e io voglio conoscere la tua signora.» «Oddio.» Eva mi guardò sbattendo le palpebre. «Il tuo avvocato?» «Lo era.» Mi tirai su a sedere e
mi passai le mani tra i capelli. «Tu e io ce ne andremo… presto… lontano.» Lei mi diede un bacio alla base della schiena. «Suona bene.» Infilai le gambe nei pantaloni della tuta e mi alzai per tirarli su. Eva ne approfittò per baciarmi il sedere nudo. «Ho sentito!» urlò Arash. «Dacci un taglio e apri.» «Sei licenziato»
gli dissi, avviandomi alla porta. Mi girai a lanciare un’occhiata a Eva per dirle di vestirsi, ma lei stava già correndo in camera. Trovai Arash fuori dalla suite con un carrello del servizio in camera. «Che cazzo di problema hai?» Dovetti scansarmi in fretta prima che mi venisse addosso. «Smettila con le tue stronzate.» Sorrise, mentre spingeva il carrello
di lato, e mi squadrò con un’occhiata. «Risparmia la maratona di sesso per la luna di miele.» «Non dargli retta!» urlò Eva dalla camera.
«Non lo farò.» Distolsi lo sguardo da Arash. «Non lavora più per me.» «Non puoi avercela con me» disse Arash, seguendomi nel salotto. «Wow. A giudicare dalla tua schiena, sembra che ti sia azzuffato con un puma. Non mi sorprende che tu sia stanco.» «Chiudi il becco!» Tirai su la Tshirt da terra.
«Be’, nemmeno tu mi hai detto che Eva era a San Diego.» «Non erano affari tuoi.» Alzò entrambe le mani in segno di resa. «Tregua.» «Non dire una parola su Yimara» gli dissi sottovoce. «Non voglio che lei si preoccupi.» Arash si tranquillizzò. «D’accordo. Non ne parlerò.» «Bene.» Mi avvicinai al carrello e versai il caffè in due tazze, preparando quello di Eva come le
piaceva. «Ne prenderò una tazza anch’io» disse. «Serviti pure.» Piegò le labbra in una smorfia ironica, mentre mi raggiungeva. «Verrà fuori?» Mi strinsi nelle spalle. «Non è arrabbiata, vero?» «Ne dubito.» Posai entrambe le tazze sul tavolino, poi andai alla parete dove c’erano gli interruttori per azionare le tende. «Ci vuole
dell’impegno per farla arrabbiare.» «Tu sei bravo in questo.» Sorrise e si sedette in una delle poltrone. «Ricordo quel video virale di voi due che litigavate in Bryant Park.» Gli lanciai un’occhiata mentre la luce del sole cominciava a invadere la stanza. «Devi davvero odiare il tuo lavoro.» «Non dirmi che non saresti curioso se io fossi fuggito per sposarmi con una ragazza che conoscevo solo da un paio di mesi.»
«Le manderei le mie condoglianze.» Arash rise. La porta della camera si aprì ed Eva uscì, con addosso gli stessi vestiti della sera prima. Si era appena lavata il viso, ma le ombre scure sotto gli occhi e la bocca gonfia le davano l’aria di chi è stata scopata con soddisfazione ed è, al
tempo stesso, molto scopabile. A piedi nudi e con i capelli un po’ scompigliati, era stupenda. Mi si gonfiò il petto d’orgoglio. Senza la copertura del trucco, la spruzzata di lentiggini sul naso la rendeva adorabile. Il suo corpo diceva che era fantastica da scopare, la sicurezza del suo portamento diceva che non si sarebbe fatta trattare male da nessuno, e il lampo malizioso nel suo sguardo diceva che non ci
sarebbe stato mai un momento di noia. Incarnava tutte le promesse, le speranze e le fantasie che un uomo poteva avere. Ed era mia. La fissai. Anche Arash la fissò. Lei cambiò posizione e sorrise timidamente. «Salve.» Il suono della sua voce riscosse Arash, che si alzò in piedi così bruscamente da rovesciare il caffè. «Merda. Scusa. Ciao.» Mise giù la tazza e si pulì i
pantaloni dalle gocce, poi si avvicinò a lei e le diede la mano. «Io sono Arash.» Lei gliela strinse. «Lieta di conoscerti, Arash. Io sono Eva.» Li raggiunsi e spinsi via Arash. «Smettila di sbavare.» Lui mi fissò. «Divertente, Cross, stronzo che non sei altro.» Eva rise e si appoggiò a me quando le misi un braccio intorno alle spalle. «È bello vedere che lavora con
gente che non ha paura di lui» disse. Arash le strizzò l’occhio, flirtando spudoratamente. «So come funziona.» «Davvero? Mi piacerebbe molto sapere tutto sull’argomento.» «Non credo» mi intromisi. «Non fare il guastafeste, asso.» «Già, asso» intervenne Arash in tono beffardo. «Che cos’hai da
nascondere?» Sorrisi. «Il tuo cadavere.» Lui guardò mia moglie e sospirò. «Vedi con che cosa ho a che fare?» 6 Il pranzo all’aperto con i tre uomini più importanti della mia vita, nella splendida cornice di San Diego, salì decisamente in vetta alla classifica dei miei momenti più belli. Ero seduta tra Gideon e mio padre, mentre Cary era abbandonato sulla sedia di fronte a me.
Se me lo avessero chiesto alcuni mesi prima, avrei detto che ero indifferente alle palme, ma adesso che non le vedevo da tempo le apprezzai: guardandole stormire dolcemente nella tiepida brezza dell’oceano, provai quel tipo di pace che, pur inseguendola, raramente si raggiunge. I gabbiani si disputavano con i piccioni le briciole
sotto i tavoli, mentre il rumore delle onde non troppo distanti che si frangevano sulla spiaggia faceva da sottofondo all’andirivieni del ristorante affollato. Gli occhiali da sole a specchio del mio migliore amico gli nascondevano gli occhi, ma il suo
sorriso spuntava spesso e volentieri. Mio padre, in pantaloncini e T-shirt, aveva cominciato il pranzo insolitamente
silenzioso, ma dopo una birra si era lasciato andare e adesso sembrava a proprio agio come Cary. Mio marito indossava pantaloni cargo marrone chiaro e una T-shirt bianca: era la prima volta che lo vedevo in abiti dai colori tenui. Aveva un’aria disinvolta e rilassata con indosso i suoi occhiali da aviatore e teneva le dita intrecciate alle mie sul bracciolo della sedia. «Una cerimonia all’inizio della sera» pensai ad alta voce. «Verso il
tramonto. Solo la famiglia e gli amici stretti.» Lanciai un’occhiata a Cary. «Tu sarai il testimone della sposa, ovviamente.» Lui incurvò la bocca in un sorriso pigro. «Sarà meglio.» Lanciai un’occhiata a Gideon. «A chi chiederai di farti da testimone? Lo sai?» Le sue labbra si contrassero in modo quasi impercettibile, ma io me ne accorsi. «Non ho ancora deciso.»
Il mio buonumore si incrinò. Si stava chiedendo se Arnoldo sarebbe stato adatto, visto quello che pensava di me? Mi intristì l’idea che potevo avere creato tensione nel loro rapporto. Gideon era una persona così riservata! Anche se non lo sapevo con certezza, sospettavo che fosse legato ai suoi amici, ma che non ne avesse molti. Gli strinsi la mano. «Chiederò a Ireland di fare la testimone della
sposa.» «Le farà piacere.» «Che cosa facciamo con Christopher?» «Niente. Con un po’ di fortuna, non verrà.» Mio padre corrugò la fronte. «Di chi state parlando?» «Del fratello di Gideon.» «Non vai d’accordo con tuo
fratello, Gideon?» Non volevo che mio padre avesse nulla da rimproverare a mio marito, per cui dissi: «Christopher non è una bella persona». Gideon girò la testa verso di me. Anche se non lo espresse a parole, afferrai ugualmente il messaggio: non voleva che parlassi al posto suo. «È un idiota totale, vuoi dire» intervenne Cary. «Senza offesa, Gideon.»
«Nessun problema.» Si strinse nelle spalle e spiegò a mio padre: «Christopher mi considera un avversario. Vorrei che le cose stessero diversamente, ma non dipende da me». Mio padre annuì lentamente. «Che peccato.» «Visto che stiamo parlando del matrimonio»
proseguì tranquillamente Gideon «mi farebbe piacere provvedere agli spostamenti. Mi darebbe una gradita opportunità di contribuire.» Feci un profondo
respiro, comprendendo – come sapevo che avrebbe fatto mio padre – che la franchezza e il tatto di mio marito rendevano difficile opporgli un rifiuto. «È molto generoso da parte tua, Gideon.» «È un’offerta che vale sempre. Con un’ora di preavviso, possiamo fare in modo che lei sia in volo. In questo modo per lei ed Eva sarà più semplice
rispettare i vostri programmi e sfruttare al meglio il tempo che trascorrerete insieme.» Mio padre non rispose subito. «Grazie, mi ci vorrà un po’ per abituarmi all’idea. È un po’ troppo generosa e io non voglio essere un peso.» Gideon si tolse gli occhiali da sole, rivelando gli occhi. «È a questo che servono i soldi. Tutto
quello che voglio è rendere felice sua figlia. Mi faciliti le cose, Mr Reyes. Tutti noi vogliamo vedere Eva sorridere il più possibile.» Allora capii perché mio padre era così contrario al fatto che Stanton pagasse qualunque cosa: il mio patrigno non lo faceva per me, lo faceva per mia madre. Gideon considerava sempre e soltanto me quando prendeva decisioni. Sapevo che mio padre poteva accettarlo. Intercettai lo sguardo di Gideon e
mimai con le labbra un “Ti amo”. Lui mi strinse la mano fino a farmi male, ma non importava. Mio padre sorrise. «Rendere felice Eva. Come potrei non essere d’accordo?» Il profumo del caffè appena fatto risvegliò i miei sensi ben allenati la mattina dopo. Sbattei le palpebre guardando il soffitto del mio appartamento nell’Upper West Side e feci un sorriso assonnato quando scorsi Gideon che, in piedi accanto
al mio letto, si toglieva la maglietta. La visione del suo busto magro e muscoloso e dei suoi addominali scolpiti compensò in parte il fatto che aveva evidentemente passato la notte da solo dopo che mi ero addormentata tra le sue braccia. «Buongiorno»
mormorò, buttandosi sul letto accanto a me mentre si abbassava i pantaloni del pigiama e se li toglieva. Chi dice che il lunedì mattina fa schifo non si è ovviamente mai svegliato vicino a un Gideon Cross nudo. «Lo sarà» aggiunse, sollevando le coperte e raggiungendomi sotto le lenzuola. Rabbrividii al contatto con la sua
pelle fredda. «Accidenti!» Mi abbracciò e mi sfiorò il collo con un bacio. «Riscaldami, angelo.» Quand’ebbi finito con lui, sudava e il caffè che mi aveva portato era diventato freddo. Non me ne importava nulla. Arrivai al lavoro di eccellente umore. Il sesso mattutino aveva contribuito, naturalmente, come pure la visione di Gideon che si vestiva, trasformandosi dall’uomo riservato che conoscevo e amavo
nel tenebroso e pericoloso magnate di livello internazionale. La giornata non poté che migliorare quando uscii dall’ascensore al ventesimo piano e vidi Megumi seduta alla sua scrivania. La salutai con la mano al di là del vetro blindato dell’ingresso, ma il mio sorriso svanì quando la guardai meglio. Era pallida e aveva gli occhi cerchiati. Il taglio di capelli asimmetrico che di solito era scolpito sembrava floscio e troppo
lungo e la camicia a maniche lunghe e i pantaloni scuri che indossava erano fuori luogo nel caldo umido di agosto. «Ciao» la salutai quando mi aprì la porta. «Come stai? Ero preoccupata per te.» Mi fece un debole sorriso. «Non ti ho richiamata, scusami.»
«Nessun problema. Io sono totalmente asociale quando sto male, e desidero solo rannicchiarmi a letto ed essere lasciata in pace.» Il suo labbro inferiore tremò e nei suoi occhi spuntarono le lacrime. «Va tutto bene?» Mi guardai intorno, nel timore che gli impiegati che passavano dalla reception turbassero la sua privacy. «Ti sei fatta visitare da un dottore?» Cominciò a piangere.
Sconvolta, rimasi paralizzata per un attimo. «Megumi, cosa c’è che non va?» Lei si tolse l’auricolare e si alzò in piedi, mentre le lacrime le inondavano il viso. Scosse forte la testa. «Non posso
parlartene adesso.» «Quando fai la pausa?» Ma lei stava già correndo verso il bagno e io rimasi lì a fissarla. Andai al mio cubicolo e posai la borsa, poi percorsi il corridoio e raggiunsi la scrivania di Will Granger. Non c’era, ma lo trovai nella sala ristoro, dove mi fermai a prendere un caffè. «Ehi, ciao.» Dietro gli occhiali dalla montatura squadrata il suo
sguardo pareva preoccupato quanto il mio. «Hai visto Megumi?» «Sì, sembrava distrutta, e quando le ho chiesto come stava si è messa a piangere.» Mi passò il cartone del latte parzialmente scremato. «Di qualunque cosa si tratti, non è
niente di buono.» «Il fatto di non sapere mi fa stare male. La mia immaginazione galoppa e oscilla tra il cancro, la gravidanza e tutte le possibili vie di mezzo.» Will si strinse nelle spalle, impotente. Con le sue basette accuratamente spuntate e le camicie a motivi fantasia, era il
genere di ragazzo affabile e dall’indole bonaria che era difficile non trovare simpatico. «Eva.» Mark fece capolino dalla porta. «Ho delle novità.» Lo scintillio negli occhi del mio capo mi fece capire che era eccitato per qualcosa. «Sono tutta orecchi. Caffè?» «Certo, grazie. Ti aspetto nel mio ufficio.» Ritrasse la testa e se ne andò. Will prese la sua tazza dal
bancone, prima di andarsene a sua volta. «Buona giornata.» Mi affrettai a preparare il caffè e a raggiungere Mark. Si era tolto la giacca ed era concentrato nella lettura di qualcosa al computer. Alzò la testa e sorrise, quando mi vide. «Abbiamo ricevuto un’altra richiesta di offerta.» Il suo sorriso si allargò.
«E hanno domandato specificamente di me.» Mi irrigidii. Posando la sua tazza sulla scrivania, mi informai cautamente: «È un altro prodotto della Cross Industries?». Per quanto amassi Gideon e tutto quello che aveva realizzato, non
volevo essere messa completamente in ombra dal suo mondo. Parte di ciò che eravamo come coppia erano due persone con vite professionali separate. Mi piaceva andare al lavoro con mio marito, ma avevo anche bisogno di prendere le distanze da lui. Sentivo la necessità di quelle poche ore in cui lui non mi consumava. «No, qualcosa di più grosso.»
Inarcai le sopracciglia. Non riuscivo a pensare a nulla o nessuno più grande della Cross Industries. Mark mi allungò una fotografia di una scatola color argento e rosso. «È il nuovo videogioco PhazeOne della LanCorp.» Mi accomodai sulla sedia davanti a lui, sospirando di sollievo dentro di me. «Bello. Sembra divertente.» Poco dopo le undici Megumi mi chiamò per sapere se ero libera per pranzo.
«Certo» le risposi. «In un posto tranquillo.» Ci pensai sopra. «Mi è venuta un’idea. Lascia fare a me.» «Grazie.» Mi sedetti alla scrivania. «Come sta andando la tua mattinata?» «Impegnata. Devo farmi assorbire dal lavoro.» «Se posso fare qualcosa per te, dimmelo.»
«Grazie, Eva.» Fece un profondo sospiro tremante, lasciandosi un po’ andare. «Lo apprezzo.» Riagganciai. Chiamai l’ufficio di Gideon e mi rispose il suo segretario. «Salve, Scott, come sta?» «Bene.» Riuscii a percepire il sorriso nella sua voce. «Che cosa posso fare per lei?» Battevo nervosamente i piedi sul pavimento. Non potevo fare a meno di essere preoccupata per la mia
amica. «Potrebbe dire a Gideon di darmi un colpo di telefono quando ha un minuto libero?» «Glielo passo adesso.» «Ah, okay, benissimo. Grazie.» «Rimanga in linea.» Un minuto dopo sentii la voce che amavo. «Di che cosa hai bisogno, Eva?» Rimasi un po’ spiazzata dal suo tono brusco. «Sei occupato?» «Sono in riunione.» Merda. «Scusa. Ciao.»
«Eva…» Riagganciai e rifeci il numero di Scott per parlargli di come gestire le telefonate in futuro, in modo da non farmi fare la figura dell’idiota. Prima che lui rispondesse, il pulsante della seconda linea cominciò a lampeggiare indicando una chiamata in arrivo. La presi. «Ufficio di Mark Garrity…»
«Non mettermi mai più giù il telefono» sbottò Gideon. Il suo tono mi irritò. «Sei in riunione o no?» «Lo ero. Adesso sto trattando con te.» Al diavolo chi intendeva “trattare” con me. Potevo essere tanto irritabile quanto lui in ogni giorno della settimana. «Sai, ho
chiesto a Scott di riferirti un messaggio quando fossi stato libero e lui ti ha passato la telefonata. Non avrebbe dovuto farlo, se eri impegnato con…» «Ha l’ordine permanente di passarmi sempre le tue telefonate. Se vuoi lasciarmi un messaggio, mandami un SMS o un’e-mail.» «Be’, scusa se non conosco il protocollo per mettermi in contatto con te!» «Adesso non importa. Dimmi di
che cosa hai bisogno.» «Di niente, dimenticatene.» Lui fece un pesante sospiro. «Non fare giochetti con me, angelo.» Mi ricordai dell’ultima volta in cui lo avevo chiamato in ufficio e di come anche allora era sembrato alterato. Se c’era qualcosa che lo infastidiva, sicuramente non ne avrebbe fatto parola. Mi piegai sulla scrivania e abbassai la voce. «Gideon, il tuo
atteggiamento mi irrita. Non voglio “trattare con te” quando sei contrariato. Se sei troppo occupato per parlare non me, non dovresti dare l’ordine permanente di interromperti.» «Non voglio essere irraggiungibile.»
«Ah, davvero? Perché è esattamente quello che sembri adesso.» «Cazzo.» Il suo tono esasperato mi suscitò un moto di soddisfazione. «Non ti ho mandato un SMS perché non volevo disturbarti in una riunione. Non ti ho mandato un’e-mail perché si tratta di un favore urgente e non
so con quale frequenza controlli la posta in arrivo. Immaginavo che lasciare un messaggio a Scott sarebbe stata la cosa migliore.» «Adesso hai tutta la mia attenzione. Dimmi che cosa vuoi.» «Voglio concludere la telefonata e che tu riprenda la riunione.» «Ciò che otterrai» disse con
pericolosa calma «è che mi presenterò alla tua scrivania, se non tagli corto e non mi spieghi perché mi hai chiamato.» Lanciai un’occhiata alla sua foto. «Mi fai venire voglia di trovarmi un lavoro nel New Jersey.» «Mi fai impazzire» brontolò piano. «Non posso andare avanti,
quando litighiamo, lo sai. Dimmi semplicemente che cosa ti serve, Eva, e perdonami per adesso. Possiamo discutere e riappacificarci con il sesso più tardi.» La tensione che provavo si sciolse. Come potevo rimanere arrabbiata con lui dopo che aveva ammesso quanto riuscivo a renderlo vulnerabile? «Accidenti a te»
brontolai. «Detesto quando diventi ragionevole dopo avermi irritata.» Sogghignò sommessamente suo malgrado e io mi sentii subito meglio. «Angelo mio.» La sua voce assunse quella sfumatura roca sensuale e affettuosa che avevo bisogno di sentire. «Decisamente non un tranquillo, rassicurante
ornamento.» «Di che cosa stai parlando?» «Non preoccuparti, sei perfetta. Dimmi perché mi hai chiamato.» Conoscevo quel tono. In qualche modo, lo avevo eccitato. «Sei un maniaco, sul serio.» Per mia fortuna. «Comunque, asso, volevo sapere se all’ora di pranzo puoi prestarmi una delle tue sale conferenze per portarci Megumi. È tornata, ma è incasinata e penso che voglia
parlarmene, ma qui nei dintorni non c’è nessun posto che sia abbastanza tranquillo e riservato.» «Usa il mio ufficio. Ti farò ordinare qualcosa da mangiare e tu avrai lo spazio che ti serve mentre io sarò fuori.» «Davvero?» «Certo. Comunque, devo ricordarti che quando lavorerai per la Cross Industries avrai il tuo
ufficio in cui pranzare.» Gettai indietro la testa. «Chiudi il becco.» La ricerca necessaria per preparare la richiesta di offerta per PhazeOne mi tenne occupata, ma ero così ansiosa di ricevere notizie da Megumi che l’ora sembrò volare. Mi incontrai con lei alla reception a mezzogiorno. «Se non ti sembra
troppo strano» dissi, mentre tirava fuori la borsetta da un cassetto, «useremo l’ufficio di Gideon per il pranzo. Lui è fuori ed è un posto riservato.» «Oddio.» Mi lanciò un’occhiata di scuse. «Mi dispiace, Eva, avrei dovuto congratularmi con te. Will mi ha raccontato del tuo
fidanzamento, ma io me ne sono dimenticata.» «Va tutto bene, non preoccuparti.» Allungò una mano per stringere la mia. «Sono davvero felice per te.» «Grazie.» La mia inquietudine aumentò a dismisura. Megumi era sempre
stata aggiornatissima sugli ultimi pettegolezzi. L’amica che conoscevo avrebbe saputo del fidanzamento ancora prima di me. Prendemmo l’ascensore fino all’ultimo piano. Il pianerottolo della Cross Industries era impressionante quanto Gideon. Era molto più grande degli altri nello stesso edificio e decorato con vasi di gigli e felci sospesi. La scritta CROSS
INDUSTRIES era incisa nel vetro fumé della porta di sicurezza in caratteri virili ma eleganti. «Notevole» mormorò Megumi, mentre aspettavamo che l’addetto alla reception ci facesse entrare. La ragazza con i capelli rossi che ero abituata a vedere dietro il bancone doveva essere fuori a pranzo perché fummo accolti da un tizio con i capelli scuri. Si alzò in piedi quando ci avvicinammo. «Buongiorno, Miss
Tramell. Scott ha detto che può accomodarsi.» «Mr Cross è uscito?» «Non ne sono sicuro. Ho appena cominciato il turno.» «Molto bene, grazie.» Feci strada a Megumi. Girato l’angolo, raggiungemmo l’ufficio di Gideon appena in tempo per imbatterci in lui che ne usciva.
Avvertii un moto di orgoglio e senso di possesso, ma anche di piacere, quando nel vedermi il suo passo vacillò leggermente. Ci incontrammo a metà strada. «Ciao» lo salutai. Contraccambiò con un cenno della testa e diede la mano a Megumi. «Credo che non ci abbiano presentati ufficialmente. Gideon
Cross.» «Megumi Kaba» disse la mia amica con una stretta decisa. «Congratulazioni a lei ed Eva.» L’ombra di un sorriso aleggiò sulla sua bocca sensuale. «Sono un uomo fortunato. Mettetevi a vostro agio. Se avete bisogno di qualcosa, non dovete fare altro che chiamare Ron alla reception e
lui provvederà.» «Staremo benissimo» gli assicurai. «Non ti accorgerai nemmeno che abbiamo dato un party sfrenato in tua assenza.» Il suo sorriso si allargò. «Ottimo. Più tardi ho una riunione in
programma. Sarà interessante spiegare la presenza di festoni e bicchierini.» Mi aspettavo che se ne adasse, invece mi prese il viso tra le mani, lo inclinò alla giusta angolatura e premette le sue labbra sulle mie in un tranquillo e casto bacio che mi lasciò tramortita. Poi mi sussurrò nell’orecchio: «Non vedo l’ora di riappacificarmi
più tardi». Avvertii un brivido. Si ritrasse e rientrò nei panni dell’individuo riservato che appariva agli occhi del mondo. «Godetevi il pranzo, signore.» Se ne andò con quel passo sicuro di sé e naturalmente sensuale che attirava l’attenzione e faceva voltare la gente.
«E tu sei ancora in piedi» mormorò Megumi, scuotendo la testa. «Mi fa morire.» Non potevo spiegare quanto Gideon mi rendesse debole, la facilità con cui mi sconvolgeva e mi faceva sentire il bisogno delle sue attenzioni. «Su, dài» dissi senza fiato. «Andiamo a mangiare.» Mi seguì nell’ufficio. «Non penso che ci riuscirò.» Mentre lei osservava quello spazioso ambiente con le vetrate
panoramiche e la combinazione cromatica giocata su toni diversi degli stessi colori, io raggiunsi la zona bar, dove ci aspettava il pranzo. Ricordavo come mi ero sentita la prima volta in cui ero entrata in quella stanza. A dispetto delle tante zone in cui sedersi, che avrebbero potuto invogliare gli ospiti ad accomodarsi e
a trattenersi per un po’, l’arredamento alla moda e ultramoderno impediva ai visitatori di sentirsi troppo a loro agio. L’uomo che avevo sposato aveva così tante sfaccettature. Il suo
ufficio ne rifletteva solo una. Lo stile classico ed europeo del suo attico ne rifletteva un’altra. «Avete sperimentato pratiche sadomaso?» chiese Megumi, facendomi sobbalzare. Per la sorpresa lasciai cadere le posate avvolte nel tovagliolo che tenevo in mano. Mi girai per guardarla in viso e la trovai di fronte alle vetrate affacciate sulla
città. «Si nascondono tante cose lì dietro.» Si strofinò un polso. «Essere legata e imbavagliata. Indifesa.» «Sono stata indifesa, sì.» Girò la testa. I suoi occhi erano due ombre nel volto pallido. «Ti è piaciuto? Ti ha eccitata?» «No.» Raggiunsi il divano più vicino e mi sedetti. «Ma non ero con la persona giusta.» «Avevi paura?» «Ero terrorizzata.»
«Lui lo sapeva?» L’odore del cibo, fino a poco prima appetitoso, mi diede il voltastomaco. «Perché mi fai queste domande, Megumi?» Mi rispose arrotolandosi una manica e mostrando un polso così pieno di lividi da essere quasi nero. 7 Erano le otto passate quando entrai
nell’appartamento di Eva e la trovai seduta insieme a Cary sul divano bianco del salotto, con un bicchiere di vino rosso in mano. Mia moglie propendeva per i mobili moderni tradizionali, ma nell’arredamento si notava il tocco di sua madre e del suo migliore amico. Per quanto non mi
dispiacessero quegli interventi di Monica e di Cary, non vedevo l’ora che io ed Eva condividessimo una casa che riflettesse noi, senza intromissioni. E tuttavia quell’appartamento sarebbe sempre stato un posto speciale per me. Non avrei mai dimenticato come mi era apparsa Eva la prima volta in cui ero andato a trovarla: nuda sotto una vestaglia
di seta a mezza coscia, il viso truccato per la serata, una cavigliera di diamanti che mi ammiccava… mi stuzzicava. Avevo perso ogni barlume di razionalità. Avevo posato la bocca su di lei, le avevo messo le mani dappertutto e l’avevo penetrata con le dita e con la lingua. Non mi era
nemmeno passato per la testa di portarla nel mio “scannatoio” e, quand’anche ci avessi pensato, non sarei stato capace di aspettare. Era diversa da qualunque altra donna che avevo avuto prima, non solo per quello che era lei, ma anche per quello che ero io quando ero insieme a lei. Era improbabile che avrei mai permesso ai proprietari di affittare
ad altri quell’appartamento. Conteneva troppi ricordi, belli e brutti. Feci un cenno di saluto a Cary e mi sedetti accanto a Eva. Il migliore amico di mia moglie era vestito per uscire, mentre lei indossava una Tshirt della Cross Industries e aveva i capelli raccolti da un fermaglio. Mi guardarono entrambi e capii che c’era qualcosa che non andava.
Per quanto dovessimo discutere di alcune cose, ciò che preoccupava Eva aveva la priorità. Cary si alzò. «Esco. Se hai bisogno di me, chiamami.» Eva annuì. «Divertiti.» «È una cosa che mi riesce benissimo, piccola.» La porta d’ingresso si era appena chiusa dietro di lui, quando Eva reclinò dolcemente la testa sulla mia spalla. La circondai con un braccio e mi sistemai meglio sul
divano per stringerla accanto a me. «Dimmi, angelo.» «Si tratta di Megumi.» Sospirò. «Era sentimentalmente legata a un ragazzo, ma la situazione non si sbloccava – lui passava da un estremo all’altro e non si impegnava – e così lei ha rotto. Ma poi lui è tornato alla carica e lei lo
ha lasciato fare. Hanno cominciato a giocare con un po’ di bondage, ma le cose gli sono sfuggite di mano nel modo peggiore.» Sentire parlare di bondage mi mise in allerta. Le feci scorrere una mano lungo la schiena e l’attirai più vicina a me. Ero estremamente paziente nell’adeguare i miei desideri
alle sue paure. I contrattempi me li aspettavo, ma non volevo che le disavventure di qualcun altro costituissero nuovi ostacoli da affrontare per me e per lei. «Sembra in tutto e per tutto un errore di valutazione» dissi. «Uno dei due avrebbe dovuto sapere che cosa stavano facendo.»
«È così.» Si scostò da me e mi guardò in faccia. «Ho analizzato la faccenda con Megumi. Lei si è opposta – parecchio – finché lui non l’ha imbavagliata. La sua sofferenza l’ha eccitato, Gideon. E adesso la sta terrorizzando con messaggi e con le foto che le ha fatto quella notte. Lei gli ha chiesto di smettere, ma lui non lo farà. È malato, c’è qualcosa che non va in lui.» Valutai il modo migliore di replicare e dissi secco: «Eva,
Megumi lo ha mollato e poi se l’è ripreso. Può darsi che lui non si renda conto che lei fa sul serio questa volta». Si ritrasse e scattò in piedi. «Non giustificarlo. Megumi è piena di lividi, e dopo una settimana sono ancora scuri. Non è riuscita a sedersi per giorni!» «Non lo sto giustificando.» Mi alzai a mia
volta. «Non giustificherei mai chi commette un abuso… lo sai. Non conosco tutta la storia di Megumi, ma conosco la tua. La sua situazione non è come la tua. Nathan era un’aberrazione.» «Non sto facendo analogie, Gideon. Ho visto le foto, ho visto il polso e il collo della mia amica, ho letto i messaggi che lui le ha mandato. Quel tipo ha passato il limite, è pericoloso.»
«Una ragione di più perché tu stia fuori dalla faccenda.» Si mise le mani sui fianchi. «Oh, mio Dio, non puoi averlo detto! Lei è una mia amica.» «E tu sei mia moglie. Conosco quell’espressione sul tuo viso. Ci sono battaglie che non spetta a te combattere. Non affronterai quest’uomo come hai affrontato mia madre
e Corinne, non ti intrometterai in questa storia.» «Ho detto che intendo fare una cosa del genere? No, non l’ho detto. Non sono un’idiota. Ho chiesto a Clancy di trovarlo e di parlargli.» Benjamin Clancy era un uomo del suo patrigno,
non mio. Totalmente fuori dal mio controllo. «Non avresti dovuto farlo.» «E cosa avrei dovuto fare, invece? Niente?» «Sarebbe stato meglio. Al massimo, avresti potuto chiedere a Raúl.» Lei alzò le mani. «E perché mai?
Non conosco Raúl abbastanza da chiedergli un favore personale.» Tenni a freno l’esasperazione. «Ne abbiamo parlato. Lui lavora per te. Non devi chiedergli favori, devi semplicemente dirgli che cosa vuoi che faccia.» «Raúl lavora per te. Inoltre, non sono una specie di padrino che manda scagnozzi prezzolati a dare lezioni alla gente. Ho chiesto a una persona di cui mi fido come di un amico di aiutare un’altra mia
amica.» «Per quanto tu razionalizzi la cosa, il risultato è lo stesso. Dimentichi che Ben Clancy è pagato per proteggere gli interessi del tuo patrigno. Si occupa di te solo perché ciò gli assicura un maggiore controllo nel garantire la sicurezza e la reputazione di Stanton.» Eva si irritò. «Come fai a sapere queste cose?» «Angelo, ascoltami. Concentrati sul fatto che da un po’ di tempo tua
madre e Stanton invadono la tua privacy: usando le loro risorse, tu stai tenendo aperta quella porta.» «Ah.» Eva si mordicchiò il labbro inferiore. «Non avevo considerato la cosa da questo punto di vista.» «Hai mandato un professionista addestrato a “parlare” con quel tizio, ma non hai pienamente valutato le conseguenze. Se tu avessi incaricato Raúl di aiutarti, lui avrebbe saputo di essere in una situazione delicata.» Contrassi la
mascella. «Dannazione, Eva, non rendermi difficile proteggerti!» «Ehi.» Allungò la mano verso di me. «Non preoccuparti, okay? Ti ho raccontato quello che stava succedendo non appena sei entrato e Clancy è stato con me fino a un’ora fa, quando mi ha riportata a casa dopo la lezione di krav maga. Non è ancora accaduto nulla che mi
abbia messa in pericolo.» La attirai a me e la strinsi forte, desiderando di poter essere certo che stesse bene. «Voglio che Raúl ti accompagni ovunque vai» dissi burbero. «Alle lezioni, in palestra, a fare shopping… ovunque. Devi lasciare che mi prenda cura di te.» «Lo fai, piccolo» ribatté rassicurante e adesso più calma.
«Ma non devi essere ossessivo.» Sarei sempre stato ossessivo quando si trattava di Eva: io l’avevo accettato, e alla fine l’avrebbe accettato anche lei. «Ci sono cose che non potrò mai darti. Non rendermi difficili anche quelle che posso darti.» «Gideon.» La sua espressione si addolcì. «Tu mi dai tutto quello di cui ho bisogno.» Le accarezzai il viso: era così morbida,
delicata. Non avevo previsto che il mio equilibrio mentale dipendesse da qualcosa di così fragile. «Torni a casa da un altro uomo, ti guadagni da vivere lavorando per qualcun altro… Non ti sono così necessario come vorrei.» Il suo sguardo brillò divertito. «Ma se praticamente dipendo da te più di quanto riesca a sopportare.» «La cosa è reciproca.» Feci
scorrere le mani lungo le sue braccia e le strinsi i polsi quel tanto che bastava per catturare la sua attenzione. Vidi le sue pupille dilatarsi e le sue labbra socchiudersi, mentre il suo corpo reagiva istintivamente alla
costrizione. «Promettimi che d’ora in poi verrai prima da me.» «Okay» sussurrò. I segnali dell’eccitazione e della resa che colsi nella sua voce mi infiammarono il sangue. Lei ondeggiò verso di me, il corpo rilassato. «Vorrei venire adesso, in realtà.» «Come sempre, sono al tuo
servizio.» “Gideon.” Lo shock di sentire il panico nella voce di Eva si riverberò dentro di me e mi fece sobbalzare, riscuotendomi bruscamente dal sonno più profondo. Mi girai su un
fianco con un basso lamento e mi svegliai a fatica, scostandomi i capelli dal volto e trovando Eva inginocchiata sul bordo del letto. Una profonda e inesorabile sensazione di paura mi fece battere forte il cuore, mentre il sudore freddo mi bagnava la pelle. Mi tirai su, puntellandomi su un gomito. «Che cosa c’è?» La luce della luna che filtrava nella stanza avvolgeva Eva in un alone. Era venuta a cercarmi nella
nostra camera da letto nell’appartamento adiacente al suo. Qualcosa l’aveva svegliata e io avevo paura. Il terrore mi raggelava fin dentro le ossa. «Gideon.» Scivolò accanto a me, con la sua pelle setosa e i suoi capelli lucenti. Accoccolata al mio fianco, allungò una mano e mi sfiorò il viso. «Che cosa stavi
sognando?» La sua carezza mi lasciò sulle guance una scia umida. Sbalordito, inorridito, mi stropicciai gli occhi e avvertii le lacrime. In un angolo della mente percepii i frammenti indistinti di un incubo. Il ricordo mi fece rabbrividire, precipitare sempre più in basso. Mi girai verso di lei e la strinsi forte a me,
sentendola boccheggiare quando esercitai una pressione eccessiva. La sua pelle era fredda in superficie, ma in profondità la carne era calda e io assorbii il suo calore, respirai il suo profumo, sentii il tremendo dolore che ancora persisteva dentro di me alleviarsi grazie alla sua vicinanza. Per quanto non riuscissi ad afferrarlo, il sogno non voleva saperne di abbandonarmi. «Ssh» mormorò Eva, infilandomi
le dita di una mano tra i capelli madidi di sudore e massaggiandomi la schiena con l’altra mano. «Va tutto bene, sono qui.» Non riuscivo a respirare. Annaspavo in cerca d’aria e un orribile suono mi uscì dai polmoni in fiamme. Un singulto. Maledizione. Poi un altro. Non potevo fermare quelle
violente contrazioni. «Piccolo.» Mi abbracciò più forte, intrecciando le sue gambe alle mie, e mi cullò dolcemente, sussurrando parole che i battiti martellanti del mio cuore e il grido del mio dolore invisibile non mi permettevano di sentire. Mi avvolsi nel suo corpo,
aggrappandomi all’amore che poteva salvarmi. «Gideon!» Eva inarcò la schiena quando spinsi forte, mentre le mie ginocchia le tenevano le cosce spalancate e il mio membro la
penetrava in profondità. Le bloccavo i polsi con le mani e lei scuoteva la testa mentre la scopavo. C’erano mattine
in cui la svegliavo con dolcezza. Stamattina non era una di quelle. Mi ero svegliato con un’erezione pulsante contro il sedere di Eva e la punta del pene bagnata di liquido pre-eiaculatorio. L’avevo eccitata con impazienza e voracità,
succhiandole i capezzoli fino a farli diventare duri e sollecitando la sua vagina con la carezza esigente delle dita. Lei si era infiammata al mio tocco, e si era abbandonata a me, si era data a me. Dio, l’amavo così tanto! Il bisogno di venire mi serrava i testicoli in una morsa, esercitando una pressione deliziosa. Lei era stretta, meravigliosamente accogliente e bagnata. Non ne
avevo mai abbastanza, non affondavo mai troppo, nemmeno quando sentii la punta del pene arrivare in fondo. Lei si dibatté sotto i miei colpi insistenti, i talloni che scivolavano sulle lenzuola, i seni
che sobbalzavano per la forza dei miei affondi. Era così piccola, così morbida e io scopavo il suo corpo seducente con tutta l’energia che avevo dentro. “Prendimi. Prendi tutto di me. Il bene e il male. Tutto. Prendi tutto.” La testiera del letto sbatteva contro la parete che separava i nostri due appartamenti con un ritmo deciso che urlava: “Sesso folle” a chiunque fosse in ascolto,
così come facevano i grugniti che mi uscivano dalla gola, i suoni animaleschi del piacere che non tentavo di trattenere. Adoravo scopare mia moglie, lo bramavo, ne avevo bisogno, e non mi importava che qualcuno sapesse che cosa mi faceva. Eva si inarcò, affondando i denti nei miei bicipiti sudati e scivolosi. Il marchio del possesso mi fece impazzire e mi indusse a spingere così forte da mandarla sempre più
in su sul letto. Lei urlò. Io sibilai quando mi strinse come un pugno avido. «Vieni» dissi, la mascella contratta per il bisogno di fare altrettanto, di lasciarmi andare e di pomparle dentro ogni goccia di me. Oscillando i fianchi, le sfregai il clitoride. Brividi di piacere mi percorsero la spina dorsale quando
lei pronunciò il mio nome gemendo e arrivò al culmine in ondate palpitanti. La baciai rudemente, assorbendo il suo sapore, e venni dentro di lei con un gemito tremante. Eva incespicò un po’ quando la aiutai a scendere dal sedile posteriore della Bentley di fronte al
Crossfire. Arrossì e mi scoccò un’occhiata. «Sei uno stronzo.» Inarcai le sopracciglia con aria interrogativa. «Io barcollo e tu no, macchina del sesso.» Sorrisi con aria innocente. «Mi dispiace.» «No, non ti dispiace.» Il suo sorriso sarcastico svanì quando lanciò un’occhiata lungo la strada. «Paparazzi» disse cupamente.
Seguii il suo sguardo e adocchiai un fotografo che puntava l’obiettivo fuori dal finestrino aperto della sua auto. Afferrai Eva per un gomito e la condussi dentro l’edificio. «Se dovrò davvero agghindarmi ogni giorno» brontolò «te la vedrai da solo con la tua erezione mattutina.» «Angelo.» La strinsi al mio fianco e sussurrai: «Assumerei
un parrucchiere a tempo pieno prima di rinunciare alla tua fica tutte le mattine.» Mi diede una gomitata nelle costole. «Sei volgare, lo sai? Alcune donne si offendono nel sentire quella parola.» Mi precedette e superò i tornelli d’ingresso, unendosi alla folla di persone che aspettavano
l’ascensore. La raggiunsi, fermandomi subito dietro di lei. «Tu non sei una di quelle. Comunque, potrei essere disposto a fare una correzione. Ricordo che “orifizio” era uno dei tuoi termini preferiti.» «Oddio, stai zitto» disse, ridendo. Ci separammo quando lei scese al ventesimo piano e io proseguii da solo fino alla Cross Industries. Non sarebbe stato così ancora a lungo. Un giorno Eva avrebbe lavorato
insieme a me, collaborando alla costruzione del nostro futuro come squadra. Stavo pensando alla miriade di modi per conseguire quell’obiettivo quando girai l’angolo per raggiungere il mio ufficio. Rallentai il passo nel vedere la bruna snella che aspettava accanto alla scrivania di Scott.
Mi preparai ad affrontare mia madre di nuovo. Poi la donna voltò la testa e vidi che si trattava di Corinne. «Gideon» disse, alzandosi in piedi con grazia. Nei suoi occhi brillava una luce che avevo imparato a riconoscere, avendola vista sul viso di Eva.
Non mi faceva piacere notare quell’ardore nello sguardo di Corinne. Sentendomi a disagio, mi irrigidii. L’ultima volta che l’avevo vista era stato poco dopo che aveva tentato il suicidio. «Buongiorno, Corinne. Come ti senti?» «Meglio.» Venne verso di me e io feci un passo indietro, inducendola
a rallentare. Il suo sorriso vacillò. «Hai un minuto?» Indicai il mio ufficio con un cenno della mano. Sospirando forte, si girò e mi precedette. Lanciai un’occhiata a Scott. «Dacci dieci minuti.» Lui annuì, con lo sguardo comprensivo. Corinne si avviò alla
mia scrivania e io la raggiunsi, premendo il pulsante di chiusura automatica della porta. Non oscurai i vetri e non mi tolsi la giacca per farle capire che non si sarebbe trattenuta lì a lungo. «Mi dispiace per la tua perdita, Corinne.» Quelle parole non erano
abbastanza, ma erano tutto ciò che potevo darle. I ricordi di quella notte in ospedale mi avrebbero accompagnato per un pezzo. Le sue labbra impallidirono. «Non riesco ancora a crederci. Tutti questi anni di tentativi… Pensavo che non sarei riuscita a rimanere incinta.» Prese la foto di Eva che era sulla mia scrivania. «JeanFrançois mi ha detto che hai chiamato un paio di volte per avere mie notizie. Avrei voluto che
chiamassi me, o che rispondessi alle mie chiamate.» «Penso che non sia opportuno, date le circostanze.» Mi guardò. Il blu dei suoi occhi non era della stessa sfumatura di quello degli occhi di mia madre, ma gli assomigliava, e anche il gusto estetico delle due donne era simile. L’elegante camicetta e i pantaloni di Corinne ricordavano
molto qualcosa che avevo visto addosso a Elizabeth una volta. «Stai per sposarti» disse. Non era una domanda, ma risposi ugualmente: «Sì». Chiuse gli occhi. «Avevo sperato che Eva stesse mentendo.» «Sono molto protettivo quando si tratta di lei. Vacci con i piedi di piombo.» Aprì gli occhi e rimise la foto sulla scrivania con un colpo secco.
«La ami?» «Non sono affari tuoi.» «Non è una risposta.» «Non te ne devo nessuna. Comunque se hai bisogno di sentirmelo dire, sappi che lei è tutto per me.» Le sue labbra irrigidite si rilassarono
con un tremito. «Farebbe qualche differenza se ti dicessi che sto per divorziare?» «No.» Respirai bruscamente. «Tu e io non torneremo mai insieme, Corinne. Non so quante volte o in quanti modi posso dirtelo. Non potrei mai essere quello che tu vorresti che fossi. Hai voluto risolvere un problema, quando hai rotto il nostro fidanzamento.»
Trasalì e i suoi capelli scivolarono giù dalle spalle, arrivandole fino alla vita. «È questo che ci tiene separati? Non puoi perdonarmi?» «Perdonarti? Io ti sono riconoscente.» La mia voce si addolcì quando le spuntarono le lacrime negli occhi. «Non era mia intenzione essere crudele – riesco a immaginare quanto tutto questo
possa essere doloroso –, ma non volevo che tu nutrissi speranze quando proprio non ce ne sono.» «Che cosa faresti se Eva ti dicesse queste cose?» mi sfidò. «Rinunceresti semplicemente e te ne andresti?» «Non è la stessa cosa.» Mi passai una mano tra i capelli, sforzandomi di trovare le parole. «Non capisci come stanno le cose tra me ed Eva. Lei ha bisogno di me come io ho bisogno di lei. Per il bene di
entrambi, non rinuncerei mai a provare.» «Io ho bisogno di te, Gideon.» La frustrazione mi rese brusco. «Tu non mi conosci. Ho recitato una parte per te. Ti ho lasciato vedere solo quello che volevo che vedessi, quello che pensavo che tu potessi accettare.» E in cambio io vedevo solo ciò che volevo vedere in lei, la ragazza che era una volta. Avevo smesso di
prestare davvero attenzione molto tempo prima, e così non ero riuscito a vedere com’era cambiata. Era stata un punto cieco per me, ma non più. Mi fissò in un silenzio sconvolto per un attimo. «Elizabeth mi aveva avvertito che Eva stava riscrivendo il tuo passato, ma io non le ho creduto. Ho sempre saputo che non ti saresti lasciato influenzare da nessuno, ma immagino che ci sia
una prima volta per tutto.» «Mia madre crede quello che vuole e tu sei libera di fare come lei.» Erano simili anche in quello: bravissime nel credere ciò che volevano e nell’ignorare qualunque evidenza del contrario. Era una rivelazione rendersi conto che ero stato a mio agio con Corinne perché ero certo che non avrebbe scavato a fondo. Ero stato abile nel fingere normalità e lei non aveva scavato in profondità. Eva
aveva cambiato le cose per me. Io non ero normale e non avevo bisogno di esserlo, perché lei mi accettava com’ero. Non avevo intenzione di rivelare il mio passato a chiunque, ma il tempo in cui stare al gioco e mentire era finito. Corinne allungò una mano verso di me. «Ti amo, Gideon. Anche tu mi amavi.» «Ti ero riconoscente» la corressi. «E lo sarò sempre. Ero attratto da
te, mi divertivo con te, per un periodo ho perfino avuto bisogno di te, ma tra noi non avrebbe mai funzionato.» Lasciò ricadere la mano lungo il fianco. «Avrei finito per trovare Eva e l’avrei voluta, avrei rinunciato a tutto per lei, ti avrei lasciata per stare con lei. La
fine era inevitabile.» Corinne distolse lo sguardo. «Be’… almeno saremo sempre amici.» Fu uno sforzo, ma evitai qualunque tono di scuse. Non l’avrei incoraggiata. «Non sarà possibile.
Questa è l’ultima volta che tu e io ci parliamo.» Un sospiro tremante le scosse le spalle e io voltai la testa, lottando contro il disagio e il rimorso. Corinne era stata importante per me un tempo. Mi sarebbe mancata, ma non nel modo che lei avrebbe voluto. «Per che cosa devo vivere, se non ho te?» Alla sua domanda mi voltai di nuovo e feci appena in tempo a
prenderla quando si lanciò verso di me e a tenerla a distanza afferrandola per le braccia. Rimasi colpito dalla devastazione sul suo bellissimo viso prima di poter elaborare quello che aveva detto. Poi ci feci caso. Inorridito, la spinsi via. Lei indietreggiò e, inciampando nel tappeto, vacillò. «Non dare la colpa a me» l’avvertii, la voce bassa e dura. «Non sono responsabile della tua felicità. Non sono responsabile
nemmeno di te.» «Che cosa c’è che non va in te?» urlò. «Questo non sei tu.» «Non lo sai.» Raggiunsi la porta e l’aprii. «Vai a casa da tuo marito, Corinne, e abbi cura di te.» «Vaffanculo» sibilò. «Te ne pentirai, e forse io sarò troppo ferita per perdonarti.» «Addio, Corinne.» Mi fissò per un lungo minuto, e poi uscì infuriata dall’ufficio. «Maledizione!» Mi girai, non
sapendo dove andare o cosa fare. Ma dovevo fare qualcosa… qualunque cosa. Mi misi a camminare avanti e indietro. Prima che potessi rendermene conto, avevo
tirato fuori lo smartphone e chiamato Eva. «Ufficio di Mark Garrity» rispose lei. «Angelo.» Quell’unica parola tradì il sollievo che provavo nel sentire la sua voce. Lei era ciò di cui avevo bisogno. Qualcosa in me l’aveva capito.
«Gideon.» Mi lesse nel pensiero, come spesso faceva. «Va tutto bene?» Lanciai un’occhiata agli impiegati dell’ufficio che cominciavano la routine della giornata nelle loro postazioni e premetti il pulsante che regolava l’oscuramento del vetro per concedermi un momento di solitudine con mia moglie. Non volendo preoccuparla,
assunsi un tono leggero. «Mi manchi già.» Aspettò un istante prima di replicare, adeguandosi al mio umore. «Bugiardo» rilanciò. «Sei troppo impegnato.» «Mai. E adesso dimmi quanto ti manco.» Scoppiò a ridere. «Sei tremendo. Che cosa devo fare con te?»
«Tutto.» «Dannatamente vero. Allora, che cosa succede? Sarà una giornata intensa e devo portarmi avanti con il lavoro.» Mi avvicinai alla scrivania e osservai la sua foto. Le mie spalle si rilassarono. «Volevo solo che tu sapessi che ti penso.» «Bene, non smettere di farlo. E, per tua informazione, è bello sentire che non sei scontroso quando stai lavorando.»
Era bello sentire lei, punto. Avevo smesso di cercare di capire perché mi facesse l’effetto che mi faceva e mi limitavo ad apprezzare il fatto che riusciva a far ripartire la mia giornata. «Dimmi che mi ami.» «Da impazzire. Tu sconvolgi la mia vita, Mr Cross.» Fissai i suoi occhi sorridenti, mentre sfioravo il vetro della foto con la punta delle dita. «Tu sei il centro della mia.» Il resto della mattinata passò
rapidamente e tranquillamente. Stavo finendo di preparare una riunione su un possibile investimento in una catena di resort che mi era stata proposta quando arrivò un’altra interruzione
di carattere privato. Troppo per il mio flusso di lavoro. «Dovevi incasinare tutto, vero?» mi accusò mio fratello, irrompendo nel mio ufficio con Scott alle calcagna. Lanciai un’occhiata al mio assistente per fargli capire che poteva
andare e lui uscì, chiudendosi la porta alle spalle. «Buongiorno anche a te, Christopher.» Avevamo lo stesso sangue ma non avremmo potuto essere più diversi. Come suo padre, mio
fratello aveva i capelli ondulati e di un colore tra il castano e il rosso, mentre gli occhi erano grigioverdi. Io, invece, assomigliavo decisamente a nostra madre. «Ti sei dimenticato che la Vidal Records va in eredità anche a Ireland?» sbottò, con lo sguardo duro. «Non lo dimentico mai.» «Allora non fregartene. La tua
vendetta contro Brett Kline ci sta costando denaro, accidenti a te. Stai danneggiando tutti noi, non solo lui.» Mi avvicinai alla scrivania e mi ci appoggiai, incrociando le braccia. Avrei dovuto prevedere una cosa del genere, visto quanto Christopher si era arrabbiato alla presentazione del video di Ragazza
d’oro a Times Square. Lui voleva Kline ed Eva insieme. Ancora più di questo, voleva me ed Eva separati. La triste verità era che riuscivo a tirare fuori il peggio di mio fratello. Le uniche volte in cui si era comportato in modo crudele o avventato erano state quando stava cercando di ferirmi. Lo avevo visto tenere discorsi brillanti, incantare la gente con il suo carisma naturale e impressionare i
membri del consiglio di amministrazione con la sua competenza imprenditoriale, ma non aveva mai fatto sfoggio di queste qualità nei miei confronti. Frustrato dalla sua ingiustificata animosità, lo stuzzicai. «Immagino che tu intenda arrivare al punto rapidamente.» «Non fare il finto tonto, Gideon. Sapevi benissimo quello che stavi facendo
quando distruggevi sistematicamente ogni opportunità mediatica che la Vidal si era assicurata per i Six-Ninth.» «Se tali opportunità erano concentrate su Eva, non avevano il diritto di essere sfruttate, tanto per cominciare.» «Non è una decisione che spetta
a te prendere.» Piegò la bocca in un sorriso sprezzante. «Riesci a capire il danno che hai fatto? “Behind the Music” ha rimandato il suo speciale perché Sam Yimara non possiede più i diritti del filmato sui primi anni della band che aveva creato. “Diners, Drive-Ins and Dives” non può inserire il Pete’s 69th Street Bar nell’episodio di San Diego perché il locale verrà demolito prima che possano fare le riprese. E da quando è stato annunciato il tuo
fidanzamento “Rolling Stone” non è più interessato a scrivere il pezzo su Ragazza d’oro che aveva proposto. La canzone perde la sua attrattiva senza il lieto fine.» «Posso darti io il filmato che interessa a VH1. Mettili in contatto con Arash e lui si occuperà della faccenda.» «Dopo che hai eliminato tutte le tracce di Eva? Qual è il senso?» Inarcai le sopracciglia. «Il senso dovrebbero essere i Six-Ninth, non
mia moglie.» «Non è ancora tua moglie» ribatté «ed è questo il tuo problema. Hai paura che lei voglia ritornare da Brett. In realtà tu non sei il suo tipo, lo sappiamo tutti. Puoi leccarle la fica alle feste, ma quello che a lei piace davvero è fare pompini alle star in pubblico…» Gli fui addosso prima che potesse rendersene conto. Gli sferrai un pugno alla mascella che gli rovesciò la testa all’indietro, poi gli mollai un
sinistro che lo fece vacillare e lo mandò a sbattere contro la parete di vetro. Feci in tempo a intravedere Scott scattare in piedi prima di prepararmi a sostenere l’impatto del corpo di Christopher che mi piombava addosso. Finimmo a terra, mi girai e lo riempii di pugni
nelle costole finché non lo sentii gemere. Lui mi diede una testata alla tempia. La stanza cominciò a girare. Stordito, rotolai via e mi rimisi in piedi a fatica. Christopher si tirò su accanto al tavolino da caffè, mentre il sangue che gli usciva da un taglio ai lati della bocca colava a terra. Aveva la mascella gonfia e respirava a fatica e rumorosamente. Io aprii e chiusi il pugno dolorante, lottando contro il
bisogno di colpirlo di nuovo. Se fosse stato un altro, l’avrei fatto. «Colpisci, dài» mi punzecchiò lui, pulendosi la bocca su una manica. «Mi hai voluto morto fin dal giorno in cui sono nato. Perché fermarsi adesso?» «Sei pazzo.» Due addetti alla sicurezza arrivarono di corsa, ma io alzai una
mano per fermarli. «Ti rovinerò, stronzo» grugnì mio fratello, trascinandosi pesantemente. «Ho parlato con i membri del consiglio di amministrazione e gli ho spiegato che cosa stai facendo. Se vuoi umiliarmi, ti darò battaglia su tutta la linea.»
«L’hai persa, maledetto idiota. Vai a fare il pazzo da un’altra parte e lascia in pace Eva. Se vuoi che io diventi un tuo nemico, darle fastidio è il modo giusto per raggiungere lo scopo.» Mi fissò per un lungo minuto, poi scoppiò in una risata dura. «Lei sa quello che stai facendo a Brett?» Feci un profondo respiro e trasalii, provando un dolore sordo al fianco nel punto in cui si stava formando un livido. «Non sto
facendo nulla a Brett. Sto proteggendo Eva.» «E la band è solo un danno collaterale?» «Meglio lui di lei.» «Vaffanculo.» «Vaffanculo tu.» Christopher si avviò verso la porta.
Avrei dovuto lasciare che se ne andasse, e invece mi trovai a dire: «Accidenti, Christopher, quella band ha talento, non ha bisogno di trucchetti per avere successo. Se tu non fossi così dannatamente ansioso di farmela pagare per qualcosa che secondo te avrei fatto, ti concentreresti su prospettive migliori che fare di loro una
meteora». Si girò verso di me con i pugni stretti. «Non dirmi come fare il mio lavoro e non intralciarmi, oppure ti butterò fuori.» Lo guardai andarsene, scortato dagli addetti alla sicurezza. Poi tornai alla scrivania e controllai i messaggi. Scott aveva segnato che due membri del consiglio di amministrazione della Vidal Records avevano telefonato nel corso della giornata.
Chiamai Scott sull’interfono. «Mettimi in contatto con Arash Madani.» Se Christopher voleva la guerra, l’avrebbe avuta. Arrivai nello studio del dottor Lyle Petersen in orario, alle sei in punto. Lo psicologo mi salutò con un sorriso cordiale, gli occhi blu affettuosi e amichevoli. Dopo la giornata che avevo
avuto, passare un’ora con uno strizzacervelli era l’ultima cosa che avrei voluto fare. Avevo più bisogno di passare un’ora da solo con Eva. Come al solito, la seduta cominciò con il dottor Petersen che mi domandava com’era andata la settimana e io che gli rispondevo nel modo più succinto possibile. Poi lui disse: «Parliamo degli incubi». Mi appoggiai allo schienale del divano, con un braccio sul bracciolo. Ero sempre stato sincero fin
dall’inizio sui miei problemi notturni per poter avere il farmaco su ricetta che rendeva un po’ più sicuro per Eva starmi vicino durante la notte, ma l’analisi dei sogni non era mai stato uno degli argomenti di discussione. Il che significava che qualcun altro l’aveva tirato fuori. «Ha parlato con Eva.» Non era una domanda, dal momento che la risposta era evidente.
«Mi ha mandato un’e-mail prima» confermò il dottore, tenendo tra le mani il tablet. Tamburellai silenziosamente con le dita. Il suo sguardo seguì quel movimento. «Le dà fastidio che mi abbia contattato?» Soppesai le parole prima di rispondere. «Si preoccupa. Se
parlare con lei le dà sollievo, non mi opporrò. Lei, dottore, è anche il suo terapeuta, per cui Eva ha il diritto di affrontare l’argomento con lei.» «Ma questo a lei, Gideon, non piace. Preferirebbe scegliersi da solo i problemi di cui parlare con me.» «Preferirei che Eva si sentisse al sicuro.» Il dottor Petersen annuì. «È il motivo per cui si trova qui.» «Naturalmente.»
«Eva quale esito spera che abbiano le nostre sedute?» «Non lo sa?» Sorrise. «Vorrei sentire la sua risposta.» Dopo un minuto gliela diedi. «In passato Eva ha preso decisioni sbagliate e ha imparato a fare affidamento sul sostegno dei terapeuti.
Nel suo caso ha funzionato e perciò lei prende per buona l’utilità della terapia.» «Come si sente a questo proposito, Gideon?» «Devo
sentire qualcosa?» controbattei. «Eva mi ha chiesto di provare e io ho acconsentito. Le relazioni hanno a che fare con il compromesso, no?» «Sì.» Prese lo stilo e lo picchiettò sul tablet. «Mi parli delle sue precedenti esperienze con la psicoterapia.»
Inspirai ed espirai. «Ero un bambino, non me ne ricordo.» Il dottore mi lanciò un’occhiata da sopra il bordo degli occhiali. «Come si sente all’idea di vedere qualcuno? Arrabbiato, impaurito, triste?» Abbassai lo sguardo sulla mia fede nuziale. «Un po’ di tutte e tre le cose.» «Immagino che provi sensazioni analoghe riguardo al suicidio di suo padre.»
Socchiusi gli occhi, fissandolo. «Dove vuole arrivare?» «Stiamo solo chiacchierando, Gideon.» Si appoggiò allo schienale della sedia. «Ho spesso la sensazione che lei si chieda qual è il tornaconto.
Io non ho un tornaconto. Voglio solo aiutarla.» Mi costrinsi ad assumere una postura rilassata. Volevo che gli incubi finissero, volevo condividere lo stesso letto con mia moglie e avevo bisogno che il dottor Petersen mi aiutasse in questo. E
tuttavia per raggiungere l’obiettivo non volevo parlare di cose che non potevano essere cambiate. 8 «Ehi, ragazza, che cosa ne pensi del karaoke?» chiese Shawna Ellison non appena risposi al telefono. Posai la matita sul taccuino su cui stavo scrivendo, mi appoggiai alla
spalliera del divano e rannicchiai le gambe sul cuscino. Erano quasi le nove passate e non avevo ancora avuto notizie di Gideon. Non sapevo se fosse un buon segno oppure no, visto che prima aveva avuto un
appuntamento con il dottor Petersen. Il sole era tramontato quasi da un’ora e da allora cercavo di non pensare a mio marito ogni cinque secondi. Chiacchierare con Shawna era una gradita distrazione. «Be’» risposi evasiva
«dal momento che sono stonata, ciò che penso sul cantare in pubblico è praticamente inesistente. Perché?» Mi venne in mente un’immagine della vivace rossa che stava rapidamente diventando mia amica: per molti aspetti assomigliava a suo fratello Steven, il quale era
fidanzato con il mio capo. Erano entrambi divertenti e alla mano, pronti alla battuta e tuttavia solidi come rocce. I fratelli Ellison mi piacevano molto. «Perché stavo pensando che potremmo andare in un nuovo karaoke bar di cui ho sentito parlare oggi al lavoro» spiegò. «Invece che scadente musica di sottofondo, in questo locale c’è una band dal vivo. Non devi cantare se non vuoi. Molte persone guardano e basta.»
Allungai una mano e presi il tablet che era sul tavolino accanto al divano. «Come si chiama il posto?» «The Startlight Lounge. Potrebbe essere un’idea divertente per venerdì.» Inarcai le sopracciglia. Venerdì era la nostra serata delle uscite di gruppo. Provai a immaginarmi
Arnoldo o Arash che cantavano al karaoke e il solo pensiero mi fece sorridere. Perché no? Quantomeno, avrebbe rotto il ghiaccio. «Ne parlerò con Gideon.» Feci una ricerca sul bar e trovai il suo sito Internet. «Sembra carino.» Il nome evocava immagini di ritrovi di cantanti melodici vecchio stile, ma le foto online erano quelle di un locale moderno arredato nei toni del blu con inserti cromati. Aveva un’aria esclusiva e alla moda.
«Vero? L’ho pensato anch’io. E sarà divertente.» «Già. Aspetta di vedere Cary con un microfono in mano: è imbarazzante.» Shawna scoppiò a ridere e io sorrisi nel sentire quel suono, frizzante come lo spumante appena stappato. «Anche Steven è così.
Fammi sapere che cosa hai deciso. Non vedo l’ora di vederti.» Conclusa la telefonata, buttai il telefono accanto a me sul divano. Mentre stavo per rimettermi sul mio progetto, mi arrivò il segnale di un nuovo messaggio. Era di Brett. “Dobbiamo parlare. Chiamami.” Fissai la sua foto sullo schermo per un lungo minuto. Mi aveva cercata tutto
il giorno, riagganciando ogni volta che sentiva scattare la segreteria telefonica. Avrei mentito dicendo che non ero combattuta a proposito di questo suo riavvicinamento, ma
era un vicolo cieco. Magari saremmo stati amici un giorno, ma non adesso. Non avevo voglia di affrontare una cosa del genere né la tensione che causava a Gideon. Ero solita pensare che affrontare problemi che mi mettevano a disagio dimostrasse forza e senso di responsabilità. Adesso mi rendevo
conto che talvolta lo scopo non era la soluzione, ma che bisognava solo cogliere l’opportunità di esaminare meglio se stessi. “Ti darò un colpo di telefono quando potrò” gli risposi e rimisi il cellulare dov’era prima. Lo avrei chiamato quando Gideon fosse stato con me: niente segreti e niente da nascondere. «Ciao.» Cary arrivò in salotto dal corridoio. Indossava i pantaloni del pigiama e una T-shirt lisa e aveva
ancora i capelli umidi dopo la doccia che doveva essersi fatto quando Tatiana se n’era andata, un’ora prima. Ero contenta che non si fosse fermata per la notte. Volevo provare simpatia per la donna che diceva di aspettare il figlio del mio migliore amico, ma quella modella tutta gambe non mi facilitava le cose. Avevo la sensazione che mi stuzzicasse deliberatamente ogni volta che poteva e la forte
impressione che desiderasse tenere Cary tutto per sé e mi considerasse un grosso ostacolo verso il raggiungimento dello scopo. Cary si spaparanzò a pancia in giù sull’altra metà del divano, con la testa vicino alle mie cosce e le gambe allungate. «Che cosa fai di bello?»
«Compilo elenchi. Voglio cominciare a fare qualcosa per le vittime di abusi.» «Ah, sì? A che cosa stai pensando?» Mi strinsi nelle spalle, in segno di impotenza. «In realtà non lo so. Continuo a pensare a Megumi e al fatto che non lo ha raccontato a nessuno. Nemmeno
io l’ho raccontato a nessuno e la stessa cosa hai fatto tu, finché non è stato troppo tardi.» «Eh, già, perché a chi cavolo frega qualcosa?» disse in tono burbero, appoggiando il mento sulle mani. «E parlarne spaventa. Ci sono un sacco di linee dirette e di centri di accoglienza per le vittime. Vorrei tirare fuori qualcosa di diverso e
originale, ma non ho nessuna idea brillante.» «Discutine con i creativi.» Incurvai le labbra in un sorriso. «Lo fai sembrare semplice.» «Perché reinventare la ruota? Trovati qualcuno che lo sa fare bene e dagli una mano.» Si girò sulla schiena e si strofinò il volto con entrambe le mani. Conoscevo quel gesto e sapevo che cosa
significava: era preoccupato per qualcosa. «Raccontami della tua giornata» dissi. A San Diego avevo finito per trascorrere più tempo da sola con Gideon che con lui e la cosa mi faceva sentire in colpa. Cary mi aveva assicurato che si era divertito a uscire con i suoi vecchi amici, ma non era stato quello lo scopo del nostro viaggio. Mi sembrava di averlo deluso, anche se lui non mi
aveva accusato di niente. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Ho avuto un servizio fotografico stamattina e sul tardi sono uscito a pranzo con Trey.» «Gli hai detto qualcosa del bambino?» Scosse la testa. «Pensavo di farlo, ma non ci sono riuscito. Sono un tale coglione.» «Non essere duro con te stesso. Sei in una situazione difficile.» Cary
chiuse le palpebre, nascondendo il verde brillante dei suoi occhi. «L’altro giorno pensavo a quanto sarebbe semplice se Trey fosse bisessuale. Entrambi potremmo scopare Tatiana e
scoparci a vicenda e io avrei tutto. Poi però mi sono reso conto che non voglio condividere Trey. Condividere Tatiana non mi importa, ma Trey sì. Dimmi se questo non fa di me uno stronzo totale.»
Allungai una mano e gliela passai fra i capelli scuri. «Fa di te un essere umano.» Mi ero trovata in una situazione analoga con Gideon, pensando che avrei potuto scovare un modo di essere amica di Brett, anche nel momento in cui ero infastidita dal fatto che Gideon era amico di Corinne. «In un mondo perfetto nessuno di noi sarebbe egoista, ma le cose non vanno così. Facciamo del nostro meglio e basta.»
«Tu mi giustifichi sempre» mormorò. Ci pensai sopra un attimo. «No» lo corressi dolcemente, chinandomi per baciarlo sulla fronte. «Io semplicemente ti perdono. Qualcuno deve pur farlo, visto che tu non perdoni te stesso.»
La mattina di mercoledì trascorse in un lampo e, prima che me ne accorgessi, ero a pranzo. «Due settimane fa festeggiavamo il nostro fidanzamento» disse Steven Ellison, mentre mi accomodavo sulla sedia che aveva scostato per me. «Ora ci apprestiamo a festeggiare il tuo.»
Non potei fare a meno di sorridere. Nel fidanzato del mio capo c’era una gioia contagiosa di cui era impossibile non accorgersi. «Dev’essere colpa di qualcosa che c’è nell’acqua.» «Sì, è probabile.» Lanciò un’occhiata al suo compagno e poi a me. «Mark non ti perderà, vero?» «Steven» lo ammonì il mio capo,
scuotendo la testa. «Evita.» «Non andrò da nessuna parte» dissi, guadagnandomi un sorriso sorpreso e soddisfatto da parte del mio capo. Il suo sorriso era altrettanto contagioso della socievolezza di Steven e i nostri pranzi programmati valevano davvero quello che costavano.
«Bene, sono contento di sentirlo» disse Mark. «Anch’io.» Steven aprì il menu con risolutezza, come se fosse stata presa una decisione importante. «Vogliamo che tu rimanga in zona, ragazza.» «Ci rimarrò» gli assicurai. Il cameriere mise sul tavolo un cestino di pane all’aglio e olio di oliva, poi snocciolò i piatti del giorno. Il ristorante scelto dai ragazzi aveva due menu: uno
italiano e uno greco. Come molti luoghi di ristoro a Manhattan, il locale era piccolo e i tavoli erano sistemati l’uno accanto all’altro, abbastanza vicini perché un gruppo di commensali confluisse nell’altro: bisognava fare attenzione a come ci si muoveva. I profumi che uscivano dalla cucina e si
diffondevano nella sala attraverso i piatti portati in giro dai camerieri mi fecero brontolare sonoramente lo stomaco, ma nessuno se ne accorse, a causa del rumore del frenetico andirivieni di clienti all’ora di pranzo. Steven si passò una mano nella chioma rosso acceso per cui molte donne sarebbero impazzite. «Prenderò la moussaka.»
«Anch’io.» E chiusi il menu. «Pizza con i peperoni, per me» disse Mark. Steven e io lo prendemmo in giro perché si mostrava scarsamente avventuroso. «Al diavolo» ribatté lui. «Sposare Steven basta e avanza come avventura.» Sorridendo, Steven posò un gomito sul tavolo e ci appoggiò sopra il mento. «Allora, Eva… come ti ha fatto la proposta Gideon?
Immagino che non ti abbia chiesto di sposarlo all’improvviso in mezzo alla strada.» Mark, che era seduto sulla panca accanto al suo compagno, gli lanciò un’occhiata esasperata. «No» ammisi. «Mi ha dato la notizia su una spiaggia privata. Non posso dire che me l’abbia chiesto… piuttosto, si è limitato a dirmi che ci saremmo sposati.» Mark fece
una smorfia pensierosa, mentre Steven fu diretto come sempre. «Romanticismo, il tuo nome è Gideon Cross.» Scoppiai a ridere. «Decisamente. Lui è il primo a dire che non è
romantico, ma si sbaglia.» «Fammi vedere l’anello.» Porsi la mano a Steven e il diamante con taglio Asscher brillò in coloratissimi bagliori. Era un anello stupendo, che per Gideon era legato a bellissimi ricordi. Qualunque cosa avesse pensato Elizabeth Vidal in proposito non poteva avere alcun effetto.
«Wow! Mark, tesoro, devi comprarne uno anche a me.» Nella mia mente apparve una comica immagine di quel ragazzone con i capelli rossi che portava un anello come il mio. Mark gli scoccò un’occhiata. «Così puoi distruggerlo in uno dei posti in cui lavori? Permettimi di avere ragione su questo.»
«I diamanti sono piccoli splendori resistenti, ma io me ne prenderò cura lo stesso.» «Dovrai aspettare finché non gestirò un’agenzia per conto mio» ribatté il mio capo con una risata nasale. «Posso riuscirci.» Steven mi strizzò l’occhio. «Avete già fatto la lista di nozze da qualche parte?» Feci segno di no con la testa. «E voi?» «Per la miseria, sì.» Si girò per
aprire la ventiquattrore che aveva accanto a sé e tirò fuori il suo raccoglitore con le idee per il matrimonio. «Dimmi che cosa ne pensi di questi esempi.» Mark alzò gli occhi al cielo con un sospiro infinitamente paziente, mentre io prendevo un pezzo di pane all’aglio e mi protendevo a guardare con un mugolio di felicità. Lavorai alla richiesta di offerta
della LanCorp per il resto del pomeriggio. A fine giornata andai alla lezione di krav maga accompagnata da Raúl. Lungo la strada rilessi la
risposta di Clancy a un messaggio in cui gli dicevo che non avrei avuto bisogno di un passaggio da lui. Mi aveva scritto che non c’erano problemi, ma io avevo sentito la necessità
di dargli ulteriori spiegazioni. “Gideon vuole che con me ci siano i suoi uomini, per cui d’ora in poi lei è libero. GRZ per tutto il suo aiuto.” La sua replica non tardò ad arrivare. “In qualunque momento. Chiami quando ha bisogno di me. A proposito, la sua amica non
dovrebbe più avere problemi.” Il “grazie” con cui gli risposi non mi sembrava abbastanza. Presi nota di mandargli qualcosa che avrebbe espresso meglio la mia gratitudine. Raúl parcheggiò davanti all’ex magazzino con la facciata di mattoni dove Parker Smith aveva la palestra di krav maga,
mi accompagnò dentro e si sedette sulle gradinate. La sua presenza mi spiazzava un po’. Clancy aveva sempre aspettato fuori. Sapere che Raúl mi osservava mi metteva leggermente a disagio. L’enorme open space riusciva a sembrare ancora affollato, per via di tutti i clienti che si allenavano sui tappetini o erano impegnati nelle lezioni individuali con gli istruttori. Il rumore era quasi assordante, una
cacofonia di corpi che colpivano i materassini, di membra che si scontravano con altre membra, e delle urla con cui i presenti si davano la carica e al tempo stesso si intimorivano a vicenda. Il gigantesco portone di metallo non solo preservava l’aspetto da ex spazio industriale della palestra ma tratteneva il calore, che
né l’impianto di aria condizionata né i molteplici ventilatori riuscivano ad attenuare. Stavo facendo stretching in vista del duro allenamento che mi aspettava quando un paio di gambe snelle entrò nel mio campo visivo. Mi raddrizzai e mi trovai di fronte la detective Shelley Graves del
dipartimento di polizia di New York. I suoi capelli ricci scuri erano raccolti in uno chignon severo come il suo volto e gli occhi blu mi squadravano con penetrante impassibilità. Avevo paura di lei e di quello che poteva fare a Gideon, ma al tempo stesso la ammiravo molto. Era fiera e sicura di sé come io potevo solo aspirare a essere. «Eva» mi salutò.
«Detective Graves.» Indossava un paio di pantaloni scuri, un top rosso di jersey e una giacca nera che non nascondeva né il distintivo né la pistola. I suoi stivali erano consumati e pratici, un po’ come il suo atteggiamento. «L’ho vista mentre uscivo. Ho sentito del suo fidanzamento, congratulazioni.» Avvertii una lieve contrazione allo stomaco. Parte dell’alibi di Gideon – se così si poteva chiamare
– consisteva nel fatto che noi ci eravamo lasciati quando Nathan era stato ucciso. Perché un personaggio pubblico potente e onesto avrebbe ucciso un tizio per un’ex che si era lasciato alle spalle senza ripensamenti? Il fatto di essersi fidanzato così rapidamente doveva
sembrare sospetto. La Graves mi aveva detto che lei e il suo collega erano passati ad altri casi, ma io avevo capito che genere di poliziotto era. Shelley Graves credeva nella giustizia. Riteneva che Nathan avesse avuto quello che si meritava, ma sapevo che una parte di lei si chiedeva se anche Gideon non avesse qualcosa da scontare. «Grazie» replicai, raddrizzando le spalle. In questo Gideon e io
eravamo una squadra. «Sono una ragazza fortunata.» Lanciò un’occhiata alle gradinate, e a Raúl. «Dov’è Ben Clancy?» Aggrottai la fronte. «Non lo so. Perché?» «Pura curiosità. Sa, uno dei federali con cui ho parlato di Jedemskij si chiamava Clancy di cognome.» Mi trapassò con lo sguardo. «Pensa che ci sia qualche relazione?» Sbiancai in volto nel sentire
nominare il gangster russo il cui cadavere indossava il braccialetto di Nathan. Vacillai un attimo, in preda a un improvviso capogiro. «Che cosa?» Annuì, come se se lo aspettasse. «Probabilmente no. Comunque, ci rivedremo.» La guardai mentre si allontanava con lo sguardo puntato su Raúl. Poi si fermò e si girò di nuovo verso di me. «Mi inviterà al matrimonio?» Lottando contro il ronzio che
avevo in testa, dissi: «Al ricevimento. La cerimonia sarà una cosa ristretta, solo per la famiglia». «Davvero? Non me l’aspettavo.» Qualcosa che assomigliava a un sorriso trasformò il suo viso magro. «Lui è pieno di sorprese, vero?» Non potevo nemmeno cominciare a decifrare il significato di quella
frase, ero troppo impegnata a elaborare tutte le altre cose che aveva detto. Non mi accorsi neppure di averla inseguita finché non mi trovai ad afferrarla per un gomito. Si fermò, il corpo teso in un modo che mi fece capire che dovevo lasciarla andare, cosa che feci immediatamente. La fissai per un istante, cercando di mettere insieme i pensieri. Clancy,
Gideon, Nathan. Che diavolo significava? Dove sarebbe andata a parare la detective? Soprattutto, perché avevo la sensazione che mi stesse aiutando? Che si stesse prendendo cura di me, di Gideon? Quello che finii per dire mi sbalordì. «Ho intenzione
di sostenere un’organizzazione che si adopera a favore delle vittime di abusi.» Lei inarcò le sopracciglia. «Perché lo dice a me?» «Perché non so da
dove cominciare.» Mi lanciò un’occhiata. «Provi con la Crossroads» disse seccamente. «Ne ho sentito parlare bene.» Ero seduta a gambe incrociate sul pavimento del salottino adiacente alla mia camera da letto quando Gideon rincasò e venne da me. Indossava un paio di jeans a
gamba larga e una T-shirt bianca con lo scollo a V e faceva girare il mazzo di chiavi di casa mia intorno a un dito. Non potei fare a meno di fissarlo. Mi avrebbe sempre fatto fermare il cuore? Speravo di sì. La stanza era piccola e da ragazzina, arredata da mia madre con mobili antichi, tipo l’inutile scrittoio che avrei dovuto usare come scrivania. Gideon portava una stimolante dose di testosterone in
quell’ambiente, facendomi sentire dolce, femminile e facendomi desiderare di essere scopata. «Ciao, asso.» L’amore e il desiderio che mi ispirava erano contenuti in quelle due parole. Smise di far girare le chiavi e le tenne strette in mano, abbassando lo sguardo su di me in modo molto simile a come aveva fatto quel
primo giorno nell’atrio del Crossfire. I suoi occhi assunsero quello sguardo truce e minaccioso che trovavo estremamente eccitante. Per qualche ragione che probabilmente non avrei mai capito, lui provava la stessa cosa per me. «Angelo mio.» Si accovacciò con eleganza, mentre i suoi capelli gli sfioravano le guance in una
deliziosa carezza. «A che cosa stai lavorando?» Rovistò in mezzo alle carte sparpagliate tutt’intorno a me sul pavimento. Prima che le mie ricerche sulla sua Fondazione Crossroads lo distraessero, gli presi una mano e gliela strinsi. L’informazione mi uscì di bocca così all’improvviso come ero venuta
a saperla. «È stato Clancy, Gideon. Clancy e suo fratello che è nell’FBI hanno messo il braccialetto di Nathan addosso a quel gangster.» Lui annuì. «Me lo immaginavo.» «Ah, sì? E come?» Gli diedi uno schiaffo sulla spalla. «Perché non mi hai detto niente? Sono stata molto in pensiero.» Gideon si sedette per terra di fronte a me, incrociando le lunghe gambe in una posizione simile alla mia. «Non ho ancora tutte le
risposte. Angus e io stiamo restringendo il campo. Il responsabile, chiunque fosse, stava tenendo d’occhio o Nathan o me e seguendo i nostri movimenti, per cui abbiamo cominciato da lì.»
«Oppure vi stava tenendo d’occhio entrambi.» «È probabile. Chi lo farebbe? Chi aveva un interesse per la faccenda? Per te?» «Oddio.» Scrutai il suo volto. «La detective Graves lo sa. L’FBI. Clancy…» «La Graves?» «È venuta nella palestra di
Parker stasera. Mi ha buttato lì la notizia en passant solo per vedere come l’avrei presa.» Lui strinse gli occhi. «O ti sta fregando o vuole che tu smetta di preoccuparti. Scommetterei che si tratta della seconda delle due.» Stavo quasi per chiedergli perché, quando mi resi conto che anch’io ero arrivata alla stessa
conclusione. La detective era fredda come il ghiaccio, ma aveva un cuore. Me n’ero accorta da alcuni accenni le poche volte in cui avevamo parlato. E ovviamente era brava nel suo mestiere. «Dobbiamo fidarci di lei, allora?» chiesi, facendomi largo tra le brochure e i documenti per
accoccolarmi tra le sue braccia. Lui mi attirò a sé, adattandomi al suo corpo come se dovessi stare sempre lì. Era così che mi sentivo quando mi stringeva: sicura, apprezzata, adorata. Mi sfiorò la fronte con le labbra. «Parlerò con Clancy giusto per essere sicuro, ma non è uno stupido. Non lascerebbe nulla al
caso.» Gli afferrai un lembo della T-shirt e lo strinsi forte, aggrappandomi a lui con tutta me stessa. «Non tenermi all’oscuro di cose come queste, Gideon. Smettila di cercare di proteggermi.» «Non posso.» Anche lui strinse la presa su di me. «Forse avrei dovuto dirti qualcosa, ma trascorriamo solo poche ore al giorno da soli e voglio che siano perfette.» «Gideon,
tu devi lasciarmi entrare.» Il suo petto si allargò contro la mia guancia, mentre il suo cuore batteva forte e sicuro. «Ci sto lavorando.» Era tutto quello che potevo chiedere. La mattina dopo entrai in cucina a piedi scalzi e trovai Gideon che versava il caffè. Avrei potuto dire
che era il profumo di quella bevanda a darmi le ali ai piedi, ma in realtà era la visione di mio marito appena sbarbato e con indosso il gilet slacciato. Adoravo vederlo così, non ancora perfettamente in ordine. Lui mi guardò
mentre mi avvicinavo, il volto impassibile e lo sguardo affettuoso. Provava anche lui la stessa eccitazione quando gli capitava di vedermi pronta per affrontare la giornata? Ne dubitavo. Ero convinta che gli uomini vedessero solo certe cose…
Lo presi per il polso e mi tirai vicino il suo braccio, facendo risalire la sua mano lungo la gonna, fino alla curva delle natiche. Un sorriso gli piegò gli angoli della bocca. «Ciao anche a te, Mrs Cross.» Tirò la parte posteriore della giarrettiera e la lasciò andare contro la mia coscia con uno schiocco. Sobbalzai per il lieve dolore e rimasi senza fiato per il calore che si sprigionò dal punto di
impatto. «Mmh… ti piace» disse con un sorrisetto. Sporsi il labbro inferiore in una smorfia lamentosa. «Fa male.» Gideon si spostò e si appoggiò con la schiena al bancone, poi mi attirò tra le sue gambe, esercitando una leggera pressione sulla parte posteriore delle mie cosce. Mentre mi strofinava il naso contro una tempia, massaggiò
la parte dolorante. «Mi dispiace, angelo.» Poi fece schioccare la giarrettiera anche dall’altra parte. Per la sorpresa mi inarcai, facendo aderire il mio corpo al suo. Ce l’aveva duro, di nuovo. Mi lasciai sfuggire un basso gemito. «Basta.» «Ti eccita» mi mormorò
nell’orecchio. «Mi fa male!» protestai, mentre mi strofinavo addosso a lui. Mi aveva svegliata con baci dolci e carezze provocanti e io l’avevo ringraziato con la bocca nella doccia. E tuttavia poteva darci dentro ancora, e io pure. Eravamo totalmente presi l’uno dall’altra. «Vuoi che ti dia un bacio per farti passare il dolore?» Mi infilò una mano in
mezzo alle cosce, trovandomi calda e pronta. Gemette. «Maledizione, Eva, che cosa mi fai? Ho un sacco di impegni…» Oddio, si sentiva bene e aveva un odore stupendo. Gli circondai il collo con le braccia. «Dobbiamo
andare al lavoro.» Mi sollevò da terra quel tanto che bastava per strofinarmi contro la sua erezione. «Giocheremo con queste giarrettiere più tardi.» Gli presi la bocca come se dovessi divorarlo e lo baciai con foga, toccandogli la lingua con la mia, accarezzandogliela avidamente, succhiandogliela. Lui mi afferrò per i capelli, legati in una coda, e mi tenne ferma
mentre subentrava nel bacio, scopandomi la bocca con voracità. Andai a fuoco in un istante, la pelle madida di sudore. Le sue labbra erano decise ma delicate sulle mie, la sua presa mi teneva nella posizione voluta, i suoi denti mi solleticavano dolcemente il labbro inferiore. Il suo sapore, in cui si avvertiva la nota decisa del caffè
nero, mi inebriò. Ubriaca di lui, mi aggrappai ai suoi capelli con forza, alzandomi sulla punta dei piedi per avvicinarmi di più, sempre di più, ma mai abbastanza. «Wow!» La voce di Cary spezzò l’incantesimo nel quale Gideon mi aveva avvinta. «Non dimenticatevi che qui dentro mangiamo.» Feci per scostarmi da mio marito, ma lui mi
tenne stretta, permettendomi solo di interrompere il bacio. Il mio sguardo incontrò il suo. I suoi occhi erano vigili e all’erta sotto le palpebre semiabbassate, le sue labbra umide e leggermente gonfie. «Buongiorno, Cary»
disse Gideon, spostando l’attenzione sul mio migliore amico quando lui si avvicinò alla macchina del caffè. «Per voi due, forse.» Cary aprì la credenza e tirò fuori una tazza. «Mi dispiace, ma sono troppo stanco per farmi eccitare dallo spettacolo, il che non mi fa sentire
eccessivamente ottimista sul resto della giornata.» Indossava un paio di jeans attillati e una T-shirt blu scuro e aveva i capelli sapientemente pettinati all’indietro con un ciuffo gonfio sul davanti. Mi immedesimai negli abitanti single di Manhattan che si sarebbero imbattuti in lui quel giorno: era un uomo che faceva decisamente colpo, sia fisicamente sia per la finta sicurezza di sé che emanava.
«Hai un servizio fotografico oggi?» gli chiesi «No, ce l’ha Tat e vuole che ci sia anch’io. Ha la nausea mattutina e roba del genere, così rimarrò nei paraggi per aiutarla nel caso in cui non si sentisse bene.» Allungai una mano e gli accarezzai un braccio in segno di
solidarietà. «È bellissimo, Cary. Sei il migliore.» Piegò le labbra in una smorfia sarcastica mentre si portava alla bocca la tazza di caffè fumante. «Che cos’altro dovrei fare? Non posso farmi venire la nausea al posto suo e lei deve lavorare finché è in grado di farlo.» «Se c’è qualcosa che posso fare, me lo dirai?» Si strinse nelle spalle. «Certo.» Gideon mi accarezzò la schiena,
offrendo il suo silenzioso supporto. «Se trovi il tempo, Cary, mi piacerebbe che partecipassi anche tu all’appuntamento con l’architetto che sta ristrutturando la nostra casa sulla Fifth Avenue.» «Sì, ci pensavo.» Cary si appoggiò con un fianco al bancone. «Non ho completamente risolto le
cose con Tat, ma immagino che a un certo punto riorganizzeremo la nostra vita insieme. Voi ragazzi non vorrete certo un bambino urlante come vicino di casa. Quando sarete pronti per questo, avrete il vostro e non sopporterete il mio.» «Cary…» Il mio migliore amico raramente faceva programmi che andavano oltre i quindici minuti. Sentirlo prendere in mano la situazione in modo così deciso me lo fece amare ancora di più.
«Entrambe le parti in cui è diviso l’attico sono perfettamente insonorizzate» disse Gideon, con quel tono fermo e risoluto che infondeva sicurezza in chiunque lo ascoltasse. «Possiamo fare in modo che tutto funzioni, Cary. Basta che tu mi dica quali sono le tue necessità e le affronteremo.» Cary abbassò lo sguardo sulla tazza e il suo bellissimo volto
all’improvviso sembrò stressato e stanco. «Grazie, ne parlerò con Tat. È dura, sapete? Lei non vuole pensare a ciò che succederà e io non riesco a fare a meno di pensarci. Arriverà un essere umano che dipenderà totalmente da noi e dobbiamo essere preparati… in un modo o nell’altro.» Mi staccai da Gideon e lui mi lasciò andare. Era difficile guardare Cary in difficoltà, e spaventava anche un po’. Non sopportava le
sfide e io temevo che scivolasse nel familiare, autodistruttivo meccanismo di reazione allo stress. Era una minaccia che entrambi affrontavamo ogni giorno. Io però avevo una serie di persone che mi tenevano ancorata, mentre il mio amico aveva solo me. «Le famiglie esistono per questo, Cary.» Gli sorrisi.
«Per farsi impazzire a vicenda e finire dritti in terapia.» Lui sbuffò e nascose la faccia nella tazza. Il fatto che non replicasse con la solita prontezza mi fece preoccupare ancora di più. Scese un silenzio pesante. Gideon e io gli concedemmo un minuto, prendendoci a nostra volta il tempo di bere il caffè. Per quanto evitassimo di parlarci e perfino di
guardarci, non volendo creare una complicità da cui Cary era escluso, sentivo quanto eravamo in sintonia. Era una cosa molto importante per me. In vita mia non avevo mai avuto un vero compagno, un amante che mi stesse vicino non solo per spassarsela. Gideon era un miracolo sotto molti aspetti. Allora pensai che dovevo fare qualche cambiamento,
andargli incontro sul fatto di lavorare insieme a lui. Dovevo smettere di pensare che il team Cross fosse solo suo. Dovevo entrarne in possesso anch’io, in modo da poterlo condividere con lui. «Ho tempo la settimana prossima» disse
infine Cary, guardando prima me e poi Gideon. Mio marito annuì. «Allora programmiamolo per mercoledì, così possiamo riprenderci dal weekend.»
Cary piegò la bocca in un sorriso. «Ah, è così, eh?» Sorrisi di rimando. «E come altro potrebbe essere?» «Come stai?» chiesi a Megumi, quando ci sedemmo per pranzare insieme giovedì. Aveva un aspetto migliore rispetto a lunedì, ma era ancora eccessivamente vestita per la
stagione estiva. Proprio per quel motivo avevo ordinato due insalate da asporto e ci eravamo sistemate nella sala ristoro invece di avventurarci in strada nel caldo umido. Lei si sforzò di fare un debole sorriso. «Meglio.» «Lacey
sa quello che è successo?» Non ero sicura di quanto fosse in confidenza con la sua coinquilina, ma non mi ero dimenticata che Lacey usciva con Michael prima che lo facesse
Megumi. «Non del tutto» rispose, sondando la sua insalata con la forchetta di plastica. «Mi sento così stupida.» «Siamo sempre pronte a biasimare noi stesse, ma no vuol
dire no. Non è colpa tua.» «Lo so, eppure…» Sapevo come si sentiva. «Hai pensato di parlarne con qualcuno?» Mi guardò, sistemandosi i capelli dietro le orecchie. «Tipo un terapeuta o qualcosa del genere?» «Sì.» «Non proprio. Come si fa a
trovare una persona del genere?» «Abbiamo l’assistenza psicologica. Chiama il numero che trovi sul retro del tuo tesserino dell’assicurazione. Ti daranno un elenco di specialisti a cui rivolgerti.» «E semplicemente… ne prendo uno?» «Ti aiuterò io.» E se mi fossi organizzata, avrei trovato un modo per aiutare un maggior numero di donne come lei e me: dalle nostre
esperienze doveva venire qualcosa di buono. Avevo la motivazione e i mezzi, dovevo solo trovare il modo. Le brillarono gli occhi. «Sei una buona amica, Eva, grazie di esserci.» Mi protesi e l’abbracciai. «Lui non mi ha mandato messaggi
ultimamente» disse quando mi ritrassi. «Continuo ad avere il terrore che riprenda, ma ogni ora che passa senza che lo faccia mi sento meglio.» Mi appoggiai allo schienale della sedia e mandai un silenzioso grazie a Clancy. «Bene.» Alle cinque finii di lavorare e presi l’ascensore verso la Cross Industries, sperando di riuscire a strappare un po’ di tempo con
Gideon prima del nostro appuntamento con il dottor Petersen. Avevo pensato a lui tutto il giorno, al futuro che volevo che noi avessimo insieme. Volevo che lui rispettasse la mia individualità e i
miei confini personali, ma volevo anche che ne aprisse alcuni dei suoi. Volevo più momenti come stamattina con Cary, quando Gideon e io eravamo stati vicini e avevamo affrontato una situazione insieme, ma non potevo spingere perché ciò accadesse se non ero disposta a fare lo stesso sforzo. L’addetta alla reception con i
capelli rossi premette il pulsante per farmi entrare alla Cross Industries. Mi accolse con un sorriso tirato e poco affabile. «Posso aiutarla?» «No, non si preoccupi, grazie» risposi, passandole accanto.
Sarebbe stato bello che tutti gli impiegati di Gideon fossero cordiali come Scott, ma questa ragazza aveva un problema con me e io avevo finito per accettarlo. Mi diressi verso l’ufficio di Gideon e vidi che Scott non era alla sua scrivania. Al di là del vetro vidi mio marito al lavoro, intento
a presiedere una riunione con informale autorevolezza. Era in piedi, con la schiena appoggiata al bordo della scrivania e le gambe incrociate. Indossava la giacca e parlava a un uditorio composto da due uomini in giacca e cravatta e una donna che esibiva un favoloso paio di Louboutin. Scott era seduto
di lato e prendeva appunti su un tablet. Mi accomodai su una sedia accanto alla scrivania di Scott e osservai Gideon con la stessa aria rapita delle persone che erano nella stanza con lui. Non smettevo mai di stupirmi di quanto fosse sicuro di sé per essere un uomo di soli ventotto anni. Gli uomini con cui stava parlando sembravano avere il doppio della sua età e tuttavia dai loro gesti e dalla loro assoluta
attenzione si capiva che rispettavano mio marito e quello che stava dicendo. Sì, i soldi contavano – parecchio – e Gideon ne aveva montagne, ma lui comunicava capacità di comando e controllo in modo sottile. Me ne rendevo conto dopo aver vissuto con il padre di Nathan, il primo marito di mia madre, che invece
brandiva il potere come un corpo contundente. Gideon sapeva come catturare il pubblico senza picchiare i pugni sul tavolo e dubitavo che l’ambiente facesse qualche differenza. La sua presenza sarebbe stata altrettanto formidabile nell’ufficio di chiunque altro. Girò la testa e incrociò il mio sguardo. Non c’era sorpresa nei suoi occhi di un blu splendente. Lui sapeva che ero lì, aveva percepito il
mio arrivo così come spesso io percepivo il suo senza bisogno di vederlo. Eravamo connessi in un modo e a un livello che non potevo spiegare. C’erano volte in cui riuscivo a sentirlo vicino anche se non era con me e io avrei semplicemente voluto che lo fosse. Sorrisi, poi frugai nella borsa in cerca del telefono, per non dargli l’impressione che me ne stavo seduta lì ad aspettare e basta. Non che la cosa avrebbe esercitato la
minima pressione su di lui. C’erano decine di e-mail di mia madre con allegate foto di vestiti, fiori e luoghi adatti a un matrimonio, il che mi fece venire in mente che dovevo comunicarle che papà avrebbe pagato la cerimonia. Rimandavo quella conversazione da
una settimana, cercando di farmi coraggio per affrontare la sua reazione. C’era anche un nuovo messaggio di Brett, in cui diceva che dovevamo parlare… urgentemente. Mi alzai e cercai un posto tranquillo in cui potermi rifugiare a fare quella telefonata. Fu così che vidi Christopher Vidal senior che girava l’angolo.
Il patrigno di Gideon indossava gli abituali pantaloni cachi, i mocassini e un’elegante camicia azzurra aperta sul collo con le maniche arrotolate. I capelli ondulati biondo rame che Christopher junior aveva ereditato
da lui erano accuratamente spuntati sul collo e intorno alle orecchie e i suoi occhi grigioverdi erano oscurati dal cipiglio dietro gli occhiali vecchio stile con la montatura di ottone. «Eva.» Chris rallentò nell’avvicinarsi a me. «Come stai?» «Bene, e lei?» Annuì, lanciando
un’occhiata all’ufficio di Gideon alle mie spalle. «Non posso lamentarmi. Hai un minuto? Vorrei parlarti di una cosa.» «Certo.» La porta dietro di me si aprì e quando mi girai vidi Scott che usciva dalla stanza. «Mr Vidal» disse, venendo verso di noi. «Miss Tramell. Mr Cross ne avrà per altri quindici minuti circa. Posso portarvi qualcosa da bere mentre aspettate?»
Chris fece di no con la testa. «Per me niente, grazie, ma sarebbe magnifico se potesse indicarci una stanza appartata dove andare.» «Naturalmente.» Scott mi guardò. «Sono a posto, grazie» risposi. Lasciò il tablet sulla scrivania e ci portò in una sala conferenze con un’ampia vista sulla città. C’erano un lungo tavolo di legno lucido che
brillava sotto i faretti incassati, un mobiletto abbinato che copriva una parete e un ampio schermo che campeggiava sull’altra. «Se vi serve qualcosa» disse «premete il tasto uno e provvederemo. Nel mobiletto
trovate caffè e acqua.» Chris annuì. «Grazie, Scott, molto gentile da parte sua.» Scott uscì dalla stanza e Chris mi fece segno di accomodarmi, poi prese la sedia a destra della mia e la spostò in modo da guardarmi in faccia. «Prima di tutto, permettimi di congratularmi per il vostro
fidanzamento.» Sorrise. «Ireland parla benissimo di te e so che sei stata di grande aiuto nel riavvicinare lei e Gideon. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo.» «Non ho fatto
molto, ma apprezzo il pensiero.» Lui mi prese la mano sinistra, che tenevo appoggiata al tavolo, sfiorò delicatamente l’anello di fidanzamento con il pollice e piegò la bocca in un sorriso mesto. Stava pensando al fatto che Geoffrey Cross aveva scelto quel gioiello per Elizabeth? «È un bell’anello» disse alla fine. «Sono sicuro che per Gideon ha
significato tanto dartelo.» Non sapevo che cosa replicare. Quell’anello significava tanto per Gideon perché era il simbolo dell’amore tra i suoi genitori. Chris lasciò andare la mia mano. «Elizabeth sta facendo molta fatica ad accettare la cosa. Sono sicuro che per una madre entrano in gioco tante emozioni complesse quando il suo primo figlio decide di sposarsi, soprattutto se si tratta di un maschio. Mia madre diceva sempre
che un figlio rimane un figlio finché non si sposa – dopodiché è un marito –, mentre una figlia è una figlia per tutta la vita.» Quella spiegazione conciliatoria mi irritò. Chris stava cercando di essere gentile, ma io non ne potevo più di tutte quelle giustificazioni, soprattutto quando si trattava di Elizabeth Vidal. La finzione doveva finire o Gideon non avrebbe mai smesso di soffrire. Avevo bisogno che la sofferenza
cessasse. Ogni volta che Gideon si svegliava piangendo io ne uscivo sempre più a pezzi. Potevo solo immaginare il danno che stava producendo su di lui. E tuttavia riflettei se lasciar perdere per adesso. Potevo litigare e fare pressioni finché volevo, ma l’unico a pretendere le risposte e a sentirsele dare doveva essere Gideon. “Lascia stare. Quando sarà il momento giusto, succederà.”
E invece non potei fare a meno di protendermi in avanti, incapace di mantenere il silenzio come aveva fatto Gideon per troppo tempo. «Siamo onesti» esordii con calma. «Sua moglie non ha avuto questa reazione quando Gideon si è fidanzato con Corinne.» Non lo sapevo con certezza, ma dopo avere visto Elizabeth insieme ai
genitori di Corinne all’ospedale, mi sembrava probabile. Il suo sorriso imbarazzato mi dimostrò che avevo ragione. «Penso che fosse una situazione diversa, dal momento che Gideon stava con Corinne da un po’ di tempo e noi la conoscevamo. Tu e Gideon non state insieme da molto, per cui ci sono ancora delle cose da mettere a punto. Non voglio che tu la prenda sul personale, Eva.» Il sorriso era irritante, ma le
parole furono la goccia che fece traboccare il vaso. Il risentimento sgorgò a fiumi e tracimò oltre il muro che avevo eretto per contenerlo. Nemmeno Chris era senza colpa. Prendere in casa un ragazzino triste e problematico non doveva essere stato facile, soprattutto in un
momento in cui lui stava formando una propria famiglia con Christopher junior e Ireland in arrivo. Ma aveva accettato il ruolo di patrigno quando aveva sposato Elizabeth e condivideva con lei la responsabilità di perseguire la giustizia per un bambino ferito e abusato. Maledizione, un estraneo aveva l’obbligo di denunciare il
reato. Avvicinandomi un po’, gli diedi modo di constatare quant’ero arrabbiata. «È molto personale, Mr Vidal. Elizabeth si sente minacciata perché io non intendo più
sopportare questa stronzata. Dovete entrambi delle scuse a Gideon ed Elizabeth deve ammettere l’abuso. La terrò sotto pressione perché sistemi le cose. Potete contarci.» La sua
postura si irrigidì visibilmente. «Di che cosa stai parlando?» Sbuffai con disgusto. «Vuole scherzare?» «Elizabeth non abuserebbe mai dei suoi figli» disse con fermezza. «È una madre meravigliosa e devota.» Sbattei le palpebre e lo fissai. Delirava anche lui come Elizabeth?
Come potevano tutti e due comportarsi come se non sapessero? «Penso che faresti meglio a spiegarti, Eva, e in fretta.» Mi
afflosciai sulla sedia, sbalordita. Cavolo, se quell’uomo stava recitando, si meritava un Oscar. Senza alzarsi si spostò in avanti con impeto, irritato e aggressivo. «Comincia a parlare. Adesso.» La mia voce risultò calma, bassa. «Gideon è stato violentato dal terapeuta che lo aveva in cura.» Chris rimase paralizzato. Per un
lungo minuto non riuscì nemmeno a respirare. «Lo ha raccontato a Elizabeth, ma lei non gli ha creduto. Sapeva che suo figlio stava dicendo la verità, ma per non so quale contorta ragione che si era inventata lo ha negato.» Lui si ricompose e scosse la testa
violentemente. «No.» A quella replica scattai in piedi. «Intende negarlo anche lei, Chris? Chi mentirebbe su una cosa come questa? Ha una pallida idea di quanto sia stato difficile per Gideon ammettere quello che stava succedendo? Quanto deve averlo confuso il fatto che un uomo di cui si fidava gli facesse cose del
genere?» Chris alzò lo sguardo su di me. «Elizabeth non avrebbe mai ignorato… un fatto simile. C’è un malinteso. Sei confusa.» Notai le sue pupille dilatate e le labbra livide, ma mi rifiutai di sentirmi male per lui. «Ha agito in modo meccanico, tutto qui. Quando è arrivato il momento critico, ha
scelto di stare dalla parte di chiunque tranne che di suo figlio.» «Non sai quello che stai dicendo.» Presi la borsetta e me la appesi a una spalla, poi mi chinai verso di lui, in modo da guardarlo negli occhi. «Gideon è stato violentato. Uno di questi giorni lei e sua moglie
lo guarderete negli occhi come io sto facendo adesso con lei e lo ammetterete, e chiederete perdono per tutti gli anni in cui lui ha convissuto con questo peso da solo.» «Eva.» La voce di Gideon risuonò nella stanza, facendomi sobbalzare. Mi raddrizzai in fretta e vacillai quando me lo trovai di fronte. Era in piedi sulla soglia e stringeva la maniglia della porta
con tanta forza che avrebbe potuto romperla. Il suo volto era duro, il suo corpo rigido, il suo sguardo mi bruciava con un tipo di calore diverso. Ira. Non l’avevo mai visto così arrabbiato. Chris si alzò pesantemente in piedi. «Gideon. Che cosa succede? Che cosa sta dicendo Eva?» Mio marito allungò un braccio e mi afferrò, strattonandomi lungo il corridoio con una durezza che mi
fece urlare per lo spavento. Continuai a sentire la stretta delle sue dita anche dopo che mi lasciò. Premendomi una mano in fondo alla schiena, mi spinse avanti, muovendosi in modo così rapido che stentavo a tenere il passo. «Gideon, aspetta» dissi senza fiato, con il cuore che mi martellava nel petto. «Noi…» «Nemmeno una fottuta parola» tagliò corto, spingendomi in malo modo attraverso la porta blindata
dell’ingresso fino al pianerottolo dell’ascensore. Sentii Chris che chiamava Gideon. Lo intravidi correre verso di noi subito prima che le porte dell’ascensore lo chiudessero fuori. 9 Quando condussi Eva fuori dal Crossfire, Angus lanciò un’occhiata al mio volto e il suo sorriso svanì.
Aprì la portiera della Bentley e si spostò di lato, osservandomi mentre spingevo mia moglie sul sedile posteriore. I nostri sguardi si incrociarono sopra la testa di Eva che stava entrando nell’auto e il messaggio che lessi nell’azzurro pallido dei suoi occhi diceva: “Sia delicato con lei”. Non sapeva quanto fosse difficile
per me cercare di controllarmi come stavo facendo in quel momento. Sentivo le vene delle tempie che pulsavano, riecheggiando l’analogo, forte pulsare del mio pene. Per poco non avevo fermato l’ascensore a metà strada per scopare Eva contro la parete come un animale. Le uniche cose che mi avevano trattenuto erano le
telecamere di sicurezza e gli occhi vigili delle guardie che monitoravano le riprese. Avrei voluto metterle il guinzaglio, affondarle i denti in una spalla mentre
la scopavo, dominarla. Era una tigre che artigliava e soffiava contro chiunque, secondo lei, mi avesse fatto un torto, e io dovevo immobilizzarla e indurla a
sottomettersi. «Maledizione» sibilai, mentre raggiungevo l’altro lato della macchina e salivo. Eva era un’incognita e io non riuscivo a controllarla.
Mi sedetti, chiusi la portiera sbattendola e tenni lo sguardo puntato fuori dal finestrino perché avevo paura di quello che avrei fatto se avessi guardato mia moglie. Lei era l’aria che respiravo e in quel momento non riuscivo a prendere fiato. Mi posò una mano sulla coscia. «Gideon…» Afferrai quella mano affusolata che indossava il mio anello, me la portai tra le gambe e la strinsi
intorno al mio pene dolorosamente pulsante. «Apri la bocca di nuovo e te la chiuderò con questo.» Lei ansimò. Angus si sedette al volante e mise in moto. Sentivo lo sguardo di Eva puntato sul mio viso. Tirò via la mano e io quasi gemetti nel perdere il suo tocco, poi si spostò sul sedile e venne a rannicchiarsi accanto a me. Fece scivolare l’altra mano tra le mie gambe e mi afferrò possessivamente
il membro, mentre le sue labbra mi baciavano la guancia. Le circondai la schiena con un braccio e feci un respiro profondo, inalando il suo profumo. La Bentley si staccò dal marciapiede e si immerse nel
traffico cittadino. Fu solo quando accostammo davanti all’edificio in cui il dottor Petersen aveva il suo ufficio che mi ricordai dell’appuntamento con lui. Non vedevo l’ora che tornassimo a casa per poter prendere Eva nel modo in cui avevo bisogno di farlo: in fretta, con forza, violentemente. Non appena Angus uscì dall’auto, lei fece per muoversi, ma io strinsi il braccio intorno a lei. «Non oggi» dissi in tono fermo.
«Okay» sussurrò lei, dandomi un altro bacio sulla guancia. Angus aprì la portiera. Lei si scostò da me e scese comunque dalla macchina, si avviò verso le porte girevoli dell’edificio ed entrò, lasciandomi a guardarla. «Oddio.» Angus fece capolino nell’abitacolo e mi fissò. «Per la terapia di coppia bisogna essere in
due.» Lo guardai. «Nessun commento!» Il sorriso che gli aleggiava nello sguardo gli fece incurvare la bocca in un’ampia smorfia divertita. «Eva la ama, ragazzo mio, che le piaccia o no.» «Certo che mi piace» mormorai, lanciando un’occhiata dietro di me per controllare le macchine in arrivo prima di aprire la portiera e scendere a mia volta dall’auto. «Questo non significa che non sia
una mina vagante» aggiunsi mentre mi avvicinavo al marciapiede. Angus chiuse la portiera. Un’inconsueta brezza estiva gli scompigliò i capelli rossi ingrigiti che fuoriuscivano dal berretto da chauffeur. «“La vita è una danza… A volte si porta, a volte si segue.” Prevedo che lei si lamenterà ancora per un po’ riguardo alla seconda
parte.» Emisi un grugnito esasperato. «Eva ha parlato con Chris.» Angus inarcò le sopracciglia per la sorpresa e tuttavia annuì. «L’ho visto entrare nel Crossfire.» «Perché diavolo quella ragazza non lascia perdere?» Salii sul marciapiede e mi sistemai il gilet con uno strattone. Avrei voluto poter sistemare anche i miei pensieri altrettanto
facilmente. «Non può cambiare il passato.» «Non è il passato quello a cui Eva sta pensando.» Angus mi posò una mano sulla spalla. «È il futuro.» Trovai Eva che camminava su e giù nello studio del dottor Petersen, agitando le mani mentre parlava. Il bravo terapeuta, seduto sulla sua solita sedia, era intento a prendere appunti sul tablet. «Tutta la situazione mi fa impazzire» disse con inquietudine.
Poi si accorse della mia presenza sulla soglia e rimase in silenzio per un attimo. «Gideon.» Un sorriso radioso le illuminò il volto. Non c’era davvero niente che non avrei fatto per regalarle quell’espressione felice. Il fatto che sorridesse in quel modo solo per avermi visto…
«Eva. Dottore.» Mi sedetti sul divano. Che cosa gli aveva raccontato finora? Il dottor Petersen mi seguì con lo sguardo. «Salve, Gideon, mi fa piacere che alla fine sia riuscito a raggiungerci.» Battei una mano sul posto accanto a me e aspettai che Eva si
sedesse. «Abbiamo in programma di ritornare nell’attico sulla Fifth Avenue e di far venire anche Cary» dissi in tono tranquillo, spostando la conversazione su un argomento in cui mi sentivo maggiormente a mio agio. «Prevedo che
sarà un cambiamento difficile per tutti noi.» Eva rimase a bocca aperta Il dottor Petersen mise giù lo stilo del tablet. «Eva mi stava parlando della visita del suo patrigno. Vorrei saperne di più, prima di voltare pagina.» Intrecciai le dita della mano con quelle di mia moglie. «Non è un argomento di cui discutere.» Lei mi fissò. Girai la testa per
incontrare il suo sguardo e mi lasciai sfuggire un sospiro addolorato. La nuova espressione sul suo viso mi fece soffrire per un motivo completamente diverso. La seduta era appena
cominciata, ma per me non sarebbe mai finita abbastanza presto. Dissi ad Angus di portarci a casa… nell’attico. Eva era evidentemente persa nei suoi pensieri perché si mostrò sorpresa quando l’addetto al parcheggio le aprì la portiera. Eravamo nel garage sotterraneo del palazzo.
Mi lanciò un’occhiata. «Ti spiegherò» le dissi, mentre la prendevo per un gomito e la conducevo verso l’ascensore. Salimmo in silenzio. Quando le porte si aprirono sul pianerottolo privato, la sentii irrigidirsi. Era da un mese che non ci ritrovavamo lì insieme. L’ultima volta era stata la sera in cui lei mi aveva affrontato riguardo la morte di Nathan. Anch’io avevo avuto paura, allora. Ero terrorizzato di avere
fatto qualcosa che lei non avrebbe potuto perdonarmi. Avevamo avuto molti momenti burrascosi nell’attico, che non era stato teatro di così tanta gioia e amore tra noi come l’appartamento nell’Upper West Side. Ma le cose sarebbero cambiate. Un giorno ci saremmo guardati indietro e questo posto ci avrebbe ricordato tutte le tappe, belle e brutte, del nostro percorso insieme. Mi rifiutavo di immaginare alcunché di diverso.
Aprii la porta di casa, facendole segno di entrare per prima. Lei lasciò cadere la borsa su una poltrona e si sfilò le scarpe, mentre io mi toglievo la giacca, la appoggiavo su uno sgabello della cucina e tiravo fuori una bottiglia di Shiraz dalla rastrelliera dei vini. «Ti ho delusa» le dissi, mentre stappavo il vino. Lei camminò a piedi scalzi verso il passaggio ad arco e si appoggiò con la schiena alla colonna in
pietra. «No, non tu.» Mentre prendevo un decanter e due bicchieri, riflettei su cosa replicare. Era difficile negoziare con mia moglie. A qualunque altra trattativa partecipavo con la consapevolezza che avrei potuto prendere o lasciare. Non c’era accordo dal quale non potessi uscire nel modo migliore.
Eccetto quelli che compromettevano il mio controllo su Eva. Mentre travasavo il vino, lei mi raggiunse. Mi posò una mano sulla spalla. «Non stiamo insieme da molto tempo, Gideon, e tu sei già arrivato fino a questo punto. Non intendo fare pressioni perché tu vada oltre così
presto. Sono cose che richiedono tempo.» Lasciai riposare il vino nel decanter e mi girai verso di lei, attirandola a me. Mi era sembrata così lontana nell’ultima ora e la distanza mi aveva ucciso. «Baciami» mormorai. Eva piegò la testa all’indietro e mi offrì la bocca. Io premetti le
labbra sulle sue, ma per il resto non feci altro: volevo che fosse lei a raggiungermi, ne avevo bisogno. La spinta della sua lingua sulla mia bocca chiusa mi fece gemere e la sensazione delle sue dita che mi accarezzavano i capelli sulla nuca mi calmò. C’era un’offerta di scuse nella morbidezza delle sue labbra che scivolavano sulle mie e c’era amore nel suo tranquillo gemito di resa. La sollevai, facendole staccare i
piedi da terra: provavo un tale sollievo per il fatto che mi volesse ancora che mi girava la testa. «Eva… mi dispiace.» «Ssh, piccolo, va tutto bene.» Si ritrasse e mi prese il viso con tutte e due le mani. «Non devi scusarti con me.» Mi sentivo la gola in fiamme. La misi a sedere sul bancone della cucina e mi incuneai fra le sue gambe. La gonna si sollevò, scoprendo
il bordo della giarrettiera. La volevo, in ogni modo. Appoggiai la fronte alla sua. «Ti ha dato fastidio che io non abbia voluto parlare di Chris.» «Non mi aspettavo che tu evitassi completamente l’argomento, tutto qui.» Mi baciò le sopracciglia, mentre le sue dita mi
scostavano i capelli dal viso. «Avrei dovuto prevedere quella possibilità, visto com’eri arrabbiato quando abbiamo lasciato il Crossfire.» «Non ero arrabbiato con te.» «Con Chris?» «Con la situazione.» Emisi un brusco sospiro. «Ti aspetti che le persone cambino e questo non succede. Nel frattempo crei
problemi in un momento in cui ne abbiamo già abbastanza. Voglio solo avere un po’ di pace con te, Eva, giorni in cui tu e io siamo soli, felici e liberi da qualunque stronzata.» «E notti in cui vai a dormire in un altro letto, in un’altra stanza?» Chiusi gli occhi. «È questo il
problema?» «Non completamente, ma in parte sì, Gideon. Voglio stare con te, quando sono sveglia e quando dormo.» «Lo so, ma…» «E la pace che cerchi? Fingi di averla durante il giorno e soffri perché non ce l’hai durante la notte. È una cosa che ti sta lacerando dentro e assistere a quel che ti succede mi distrugge. Non voglio che tu viva così per sempre. Non
voglio che noi viviamo così per sempre.» La guardai, la mia anima a nudo di fronte a quegli straordinari occhi color acciaio che non mi permettevano di nascondere nulla. C’era così tanto amore nel suo sguardo! Amore e preoccupazione,
delusione e speranza. La luce che pioveva sul bancone della cucina le illuminava i capelli biondi da dietro, ricordandomi quanto fosse preziosa. Un regalo che non mi sarei mai aspettato di ricevere. «Eva… sto parlando degli incubi con il dottor Petersen.» «Ma non di quello che li causa.» «Tu presumi che sia Hugh il problema» dissi in tono piatto, sentendo un nodo di odio e umiliazione in gola. «Parliamo di
mio padre, invece.» Si ritrasse. «Asso… Non so esattamente che cosa ci sia nei tuoi sogni ma ti ho visto svegliarti in due modi diversi: pronto a colpire qualcuno o in lacrime come se ti si stesse spezzando il cuore. Quando emergi dal sogno in modalità combattiva, le cose che dici mi danno la quasi certezza che ti stai difendendo da Hugh.» Inspirai profondamente.
Mi faceva infuriare che il mio ex terapeuta – e molestatore – potesse rispuntare dalla tomba e, attraverso me, raggiungere Eva. «Senti.» Mi avvolse le gambe intorno ai fianchi. «Ho detto che non ti avrei fatto pressioni e parlavo sul serio. Se la nostra relazione durasse da un paio d’anni, magari sarei più combattiva. Ma dura solo da pochi mesi. Il fatto che tu veda un terapeuta e gli parli di tuo padre
è abbastanza per adesso.» «Davvero?» «Sì.» «Sì. Ma ci sono anche cose che ti perseguitano e delle quali non possiamo mai parlare. È una situazione che impedisce al dottor Petersen di svolgere il suo lavoro: più tu lo tieni all’oscuro, meno lui può aiutarti.» Nathan. Non c’era bisogno che lei lo nominasse esplicitamente. «Sto facendo degli sforzi, Eva.»
«Lo so.» Mi accarezzò le spalle, poi lasciò scivolare le mani sui bottoni del mio gilet. «Dimmi solo che non eviterai di parlarne per sempre. Dimmi che ci stai lavorando sopra.» Il mio cuore aumentò i battiti. Le presi i polsi e glieli tenni stretti saldamente, ancorandomi a lei. Mi
sentivo con le spalle al muro, intrappolato tra i suoi bisogni e i miei, e in quel momento sembravano molto divergenti. La mia stretta le fece aprire la bocca e accelerare il respiro. Una presa più decisa, uno sguardo acceso, il tono della mia voce… Eva reagiva
alle mie richieste inespresse come se si fosse allenata a farlo. «Sto facendo del mio meglio» le dissi. «Non è una risposta.» «È tutto quello che posso dirti adesso, Eva.» Deglutì e si agitò, inseguendo i pensieri che si rincorrevano nella sua testa. «Stai giocando con me»
disse a bassa voce. «Mi stai ingannando.» «No, ti sto dicendo la verità, anche se non è quello che vuoi sentire. Hai detto che non mi avresti fatto pressioni. Parlavi sul serio?» Lei si passò rapidamente la lingua sul labbro inferiore e mi guardò. Poi annuì. «Sì.» «Bene. Beviamo un po’ di vino e ceniamo. Dopodiché,
se vuoi davvero giocare, fammelo sapere.» «Giocare? Come?» «Ho comprato una corda di seta per te.» Spalancò gli occhi. «Una corda di seta?» «Cremisi, naturalmente.» Mi staccai da lei e feci un passo indietro, dandole un po’ di tempo
per pensare, mentre prendevo il decanter e le versavo un bicchiere di vino. «Mi piacerebbe legarti, quando sarai pronta. Se non stasera, un altro giorno. Nemmeno io voglio farti pressioni.» Ci stavamo reciprocamente indirizzando in direzioni che ci mettevano a disagio. Lei sceglieva di credere che un osservatore esterno preparato facesse parte
della risposta che stavamo cercando. Io ritenevo che avremmo trovato buona parte delle risposte in noi stessi, semplicemente entrando in sintonia nel modo più intimo possibile. Guarigione attraverso il sesso:
c’era forse qualcosa di più perfetto per due persone che condividevano una storia come quella tra me ed Eva? Lei prese il vino che le offrivo. «Quando l’hai comprata?» «Una settimana fa, forse due. Non prevedevo di usarla presto, ma oggi mi hai fatto venire voglia di farlo.» Bevvi un sorso di shiraz, lasciando che il suo sapore mi si sprigionasse in
bocca. «Detto questo, mi va benissimo anche solo scoparti senza pietà.» Eva fece girare il vino nel bicchiere prima di portarselo alle labbra. Lo bevve d’un fiato, lasciandone appena un fondo. «Già, perché sei arrabbiato con me per
aver parlato con Chris.» «Ti ho detto che non lo sono.» «Eri furioso quando siamo usciti dal Crossfire.» «Furiosamente eccitato.» Feci un sorriso sarcastico. «Non posso spiegartene il perché, dal momento che io stesso non lo capisco.» «Provaci.» Allungai una mano e le sfiorai le labbra con il pollice. «Ti vedo arrabbiata, appassionata, pronta a dare battaglia e voglio intrappolare
tutta questa violenza sotto di me. Mi fai desiderare di tenerti ferma, mentre urli e graffi e la tua fica risucchia il mio cazzo che pompa dentro di te con forza. Mia, tutta mia.» «Gideon.» Posò il bicchiere accanto a sé sul bancone e mi afferrò, reclamando la mia bocca con una voracità sfrenata che
speravo non si sarebbe mai attenuata. «Come mai non hai raccontato a Chris quello che è successo con Hugh?» Quella domanda sgradevole giunse inaspettata. Mi bloccai a metà di un boccone e la pizza che stavo mangiando mi
parve improvvisamente poco appetitosa. Rimisi nel piatto la fetta che avanzava, presi un tovagliolo e mi pulii la bocca. «Perché affrontiamo di nuovo questo argomento?» Eva mi guardò aggrottando la fronte. Era seduta di fronte a me sul pavimento del salotto tra il tavolino e il divano. «Non ne abbiamo parlato prima.» «Ah, no? In ogni caso, non importa. Gliel’ha raccontato mia
madre.» Aggrottò ulteriormente la fronte, prese il telecomando e azzerò il volume del televisore, togliendo l’audio ai detective della polizia di New York sullo schermo. «Credo di no.» Mi alzai in piedi e presi il mio piatto. «L’ha fatto, Eva.» «Lo sai con certezza?» Mi seguì in cucina. «Sì.» «Come fai a esserne sicuro?»
«Ne parlavano una sera seduti al tavolo da pranzo, una cosa che io non voglio fare.» «Lui si è comportato come se non lo sapesse.» Si appoggiò al bancone e incrociò le braccia, mentre io buttavo gli avanzi nella spazzatura. «Sembrava sinceramente confuso e inorridito.» «Allora fa finta di non capire perché gli conviene farlo, come mia madre.
Non dovresti esserne sorpresa.» «Supponiamo che non lo sapesse.» «E quindi?» Misi il piatto nel lavello, mentre l’odore del cibo che ancora aleggiava nell’aria mi faceva rivoltare lo stomaco. «Che cazzo
importa adesso? È una storia chiusa, Eva. Chiusa e archiviata. Lascia perdere.» «Perché sei così arrabbiato?» «Perché mi ero messo comodo per una serata con mia moglie – cena, vino, un po’ di tivù, un paio d’ore di sesso – dopo una giornata lunga e dura.» Uscii dalla cucina. «Dimenticatene. Ci vediamo domani mattina.»
«Gideon, aspetta.» Mi prese per un braccio. «Non andare a letto arrabbiato. Per favore, mi dispiace.» Mi fermai e mi liberai della sua stretta. «Anche a me.» “Comincia lentamente” sussurra lui, le labbra vicine al mio orecchio. Riesco a
sentire la sua eccitazione che cresce. Mi circonda il fianco con un braccio e arriva là dove mi sto masturbando. La sua mano copre la mia. Il suo respiro è veloce e superficiale, la sua erezione mi sfrega contro le natiche. Mi si rivolta lo stomaco. Sto sudando. Non riesco a farmelo rimanere duro, per quanto la mia
mano lubrificata vada su e giù, guidata dalla sua. “Tu pensi troppo” mi dice. “Concentrati su quanto è bello. Guarda la donna di fronte a te: vuole scoparti. Immagina come dev’essere sbatterle dentro il cazzo. Morbida. Calda. Bagnata. E stretta.” La sua presa si chiude sulla mia con più forza. “Così stretta.” Guardo la modella sulla rivista aperta sopra il coperchio della cassetta del water. Hai i capelli
scuri, gli occhi azzurri e le gambe lunghe. Sono tutte così le donne delle foto che Hugh mi porta. Lui mi ansima nelle orecchie e mi ritorna la nausea. Sbagliato. C’è qualcosa di sbagliato in me. Questo è sbagliato. La sua brama mi fa sentire sporco. Cattivo. Sono un ragazzo cattivo, perfino la mamma lo dice. Me lo grida quando piange, quando è arrabbiata con me per via di papà. Un basso gemito interrompe il
suo pesante ansimare. Sono io che faccio quel rumore. È bello, anche se non voglio che lo sia. È difficile respirare, pensare, lottare… “Ecco, così” mi incita lui. Con l’altra mano si fa largo in mezzo alle mie natiche. Cerco di liberarmi, ma lui mi tiene intrappolato. È più grande di me, più forte. Posso divincolarmi quanto voglio, ma non riesco a spingerlo via.
“Fermo!” gli dico, dimenandomi. “Ti piace” grugnisce. La sua mano mi pompa più forte. “Esplodi come un geyser tutte le volte. Va bene. Si suppone che sia bello. Starai meglio dopo che sarai venuto. Non devi litigare così tanto con tua madre…” “No! Fermo! Oddio…” Mi spinge dentro due dita scivolose. Urlo e mi contorco, ma lui non la smetterà. Continua a sfregarmi
e a spingere, raggiungendo quel punto che mi fa desiderare di venire più di ogni altra cosa. Il piacere aumenta nonostante le lacrime che mi bruciano negli occhi. Mi cade la testa in avanti, il mento tocca il petto ansimante. Sta
arrivando, non posso fermarlo… Tutt’a un tratto vedo le cose dall’alto, da una posizione privilegiata. La mia mano è improvvisamente più grande, il mio avambraccio più grosso e solcato da
vene, peli scuri mi coprono le braccia e il petto, il mio addome muscoloso si contrae mentre combatto l’orgasmo che non voglio. Non sono più un bambino. Lui non può più farmi del male. C’è un coltello sopra la rivista, e brilla nella luce che viene dal mobiletto accanto a me. Lo afferro e mi libero con uno strattone delle
dita che mi scopano. Mi giro e il coltello gli affonda nel petto. “Non toccarmi!” ruggisco, afferrandolo per una spalla e spingendogli dentro il coltello fino al manico. Hugh spalanca gli occhi, inorridito, e apre la bocca in un urlo
silenzioso. La sua faccia si tramuta in quella di Nathan. Il bagno della mia infanzia scintilla e si trasforma. Siamo in una stanza d’albergo stranamente familiare. Il mio cuore batte più forte. Non posso stare qui. Non possono trovarmi qui. Non possono trovare nessuna traccia di me qui. Devo andarmene. Do uno strattone e barcollo all’indietro. Il coltello scivola fuori,
grondante di sangue. Nathan strabuzza gli occhi mentre muore. Sono grigi. Occhi grigi. Bellissimi, amati occhi grigi di colomba. Gli occhi di Eva. Che si offuscano… Eva sta sanguinando di fronte a me. Sta morendo di fronte a me. L’ho uccisa. Mio Dio… Angelo! Non riesco a muovermi. Non
riesco a raggiungerla. Si piega e si accascia sul pavimento, gli occhi tempestosi spenti e ciechi… Mi svegliai di soprassalto boccheggiando, e mi tirai su a sedere in fretta, sentendo una folata di aria condizionata sulla pelle madida di sudore. Non riuscivo a respirare perché il panico e la paura mi serravano la gola. Mi
liberai delle lenzuola che mi intrappolavano le gambe e scesi dal letto barcollando, accecato dal terrore. In preda a un conato di vomito, mi precipitai in bagno e raggiunsi il water appena in tempo, prima di rimettere. Feci una doccia e lavai via il sudore appiccicoso. Non fu altrettanto facile lavare via il dolore e la disperazione, che mi assalirono violentemente fino a soffocarmi mentre mi strofinavo la
pelle con un asciugamano. Il ricordo del volto pallido di Eva segnato dal tradimento e dalla morte mi perseguitava. Non riuscivo a levarmelo dalla testa. Strappai via dal materasso le lenzuola con una serie di bruschi strattoni e vi buttai sopra quelle pulite. «Gideon.»
Sentendo la voce di Eva, mi raddrizzai e mi girai. Era in piedi sulla soglia della mia camera e attorcigliava tra le mani l’orlo della T-shirt che indossava. Il rimorso mi colpì con forza. Era andata a dormire da sola nella stanza che avevo riprogettato in modo che fosse uguale a quella del suo appartamento nell’Upper West Side. «Ciao» disse dolcemente,
esitando un po’. Il modo in cui spostava il peso da un piede all’altro mi fece capire quanto si sentisse a disagio, quanto fosse diffidente. «Stai bene?» La luce che proveniva dal bagno le illuminò il viso, mettendo in evidenza le occhiaie scure e gli occhi rossi. Si era addormentata piangendo. Le avevo fatto questo. L’avevo fatta sentire male, indesiderata, i suoi pensieri e i suoi sentimenti
meno degni di interesse e preoccupazione dei miei. Avevo permesso che il mio passato si inserisse tra noi come un cuneo. No, questo non era vero. Avevo permesso che la mia paura la allontanasse. «No, angelo, non sto bene.» Lei fece un passo avanti, poi si
fermò. Aprii le braccia. «Mi dispiace, Eva» dissi con la voce roca. Corse da me, il suo corpo caldo e magnetico. L’abbracciai con una forza eccessiva, ma lei non si lamentò. Premetti la guancia sulla sommità della sua testa e inspirai il suo profumo. Avrei potuto affrontare qualunque cosa – avrei
voluto affrontare qualunque cosa – finché lei fosse rimasta con me. «Ho paura.» La mia voce era a malapena un sussurro, ma lei la sentì. Le sue dita affondarono nei muscoli della mia schiena quando mi attirò più vicino a sé. «Non devi. Ci sono qui io.» «Farò tutto il possibile» promisi. «Non abbandonarmi.» «Gideon.» Sospirò, il suo respiro dolce contro il mio petto. «Ti amo
così tanto. Voglio solo che tu sia felice. Mi dispiace di averti fatto pressione, dopo che avevo detto che non l’avrei fatto.» «È colpa mia, ho incasinato tutto. Mi dispiace, Eva. Tanto.» «Ssh. Non devi scusarti.» La sollevai da terra e la portai sul letto, facendola sdraiare con delicatezza, poi mi rannicchiai tra le
sue braccia, mi strinsi contro il suo corpo e affondai il viso nel suo petto. Lei mi infilò le dita tra i capelli e mi massaggiò la testa, poi il collo e infine la schiena, accettandomi nonostante i miei difetti. Il cotone della sua T-shirt si impregnò delle mie lacrime e io mi rannicchiai ancora di più, in preda alla vergogna. «Ti amo»
mormorò. «Non smetterò mai di amarti.» “Gideon.” Sentendo la voce di Eva e poi la sua mano che mi scorreva sul petto, mi mossi, aprii gli occhi stanchi e infiammati e la vidi china sopra di me, la stanza appena illuminata dalla luce dell’alba e i suoi capelli splendenti nel tenue chiarore. «Angelo?» Si spostò, fece scivolare una
gamba sopra di me, mettendosi a cavalcioni del mio corpo, e si tirò su. «Facciamo di questa giornata la migliore che abbiamo mai vissuto.» Deglutii. «Ci sto.» Il suo sorriso mi faceva impazzire. Allungò la mano per prendere qualcosa sul cuscino e un minuto
dopo una musica incantevole uscì piano dagli altoparlanti incassati nel soffitto. Mi ci volle un attimo per riconoscerla. «L’Ave Maria.» Mi toccò il viso, facendo scorrere le dita sulle sopracciglia. «Okay?» Avrei voluto risponderle, ma un
nodo mi chiudeva la gola. Riuscii solo ad annuire. Come potevo dirle che mi sembrava un sogno, un paradiso incantevole che non meritavo? Lei spinse via le lenzuola che mi coprivano in parte e poi sollevò le braccia e si sfilò la maglietta, lasciandola cadere accanto a sé. Rimasi senza fiato e cercai di
ritrovare la parola. «Dio, sei bellissima» dissi con la voce roca. Alzai le mani e accarezzai tutte le curve del suo corpo voluttuoso, poi mi tirai su a sedere e, affondando i talloni nel materasso, mi spinsi all’indietro fino ad appoggiarmi con la schiena alla testiera del letto. Le passai le dita
tra i capelli e sul collo. Avrei potuto toccarla per giorni e non averne mai abbastanza. «Ti amo» disse, piegando leggermente la testa e catturandomi la bocca in un bacio eccitante ed esigente.
La lasciai fare, aprendomi a lei. Mi leccò in profondità, accarezzandomi con la lingua, le sue labbra morbide e umide sulle mie. «Dimmi di che cosa hai bisogno» mormorai, perso nella soave musica di sottofondo, perso in lei. «Di te. Solo di te.» «Prendimi, allora» le dissi. «Sono
tuo.» «Mi dispiace dover essere io a dirtelo, Cross, ma hai perduto la tua spietatezza» disse Arash, tamburellando con le dita sul bracciolo della poltrona davanti alla mia scrivania. «Eva ti ha
ammansito.» Gli lanciai un’occhiata da sopra lo schermo del computer. Dopo aver passato due ore a fare l’amore con mia moglie, potevo convenire di non sentirmi particolarmente aggressivo. Appagato e rilassato erano termini più adatti.
E tuttavia… «Il fatto che io non creda che PhazeOne della LanCorp sia una minaccia per GenTen non significa che non stia attento.» «Sei consapevole» mi corresse Arash «ma stare attento è un’altra cosa, e ti garantisco che Ryan Landon se n’è accorto. Ogni settimana o due avevi l’abitudine di stuzzicarlo in qualche modo, il che, nel bene o nel male, gli dava qualcosa da fare.»
«Non abbiamo chiuso l’accordo con la PosIT appena una settimana fa?» «Quella è stata una reazione, Cross. Bisogna che tu faccia una mossa che lui non ha scatenato.» Il telefono dell’ufficio squillò: era la linea che avevo sincronizzato con lo smartphone. Vedendo apparire il nome di Ireland sul display, allungai la mano verso il ricevitore. «Devo prendere questa chiamata.» «E ti pareva!» mormorò.
Gli lanciai un’occhiata torva e risposi. «Ireland, come stai?» Non era da mia sorella telefonare. Di solito ci scambiavamo messaggi, una forma di comunicazione che ci metteva
entrambi a nostro agio: nessun silenzio imbarazzante, nessun bisogno di fingere allegria o disinvoltura. «Ciao, scusa se ti chiamo nel pieno della giornata.» Aveva la voce spenta. Aggrottai la fronte, preoccupato. «Che cosa c’è che non va?» Rimase in silenzio per un attimo. «Magari questo non è un buon
momento.» Imprecai mentalmente. Anche Eva reagiva così quando ero troppo brusco. Le donne della mia vita dovevano darmi tregua: avevo molto da imparare in fatto di rapporti interpersonali. «Sembri di cattivo umore.» «Anche tu» ribatté. «Puoi chiamare Eva e
lamentartene con lei: ti capirà. E adesso dimmi che cosa c’è che non va.» Sospirò. «Mamma e papà hanno litigato tutta la notte, non so a quale proposito, ma papà urlava. Lui non urla mai, lo sai. È la persona più calma che conosca. Non c’è niente che gli dia sui nervi. E la mamma odia litigare, è una che evita i conflitti.» La sua perspicacia mi sorprese e mi impressionò. «Mi dispiace che tu
abbia dovuto sentirli.» «Papà è andato via presto stamattina e la mamma non fa che piangere da allora. Sai che cosa sta succedendo? Riguarda il fatto che tu ed Eva vi sposate?» Mi invase una calma strana e tuttavia familiare. Non sapevo che cosa dire a mia sorella e non intendevo saltare alle conclusioni. «Probabilmente ha qualcosa a che fare con quello.» L’unica cosa che sapevo con
certezza era che non volevo che Ireland sentisse litigare i suoi genitori. Ricordavo che cosa avevo provato quando i miei genitori litigavano subito dopo che la frode finanziaria di mio padre era venuta a galla. Riuscivo ancora a sentire gli echi del panico e della paura. «Puoi stare da qualche amico nel
weekend?» «Da te.» La prospettiva era inquietante. «Vuoi stare da me?» «Perché no? Non ho mai visto casa tua.» Guardai Arash, che mi stava osservando. Si protese e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. Non sapevo come rifiutare la proposta, ma non potevo neppure accettarla. L’unica persona che avesse mai passato la notte con me
era Eva e naturalmente non era andata a finire bene. «Lascia perdere» disse. «Fa’ come se non ti avessi detto niente.» «No, aspetta.» Accidenti! «Eva e io avevamo in programma un’uscita con amici stasera, tutto qui. Mi serve un po’ di tempo per organizzare le cose diversamente.» «Ah, ricevuto.» La sua voce si addolcì. «Non voglio incasinare i vostri
piani. Posso chiamare qualche amico, non preoccuparti per questo.» «Mi preoccupo per te. Eva e io possiamo fare qualcos’altro, non è un problema.» «Non sono una bambina, Gideon»
disse, chiaramente esasperata. «Non voglio starmene in casa tua sapendo che tu ed Eva dovevate uscire a divertivi. Sarebbe una vera rottura, per cui no, grazie. Preferisco trovarmi con i miei amici.» Provai un senso di sollievo. «Che ne dici di una cena sabato, invece?» «Davvero? Ci sto.
Posso fermarmi anche a dormire?» Non avevo idea di come avrei gestito la situazione. Dovevo confidare che Eva avrebbe saputo cosa fare. «Possiamo organizzarci. Fino ad allora te la caverai?» «Cavolo, ma ti ascolti?» Rise. «Parli come un fratello maggiore. Starò benone. È stato strano sentirli
attaccarsi così, tutto qui. Mi ha mandato fuori di testa. Probabilmente la maggior parte della gente è abituata a sentire litigare i propri genitori. Io no.» «Staranno bene, vedrai. Tutte le coppie finiscono per litigare prima o poi.» Mentre lo dicevo, ero a disagio e curioso al tempo stesso. Eva non poteva avere ragione sul
fatto che Chris non sapesse nulla. Mi risultava impossibile crederlo. Avevo appena finito di arrotolarmi le maniche dell’elegante camicia nera quando Eva entrò nel riflesso dello specchio. Rimasi senza fiato, e la squadrai dalla testa ai piedi. Si era messa un paio di pantaloncini
cortissimi, una camicetta trasparente senza maniche e un paio di sandali con i tacchi alti e si era raccolta i capelli nell’abituale coda, ma l’aveva sistemata in modo che sembrasse un po’ spettinata. Il trucco degli occhi era scuro, quello delle labbra chiaro. Grandi orecchini dorati a cerchio e braccialetti completavano
la mise. Mi ero svegliato con un angelo, e sarei andato a letto con una donna completamente diversa. Emisi un fischio di apprezzamento, girando le spalle allo specchio per poter vedere il soggetto in carne e ossa. «Hai l’aria di una ragazza molto, molto cattiva.»
Lei sculettò e scosse la testa con aria maliziosa. «Lo sono.» «Vieni qui.» Mi guardò fisso. «Non credo proprio. Hai lo sguardo da “scopami” e noi dobbiamo uscire.» «Possiamo arrivare un po’ in ritardo. Che cosa ci vuole per convincerti
a indossare quei pantaloncini solo per me?» Volevo che gli altri la desiderassero e sapessero che era solo mia, e al tempo stesso volevo tenerla tutta per me. Nei suoi occhi guizzò un lampo
malizioso. «Potremmo rinegoziare la sega.» Ricordando il nostro accordo – una sveltina in cambio di una sega vestita – mi resi conto che gli shorts avrebbero reso la prima un po’ più difficile del previsto. Quanto alla seconda, potevo inventarmi qualcosa. Feci un cenno di assenso con la testa, e dissi: «Mettiti una gonna,
angelo, e che la festa abbia inizio». «Era questa la tua idea?» chiese Arash, quando ci incontrammo davanti all’ingresso al pianoterra dello Starlight Lounge. Attraverso la vetrata dell’atrio vidi un buttafuori che controllava il numero di clienti che entravano nell’ascensore che li avrebbe portati sul tetto. Altri due buttafuori stavano di guardia presso la porta esterna, trattenendo
la folla crescente di quelli che speravano di entrare sulla base del loro aspetto, dei loro vestiti e/o del loro fascino. «È una sorpresa per me come lo è per te.» «Avevo intenzione di parlartene.» Eva non
stava letteralmente nella pelle per l’eccitazione. «Shawna ha sentito parlare bene di questo posto e io ho pensato che sarebbe stato divertente.» «Grandi
recensioni online» confermò Shawna «e alcuni dei miei clienti abituali ne sono entusiasti.» Manuel lanciò un’occhiata alla folla impaziente dietro i cordoni, mentre Megumi Kaba rimaneva prudentemente vicina a Cary ed Eva. Mark Garrity, Steven Ellison e Arnoldo erano tutti dietro
e tenevano sgombro il passaggio per chi faceva parte della lista VIP. Cary mise un braccio intorno alla vita di Megumi. «Stai attaccata a me, ragazza.» Le fece un ampio sorriso. «Gli faremo vedere come si fa.» Eva mi prese per un braccio. «La tua sorpresa è qui.» Seguendo il suo
sguardo, adocchiai una coppia che si avvicinava a noi. Inarcai le sopracciglia quando
riconobbi Magdalene Perez. Era per mano a un uomo e non vedevo i suoi occhi scuri brillare in quel modo da molto tempo. «Maggie» la salutai, stringendo la mano che mi porgeva e chinandomi per darle un bacio sulla guancia. «Sono contento che tu sia venuta.» Ed ero ancora più contento che Eva l’avesse invitata. Le due donne avevano iniziato con il piede
sbagliato e la colpa era stata esclusivamente di Magdalene. La frattura tra loro aveva messo a dura prova il mio rapporto con Maggie nelle settimane successive e mi ero preparato ad accettare quella situazione irrisolta. Era bello constatare che, invece, non era più tale. Maggie fece un ampio sorriso.
«Gideon. Eva. Questo è il mio fidanzato, Gage Flynn.» Quando gli strinsi la mano, dopo che lui aveva stretto quella di Eva, notai la forza della sua presa e l’atteggiamento impassibile con cui affrontava il mio esame. Mi diede un’occhiata anche lui, ma la mia sarebbe stata più attenta. Prima della fine del weekend avrei saputo tutto quello che c’era da sapere su quell’uomo. Maggie
ne aveva passate abbastanza con Christopher, non volevo che soffrisse ancora. «E questi sono Will e Natalie» disse Eva, quando arrivarono le ultime due persone del nostro
gruppo. Will Granger esibiva un look rétro che gli donava ed era abbracciato a una ragazza piccola e con i capelli blu che aveva anche lei un look anni Cinquanta e sfoggiava due maniche con tatuaggi finti. Mentre Eva procedeva con le presentazioni, feci un cenno con la testa al buttafuori per comunicargli che il nostro gruppo era al completo. Lui afferrò il segnale e ci lasciò passare.
Mia moglie mi lanciò un’occhiata sospettosa. «Non dirmi che possiedi questo posto.» «Okay, non lo farò.» «Vuoi dire che lo possiedi?» Le feci scivolare una mano lungo la schiena, soffermandomi con delicatezza sulla curva dei fianchi. Aveva sostituito i pantaloncini con una gonna aderente munita di spacco posteriore. Desiderai quasi che non si fosse cambiata: gli shorts mettevano in evidenza le sue
gambe, ma la gonna metteva in evidenza lo splendido sedere. «Devi decidere se vuoi che risponda alla domanda oppure no» dissi, mentre entravamo nel locale. Il volume della musica era alto e quello della voce del dilettante che cantava sul palco lo era ancora di più. Luci strategicamente collocate illuminavano i corridoi e i tavoli, permettendo tuttavia al paesaggio notturno di Manhattan di incantare i clienti. I condizionatori a muro e a
pavimento raffreddavano l’aria portandola a una temperatura confortevole. «C’è qualcosa che non possiedi a New York?» Arash scoppiò a ridere. «Non possiede più il D’Argos Regal sulla Trentaseiesima.» Eva si fermò di botto e il mio avvocato, che era dietro di lei, le andò addosso e la fece vacillare. Gli
lanciai un’occhiataccia. Mia moglie mi afferrò un braccio. «Ti sei sbarazzato dell’hotel?» disse urlando per sovrastare il rumore del locale affollato. La guardai: l’espressione di meraviglia e di speranza che le comparve sul volto compensò abbondantemente la batosta finanziaria che avevo preso. Annuii. Si buttò tra le mie braccia e mi
diede una raffica di rapidi baci sulla guancia. Sorrisi, e il mio sguardo incontrò quello di Arash. «Improvvisamente» disse lui «tutto ha un senso.» 10 «Dio, quei due sono così dolci» disse Shawna guardando Will e Natalie cantare I Got You, Babe sul palco. «A me fanno venire il latte alle
ginocchia.» Manuel era in piedi con il suo drink. «Chiedo scusa a tutti, ma ho visto qualcosa di interessante.» «Digli addio, angelo. Non lo rivedremo più» mi sussurrò Gideon nell’orecchio, con la voce divertita. Seguii la direzione del suo sguardo e vidi una graziosa bruna
squadrare sfacciatamente Manuel. «Addio» gli urlai, agitando la mano per salutarlo. Poi mi appoggiai a Gideon, che era semisdraiato su un costoso divano di pelle. «Com’è che tutti i tizi con cui lavori sono così sexy?» «Trovi?» chiese, strofinandomi il naso sul collo e sull’orecchio. «Forse
non lavoreranno con me ancora per molto.» «Oddio.» Alzai lo sguardo sul cielo stellato. «Pazienza, uomo delle caverne.» Mi strinse il braccio intorno ai fianchi, attirandomi più vicina a sé: aderivo completamente al suo corpo dalle spalle alle ginocchia ed ero felice. Dopo tutte
le incomprensioni del giorno prima era fantastico godere semplicemente della reciproca compagnia. Megumi si protese sopra il tavolino al centro dell’area salotto dov’eravamo seduti. Delimitata da due divani componibili, la zona VIP conteneva tutto il nostro gruppo in modo comodo e confortevole. «Quando la smetterete di rendervi ridicoli?» chiese. «Mmh… mai.»
C’erano voluti alcuni drink e l’attenzione esclusiva di Cary perché Megumi si sentisse abbastanza a proprio agio da divertirsi. Il mio migliore amico aveva rotto il ghiaccio con una travolgente interpretazione di Only the Good Die Young e poi aveva trascinato Megumi a cantare (I’ve Had) The Time of My Life. Lei era tornata al
tavolo raggiante. Ero molto grata a Cary perché si prendeva cura di lei: sembrava addirittura non avere alcuna intenzione di piantarci in asso per andare a caccia di conquiste, come aveva fatto Manuel. Ero davvero orgogliosa di lui. «Forza, Eva» mi esortò Steven. «Hai scelto questo posto, per cui
devi cantare.» «È stata tua sorella a scegliere questo posto» ribattei, lanciando un’occhiata a Shawna, che si limitò a stringersi nelle spalle. «Lei ha cantato due volte!» mi fece notare Steven. «Mark non ha ancora cantato» replicai. Il mio capo scosse la testa. «Vi ho fatto un favore, credetemi.» «Non dirmelo! Gli pneumatici che stridono
sull’asfalto sono più intonati di me.» Arnoldo mi allungò il tablet con la selezione delle canzoni. Era la prima volta che si rivolgeva a me in tutta la serata, a eccezione del saluto che ci eravamo scambiati all’ingresso. Aveva dedicato gran parte della sua attenzione a Magdalene e Gage e io avevo cercato di non prenderlo come un
affronto personale. «Non è leale» mi lamentai. «Vi siete coalizzati contro di me! Nemmeno Gideon ha ancora cantato.» Lanciai un’occhiata a mio marito e lui alzò le spalle. «Lo farò, se vuoi.» Spalancai gli
occhi per la sorpresa. Non l’avevo mai sentito cantare, non me l’ero mai neppure immaginato. I cantanti mettevano a nudo emozioni e le esprimevano con la voce. Per Gideon il silenzio era la virtù dei forti. «Ehi, adesso devi farlo» disse Cary e diede un colpetto sul tablet, facendo aprire il menu su una pagina a caso.
Sentii una leggera stretta allo stomaco. Guardai impotente le canzoni davanti a me, finché non me ne saltò all’occhio una, sulla quale mi concentrai. Feci un profondo respiro e mi alzai. «Okay, ricordatevi che me l’avete chiesto voi. Non voglio sentire proteste per come verrò da schifo.» Gideon, che si era alzato insieme a me, mi attirò a sé e mi sussurrò nell’orecchio: «Penso che tu venga
benissimo, angelo». Gli diedi una gomitata nel fianco. Lui ridacchiò, e la sua risata mi accompagnò mentre mi facevo strada verso il palco. Adoravo sentire quel suono, adoravo passare del tempo con lui quando ci dimenticavamo dei nostri problemi e ci divertivamo in compagnia di persone che ci volevano bene. Eravamo sposati, ma avevamo ancora tante uscite insieme da recuperare, tante serate con gli
amici da sperimentare. Speravo che quella fosse solo la prima di molte. Per quanto mi dispiacesse rischiare di compromettere il nostro fragile equilibrio con la canzone che avevo scelto, non cambiai idea. Diedi il cinque a Will e Natalie che mi passavano accanto e tornavano a unirsi al nostro gruppo. Avrei potuto inserire la canzone nel
tablet al tavolo, come avevamo fatto con le ordinazioni di cibo e bevande, ma non volevo che Gideon vedesse il titolo. Inoltre, avevo notato che mentre tutti gli altri clienti del locale dovevano aspettare il loro turno in coda, le nostre scelte seguivano una corsia privilegiata e più rapida. Speravo, quindi, che inserendo personalmente il mio nome nella
lista avrei potuto strappare un po’ di tempo in più e trovare il coraggio che mi serviva. Avrei dovuto sapere che non sarebbe andata a finire così. Infatti, non appena dissi all’addetta il titolo della canzone che avevo scelto, lei la digitò nel computer e mi annunciò: «Okay, rimanga qui: è la prossima». «Sta scherzando!» Mi girai per lanciare un’occhiata al nostro tavolo e Gideon mi fece l’occhiolino.
Più tardi l’avrebbe pagata per questo. Oh, sì! La ragazza che stava cantando Diamonds finì la sua esibizione e dal pubblico partirono gli applausi. Aveva cantato bene, anche se in realtà la band dal vivo aveva rimediato a un sacco di errori. I musicisti erano davvero bravi, e mi auguravo che lo fossero anche con me. Tremavo nel salire i pochi gradini che portavano al palco e tuttavia,
nonostante la tensione nervosa, quando dal nostro tavolo si levarono applausi e fischi, non potei fare a meno di scoppiare a ridere. Strinsi la presa sul microfono ad asta e le note dell’attacco partirono subito. La canzone, che mi era familiare e che amavo, mi diede la spinta di cui avevo bisogno per
cominciare. Guardando Gideon, intonai la strofa iniziale, che diceva quanto lui fosse incredibile. Riuscivo a sentire le risate per la mia voce orribile anche al di sopra della musica. I miei stessi amici al tavolo scoppiarono a ridere, come avevo previsto.
Avevo scelto Brave. E per cantarla bisognava essere coraggiosi, come diceva il titolo… oppure folli. Mi concentrai su mio marito. Non rideva né sorrideva: semplicemente, non distoglieva gli occhi da me mentre, con le parole
di Sara Bareilles, gli dicevo che avrei voluto vederlo parlare apertamente ed essere coraggioso. La canzone orecchiabile e la band che mi supportava con maestria conquistarono il pubblico, che cominciò a cantare insieme a me… più o meno. Il sentimento diede forza alla mia voce e potenziò il messaggio diretto solo a Gideon.
Doveva smetterla di mantenere il silenzio. Doveva raccontare la verità alla sua famiglia. Non per me o per loro, ma per se stesso. Quando la canzone finì, i miei amici si alzarono in piedi per appludire e io, galvanizzata, feci un ampio sorriso, poi mi piegai in un inchino teatrale e scoppiai a ridere quando gli sconosciuti seduti al tavolo davanti al palco si unirono alle immeritate lodi. Conoscevo i miei punti di forza e di sicuro
l’abilità canora non era tra questi. «È stato strepitoso!» urlò Shawna quando ritornai al tavolo e mi strinse in un forte abbraccio. «Tu sei stata fantastica, ragazza mia.» «Ricordami di pagarti più tardi» dissi ironicamente, sentendomi arrossire mentre gli altri amici si
univano al coro degli elogi. «Siete tutti degli stronzi bugiardi.» «Ah, piccola» biascicò Cary, con gli occhi verdi che brillavano per le risate «non puoi essere brava in tutto. È un sollievo sapere che hai dei difetti come tutti noi.» Gli feci la linguaccia e presi la vodka con succo di mirtillo che si trovava sul tavolino davanti al mio posto. «È il tuo turno, tesoruccio» ironizzò
Arash, rivolgendosi a Gideon con un enorme sorriso. Mio marito annuì, poi mi guardò. Dalla sua espressione era impossibile capire quello che
pensava e io cominciai a preoccuparmi. Non c’era dolcezza nei suoi occhi né sulle sue labbra, nulla che mi fornisse un indizio. E poi qualche idiota cominciò a cantare Ragazza d’oro. Gideon si irrigidì, contraendo visibilmente la mascella. Gli presi la mano e gliela strinsi e, quando lui
contraccambiò la stretta, mi sentii sollevata. Mi diede un bacio sulla guancia e si incamminò verso il palco, facendosi largo tra la folla con assoluta disinvoltura. Mentre passava, vidi molte donne girare la testa per guardarlo. Ero più che sicura che fosse l’uomo più bello del locale, anche se ovviamente il mio era un giudizio di parte.
Sul serio… avrebbe dovuto essere proibito a un uomo essere tanto sexy. Guardai Arash e Arnoldo. «Qualcuno di voi lo ha mai sentito cantare?» Arnoldo fece di no con la testa.
Arash scoppiò a ridere. «Oddio, no. Con un po’ di fortuna, sarà stonato come te. Come dice Cary, non può essere bravo in tutto, altrimenti tutti noi dovremmo odiarlo.» Il tizio sul palco finì la canzone e, un attimo dopo, Gideon prese il suo posto. Non so perché, il mio cuore cominciò a battere così forte come
quando ero io a trovarmi là sopra. Avevo i palmi delle mani sudati e me li asciugai sulla camicetta. Avevo paura di come sarebbe stato guardare Gideon esibirsi. Per quanto odiassi pensarlo, Brett era difficile da emulare e avere sentito cantare Ragazza d’oro, anche se da qualcuno che non avrebbe dovuto avere accesso a un microfono, aveva portato quei due mondi troppo vicini tra loro. Gideon prese il microfono e lo
staccò dall’asta con la disinvoltura di chi ha compiuto quel gesto migliaia di volte. Le donne del pubblico andarono in delirio, urlandogli quant’era sexy e facendo apprezzamenti allusivi che feci finta di non sentire. Lui era stupendo fisicamente, ma quello che ti fregava davvero era il suo aspetto imponente e sicuro di sé.
Aveva l’aria dell’uomo che sa come scopare una donna fino a farle perdere i sensi. E, per la miseria, ci riusciva davvero. «Questa canzone» disse «è per mia moglie.» Con uno sguardo penetrante segnalò alla band di cominciare. Un ritmo di basso immediatamente riconoscibile mi fece accelerare i battiti del cuore. «I Lifehouse!» esultò Shawna, battendo le mani. «Li adoro!»
«Ti ha già definita sua moglie!» urlò Megumi, protendendosi verso di me. «Ma quanto cavolo sei fortunata?!» Non la guardai, non potevo. La mia attenzione era calamitata da Gideon, che teneva lo sguardo puntato su di me e cantava, con voce deliziosamente roca, che moriva dalla voglia di cambiare e aveva fame di verità. Stava rispondendo alla mia canzone.
Mi bruciavano gli occhi e il mio cuore cominciò a battere con un ritmo diverso. Avevo pensato che fosse incapace di esprimere le sue emozioni? Mio Dio, mi stava uccidendo: nel timbro ruvido della sua voce c’era tutta la sua anima. «Cazzo» disse Cary, gli occhi puntati sul palco. «Quell’uomo sa cantare!» Anch’io ero sospesa a un istante, come diceva la canzone, sospesa a ogni
sua parola, mentre lo ascoltavo cantare di inseguirmi e innamorarsi sempre di più. Mi agitai sulla sedia, eccitata in modo insopportabile. Gideon aveva su di sé
l’attenzione dell’intero locale. Di tutte le voci che avevamo sentito fino ad allora la sua era la più simile a quella di un cantante professionista. In piedi sotto i riflettori, con le gambe appena divaricate ed elegantemente vestito, cantava una canzone rock come meglio non pensavo si potesse fare. Non c’era confronto con Brett, né nella sua esecuzione
né nella mia reazione a essa. Prima di rendermene conto, ero già in piedi e mi facevo largo tra la folla per raggiungerlo. Gideon terminò il brano e la gente cominciò a muoversi disordinatamente, tagliandomi la strada. Rimasi intrappolata nella calca, troppo
bassa per vedere al di sopra delle spalle che mi circondavano. Lui mi individuò e, spingendo a destra e a sinistra, mi afferrò e mi strinse tra le braccia. La sua bocca reclamò la mia e mi baciò rudemente, suscitando un boato di fischi e applausi. In lontananza sentii la band che attaccava una nuova canzone. Mi aggrappai a Gideon e ansimando gli dissi in un orecchio: «Adesso!». Non
furono necessarie spiegazioni. Mi mise giù, mi prese per mano e mi condusse attraverso il bar e le cucine fino all’ascensore di servizio. Prima che le porte si chiudessero alle nostre spalle, mi stavo già strusciando contro il suo corpo, ma lui tirò fuori il cellulare e se lo portò all’orecchio, piegando indietro la testa mentre lo baciavo febbrilmente sul collo. «Porta qui la limousine» ordinò in
tono burbero e rimise il telefono in tasca, poi cominciò a baciarmi a sua volta con tutta la passione che fino a quel momento aveva tenuto chiusa dentro di sé. Lo divorai famelica, prendendogli il labbro inferiore tra i denti e assaporandolo con rapide leccate della lingua. Gemette quando lo spinsi contro la parete imbottita dell’ascensore e feci scivolare le mani lungo il suo addome fino a raggiungere l’erezione.
«Cazzo… Eva.» Arrivammo al pianoterra e lui si mosse in fretta, prendendomi per un gomito e spingendomi fuori dall’ascensore con gesti rapidi e impazienti. Attraverso un corridoio di servizio raggiungemmo l’atrio e ci facemmo di nuovo largo in mezzo alla folla finché non ci trovammo fuori, nel caldo della notte estiva. La limousine ci stava aspettando. Angus scese e si affrettò ad aprire la portiera posteriore.
Incespicando, mi infilai nell’abitacolo, subito seguita da Gideon. «Non andare lontano» disse all’autista. Ci sedemmo sul sedile, a una certa distanza l’uno dall’altra, ed evitammo di guardarci finché il vetro di separazione non cominciò lentamente ad alzarsi e la limousine si mosse.
Quando il divisorio arrivò a fondo corsa, mi appoggiai allo schienale del sedile, mi tirai su la gonna e cominciai a spogliarmi senza ritegno, impaziente di essere scopata. Gideon si mise in ginocchio sul
pavimento e si slacciò i pantaloni. Mi sfilai la biancheria intima e la scalciai via insieme ai sandali. «Angelo.» Il suo grugnito mi fece gemere alla prospettiva di quello che mi aspettava. «Sono bagnata, sono bagnata» ripetei a mo’ di mantra, per evitare che lui si mettesse a giocare con me e indugiasse. Gideon, tuttavia, volle
accertarsene. Le sue dita mi aprirono, mi accarezzarono il clitoride e si spinsero dentro di me. «Oddio, Eva, sei fradicia.» «Lascia che ti monti» lo supplicai, arretrando sul sedile.
Volevo dettare il passo, stabilire l’intensità, dare il ritmo… Gideon si abbassò i pantaloni e i boxer fino alle ginocchia, poi si sedette sul sedile e scostò i lembi della camicia con uno strattone, scoprendo il pene eretto e turgido, strepitosamente bello come il resto del suo corpo. Scivolai a terra, mi inginocchiai tra le sue gambe e glielo presi in mano: era caldo e liscio come la seta. Prima ancora di pensarci, ce
l’avevo in bocca. Lui si lasciò sfuggire un sibilo tra le labbra chiuse, mi afferrò la coda di capelli e buttò indietro la testa. Chiuse gli occhi con forza. «Sì.» Feci guizzare la lingua intorno all’ampia punta, assaporandolo e sentendo le vene pulsare contro il palmo della mano. Stringendo le labbra, mi ritrassi e poi ripresi a succhiare. Lui gemette
e si inarcò, spingendomelo dentro più a fondo. «Prendilo.» Mi contorsi mentre obbedivo, fortemente eccitata dal suo piacere. Gideon riaprì gli occhi e tirò su la testa in modo da potermi guardare. «Vieni qui.» Quel comando dato a bassa voce mi fece correre un brivido di desiderio lungo il corpo. Mi misi a cavalcioni del suo
magnifico corpo e gli posai le mani sulle spalle. «Sei così maledettamente sexy.» «Io? Tu sei tutta un fuoco, angelo.» Mi sollevai leggermente per mettermi in posizione. «Sentirai quanto sono calda dentro.» Mi circondò la vita con un braccio e afferrò il pene con la mano libera,
tenendolo fermo mentre mi abbassavo su di lui. Mi tremarono le gambe quando la punta spinse per entrare, per allargarmi. «Gideon.» La sensazione di essere presa, posseduta, mi sconvolgeva ogni volta.
Mi afferrò per i fianchi e mi sostenne mentre mi abbassavo ancora per prenderlo in profondità, gli occhi fissi nei suoi che cominciavano a offuscarsi. Un suono simile al rombo di un tuono riempì lo spazio tra noi, e io mi eccitai sempre di più.
Più lo avevo più lo volevo, soprattutto quando reagiva a me come se niente fosse mai stato così, come se io gli stessi dando qualcosa che non poteva trovare da nessun’altra parte. Mi aggrappai allo schienale del sedile e feci ondeggiare i fianchi. Lo sentivo premere contro la parte più intima e profonda di me, ma non riuscivo a prenderlo tutto. Lo volevo. Volevo tutto quello che aveva da darmi.
«La nostra prima volta» disse con la voce roca, guardandomi. «Mi hai montato proprio qui, facendomi impazzire. Mi hai mandato completamente fuori di testa.» «È stato così bello» mormorai, pericolosamente vicina al culmine. Era così grosso, così duro. «Oh, mio Dio… adesso è meglio.» Mi strinse i fianchi con forza. «Ti
voglio di più, adesso.» Boccheggiando, avvicinai la testa alla sua. «Aiutami.» «Resisti.» Diede una spinta verso l’alto e affondò in me. «Prendilo, Eva, prendilo tutto.» Urlai e, muovendomi istintivamente, lo accolsi fino in fondo. «Sì… sì» boccheggiai, pompando il suo pene duro come il marmo.
Gideon aveva il volto contratto dal desiderio, sfigurato dal bisogno. «Verrò con forza per te» mi promise oscuramente. «Mi sentirai dentro di te tutta la notte.» Il suono della sua voce… il modo in cui mi era apparso sul palco… Non ero mai stata così eccitata. Non sarebbe stato l’unico a venire con forza. Si abbandonò con la testa contro lo schienale, ansimando forte ed emettendo rochi gemiti di piacere.
Le sue mani mollarono la presa su di me e si chiusero a pugno contro il sedile. Lasciò che lo scopassi come volevo, lasciò che lo usassi. Inarcandomi, raggiunsi l’orgasmo con un urlo, tutto il corpo scosso da un tremito, il sesso stretto intorno al suo pene. Rallentai il ritmo, con la vista offuscata, e mi abbandonai a un gemito infinito, frastornata per il sollievo. Il mondo si capovolse e mi ritrovai supina, Gideon sopra di me,
la mano che mi afferrava la gamba sinistra per mettersela sulla spalla. Puntellandosi con i piedi al pavimento, cominciò a spingere e ad affondare sempre di più… sempre di più. Mi contorsi. La sensazione di lui dentro di me era così bella da farmi stare male.
Mi tenne ferma, aperta e indifesa, usandomi come l’avevo usato io, il suo controllo annientato dal bisogno di raggiungere l’orgasmo. Il vigore del suo corpo che premeva sul mio e la forza con la quale affondava il pene nella mia vagina morbida mi eccitarono di nuovo. «Ti
amo» gemetti, accarezzandogli le cosce. Lui grugnì il mio nome e cominciò a venire, stringendo i denti, premendo i fianchi contro i miei, scopandomi a fondo. Sentirlo venire dentro di me mi mandò in tilt. «È così bello» disse. Ci muovemmo all’unisono,
aggrappandoci l’uno all’altra. Lui nascose la faccia nell’incavo del mio collo. «Ti amo.» Le lacrime mi bruciarono negli occhi. Lo diceva così raramente. «Dimmelo di nuovo» supplicai, tenendolo stretto. La sua bocca trovò la mia. «Ti amo…» «Ancora» pretesi, leccandomi le labbra. Gideon girò
la testa per guardarmi. Il bacon sfrigolava nella padella e io morivo dalla voglia di mangiarne un’altra fetta. «E io che pensavo che due confezioni di bacon ci sarebbero bastate per tutto il weekend.» «Il cibo grasso è quello che ci vuole dopo una serata di bevute» gli dissi, passando un dito sul piatto e mettendomelo in bocca. «Quando
non sei in preda ai postumi della sbornia, ovviamente.» «Come me» mormorò Cary, entrando in cucina con addosso solo i jeans, che non si era nemmeno preoccupato di abbottonare del tutto. «C’è della birra?» Gideon indicò il frigorifero. «In basso.» Guardai il mio migliore amico scuotendo il capo. «Chiodo scaccia chiodo stamattina, eh?» «Cazzo, sì. Mi sembra che la
testa mi si spacchi in due.» Cary prese la birra e mi raggiunse al bancone. Stappò la bottiglia e se la portò alla bocca, scolando metà del contenuto in un’unica sorsata. «Come hai dormito?» chiesi, incrociando mentalmente le dita. Aveva passato la notte nel monolocale adiacente e speravo che gli fosse piaciuto: aveva tutte le caratteristiche d’epoca del
magnifico attico di Gideon ed era arredato in modo simile. Sapevo che Cary preferiva uno stile più moderno, ma la vista su Central Park era impagabile. Tutto il resto poteva essere cambiato: gli sarebbe bastato chiederlo. Mise giù la bottiglia. «Come un sasso.» «Ti è piaciuto l’appartamento?»
«Ovviamente sì. A chi non piacerebbe?» «Vuoi viverci?» insistetti. Cary mi fece un sorriso sghembo. «Sì, piccola. È un sogno. Grazie della pietosa concessione, Gideon.» Mio marito, che era ai fornelli, si girò con un piatto di bacon in mano. «Non è una pietosa concessione, è una proposta» disse in tono asciutto. «Comunque, non c’è di che.» Battei le mani. «Evviva, sono
felice!» Gideon prese una fetta di bacon e se la mise tra i denti. Mi protesi con la bocca aperta e lui si piegò verso di me, lasciando che dessi un morso alla parte finale della fetta. «E dài» gemette Cary. «Ho già la nausea per i fatti miei.» Gli diedi un’amichevole spinta. «Chiudi il becco.» Sghignazzò e finì la birra. «Dovrò darvi una regolata, ragazzi: chi altri vi tratterrà dal mettervi a cantare I
Got You, Babe nel giro di pochi anni?» Sorrisi, ripensando a Will e Natalie. Avevo trovato altre cose che mi piacevano in Will e avevo scoperto che andavo d’accordo anche con la sua fidanzata. «Non sono adorabili? Stanno insieme dai tempi del liceo.» «È proprio questo il punto» biascicò Cary. «Se stai troppi anni con qualcuno o cominci a litigare o precipiti
nel gorgo della melensaggine e scompari definitivamente.» «Anche Mark e Steven stanno insieme da anni» ribattei. «Non litigano e non sono melensi.» Il mio amico
mi scoccò un’occhiata. «Sono gay, Eva. Non ci sono di mezzo estrogeni che scatenano drammi.» «Oh, mio Dio. Stronzo sessista che non sei altro, non puoi avere detto una cosa del genere!» Cary guardò Gideon. «Tu sai che ho ragione.» «E con questo» disse mio marito, prendendo tre fette di bacon, «me ne tiro fuori.»
«Ehi!» gli urlai dietro, mentre si avviava in salotto. Il mio amico scoppiò a ridere. «Non preoccuparti, è devoto alla causa femminile.» Lo guardai mentre davo un morso a un’altra fetta di bacon. «Te la faccio passare liscia soltanto perché sono in debito con te per ieri sera.» «È stato divertente. Megumi è una brava
ragazza.» Il suo buonumore scomparve e il suo volto si incupì. «Mi dispiace che stia passando un brutto momento.» «Sì, anche a me.» «E la tua idea di aiutare altre donne come lei? Hai preso qualche decisione?» Appoggiai i gomiti al bancone. «Parlerò con Gideon della possibilità di collaborare con la Fondazione
Crossroads.» «Cazzo, perché non ci hai pensato prima?» «Perché… sono testarda, immagino.» Lanciai un’occhiata verso il salotto e abbassai la voce. «Una delle cose che Gideon ama di me è che non faccio sempre tutto quello che lui vuole solo perché lo
vuole. Non è come Stanton.» «E tu non vuoi essere come tua madre. Questo significa che manterrai il tuo cognome da nubile?» «Assolutamente no. Gideon ci tiene tantissimo che io diventi Eva Cross. E tra
l’altro suona magnificamente.» «Sì, è vero.» Mi sfiorò la punta del naso con un dito. «Se hai bisogno di me, io ci sono.» Scivolai giù dallo sgabello e lo abbracciai. «Lo stesso vale per me.» «Ti prenderò in parola,
ovviamente.» Fece un profondo sospiro. «Sono in arrivo grandi cambiamenti, piccola. Tu non hai mai paura?» Lo guardai, sentendo quell’affinità che ci aveva legato in alcune circostanze difficili. «Più di quanto voglia ammettere.» «Devo fare un salto in ufficio» intervenne Gideon entrando in cucina con un berretto degli
Yankees in testa. Indossava la stessa T-shirt grigia di prima e aveva sostituito i pantaloni del pigiama con quelli della tuta. Faceva girare un mazzo di chiavi intorno al dito. «Non ci vorrà molto.» «Va tutto bene?» gli chiesi, allontanandomi da Cary. Mio marito aveva assunto quell’espressione impassibile che mi faceva capire che la
sua mente era già concentrata su quello che doveva affrontare, di qualunque cosa si trattasse. «Benissimo.» Mi raggiunse e mi diede un rapido bacio. «Sarò di ritorno tra un paio d’ore. Ireland non arriverà qui prima delle sei.» Rimasi a fissarlo mentre se ne andava.
Che cosa c’era di così importante da trascinarlo via da me durante il weekend? Gideon era molto geloso di alcune cose che mi riguardavano e il nostro tempo insieme era in cima alla lista. Anche il fatto che facesse girare un mazzo di chiavi intorno al dito era piuttosto strano. Non era il tipo da sprecare tempo in gesti inutili. Le uniche volte che lo avevo visto giocherellare
con qualcosa erano state quando era completamente rilassato o, al contrario, quando era pronto… a entrare in azione. Non potevo fare a meno di pensare che mi stesse nascondendo qualcosa. Come al solito. «Vado a farmi una doccia» disse Cary, prendendo una bottiglia di acqua dal frigorifero. «Vuoi vedere un film, dopo?» «Certo» risposi con aria assente.
«Sembra un bel programma.» Aspettai che se ne fosse ritornato nell’appartamento accanto e poi andai a prendere il mio cellulare. 11 «Dov’è Eva?» Girai intorno alla Mercedes-Benz e salii sul marciapiede di fronte a Brett Kline. Strinsi le dita a pugno, rinunciando senza rimpianto all’abitudine di allungare la mano
per salutare. La mano di quell’uomo aveva toccato mia moglie intimamente in passato… e recentemente. Non volevo stringergliela. Anzi, avrei voluto
spezzargliela. «A casa nostra» risposi. «Saliamo nel mio ufficio» aggiunsi poi, indicandogli l’ingresso del Crossfire. Kline sorrise freddamente. «Non puoi tenermi lontano da lei.» «Hai fatto tutto da solo.» Notai la consunta T-shirt del Pete’s che indossava sopra i jeans e gli stivali di cuoio. La scelta del vestiario non era certamente casuale. Lui voleva ricordare a Eva la loro storia. Magari ricordarla anche a me. Era
stato Yimara a suggerirgli quell’idea? Non ne sarei stato sorpreso. Da parte di entrambi era stata una mossa sbagliata. Kline mi precedette e superò le porte girevoli. La sicurezza prese le sue generalità e gli stampò un pass temporaneo, quindi ci avviammo verso l’ascensore, al di là dei
tornelli d’ingresso. «Non puoi tenermi in scacco con il tuo denaro» disse con decisione. Entrai nella cabina e premetti il pulsante dell’ultimo piano. «Ci sono occhi e orecchie in tutta la città. Perlomeno nel mio ufficio so che non daremo spettacolo.» Incurvò le labbra in una smorfia di disgusto. «È questa l’unica cosa di cui ti preoccupi? L’opinione pubblica?» «Una
domanda ironica, considerando chi sei e che cosa vuoi.» «Non comportarti come se mi conoscessi» grugnì. «Non sai un cazzo.» Nello spazio ristretto dell’ascensore l’aggressività e la frustrazione di
Kline erano particolarmente evidenti. Teneva le mani strette al corrimano dietro di lui e aveva una postura ostile e inquieta. Dalle punte biondo platino dei capelli ai tatuaggi grigi e neri che gli coprivano le braccia, il cantante leader dei Six-Ninth non avrebbe potuto avere un aspetto più diverso dal mio. Un tempo mi sentivo minacciato da questo e dalla sua storia con Eva, ma adesso
non più. Non dopo San Diego. E sicuramente non dopo ieri notte. Avevo ancora i segni delle unghie di Eva sulla schiena e sul sedere. Mi aveva spinto fino al limite per tutta la notte e le prime ore del mattino. La fame insaziabile che aveva di me non lasciava spazio per nessun
altro. E il tremito nella sua voce quando mi aveva detto che mi amava, il luccichio delle lacrime nei suoi occhi quando mi ero arreso a quello che mi faceva… Mi appoggiai con la schiena alla parete e infilai le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta, sapendo che la mia disinvoltura lo avrebbe provocato. «Eva sa che
ci stiamo incontrando in questo modo?» chiese in tono duro. «Pensavo di lasciare a te la decisione se parlarne o no.» «Oh, io ne parlerò di sicuro.» «Lo spero.» Uscimmo nel pianerottolo della Cross Industries e, una volta oltrepassata la porta di sicurezza, gli feci strada verso il mio ufficio. C’erano alcune persone sedute alle
scrivanie e io ne presi nota. Gli impiegati che lavoravano nei giorni di riposo non sempre erano migliori di quelli che non lo facevano, ma io rispettavo l’ambizione e la ricompensavo. Quando fummo nel mio ufficio, chiusi la porta e oscurai la parete. Sulla mia scrivania c’era una cartelletta, secondo le istruzioni che
avevo dato prima di lasciare l’attico. Ci appoggiai sopra una mano e feci segno a Kline di accomodarsi. Lui rimase in piedi. «Che cazzo vuol dire tutto questo? Sono venuto in città per vedere Eva e invece il tuo scagnozzo mi ha portato qui.» Lo “scagnozzo” era un uomo della sicurezza messo a disposizione dalla Vidal Records, ma
Kline non sbagliava nel pensare che lavorasse per me. «Sono pronto a offrirti un sacco di soldi – insieme ad altri incentivi – per i diritti esclusivi del filmato di Yimara su te ed Eva.» Mi fece un sorriso tirato. «Sam mi aveva avvertito che l’avresti fatto. Quel video non è affar tuo. È una faccenda che riguarda me ed
Eva.» «E tutto il mondo, se trapelerà, cosa che la distruggerebbe. Ti importa qualcosa di come si sente Eva?» «Non trapelerà, e ovviamente mi importa di come si sente Eva. È uno dei motivi per cui lei e io dobbiamo parlare.» Annuii. «Vuoi chiederle che cosa puoi usare. Pensi
di poterla convincere a lasciarti sfruttare una parte del video.» Lui si dondolò sui piedi, un gesto di irrequietezza che indicava che il colpo era andato a segno. «Non otterrai la risposta che speri di ottenere» gli dissi. «Il solo fatto che quel video esista la fa inorridire. Sei un idiota se la pensi diversamente.» «Non c’è soltanto sesso. C’è del
buon materiale su noi due quando uscivamo insieme. Lei e io avevamo qualcosa. Eva non era una scopata e basta per me.» “Pezzo di merda.” Dovetti tenere a freno l’impulso di atterrarlo con un pugno. Fece un sorrisetto. «Niente che tu possa capire. Non avevi problemi a darci dentro con quella bruna finché non sono tornato sulla scena, allora hai cambiato il tuo gioco. Eva è un giocattolo di cui ti sei stancato,
finché qualcun altro l’ha voluto.» Quell’accenno a Corinne toccò un tasto dolente. La farsa di uscire con la mia ex mi era quasi costata Eva: l’avevo scampata bella ma il ricordo mi perseguitava ancora. Non potei fare a meno, comunque, di notare come Kline fosse abile nel dare la colpa agli
altri. «Eva sa quello che significa per me.» Si avvicinò alla mia scrivania. «È troppo accecata dai tuoi miliardi per rendersi conto che c’è qualcosa che non va nel fatto che tieni nascosto quel matrimonio fasullo in un paese straniero. È legale, poi?» Era una domanda che avevo previsto. «Perfettamente legale.» Aprii la cartelletta ed estrassi la foto che conteneva. Era stata scattata il giorno delle nozze, nel
momento in cui davo a Eva il primo bacio da marito. Sullo sfondo c’erano la spiaggia e il pastore che aveva celebrato il rito. Io le tenevo il viso tra le mani, mentre le nostre labbra si toccavano dolcemente. Le sue mani mi stringevano i polsi e l’anello che le avevo regalato splendeva al suo dito. Girai la foto in modo che lui la vedesse e vi feci scivolare accanto una copia
della licenza matrimoniale. Usai la mano sinistra, esibendo con orgoglio la fede nuziale impreziosita dai rubini. Se condividevo quegli oggetti personali, non lo facevo per dimostrare qualcosa. Avevo intenzione di provocare Kline, e lo stavo deliberatamente facendo dal momento in cui era arrivato a New
York. Quando avesse comunicato con mia moglie di nuovo, volevo che fosse spiazzato e in svantaggio. «Così la storia tua e di Eva è finita» dissi con calma. «Se ne dubitavi, adesso lo sai con certezza. In ogni caso, non penso che tu voglia mia moglie tanto quanto vuoi il ricordo di lei per gli scopi della band.» Kline rise. «Già, assegnami pure il ruolo del porco. Non riesci a sopportare l’idea che lei veda quel
video. Tu non l’hai mai fatta eccitare così, né mai lo farai.» Sentii i muscoli delle braccia contrarsi per il bisogno di togliergli dalla faccia quell’aria compiaciuta. «Credi quello che vuoi. Queste sono le alternative a tua disposizione: puoi prendere i due milioni che ti offro, darmi il filmato e
andartene…» «Non voglio i tuoi dannati soldi!» Appoggiò le mani sul bordo della scrivania e si protese verso di me. «Non ti impadronirai dei miei ricordi. Puoi avere lei – per ora – ma io mi terrò quelli. Che io sia fottuto se te li vendo.» Il pensiero di Kline che guardava il video… che guardava se stesso mentre scopava mia moglie… mi faceva ribollire il sangue. L’idea che insinuasse
che Eva avrebbe guardato quelle immagini fino alla fine, sapendo quanto l’avrebbero sconvolta, scatenava i miei peggiori istinti. Mi sforzai di mantenere un tono calmo. «Puoi rifiutare il denaro e tenere per te l’esistenza del video finché vivrai, farne un regalo segreto per Eva di cui lei non dovrà mai venire a sapere.»
«Di che cazzo stai parlando?» «Oppure puoi essere uno stronzo egoista» continuai «e colpirla con quel filmato, sconvolgerla allo scopo di distruggere il suo matrimonio e diventare ancora più famoso.» Lo fissai. Per quanto Kline tenesse duro, il suo sguardo si
abbassò per una frazione di secondo. Una piccola vittoria, per quel che valeva. Con un rapido movimento ritirai il contratto che Arash aveva preparato. «Se ti importa di lei, prenderai una decisione diversa da quella che ti ha portato a New York.» Kline afferrò i documenti, li fece
a pezzi e li ributtò sulla scrivania. «Non me ne andrò finché non l’avrò vista.» Uscì infuriato dal mio ufficio. Mi accertai che se ne fosse andato, prima di fare una telefonata su una linea sicura. «Vi ho dato abbastanza tempo?» «Sì. Non appena lei ha portato
Kline di sopra, abbiamo preso in carico il portatile e il tablet che erano nel suo bagaglio. Mentre parliamo, ci stiamo occupando delle sue e-mail e dei server di backup del provider di posta, nonché dei backup a quei server. Abbiamo perquisito il suo domicilio durante il weekend, ma non ci va da settimane. Abbiamo ripulito i
dispositivi suoi e di Yimara, così come gli account e i dispositivi di quelli che hanno ricevuto trailer del filmato. Uno dei dirigenti della Vidal aveva una copia completa sul suo hard disk, ma l’abbiamo cancellata. Non abbiamo trovato prove che l’abbia inoltrata altrove.» Mi sentii gelare il sangue. «Quale dirigente?» «Suo fratello.» Cazzo. Afferrai il bordo della scrivania con tanta forza da farmi
sbiancare le nocche. Ricordavo il video di Christopher con Magdalene, sapevo quant’era perverso l’odio di mio fratello verso di me. Il pensiero che lui guardasse Eva in modo così intimo… così vulnerabile… mi portò a un livello di rabbia a cui non ero più arrivato da
quando avevo sentito parlare di Nathan per la prima volta. Dovevo credere che la società di sicurezza militare privata che avevo assunto avesse svolto il proprio compito scrupolosamente. I suoi tecnici erano addestrati a gestire informazioni molto più sensibili. Spinsi dentro la cartelletta la confusione di carte che ingombrava la scrivania. «Quel filmato deve cessare di esistere ovunque.» «Capito. Ci stiamo lavorando. È
possibile, tuttavia, che ci sia una copia su DVD da qualche parte, anche se abbiamo frugato dappertutto in cerca di ricevute di transazioni per l’affitto di cassette di sicurezza o simili da parte sia di Yimara sia di Kline. Continueremo a monitorare la situazione finché lei non darà disposizioni diverse.»
Non l’avrei mai fatto. Se fosse stato necessario, avrei continuato per tutta la vita a cercare qualunque traccia di quel filmato fosse sfuggita al mio controllo. «Grazie.» Terminai la chiamata, lasciai l’ufficio e tornai a casa da Eva. «Te la cavi benissimo con quelle» disse Ireland, guardando Eva che con le bacchette tirava fuori dalla confezione un pezzo di pollo Kung Pao e se lo metteva in
bocca. «Non sono mai riuscita a imparare a usarle.» «Ecco, prova a tenerle così.» Osservai Eva sistemare la presa di mia sorella sui bastoncini. I suoi capelli biondi accanto a quelli neri di Ireland formavano un luminoso contrasto. Indossavano entrambe shorts e canotta ed erano sedute per terra davanti a me con le gambe abbronzate distese sotto il tavolino: quelle dell’una erano lunghe e magre, quelle dell’altra
minute e formose. Seduto sul divano, più che partecipare, osservavo, invidiando la facilità del loro rapporto e compiacendomene al tempo stesso. Era così surreale. Non avrei mai immaginato una serata come quella, tranquillamente passata a casa… in famiglia. Non sapevo come contribuire né se sarei riuscito
a farlo. Che cosa avrei dovuto dire? Come mi sarei dovuto sentire? Ero sbalordito, e riconoscente. Provavo davvero un’immensa gratitudine per la mia stupenda moglie, che aveva dato una notevole scossa alla mia vita. Non molto tempo prima, in un analogo sabato sera mi sarei trovato a
partecipare a una cerimonia o a un evento sociale molto pubblicizzato e a concentrarmi sugli affari a meno che, o fino a quando, il forte interessamento di una donna non avesse stimolato il mio bisogno di scopare. Sia che fossi tornato
all’attico per i fatti miei sia che fossi finito all’hotel per l’avventura sessuale di una notte, sarei stato solo. E poiché a malapena ricordavo che cosa si provasse ad appartenere a un posto, o a
qualcuno, non sapevo che cosa mi perdevo. «Ecco! Guarda qui!» esultò Ireland, alzando con le bacchette un minuscolo pezzo di pollo e affrettandosi a mangiarlo. «Ce l’ho fatta a farmelo arrivare in bocca.» Mandai giù il vino che avevo nel bicchiere in
un’unica sorsata, desiderando dire qualcosa. Considerai diverse opzioni, che mi sembrarono tutte insincere e forzate. Alla fine me ne uscii con un: «I bastoncini hanno un grande obiettivo. Aumentano
le tue possibilità». Ireland voltò la testa verso di me, mostrandomi gli stessi occhi blu che vedevo nello specchio ogni mattina. I suoi erano molto meno cauti, molto più innocenti, e splendevano di allegria e adorazione. «Mi hai appena detto
che ho la bocca grande?» Non potei resistere alla tentazione di allungare una mano e accarezzarle i capelli morbidi come la seta. Anche quelli erano uguali ai miei e tuttavia diversi. «Non sono le parole che ho usato.» «Non ne hai usate così tante» mi corresse, abbandonandosi per un attimo alla mia carezza, prima di
girarsi di nuovo verso Eva. Mia moglie alzò lo sguardo su di me, offrendomi un sorriso di incoraggiamento. Sapeva che attingevo la mia forza da lei e me la offriva incondizionatamente. Sentendo un nodo in gola, mi alzai dal divano e presi il bicchiere vuoto di Eva. Quello di Ireland era ancora pieno a metà di acqua minerale, per cui lo lasciai dov’era e
me ne andai in cucina, cercando di riconquistare la compostezza che mi serviva per arrivare alla fine della serata. «Channing Tatum è così sexy!» sentii che diceva Ireland. «Non trovi?» Aggrottai la fronte. La domanda oziosa della mia sorellina mi suscitò sgradevoli pensieri sui ragazzi con cui usciva. Aveva diciassette anni, per cui doveva avere cominciato qualche anno fa… Sapevo che era
impensabile pretendere che stesse lontana dall’altro sesso e sapevo anche che era colpa mia se mi ero perso gran parte della sua infanzia e adolescenza. E tuttavia l’idea che avesse a che fare con versioni più giovani di uomini come me, Manuel e Cary mi provocava un’inconsueta reazione di difesa. «Sì, è molto attraente» convenne Eva. Al mix dei sentimenti che provavo si aggiunse la possessività.
Socchiusi gli occhi e mi concentrai sui bicchieri che stavo riempiendo di vino. «È l’Uomo più sexy del mondo di quest’anno» annunciò Ireland. «Guarda i suoi bicipiti.» «Be’, su questo non sono affatto d’accordo. Gideon è molto più sexy.» Sorrisi. «Sei completamente andata» la
prese in giro mia sorella. «Le tue pupille si trasformano in piccoli cuori quando pensi a Gideon. Che tenera!» «Chiudi il becco.» La risata argentina di Ireland risuonò nel salotto. «Non preoccuparti, anche lui rincretinisce quando si tratta di te. Ed è da anni in tutte le classifiche dell’Uomo più
sexy del mondo. Le mie amiche non fanno che ripeterlo.» «Naa! Non dirmelo, sono gelosissima.» Ridendo tra me, buttai la bottiglia vuota nel contenitore del vetro. «Anche Gideon lo è. Sclererà di brutto quando tu scalerai la classifica delle Donne più sexy del
mondo. Non c’è modo di evitarlo adesso che tutti sanno chi sei.» «Vabbè» ridacchiò Eva «vorrà dire che dovranno prima togliermi qualche etto di sedere e di cosce con Photoshop.» «Mmh, hai mai visto Kim Kardashian, o Jennifer Lopez?» Mi fermai sulla soglia del salotto,
imprimendomi nella mente l’immagine formata da Ireland ed Eva. Avvertii una fitta al petto: avrei voluto congelare quel momento, proteggerlo, metterlo al sicuro per sempre. Mia sorella sollevò lo sguardo e mi vide, poi alzò gli occhi al cielo.
«Che cosa ti dicevo?» ribadì. «Rincretinito.» Mi appoggiai allo schienale della sedia e bevvi un sorso di caffè, mentre esaminavo la tabella sul monitor. Feci qualche movimento con le spalle nel tentativo di sciogliere la tensione muscolare che mi bloccava il collo. «Ehi, frate, che succede? Sono le tre del mattino.» Alzai lo sguardo e vidi Ireland in piedi sulla soglia del mio studio. «E
allora?» «Perché lavori fino a così tardi?» «E tu perché chiacchieri su Skype fino a così tardi?» ribattei, avendola sentita ridere e di tanto in tanto parlare ad alta voce per un’ora o giù di lì, dopo che Eva era andata a dormire. «Vabbè» mormorò, entrando e lasciandosi cadere su una sedia di fronte alla scrivania. Si abbandonò, con le spalle appoggiate allo schienale e le gambe allungate.
«Non riesci a dormire?» «No.» Mia sorella non sapeva quanto fosse vero! Con lei che occupava il letto di Eva ed Eva che occupava il mio, non potevo correre il rischio di andare a letto a mia volta. Non potevo aspettarmi che Eva sopportasse ancora a lungo che io la spaventassi: prima o poi avrei finito per distruggere l’amore che provava per me. «Christopher mi ha mandato un messaggio poco fa» disse. «Pensa
che papà alloggi in albergo.» Inarcai le sopracciglia. Annuì, l’espressione rattristata. «È un brutto segno, Gideon. Che io ricordi, mamma e papà non hanno mai passato una notte separati.» Non sapevo che cosa dire. Nostra madre mi aveva cercato tutto il giorno, lasciandomi messaggi sulla segreteria telefonica e chiamando il numero fisso dell’attico così spesso che avevo dovuto disconnettere la centralina, in modo che nessun
telefono suonasse. Non mi piaceva che mia madre fosse in crisi, ma dovevo proteggere il tempo che trascorrevo con Ireland ed Eva. Mi sentivo un insensibile a concentrarmi su me stesso, ma avevo già perso la mia famiglia due volte prima di allora: la prima quando era morto mio padre e la seconda dopo Hugh. Non potevo sopportare di perderla ancora. Pensavo che non sarei potuto sopravvivere a una terza volta, non
con Eva nella mia vita. «Vorrei solo sapere che cosa ha scatenato la lite» disse Ireland. «Cioè, finché non si tradiscono a vicenda, dovrebbero riuscire a superarla, no?» Feci un profondo respiro e raddrizzai le spalle. «Non sono la persona giusta a cui fare domande sulle relazioni. Non ho idea di come funzionino. Riesco a malapena a tenermi in piedi nella mia, sperando di
non incasinare tutto e ringraziando il cielo che Eva è così indulgente.» «La ami davvero.» Seguii il suo sguardo puntato sul collage di foto appeso alla parete. Talvolta guardare quelle immagini di mia moglie mi causava dolore. Avrei voluto catturare di nuovo e rivivere ogni momento. Avrei voluto
conservare ogni istante che avevo passato con lei. Detestavo che il tempo scivolasse via così rapidamente e io non potessi accumularlo in previsione di un futuro incerto. «Sì.» Avrei perdonato qualunque cosa a Eva. Niente di quello che avrebbe potuto dire o fare ci avrebbe separati, perché io non
potevo vivere senza di lei. «Sono felice per te, Gideon.» Ireland sorrise quando la guardai. «Grazie.» La preoccupazione che indugiava nel suo sguardo mi causava inquietudine. Avrei voluto risolvere i problemi che la turbavano, ma non sapevo come fare.
«Potresti parlare con la mamma?» domandò. «Non adesso ovviamente. Domani mattina? Magari riesci a scoprire che cosa sta succedendo.» Esitai un attimo, sapendo che una conversazione con nostra madre non avrebbe portato da
nessuna parte. «Ci proverò.» «La mamma non ti piace molto, vero?» disse, fissandosi le unghie. «Abbiamo una sostanziale divergenza di opinioni» risposi, soppesando attentamente le parole. «Già, capisco. È come se lei avesse una strana forma di disturbo
ossessivo-compulsivo applicato alla sua famiglia. Ognuno deve comportarsi in un particolare modo, o almeno fingere di farlo. È così preoccupata di quello che pensa la gente! L’altro giorno ho visto un vecchio film che me l’ha ricordata. Gente comune. L’hai mai visto?» «No, direi di no.» «Dovresti guardarlo. Ci sono il
padre di Kiefer Sutherland e altri attori. È una storia triste, ma bella.» «Lo guarderò.» Sentivo il bisogno di spiegare l’atteggiamento di nostra madre, e così dissi: «Ciò che ha affrontato dopo la morte di mio padre… è stato terribile. Io penso che da allora si sia isolata». «La madre di una mia amica dice che la mamma era diversa prima. Sai, quand’era sposata con tuo padre.»
Posai la tazza di caffè ormai freddo. «Sì, la ricordo diversa.» «Migliore?» «Dipende dai punti di vista. Era più… spontanea. Spensierata.» Ireland si passò la punta delle dita sulla bocca. «Pensi che perdere tuo padre l’abbia distrutta?» Avvertii una stretta al petto. «L’ha cambiata» risposi con calma. «Non so bene quanto.» «Ah.» Si tirò su, scrollandosi visibilmente di dosso la malinconia.
«Intendi stare sveglio a lungo?» «Probabilmente tutta la notte.» «Vuoi guardare quel film con me?» La proposta mi sorprese, e mi fece piacere. «Dipende. Proibito dirmi che cosa succederà. Niente anticipazioni.» Ireland mi scoccò un’occhiata. «Ti ho già detto che è triste. Se vuoi il lieto fine, dorme nella stanza in fondo al corridoio.» Sorrisi a quella battuta e mi alzai
dalla sedia. «Recupera il film mentre io vado a prendere qualcosa da bere.» «Una birra sarebbe perfetta.» «Non in mia presenza.» Si alzò a propria volta, con un ampio sorriso. «Okay, benissimo. Vada per il vino.» «Chiedimelo fra qualche anno.» «Avrai dei figli per allora. Non mi renderò così ridicola.» Mi bloccai, in preda a un’ansia che mi fece sudare. Il pensiero di
avere un bambino da Eva mi eccitava e terrorizzava al tempo stesso. Se per mia moglie non era sicuro vivere con me, come avrebbe potuto esserlo per un figlio? Mia sorella scoppiò a ridere. «Cazzo, dovresti vedere la tua faccia! Un classico caso di panico del playboy. Non te l’hanno detto? Prima viene l’amore, poi viene il matrimonio e infine
viene il bambino nella carrozzina.» «Se non stai zitta, ti spedisco a letto.» Rise ancora più forte, prendendomi sottobraccio. «Sei uno spasso, davvero. Ti sto solo sfottendo. Non sclerare con me. In famiglia ci sono già abbastanza
persone che lo fanno.» Avrei voluto che il mio cuore smettesse di battere così all’impazzata. «Forse sei tu quello che dovrebbe farsi un goccetto.» «Penso di sì» mormorai.
«Intendo complimentarmi sul serio con Eva per essersi fatta mettere l’anello da te. Hai avuto un attacco di panico anche quando le hai chiesto di sposarti?» «Stai zitta, Ireland.» Appoggiò la testa sulla mia spalla e, sghignazzando, mi condusse fuori dallo studio. Il sole era sorto da più di due ore
quando andai a letto. Mi spogliai in silenzio, indugiando con lo sguardo su mia moglie deliziosamente raggomitolata sotto le coperte. Era rannicchiata in posizione fetale, quasi del tutto invisibile, a eccezione delle ciocche dorate sparse sul cuscino. Ne dedussi che, sotto le lenzuola, era nuda. “Mia.” Tutta mia. Mi uccideva dormire lontano da lei e sapevo che anche lei ne soffriva.
Sollevai un angolo delle coperte e le scivolai accanto. Emise un piccolo gemito, si girò verso di me e, contorcendosi un po’, sistemò il suo voluttuoso corpo contro il mio. Mi venne duro all’istante. Il desiderio mi infiammò e la consapevolezza mi
diede un fremito. Era alchimia sessuale, sì, ma c’era anche qualcos’altro. Qualcosa di più profondo. Una strana, meravigliosa accettazione, che incuteva paura. Eva riempiva un vuoto in me di cui ignoravo l’esistenza. Nascose il volto nell’incavo del
mio collo e mugolò dolcemente, intrecciando le gambe con le mie e accarezzandomi la schiena. «Duro e appetitoso dappertutto» disse, facendo le fusa. «Dappertutto» convenni, afferrandole il sedere e tirandola più vicina alla mia erezione. Ridacchiò silenziosamente.
«Dobbiamo fare piano.» «Ti coprirò la bocca con la mano.» «A me?» Mi mordicchiò il collo. «Sei tu quello chiassoso.» Non aveva tutti i torti. Anche se quand’ero eccitato potevo diventare rude e impaziente, non ero mai stato rumoroso… prima di incontrare Eva. Era un’impresa
essere discreti quando la situazione lo richiedeva. Lei mi faceva provare sensazioni indescrivibili. «Ce la prenderemo comoda» mormorai, accarezzandole con avidità la pelle morbida come la seta. «Ireland dormirà per ore, per cui non abbiamo fretta.» «Ore, eh?» Ridendo, si ritrasse e rotolò via da me, allungando la mano
verso il cassetto del comodino. «Stachanovista.» La tensione mi abbandonò quando tirò fuori le caramelline che teneva sempre a portata di mano. Il suo gesto mi aveva fatto venire in mente situazioni analoghe, quando
le donne estraevano dal comodino il preservativo. Eva e io l’avevamo usato solo due volte, mentre prima non scopavo mai senza. Le gravidanze indesiderate erano una cosa che avevo sempre evitato scrupolosamente. Eppure dopo quelle prime due volte avevamo fatto a meno del profilattico, confidando nei metodi
contraccettivi di Eva. Era un rischio, lo sapevo, e niente affatto trascurabile, considerata la frequenza con cui facevamo sesso: almeno due, se non addirittura tre o quattro volte al giorno. Ogni tanto ci pensavo,
interrogandomi sul mio autocontrollo, sull’egoismo di cui davo prova trascurando le conseguenze per soddisfare il mio personale piacere, ma la ragione della mia imprudenza non era così semplice come il piacere. Se lo fosse stata, avrei potuto farvi
fronte, essere responsabile. No, era molto più complessa. Il bisogno di venire dentro di lei era primitivo. Era una conquista e al tempo stesso una resa. Avevo desiderato scoparla a sangue prima di possederla per la prima volta, prima di sapere con certezza quanto sarebbe stato esplosivo tra noi. Ero arrivato al punto di avvertirla, prima del nostro primo appuntamento, che avevo bisogno proprio di questo, avevo
bisogno che lei mi desse qualcosa che non avevo mai voluto da nessun’altra. «Non muoverti» le dissi rudemente, scivolando sopra di lei mentre era ancora sdraiata sulla pancia. Spinsi una mano sotto il suo fianco e gliela infilai tra le gambe: la vagina, bagnata, divenne ancora più calda e morbida quando gliela
accarezzai. Eva soffocò un gemito. «Ti voglio proprio così» le dissi, sfiorandole le guance con le labbra. Allungai la mano libera verso il mio cuscino, lo afferrai e glielo infilai sotto le anche per sollevarla e riuscire così a penetrarla fino in fondo con maggiore facilità. «Gideon…» Il modo in cui pronunciò il mio nome sembrava una supplica, come se io non fossi pronto a cadere in ginocchio e
implorare il privilegio di averla. Spostandomi, le feci aprire le gambe e le bloccai i polsi di fianco alla testa. Tenendola ferma, mi spinsi dentro di lei, trovandola pronta per me: voluttuosa, stretta e bagnata. Strinsi forte i denti per trattenere il ringhio che mi saliva dal profondo della gola, mentre un tremito mi scuoteva dalla testa ai piedi. Il mio petto si gonfiò contro la sua
schiena e respirai violentemente scompigliandole i capelli. Solo per avermi preso dentro di sé mi aveva già portato al limite. «Mio Dio.» Mossi istintivamente i fianchi, affondando in lei e
spingendomi in profondità finché non fui entrato completamente, dalla radice alla punta. La sentivo avvolta intorno a me, che mi succhiava come una piccola bocca avida. «Angelo…» La pressione alla base del pene era insistente, ma io riuscivo a dominarla. Non era una questione di controllo, ma di volontà. Io volevo venire dentro di lei. Lo volevo al punto da considerare il rischio – per quanto spaventoso –
accettabile. Chiusi gli occhi e abbassai la testa fino a sfiorarle la guancia con la fronte. Inspirai il suo profumo e mi lasciai andare, venendo con forza, stringendo i glutei mentre la inondavo con un getto denso e bollente. Eva gemette, contorcendosi sotto di me. Il suo sesso si contrasse e tremò intorno al
mio pene. Raggiunse il culmine con un lieve, dolce gemito. Grugnii il suo nome, eccitato dal suo orgasmo. Era venuta perché ero venuto io, perché il mio godimento l’aveva eccitata tanto quanto le mie carezze. L’avrei ricompensata per questo, mostrandole la profondità della mia gratitudine. E lei l’avrebbe accettata, più e più volte, finché fosse stata in grado di sopportarlo.
«Eva.» Strofinai la mia guancia umida contro la sua. «Crossfire.» Intrecciò le sue dita alle mie e le strinse forte, poi girò la testa, cercandomi con le labbra. «Asso» mormorò mentre mi baciava. «Ti amo anch’io.» Erano da poco passate le cinque del pomeriggio, quando, a bordo della Bentley, varcai il cancello della tenuta dei Vidal nella contea di Dutchess ed entrai nel vialetto d’accesso circolare.
«Cavolo, guidi troppo veloce» si lamentò Ireland dal sedile posteriore. «Siamo già arrivati.» Fermai la macchina e lanciai un’occhiata alla casa, sentendo immediatamente un nodo allo stomaco. Eva mi prese la mano e la strinse e io mi concentrai sui suoi occhi grigi come l’acciaio anziché sulla dimora in stile Tudor alle sue
spalle. Non disse una parola, ma non ce n’era bisogno. Percepivo il suo amore e il suo sostegno e vedevo un lampo di rabbia nel suo sguardo. Il solo fatto di sapere che mi capiva mi dava forza. Conosceva tutti i miei oscuri e sordidi segreti, e ciononostante credeva in me e mi amava. «Voglio restare a dormire da te qualche altra volta» disse Ireland, facendo capolino in mezzo ai due
sedili anteriori. «È stato divertente, vero?» La guardai. «Lo rifaremo.» «Presto?» «D’accordo.» Il suo sorriso compensò il sonno che avrei dovuto sacrificare e l’ansia che mi sarebbe costata mantenere quella promessa. Erano molte le ragioni per cui ero rimasto lontano da Ireland, ma la principale era che mi sembrava di non poterle offrire niente che avesse un qualche
valore. Convogliando tutte le energie nel tenere a galla la Vidal Records per lei in modo da garantirle un futuro, mi ero preso cura di mia sorella nell’unico modo in cui sapevo che non avrei incasinato tutto. «Devi aiutarmi» le dissi in tutta franchezza. «Non so come si faccia a essere un fratello, per cui
probabilmente dovrai perdonarmi spesso.» Il sorriso scomparve dal suo volto e la sua espressione divenne quella di una giovane donna, non più di una ragazzina. «Be’, è un po’ come essere un amico» disse in tono cupo. «Tranne che devi ricordarti dei compleanni e delle vacanze, perdonarmi qualunque cosa e magari presentarmi tutti i tuoi amici ricchi e sexy.» Inarcai un sopracciglio. «E dov’è
la parte in cui ti sfotto e ti do il tormento?» «Te la sei persa negli anni scorsi» rispose. «Non avrai una seconda chance.» Lo disse per scherzare ma colpì nel segno. Io avevo effettivamente perso quegli anni e non avrei potuto recuperarli. «Vorrà dire che sfotterai i suoi fidanzati» intervenne Eva «e darai il tormento a loro.» I nostri sguardi si incontrarono e
io seppi che aveva capito esattamente quello che mi passava per la testa. Le accarezzai il dorso della mano con il pollice. In quel momento la porta d’ingresso si aprì e ne uscì mia madre, che si fermò sul gradino appena oltre la soglia. Indossava una casacca bianca e pantaloni
abbinati e aveva i lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle. Da lontano assomigliava così tanto a Ireland da sembrare più sua sorella che sua madre. Strinsi forte la mano di Eva. Ireland sospirò e aprì la portiera. «Vorrei che voi due non doveste lavorare domani. Cioè, a che cosa serve essere arcimilionari se non si può bigiare quando si vuole?» «Se Eva lavorasse con me» dissi guardando mia moglie «potremmo
farlo.» Lei mi fece la linguaccia. «Non cominciare.» Mi portai la sua mano alla bocca e la baciai. «Non ho mai smesso.» Scesi dall’auto e mentre raggiungevo il bagagliaio per
prendere il borsone di Ireland mi ritrovai mia sorella tra le braccia. Mi strinse forte, circondandomi la vita con le braccia sottili. Rimasi un attimo paralizzato per la sorpresa, dopodiché la abbracciai a mia volta, appoggiandole il mento sulla testa. «Ti voglio bene» mormorò contro il mio petto. «Grazie per avermi ospitato.» Un nodo mi serrò la gola, impedendomi di parlare. Ireland si staccò rapidamente da me e, il
borsone in mano, andò a salutare e abbracciare Eva. Frastornato come se mi avessero preso a pugni, chiusi il portellone del bagagliaio e osservai mia madre che andava incontro a Ireland sul vialetto d’accesso. Stavo per rimettermi al volante e partire, quando lei mi fece segno di aspettare.
Lanciai un’occhiata a Eva. «Sali in macchina, angelo.» Lì per lì sembrò volere replicare, ma poi annuì, si accomodò sul sedile del passeggero e chiuse la portiera. Aspettai che mia madre mi raggiungesse. «Gideon.» Mi afferrò le braccia e si alzò sulla punta dei piedi per darmi un bacio. «Tu ed Eva non volete entrare, dopo che siete venuti fin qui?»
Feci un passo indietro, staccandomi da lei. «Dobbiamo rientrare.» Il suo sguardò tradì la delusione. «Solo pochi minuti, per favore. Vorrei scusarmi con voi due. Non ho preso bene la notizia del vostro fidanzamento e mi
dispiace. Dovrebbe essere un periodo felice per la nostra famiglia e temo di essere stata troppo preoccupata di perdere mio figlio per rendermene conto.» «Mamma.» La trattenni per un braccio mentre si avviava verso il lato del passeggero. «Non adesso.» «Non volevo dire tutte le cose che ho detto su Eva l’altro giorno. È solo che vedere al dito di un’altra donna l’anello che tuo padre mi
aveva regalato è stato uno shock per me. Non avevi dato l’anello a Corinne, per cui sono rimasta sorpresa. Riesci a capirlo, vero?» «Ti sei inimicata Eva.» «Te l’ha detto lei?» Rimase in silenzio un attimo. «Non ho mai avuto intenzione di inimicarmela, ma… Non importa. Anche tuo padre era molto protettivo. Gli assomigli molto.» Distolsi lo sguardo, fissando con aria assente gli alberi al di là del
vialetto. Non sapevo mai come prendere i confronti con Geoffrey Cross. Erano un elogio o un complimento ambiguo? Con mia madre non c’era modo di saperlo. «Gideon, per favore… ci sto provando. Ho detto a Eva cose che non avrei dovuto dire e lei ha reagito come avrebbe fatto qualunque donna nelle stesse
circostanze. Voglio solo appianare la situazione.» Mi mise una mano sul petto. «Sono felice per te, così come sono contenta di vedere che tu e Ireland passate un po’ di tempo insieme. So che per lei è molto importante.» Scostai con gentilezza la sua mano. «È molto importante anche per me, ed Eva l’ha reso possibile in un modo che non ti spiegherò. Questa è solo una delle ragioni per cui non intendo turbarla. Non
adesso. Domani mattina deve lavorare.» «Allora mettiamoci d’accordo per un pranzo, o una cena, in settimana.» «Ci sarà anche Chris?» chiese Eva attraverso il finestrino, prima di aprire la portiera e scendere dall’auto. Era lì in piedi, piccola e bionda contro la massa scura del SUV, e la sua postura dritta e fiera incuteva timore. Mia moglie avrebbe lottato
contro il mondo intero per me. Era davvero un miracolo che avessi incontrato l’unica persona disposta a fare una cosa che nessun altro aveva mai fatto per me. Mia madre sorrise. «Certo. Chris e io siamo d’accordo.» Notando la debolezza del suo sorriso, ne dubitai, come spesso mi succedeva con mia madre. Tuttavia, abbozzai. «Ci organizzeremo.
Chiama Scott domani mattina e tireremo fuori qualcosa.» Si illuminò in viso. «Mi fa molto piacere, grazie.» Mi abbracciò e io rimasi rigido, sentendo il bisogno di staccarmi da lei. Quando si avvicinò a Eva con le braccia spalancate, mia moglie le porse invece la mano da stringere. Si scambiarono un saluto goffo e impacciato, entrambe sulla
difensiva. Mia madre non voleva ricucire i rapporti. Voleva trovare un accordo e fingere che i rapporti fossero solidi. Ci salutammo e io mi rimisi al volante e partii. «Quando vi siete parlati tu e tua madre?» chiese Eva, non molto dopo che ci eravamo lasciati la tenuta alle spalle. Maledizione! Sapevo che cosa significava quel tono pungente.
Allungai una mano e gliela posai sul ginocchio. «Non voglio che ti preoccupi di mia madre.» «Tu non vuoi che mi preoccupi di nulla. Non è così che funziona. Non puoi risolvere tutti i problemi da solo.» «Quello che mia madre dice o fa non ha importanza, Eva. Io me ne frego, e tu dovresti
fare altrettanto.» Si girò per guardarmi. «Devi cominciare a condividere le cose, soprattutto quelle che mi riguardando, come il fatto che tua madre sparla di me alle mie spalle.» «Non voglio che ti incazzi per un giudizio che non conta nulla.»
Accelerai per superare una curva. «Sempre meglio che incazzarmi con te!» ribatté. «Accosta.» Le lanciai un’occhiata. «Che cosa?» «Ferma la macchina, porca miseria!» Imprecando tra me e me, staccai la mano dalla sua gamba e la riportai sul volante. «Dimmi
perché.» «Perché sono arrabbiata con te e tu te ne stai lì seduto a guidare, con quell’aria eccitante e sexy. Devi smetterla.» «Smettere cosa? Di avere l’aria eccitante e sexy o di guidare?» chiesi tra il divertito e l’esasperato. «Gideon… non provocarmi proprio adesso.» Rassegnato, mi fermai sullo
stretto ciglio della strada. «Va meglio?» Eva scese dalla macchina e ci girò intorno. Le lanciai un’occhiata interrogativa. «Guiderò io» annunciò quando mi raggiunse. «Almeno finché non arriveremo in città.» «Se è quello che vuoi…» Anche per chi, come me, non ne sapeva quasi nulla di relazioni era semplicissimo fare
concessioni quando la tua donna era arrabbiata con te. Soprattutto quando nutrivi la speranza di scopartela nel giro di poche ore, come io avevo decisamente intenzione di fare. Dopo aver passato il weekend con gli amici e con Ireland, sentivo di nuovo il bisogno di dimostrare a
mia moglie quanto l’apprezzavo. «Non guardarmi così» brontolò. «Così come?» La squadrai con un’occhiata, constatando quanto fosse carina con quel prendisole bianco. Era un tardo pomeriggio caldo e afoso, ma lei sembrava fresca e riposata. Avrei voluto strapparmi di dosso i vestiti e premermi contro il suo corpo per rinfrescarmi un po’ prima che l’atmosfera tra noi si surriscaldasse. «Come se fossi una bomba a
orologeria pronta a esplodere.» Incrociò le braccia. «Non sono irrazionale.» «Angelo, non è così che ti ho guardata.» «E non cercare di distrarmi con il sesso» ribatté, contraendo la mascella. «O rimarrai senza per una settimana!» Incrociai le braccia a mia volta.
«Abbiamo già discusso del fatto di lanciare ultimatum come questo. Puoi criticarmi quanto ti pare, Eva, ma io ti avrò quando voglio. Punto.» «Non importa se io ti voglio?» «Disse la moglie che si eccitava nel vedermi guidare una dannata macchina» biascicai. Mi guardò stringendo gli occhi. «Potrei lasciarti qui e andarmene.» Era ovvio
che non stavo gestendo bene la situazione, per cui cambiai tattica e passai all’attacco. «Tu non mi dici tutto» le rinfacciai. «Vogliamo parlare di Kline? Ha completamente smesso di comunicare con te dopo San Diego?» Avevo evitato quella domanda per tutto il weekend, chiedendomi come Kline si sarebbe comportato
con Eva. Ero incerto sul modo in cui volevo che procedesse. Se l’avesse contattata per parlarle del video che non possedeva più, l’avrebbe ferita ma l’avrebbe anche spinta ad avvicinarsi ulteriormente a me. Se se ne fosse andato per il suo bene, avrebbe rivelato di provare sentimenti più profondi di quello
che potevo sopportare. Detestavo che la volesse, ma avevo paura che potesse effettivamente amarla. Lei boccheggiò. «Oddio, controlli ancora il mio telefono?» «No» replicai in modo secco e deciso. «So come la pensi in proposito.» Seguivo ogni suo movimento, sapevo dove e con chi era in ogni momento della giornata, ma lei aveva messo un limite rigido sul controllo del suo cellulare e io lo
rispettavo, anche se la cosa mi faceva impazzire. Mi fissò per un minuto, ma doveva avermi letto in faccia la verità. «Sì, Brett mi ha mandato qualche messaggio. Te ne avrei parlato, per cui non azzardarti a dire che è la stessa cosa. Io ero fermamente decisa a dirtelo, mentre tu non avevi assolutamente
intenzione di dirmelo.» Un’auto che passò a tutta velocità mi fece preoccupare per la sua sicurezza. «Mettiti al volante e guida. Ne parleremo in macchina.» Aspettai che si fosse seduta e poi chiusi la portiera. Quando raggiunsi il posto del passeggero, aveva già sistemato sedile e specchietto retrovisore e messo in moto, preparandosi a partire. Si immise nella corsia di marcia e riprese
a parlarmi. Ascoltavo distrattamente quello che diceva, concentrato com’ero sul suo modo di guidare la Bentley. Procedeva veloce e sicura, tenendo una presa salda ma leggera sul volante. La mia ragazza della California! Si lasciava portare dalla strada ed era perfettamente a proprio agio. Mi scoprii piacevolmente eccitato nel guardarla mentre guidava quel
potente SUV. Oppure era il fatto che mi stava castigando, sfidandomi. «Mi ascolti?» chiese. «Non proprio, angelo. E prima che tu ti innervosisca ancora di più, sappi che è tutta colpa tua. Te ne stai seduta lì a guidare con quell’aria eccitante e sexy e io mi distraggo.» Alzò una mano e mi diede uno schiaffo sulla gamba. «Davvero? Smettila di scherzare.» «Non sto scherzando. Eva… tu
vuoi che io condivida le cose, in modo da potermi supportare. Ho capito e ci sto lavorando sopra.» «Non abbastanza, a quanto pare.» «Non intendo condividere con te cose che ti irritano inutilmente. Non ha senso.» «Dobbiamo essere sinceri l’uno con l’altra, Gideon. Non solo qualche volta, ma sempre.» «Davvero? Non mi aspetto la stessa cosa da te. Per esempio,
sentiti libera di tenere per te tutti i commenti poco lusinghieri che tuo padre e Cary fanno su di me.» Fece una smorfia e ci pensò sopra un attimo. «Secondo questa logica, non andrebbe bene se non ti dicessi nulla di Brett?» mi chiese, alla fine. «No. Kline ha un impatto sul nostro rapporto. Mia madre no.» Sbuffò. «Ho ragione su questo» dissi con calma.
«Mi stai dicendo che il fatto che tua madre dica cattiverie su di me non ti dà fastidio?» «Non mi piace, ma non cambia i miei sentimenti nei tuoi confronti o nei suoi. E dirtelo non cambierà nemmeno i tuoi sentimenti verso di lei. Poiché il risultato è lo stesso in entrambi i casi, ho scelto la strada che crea meno casino.» «Ragioni come un maschio.» «Lo spero.» Allungai una mano e le scostai i capelli dalla spalla. «Non
lasciare che lei ci causi problemi, angelo. Non ne vale la pena.» Eva mi scoccò un’occhiata. «Fai finta che quello che tua mamma dice o fa non abbia effetto su di te, ma so che non è vero.» Mi chiesi se negarlo, solo per chiudere l’argomento, ma mia moglie vedeva tutto quello che avrei preferito nascondere. «Non permetto che mi danneggi.» «Ma lo fa. Ti ferisce e tu lo releghi là dove metti tutto ciò che
non vuoi affrontare.» «Non psicanalizzarmi» dissi seccamente. Mi accarezzò una coscia. «Ti amo. Voglio mettere fine alla sofferenza.» «Lo fai già.» Le presi la mano. «Mi hai dato tutto quello che lei mi ha portato via. Non permetterle di prendere di più.» Tenendo gli occhi puntati sulla
strada tortuosa, Eva sollevò le nostre mani unite e baciò la mia fede nuziale. «D’accordo.» Mi offrì un rapido sorriso con cui mi fece capire che aveva finito – per il momento – e continuò a guidare fino a casa. 12 Avrei sfidato chiunque a mostrarmi una visione più splendida di Gideon Cross che si faceva la doccia. Mi sbalordiva
che potesse passare con tanta disinvoltura le mani su quella pelle soda e abbronzata, sui muscoli perfettamente scolpiti. Attraverso il vetro appannato della doccia del mio bagno osservai i rivoletti di schiuma percorrere la tartaruga dell’addome e poi scendere lungo le gambe tornite. Il suo corpo era
un’opera d’arte, una macchina che lui teneva in perfetta efficienza. Lo adoravo. Adoravo guardarlo, toccarlo, assaporarlo. Allungò una mano e pulì la condensa sul vetro, mostrandomi il volto bello da togliere il fiato, un sopracciglio scuro inarcato in
un’espressione interrogativa. «Mi sto solo godendo lo spettacolo» spiegai. Il profumo del suo bagnoschiuma solleticava sensi allenati a riconoscere la fragranza del mio compagno, l’uomo che risvegliava il mio corpo dandogli piacere fino al delirio. Mi leccai le labbra quando lui
fece scivolare con naturalezza le mani sul pene imponente. Una volta mi aveva detto che aveva l’abitudine di masturbarsi tutte le volte che faceva la doccia, uno sfogo che per lui era una routine come lavarsi i denti. Capivo perché, sapendo quanto fosse potente il suo desiderio sessuale. Non avrei mai
dimenticato la sua virilità, e l’impazienza di godere, la volta in cui si era masturbato sotto la doccia per me. Da quando mi aveva conosciuta aveva smesso di darsi piacere; e non perché così non sarebbe riuscito a soddisfarmi, né perché mi prendevo cura di lui al punto da spegnere il desiderio. Non era mai stato un problema per nessuno dei due essere pronto per il sesso, perché la passione che provavamo
andava oltre la dimensione puramente fisica. Gideon mi prendeva in giro sostenendo che si tratteneva per soddisfare la mia insaziabilità, ma io vedevo quella scelta per ciò che era: il suo godimento era mio, e solo mio. Lui non provava alcun piacere senza di me, il che era un regalo bellissimo, soprattutto alla
luce del suo passato, quando lo sfogo sessuale era stato usato come un’arma contro di lui. «È un’esibizione interattiva» disse con una luce divertita negli occhi. «Unisciti a me.» «Sei un animale.» Avevo le cosce umide del suo seme sotto la vestaglia, dal momento che ero la ragazza fortunata che si era svegliata con il suo desiderio.
«Solo per te.» «Ooh, risposta giusta.» Fece un sorrisetto e il suo pene si indurì. «Dovresti darmi un premio.» Mi spostai dalla soglia e mi avvicinai. «Qualche suggerimento?» «Qualunque cosa tu voglia.» Anche questo era un dono. Gideon raramente cedeva il controllo, e sempre a me.
«Non ho tempo per renderti giustizia, asso. Detesto interrompere le cose quando si fanno interessanti.» Appoggiai la mano al vetro. «Che ne dici se ne riparliamo stasera? Io, tu e qualunque cosa voglia farti.»
Si girò per guardarmi in faccia, premendo la mano contro la mia attraverso il vetro. Mi percorse il viso con lo sguardo in una carezza appassionata quasi percepibile. Aveva un’espressione impassibile, una maschera di impressionante bellezza che non rivelava nulla. Ma gli occhi… quelle straordinarie pozze blu… parlavano di tenerezza e amore e vulnerabilità.
«Sono tutto tuo, angelo» disse a voce così bassa che, più che udire le parole, le vidi. Premetti le labbra contro il vetro freddo. «Sì» concordai. «Lo sei.» Nuova settimana. Stesso Gideon superconcentrato. Si mise a lavorare non appena la Bentley si staccò dal marciapiede, le dita che volavano sulla tastiera incassata nel
tavolino a scomparsa. Lo osservai, stupita da quanto fossero sexy la sua concentrazione e la sua sicurezza di sé. Ero sposata con un uomo potente e ambizioso, ed era straordinariamente eccitante osservarlo mentre perseguiva i suoi obiettivi. Ero così intenta a guardarlo che sobbalzai quando lo smartphone che tenevo nella borsetta accanto a me si mise a vibrare.
«Per la miseria» borbottai, tirandolo fuori. Sullo schermo c’erano il nome e la foto di Brett. Consapevole che dovevo affrontarlo se volevo che la smettesse di chiamarmi, risposi. «Ehi» dissi circospetta. «Eva.» Il timbro della voce adesso famosa di Brett mi fece rimescolare il sangue come aveva
sempre fatto, ma non nello stesso modo. Adoravo come cantava, ma non lo amavo più. Non era una cosa personale. Lo ammiravo come ammiravo decine di altri cantanti. «Dannazione, è una settimana che cerco di parlarti!» «Lo so. Mi dispiace, sono stata impegnata. Come stai?» «Sono stato meglio. Devo
vederti.» Inarcai un sopracciglio. «Quando vieni in città?» Rise aspramente, una risata senza allegria che mi diede sui nervi. «Incredibile. Senti, non voglio discuterne al telefono. Possiamo vederci oggi? Ho bisogno di parlarti.» «Sei a New York? Pensavo che fossi in tour…» Gideon non rallentò il movimento delle dita sulla tastiera e non mi
guardò, ma io percepii lo spostamento del suo campo di energia. Stava ascoltando, e sapeva chi era al telefono. «Ti dirò cosa succede quando ci vediamo» disse Brett. Guardai accigliata fuori
dal finestrino mentre la macchina era ferma a un semaforo, fissando la marea di pedoni che attraversavano la strada. New York brulicava di vita e di attività frenetica, preparandosi ad affrontare imprese che avrebbero cambiato il mondo. «Sto andando in ufficio. Che succede, Brett?»
«Possiamo vederci a pranzo. O quando esci dal lavoro.» Presi in considerazione l’idea di dirgli di no, ma mi colpì la determinazione nel suo tono di voce. «Okay.» Allungai la mano e la appoggiai sulla coscia di Gideon. I muscoli erano duri al tatto anche se era rilassato. I vestiti su misura gli conferivano una patina di civiltà, ma io sapevo la verità sul vigoroso corpo scultoreo che si nascondeva
sotto. «Posso vederti a pranzo, a patto che stiamo nei dintorni del Crossfire.» «Perfetto. A che ora devo essere lì?» «Un po’ prima di mezzogiorno. Ci vediamo nell’atrio.» Riagganciai e lasciai cadere il telefono nella borsetta. Gideon mi prese la mano, ma stava leggendo una lunga e-mail,
la testa leggermente inclinata in avanti, con i capelli che gli sfioravano la mascella volitiva. Il calore del suo tocco penetrò dentro di me. Guardai l’anello che portava al dito, quello che diceva al mondo che apparteneva a me. I suoi soci prestavano attenzione alle sue mani? Non erano le mani di un uomo che si dedicava alle scartoffie e stava al computer tutto
il giorno. Erano le mani di un lottatore, di un guerriero che praticava diverse arti marziali e sfogava l’aggressività contro i sacchi da pugilato e gli sparring partner. Scalciai via le scarpe, raccolsi le gambe sotto di me e mi avvicinai a Gideon, mettendo la mano libera sopra la sua. Gli massaggiai le nocche e le dita con i polpastrelli tenendo la
testa appoggiata cautamente alla sua spalla per non sporcargli di trucco la giacca nera immacolata. Inspirai il suo odore, sentendomi pervadere da lui, dalla sua vicinanza, dalla sua forza. Il profumo del sapone era svanito,
sostituito dall’aroma seducente della sua pelle che trasformava la fragranza in qualcosa di più ricco, e squisito. Quando ero irrequieta, mi calmava. «Non provo nulla per lui» mormorai, sentendo il bisogno di
dirglielo. «Sono troppo presa da te.» Il suo petto si sollevò di colpo mentre lui inspirava bruscamente. Fece rientrare il tavolino nell’alloggiamento e si batté la mano sulle gambe in un gesto di invito. «Vieni qui.» Mi sedetti in grembo a lui sospirando di felicità quando mi
fece spostare in un punto che sembrava fatto apposta per me. Ogni momento di pace che riuscivamo ad avere era prezioso. Gideon si meritava una tregua, e io desideravo tantissimo essere quello, per lui: un’oasi di pace.
Mi sfiorò la fronte con le labbra. «Stai bene, angelo mio?» «Sono tra le tue braccia. Non potrei stare meglio.» Quando arrivammo al Crossfire notai tre paparazzi davanti all’edificio. Gideon mi scortò attraverso la porta d’ingresso tenendomi una mano sulla base della schiena e
guidandomi a passo veloce ma non affrettato nell’atrio lussuoso. «Avvoltoi» borbottai. «Non possiamo farci nulla se siamo una coppia tanto fotogenica.» «Sei un uomo così modesto, Gideon Cross.» «Sei tu che mi fai sembrare bello, Mrs Cross.»
Salimmo sull’ascensore con altre persone e lui si spostò in fondo, attirandomi a sé con un braccio attorno alla vita, la mano aperta sulla pancia, il petto caldo e solido contro la mia schiena. Assaporai quei pochi minuti con lui, rifiutandomi di pensare al lavoro o a Brett finché non ci separammo al ventesimo piano. Quando mi avvicinai al vetro della porta di sicurezza Megumi era già alla scrivania e vederla mi
strappò un sorriso. Rispetto a venerdì sera si era fatta regolare il taglio di capelli e aveva le unghie laccate di un rosso brillante. Era bello notare quei piccoli segnali, indizio del fatto che stava riprendendo in mano la sua vita. «Ehi, ciao» mi salutò dopo avermi aperto la porta, alzandosi in
piedi. «Hai un aspetto splendido.» Mi sorrise. «Grazie. Com’è andata con la sorella di Gideon?» «Alla grande. È divertentissima. Mi commuove vedere Gideon insieme a lei.» «Ti commuove lui,
punto. Stronzetta fortunata. Comunque, poco fa ti ho passato una telefonata. Volevano lasciare un messaggio.» Spostai il peso da un piede all’altro, pensando a Brett. «Un uomo?» «No, una donna.» «Mmh, lo ascolterò, grazie.» Mi diressi alla scrivania e mi sedetti, osservando il collage di foto di me e Gideon. Dovevo ancora
parlargli della Crossroads. Non avevo trovato il momento giusto durante il weekend. Con Ireland insieme a noi, non ce n’era stato il tempo. Sabato notte non aveva dormito. Non mi ero aspettata che ci riuscisse, anche se lo avevo sperato. Per me era dura pensare alla sua lotta interiore, alla sua preoccupazione e ai suoi timori. Si vergognava, anche,
ed era intimamente convinto di essere spezzato. Merce avariata. Non vedeva quello che vedevo io: un’anima generosa che voleva disperatamente appartenere a qualcosa di più grande di se stesso. Non capiva che miracolo fosse. Quando non sapeva cosa fare in una determinata situazione, si
lasciava guidare dall’istinto e dal cuore. Nonostante tutto quello che aveva passato, aveva una capacità straordinaria di provare emozioni e amore. Mi aveva salvata, in così tanti modi. E io avrei fatto qualunque cosa fosse necessaria per salvare lui. Ascoltai i messaggi. Quando arrivò Mark mi alzai, accogliendolo con un gran sorriso e fremendo per l’eccitazione.
Inarcò un sopracciglio. «Cos’è che ti entusiasma tanto?» «Questa mattina ha chiamato una tizia della LanCorp. Vogliono vederci in settimana per approfondire un po’ ciò che sperano di ottenere con il lancio del PhazeOne.» Nei suoi occhi scuri si accese una scintilla che conoscevo. Era un
uomo più felice dopo che lui e Steve si erano fidanzati, ma emanava un’energia completamente diversa quando era impaziente di acquisire un nuovo cliente. «Io e te faremo strada, ragazza.» Feci un saltello eccitato. «Già. L’hai capito. Lascia che ti vedano di persona e li avrai ai tuoi piedi.» Mark scoppiò a ridere. «Fai un gran bene alla mia autostima.» Gli strizzai l’occhio. «Ti faccio un gran bene, punto.»
Passammo la mattina a lavorare alla richiesta d’offerta per PhazeOne mettendo insieme diverse analisi per capire come avremmo potuto posizionare il nuovo videogioco rispetto alla concorrenza. Mi fermai un attimo quando mi resi conto dello scalpore che circondava l’imminente lancio della console GenTen di prossima generazione,
che guarda caso era un prodotto della Cross Industries, il che la rendeva il concorrente principale di PhazeOne sul mercato. Lo feci notare a Mark e gli chiesi: «Sarà un problema? Voglio dire, la LanCorp potrebbe vedere un possibile conflitto di interessi nel fatto che lavoro su questo progetto per te?».
Si raddrizzò e si appoggiò allo schienale della sedia. Si era tolto la giacca ma era elegante lo stesso, con la camicia bianca, una cravatta giallo acceso e pantaloni blu marina. «Non dovrebbe essere un problema, no. Se il posizionamento che proponiamo verrà scelto tra le altre offerte, il fatto che tu sia fidanzata con Gideon Cross non farà nessuna differenza. Decideranno sulla base della nostra capacità di trasmettere la loro visione.»
Avrei voluto sentirmi sollevata, e invece no. Se ci avessero affidato la campagna per PhazeOne, avrei aiutato uno dei concorrenti di Gideon a portargli via una fetta di mercato, e la cosa mi preoccupava parecchio. Gideon lavorava sodo e aveva dovuto superare talmente tanti ostacoli per risollevare il nome Cross dall’infamia in cui
era caduto… un nome che adesso incuteva riverenza, rispetto e una salutare dose di paura. Non volevo essergli d’intralcio, in niente. Credevo che avrei avuto un po’ più di tempo prima di essere costretta a scegliere, e non potevo impedirmi di pensare che la scelta fosse tra la mia indipendenza e l’amore per mio marito. Il dilemma mi tormentò per tutta la
mattina, facendo svanire l’eccitazione che avevo provato all’idea della richiesta d’offerta. Poi si avvicinò mezzogiorno e mi misi a pensare a Brett. Era venuto il momento di assumermi la responsabilità del casino che avevo combinato. Avevo aperto la porta a Brett e poi l’avevo tenuta aperta perché non riuscivo a pensare con lucidità. Adesso stava
a me sistemare le cose prima che quella situazione influenzasse il mio matrimonio più di quanto avesse già fatto. Scesi nell’atrio alle dodici meno cinque dopo avere chiesto a Mark il permesso di uscire un po’ prima. Brett mi stava già aspettando vicino all’ingresso, con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans.
Indossava una semplice T-shirt bianca e un paio di sandali, e aveva gli occhiali da sole sollevati sulla testa. Esitai un istante. Non solo perché era sexy, cosa innegabile, ma perché al Crossfire sembrava davvero fuori posto. Quando ci eravamo visti
prima della presentazione del video a Times Square ci eravamo incontrati fuori. Adesso lui era dentro l’edificio, vicino al punto in cui mi ero imbattuta per la prima volta in Gideon. Le differenze tra i due erano assolute, e non avevano nulla a che fare con gli abiti o con il denaro. Quando mi vide Brett incurvò la bocca in un sorriso e si raddrizzò,
muovendosi nel modo in cui si muovono gli uomini quando provano interesse sessuale. Gli altri uomini, non Gideon. La prima volta che avevo incontrato mio marito, il suo corpo e la sua voce non rivelavano nulla. Solo lo sguardo aveva tradito l’attrazione, e solo per un attimo. Era stato soltanto più tardi che
mi ero resa conto di cosa era successo in quel momento. Gideon mi aveva reclamata… e in cambio si era dato a me. Tutto in un unico sguardo. Mi aveva riconosciuta nel momento stesso in cui mi aveva vista. Io ci avevo messo di più a capire che cosa eravamo l’uno per l’altra. Che cosa
eravamo destinati a essere. Non potevo fare a meno di paragonare il modo tenero e possessivo con cui mi guardava Gideon all’occhiata di pura e semplice lascivia con cui Brett mi squadrò da capo a piedi. Di colpo fu talmente ovvio che Brett non aveva mai davvero pensato a me come sua. Non nel modo in cui l’aveva fatto Gideon. Brett mi aveva desiderata, mi desiderava
ancora, ma anche quando mi aveva avuta non aveva affermato alcun diritto di proprietà, e di certo non mi aveva mai dato nulla di sé, non realmente. “Gideon.” Alzai la testa di scatto, cercando con lo sguardo una delle tante cupole nere nel soffitto che nascondevano le telecamere di sicurezza. Mi portai la mano al cuore,
premendola sul petto. Sapevo che probabilmente non stava guardando. Sapevo che doveva accedere di proposito al circuito per vedermi e che era assolutamente troppo impegnato con il lavoro per pensarci, eppure… «Eva.»
Lasciai ricadere la mano lungo il fianco. Guardai Brett mentre si avvicinava con l’atteggiamento rilassato di un uomo che sa di essere attraente ed è sicuro delle proprie possibilità. L’atrio era pieno di gente che andava e veniva, come ci si aspetta che succeda in un grattacielo del centro. Quando lui alzò le braccia con l’intenzione di stringermi, feci
un passo indietro e gli tesi la mano sinistra, proprio come avevo fatto quando ci eravamo visti a San Diego l’ultima volta. Non avrei mai più permesso che Gideon provasse la sofferenza che gli avevo inflitto quando mi aveva vista baciarlo. Brett inarcò le sopracciglia e dai suoi occhi scomparve il lampo malizioso. «Sul serio? Siamo arrivati a questo?» «Sono sposata» gli ricordai. «Abbracciarsi non è appropriato.»
«E che mi dici delle donne con cui lui compare su tutti i tabloid? Quello va bene?» «Andiamo» lo rimproverai. «Sai bene che non si può credere a tutto quello che la stampa ci propina.» Fece una smorfia e si rimise le mani in tasca. «Puoi credere a quello che dice dei miei sentimenti per te.» Sentii una fitta allo stomaco. «Penso che tu ci creda.» La cosa mi rese un po’ triste. Non
sapeva cosa avevamo io e Gideon perché non l’aveva mai avuto. Speravo che un giorno sarebbe toccato anche a lui. Non era un cattivo ragazzo. Solo che non era destinato a essere il mio ragazzo. Imprecando sottovoce, si voltò e indicò l’uscita. «Leviamoci di qui.» Ero combattuta. Anch’io desideravo la privacy, ma volevo anche
rimanere dove c’erano testimoni che avrebbero potuto rassicurare Gideon. In ogni caso, non potevamo certo fare un picnic nell’atrio del Crossfire. Lo seguii con riluttanza. «Mi ero fatta portare dei sandwich. Pensavo che così avremmo avuto più tempo per parlare.» Brett annuì cupo e allungò una mano verso il sacchetto che avevo
con me. Lo portai al Bryant Park, zigzagando dietro di lui in mezzo alla fiumana di passanti che invadeva il marciapiede all’ora di pranzo. I taxi e
le auto strombazzavano insistenti ai pedoni che avevano troppa fretta per rispettare il verde. Dall’asfalto saliva un calore rovente e il sole era così alto che picchiava sulla strada infilandosi tra i grattacieli. Una volante della polizia azionò la sirena, ma l’ululato acuto
e lamentoso ebbe ben poco effetto sull’ingorgo che intasava la strada. Era la solita Manhattan di sempre e io la amavo, anche se avrei detto che Brett fosse piuttosto contrariato dal balletto cui lo costringeva il marciapiede gremito. Spalle e fianchi che si spostavano a destra e a sinistra per lasciar passare gli altri, il fiato trattenuto per strizzarsi tra borse oversize e superare gente che camminava
troppo lentamente, la prontezza di riflessi necessaria a evitare di andare a sbattere contro le persone che uscivano all’improvviso dai portoni che davano sul marciapiede. Una giornata normale a New York, anche se ricordavo di essere stata anch’io sopraffatta dalla quantità di gente pigiata in uno spazio
relativamente ristretto. Entrando nel parco alle spalle della biblioteca, trovammo un tavolino e delle sedie libere all’ombra vicino alla giostra e ci sedemmo. Brett tirò fuori i sandwich, le patatine
e le bottigliette d’acqua che avevo ordinato ma nessuno dei due iniziò a mangiare. Mi guardai intorno, consapevole che avremmo potuto essere fotografati. Ci avevo pensato quando avevo scelto quel posto, ma l’alternativa era un ristorante rumoroso e affollato. Ero consapevole fino allo spasimo del mio linguaggio del corpo, attentissima a non lasciar
trapelare nulla che potesse essere frainteso. Al massimo si poteva pensare che fossimo amici. Mio marito avrebbe saputo in tutti i modi in cui potevo dimostrarglielo che io e Brett ci eravamo veramente detti addio. «A San Diego hai capito male»
disse Brett senza preavviso, gli occhi nascosti dietro gli occhiali da sole. «Con Brittany non è una cosa seria.» «Non sono affari miei, Brett.» «Mi manchi. A volte lei mi ricorda te.» Sussultai, trovando quel commento tutto tranne
che lusinghiero. Alzai la mano in un gesto di impotenza. «Non potevo tornare da te, Brett. Non dopo Gideon.» «Lo dici adesso.» «Mi fa sentire come se senza di me gli mancasse l’aria. Non potrei accontentarmi di nulla di meno.» Non era necessario dire che Brett non mi aveva mai fatta sentire così. Lo sapeva. Si fissò le mani, quindi si
raddrizzò di colpo e tirò fuori il portafoglio dalla tasca posteriore. Ne tolse una fotografia piegata e la mise sul tavolino davanti a me. «Guardala» disse recisamente «e dimmi che non avevamo niente di vero.» Presi la foto e la aprii,
aggrottando la fronte. Era uno scatto rubato di me e Brett che ridevamo insieme per qualcosa che non ricordavo. Sullo sfondo riconobbi l’interno del Pete’s. Intorno a noi c’era una folla di volti indistinti.
«Dove l’hai presa questa?» chiesi. C’era stato un tempo in cui avrei dato qualunque cosa per avere una foto spontanea di me e Brett, convinta che una cosa tanto impalpabile mi avrebbe dato una qualche prova che ero più di un pezzo di carne. «L’ha scattata Sam dopo uno dei nostri concerti.» Mi irrigidii sentendo menzionare Sam Yimara, ricordandomi di colpo del video porno. Guardai Brett con
le mani che mi tremavano al punto che fui costretta a mettere giù la foto. «Sai di…?» Non riuscii nemmeno a finire la frase. Non era necessario. Brett contrasse la mascella, la fronte e il labbro superiore imperlati di sudore per il caldo della giornata estiva. Annuì. «L’ho visto.» «Oh, mio Dio.» Mi allontanai dal tavolo, la testa
piena delle immagini che potevano essere state registrate in quel video. Ero stata così ansiosa di avere l’attenzione di Brett che avevo rinunciato al rispetto di me stessa, cosa di cui adesso mi vergognavo. «Eva.» Si sporse verso di me. «Non è come pensi. Qualunque cosa ti abbia detto Cross del video, ti assicuro che non è male. Un po’ selvaggio qua e là, ma era così che
funzionavano le cose fra noi.» No… Selvaggio era quello che avevo con Gideon. Quello con Brett era qualcosa di molto più oscuro e malsano. Intrecciai le mani che mi tremavano. «Quante persone
l’hanno visto? L’hai fatto vedere a…? La band l’ha guardato?» Non dovette rispondere; glielo lessi in faccia. «Dio santo.» Mi sentivo male. «Che cosa vuoi da me, Brett?» «Voglio…» Si sollevò gli occhiali da sole e si sfregò gli occhi. «Accidenti. Voglio te. Voglio che stiamo insieme. Non credo che sia finita.» «Non è mai cominciata.» «Lo so che è colpa mia. Voglio
che tu mi dia un’opportunità di sistemare le cose.» Rimasi a bocca aperta. «Sono sposata!» «Lui non va bene, Eva. Non lo conosci come credi.» Fremetti per l’impulso di alzarmi e andarmene. «Io so che non ha mai fatto vedere il video a nessuno! Mi rispetta troppo.» «Lo scopo era documentare l’ascesa della band, Eva. Dovevamo passare in rassegna tutto quanto.»
«Avresti dovuto guardarlo da solo prima» dissi seccamente, orribilmente consapevole delle persone sedute poco lontano. «Avresti potuto tagliare la scena di noi due prima che gli altri la vedessero.» «Non siamo gli unici che Sam ha ripreso in quel video. C’erano anche gli altri ragazzi.» «Oddio.» Lo osservai agitarsi
irrequieto e mi venne un sospetto. «E c’erano altre ragazze con te» buttai lì, in preda a un attacco di nausea. «Cosa importava se ero solo una delle tante.» «Importava.» Si sporse in avanti. «Con te era diverso, Eva. Io ero diverso con te. Ero solo troppo giovane e pieno di me per apprezzarlo. Devi vederlo Eva. Allora capirai.» Scossi la testa con violenza. «Non
voglio vederlo. Sei impazzito?» Era una bugia. Cosa c’era in quel video? Quanto era compromettente? «Maledizione.» Si tolse gli
occhiali con un movimento brusco e li gettò sul tavolino. «Non volevo parlare di quel cazzo di video.» Ma la sua postura rivelava che era sulla difensiva e non gli credetti. Aveva le spalle rigide, la bocca una linea dura. “Qualunque cosa ti abbia detto Cross…” Sapeva che Gideon aveva visto il video. Doveva sapere che Gideon stava facendo di tutto per evitare che saltasse fuori. Sam doveva
averglielo detto. «Che cosa vuoi?» gli chiesi un’altra volta. «Cosa c’era di tanto urgente da spingerti a venire a New York?» Aspettai che rispondesse, con il cuore che batteva forte. Faceva un caldo tremendo ed era umido, ma sentivo la pelle gelida e
appiccicosa. Non poteva dirmi che mi amava, non dopo che l’avevo sorpreso con Brittany. Non poteva avvisarmi di stare lontana da Gideon; ero già sposata. Brett era a Manhattan nel bel mezzo di un tour, e la band doveva essere d’accordo. E anche la Vidal. Perché mai l’avrebbero fatto? Cosa li aveva indotti a cambiare programma? Mentre Brett rimaneva seduto in silenzio, la mascella che guizzava, mi alzai e mi allontanai alla cieca,
attraversando di corsa il prato verso l’uscita più vicina nella cancellata di ferro battuto. Lo sentii chiamarmi ma tenni gli occhi bassi, dolorosamente consapevole delle teste che si giravano nella mia direzione. Stavo facendo una sceneggiata, ma non potei impedirmelo. Avevo
dimenticato la borsa e non me ne curai. Vattene. Vai in un posto sicuro. Vai da Gideon. «Angelo.» Il suono della voce di mio marito mi fece inciampare. Girai la resta. Si alzò da una sedia accanto al pianoforte del Bryant Park Grill. Splendido ed elegante, apparentemente indifferente all’afa.
«Gideon.» La preoccupazione nel suo sguardo, la stretta gentile con cui mi attirò a sé mi diedero forza. Sapeva che questo incontro con Brett non sarebbe finito bene. Che sarei stata sconvolta e avrei avuto bisogno di essere consolata. Che avrei avuto bisogno di lui. Ed era lì. Non sapevo come, e
non me ne importava. Gli affondai le dita nella schiena, aggrappandomi a lui. «Ssh.» Mi sfiorò l’orecchio con le labbra. «Ho capito.» Accanto a noi si materializzò Raúl con la mia borsa e un atteggiamento
protettivo che andava ad aggiungersi allo scudo fornito dal corpo di Gideon. Il panico che mi aveva attanagliata allentò la presa. Non ero più in caduta libera. Gideon era la mia rete, sempre pronto a prendermi al volo. Mi guidò giù per i gradini verso la Bentley in attesa, con Angus in piedi pronto ad aprire la portiera posteriore. Scivolai nell’auto e
Gideon si unì a me, circondandomi con un braccio quando mi accoccolai contro di lui. La scena era la stessa di quella mattina. Ma nel giro di poche ore era cambiato tutto. «Ho capito» mormorò. «Fidati di me.» Gli sfregai il naso contro il collo.
«Vogliono usare il video, vero?» «Non lo faranno. Nessuno lo farà.» Le sue parole erano affilate come la lama di un rasoio. Gli credevo. E lo amavo più di quanto avessi mai creduto possibile. Che pomeriggio! Evitai
di pensare a Brett lavorando come una matta sui confronti tra le console per videogiochi, inclusa GenTen; quando arrivarono le cinque ero concentrata su Gideon. Non era più solo PhazeOne a preoccuparmi. Ero spaventata anche di me stessa, della ragazza che ero stata. Il video porno avrebbe potuto fare più danni al
nome Cross di qualunque società concorrente. Mandai un SMS a Gideon. Speravo che mi avrebbe risposto subito, ma non mi aspettavo che lo facesse. “Sei nel tuo ufficio?” Rispose quasi all’istante. “Sì.” “Vado a casa” scrissi. “Volevo salutarti.” “Vieni su.” Buttai fuori il fiato che non mi ero accorta di trattenere. “Ci vediamo tra dieci min.”
Quando passai dalla reception Megumi se n’era già andata, così arrivai da Gideon prima di quanto avessi previsto. La sua addetta alla reception era ancora lì, i lunghi capelli rossi a sfiorarle le spalle con eleganza. Mi fece un secco cenno con la testa e io le sorrisi, imperterrita. Quando arrivai Scott non era alla sua scrivania, ma Gideon era in piedi accanto alla sua, intento a scorrere dei documenti sparpagliati
davanti a lui. Arash sedeva su una delle sedie, la postura rilassata e a suo agio mentre parlava. Nessuno dei due indossava la giacca, ed entrambi erano uno schianto. Mentre mi avvicinavo Arash mi lanciò un’occhiata e Gideon alzò la testa. Gli occhi di mio marito erano talmente blu, un colore che mi colpì anche a quella distanza. Il viso era della solita bellezza austera, eppure il suo sguardo si addolcì quando mi vide. Sorrisi quando mi fece cenno
di avvicinarmi con un movimento del dito. Entrai nell’ufficio e tesi la mano ad Arash, che si era alzato. «Ehi» lo salutai. «Lo stai tenendo fuori dai guai?» «Quando me lo lascia fare» ribatté l’avvocato, prendendomi la mano e attirandomi verso di lui per baciarmi sulla guancia. «Giù le mani» disse Gideon asciutto, mettendomi un braccio attorno alla vita.
Arash scoppiò a ridere. «Questa tua nuova vena di gelosia è veramente spassosa.» «A differenza del tuo senso dell’umorismo» ribatté Gideon. Mi appoggiai a mio marito, adorando la sensazione del suo corpo solido contro il mio. In lui non c’era traccia di cedevolezza né di malleabilità. Tranne quando mi guardava. «Ho una riunione tra mezz’ora» disse Arash «quindi vado. Grazie
per venerdì sera, Eva. Mi piacerebbe rifarlo, una volta o l’altra.» «Lo rifaremo» gli dissi. «Stanne certo.» Quando lui se ne andò, mi girai verso Gideon. «Posso abbracciarti?» «Non devi mai chiedere.» Sentii una stretta al cuore
davanti al caldo appagamento che traspariva dai suoi occhi. «Il vetro non è oscurato.» «Lascia che guardino» mormorò, circondandomi con le braccia. Fece un lento sospiro quando mi avvinghiai a lui. «Parlami, angelo.» «Non ho voglia di parlare.» Non avevo voglia di pensare a come mi
ero incasinata la vita, un casino che adesso ricadeva sull’uomo che amavo. «Voglio sentire la tua voce. Dimmi qualcosa, qualunque cosa, non importa.» «Kline non ti farà del male, te lo prometto.» Chiusi gli occhi. «Non di lui. Parlami del lavoro.» «Eva…» Avvertii la tensione che emanava dal suo corpo, lo stress provocato dalla preoccupazione, così spiegai:
«Voglio solo chiudere gli occhi per un minuto e sentirti. Annusarti. Ascoltarti. Ho solo bisogno di immergermi in te per qualche istante, poi starò bene». Mi accarezzò la schiena, tenendo il mento appoggiato alla mia testa. «Ce ne andiamo. Presto. Per almeno una settimana, anche se preferirei due. Stavo pensando che potremmo tornare al Crosswinds. Passare il tempo nudi a non far nulla…»
«Tu non riesci a non far nulla. Soprattutto quando sei nudo.» «Soprattutto quando tu sei nuda» mi corresse, sfregandomi il naso sulla pelle. «Ma non ti ho mai avuta così per un’intera settimana. Potresti sfinirmi.» «Dubito che sia possibile,
demonio. Ma farò del mio meglio.» «Non sarà la nostra luna di miele. Per quella voglio un mese.» «Un mese!» Mi scostai da lui e lo guardai, improvvisamente di buonumore. «L’economia di New York potrebbe crollare se stai fuori dal giro così tanto.» Mi prese il viso tra le mani, accarezzandomi il sopracciglio con il pollice.
«Penso che la mia efficientissima squadra saprà cavarsela qualche settimana senza di me.» Gli afferrai il polso e sfogai un po’ di ansia. «Io non potrei. Ho troppo bisogno di te.» «Eva.» Piegò la testa e premette
le labbra sulle mie, stuzzicandole con la punta della lingua. Gli misi una mano sulla nuca e lo tenni fermo mentre accoglievo il bacio, abbandonandomi alla sensazione. Mi attirò più vicina, costringendomi a stare in punta di piedi. Piegò la testa, continuando a baciarmi fino a che i nostri respiri si fusero in un unico sospiro, i gemiti in uno solo. Nel momento in
cui ci staccammo ansimavo. «Quando verrai a casa?» «Quando vuoi tu.» «Allora quando hai finito di lavorare. Oggi hai perso fin troppo tempo a causa mia.» Gli lisciai la cravatta dal nodo perfetto. «Non mi stavi spiando. Sapevi che il pranzo con Brett sarebbe finito male.» «Era una possibilità.» «Spiarmi? O finire male?»
Mi lanciò un’occhiata. «Non avrai intenzione di metterti a fare storie perché ero lì. Se fossi stata al mio posto avresti fatto lo stesso.» «Come facevi a sapere cosa voleva?» L’esistenza di quel video tormentava anche lui? Quel che avevo fatto e la persona che ero stata in passato? «So che Christopher sta facendo pressioni a Brett, e anche al resto della band.» «E perché? Per arrivare a te?»
«In parte. Tu non sei una bionda sexy a caso. Sei Eva Tramell, e fai notizia.» «Forse dovrei tingermi i capelli. Sbarazzarmi della ragazza “d’oro”. Che ne dici di rossi?» Non potevo farmi castana, non con la storia di Gideon e le donne dai capelli scuri. Dovermi guardare allo specchio tutte le mattine mi avrebbe uccisa. Il suo viso si fece impenetrabile, serrato come una trappola d’acciaio anche se nient’altro rivelava la
tensione che lo percorreva. Sentii un formicolio alla nuca, la sensazione che l’atmosfera fosse cambiata. «Non ti piace l’idea?» lo
punzecchiai, ricordandomi di colpo di una rossa del suo passato… la dottoressa Anne Lucas. «Mi piaci esattamente così come sei. Detto ciò, se vuoi cambiare, non ho obiezioni. È il tuo corpo, è un tuo diritto. Ma non farlo soltanto a causa loro.» «Mi vorresti ancora?» Le pieghe di tensione intorno alla bocca si rilassarono e l’espressione dura sul suo viso svanì altrettanto in fretta di com’era comparsa. «Mi
vorresti ancora se avessi i capelli rossi?» «Mmh.» Mi battei un dito sul mento, fingendo di riflettere sul cambiamento. «Magari dovremmo tenerci quello che abbiamo.» Gideon mi baciò sulla fronte. «È quello che avevo sottoscritto.» «Avevi anche promesso che mi avresti lasciata fare a modo mio questa sera.» «Dimmi posto e ora.» «Alle otto? Nel tuo appartamento
dell’Upper West Side?» « I l nostro appartamento.» Mi baciò con tenerezza. «Ci sarò.» 13 «A proposito, congratulazioni per il suo fidanzamento.» Spostai lo sguardo dalla faccia dell’ingegnere di progetto sullo schermo alla foto di Eva che mandava baci. «Grazie.» Avrei preferito guardare mia moglie. Per un attimo la immaginai com’era stata la notte prima, con le
sue labbra carnose chiuse attorno al mio pene. Le avevo data carta bianca e lei mi aveva succhiato fino a farmi morire. Una volta, e un’altra. E un’altra ancora. “Mio Dio.” Era tutto il giorno che ci pensavo. «La terrò informata sull’impatto della tempesta» disse, riportando la mia attenzione sul lavoro.
«Apprezzo che ci abbia chiamati di persona per verificare. Le condizioni meteo potrebbero farci ritardare di una settimana o due, ma arriveremo in tempo.» «Abbiamo margine. Pensi prima di tutto a se stesso e alla sua squadra.» «Lo farò. Grazie.»
Chiusi la finestra della chat e controllai l’agenda per sapere quanto tempo avevo esattamente per prepararmi alla riunione con gli uomini della ricerca e sviluppo alla PosIT. Dall’interfono arrivò la voce di Scott. «Ho Christopher Vidal senior sulla linea uno. È la terza volta che chiama, oggi. Gli ho già detto che lo contatterà non appena si libera, ma insiste. Come
vuole che mi comporti?» Le chiamate del mio patrigno non preannunciavano mai niente di buono, il che significava che non rispondere mi avrebbe concesso meno tempo per risolvere il problema, qualunque esso fosse. «Passamelo.» Premetti il tasto del vivavoce. «Chris, cosa posso fare per te?»
«Gideon. Senti, mi dispiace disturbarti, ma io e te dobbiamo parlare. Possiamo vederci oggi?» Colpito dal tono di urgenza nella sua voce, sollevai il ricevitore disinserendo il vivavoce. «Nel mio ufficio o nel tuo?» «No, nel tuo attico.» Esitai, sorpreso. «Non sarò a casa prima delle nove.» «Va bene.» «È tutto a posto?» «Sì,
tutto a posto. Non preoccuparti.» «Si tratta della Vidal, allora. Ce ne occuperemo.» «Dio santo.» Fece una risata aspra. «Sei una brava persona, Gideon. Uno degli uomini migliori che conosca. Avrei dovuto dirtelo più spesso.» Strinsi gli occhi al tono tagliente
della sua voce. «Ho qualche minuto libero. Parlamene.» «No, non adesso. Ci vediamo alle nove.» Riagganciò. Rimasi seduto per un pezzo con il ricevitore in mano. Sentivo un nodo allo stomaco, freddo e lancinante. Rimisi a posto il ricevitore e tornai al lavoro, mettendo insieme diagrammi e riguardando
i documenti che Scott mi aveva lasciato sulla scrivania. Ma non riuscii a evitare che i miei pensieri vagassero. Non potevo controllare quello che succedeva alla mia famiglia, non avevo mai avuto alcun potere in quell’ambito. L’unica cosa che potevo fare era sistemare i casini combinati da Christopher e cercare di evitare che la Vidal finisse in bancarotta. Però avevo posto un
limite all’uso del filmato di Eva. Nulla avrebbe potuto farmi cambiare idea. Si stava avvicinando il momento della riunione con la PosIT quando sullo schermo si aprì il messenger con l’avatar di Eva. “Sento ancora il tuo sapore.
Yum. ” Feci una risatina. Il nodo allo stomaco che stavo ignorando si allentò, quindi scomparve. Lei era il mio colpo di spugna. La mia rinascita. Sollevato, risposi: “Il piacere è stato mio”. «Ho una traccia.» Girai la testa e vidi Raúl entrare nel mio ufficio. Si avvicinò alla scrivania a lunghi
passi. «Sto ancora passando al setaccio la lista degli invitati all’evento cui avete partecipato un paio di settimane fa. Ho fatto anche ricerche sulle foto. E oggi ho avuto un riscontro su questa. Me ne sono procurato una copia e ho fatto qualche ingrandimento.» Lanciai un’occhiata alle immagini che fece scivolare sulla
mia scrivania. Le presi in mano e le esaminai più attentamente, una per una. Sullo sfondo c’era una donna con i capelli rossi. In ciascuna delle foto successive compariva sempre più vicina. «Abito verde smeraldo, lunghi capelli rossi. È la donna che ha visto Eva.» Era Anne Lucas. Qualcosa nella sua postura, con il viso girato di lato, mi suscitò un malessere familiare.
Guardai Raúl. «Non era sulla lista degli invitati?» «Non ufficialmente, ma era sul tappeto rosso, perciò penso che dovesse essere insieme a qualcuno. Non so chi fosse il suo compagno, ma ci sto lavorando.» Mi alzai in piedi irrequieto, spingendo indietro la sedia. «Ha infastidito Eva. Devi tenerla lontana da mia moglie.» «Angus e io stiamo mettendo a punto nuovi protocolli per la
sicurezza agli eventi.» Mi girai e presi la giacca dall’attaccapanni. «Se ti servono più uomini, dimmelo.» «Glielo farò sapere.» Raccolse le foto e mi si avvicinò. «Oggi è nel suo studio» disse, interpretando correttamente le mie intenzioni. «Era ancora lì quando sono venuto qui.» «Bene. Andiamo.» «Mi scusi.» La brunetta dietro la scrivania si alzò di scatto mentre
passavo. «Non può entrare. La dottoressa Lucas è con un paziente.» Afferrai la maniglia e aprii la porta, entrando nello studio di Anne senza rallentare il passo. Lei alzò la testa di scatto, spalancando gli occhi verdi un attimo prima che sulle labbra le si
dipingesse un sorriso soddisfatto. La donna sul lettino davanti a lei sbatté gli occhi confusa, ammutolita. «Mi dispiace tantissimo, dottoressa Lucas» disse la brunetta, senza fiato.
«Ho provato a fermarlo.» Anne si alzò senza levarmi gli occhi di dosso. «Compito impossibile, Michelle. Non preoccuparti, puoi andare.»
L’addetta alla reception uscì dalla stanza. Anne guardò la sua paziente. «Dobbiamo interrompere qui la seduta. Mi scuso per questo sgradevole contrattempo» disse, lanciandomi un’occhiataccia «e naturalmente non mi deve nulla. La
prego, parli con Michelle per prendere un altro appuntamento.» Aspettai sulla soglia mentre la donna raccoglieva in fretta le sue cose e mi scostai per lasciarla passare. «Avrei potuto chiamare la sicurezza» disse Anne
appoggiandosi alla scrivania e incrociando le braccia. «Dopo esserti data tanta pena per attirarmi qui? Non credo.» «Non so di cosa stai parlando. Comunque, è bello vederti.» Lasciò ricadere le braccia e afferrò il bordo della scrivania assumendo una posa deliberatamente provocante; lo spacco nell’abitino blu si aprì, rivelando una coscia.
«Non posso dire lo stesso.» Il suo sorriso si fece forzato. «Rompi i giocattoli, poi buttali via. Eva lo sa di avere i giorni contati?» «E tu?» Negli occhi le passò un lampo di paura e il suo sorriso si smorzò. «È una minaccia, Gideon?» «Ti piacerebbe che lo fosse.» Mi avvicinai e vidi le sue pupille dilatarsi. Si stava eccitando e la cosa mi disgustava tanto quanto l’odore del suo profumo. «Potrebbe
rendere il tuo gioco più interessante.» Si raddrizzò e venne verso di me, ancheggiando, con i tacchi a spillo delle scarpe rosse che affondavano nella moquette spessa. «Anche a te piace giocare, tesoro» disse con la voce roca.
«Dimmi, l’hai legata la tua bella fidanzata? Frustata fino al delirio? Le hai ficcato nel culo uno dei cazzi finti della tua vasta collezione, per scoparla anche lì mentre la fotti per ore? Ti conosce, Gideon, come ti conosco io?» «Centinaia di donne mi conoscono come mi conosci tu, Anne. Pensavi di essere speciale?
L’unica cosa degna di nota è tuo marito, e quanto gli rode quello che ti ho fatto.» Alzò la mano per schiaffeggiarmi e io non la fermai, prendendomi il ceffone senza muovere un muscolo. Avrei voluto che quello che avevo appena detto fosse vero, ma con lei ero stato particolarmente depravato, scorgendo fantasmi di suo fratello nella curva delle labbra,
nel modo di fare… Le afferrai il polso quando mi mise la mano tra le gambe. «Lascia in pace Eva. Non te lo dirò un’altra volta.» «Lei è la crepa nella tua corazza, pezzo di merda senza cuore che non sei altro. Nelle tue vene scorre ghiaccio, ma lei sanguina.» «È una minaccia, Anne?» chiesi con calma, ributtandole in faccia le sue parole. «Assolutamente sì.» Si liberò con
uno strattone. «È venuto il momento di pagare e i tuoi miliardi non ti serviranno a niente.» «Stai alzando la posta con una dichiarazione di guerra? Sei così stupida? O non te ne frega niente di quanto ti costerà? La tua carriera… il tuo matrimonio… tutto quanto.» Mi avviai verso la porta a passi
misurati anche se bruciavo di rabbia. Era colpa mia se Eva era rimasta invischiata. Dovevo sistemare quella faccenda. «Stai a vedere, Gideon» disse alle mie spalle. «Vedrai che succede.» «Fai come ti pare.» Mi fermai con la mano sulla maniglia. «Sei stata tu a iniziare, ma la mossa finale sarà mia, stanne certa.»
«Ha avuto incubi dall’ultima volta che ci siamo visti?» chiese il dottor Petersen, con atteggiamento sciolto e interesse professionale, tenendo sulle ginocchia il tablet. «No.» «Quanto spesso direbbe di averli?» Ero seduto comodamente quanto il rilassato dottore, ma dentro di me
ero irrequieto e nervoso. Avevo troppe cose da fare per perdere un’ora del mio tempo. «Ultimamente, una volta alla settimana. Alle volte passa un po’ più di tempo.» «Cosa
intende con “ultimamente”?» «Da quando ho conosciuto Eva.» Prese qualche appunto. «Lei sta affrontando pressioni insolite lavorando al suo rapporto con Eva, ma la frequenza degli incubi è diminuita… almeno per ora. Ha qualche idea del perché?» «Pensavo che a spiegarmelo
dovesse essere lei.» Il dottor Petersen sorrise. «Non posso agitare una bacchetta magica e darle tutte le risposte, Gideon. Posso solo aiutarla a trovarle.» Fui tentato di aspettare che dicesse qualcos’altro, lasciando che fosse lui a parlare. Ma il pensiero di Eva e delle sue speranze che la terapia potesse fare qualche
differenza mi indusse a continuare. Avevo promesso che ci avrei provato, perciò l’avrei fatto. Fino a un certo punto. «Le cose tra noi vanno meglio. Siamo in sintonia, quasi sempre.» «Ha la sensazione che stiate comunicando meglio?» «Credo che siamo diventati più bravi a indovinare i motivi che stanno dietro i
nostri comportamenti. Ci capiamo di più.» «Il vostro rapporto si è evoluto molto in fretta. Lei non è un uomo impulsivo, ma molti direbbero che sposare una donna che conosce da così poco tempo – e che lei stesso ammette di dover ancora conoscere fino in fondo – è una cosa estremamente impulsiva.» «È una domanda?» «Un’osservazione.» Aspettò un attimo, ma poiché io non dissi
niente, riprese a parlare. «Può essere difficile essere sposati con persone che hanno la storia di Eva. Il fatto che lei si sia impegnata nella terapia ha aiutato entrambi; tuttavia, è probabile che continuerà a cambiare in modi che potrebbe non aspettarsi. Sarà stressante per lei, Gideon.» «Neppure io sono una
passeggiata» dissi seccamente. «Lei è un sopravvissuto di un genere diverso. Ha mai avuto l’impressione che gli incubi fossero peggiorati dallo stress?» La domanda mi irritò. «Che importanza ha? Li ho e basta.» «Non crede che sia possibile apportare dei cambiamenti in modo da diminuirne l’impatto?» «Mi sono appena sposato. È un cambiamento importantissimo, non crede, dottore? Penso che per il
momento basti.» «Perché dev’esserci un limite? Lei è giovane, Gideon. Ha diverse opzioni. Il cambiamento non dev’essere qualcosa da evitare. Che male c’è a provare qualcosa di nuovo? Se non funziona, ha sempre la possibilità di tornare a quello che faceva prima.» Trovai
quell’osservazione ironicamente divertente. «A volte non si può tornare indietro.» «Proviamo a introdurre un piccolo cambiamento ora» disse il dottor Petersen, mettendo da parte il tablet. «Andiamo a fare due passi.» Mi alzai insieme a lui; non volevo ritrovarmi seduto con Petersen che
torreggiava sopra di me. Ci guardammo in faccia, separati solo dal tavolino basso. «Perché?» «Perché no?» Fece un cenno in direzione della porta. «Il mio studio potrebbe non essere il posto migliore per parlare. Lei è un uomo abituato a comandare. Qui il gioco lo dirigo io. Perciò potremmo
cambiare terreno e fare due passi in corridoio. È uno spazio pubblico, ma la maggior parte delle persone che lavorano qui sono già andate a casa.» Uscii dallo studio prima di lui, osservandolo mentre chiudeva a chiave la porta interna e quella esterna prima di raggiungermi. «Ah, bene. Così è sicuramente diverso» disse, sorridendo ironico. «Mi distrae un po’.» Mi strinsi nelle spalle e iniziai a
camminare. «Che progetti ha per il resto della serata?» mi chiese, venendomi dietro. «Un’ora con il mio personal trainer.» E aggiunsi: «Più tardi vedo il mio patrigno». «Viene per passare del tempo con lei e Eva? Siete uniti?» «No, a entrambe le domande.»
Continuai a tenere lo sguardo fisso davanti a me. «C’è qualcosa che non va. È l’unico motivo per cui mi chiama.» Avvertii il suo sguardo su di me. «Vorrebbe che le cose stessero diversamente?» «No.» «Non le piace?» «Non mi dispiace.» Stavo per lasciar cadere l’argomento quando pensai di nuovo a Eva. «È solo che non ci conosciamo molto bene.»
«È una cosa che lei potrebbe cambiare.» Feci una risata forzata. «Insiste con questa teoria, stasera.» «Gliel’ho detto. Non ho una teoria.» Si fermò, costringendomi a fare lo stesso. Alzò lo sguardo verso il soffitto, riflettendo. «Quando considera un’acquisizione o esplora un nuovo settore di business, si rivolge a dei
consulenti, giusto? Esperti del loro campo, no?» Mi guardò sorridendo. «Potrebbe pensare a me nello stesso modo, come a un consulente esperto.» «Di cosa?» «Del suo passato.» Riprese a camminare. «Io la aiuto su questo, e lei può immaginare da solo il resto della sua vita.» «Concentrati, Cross.» Strinsi gli occhi. Sul tappeto davanti a me c’era James Cho che
saltellava sui piedi nudi, provocandomi. Fece un sorriso cattivo, sapendo che la sfida implicita mi avrebbe spronato. Quindici centimetri più basso di me e più leggero di almeno tredici chili, l’ex campione di arti marziali miste era veloce in modo letale e aveva la cintura a dimostrarlo. Ruotai le spalle all’indietro e
aggiustai la postura. Sollevai i pugni a chiudere la breccia che gli aveva permesso di sferrarmi un pugno al torace. «Fai che ne valga la pena, Cho» ribattei, irritato che avesse ragione. Avevo la testa ancora nello studio del dottor Petersen. Quella sera era stata spalancata una porta e io non riuscivo ad afferrare cosa fosse o cosa significasse. James e io girammo in tondo, facendo finte e affondi, senza che
nessuno dei due riuscisse a mettere a segno un colpo. Le percussioni martellanti dei taiko si riversavano nella palestra da altoparlanti abilmente nascosti dietro il rivestimento di bambù alto fino al soffitto.
«Ti stai ancora trattenendo» disse Cho. «Cos’è, innamorarti ti ha fatto diventare una fighetta?» «Ti piacerebbe. L’unico modo in cui riesci a battermi.» James scoppiò a ridere, poi mi sferrò un calcio circolare. Mi abbassai e lo colpii, facendogli perdere l’equilibrio. Veloce come un fulmine, Cho sforbiciò con le gambe, trascinandomi a terra insieme a lui. Ci rialzammo. Ci rimettemmo in
guardia. «Mi stai facendo perdere tempo» scattò, sferrandomi un pugno. Mi spostai di lato e feci partire il sinistro, sfiorandogli il fianco. Lui mi centrò in pieno nelle costole. «Nessuno ti ha fatto incazzare oggi?» Mi arrivò addosso come una furia, non lasciandomi altra scelta che difendermi. Grugnii. In un angolo del mio cervello ribolliva la rabbia, messa da parte finché avessi avuto il
tempo di affrontarla. «Sì. Vedo il fuoco nei tuoi occhi, Cross. Buttalo fuori, amico. Fatti sotto.» “Lei è la crepa nella tua corazza.” Lasciai andare una combinazione sinistro-destro, facendo arretrare James. «Tutto qui?» sghignazzò. Fintai un calcio e poi feci partire un pugno, centrandolo alla testa. «Cazzo, sì» ansimò, flettendo le braccia, adesso carico. «Ci siamo.»
“Lei sanguina…” Mi gettai in avanti ringhiando. Dopo una doccia mi sentii decisamente meglio. Avevo appena finito di vestirmi infilandomi una Tshirt quando lo smartphone si mise a suonare. Lo recuperai dal letto, dove l’avevo lasciato, e risposi. «Un paio di cose» disse Raúl dopo avermi salutato. In sottofondo sentii il rumore di gente e musica che svaniva in lontananza finché non cessò del tutto. «Mi sono
accorto che Benjamin Clancy sta ancora tenendo d’occhio Mrs Cross. Non sempre, ma frequentemente.» «Ma guarda» dissi piano. «Le sta bene? O devo parlargli?» «Gli parlerò io.» Io e Clancy dovevamo fare due chiacchiere. Ce l’avevo in lista, ma adesso me ne sarei occupato al più presto. «Inoltre – e forse lo sa già – Mrs Cross oggi ha pranzato con Ryan Landon e alcuni dei suoi dirigenti.» Sentii quella calma terribile
impadronirsi di me. Landon. Cazzo. Si era intrufolato dove io non stavo guardando. «Grazie, Raúl. Mi servirà il numero personale del capo di Eva, Mark Garrity.» «Glielo mando per SMS non appena ce l’ho.» Terminai la chiamata e mi ficcai in tasca il telefono, trattenendo a stento l’impulso di scagliarlo contro
il muro. Arash mi aveva avvertito a proposito di Landon e io avevo ignorato le sue preoccupazioni. Ero stato concentrato sulla mia vita, su mia moglie, e anche se Landon era sposato, il suo interesse principale ero sempre stato io. Il suono del telefono dell’attico mi fece sobbalzare. Mi avvicinai al comodino e risposi sbrigativo: «Cross». «Mr Cross. Sono Edwin della
reception. È arrivato Mr Vidal.» Dio santo. Strinsi il ricevitore. «Fallo salire.» «Sì, signore. Subito.» Afferrai scarpe e calze e le portai in salotto per infilarmele. Non appena Chris se ne fosse andato, sarei tornato a casa da Eva. Volevo aprire una bottiglia di vino, trovare uno di quei vecchi film che lei sapeva a memoria e ascoltarla recitare le trite battute dei dialoghi. Nessuno riusciva a farmi ridere
come lei. Udii arrivare l’ascensore e mi alzai, passandomi una mano tra i capelli umidi. Ero teso e disprezzavo la debolezza. «Gideon.» Chris si fermò sulla soglia dell’atrio, con un’aria cupa e sfinita che gli avevo visto di rado, e sempre a causa di mio fratello.
«Eva è qui?» «È a casa sua. La raggiungo dopo che te ne sei andato.» Annuì nervosamente, con i muscoli della mascella contratti ma senza aprire bocca. «Entra» gli dissi, indicando la poltrona accanto al tavolino. «Posso offrirti qualcosa da bere?» Dio sa se non avevo bisogno di
un drink, dopo la giornata che mi era toccata. Entrò stancamente in salotto. «Qualcosa di forte sarebbe magnifico.» «Ottimo.» Mi spostai in cucina e versai un bicchiere di Armagnac per entrambi. Mentre appoggiavo il decanter, sentii vibrare il telefono che avevo in tasca. Lo tirai fuori e
vidi un messaggio di Eva. Era un selfie della sua gamba nuda luccicante di acqua appoggiata al bordo della vasca, con delle candele sullo sfondo. “Ti unisci a me?” Cambiai rapidamente i progetti per la serata. Era tutto il giorno che mi mandava messaggi provocanti. Ero più che felice di soddisfarla.
Salvai la foto e risposi: “Mi sarebbe piaciuto. Prometto di farti bagnare di nuovo quando arrivo”. Misi via il telefono, mi girai e vidi che Chris mi aveva raggiunto al bancone della cucina. Gli feci scivolare davanti il bicchiere e presi un sorso dal mio. «Che succede, Chris?» Lui sospirò, tenendo il bicchiere con due mani. «Gireremo di nuovo il video di Ragazza d’oro.» «Sul serio?» Era una spesa non
necessaria, una cosa che di norma Chris saggiamente evitava. «Ieri ho sentito Kline e Christopher litigare in ufficio» disse burbero «e ho capito la storia. Kline vuole un rifacimento e io sono d’accordo.» «Christopher no, ci scommetto.» Mi appoggiai al bancone, stringendo
la mascella. A quanto pareva, Brett Kline provava qualcosa di serio per Eva, dopotutto. Non mi stava bene. Neanche un po’. «Tuo fratello dovrà accettarlo.» Ne dubitavo, ma dirlo non sarebbe servito a niente. Però Chris intuì quello che pensavo e annuì. «So che il video ha creato delle difficoltà a te ed Eva. Avrei dovuto
stare più attento.» «Mi fa piacere che tu sia flessibile riguardo a questa cosa.» Fissò il liquore e poi ne bevve un lungo sorso, quasi svuotando il bicchiere. «Ho lasciato tua madre.» Feci un respiro veloce, profondo, rendendomi conto che la ragione della sua visita non aveva niente a che vedere con il lavoro. «Ireland mi ha detto che avevate litigato.»
«Esatto. Detesto che Ireland abbia dovuto sentirci.» Mi guardò, e io vidi la consapevolezza nei suoi occhi. L’orrore. «Non lo sapevo, Gideon. Lo giuro su Dio, non lo sapevo.» Sentii un tuffo al cuore, che prese a martellarmi nel petto. Mi si seccò la bocca. «Io… be’… sono andato da Terrence Lucas.» La voce di Chris si fece roca. «Ho fatto irruzione nel suo ufficio. L’ha negato, quel
bugiardo figlio di puttana, ma io gliel’ho letto in faccia.» L’Armagnac ondeggiò nel mio bicchiere. Lo appoggiai con cautela, sentendo il pavimento inclinarsi sotto i miei piedi. Eva aveva affrontato Lucas, ma Chris…? «L’ho mandato al tappeto, steso secco, ma Dio mio… avrei voluto prendere uno di quei premi sullo scaffale e sfondargli il cranio.» «Basta.» La parola mi uscì dalla gola come schegge di vetro.
«E lo stronzo che ha fatto… Quello stronzo è morto. Non posso mettergli le mani addosso. Maledizione.» Chris lasciò cadere il bicchiere sul granito con un colpo sordo, ma fu il singhiozzo che gli uscì a sconvolgermi. «Dannazione, Gideon. Era compito
mio proteggerti, e ho fallito.» «Basta!» Mi scostai dal bancone, aprendo e chiudendo i pugni. «E non guardarmi con quella cazzo di espressione!» Tremava visibilmente, ma non cedette. «Dovevo dirtelo…» Lo presi per la camicia,
sollevandolo di peso. «Smettila di parlare. Subito!» Lo spintonai via. Gli girai le spalle quando inciampò e finì contro la parete. Mi allontanai, attraversando il salotto senza vederlo. «Non mi aspetto il tuo perdono» mi gridò dietro, le parole soffocate dal pianto. «Non me lo merito. Ma
devi starmi a sentire: l’avrei fatto a pezzi con le mie mani se lo avessi saputo.» Mi girai di scatto, sentendo un fiotto di bile risalirmi in gola. «Che cazzo vuoi?» Chris raddrizzò le spalle. Mi guardò con gli occhi rossi e le guance bagnate di lacrime, tremante ma troppo stupido per
scappare. «Voglio che tu sappia che non sei solo.» Solo. Sì. Lontano dalla pietà e dal senso di colpa e dal dolore che mi fissavano attraverso le sue lacrime. «Vattene.» Annuì e si diresse verso l’atrio. Io rimasi immobile, ansimando, con gli occhi che bruciavano. Ricacciai indietro le parole, con la violenza che martellava nei pugni stretti. Si fermò prima di lasciare la stanza, girandosi verso di me.
«Sono contento che tu l’abbia detto a Eva.» «Non osare nominarla.» Non riuscivo nemmeno a sopportare il pensiero di lei. Non adesso, quando ero così vicino a perdere il controllo. Se ne andò. Il peso di quella giornata mi precipitò addosso di colpo, facendomi cadere in ginocchio.
Crollai. 14 Stavo sognando una spiaggia privata e Gideon nudo quando il suono del cellulare che squillava mi svegliò di soprassalto. Rotolando su un fianco, allungai la mano verso il comodino e cercai a tentoni lo smartphone. Riconobbi al tatto la familiare sagoma, l’afferrai e mi
tirai su a sedere. Il viso di Ireland mi apparve sullo schermo. Aggrottai la fronte e lanciai un’occhiata al posto accanto a me nel letto. Gideon non era a casa. Naturalmente, poteva darsi che fosse passato e, avendomi trovata addormentata, fosse andato a dormire nell’appartamento accanto… «Pronto?» risposi, notando che la
sveglia segnava le undici passate. «Eva, sono Chris Vidal. Mi dispiace chiamarti così tardi, ma sono preoccupato per Gideon. Sta bene?» Sentii un vuoto allo stomaco. «Che cosa vuol dire? Cosa c’è che non va con Gideon?» Un attimo di silenzio dall’altra parte. «Non hai parlato con lui stasera?» Scivolai fuori dal letto e accesi la luce. «No, mi sono addormentata.
Che cosa succede?» Imprecò con una foga che mi fece venire la pelle d’oca. «Ci siamo incontrati prima e abbiamo parlato… di quello che tu mi hai raccontato. Non l’ha presa bene.» «Oh, mio Dio.» Mi guardai intorno confusa. Qualcosa
da mettermi. Avevo bisogno di qualcosa da mettermi sopra l’audace body con cui avevo programmato di sedurre Gideon. «Devi trovarlo, Eva» mi incalzò. «Ha bisogno di te adesso.»
«Vado.» Buttai il telefono sul letto e presi un soprabito dall’armadio prima di precipitarmi fuori dalla camera. Recuperai nella borsetta le chiavi dell’appartamento accanto e in un attimo fui sul pianerottolo, dove armeggiai un po’ con la serratura di sicurezza prima di riuscire ad aprire la porta.
La casa era buia e silenziosa come una tomba e le stanze erano vuote. «Dove sei?» urlai nell’oscurità, sentendo un nodo di panico serrarmi la gola. Ritornai nel mio appartamento e, con le mani che tremavano, aprii la app del cellulare che mi consentiva di tracciare quello di Gideon. “Non l’ha presa bene.” Mio Dio, certo che non l’aveva presa bene. Non l’aveva presa bene
neppure quando l’avevo raccontato a Chris. Si era infuriato, era diventato aggressivo, e aveva avuto un orribile incubo. Il puntino rosso si mise a lampeggiare proprio dove avevo sperato. «L’attico.» Mi infilai un paio di infradito e corsi a recuperare la borsetta. «Come diavolo ti sei vestita?» chiese Cary dalla cucina, facendomi sobbalzare. «Cazzo, mi hai spaventata a
morte!» Si aggirava nei pressi del bancone con addosso solo i boxer Grey Isles, il petto e il collo madidi di sudore. Visto che l’aria condizionata funzionava e Trey passava la notte da noi, capii subito perché era così surriscaldato. «E ho fatto bene… Non puoi
uscire così» biascicò. «Sta’ a vedere.» Mi appesi la borsa alla spalla e andai verso la porta. «Sei stravagante, piccola» mi urlò dietro. «Una donna come piace a me.» L’usciere del palazzo di Gideon non fece una piega quando uscii dal taxi, perché naturalmente mi aveva vista conciata anche
peggio. Neppure il portiere batté ciglio, ma anzi mi sorrise e mi salutò per nome, come se non avessi l’aria di una barbona fuori di testa. Anche se in soprabito Burberry. A dispetto delle infradito, raggiunsi più in fretta che potei l’ascensore privato che portava all’attico, aspettai che si aprisse
davanti a me e una volta entrata digitai il codice. La salita fu velocissima, eppure mi sembrò eterna. Avrei voluto camminare avanti e indietro nella piccola cabina elegantemente sistemata, il cui specchio immacolato rifletteva il mio volto preoccupato. Gideon non mi aveva chiamato né mi aveva mandato messaggi, dopo quello eccitante in cui mi prometteva una notte ad alto tasso erotico. Non era venuto da me,
anche solo per dormire nell’appartamento accanto, e a lui non piaceva starmi lontano. Eccetto quando era ferito, e si vergognava. Quando l’ascensore arrivò al piano e le porte si aprirono, una musica heavy metal da spaccare i timpani invase la cabina. Feci una smorfia e mi tappai le orecchie. Il
volume degli altoparlanti incassati nel soffitto era così alto da farmi rabbrividire. C’erano dolore e rabbia nel ritmo violento della musica che mi travolse. Provai una fitta al petto, quando mi resi conto che quella era una manifestazione immediatamente percepibile di ciò che Gideon provava e non riusciva a esprimere. Era troppo controllato, riservato,
le sue emozioni e i suoi ricordi saldamente tenuti a freno. Frugai nella borsetta in cerca del telefono e finii per buttarne a terra l’intero contenuto, che si sparpagliò tra il pavimento dell’ascensore e quello del pianerottolo. Lasciando tutto il resto dove si trovava, recuperai solo lo smartphone e trovai la app che controllava la riproduzione audio, quindi scelsi una musica più soft, abbassai il volume e premetti INVIO.
L’attico piombò nel silenzio per un minuto eterno, prima che i dolci accordi di Collide di Howie Day cominciassero a diffondersi. Sentii Gideon avvicinarsi prima ancora di vederlo, l’aria crepitante della potente energia di un imminente temporale estivo. Girò l’angolo del corridoio che portava
alle camere da letto e mi si bloccò il respiro. Era senza camicia e scalzo, con i capelli setosi arruffati sulle spalle. I pantaloni neri della tuta gli pendevano dai fianchi, mettendo in evidenza la linea scultorea degli addominali. Aveva lividi sul costato e su una spalla, segni di lotta che
rafforzavano ulteriormente l’impressione di una rabbia e di una ferocia trattenute. La canzone che avevo scelto contrastava con il groviglio di emozioni causate da quella visione. Il mio bellissimo, elegante guerriero, l’amore della mia vita, così tormentato che al solo vederlo
mi vennero le lacrime agli occhi. Il cellulare mi scivolò di mano e cadde a terra. «Gideon.» Al suono della mia voce, fece un respiro e mutò espressione. Vidi il cambiamento prodursi in lui e mi diede la sensazione di una porta sbattuta in faccia. Un attimo prima era vibrante di emozione, l’attimo dopo era freddo come il ghiaccio e impenetrabile come il marmo. «Che cosa ci fai qui?» chiese, la voce pericolosamente calma.
«Sono venuta a cercarti.» Sì, perché si era perso. «Non sono una buona compagnia, in questo momento.» «Posso farmene una ragione.» Era troppo immobile, come se avesse paura di spostarsi. «Faresti bene ad andartene. Non è sicuro per te rimanere qui.» Il mio cuore accelerò i battiti e la
consapevolezza mi acuì i sensi. Percepii il suo calore, dall’altra parte della stanza, il suo bisogno, la sua richiesta, e d’un tratto mi sentii venire meno. «Sono più sicura qui che in qualunque altro posto del mondo.» Inspirai profondamente per darmi coraggio. «Chris ti crede?» Tirò indietro la testa. «Come fai a saperlo?» «Mi ha telefonato. È preoccupato per te. Io sono preoccupata per te.»
«Starò bene» tagliò corto, il che mi fece capire che adesso non stava bene per niente. Mi avvicinai a lui, sentendo il fuoco del suo sguardo su di me. «Certo che starai bene, sei sposato con me.» «Devi andartene, Eva.» Feci di no con la testa. «Fa ancora più male quando ti credono, vero? Ti chiedi perché non gliel’hai detto prima. Chissà, forse avresti potuto mettere fine alla cosa più in
fretta, se solo ne avessi parlato con la persona giusta…» «Taci.» «C’è sempre una vocina dentro di noi che pensa che la colpa di quanto accaduto sia nostra.» Chiuse gli occhi, stringendo le palpebre altrettanto forte dei pugni. «Smettila.» Colmai la distanza tra noi. «Che cosa dovrei smettere?» «Smettila di essere quello di cui ho bisogno. Non adesso.»
«Perché no?» I suoi incredibili occhi azzurri si riaprirono di scatto, inchiodandomi a metà di un passo. «Sono appeso a un filo, Eva.» «Non devi» gli dissi allungandogli una mano. «Lasciati andare. Ti prenderò io.» «No.» Scosse la testa. «Non posso… non posso essere delicato.» «Hai voglia di toccarmi.» Contrasse la mascella. «Ho voglia di scoparti. Duramente.»
Mi sentii avvampare. Il fatto che mi trovasse desiderabile nonostante il mio ridicolo abbigliamento era una conferma di quanto mi voleva. «Ne ho voglia anch’io, sempre.» Feci per slacciarmi il soprabito, che durante il tragitto in taxi avevo abbottonato per evitare che qualcuno notasse che ero mezza nuda. Adesso però avevo caldo ed
ero madida di sudore. Gideon si affrettò ad afferrarmi i polsi e a stringerli forte. «Non farlo.» «Non pensi che io sia in grado di gestirti, dopo tutto quello che abbiamo fatto insieme? Tutto quello di cui abbiamo parlato e che progettiamo di fare?» Mio Dio. L’intero suo corpo era in tensione, i muscoli irrigiditi e contratti. E i suoi occhi, splendenti nel volto abbronzato, erano pieni di
angoscia. Il mio Mr Tenebroso e Fatale. Mi prese per un gomito e si avviò. «Che cosa…?» Incespicai. Mi trascinò verso l’ascensore. «Devi andartene.» «No!» mi opposi, scalciando via le infradito e ancorandomi con i piedi al suolo. «Dannazione.» Mi fece girare e mi sollevò di peso, in modo che potessimo guardarci negli occhi.
«Non posso prometterti di fermarmi. Se mi spingo oltre e tu usi la parola di sicurezza potrei non riuscire a trattenermi, e questo ci porterebbe alla dannazione!» «Gideon, per l’amor del cielo, non avere paura di volermi troppo!» «Voglio punirti» ribatté
lui, mettendomi giù e prendendomi il volto tra le mani. «Ecco cos’hai fatto! Hai spinto le cose fino a questo punto. A forza di eccitare la gente… eccitare me, guarda quello che hai combinato.» Il suo fiato sapeva di alcol, il forte effluvio di qualche liquore costoso. Non l’avevo mai visto ubriaco perso – ci teneva troppo all’autocontrollo per
stordirsi completamente –, ma adesso era sbronzo. Il primo barlume di diffidenza si accese in me. «Sì» dissi con voce tremante «è colpa mia. Ti amo troppo. Mi punirai per questo?» «Dio.» Chiuse gli occhi e
appoggiò la fronte calda e sudata contro la mia. Il suo sudore mi bagnò la pelle, impregnandola di quel profumo seducente e virile che era solo suo. Lo sentii calmarsi, rilassarsi impercettibilmente. Inclinai la testa e gli premetti le labbra sulle guance febbricitanti. Si irrigidì. «No.» Mi trascinò sul pianerottolo, scostando con un calcio il contenuto della mia borsetta sparso per terra.
«Basta!» urlai, cercando di divincolarmi. Ma non intendeva darmi ascolto. Quando premette il pulsante di chiamata dell’ascensore privato, le porte si aprirono immediatamente: la cabina era sempre a disposizione per portarlo giù. Mi spinse dentro e, barcollando, andai a sbattere contro la parete di fondo.
Disperata, diedi uno strattone alla cintura del soprabito e, con la forza che derivava dall’urgenza, strappai via i bottoni, facendoli rotolare ovunque. Le porte si stavano chiudendo quando mi girai verso di lui e spalancai il soprabito in modo che potesse vedere che cosa indossavo sotto. Gideon protese un braccio
impedendo la chiusura dell’ascensore e bloccandolo in modo che rimanesse aperto. Il body che indossavo era cremisi – il nostro colore – ed era fatto di niente: maglina di rete trasparente che lasciava vedere il seno e il sesso e stringhe intrecciate che imprigionavano i fianchi. «Puttana» sibilò entrando in quello spazio ristretto e rendendolo
ancora più angusto. «Non puoi smettere di eccitare le persone.» «Sono la tua puttana» ribattei, sentendo scendere le lacrime. Mi addolorava che fosse così arrabbiato con me, anche se lo capivo. Aveva bisogno di sfogarsi e io ero diventata il bersaglio ideale. Mi aveva avvertita… aveva cercato di proteggermi… «Posso prenderti,
Gideon Cross. Posso prendere tutto quello che hai.» Mi bloccò contro la parete con tanta forza da togliermi il respiro, poi mi coprì la bocca con la sua, infilandomi dentro la lingua, mi strizzò rudemente i seni e mi premette forte un ginocchio in mezzo alle gambe. Mi inarcai contro il suo corpo, cercando disperatamente di
togliermi il soprabito. Ero madida di sudore, che mi colava lungo la schiena e la pancia. La bocca sigillata sulla mia, Gideon mi strappò via l’indumento, buttandolo a terra. Con le braccia strette intorno al suo collo e il cuore pieno di sollievo per averlo in mio possesso, emisi un gemito di gratitudine e gli affondai le dita tra i capelli, stringendo la presa e cercando di sollevarmi verso di lui. Gideon si staccò con decisione da
me. «Non toccarmi.» «Vaffanculo» sbottai, troppo ferita per misurare le parole. Solo per fargli un dispetto, mi liberai dalla sua stretta e feci scorrere le mani sulle sue spalle e sui suoi bicipiti duri come la roccia. Mi spinse contro la parete, premendomi una mano sul petto per tenermi ferma. Per quanto colpissi e graffiassi, non riuscii a
spostare il suo braccio d’acciaio e, quando sfilò il cordoncino che chiudeva i pantaloni della tuta, non potei fare altro che rimanere a guardarlo. Desiderio e paura si impadronirono di me. «Gideon…?» Il suo sguardo, tenebroso e tormentato, incontrò il mio. «Riesci a tenere le mani lontane da me?»
«No, non voglio.» Fece un cenno di assenso con la testa e mi liberò, ma solo per girarmi con la faccia contro la parete. Imprigionata dal suo corpo, avevo poco spazio di manovra. «Non lottare con me» ordinò, le labbra sul mio orecchio. Poi mi legò i polsi al corrimano. Mi paralizzai, sbalordita dal fatto che stesse facendo davvero una cosa del genere. Lo stupore e l’incredulità erano tali che quasi non
mi divincolai. Fu solo dopo averlo visto annodare il cordoncino che mi resi conto che faceva sul serio. Poi mi prese per i fianchi, mi spinse di lato i capelli e mi affondò i denti in una spalla. «Dico io quando.» Boccheggiai, dando uno strattone per liberare le mani. «Che cosa stai facendo?» Non mi rispose. Se ne andò, e basta. Girandomi quel tanto che mi
riuscì, lo vidi dirigersi in salotto proprio mentre le porte dell’ascensore si chiudevano. «Oh, mio Dio» mormorai. «Non è possibile.» Era inconcepibile che mi avesse liquidata così… legata in ascensore con addosso solo la lingerie. Adesso era confuso e arrabbiato, d’accordo, ma non potevo credere che, solo
per sbarazzarsi di me, il mio gelosissimo marito mi avesse esposta in quel modo a chiunque fosse passato nell’atrio. «Gideon, dannazione! Non osare lasciarmi qui dentro così. Mi senti? Riporta qui il culo.» Diedi uno strattone alla corda che mi bloccava i polsi, ma era annodata
stretta. Passarono i secondi, poi i minuti. L’ascensore non si muoveva e, dopo avere urlato fino a perdere la voce, mi resi conto che non l’avrebbe fatto. Aspettava che qualcuno premesse un bottone… attendeva il comando di Gideon. Proprio come me. Lo avrei preso a calci nel sedere, una volta tornata libera. Non ero
mai stata così incazzata. «Gideon!» Mi piegai e indietreggiai, poi sollevai e allungai una gamba per raggiungere il pulsante di apertura delle porte e lo premetti con l’alluce. Non appena si aprirono, feci un profondo respiro per mettermi a urlare… … ma mi bloccai subito davanti alla scena che vidi riflessa nello specchio. Gideon stava attraversando il salotto
e veniva verso il p i a n e r o t t o l o … completamente nudo, bagnato dalla testa ai piedi e con un’erezione che gli toccava quasi l’ombelico. Teneva la testa piegata all’indietro mentre beveva acqua da una bottiglia,
e camminava con un passo sciolto e disinvolto che non toglieva nulla al suo atteggiamento predatorio. Quando si avvicinò, mi irrigidii, ansimando per le emozioni che si scatenavano in me e al tempo stesso per il folle desiderio che mi invadeva. Stronzo o meno che fosse, lo volevo con un’intensità contro la quale
non potevo combattere. Gideon era complicato e sexy, guasto e perfetto. «Ecco.» Mi avvicinò alle labbra un bicchiere di cristallo, che non avevo notato perché ero troppo intenta a divorare con gli occhi il suo magnifico corpo. Quando lo inclinò, il liquido ambrato che lo riempiva quasi per intero mi bagnò le labbra e io aprii istintivamente la bocca per inghiottirlo.
Il liquore era fortissimo e mi bruciò la lingua e la gola, facendomi tossire. Gideon aspettò, guardandomi con gli occhi semichiusi. Dopo la doccia, odorava di pulito e di fresco. «Finiscilo.» «È troppo forte» protestai.
Lui si limitò a versarmene in bocca un’altra sorsata. Gli sferrai un calcio, imprecando perché l’unico risultato che ottenni fu quello di farmi male a un piede, mentre lui rimase impassibile. «Basta!» Lasciò cadere la bottiglia d’acqua vuota e mi prese il viso tra le mani, asciugandomi con il pollice una goccia di liquore sul mento. «Devi permettere che io mi tranquillizzi e darti una calmata. Se continuiamo
così, ci faremo a pezzi.» Una stupida lacrima mi spuntò nell’angolo di un occhio. Quando la vide rotolare lungo la guancia, Gideon gemette e si piegò su di me, per leccarne la scia salata. «Sono a pezzi e tu mi prendi a pugni. Non posso sopportarlo, Eva.» «E io non posso sopportare che tu mi chiuda fuori» sussurrai, strattonando la maledetta corda. Il liquore mi aveva acceso il fuoco
nelle vene e l’ebbrezza cominciava già a offuscarmi i sensi. Mise una mano sopra la mia per bloccare i miei movimenti inconsulti. «Fermati! Ti farai male.» «Liberami.» «Se mi tocchi, non posso rimanere calmo. Sono appeso a un filo» disse ancora una volta, e sembrava disperato. «Non posso
spezzarlo. Non con te.» «Con qualcun’altra?» La mia voce divenne stridula. «Hai bisogno di qualcun’altra?» Nemmeno io potevo rimanere calma. Nel nostro rapporto Gideon era la roccia, l’àncora. Pensavo di poter essere la stessa cosa per lui. Volevo essere il suo rifugio, il suo porto sicuro. Ma lui non aveva bisogno di un rifugio contro la tempesta, lui era la tempesta. E io non ero abbastanza forte per
sopportare il peso del suo umore devastante. «No, dannazione.» Mi baciò con forza. «Tu hai bisogno che io sia al comando. Io ho bisogno di essere al comando quando sono con te.» Sentii montare il panico. Lo sapeva. Sapeva che non ero abbastanza. «Eri diverso con le altre. Non ti ritraevi…» «Cazzo!» Gideon si girò e sferrò un pugno al pannello dei comandi. Le porte si aprirono sulle note di
Possession di Sarah McLachlan e lui scagliò il bicchiere contro la parete del pianerottolo. «Sì! Ero diverso. Tu mi hai reso diverso.» «E tu mi odi per questo.» Cominciai a piangere, afflosciandomi contro la parete dell’ascensore. «No.» Mi circondò con le braccia, il suo corpo fresco e bagnato premuto contro la mia schiena.
Strofinò il volto sul mio, abbracciandomi così stretta che riuscivo a malapena a respirare. «Ti amo. Sei mia moglie. La mia dannata vita. Sei tutto.» «Voglio solo aiutarti» dissi. «Voglio esserci per te, ma tu non
me lo permetterai.» «Dio mio, Eva.» Le sue mani cominciarono a muoversi, a coccolare, ad accarezzare, a lenire. «Non posso fermarti. Ho troppo bisogno di te.» Afferrai il corrimano con
entrambe le mani, la guancia premuta contro lo specchio freddo. Il liquore cominciò a fare il suo effetto magico. Un forte languore mi pervase, soffocando la rabbia e ciò che rimaneva della resistenza che avevo opposto fino a farle scomparire, e lasciandomi triste, impaurita e disperatamente, spaventosamente innamorata. La mano di Gideon si insinuò tra
le mie gambe, accarezzando, frugando. Poi, con un violento strattone, lui aprì il fermaglio che teneva insieme la parte anteriore e quella posteriore del body e io gemetti sentendo la pressione allentarsi improvvisamente. Ero bagnata ed eccitata sia per gli abili
movimenti delle sue dita sul mio sesso sia per il ricordo di come lui mi era apparso mentre veniva verso di me. Lasciai ricadere la testa all’indietro sulla sua spalla e lo guardai riflesso nello specchio. Aveva gli occhi chiusi e le labbra semiaperte. La
vulnerabilità impressa sul suo stupendo viso mi annientò. Soffriva così tanto, e io non potevo sopportarlo. «Dimmi che cosa posso fare» sussurrai. «Dimmi come aiutarti.» «Ssh.» Mi sfiorò l’orecchio con la lingua. «Lasciami assestare.» La carezza leggera come una piuma del suo pollice sulla maglina che mi copriva i capezzoli mi stava facendo impazzire e il dolce insinuarsi delle sue dita tra le
pieghe del mio sesso mi faceva fremere. Sapeva dove toccarmi e come sollecitarmi. Gridai quando mi infilò dentro due dita e mi sollevai sulla punta dei piedi. Avevo le ginocchia molli e le gambe tremanti, l’aria dentro l’ascensore era pesante e satura di vapore. «Mio Dio!» Gideon gemette quando il mio sesso si strinse intorno a lui e fece ondeggiare i fianchi in modo che la sua erezione
mi premesse contro il sedere. «Sto per riempire di lividi questa fighetta, Eva. Non posso evitarlo.» Mi abbracciò la vita e mi sollevò, tirandomi indietro in modo che fossi china e con le braccia tese in avanti, poi mi fece piegare le gambe e sfilò le dita umide dalla mia fessura. Lo sentii afferrarmi il
fianco con una mano e poi introdurmi tra le natiche l’ampia punta del pene fino a raggiungere le labbra del mio sesso. Trattenni il respiro, contorcendomi sotto quella goduriosa pressione. Era tutto il giorno che lo volevo e impazzivo dal desiderio di sentire il suo grosso
membro dentro di me: avevo bisogno che mi facesse venire. «Aspetta» gemette, tenendosi con una mano al mio fianco e con l’altra alla spalla e stringendo le dita con impazienza. «Lasciami…» La vagina si contrasse, serrandogli la punta del pene in una morsa. Gideon imprecò e spinse, un
colpo duro che lo fece entrare con decisione. Gridai per il dolore e il piacere, inarcandomi quando la sua erezione mi riempì e sentendo il bruciore dei muscoli interni e dei tessuti morbidi che si distendevano. «Sì» sibilò, tirandomi indietro e penetrandomi in profondità, poi fece ondeggiare i fianchi, i testicoli pesanti contro il mio clitoride turgido. «Maledettamente stretta…»
Gemetti e cercai di tenermi aggrappata al corrimano. Il mio corpo tremò quando lui cominciò a scoparmi. La sensazione di essere riempita così completamente e poi improvvisamente svuotata era devastante. Le mie ginocchia cedettero e la parte più intima di
me ebbe uno spasmo di piacere nell’essere presa con forza e a fondo. Tutte le emozioni che Gideon teneva chiuse in sé si conficcarono dentro di me, mentre i colpi incessanti del suo pene sollecitavano ogni nervo sensibile. Venni prima ancora di sentire arrivare l’orgasmo e gemetti il suo nome
intanto che il piacere scuoteva il mio corpo con violenti tremiti. Lasciai cadere la testa tra le sue braccia, i muscoli deboli e impotenti. Lui mi sostenne con le
mani, con la sua erezione, usando il mio corpo, impadronendosene, emettendo grugniti primitivi ogni volta che i suoi affondi andavano a segno. «Così profondo» ringhiò. «Così bello.» Con la coda dell’occhio colsi i suoi gesti, il
mio sguardo annebbiato calamitato dal nostro riflesso. Con un basso grido di dolore cominciai a venire di nuovo, ammesso che avessi mai smesso di farlo. Gideon era la cosa più intensamente erotica che avessi mai visto: i suoi bicipiti duri e massicci che sostenevano il mio peso, le cosce che si tendevano per lo sforzo, le natiche che si contraevano mentre lui pompava,
gli addominali che assecondavano con forza il movimento dei suoi fianchi. Ogni affondo lo spingeva sempre più dentro di me, facendogli colpire ripetutamente i punti più sensibili e procurandomi un godimento tale che a un certo punto non riuscii più a resistere e mi lasciai travolgere da un altro orgasmo come da un’onda di marea. «Basta!» gemette. «Prosciugami, angelo. Dio… mi stai facendo
venire.» Sentendo il suo pene farsi ancora più grosso e lungo, fremetti e annaspai in cerca d’aria. Gideon tirò indietro la testa e ruggì come un animale, mentre emetteva il suo getto bollente. Mi afferrò i fianchi e venne con forza e incessantemente, riempiendomi finché il suo seme fuoriuscì dal mio sesso e mi colò lungo le cosce. Rallentò il movimento dei fianchi,
boccheggiando e piegandosi in avanti per premere la guancia contro la mia spalla. Le ginocchia mi cedettero: fui sul punto di cadere. «Gideon…» Mi tirò su. «Non ho finito» disse ruvidamente, ancora duro e saldo dentro di me. Poi cominciò di nuovo. Mi svegliai sentendo i suoi capelli che mi sfioravano la spalla e labbra calde e decise che mi baciavano. Sfinita, cercai di rotolare via, ma un
braccio intorno alla vita mi trattenne. «Eva» disse lui con la voce roca. Le sue mani si chiusero a coppa sui miei seni e le sue dita esperte mi sfregarono i capezzoli. Era buio e noi eravamo a letto, anche se quasi non ricordavo che mi ci avesse portata. Mi aveva
spogliata e lavata con un panno umido e mi aveva coperto di baci il viso e i polsi, che adesso erano unti di unguento e bendati con cura. Le sue carezze sulla pelle irritata, un mix di piacere e dolore, mi avevano eccitato e lui se n’era accorto. Con lo sguardo pieno di lussuria mi aveva aperto le gambe e mi aveva divorata con un’insistenza e un’urgenza che mi avevano privata della capacità di pensare o di
muovermi. Mi aveva leccato e succhiato il sesso all’infinito, fino a farmi perdere il conto delle volte in cui la sua favolosa lingua mi aveva portato all’orgasmo. «Gideon…» Girai la testa e gli lanciai un’occhiata. Era appoggiato su un gomito e i suoi occhi brillavano nella luce debole della luna. «Sei rimasto insieme a me?» Anche se forse non aveva senso sperare che mi fosse rimasto accanto
mentre dormivo, condividere il letto con lui era qualcosa che adoravo, e desideravo intensamente. Annuì. «Non potevo lasciarti.» «Sono contenta.» Mi fece rotolare sopra di lui, prendendomi la bocca e baciandomi dolcemente. Le seducenti carezze della sua lingua mi eccitarono di nuovo, facendomi gemere. «Non posso smettere di toccarti»
sussurrò, afferrandomi la nuca per tenermi ferma, poi mi baciò più a fondo, solleticandomi delicatamente il labbro inferiore con i denti. «Quando ti tocco, non penso a nient’altro.» Provai tenerezza e amore. «Posso toccarti anch’io?» Chiuse gli occhi. «Per favore» supplicò.
Gli feci scivolare le mani tra i capelli per tenerlo stretto come lui teneva stretta me, poi gli accarezzai la lingua con la mia, le nostre bocche calde e umide, le gambe intrecciate, il mio corpo inarcato per premere contro la solidità del suo. Mugolò
piano e mi fece rallentare, girandosi per bloccarmi contro il materasso. Ruppe il sigillo delle nostre labbra, mordicchiando, succhiando, tracciando il contorno della mia bocca con la punta della lingua. Mi dimenai in segno di protesta, perché volevo che mi desse di più e con maggiore intensità. Invece, mi
leccò con calma, solleticandomi il palato e la parte interna delle guance. Strinsi le gambe attirandolo più vicino a me. Lui mosse i fianchi premendomi l’erezione contro le cosce. Mi baciò finché le mie labbra non furono calde e gonfie e il sole spuntò in cielo. Mi baciò finché non venne in un getto bollente contro la mia pelle. Non una, ma due volte. La sensazione di lui che veniva, il suono dei suoi gemiti di piacere, la
consapevolezza che potevo portarlo all’orgasmo solo con il mio bacio… fecero sì che lo stuzzicassi con il mio bisogno finché non venni anch’io. Quando cominciò il nuovo giorno, Gideon colmò la distanza che aveva messo tra noi in ascensore. Fece l’amore con me senza sesso, mi assicurò la sua devozione facendo di me il centro del suo mondo. Non c’era nulla oltre i confini del nostro letto. Soltanto noi e un amore che
ci spogliava proprio mentre faceva di noi un tutto unico. Quando mi svegliai di nuovo, trovai Gideon che dormiva accanto a me, le labbra gonfie di baci quanto le mie. Il suo volto, a riposo, era disteso, ma il lieve cipiglio tra le sue sopracciglia mi diceva che non stava riposando così profondamente come avrei voluto. Era sdraiato su un fianco, il corpo allungato di traverso sul materasso e le lenzuola attorcigliate intorno alle gambe.
Era tardi, quasi le nove, ma non avevo il coraggio né di svegliarlo né di lasciarlo. Non lavoravo da abbastanza tempo per potermi permettere un giorno di assenza, ma decisi di prendermelo ugualmente. Mettevo al primo posto le mie necessità quando si trattava della mia carriera, dandole il potere di
incunearsi tra noi un giorno. Sapevo che il mio desiderio di essere indipendente non era sbagliato, e tuttavia in quel momento non mi sembrava nemmeno giusto. Mi infilai una T-shirt e un paio di boxer e scivolai fuori dalla camera, percorrendo il corridoio fino allo studio di Gideon, dove il suo smartphone suonava con insistenza, quasi a protestare che lui non sentisse la sveglia. Lo spensi e andai in cucina.
Ricapitolando mentalmente le cose che dovevo fare, chiamai l’ufficio e lasciai un messaggio a Mark per avvisarlo che non sarei andata al lavoro a causa di un’emergenza familiare. Poi chiamai Scott e lasciai anche a lui un messaggio per comunicare che Gideon non sarebbe arrivato per le nove e forse non sarebbe arrivato del tutto. Gli dissi anche di chiamarmi, così
ne avremmo parlato. Speravo di tenere mio marito a casa tutto il giorno, anche se dubitavo che lui sarebbe stato d’accordo. Avevamo bisogno di un po’ di tempo insieme… tempo per guarire. Recuperai il mio smartphone nell’ingresso e chiamai Angus. Rispose al primo squillo. «Salve, Mrs Cross. Lei e Mr Cross
siete pronti a uscire?» «No, Angus, per ora rimaniamo qui. Non so bene se lasceremo l’attico oggi. Mi chiedevo se lei sapesse dove Gideon si procura quelle bottigliette di “cura” contro la sbornia.» «Sì, certo. Gliene serve una?» «Può darsi che Gideon ne abbia bisogno, quando si sveglia. Mi piacerebbe averla sottomano, nel caso in cui servisse.» Ci fu un attimo di silenzio. «Se
posso permettermi di chiederlo» disse, con un accento scozzese particolarmente marcato, «ha qualcosa a che fare con la visita di Mr Vidal di ieri sera?» Mi strofinai la fronte, avvertendo i segnali premonitori di un
imminente mal di testa. «Ha tutto a che fare con quella visita.» «Chris gli crede?» domandò piano. «Sì.» Sospirò. «Accidenti, ecco perché. Il ragazzo non sarà stato preparato per una cosa del genere. Negazione e rifiuto sono ciò che conosce e che è in grado di gestire.» «L’ha presa male.» «Sì, ne sono sicuro. Per fortuna ha lei, Eva. Lei farà la cosa giusta
per lui, anche se forse gli ci vorrà tempo per rendersene conto. Le procurerò la “cura”.» «Grazie.» Dopo avere sistemato quella faccenda, mi dedicai a rimettere in ordine la casa. Per prima cosa lavai il decanter e il bicchiere vuoto che trovai sul bancone della cucina, poi presi scopa e paletta e tirai su i vetri rotti sul pianerottolo. Mentre raccoglievo tutte le cose che erano cadute dalla mia borsetta, mi
chiamò Scott e parlai con lui e, quando terminai la chiamata, provvidi a pulire la parete e il pavimento per togliere le macchie di brandy. Gideon aveva detto che si sentiva a pezzi ieri notte. Non volevo che si svegliasse e trovasse il suo appartamento ridotto in quello stato.
I l nostro appartamento, mi corressi. La nostra casa. Dovevo cominciare a pensare in quei termini, e così pure Gideon. Dovevamo parlare del fatto che aveva cercato di buttarmi fuori. Se io intendevo impegnarmi di più per legare le nostre vite, lui doveva fare altrettanto. Avrei voluto parlare di tutta quella faccenda con qualcuno, un
amico che mi ascoltasse e mi desse un saggio consiglio. Cary o Shawna. Perfino Steven, che aveva qualcosa che lo rendeva una persona con cui era molto facile comunicare. C’era anche il dottor Petersen, ma non era la stessa cosa. Gideon e io avevamo segreti che per ora potevamo condividere solo l’uno con l’altra e che ci tenevano isolati e reciprocamente dipendenti. Chi aveva abusato di noi non ci aveva portato via solo l’innocenza,
ci aveva portato via anche la libertà. Era passato molto tempo da quegli abusi, e tuttavia eravamo ancora tutti e due prigionieri della falsa facciata dietro cui vivevamo. Prigionieri delle menzogne, ma in un modo diverso. Avevo appena finito di pulire tutti gli sbaffi dal vetro dell’ascensore, quando la cabina cominciò a muoversi verso il basso con me dentro. Indossavo solo T-shirt e boxer.
«Non può essere!» mormorai, togliendomi i guanti di gomma e cercando di sistemarmi i capelli. Dopo quella movimentata notte con Gideon ero ridotta da schifo. Le porte si aprirono e Angus fece per entrare nell’ascensore, ma si bloccò quando mi vide. Mi spostai, cercando di nascondere la corda ancora attaccata al corrimano dietro di me. Gideon l’aveva tagliata con le forbici, liberandomi i polsi ma lasciando la prova del
fatto. «Oh, salve» dissi, muovendomi a disagio per l’imbarazzo. Non c’era un modo decente di spiegare come mai, quando Angus aveva chiamato l’ascensore per salire, mi trovavo lì dentro mezza nuda e con un paio di guanti gialli in mano. E, quel che era peggio, le mie labbra erano così rosse e gonfie dopo avere baciato Gideon per ore
che non consentivano di mentire su quello che avevo fatto tutta la notte. Un lampo divertito illuminò gli occhi azzurro pallido di Angus. «Buongiorno, Mrs Cross.» «Buongiorno, Angus» replicai, cercando di assumere un atteggiamento
il più possibile dignitoso. Mi allungò una bottiglietta della “cura” contro la sbornia, che, secondo me, era semplicemente un mix di alcol e vitamine. «Ecco qui.» «Grazie» dissi con sincerità, ancora più grata per il fatto che non mi aveva fatto domande. «Mi chiami se ha bisogno di qualcosa. Sono nei paraggi.»
«Lei è il migliore, Angus.» Premetti il pulsante di risalita per tornare nell’attico. Quando le porte dell’ascensore si aprirono, sentii suonare il telefono dell’appartamento. Corsi in casa a piedi nudi e afferrai il cordless dalla sua base in cucina, sperando che gli squilli non avessero svegliato Gideon. «Pronto?»
«Eva, sono Arash. Cross è con te?» «Sì, sta ancora dormendo, penso. Vado a controllare.» E mi avviai lungo il corridoio. «Non è ammalato, vero? Non lo è mai.» «C’è una prima volta per tutto.» Facendo capolino dalla porta della camera, vidi mio marito
meravigliosamente immerso nel sonno, con la faccia affondata nel mio cuscino, che teneva stretto tra le braccia. Entrai in punta di piedi per mettere la bottiglietta di “cura” contro la sbornia sul comodino e uscii senza fare rumore, chiudendomi la porta alle spalle «Dorme ancora come un sasso» sussurrai.
«Wow. Okay, cambio di programma. Ci sono alcuni documenti che tutti e due dovete firmare entro le quattro
del pomeriggio di oggi. Ve li faccio recapitare da un corriere. Datemi un colpo di telefono quando li avete firmati, così li mando a ritirare.» «Io devo firmare qualcosa? Di che si tratta?» «Gideon non te l’ha detto?» Scoppiò a ridere. «Be’, non ti rovinerò la sorpresa. Lo vedrai quando ti arriveranno. Chiamatemi se ci sono domande che volete farmi.»
«Okay, grazie» borbottai sottovoce. Riagganciai e lanciai un’occhiata alla porta della camera in fondo al corridoio. Che cosa combinava Gideon? Mi faceva impazzire che organizzasse le cose e gestisse i problemi senza parlarmene. Il mio smartphone si mise a squillare in cucina. Attraversai di corsa il salotto per andare a
recuperarlo e guardai lo schermo: il numero che era apparso non mi diceva nulla ma la telefonata veniva chiaramente da New York. «Dio santo» mormorai. Erano da poco passate le dieci del mattino e mi sembrava di avere già sulle spalle un’intera giornata di lavoro. Come cavolo faceva Gideon a essere occupato su più fronti contemporaneamente? «Pronto?» «Eva, sono di nuovo Chris. Mi sono fatto dare il tuo numero da
Ireland, spero che non ti dispiaccia.» «No, va benissimo. Mi dispiace di non averla richiamata prima. Non volevo farla preoccupare.» «Allora, Gideon sta bene?» Raggiunsi uno sgabello e mi sedetti. «No, è stata una brutta notte.»
«L’ho cercato in ufficio, ma mi hanno detto che non c’è stamattina.» «Siamo a casa. Lui sta ancora dormendo.» «È una brutta faccenda, quindi.» Conoscevo bene mio marito. Era una persona abitudinaria, con una vita
rigidamente ordinata e compartimentata. Qualunque deviazione dallo schema prestabilito era talmente rara da suscitare preoccupazione. «Starà bene» gli garantii. «Me ne assicurerò personalmente. Ha solo bisogno di tempo.»
«C’è niente che io possa fare?» «Se mi viene in mente qualcosa glielo faccio sapere, Chris.» «Grazie.» Sembrava stanco e preoccupato. «Grazie per avermi informato e per essergli vicina. Avrei voluto esserci quando è successo. Adesso dovrò convivere con il fatto che non c’ero.» «Tutti noi dovremo conviverci. Non è colpa sua, Chris. Non rende le cose più facili, lo so, ma deve tenerlo presente o finirà per
autoflagellarsi, e questo non aiuterà Gideon.» «Sei più saggia della tua età, Eva. Sono davvero contento che Gideon ti abbia accanto.» «Sono stata fortunata a incontrarlo» dissi a bassa voce. «Decisamente.» Quando terminai la telefonata, non potei fare a meno di pensare a
mia madre. Vedere quello che Gideon stava passando me la faceva apprezzare ancora di più. Lei c’era stata per me, aveva lottato per me. Era anche lei in preda al senso di colpa, il che la rendeva iperprotettiva fino alla follia, ma se non ero stata così completamente annientata come lo era stato Gideon lo dovevo proprio al suo amore. La chiamai e rispose al primo squillo.
«Eva, mi stai deliberatamente evitando. Come pensi che possa organizzare il tuo matrimonio se non mi dai nessuna indicazione? Ci sono così tante cose da decidere e se prendo la decisione sbagliata, tu…» «Ciao, mamma» la interruppi. «Come stai?» «Stressata» disse con la sua abituale voce ansimante,
che stavolta suonava piuttosto accusatoria. «Come potrebbe essere altrimenti? Sto organizzando uno dei giorni più importanti della tua vita completamente da sola e…» «Pensavo che potremmo vederci sabato e risolvere la faccenda, se
per te va bene.» «Davvero?» La nota piacevolmente speranzosa che colsi nella sua voce mi fece sentire in colpa. «Sì, davvero.» Credevo che questa seconda cerimonia nuziale interessasse più che altro a mia madre, ma mi sbagliavo. Era importante anche per me e per Gideon, un’altra opportunità per
sancire il nostro indissolubile legame. A beneficio non del resto del mondo, ma di noi due. Lui doveva smetterla di mettermi da parte per proteggermi e io dovevo smetterla di preoccuparmi di scomparire, una volta diventata Mrs Gideon Cross. «Sarebbe stupendo,
Eva! Potremmo fare un brunch con la wedding planner qui da me e passare tutto il pomeriggio a esaminare le varie possibilità.» «Voglio una cosa sobria, mamma, intima.» Prima che potessi protestare, mi feci sotto con la soluzione proposta da Gideon. «Possiamo sbizzarrirci quanto vuoi
con il ricevimento, ma la cerimonia dev’essere ristretta.» «Eva, la gente si offenderà se la invitiamo al ricevimento e non alla cerimonia.» «In realtà non me ne importa. Non mi sposo per la gente. Mi sposo perché amo l’uomo dei miei sogni e intendo passare il resto della mia vita insieme a lui. Voglio che l’attenzione sia concentrata su questo.» «Tesoro…» Sospirò, come se
fosse disorientata. «Possiamo parlarne con calma sabato.» «Okay, ma non cambierò idea.» Sentendo un brivido corrermi lungo la schiena, mi girai. Gideon era in piedi appena oltre la soglia della cucina e mi guardava. Indossava gli stessi pantaloni della tuta della sera prima e aveva i capelli spettinati e le palpebre pesanti di sonno.
«Devo andare» dissi a mia madre. «Ci vediamo nel weekend. Ti voglio bene.» «Ti voglio bene anch’io, Eva, è per questo che desidero solo il meglio per te.» Conclusi la telefonata e posai il telefono sul bancone, poi scesi dallo sgabello e affrontai Gideon. «Buongiorno.»
«Non sei al lavoro» disse con la voce più roca e sexy del solito. «Nemmeno tu.» «Ci vai in ritardo?» «No, e nemmeno tu.» Mi avvicinai a lui e gli cinsi la vita con le braccia. Aveva ancora su di sé il tepore del letto. Il mio assonnato, sensuale sogno divenuto realtà.
«Oggi ci imbuchiamo, asso. Solo tu e io che ce ne stiamo in pigiama e ci rilassiamo.» Mi strinse un braccio intorno alla vita e con la mano libera mi scostò i capelli dal viso. «Non sei arrabbiata?» «E perché dovrei esserlo?» Mi alzai sulla punta dei piedi e gli diedi
un bacio. «E tu sei arrabbiato con me?» «No.» Mi prese la testa tra le mani a coppa e avvicinò il mio volto al suo. «Sono contento che tu sia qui.» «Io sarò sempre qui, finché morte non ci separi.» «Stai organizzando il matrimonio.» «Hai sentito, eh? Se hai qualche
richiesta, falla ora o taci per sempre.» Rimase in silenzio abbastanza a lungo da lasciarmi credere che non avesse nulla da aggiungere. Piegai la testa, gli catturai la bocca e gli diedi un bacio rapido ma affettuoso. «Hai visto che cosa ti ho lasciato accanto al letto?» «Sì, grazie.» L’ombra di un sorriso gli aleggiò sulle labbra. Aveva l’aria di un uomo che è stato scopato per bene, il che mi
riempiva di orgoglio femminile. «Per quanto riguarda l’ufficio, ho avvisato io. Arash però ha detto che deve mandarci alcuni documenti e non ha voluto anticiparmi di che cosa si trattava.» «Immagino che dovrai aspettare per scoprirlo.» Gli accarezzai le sopracciglia con la punta delle dita. «Come stai?»
Si strinse nelle spalle. «Non lo so. In questo momento mi sento uno schifo.» «Propongo di riprendere in considerazione il bagno che ti sei perso ieri sera.» «Mmh, mi sento già meglio.» Lo presi per mano e feci per avviarmi verso la camera da letto. «Voglio essere l’uomo dei tuoi
sogni» disse, cogliendomi di sorpresa. «Lo voglio più di qualunque altra cosa.» Lo guardai. «Lo sei già.» Fissai il contratto che avevo di fronte, con un misto di amore e
gioia e il cuore che batteva tumultuosamente. Alzai lo sguardo non appena Gideon entrò nella stanza, i capelli ancora umidi dopo il bagno e le gambe inguainate in un paio di pantaloni del pigiama di seta nera. «Stai comprando la casa negli Outer Banks?» gli chiesi. Mi serviva la sua conferma, anche se avevo la prova davanti agli occhi. Piegò la bocca sensuale in un sorriso. «Stiamo comprando la casa.
Eravamo d’accordo che l’avremmo fatto.» «Ne abbiamo parlato.» Il prezzo concordato era piuttosto sconcertante, il che mi diceva che non era stato facile convincere i proprietari. E Gideon aveva chiesto loro di trasferire insieme alla proprietà la copia di Codice cinque e l’arredamento
della camera matrimoniale. Pensava sempre a tutto. Si sedette sul divano alle mie spalle. «Adesso stiamo passando all’azione.» «Gli Hamptons sarebbero più vicini. O il Connecticut.» «È un viaggio da niente in jet.» Mi sollevò il mento con un dito e premette le labbra sulle mie. «Non preoccuparti
della logistica» mormorò. «Siamo stati felici là. Ti vedo ancora mentre cammini sulla spiaggia e ricordo il bacio che ti ho dato sul pontile… e quando ti ho fatta stendere su quel grande letto bianco. Sembravi un angelo e quella casa, per me, era il paradiso.» «Gideon.» Appoggiai la fronte alla sua. Lo amavo così tanto! «Dove dobbiamo firmare?»
Si ritrasse e fece scorrere il contratto, individuando il primo segno giallo accanto allo spazio per la firma. Si guardò intorno e io aggrottai la fronte. «Dov’è la mia penna?» Mi alzai in piedi. «Ne ho una nella borsetta.» Mi prese per un polso e mi fece sedere di nuovo. «No, ho bisogno della mia penna. Dov’è la busta che conteneva il contratto?» L’adocchiai sul pavimento tra il
divano e il tavolino, dove l’avevo lasciata cadere quando mi ero resa conto di che cosa ci aveva mandato Arash. Allungando la mano per raccoglierla, mi resi conto che era ancora pesante e, quando la capovolsi sul tavolo per far uscire quel che c’era dentro, ne vennero fuori una stilografica e una piccola fotografia. «Ecco qui» disse
Gideon, prendendo la penna e facendo la sua firma sulla linea tratteggiata. Mentre sfogliava le pagine del documento, guardai la foto e sentii una stretta al petto. Era uno scatto di lui e suo padre: quello di cui mi aveva parlato nella Carolina del Nord. Gideon doveva avere quattro o cinque anni, il volto aggrottato per la concentrazione mentre aiutava suo padre a fare un castello di sabbia. Geoffrey Cross
era seduto di fronte a suo figlio, i capelli neri erano scompigliati dalla brezza dell’oceano e il volto stupendo sembrava quello di una star del cinema. Indossava solo i pantaloncini da bagno ed esibiva un fisico molto simile a quello di Gideon da adulto. «Wow!» mormorai, sapendo già che avrei fatto delle copie di quella foto e le avrei incorniciate per metterle in tutte le case in cui vivevamo. «L’adoro.»
«Qui.» Mi spinse davanti il contratto, insieme alla stilografica. Misi giù la foto e presi in mano la penna, notando che vi erano incise le iniziali “GC”. «Sei superstizioso o cosa?» «Era di mio padre.» «Oh.» Lo guardai. «Firmava tutto con quella. Non andava da nessuna parte se non l’aveva nel taschino.» Si scostò i capelli dal viso. «Ha distrutto il nostro nome con quella penna.»
Gli misi una mano sulla coscia. «E con la stessa penna tu lo stai ricostruendo, l’ho capito.» Mi accarezzò la guancia con la punta delle dita, lo sguardo dolce e luminoso. «Sapevo che l’avresti fatto.» 15 «Suite separate… un classico.» Blaire Ash sorrise, facendo correre la penna sul grosso blocco che teneva in mano. Percorse con lo sguardo la
camera da letto di Eva nell’attico, quella che gli avevo fatto progettare specificatamente perché fosse identica alla stanza che mia moglie aveva nel suo appartamento nell’Upper West Side. «Che tipo di cambiamento avete in mente?» chiese l’architetto. «Vorreste fare tabula rasa oppure vi
basta la modifica strutturale minima necessaria a unire le due stanze?» Lasciai che a rispondere fosse Eva. Per me era difficile partecipare, sapendo che nessuno di noi due voleva sul serio quel cambiamento. Ben presto la nostra casa sarebbe stata il riflesso di quanto ero incasinato e dell’impatto
disastroso che i miei problemi avevano sul nostro matrimonio. Tutta quella cosa mi faceva lo stesso effetto di una coltellata allo stomaco. Lei mi lanciò un’occhiata, poi chiese: «Come verrebbe intervenendo il meno possibile?». Ash sorrise, rivelando denti leggermente storti. Era attraente, o almeno così la pensava Ireland, ed
era vestito come sempre: jeans strappati e T-shirt con una giacca su misura. Non poteva importarmene di meno del suo aspetto. Ciò che mi interessava era il suo talento, che apprezzavo al punto da avergli affidato sia il design del mio ufficio sia quello di casa mia. Quello che non mi piaceva era il modo in cui guardava
mia moglie. «Potremmo limitarci a modificare il layout del bagno e aprire un passaggio ad arco in questa parete, unendo le due stanze attraverso il bagno.» «È esattamente quello che ci serve» disse Eva. «Ottimo. Veloce ed efficiente, e i lavori non vi disturberanno troppo. Oppure» proseguì «potrei farvi vedere alcune alternative.» «Tipo?»
Si spostò accanto a Eva, così vicino da sfiorarle la spalla. Ash era biondo quasi come lei e quando abbassò la testa per parlarle l’effetto creato da loro due fu notevole. «Se usiamo i metri quadrati di tutte e tre le stanze più il bagno» disse, rivolto solo a lei come se io non ci fossi «potrei realizzare una suite equilibrata e simmetrica. Le camere da letto sarebbero delle stesse
dimensioni, e ciascuna avrebbe il suo ufficio, o un salottino, se preferisce.» «Oh.» Eva si mordicchiò il labbro inferiore con aria assente. «Non riesco a credere che l’abbia schizzato così in fretta.»
Lui le strizzò l’occhio. «Rapido e accurato, è il mio motto. E farò il lavoro così bene che penserà a me quando vorrà rifarlo.» Mi appoggiai al muro e incrociai le braccia, osservandoli. Eva sembrava ignara della battuta a doppio senso dell’architetto. Non si poteva dire lo stesso di me. Suonò il telefono di casa e lei
alzò la testa, guardandomi. «Scommetto che è Cary.» «Perché non rispondi tu, angelo?» dissi. «Magari potresti andare a prenderlo, condividere l’entusiasmo.» «Sì!» Mi accarezzò un braccio
mentre si precipitava fuori dalla stanza, un tocco fugace che riecheggiò dentro di me. Mi raddrizzai, concentrandomi su Ash. «Stai flirtando con mia moglie.» Lui si irrigidì di colpo e il sorriso scomparve dalla sua faccia. «Mi dispiace. Non era mia intenzione. Voglio solo che Miss Tramell si senta a proprio agio.» «Di lei mi occupo io. Tu preoccupati di me.» Non dubitavo
che si fosse chiesto il motivo della modifica che gli avevamo chiesto. Lo avrebbe fatto chiunque. Quale uomo con un po’ di sangue nelle vene, sano di mente e con una moglie come Eva avrebbe dormito non solo in un altro letto ma addirittura in un’altra stanza? Il coltello affondò ancora e girò. Gli occhi scuri di Ash si indurirono. «Certo, Mr Cross.» «Fammi vedere gli schizzi che hai fatto.»
«Cosa ne pensi?» mi chiese Eva mangiando una fetta di pizza peperoni e basilico. Si allungò sul bancone, con una gamba sollevata all’indietro: era in piedi davanti a me e Cary. Pensai a cosa rispondere. «Voglio dire, l’idea di una suite con due ali simmetriche è
splendida» continuò, pulendosi la bocca con un tovagliolo di carta «ma se decidiamo per la soluzione più semplice ci vorrà meno tempo. Inoltre in futuro potremo chiudere di nuovo la parete, se vogliamo usare la stanza per qualcos’altro.» «Tipo una nursery» disse Cary, mettendo del peperoncino macinato sulla pizza. Mi passò la fame e lasciai cadere la fetta di pizza sul piatto di carta. Ultimamente, mangiare la pizza a
casa non si era rivelata granché come esperienza. «O una stanza per gli ospiti» lo corresse Eva. «Mi è piaciuto quello di cui hai parlato a Blaire per il tuo appartamento.» Cary le lanciò un’occhiata. «Hai cambiato discorso.» «Ehi, tu potrai anche avere in mente dei bambini, ma il resto di noi ha altre priorità.» Eva stava dicendo esattamente quello che volevo dicesse, eppure…
Aveva le stesse paure che avevo io? Forse mi aveva accettato come marito perché non poteva farne a meno, ma non mi avrebbe voluto come padre dei suoi figli. Presi il piatto, mi alzai e lo buttai nella spazzatura. «Devo fare qualche telefonata. Rimani» dissi a Cary. «Stai un po’ con Eva.» Lui mi fece un cenno del capo.
«Grazie.» Uscii dalla cucina e attraversai il salotto. «Allora» disse Cary mentre ero ancora a portata di orecchio «l’architetto sexy si è preso una cotta per tuo marito, piccola.» «Ma no!» rise Eva. «Sei pazzo.» «Non lo nego, però quell’Ash ti ha guardata a malapena e non ha staccato gli occhi di dosso a Cross per tutta la sera.» Sbuffai. Ash aveva capito il
messaggio, il che confermava la mia convinzione che non fosse per niente stupido. Cary era libero di pensare quello che gli pareva. «Be’, se hai ragione» disse lei «devo ammirare i suoi gusti.» Percorsi il corridoio ed entrai nel mio studio, posando gli occhi sul collage di foto di Eva appeso al muro. Lei era l’unica cosa che non potevo mettere da parte. Era sempre nei miei pensieri ed era la
ragione di tutto quello che facevo. Mi sedetti alla scrivania e mi dedicai al lavoro, sperando di rimettermi in pari il più possibile, in modo da non sprecare completamente il resto della settimana. Mi ci volle un po’ per
concentrarmi, ma quando alla fine ci riuscii mi sentii sollevato. Focalizzarsi su problemi che avevano una soluzione concreta era una boccata d’aria fresca. Ero immerso nel lavoro quando udii un grido provenire dal salotto. Sembrava Eva. Mi fermai, in ascolto. Ci fu un attimo di silenzio, poi lo udii di nuovo, seguito dalla
voce di Cary. Andai alla porta e la aprii. «Potevi parlarmene, Cary!» disse mia moglie con rabbia. «Avresti potuto dirmi cosa stava succedendo.» «Sai benissimo che cazzo sta succedendo» ribatté lui, con una nota tagliente nella voce che mi spinse a uscire dallo studio.
«Non sapevo che avessi ricominciato a tagliarti!» Camminai lungo il corridoio. Eva e Cary si affrontavano in salotto, guardandosi torvi da qualche metro di distanza. «Non sono affari tuoi» disse lui, con le spalle contratte e il mento sollevato in
atteggiamento difensivo. Mi lanciò un’occhiata. «E nemmeno tuoi.» «Sono d’accordo» replicai, anche se non era del tutto vero. Se Cary si autodistruggeva non era un mio problema; ma lo erano gli effetti che aveva su Eva. «Stronzate. Sono tutte fottute stronzate.» Eva mi guardò,
coinvolgendomi nella discussione. Poi tornò a rivolgersi a Cary. «Pensavo che stessi andando dal dottor Travis.» «E dove lo trovo il tempo?» disse in tono derisorio, scostandosi i capelli dalla fronte. «Tra il mio lavoro e quello di Tat, senza contare il tentativo di tenermi Trey, non ho tempo nemmeno
di dormire!» Eva scosse la testa. «Sono scuse.» «Non farmi la lezione, piccola» la ammonì. «Non mi serve la tua merda proprio adesso.» «Oh, mio Dio.» Inclinò la testa all’indietro e guardò il soffitto. «Perché cazzo gli uomini della mia vita insistono a tagliarmi fuori proprio quando hanno più bisogno di me?»
«Non posso parlare per Cross, ma per me tu non ci sei più. Sto cercando di cavarmela meglio che posso.» Girai sui tacchi e li lasciai a discutere. Avevo i miei problemi da risolvere. Quando Eva fosse stata pronta, sarebbe venuta da me e io l’avrei ascoltata, stando attento a non lasciare trapelare troppo quello che pensavo. Sapevo che non voleva sentirmi dire che sarebbe stata meglio senza
Cary tra i piedi. I raggi di luce del primo mattino cadevano sul letto e accendevano le punte dei capelli di Eva che dormiva. Le morbide ciocche bionde rilucevano come oro brunito, quasi fossero illuminate dall’interno. Aveva una mano sul cuscino accanto allo splendido viso, l’altra incuneata fra i seni. Il lenzuolo bianco era tutto attorcigliato dalla
notte prima e le copriva solo i fianchi, lasciando scoperte le gambe abbronzate. Non ero incline ai sentimentalismi, ma in
quel momento mia moglie sembrava proprio l’angelo che io credevo che fosse. Puntai l’obiettivo su di lei, volendo consegnare all’eternità quell’immagine. L’otturatore scattò e lei si mosse, schiudendo le labbra. Scattai
un’altra foto, grato di avere comprato una macchina fotografica che potesse renderle giustizia. Aprì gli occhi. «Cosa stai facendo, asso?» chiese con la voce roca. Appoggiai l’apparecchio sul cassettone e la raggiunsi a letto. «Ti ammiro.» Incurvò le labbra in un sorriso. «Come ti senti oggi?» «Meglio.»
«Meglio va bene.» Rotolò su un fianco per prendere le sue caramelline. Si girò verso di me profumata di cannella e mi percorse il viso con lo sguardo. «Sei pronto ad affrontare il mondo oggi, vero?» «Preferirei di gran lunga restare a casa con te.» Lei socchiuse gli occhi. «Sono
solo parole. Non vedi l’ora di tornare al dominio globale.» Mi piegai e la baciai sulla punta del naso. «Mi conosci così bene.» Mi stupiva ancora come riuscisse a leggermi dentro. Ero irrequieto, un po’ scosso. Distrarmi con il lavoro – vedere i progressi concreti dei progetti che seguivo personalmente – mi avrebbe fatto
stare meglio. Però le dissi lo stesso: «Potrei lavorare a casa di mattina e passare il pomeriggio con te». Lei scosse la testa. «Se vuoi parlare rimarrò a casa. Altrimenti, ho un lavoro che mi aspetta.» «Se lavorassi per me, potresti ricorrere al telelavoro anche tu.» «Preferisci insistere su questo, eh? È il tuo modo per cambiare discorso?» Rotolai sulla schiena e mi coprii gli occhi con le braccia. Non mi
aveva fatto pressioni il giorno prima e sapevo che non me ne avrebbe fatte oggi. Né domani. Come il dottor Petersen, avrebbe aspettato pazientemente che mi aprissi. Ma sapere che stava aspettando era già una pressione sufficiente. «Non c’è proprio niente da dire» borbottai. «È successo. Adesso Chris lo sa. Parlarne dopo che è accaduto non cambierà nulla.» La sentii girarsi verso di me. «Non è parlare degli avvenimenti in
sé quello che conta, è come ti senti tu riguardo a questa cosa.» «Non provo niente. Mi ha… sorpreso. E le sorprese non mi piacciono. Adesso mi è passata.» «Stronzate.» Scivolò giù dal letto prima che potessi fermarla. «Se devi dire balle, allora tieni la bocca chiusa.» Mi sedetti e la guardai girare intorno al letto, la postura rigida tradiva quanto fosse turbata. Il bisogno che avevo di lei era una
nota che risuonava costante dentro di me e il suo fiero temperamento latino riusciva sempre a trasformarlo in un desiderio impaziente e feroce. Avevo sentito qualcuno dire che mia moglie era mozzafiato come
sua madre, ma non ero d’accordo. Monica Stanton era una bellezza algida che dava l’impressione di essere sempre lievemente fuori portata. Eva era ardente e sensuale… non era irraggiungibile, ma la sua passione ti avrebbe consumato. Saltai giù dal letto e la intercettai
prima che arrivasse in bagno, afferrandola per un braccio. «Non posso litigare con te adesso» le dissi con sincerità, fissando le profondità torbide del suo sguardo infuriato. «Se c’è qualcosa tra noi, non ce la farò ad arrivare a stasera.» «Allora non dirmi che ti è passata quando stai tentando disperatamente di tenere insieme i
pezzi!» Brontolai, frustrato. «Non so come comportarmi con questa cosa. Non capisco come il fatto che Chris lo sappia possa fare qualche differenza.» Lei sollevò il mento di scatto. «È preoccupato per te. Hai intenzione di chiamarlo?» Distolsi lo sguardo. Quando pensavo all’eventualità di rivedere il mio patrigno, sentivo una fitta allo stomaco. «Gli parlerò, prima o poi.
Dobbiamo fare un lavoro insieme.» «Preferiresti evitarlo. Dimmi perché.» Mi allontanai da lei. «Non è che tutt’a un tratto siamo diventati amiconi, Eva. Prima ci incontravamo di rado, e non vedo perché questo dovrebbe cambiare.» «Sei arrabbiato con lui?» «Dio santo.
Perché cazzo dovrebbe essere compito mio farlo sentire meglio?» Mi diressi verso la doccia. Lei mi seguì. «Non c’è niente che lo farà sentire meglio, e non credo che si aspetti questo da te. Vuole solo essere sicuro che tu stia bene.» Allungai il braccio nel box doccia e aprii l’acqua. Mi mise una mano sulla schiena.
«Gideon… non puoi rinchiudere i tuoi sentimenti in una scatola. Non puoi farlo, a meno che tu non voglia un’esplosione come quella dell’altra sera. O un altro incubo.» Fu la menzione dei miei incubi ricorrenti a farmi girare verso di lei. «Le ultime due notti sono andate benissimo!» Eva non arretrava davanti alla mia furia come facevano gli altri, cosa che mi mandava ancora più in bestia. E vedere gli innumerevoli
riflessi del suo corpo nudo negli specchi non aiutava. «Martedì notte non hai dormito» mi rimbeccò lei. «E l’altra sera eri così sfinito che dubito tu abbia sognato.» Non sapeva che avevo dormito parte della notte nell’altra stanza e non vidi il motivo di parlargliene. «Cosa vuoi che dica?» «Ma non si tratta di me! Parlare delle cose aiuta, Gideon. Farle uscire
serve per vederle in prospettiva.» «Prospettiva? Ne ho avuta da vendere. La pietà sulla faccia di Chris l’altra sera? Impossibile non vederla. O la tua! Non ho bisogno che gli altri si sentano dispiaciuti per me, maledizione. Non mi serve il loro fottuto senso di colpa.» Lei inarcò le sopracciglia. «Non
posso parlare a nome di Chris, ma quella che hai visto in me non era pietà, Gideon. Comprensione, forse, perché so cosa provi. E dolore, di sicuro, perché il mio cuore è legato al tuo. Quando stai male, sto male anch’io. Dovrai imparare a fare i conti con questo, perché ti amo e non ho intenzione di smettere.» Le sue parole erano laceranti. Mi aggrappai al bordo di vetro del box doccia. Intenerita, mi si avvicinò e mi
abbracciò. Chinai la testa lasciandomi avvolgere da lei. Il suo odore, la sensazione di averla tra le braccia. Le feci scivolare una mano lungo la vita e le accarezzai la curva del sedere. Non ero lo stesso uomo di quando ci eravamo conosciuti. Ero più forte per certi versi, e più debole per altri. Ed era la debolezza la cosa contro cui lottavo. Ero
abituato a non provare sentimenti. E adesso… «Per me tu non sei debole» disse, leggendomi dentro come riusciva sempre a fare. Avevo la sua guancia appoggiata al cuore. «Nessuno potrebbe ritenerti tale. Dopo quello che hai passato… essere l’uomo che sei oggi. Questa si chiama forza, piccolo. E sono
impressionata.» Affondai le dita nella sua carne morbida. «Sei di parte» borbottai. «Sei innamorata di me.» «Certo che lo sono. Come potrebbe essere altrimenti? Sei meraviglioso e perfetto…» Grugnii. «Perfetto per me» si corresse. «E dal momento che mi appartieni, è una buona cosa.» La tirai verso di me, facendola entrare nella doccia sotto il getto di
acqua calda. «Sento che questo ha cambiato le cose» ammisi «ma non so in che modo.» «Lo capiremo insieme.» Mi accarezzò le spalle e le braccia. «Solo, non respingermi. Devi smetterla di cercare di proteggermi,
soprattutto da te!» «Non posso farti del male, angelo. Non posso rischiare.» «Vabbè. Posso farti abbassare la cresta, asso, se perdi il controllo.» Se fosse stato davvero così, avrebbe potuto essere una consolazione. Passai ad altro, sperando di evitare un litigio che mi avrebbe
perseguitato tutto il giorno. «Stavo pensando alla ristrutturazione dell’attico.» «Stai cambiando discorso.» «Abbiamo esaurito l’argomento. Non è chiuso» precisai «solo rinviato fino a quando non ci saranno ulteriori variabili da
discutere.» Mi guardò. «Perché mi eccita quando fai il maschio alfa dominatore come adesso?» «Non dirmi che ci sono volte in cui non ti eccito.» «Dio, quanto lo vorrei. Sarei un essere umano più produttivo.» Le scostai dalla fronte i capelli
bagnati. «Hai pensato a quello che vuoi?» «Qualunque cosa finisca con il tuo cazzo dentro di me.» «Buono a sapersi. Stavo parlando dell’attico.» Fece spallucce, negli occhi un lampo di malizia divertita. «Vale lo stesso comunque.» Era il genere di locale che i turisti non degnavano di uno sguardo. Piccolo e spartano, aveva un tendone di plastica che non faceva
nulla per distinguerlo né per farlo sembrare accogliente. Era specializzato in zuppe, ma c’erano anche sandwich per soddisfare appetiti più robusti. Un frigorifero vicino alla porta offriva una scelta limitata di bevande, e un
registratore di cassa antiquato accettava solo contanti. No, i turisti non sarebbero mai venuti in questo posto gestito da immigrati che avevano deciso di mordere un pezzetto della Grande Mela. Sarebbero andati in locali resi famosi dalla pubblicità o dagli show televisivi, o in quelli che
circondavano la sgargiante Times Square. Gli abitanti del posto, però, conoscevano la gemma che si nascondeva nel quartiere e facevano la coda fuori dalla porta. Superai la fila dirigendomi nel retro, dove c’era una saletta con un esiguo numero di tavolini malconci dal piano smaltato. Un uomo sedeva da solo a uno dei tavoli,
leggendo il giornale con davanti una scodella di zuppa fumante. Scostai la sedia di fronte a lui e mi sedetti. Benjamin Clancy parlò senza alzare lo sguardo. «Cosa posso fare per lei, Mr Cross?» «Credo di doverle dei ringraziamenti.» Piegò il giornale con calma e lo
mise da parte, poi mi guardò in faccia. Era un uomo robusto e muscoloso. Aveva i capelli biondo scuro tagliati a spazzola. «Davvero? Bene, allora, li accetto. Anche se non l’ho fatto per lei.» «Non lo pensavo affatto.» Lo studiai. «La sta ancora tenendo d’occhio.» Clancy annuì. «Ne ha passate a sufficienza. Ho intenzione
di assicurarmi che non debba passarne altre.» «Non si fida di me per questo?» «Non la conosco abbastanza per fidarmi. Secondo me, neanche Eva la conosce abbastanza. Perciò terrò gli occhi aperti ancora per un po’.» «Io la amo. Credo di avere dimostrato fino a che punto sono
disposto a spingermi per proteggerla.» Il suo sguardo si indurì. «Alcuni uomini devono essere ammazzati come cani rabbiosi. Altri devono essere quelli che lo fanno. Non l’ho catalogata in nessuna delle due categorie. Questo fa di lei un cane sciolto.» «Mi prendo cura di ciò che mi
appartiene.» «Oh, lei si prende cura di quello, benissimo.» La sua bocca sorrideva, ma gli occhi no. «E io mi occupo del resto. Finché Eva è felice con lei, lascerò le cose come stanno. Se un giorno lei decide che non è Eva quello che vuole, la liquida gentilmente e con rispetto. Se le fa
del male in qualunque modo, allora ha un problema, che io sia ancora vivo oppure no. Afferrato?» «Non deve minacciarmi perché mi comporti bene con lei, ma ho capito.» Eva era una donna forte. Forte abbastanza da sopravvivere al suo passato e da legare a me il suo futuro. Ma era anche vulnerabile, in modi che la maggior parte delle persone non riusciva a capire. Ecco
perché avrei fatto qualunque cosa per proteggerla, e sembrava che Benjamin Clancy la pensasse allo stesso modo. Mi sporsi verso di lui. «A Eva non piace essere spiata. Se diventa un problema per lei, ci incontreremo di nuovo come stiamo facendo adesso.» «Intende farne un problema?»
«No. Se si accorge che le sta addosso, non sarà perché gliel’ho detto io. Tenga solo presente che ha passato la vita a guardarsi le spalle e a sentirsi soffocata dalla madre. Respira liberamente per la prima volta. Non le permetterò di interferire in questo.» Clancy socchiuse gli occhi. «Penso che ci capiamo.»
Spinsi indietro la sedia e mi alzai, porgendogli la mano. «Io dico di sì.» Alla fine della giornata, quando mi alzai dalla scrivania, mi sentivo forte e fiducioso. Nel mio ufficio, al timone della Cross Industries, avevo il controllo di ogni dettaglio. Non dubitavo di niente, men che meno di me stesso. Il terreno si era spianato sotto i miei piedi. Avevo placato gli animi
che si erano irritati a causa della cancellazione degli impegni di mercoledì ed ero in pari con l’agenda di quel giorno, giovedì. Nonostante avessi perso una giornata intera, non avevo arretrati. Entrò Scott. «Ho confermato la sua agenda per domani. Mrs Vidal vedrà lei e Miss Tramell al Modern a mezzogiorno.»
Merda. Avevo dimenticato il pranzo con mia madre. Gli lanciai un’occhiata. «Grazie, Scott. Buona serata.» «Anche a lei, Mr Cross. Ci vediamo domani.» Raddrizzai le spalle e mi avvicinai alla finestra, guardando la città. Prima di Eva le cose erano più facili. Più semplici. Nel corso della giornata, immerso nel lavoro, mi ero preso
un momento per rimpiangere quella semplicità. Adesso, che era sera e avevo tempo per pensare, la prospettiva della ristrutturazione della casa che ero giunto a considerare come un rifugio mi turbava più di quanto avrei ammesso con mia moglie. Sommandosi alle pressioni
personali che stavamo affrontando, l’entità dei cambiamenti che mi aspettavano era quasi schiacciante. Svegliarsi e vedere Eva com’era quella mattina giustificava tutto, ma questo non significava che non fosse faticoso adattarmi alla rivoluzione che aveva portato nella mia vita. «Mr Cross.»
Mi girai al suono della voce di Scott e lo vidi sulla soglia del mio ufficio. «Sei ancora qui.» Sorrise. «Stavo andando a prendere l’ascensore quando sono stato intercettato da Cheryl alla reception. Dice che nell’atrio c’è una certa Deanna Johnson che la aspetta. Volevo la sua conferma del fatto
che oggi non è più disponibile.» Fui tentato di mandarla via. Avevo poca pazienza per i giornalisti e meno ancora per le ex
amanti. «Possono farla salire.» «Le serve che io rimanga?» «No, puoi andare. Grazie.» Lo guardai uscire, poi vidi arrivare Deanna. Camminava verso il mio ufficio, con i tacchi alti e una sottile gonna grigia sopra il ginocchio che le fasciava le lunghe gambe.
I capelli scuri le incorniciavano le spalle, sfiorando la cerniera che dava un tocco eccentrico alla camicetta altrimenti tradizionale. Mi fece un sorriso radioso e tese
la mano. «Gideon. Grazie per avermi ricevuta con così poco preavviso.» Le strinsi la mano brevemente e con impazienza. «Ritengo che non ti saresti presa il disturbo di venire qui se non fosse una cosa importante.» L’affermazione era un dato di fatto e al tempo stesso un avvertimento. Eravamo giunti a un accordo, ma non sarebbe durato se pensava di poter sfruttare il nostro
legame al di là di quanto avevo già concesso. «Ne valeva la pena, visto lo spettacolo» disse, guardandomi per un istante troppo lungo prima di girarsi verso la finestra. «Spiacente, ma ho un appuntamento, perciò non ho molto tempo da dedicarti.» «Ho fretta anch’io.» Si gettò i
capelli dietro le spalle, quindi si sedette sulla sedia più vicina, accavallando le gambe e rivelando più di quanto volessi vedere della coscia muscolosa. Si mise a frugare nella borsa. Tirai fuori lo smartphone, controllai l’ora e chiamai Angus. «Siamo pronti tra dieci minuti» gli dissi quando rispose.
«Preparo la macchina.» Terminai la telefonata e guardai Deanna, impaziente che arrivasse al punto. «Come sta Eva?» «Arriverà a momenti. Puoi chiederlo a lei.» «Oh.» Alzò lo sguardo su di me, uno degli occhi nascosto dalla cascata di capelli. «Probabilmente
dovrei andarmene prima che arrivi. Credo che la nostra… storia la metta a disagio.» «Sa com’ero» le dissi in tono piatto «e sa che non sono più così.» Deanna annuì. «Certo che lo sa, e certo che sei cambiato, ma a nessuna donna piace farsi sbattere in faccia il passato del proprio uomo.» «Allora sarà meglio che ti accerti di non farlo.» Un altro avvertimento.
Prese una cartellina sottile dalla borsa. Si alzò e mi si avvicinò. «Non lo farei. Ho accettato le tue scuse e le apprezzo.» «Bene.» «È di Corinne Giroux che dovresti preoccuparti.» La poca pazienza che avevo si esaurì di colpo. «Corinne è un problema di suo marito, non mio.» Deanna mi allungò la cartellina. La presi e la aprii, trovando un comunicato stampa.
Mentre leggevo strinsi i pugni, accartocciando i bordi del foglio. «Ha venduto un libro verità sulla vostra relazione» disse in aggiunta. «Il comunicato verrà dato lunedì mattina alle nove.» 16 «Le altre coppie si conoscono, scatta la scintilla, gli amici cavillano un po’ ma in fondo fanno il tifo per loro e i due piccioncini vivono per qualche tempo quella fase in cui si godono la vicinanza reciproca.»
Sospirai e lanciai un’occhiata a Gideon, che sedeva accanto a me sul divano. «Invece sembra che noi due non abbiamo tregua.» «A che genere di tregua ti riferisci?» chiese il dottor Petersen, guardandoci con affettuoso interesse. Quel suo sguardo mi rese speranzosa. Non appena Gideon e io eravamo arrivati, avevo notato il
cambiamento nella dinamica tra lui e il dottor Petersen. Erano più rilassati, più a loro agio. Meno circospetti. «Le uniche persone che vogliono davvero che stiamo insieme sono mia madre – la quale pensa che il fatto che ci amiamo c’entri qualcosa con i suoi miliardi –, il suo patrigno e sua sorella.» «Credo che tu non sia giusta nei confronti di tua madre» disse il dottor Petersen, appoggiandosi allo
schienale della sedia e sostenendo il mio sguardo. «Lei desidera che tu sia felice.» «Già, be’, per mia madre essere felice significa essere al sicuro economicamente, cosa che io proprio non capisco. Non che lei abbia mai avuto problemi di soldi, quindi perché si preoccupa tanto di non averne? Comunque…» Mi strinsi
nelle spalle. «È solo che in questo momento ce l’ho con tutti. Io e Gideon andiamo alla grande quando siamo soltanto noi due. Voglio dire, qualche volta litighiamo, ma lo superiamo sempre. E ho la sensazione che siamo più forti ogni volta.» «Per cosa litigate?»
Lanciai un’altra occhiata a Gideon. Sedeva accanto a me completamente a suo agio, un uomo bellissimo e di successo con indosso un abito di sartoria che gli stava da dio. Andare con lui la prossima volta che aggiornava il suo guardaroba era nel mio elenco delle cose da fare. Volevo guardare mentre prendevano le misure di
quel corpo da favola, osservare la scelta di stoffe e modelli. Per me era sesso puro in jeans e T-shirt e una cosa da perdere la testa con lo smoking, ma avevo sempre avuto un debole per gli abiti a tre pezzi che preferiva. Mi ricordavano come mi era apparso la prima volta che lo avevo visto, bellissimo e apparentemente irraggiungibile, un uomo che avevo
desiderato così tanto che il bisogno aveva avuto la meglio persino sull’istinto di conservazione. Tornai a guardare il dottor Petersen. «Discutiamo ancora delle cose che non mi dice. E discutiamo quando lui cerca di tagliarmi fuori.» Lui si rivolse a Gideon. «Sente il bisogno di mantenere una certa distanza da Eva?» Mio marito incurvò le labbra in un sorriso sarcastico. «Non c’è alcuna distanza tra noi, dottore. Lei vuole
che le scarichi addosso qualunque cosa mi irriti e io non voglio. Mai. È già abbastanza brutto che sia costretto a farlo uno di noi due.» Socchiusi gli occhi guardando Gideon. «Io penso che siano cazzate. Fa parte di un rapporto condividere il peso con un’altra persona. Forse a volte non posso far nulla, però posso essere una buona ascoltatrice. Credo che tu non mi dica le cose perché preferisci metterle in un angolo
dove puoi ignorarle.» «La gente elabora le informazioni in modi diversi, Eva.» Questa proprio non me la sarei bevuta. «Tu non elabori le informazioni, le ignori. E non mi starà mai bene che mi allontani da te quando ti senti male.» «In che modo ti allontana?»
chiese il dottor Petersen. Lo guardai. «Gideon… si isola. Va da qualche altra parte dove può stare solo. Non mi permette di aiutarlo.» «In che modo “va da qualche altra parte”? Si ritrae emotivamente, Gideon? O
fisicamente?» «Tutte e due le cose» dissi. «Si isola emotivamente e si allontana fisicamente.» Gideon allungò un braccio e mi prese la mano. «Non riesco a tagliarti fuori. È questo il problema.» «Questo non è un problema!»
Scossi la testa. «Non ha bisogno di spazio» dissi al dottor Petersen «ha bisogno di me, ma mi esclude perché ha paura di ferirmi se non lo fa.» «Come le farebbe del male, Gideon?» «È…» Gideon respirò bruscamente. «Eva ha dei punti sensibili. Li tengo a mente, sempre. Sto attento. Ma talvolta, quando
non sono lucido, è possibile che io oltrepassi il limite.» Il dottor Petersen ci studiò. «Quali limiti ha paura di oltrepassare?» Gideon mi strinse la mano più forte, l’unico segno esteriore di turbamento. «Ci sono volte in cui ho troppo bisogno di lei. Allora posso
essere rude… esigente. Talvolta non ho il controllo di cui ho bisogno.» «Sta parlando della vostra relazione sessuale?» Fece un cenno del capo a Gideon. «Ne abbiamo parlato brevemente. Lei ha detto che fate sesso più volte al giorno, tutti i giorni. È ancora così?» Mi sentii avvampare.
Gideon mi accarezzò il dorso della mano con il pollice. «Sì.» Il dottor Petersen mise da parte il tablet. «Fa bene a essere preoccupato. Gideon, forse lei usa il sesso per tenere Eva a distanza emotiva. Quando fate l’amore, sua moglie non parla, e lei non risponde. C’è un momento in cui nemmeno si pensa più: il corpo prende il sopravvento e il cervello vuole solo la scarica di endorfina. D’altra parte, le vittime di abusi
sessuali come Eva spesso usano il sesso come un modo per stabilire una connessione emotiva. Vede qual è il problema? Forse con il sesso lei cerca di mantenere la distanza, mentre Eva tenta di avvicinarsi.» «Le ho già detto che non c’è alcuna distanza.» Gideon si sporse in avanti, tirandosi la mia mano in grembo. «Non con Eva.» «Allora mi dica, quando è turbato emotivamente e inizia a fare sesso
con Eva, cosa sta cercando?» Mi girai per guardare Gideon, totalmente concentrato sulla risposta. Non gli avevo mai chiesto perché avesse bisogno di essere dentro di me, solo come. Per me era semplicissimo: lui ne aveva bisogno e io gli davo quello di cui aveva bisogno. Il suo sguardo incontrò il mio. La corazza dietro cui si nascondeva,
quella maschera così sua, scivolò via e io vidi il desiderio, l’amore. «Il contatto» rispose. «C’è un momento in cui lei si apre e io… io mi apro, e siamo lì. Insieme. È questo quello di cui ho bisogno.» «E ne ha bisogno in modo rude?» Gideon lo guardò. «Talvolta sì. Ci sono volte in cui lei si ritrae. Ma io riesco a portarla lì. Lei vuole che io la porti lì, ne ha bisogno quanto me. Devo calcare la mano. Stando attento. Controllandomi. Quando
non ho il controllo, devo tirarmi indietro.» «In che modo calca la mano?» chiese il dottor Petersen a bassa voce. «Ho i miei metodi.» Il dottor Petersen rivolse la sua attenzione a me. «Gideon è mai andato troppo oltre?» Scossi la testa. «Ti preoccupi mai che possa farlo?» «No.»
Il suo sguardo era dolce, la fronte aggrottata. «Dovresti, Eva. Entrambi dovreste.» Stavo mescolando un curry di verdure e pollo a tocchetti quando sentii aprirsi la porta d’ingresso. Curiosa, aspettai di vedere chi era, sperando che Cary fosse tornato a casa solo. «Ha un buon profumo» disse, avvicinandosi al bancone
per guardarmi. Indossava una maglietta bianca oversize con lo scollo a V e pantaloncini cachi che gli davano un’aria casual: era bellissimo, come al solito. Aveva gli occhiali da sole infilati nello scollo della T-shirt e alti bracciali di cuoio che nascondevano i tagli filiformi che gli
avevo visto la sera prima sugli avambracci. «Ce n’è abbastanza per me?» chiese. «Sei solo?» Fece il suo sorriso impudente, ma vidi la tensione intorno alla bocca. «Già.» «Allora ce n’è abbastanza, ma soltanto se versi il vino.» «Affare fatto.» Mi raggiunse ai fornelli e sbirciò nella pentola al di sopra della mia
spalla. «Bianco o rosso?» «È pollo.» «Bianco, allora. Dov’è Cross?» Lo guardai dirigersi verso la cantinetta del vino. «Con il suo personal trainer, ad allenarsi. Com’è andata, oggi?» Si strinse nelle spalle. «La solita merda.» «Cary.» Abbassai la fiamma e mi girai verso di lui. «Solo poche settimane fa eri così felice di essere a New York a lavorare. E adesso…
sei così infelice.» Tirò fuori una bottiglia e si strinse di nuovo nelle spalle. «È quello che mi merito per avere scopato in giro.» «Mi dispiace di non esserci stata quando ne avevi bisogno.» Mi lanciò un’occhiata mentre frugava in cerca del cavatappi. «Ma…?» Scossi la testa. «Niente ma. Mi dispiace. Vorrei dire che avevi compagnia la maggior parte delle
volte che ero a casa, così ho immaginato che fosse per quello che non parlavamo, ma questo non mi giustifica per non averti teso una mano quando sapevo che stavi passando un momento difficile.» Cary scrollò la testa con un sospiro. «Non è stato giusto buttarti addosso tutto ieri sera. So che Cross ha la sua merda da affrontare e che tu ci stai facendo i conti.» «Questo non significa che non ci sia per te.» Gli misi una mano sulla
spalla. «Tutte le volte che hai bisogno di me, fammelo sapere e io ci sarò.» Si girò di colpo e mi strinse in un abbraccio, togliendomi il fiato. La compassione fece il resto, dandomi un tuffo al cuore. Ricambiai l’abbraccio, accarezzandogli la nuca con una mano. I capelli castano scuro erano soffici come seta, le spalle rigide come
pietra. Immaginai che dovessero portare tutto il peso dello stress che stava attraversando. Il senso di colpa me lo fece stringere ancora più forte. «Dio santo» borbottò. «Ho fatto un casino d’inferno.» «Cosa succede?» Mi fece sedere, poi si voltò verso la bottiglia per aprirla. «Non so se siano gli ormoni o cosa, ma in
questo momento Tat è incazzata come una iena. Non le va bene niente. Niente la fa felice, soprattutto essere incinta. Che chance ha un povero bambino con me come padre e una diva egocentrica che lo odia come madre?» «Magari è una femmina» dissi,
porgendogli i bicchieri da vino che avevo preso dalla credenza. «Oddio. Non dirlo. Sono già abbastanza nel panico così.» Versò due generose dosi di vino, fece scivolare un bicchiere verso di me e bevve un lungo sorso dal suo. «E mi sento una testa di cazzo a parlare così della madre di mio figlio, ma è la verità. Che Dio ci aiuti.» «Sono sicura che sono solo gli ormoni. Si sistemerà tutto e poi lei diventerà radiosa, hai presente?, e
sarà felice.» Sorseggiai il vino, sperando con tutta me stessa che quello che dicevo fosse vero. «L’hai detto a Trey?» Cary scosse la testa. «Lui è l’unica cosa sana che ho in questo momento. Se perdo lui, do di matto.» «Finora è rimasto.» «E devo darmi da fare, Eva. Ogni giorno. Non mi sono mai dato da fare così tanto. E non sto parlando di scopare.»
«Non l’ho pensato.» Presi due ciotole pulite dalla lavastoviglie, insieme ai cucchiai. «Quello che penso è che sei un ragazzo straordinario e che chiunque sarebbe fortunato ad averti. Sono più che sicura che Trey la pensa come me.» «Basta, per favore.» Mi guardò negli occhi. «Sto cercando di essere
realistico. Non indorarmi la pillola.» «Non lo sto facendo. Forse quello che ho detto non era profondo, però è vero.» Rimasi zitta un attimo guardando il riso che cuoceva. «Gideon non mi dice quasi mai come si sente. Sostiene che sta cercando di proteggermi, ma quello che fa in realtà è proteggere se stesso.» Dovetti dire quelle parole ad alta voce per comprenderle davvero. «Ha paura che più cose mi dice,
più ragioni mi dà per andarmene. Ma è esattamente il contrario, Cary. Meno cose mi dice, meno sento che ha fiducia in me, e questo ci fa male. Tu e Trey state insieme da quando stiamo insieme io e Gideon.» Allungai una mano e gli toccai il braccio. «Devi dirglielo. Se scopre del bambino in qualche altro modo – e succederà – potrebbe non perdonarti.» Cary si
accasciò contro il bancone; di colpo sembrava molto più vecchio, e così stanco. «Ho la sensazione che se solo avessi un po’ più di tempo per gestire le cose, potrei affrontare Trey.» «Aspettare non aiuta» dissi gentilmente mentre mettevo il riso nelle ciotole. «Stai ricadendo nelle cattive abitudini.» «Che altro ho?» La voce era
indurita dalla rabbia. «Non scopo più in giro. Un monaco avrebbe una vita sessuale più intensa.» Sussultai, sapendo che Cary era l’esempio di quello di cui aveva parlato il dottor Petersen. Quando faceva sesso spegneva il cervello e lasciava che il suo corpo lo facesse star bene, anche se solo per un breve momento. Non doveva
pensare a niente, né provare niente se non sensazioni. Era un meccanismo di reazione allo stress che aveva perfezionato quando era lui quello che veniva scopato, molto prima che fosse abbastanza adulto da volerlo fare. «Hai me» ribattei. «Piccola, ti voglio bene, ma non
sei sempre quello di cui ho bisogno per cavarmela.» «Nemmeno tagliarti e scopare chiunque sia disposto a lasciartelo fare è cavarsela. Di sicuro non ti aiuta a sentirti bene con te stesso.» «A qualcosa deve pur servire.» Versai il curry sopra il riso e mescolai il contenuto della ciotola con un cucchiaio. «Prenderti cura di te funzionerebbe. Anche fidarti delle persone che ti vogliono bene. Essere sincero con te stesso e con
loro. Sembra semplice, ma sappiamo entrambi che non lo è. Però è l’unico modo, Cary.» Mi scoccò un sorriso triste e prese la ciotola che gli porgevo. «Ho paura.» «Ecco» dissi dolcemente, restituendogli il sorriso. «Questo
era sincero. Servirebbe se venissi con te quando parlerai a Trey?» «Sì. Mi sentirò una fighetta per non riuscirci da solo, però sì, aiuterebbe.» «Allora ci sarò.» Cary mi strinse in un abbraccio da dietro, appoggiandomi la guancia sulla spalla. «Ci sei davvero per me. Ti voglio bene per questo.»
Allungai una mano all’indietro e gli passai le dita fra i capelli. «Ti voglio bene anch’io.» Il lenzuolo scivolò via, svegliandomi, e il materasso si infossò sotto il peso dell’uomo che si infilava nel mio letto. «Gideon.» Mi girai verso di lui tenendo gli occhi chiusi. Respirai a fondo,
inalando l’odore della sua pelle. Le mie mani trovarono il corpo freddo e muscoloso, lo percorsero in una carezza e lo attirarono più vicino per scaldarlo. Mi prese la bocca con un bacio profondo, urgente. La scossa elettrica del suo desiderio mi svegliò del tutto; l’avidità delle sue carezze mi fece accelerare i battiti
del cuore. Scivolò sopra di me, prendendomi in bocca i capezzoli, poi mi baciò la pancia e scivolò giù verso il sesso. Ansimai e mi inarcai. Mi leccò il clitoride con devozione, eccitandomi, bloccandomi i fianchi mentre io mi dimenavo sotto i colpi della sua lingua. L’orgasmo fu intenso e mi strappò un grido. Lui si pulì la bocca
sull’interno della mia coscia e si tirò su, un’ombra seducente che torreggiava sopra di me nell’oscurità della notte. Poi si spinse dentro di me con forza. Sopra i miei gemiti, lo sentii grugnire il mio nome come se il
piacere di prendermi fosse troppo intenso. Lo afferrai per la vita e lui strinse le lenzuola tra i pugni. Si sollevava e si abbassava, affondando dentro di me il suo magnifico pene, sempre più a fondo, instancabile. Quando mi svegliai di nuovo, era sorto il sole e il posto accanto a me nel letto era freddo e vuoto.
17 Il mattino dopo stavo preparando una tazza di caffè per Eva quando il mio smartphone si mise a suonare. Lasciai a metà quello che stavo facendo e mi diressi verso lo sgabello su cui avevo appoggiato la giacca per prendere il telefono dalla tasca. Mi irrigidii e risposi: «Buongiorno, mamma». «Gideon. Mi dispiace annullare con un preavviso così breve» disse
con un respiro tremante «ma non posso esserci a pranzo oggi.» Tornai al caffè, sapendo che ne avrei avuto bisogno per affrontare la lunga giornata che mi aspettava. «Non c’è problema.» «Sono sicura che sei sollevato» commentò in tono amaro. Bevvi un sorso di caffè,
desiderando che fosse qualcosa di più forte anche se erano passate a malapena le otto del mattino. «Non è vero. Se non avessi voluto vederti, avrei annullato io il pranzo.» Rimase in silenzio per un po’, poi chiese: «Hai visto
Chris di recente?». Bevvi un altro sorso guardando il corridoio mentre aspettavo Eva. «L’ho visto martedì.» «Così tanti giorni fa?» Nella sua voce c’era una nota di paura. Non mi piacque per niente. Eva arrivò in salotto di corsa a piedi nudi, il corpo fasciato da un abito aderente beige chiaro che riusciva a essere professionale
anche se sottolineava tutte le sue curve. L’avevo scelto io, consapevole che il colore avrebbe messo in risalto la sua carnagione e i capelli biondissimi. Il piacere che mi diede vederla mi percorse le vene come il liquore che avrei voluto al posto del caffè. Ecco cosa mi faceva, mi inebriava e mi irretiva.
«Devo andare» dissi. «Ti chiamo più tardi.» «Non lo fai mai.» Posai la tazza e presi in mano quella di Eva. «Non lo direi se non avessi intenzione di farlo.» Chiusi la telefonata, rimisi in tasca il telefono e porsi il caffè a mia moglie. «Sei splendida» mormorai, chinandomi per baciarla
su una guancia. «Per essere un uomo che sostiene di non capire un accidenti delle donne di sicuro sai maledettamente bene come scegliere i vestiti per loro» disse, lanciandomi un’occhiata da sopra il
bordo della tazza mentre prendeva un sorso di caffè. Lo mandò giù lasciandosi sfuggire un debole gemito di piacere, un suono molto simile a quello che faceva quando glielo mettevo dentro. Il caffè, ormai lo sapevo, era una delle dipendenze di Eva. «Ho commesso degli errori, ma
sto imparando.» Mi appoggiai contro il bancone e la attirai verso di me. Si era accorta che dal suo armadio era sparito un abito di Vera Wang? Lo avevo preso io dopo essermi reso conto quanto le lasciava scoperto il seno generoso. Sollevò la tazza. «Grazie per questo.» «Il piacere è mio.» Le accarezzai una guancia con la punta delle dita. «Devo parlarti di una cosa.» «Oh? Che succede, asso?»
«Hai ancora un Google Alert su di me?» Lei guardò nella tazza. «Devo invocare la facoltà di non rispondere?» «Non sarà necessario.» Aspettai finché non alzò lo sguardo su di me. «Corinne ha venduto un libro sulla storia tra me e lei.»
«Cosa?» Le si incupirono gli occhi, passando dal grigio chiaro al grigio ardesia. Le misi una mano sulla nuca e passai il pollice sulla vena del collo che pulsava. «A giudicare da quello che ho letto nel comunicato stampa, in quel periodo ha tenuto un diario. Pubblicherà anche foto personali.» «Perché? Perché darebbe quella roba in pasto alla gente?» Le tremava la mano, così le presi
la tazza e la appoggiai sul bancone. «Credo che non lo sappia neanche lei.» «Puoi impedirlo?» «No. Comunque, se mente spudoratamente e posso dimostrarlo, le farò causa.» «Ma solo dopo la pubblicazione.»
Mi mise le mani sul petto. «Sa che dovrai sfogliarlo. Dovrai guardare tutte le foto e leggere di quanto ti ama. Leggerai di cose che hai fatto e di cui ora nemmeno ti ricordi.» «E non importerà.» La baciai sulla fronte. «Non l’ho mai amata, non nel modo in cui amo te. Riandare al passato non mi farà venire voglia di stare con lei invece che con te.» «Lei non ti faceva pressioni» sussurrò. «Non come faccio io.»
Parlai con la bocca contro la sua pelle, desiderando imprimere le mie parole nella sua mente in modo che non potesse dubitarne mai. «Ma neanche mi faceva bruciare di desiderio, né accendeva le mie speranze e i miei sogni come fai tu. Non c’è paragone, angelo, e nessuna possibilità di tornare indietro. Non lo vorrei mai.»
Chiuse quegli occhi meravigliosi e si abbandonò fra le mie braccia. «I colpi continuano ad arrivare, non è così?» Lanciai uno sguardo sopra la sua testa, fuori dalla finestra, al mondo che ci aspettava una volta che fossimo usciti allo scoperto. «Lasciamo che arrivino.» Lei respirò forte. «Già, lasciamo
che arrivino.» Entrai al Tableau One e vidi subito Arnoldo. Con indosso la giacca da chef di un bianco immacolato e un paio di pantaloni neri, era in piedi accanto a un tavolo per due, intento a parlare con la donna che ero venuto a incontrare. Mentre mi avvicinavo lei girò la testa verso di me, i lunghi capelli scuri che le ondeggiavano sulle spalle.
Gli occhi azzurri si illuminarono per un attimo quando mi vide, ma la luce svanì in fretta. Mi salutò con un sorriso freddo, appena accennato. «Corinne.» Le rivolsi un cenno del capo prima di stringere la mano ad Arnoldo. Il ristorante che lui gestiva e
di cui io ero comproprietario era affollato dei clienti dell’ora di pranzo, il brusio delle conversazioni così forte da sovrastare la musica strumentale italiana che usciva dagli altoparlanti incassati. Arnoldo si scusò dicendo che doveva tornare in cucina, e si portò la mano di Corinne alle labbra a mo’
di saluto. Prima di andarsene mi lanciò un’occhiata che io intesi come un invito a parlare, più tardi. Mi sedetti di fronte a Corinne. «Apprezzo che tu abbia trovato del tempo da dedicarmi.» «Il tuo invito è stato una piacevole sorpresa.» «Non credo che sia giunto inaspettato.» Mi appoggiai allo schienale della sedia, assorbendo la cadenza morbida della parlata di Corinne. Mentre la voce di gola di
Eva mi suscitava un desiderio profondo, quella di Corinne aveva sempre avuto un effetto calmante. Il suo sorriso si allargò mentre si toglieva un pelucco invisibile dalla profonda scollatura del vestito rosso. «No, immagino di no.» Irritato dal gioco che stava giocando, parlai in tono brusco. «Che stai facendo? Sei gelosa della tua privacy almeno quanto io lo sono della mia.» Le labbra di Corinne formarono
una linea dura. «Ho pensato esattamente la stessa cosa quando ho visto il video di te ed Eva che litigavate al parco. Sostieni che non ti conosco, e invece sì, e far finire la tua vita privata sui tabloid non è una cosa che avresti mai permesso in circostanze normali.» «Cos’è normale?» ribattei, incapace di negare che ero un uomo diverso con Eva. Non mi
erano mai piaciute le donne che mi mettevano alla prova aspettandosi qualche gesto grandioso. Se erano abbastanza aggressive, concedevo loro di avermi per una notte. Con Eva, la preda ero sempre io. «È proprio quello che intendo: non te lo ricordi. Perché sei invischiato in una storia passionale e non riesci a vedere al di là di essa.» «Non c’è niente al di là, Corinne. Starò con lei finché muoio.»
Lei sospirò. «Lo pensi adesso, ma le relazioni tempestose non durano, Gideon. Si bruciano da sole. A te piacciono l’ordine e la calma, e non li avrai con Eva. Da qualche parte dentro di te lo sai.» Le sue parole colpirono nel segno. Senza volerlo aveva dato voce ai miei pensieri sull’argomento.
Arrivò un cameriere. Corinne ordinò un’insalata; io un drink… doppio. «Quindi hai venduto un libro verità per fare… cosa?» le chiesi quando il cameriere si allontanò. «Punirmi? Ferire Eva?» «No. Voglio che tu ricordi.» «Non è questo il modo.» «E quale sarebbe?» Sostenni il suo sguardo. «È finita, Corinne. Divulgare i tuoi ricordi su di noi non cambierà le cose.»
«Forse no» concesse, con una voce così triste da farmi provare una fitta di rimpianto. «Ma tu hai detto che non mi hai mai amata. Almeno dimostrerò che questo non è vero. Ti davo conforto. Appagamento. Eri felice con me. Non vedo la stessa tranquillità quando sei con lei. Non puoi dirmi
che la senti.» «Tutti questi discorsi mi fanno capire che non ti importa se tornerò con te. Ma se lasci Giroux, forse devi preoccuparti del denaro. Quanto ti hanno pagata per prostituire il tuo “amore” per me?» Sollevò il mento. «Non è per questo che ho scritto il libro.» «Vuoi solo essere sicura che non
starò con Eva.» «Voglio soltanto che tu sia felice, Gideon. E da quando hai conosciuto lei, ti ho visto tutto tranne che felice.» Come avrebbe preso il libro Eva quando l’avesse letto? Non meglio di quanto io stessi prendendo Ragazza d’oro, immaginavo. Lo sguardo di Corinne si posò sulla mia mano sinistra, che tenevo appoggiata sul tavolo. «Hai dato a Eva l’anello di fidanzamento di tua
madre.» «Non è più suo da molto tempo.» Bevve un sorso del vino che aveva davanti a sé quando ero arrivato. «Ce l’avevi quando tu e io stavamo insieme?» «Sì.» Trasalì. «Puoi anche dirti che io ed Eva siamo incompatibili» dissi in tono deciso «che stiamo litigando o scopando senza alcuna base solida. Ma la verità è che lei è l’altra metà
di me e quello che stai facendo la ferirà, il che significa che ferirà me. Rilevo io il contratto di edizione se ritiri il libro.» Mi fissò a lungo. «Non… non posso, Gideon.» «Dimmi perché.» «Mi stai chiedendo di lasciarti andare. Per me questo è un modo di farlo.» Mi sporsi in avanti. «Corinne, ti sto chiedendo di lasciar perdere, se provi qualcosa per me.»
«Gideon…» «Se non lo fai, trasformerai quelli che per me erano dei bei ricordi in qualcosa che odierò.» I suoi occhi acquamarina brillarono di lacrime. «Mi dispiace.» Mi scostai dal tavolo e mi alzai. «Stanne certa.» Mi girai e uscii dal ristorante, dove la Bentley era in attesa. Angus
aprì lo sportello, spostando lo sguardo sull’enorme vetrina del Tableau One alle mie spalle. «Maledizione.» Scivolai sui sedili posteriori. «Vaffanculo!» Le persone che credevano di aver subito un torto da me stavano strisciando fuori dall’ombra come ragni, attirati dalla presenza di Eva nella mia vita. Lei era il mio punto vulnerabile più evidente, quello che non riuscivo a nascondere. E questa
cosa stava diventando un problema che dovevo riuscire a gestire. Christopher, Anne, Landon, Corinne… era solo l’inizio. Ce n’erano altri che ce l’avevano con me. E ancora di più che nutrivano del risentimento verso mio padre. Li avevo sfidati per anni a farsi sotto, godendomi il brivido. E adesso i bastardi arrivavano a me attraverso
mia moglie. Tutti insieme. E io cominciavo a sentirmi a disagio. Se non avessi alzato la guardia, se non mi fossi concentrato in maniera totale, avrei lasciato Eva esposta e non protetta. Dovevo evitarlo, a ogni costo. «Ho ancora voglia di vederti stasera» disse Eva, la sua voce seducente che filtrava dal ricevitore del telefono come volute di fumo.
«Su questo non si discute» le dissi, appoggiandomi contro lo schienale della poltroncina da ufficio. Fuori dalla finestra il sole era basso all’orizzonte. La giornata lavorativa era finita. A un certo punto di quella settimana di follia agosto aveva lasciato il posto a settembre. «Tu occupati di Cary, io parlerò con Arnoldo, e inizieremo il weekend quando avremo finito.» «Dio santo, questa settimana è volata. Ho bisogno di fare palestra.
Ho saltato troppe lezioni.» «Allenati con me domani.» Scoppiò a ridere. «Sì, come no.» «Non sto scherzando.» Pensai a Eva con il reggiseno sportivo e i pantaloni aderenti, e il mio cazzo sollevò la testa interessato. «Non posso combattere con te!» protestò. «Certo che puoi.» «Sei troppo esperto. Troppo bravo.» «Mettiamo alla prova quelle tue
abilità di autodifesa, angelo.» L’idea che avevo lanciato per scherzo di colpo sembrava la migliore che mi fosse venuta quel giorno. «Voglio sapere che puoi difenderti nell’improbabile eventualità che tu debba farlo.» Non sarebbe mai successo, ma mi avrebbe tranquillizzato sapere che era in grado di affrontare una
minaccia. «Domani devo fare delle cose per il matrimonio, ma ci penserò» disse. «Riaggancia.» Sentii aprirsi la portiera dell’auto ed Eva che salutava l’usciere. Disse ciao al portiere e poi udii il ding dell’ascensore che arrivava nell’atrio. «Sai» sospirò «devo essere coraggiosa per Cary, ma sono
preoccupata di quello che succederà con Trey. Se se ne va, credo che Cary potrebbe farsi del male.» «Sta chiedendo molto» la avvertii, udendo un altro ding dell’ascensore. «In sostanza Cary sta dicendo a questo ragazzo che
ha un’altra storia – con una che è anche incinta – e che intende portarla avanti. No, cancella. Sta dicendo che Trey sarà il terzo incomodo. Non riesco a vedere un lieto fine per nessuno.» «Lo so.» «Terrò il telefono a portata di mano tutta la sera. Chiamami se hai bisogno di me.» «Ho sempre bisogno di te. Sono arrivata, devo andare. Ci vediamo dopo. Ti amo.»
Queste parole mi avrebbero sempre colpito al punto da levarmi il fiato? Riattaccammo proprio mentre una figura familiare girava l’angolo del corridoio che portava al mio ufficio. Mi alzai quando Mark arrivò sulla soglia e gli andai incontro con la mano tesa. «Mark, grazie di aver trovato del tempo per me.» Lui sorrise e mi strinse la mano vigorosamente. «Sono io che devo
ringraziarla, Mr Cross. Ci sono parecchie persone in questa città – nel mondo, a dire il vero – che ucciderebbero per trovarsi dove sono io adesso.» «Chiamami Gideon, per favore.» Feci un cenno verso la zona salotto. «Come sta Steven?» «Alla grande, grazie. Sto iniziando a pensare che sia un
wedding planner mancato.» Sorrisi. «Eva approfondirà la questione questo weekend.» Mark si slacciò la giacca, tirò su leggermente i pantaloni e si accomodò sul divanetto. L’abito grigio formava un bel contrasto con la pelle scura e la cravatta a righe, dandogli l’aria di un professionista di città in carriera. «Se si diverte la metà di quanto si sta divertendo Steven» disse «sarà il periodo più spassoso della
sua vita.» «Speriamo che non si diverta troppo» replicai in tono noncurante, restando in piedi. «Vorrei sopravvivere all’organizzazione e arrivare al matrimonio.» Mark scoppiò a ridere. «Posso offrirti qualcosa
da bere?» chiesi. «Sto bene così, grazie.» «Okay. Sarò breve.» Mi sedetti. «Ti ho chiesto di vedermi dopo l’ufficio perché non sarebbe corretto offrirti un posto alla Cross Industries durante il tuo orario di lavoro alla Waters, Field & Leaman.» Inarcò le sopracciglia con aria interrogativa. Gli lasciai un paio di secondi per assorbire l’informazione. «La Cross
Industries ha parecchie holding internazionali, con una concentrazione nel settore immobiliare, nell’entertainment e nei marchi di lusso… o in beni che crediamo di poter elevare a quello status.» «Come la vodka Kingsman.» «Precisamente. Nella maggior
parte dei casi le campagne pubblicitarie e marketing sono gestite ai piani bassi, ma il riposizionamento dei marchi o le modifiche nella comunicazione vengono approvati qui. Per via della differenziazione
cui accennavo, analizziamo costantemente nuove strategie per il rebranding o il rafforzamento di un marchio esistente. Potremmo avere bisogno di te.» «Wow.» Mark si sfregò le mani sulle ginocchia. «Non so bene cosa mi aspettavo, ma questo mi coglie
impreparato.» «Ti pagherò il doppio di quello che prendi adesso, per iniziare.» «È un’offerta pazzesca.» «Non sono il tipo a cui piace sentirsi dire di no.» Fece un sorriso. «Dubito che te lo senta dire molto spesso. Immagino significhi che Eva ha in mente di lasciare la Waters, Field
& Leaman.» «Non ha ancora deciso.» «No?» Inarcò di nuovo le sopracciglia. «Se io me ne vado, perderà il lavoro.» «E ne avrà un altro qui, naturalmente.» Risposi nel modo più conciso ed evasivo possibile. Volevo che collaborasse, non che facesse domande la cui risposta avrebbe potuto non piacergli. «Eva aspetta che io accetti prima
di muoversi?» «La tua scelta sarà un catalizzatore.» Mark si passò una mano sulla cravatta. «La cosa mi lusinga e mi entusiasma, però…» «Capisco che è una mossa che non avevi in previsione di fare» intervenni con calma. «Ti trovi bene
dove sei e hai un lavoro ragionevolmente sicuro. Perciò sono pronto a garantirti il posto – nonché premi e aumenti annuali – per i prossimi tre anni, tranne in caso di tue negligenze.» Mi allungai e appoggiai le mani sulla cartelletta che Scott aveva
lasciato sul tavolino. La spinsi verso Mark. «Qui trovi tutti i dettagli. Portala a casa, parlane con Steven e fammi sapere cosa hai deciso lunedì.» «Lunedì?» Mi alzai. «Mi aspetto che tu voglia dare ampio preavviso alla Waters, Field & Leaman, e mi sta bene, ma avrò bisogno del tuo impegno il prima possibile.» Mark prese la cartelletta e si alzò. «E se avessi delle domande?»
«Chiamami. Il mio biglietto da visita è insieme alla documentazione.» Lanciai un’occhiata all’orologio. «Scusami, ho un altro appuntamento.» «Oh, sì, certo.» Mark strinse la mano che gli porgevo. «Mi dispiace. È successo tutto così in fretta che non ho ancora avuto il tempo di
assorbirlo. Però capisco che mi stai offrendo un’opportunità fantastica, e lo apprezzo.» «Sei bravo nel tuo lavoro» gli dissi sinceramente. «Non ti avrei fatto l’offerta se non ne fosse valsa la pena. Pensaci, e poi dimmi di sì.» Scoppiò a ridere. «Ci penserò e mi farò sentire lunedì.» Quando se ne andò, voltai la testa in direzione dell’edificio che ospitava la sede della LanCorp. Landon non mi avrebbe trovato di
nuovo con la guardia abbassata. «Ha iniziato a piangere non appena te ne sei andato.» Guardai Arnoldo sopra il bordo del bicchiere in cui c’erano due dita di scotch. Deglutii, poi chiesi: «Vuoi farmi sentire in colpa?». «No. Nemmeno io mi sentirei dispiaciuto per lei. Però pensavo che tu dovessi sapere che Corinne non è del tutto senza cuore.» «Non ho mai creduto che lo fosse. Credevo solo che quel cuore
lo avesse dato a suo marito.» Arnoldo si strinse nelle spalle. Indossava jeans consumati e una camicia bianca senza cravatta con le maniche arrotolate e stava attirando un sacco di sguardi femminili. Il bar era pieno, ma il nostro settore della balconata VIP era ben sorvegliato, e il grosso dei clienti stava alla larga. Arnoldo era sul divanetto a mezzaluna dove si era seduto Cary la prima sera che
avevo incontrato Eva al Crossfire. Quel posto sarebbe sempre stato carico di ricordi vividi. Era stata la sera in cui mi ero reso conto che stava cambiando tutto. «Hai l’aria stanca» disse Arnoldo. «È stata una settimana pesante.» Colsi la sua occhiata. «No, non si tratta di Eva.» «Vuoi parlarne?»
«Non c’è niente da dire, in realtà. Avrei dovuto stare più attento. Ho permesso che il mondo capisse quanto lei significa per me.» «Baci appassionati per strada, liti ancora più appassionate nel parco.» Fece un sorriso triste. «Che cosa dicono? Che hai sbracato?» «Ho aperto la porta e adesso tutti vogliono entrare. Lei è il modo più diretto per incasinarmi il cervello, e lo sanno tutti.» «Incluso Brett Kline?»
«Lui non è più un problema.» Arnoldo mi studiò e doveva avere visto tutto quello che gli serviva. Annuì. «Sono felice, amico mio.» «Anch’io.» Bevvi un altro sorso del mio drink. «Cosa mi dici di te?» Liquidò la domanda con un gesto noncurante della mano, guardandosi intorno per osservare le donne che ballavano al ritmo della musica di Lana Del Rey. «Il
ristorante sta andando bene, come sai.» «Sì, mi fa molto piacere. Meglio di ogni previsione.» «Questa settimana abbiamo girato dei promo per la nuova stagione. Quando Food Network inizierà a mandarli in
onda, dovremmo avere un ritorno niente male per gli affari.» «Posso sempre dire che ti conoscevo.» Scoppiò a ridere e fece tintinnare il bicchiere contro il mio quando lo alzai in un brindisi. Ci eravamo rimessi in carreggiata e io sentii svanire
un po’ dell’irrequietezza che provavo. Non mi appoggiavo ad Arnoldo nel modo in cui Eva faceva affidamento sulle sue amiche o Cary su di lei, però era importante lo stesso. Avevo poche persone vicino a me. Ritrovare il ritmo che io e lui
avevamo perso era almeno una vittoria significativa in una settimana che era sembrata una battaglia persa. 18 «Oh, mio Dio» gemetti dopo avere dato un morso a un pasticcino al cioccolato «è divino.» Kristin, la wedding planner, fece un sorriso radioso. «È anche uno dei
miei preferiti. Aspetta, però. Quello alla vaniglia è anche meglio.» «Vaniglia meglio del cioccolato?» Percorsi con lo sguardo i pasticcini sul tavolino. «Impossibile.» «Di solito sarei stata d’accordo» disse Kristin, prendendo un appunto, «ma questa pasticceria mi ha fatta convertire. Anche quelli al limone sono molto buoni.»
La luce del primo pomeriggio si riversava nel salottino privato di mia madre attraverso le grandi finestre che occupavano tutta una parete, illuminandole i boccoli chiari e la carnagione di porcellana. Aveva cambiato l’arredamento da poco, optando per pareti grigioazzurre che conferivano allo spazio una nuova energia, e si sposavano perfettamente con lei. Era uno dei suoi talenti, quello di mostrarsi nella luce migliore. Era
anche uno dei suoi peggiori difetti, per come la vedevo io. Si preoccupava in modo eccessivo delle apparenze. Non capivo come facesse a non annoiarsi con quella sua smania di rinnovare la casa secondo le ultime tendenze, anche se sembrava volerci un anno per mettere mano a tutti i locali dell’attico di seicento metri quadrati. Il mio unico incontro con Blaire Ash era bastato a dirmi che il gene
dell’arredamento d’interni aveva saltato una generazione. Le sue idee erano interessanti, ma non ero riuscita ad appassionarmi ai dettagli. Mentre mi infilavo in bocca un altro pasticcino con le dita, mia madre si servì della forchetta per prendere delicatamente uno dei dolcetti grandi come una moneta.
«Che preferenze ha in fatto di composizioni floreali?» chiese Kristin, accavallando le lunghe gambe color caffè. Le scarpe con il tacco Jimmy Choo erano eleganti ma sexy e l’abito a vestaglia di Diane von Fürstenberg era vintage e classico. I capelli scuri le arrivavano alle spalle e i fitti ricci le incorniciavano il
viso stretto, addolcendolo; aveva la bocca grande e le labbra piene erano sottolineate da un rossetto rosa pallido. Aveva un aspetto fiero
e favoloso, e mi era piaciuta al primo sguardo. «Rosso» dissi, pulendomi la glassa dall’angolo della bocca. «Qualunque cosa, basta che sia rosso.» «Rosso?» Mia madre scosse la testa con enfasi. «Un po’ vistoso, Eva. È il tuo primo matrimonio. Direi bianco, crema e oro.» La fissai. «Quanti matrimoni ti aspetti che abbia?»
«Non era questo che intendevo. Ti sposi per la prima volta.» «Non sto parlando di indossare un abito rosso» ribattei. «Sto solo dicendo che il colore dominante dovrebbe essere il rosso.» «Non vedo come potrebbe andare, tesoro. E ho collezionato abbastanza matrimoni da saperlo.» Ricordai
mia madre che organizzava i matrimoni, ognuno più elaborato e memorabile del precedente. Mai sopra le righe e sempre di ottimo gusto. Bellissimi matrimoni per una sposa giovane e splendida. Speravo che sarei invecchiata con metà della sua
grazia, perché con il passare del tempo Gideon sarebbe solo diventato più appassionato. Era quel genere di uomo. «Mi permetta di mostrarle come verrebbe con un tema in rosso, Monica» disse Kristin, estraendo dalla borsa un portfolio di pelle. «Il rosso può essere straordinario, soprattutto se il matrimonio si fa di
sera. La cosa importante è che la cerimonia e il ricevimento rappresentino sia la sposa sia lo sposo. Per avere una giornata veramente memorabile è fondamentale comunicare visivamente il loro stile, la loro
storia e le loro speranze per il futuro.» Mia madre prese il portfolio che Kristin le porgeva e diede uno sguardo alle foto. «Eva… non puoi fare sul serio.» Lanciai un’occhiata di apprezzamento a Kristin perché mi appoggiava, soprattutto visto che si aspettava che a pagare il conto sarebbe
stata mia madre. Naturalmente era possibile che il fatto che stessi per sposare Gideon Cross contribuisse a farla stare dalla mia parte. Usarlo come referenza le avrebbe senza dubbio portato altri clienti. «Sono sicura che c’è
un compromesso, mamma.» O almeno lo speravo. Non avevo ancora sganciato la bomba più grossa. «Abbiamo un’idea del budget?» chiese Kristin. Ed eccoci qui… Vidi la bocca di mia madre aprirsi al rallentatore e il mio cuore mancò un battito per il
panico. «Cinquemila per la cerimonia» dissi senza prender fiato. «Escluso il costo dell’abito.» Le due donne mi guardarono con tanto d’occhi. Mia madre fece una risata incredula, portandosi una mano alla collana Trinity di Cartier che le scendeva sul seno. «Dio mio, Eva. Ti sembra il momento di fare dello spirito?» «Il matrimonio lo paga papà,
mamma» le dissi con la voce più ferma ora che il momento di panico era passato. Sbatté le palpebre e lo sguardo negli occhi blu si addolcì, anche se solo per una frazione di secondo. Poi serrò la mascella. «Solo il vestito costerà di più. I fiori, il locale…» «Ci sposeremo in spiaggia» dissi. L’idea mi era appena venuta. «Carolina del Nord. Negli Outer Banks. Nella casa che io e Gideon
abbiamo appena comprato. Ci vorranno solo abbastanza fiori per gli invitati alla festa nuziale.» «Tu non capisci.» Mia madre guardò Kristin in cerca di appoggio. «È impossibile che funzioni. Non avresti alcun controllo.» Intendendo dire che lei non l’avrebbe avuto. «Tempo imprevedibile» continuò «sabbia ovunque… E poi, chiedere a
tutti di sobbarcarsi un viaggio così lungo significa che qualcuno non potrà venire. E dove alloggerebbero?» «Tutti chi? Te l’ho detto, la cerimonia sarà ristretta, solo gli amici e la famiglia. Gideon si occuperà degli spostamenti. E sono sicura che sarà felice di occuparsi delle sistemazioni.»
«Per quello posso darvi una mano io» disse Kristin. «Non la incoraggi!» scattò mia madre. «Non essere scortese!» la rimbeccai. «Credo che tu stia dimenticando che è il mio
matrimonio, non un’operazione pubblicitaria.» Mia madre fece un profondo respiro per calmarsi. «Eva, penso che sia molto carino che tu voglia assecondare tuo padre in questo modo, ma lui non capisce che peso ti scarica addosso chiedendoti una cosa del genere. Anche se io contribuissi con la stessa somma, non basterebbe…»
«Basta e avanza.» Intrecciai le mani in grembo e sentii gli anelli premere dolorosamente contro l’osso. «E non è un peso.» «Offenderai delle persone. Devi capire che un uomo nella posizione di Gideon deve cogliere ogni opportunità per rafforzare la sua rete sociale. Vorrà…» «… scappare» sbottai, frustrata dalla fin troppo familiare divergenza
dei nostri punti di vista. «Se potesse fare come vuole, scapperemmo da qualche parte e ci sposeremmo su una spiaggia deserta con un paio di testimoni e un panorama grandioso.» «Forse può dirlo…»
«No, mamma, fidati: è esattamente quello che farebbe.» «Ehm, se posso.» Kristin si protese in avanti. «Potrebbe funzionare, Monica. Molti matrimoni fra celebrità sono questioni private. Un budget limitato ci consentirà di
concentrarci sui dettagli. E se Gideon ed Eva sono d’accordo, potremmo organizzare le cose in modo da vendere alcune fotografie selezionate alle riviste, dando il ricavato in beneficenza.» «Oh, questo mi piace!» esclamai, anche se mi chiedevo come poteva essere compatibile con l’accordo di esclusiva che Gideon aveva offerto a Deanna Johnson. Mia madre aveva un’espressione sconvolta. «Sogno il tuo matrimonio
da quando sei nata» disse a voce bassa. «Ho sempre voluto che avessi una cosa degna di una principessa.» «Mamma.» Le presi una mano. «Puoi scatenarti con il ricevimento, okay? Fai quello che vuoi. Bandisci il rosso, invita tutto il mondo, qualunque cosa. Quanto al matrimonio, non ti basta che io
abbia trovato il mio principe?» Mi strinse la mano e mi guardò con gli occhi blu pieni di lacrime. «Immagino che debba farmelo bastare.» Ero appena salita sulla MercedesBenz quando lo smartphone si mise a suonare. Lo tirai fuori dalla borsa, guardai lo schermo e vidi che era Trey. Avvertii una fitta
allo stomaco. Non riuscivo a cancellare dalla mente l’espressione distrutta che gli avevo visto in faccia la sera prima. Mi ero rifugiata in cucina mentre Cary era in salotto con Trey e gli raccontava di Tatiana e del bambino. Avevo messo in forno un
brasato e mi ero seduta al bancone con il tablet, leggendo un libro e al tempo stesso tenendo d’occhio Cary. Persino da quella distanza mi ero accorta che Trey non aveva preso per niente bene la novità. Comunque era rimasto a cena e poi aveva dormito lì, perciò speravo che alla fine le cose si sarebbero risolte. Perlomeno non se n’era andato sbattendo la porta. «Ciao, Trey» risposi. «Come stai?»
«Ehi, Eva.» Fece un sospiro. «Non ho idea di come sto. Come va dalle tue parti?» «Bene, sono appena uscita da casa di mia madre dopo aver passato ore a parlare del matrimonio. Non è andata poi così male come temevo, ma sarebbe potuta andare meglio. Del resto,
quando si ha a che fare con mia madre c’è da aspettarselo.» «Ah… be’, vedo che hai parecchio da fare. Mi dispiace disturbarti.» «È tutto a posto, Trey. Sono contenta che tu mi abbia chiamata. Se vuoi parlare, sono qui.» «Potremmo vederci, magari? Quando va bene a te.» «Che ne dici di adesso?» «Davvero? Sono in un mercatino
nel West Side. Mia sorella mi ha trascinato fuori e io sono stato una pessima compagnia. Mi ha scaricato poco fa e adesso mi sto chiedendo che cavolo ci faccio qui.» «Vengo da te.» «Sono tra l’Ottantaduesima e l’Ottantatreesima, vicino alla Amsterdam. C’è un sacco di gente, qui, giusto per tua informazione.» «Okay, resisti. Ci vediamo tra
poco.» «Grazie, Eva.» Chiusi la telefonata e colsi lo sguardo di Raúl nello specchietto retrovisore. «Amsterdam e Ottantaduesima. Più vicino che può.» Annuì. «Grazie.» Guardai fuori
dal finestrino mentre svoltavamo, ammirando New York in un soleggiato sabato pomeriggio. Il ritmo di Manhattan era più lento nel weekend, gli abiti più informali e gli ambulanti più
numerosi. Donne in sandali e abiti estivi leggeri passeggiavano fermandosi davanti alle vetrine, mentre uomini in pantaloncini e Tshirt giravano in gruppetti, guardando le donne e parlando delle cose di cui parlano gli uomini, qualunque esse fossero. Cani di
ogni taglia zampettavano trattenuti dal guinzaglio e bambini nei passeggini scalciavano o dormivano. Una coppia anziana camminava lentamente tenendosi per mano, ancora persi l’uno nell’altra dopo anni di vita insieme. Chiamai Gideon prima di
rendermi conto che avevo pensato di farlo. «Angelo» rispose. «Stai venendo a casa?» «No. Ho finito da mia mamma, ma devo vedere Trey.» «Quanto ti ci vorrà?» «Non so bene. Non più di un’ora, penso. Dio santo, spero che non mi dica che ha chiuso con Cary.» «Com’è andata con tua madre?» «Le ho detto che ci sposeremo sulla spiaggia vicino alla casa negli
Outer Banks.» Mi interruppi. «Scusa. Avrei dovuto prima chiedertelo.» «Penso che sia un’idea
magnifica.» La sua voce roca assunse un timbro particolare e io mi resi conto che era commosso. «Mi ha chiesto come pensiamo di ospitare tutti. E io ho… tipo… lasciato la cosa a te e alla wedding planner.» «Non c’è problema. Ci inventeremo qualcosa.» Mi sentii invadere dall’amore per
lui, caldo e avvolgente. «Grazie.» «Perciò la prova più difficile te la sei lasciata alle spalle» disse, capendo la situazione come faceva così spesso. «Be’, questo non lo so. Lacrime e tutto quanto, hai presente? Aveva grandi sogni che non diventeranno realtà. Spero che li lasci perdere e si adegui.» «E la sua famiglia? Non abbiamo parlato di organizzare il loro arrivo.»
Mi strinsi nelle spalle, poi ricordai che non poteva vedermi. «Non sono invitati. Le uniche cose che so di loro le ho scoperte con una ricerca su Google. Hanno ripudiato mia madre quando è rimasta incinta di me, quindi non hanno mai fatto parte della mia vita.» «Bene, allora» disse dolcemente. «Ho una sorpresa per te quando torni a casa.» «Oh?» Il mio umore migliorò di colpo. «Mi dai un indizio?»
«Certo che no. Se sei curiosa, devi sbrigarti a tornare.» Misi il broncio. «Tentatore.» «I tentatori non ti danno soddisfazioni. Io sì.» La sua voce roca e vellutata mi diede un brivido. «Arrivo il prima possibile.» «Ti aspetto» ribatté con un tono
sensuale. Il traffico vicino al mercatino era impossibile. Raúl lasciò la Mercedes nel garage sotto il mio palazzo, poi mi accompagnò a piedi. A mezzo isolato di distanza iniziai a sentire il profumo del cibo e mi venne l’acquolina in bocca. Si udiva della musica e quando arrivammo in Amsterdam Avenue vidi che proveniva da una donna che cantava su
un piccolo palco circondato di gente. Gli ambulanti occupavano entrambi i lati della via affollata, con le bancarelle ombreggiate da tendoni bianchi. Dalle sciarpe ai cappelli, dai gioielli all’arte, dai prodotti freschi al cibo esotico, potevi trovare tutto quello che
volevi. Mi ci volle qualche minuto per individuare Trey in mezzo alla gente. Era seduto su dei gradini non lontano dall’angolo dove ci eravamo accordati di vederci. Indossava jeans larghi e una T-shirt color oliva e aveva gli occhiali da sole appollaiati sulla gobba del naso che si era rotto tempo prima. I capelli biondi erano in disordine come sempre, la
bocca attraente atteggiata a una linea dura. Quando mi vide si alzò e mi tese la mano. Io lo strinsi in un abbraccio, rimanendo così finché non lo sentii rilassarsi e ricambiare la stretta. La vita scorreva attorno a noi: i newyorkesi non si
scomponevano davanti a nessuno spettacolo pubblico. Raúl si allontanò per lasciarci un po’ di privacy. «Sto di merda» borbottò contro la mia spalla. «È normale.» Mi scostai e feci un cenno in direzione dei gradini dov’era seduto quando ero arrivata. «Chiunque sarebbe sconvolto.»
Sedette sul gradino centrale. Io mi misi accanto a lui. «Non penso di poterlo fare, Eva. Non credo che dovrei. Voglio qualcuno a tempo pieno, qualcuno che mi sostenga mentre studio e poi cerco di avviare un ambulatorio. E invece Cary ha intenzione di stare accanto a quella modella e di concedermi le briciole del suo tempo. Come potrei non essere arrabbiato?» «È una buona domanda» dissi,
allungando le gambe davanti a me. «Sai che Cary non è sicuro che il bambino sia suo finché non faranno un test di paternità.» Trey scosse la testa. «Non credo che farà differenza. Sembra coinvolto.» «Io penso che farà differenza. Magari non se ne andrà, forse farà lo zio o qualcosa del genere. Non lo
so. Per adesso dobbiamo ipotizzare che sia lui il padre, anche se forse non lo è. È una possibilità.» «Quindi mi stai dicendo di tenere duro per altri sei mesi?» «No. Se vuoi delle risposte, sappi che non ne ho. Tutto quello che posso dirti è che Cary ti ama, molto più di quanto l’abbia mai visto amare nessuno. Se ti perde, la cosa lo ucciderà. Non sto cercando di farti sentire in colpa perché tu rimanga. Penso solo tu debba
sapere che se te ne vai non sarai l’unico a stare male.» «E questo come dovrebbe aiutarmi?» «Forse non lo farà.» Gli appoggiai una mano sul ginocchio.
«Forse sono così meschina da trovarlo consolante. Se tra me e Gideon non dovesse funzionare, vorrei sapere che è infelice quanto me.» La bocca di Trey si incurvò in un sorriso triste. «Già, capisco il tuo punto di vista. Rimarresti con lui se scoprissi che si è scopato
qualcun’altra? Qualcuna con cui andava a letto mentre usciva con te?» «Ci ho pensato. Per me è difficile immaginare di non stare con Gideon. Se quando è successo il nostro non era un rapporto esclusivo e
se la donna appartenesse al passato, se stesse con me e non con lei, forse potrei riuscirci.» Osservai una donna appendere un’altra busta della spesa al manico già sovraccarico del passeggino. «Ma se stesse soprattutto con lei e mi vedesse nei ritagli di tempo… credo che me ne andrei.» Era durissima essere sincera
quando la verità era il contrario di quello che Cary avrebbe voluto che dicessi, ma sentivo che era la cosa giusta da fare. «Grazie, Eva.» «Per quel che vale, non penserei male di te se decidessi di tener duro con Cary. Non è una debolezza stare con la persona che ami mentre lei cerca di rimediare a un grosso errore, e non lo è nemmeno pensare prima
a se stessi. Qualunque decisione tu prenda, continuerò a essere convinta che sei un ragazzo in gamba.» Si protese verso di me e mi appoggiò la testa sulla spalla. «Grazie, Eva.» Intrecciai le dita alle sue. «Di niente!» «Vado a prendere l’auto e la porto qui davanti» disse Raúl
mentre entravamo nell’atrio del mio palazzo. «Okay. Io intanto vedo se c’è posta.» Salutai con la mano il portiere mentre passavamo davanti al bancone. Entrai nel locale in cui c’erano le cassette delle lettere mentre Raúl si dirigeva verso l’ascensore. Infilai la chiave nella serratura, aprii lo sportellino di ottone e mi abbassai per sbirciare dentro. C’erano cartoline pubblicitarie e
nient’altro, il che mi risparmiò il tragitto fino al mio appartamento. Le tirai fuori e le buttai nel cestino della spazzatura, poi chiusi la cassetta a chiave. Tornai nell’atrio appena in tempo per vedere una donna uscire dall’edificio. I capelli rossi scalati attirarono la mia attenzione e io la fissai, aspettando che si voltasse sul marciapiede nella speranza di vederla di profilo. Trattenni il fiato. I capelli li
avevo già visti in un’immagine su Google. La faccia la ricordavo dalla serata di raccolta fondi per un centro di accoglienza cui io e Gideon avevamo partecipato qualche settimana prima. A quel punto era scomparsa. Le corsi dietro, ma quando arrivai sul marciapiede stava già salendo sul sedile posteriore di una berlina nera.
«Ehi!» gridai. La macchina si allontanò in fretta, lasciandomi lì a fissarla. «Va tutto bene?» Mi girai e vidi Louie, l’usciere del weekend. «Sai chi era?» Lui scosse la testa. «Non abita qui.» Tornai dentro e feci la stessa domanda al portiere. «Una donna con i capelli rossi?» chiese con aria perplessa. «Oggi ci sono
stati solo visitatori accompagnati da inquilini, perciò non ho prestato molta attenzione.» «Mmh. Okay, grazie.» «La tua macchina è arrivata, Eva» disse Louie dal portone. Ringraziai il portiere e mi diressi verso Raúl. Passai tutto il tempo del tragitto da casa mia a quella di Gideon pensando ad Anne Lucas. Quando
uscii dall’ascensore privato sul pianerottolo dell’attico, ero distratta dalla ridda di ipotesi che mi si affollavano in testa. Gideon mi stava aspettando. Aveva un paio di jeans consumati e una T-shirt della Columbia, e sembrava così giovane e affascinante. Poi mi fece un sorriso
e io per poco non mi scordai di tutto quello che avevo intorno. «Angelo» disse, camminando a piedi nudi sul pavimento di piastrelle bianche e nere. Aveva negli occhi quello sguardo che conoscevo fin troppo bene. «Vieni qui.» Mi rifugiai tra le sue braccia,
rannicchiandomi contro il suo corpo muscoloso, e inspirai il suo odore. «Penserai che sono pazza» borbottai con la bocca appoggiata al suo petto «ma potrei giurare di avere appena visto Anne Lucas nell’atrio del mio palazzo.» Si irrigidì. Sapevo
che la strizzacervelli non era una delle persone che preferiva. «Cosa?» chiese in tono secco. «Venti minuti fa, forse. Appena prima che venissi qui.» Mi lasciò andare e prese lo smartphone che teneva nella tasca posteriore dei jeans. Mi prese per mano e mi portò in salotto. «Mrs Cross ha appena visto Anne Lucas nel suo palazzo» disse alla
persona che aveva risposto, chiunque fosse. «Credo di averla vista» lo corressi, aggrottando le sopracciglia al suo tono duro. Ma non mi stava ascoltando. «Scoprilo» ordinò, prima di
terminare la chiamata. «Gideon, che succede?» Mi portò verso il divano e mi fece sedere accanto a lui. Mi accoccolai al suo fianco, appoggiando la borsetta sul tavolino. «Ho visto Anne l’altro giorno» mi spiegò, tenendomi la mano. «Raúl ha confermato che la donna che ti aveva parlato alla raccolta fondi era lei. Lo ha ammesso e io l’ho avvisata di stare lontana da te, ma non lo farà. Vuole farmi del male e
sa che può riuscirci se fa del male a te.» «Okay.» Assorbii l’informazione. «Devi avvertire immediatamente Raúl se la vedi da qualche parte. Anche solo se credi che sia lei.» «Aspetta un attimo, asso. Sei andato a trovarla l’altro giorno e non mi hai detto niente?» «Te lo sto dicendo adesso.» «Perché non me l’hai detto prima?» Respirò bruscamente. «Era il
giorno in cui è venuto Chris.» «Oh.» «Già.» Mi morsicai il labbro inferiore. «Come potrebbe farmi del male?» «Non lo so. Per me è sufficiente che voglia fartene.» «Tipo che mi romperà una gamba? Il naso?» «Dubito che ricorrerebbe alla violenza» disse seccamente. «Si diverte di più a fare giochetti con la mente. Spuntare nei posti dove ci
sei tu. Lasciare che tu la veda.» Il che era anche più insidioso. «Così andrai da lei. Che è quello che vuole» mormorai. «Vuole vederti.» «Non starò al suo gioco. Le ho già detto quello che avevo da dirle.» Guardai le
nostre mani intrecciate e giocherellai con la sua fede. «Anne, Corinne, Deanna… È un po’ folle, Gideon. Voglio dire, non credo che sia normale per la maggior parte degli uomini. Quante altre donne perderanno la testa per te?» Mi lanciò un’occhiata chiaramente non divertita. «Non so
cosa sia preso a Corinne. Nulla di ciò che ha fatto da quando è tornata a New York è nel suo stile. Non so se siano le medicine che prende, l’aborto, il divorzio…» «Sta divorziando?» «Non usare quel tono, Eva. Non fa nessuna cazzo di differenza se è sposata o no. Io sono sposato. Questa è una cosa che non cambierà, e io non sono un uomo infedele. Ho troppo rispetto per te – e per me stesso – per essere quel
genere di persona.» Mi sporsi verso di lui offrendogli la bocca e lui la prese dandomi un bacio dolce. Aveva detto esattamente quello che avevo bisogno di sentire. Gideon si scostò, sfregando il naso contro il mio. «Quanto alle altre due… Devi capire che Deanna è stata un danno collaterale. Cazzo.
Tutta la mia vita era una zona di guerra e qualcuno è finito sulla linea del fuoco.» Gli misi una mano sulla mascella e cercai di alleviare la tensione accarezzandola con il pollice. Deglutì con forza. «Se non avessi usato Deanna per mandare un messaggio ad Anne che tra noi due era finita, sarebbe stata solo l’avventura di una notte. Morta lì.» «Ma adesso sta bene?» «Credo di sì.» Mi sfiorò la
guancia con le dita, restituendomi la carezza che gli avevo fatto. «Dato che ne stiamo parlando, ti dirò che non penso che mi respingerebbe se cercassi di abbordarla – cosa che non farò – ma non credo che appartenga più alla categoria delle
donne incazzate.» «Già, so che finirebbe di nuovo a letto con te se solo ne avesse l’occasione. Non che gliene faccia una colpa. Devi proprio essere così bravo a letto? Non basta che tu sia sexy e abbia un corpo meraviglioso e un cazzo enorme?» Scosse la testa, chiaramente esasperato. «Non è enorme.» «Comunque sia, sei ben dotato. E sai come usarlo. E noi donne non
abbiamo spesso l’occasione di fare sesso da urlo, così, quando ci capita, può succedere che diamo un po’ di matto. Immagino che questo risponda alla mia domanda su Anne, dato che ti ha avuto ripetutamente.» «Non mi ha mai avuto.» Gideon si appoggiò allo schienale, con le spalle curve e un’espressione
accigliata. «A un certo punto non ne potrai più di stare a sentire che razza di stronzo sono.» Mi rannicchiai contro di lui, appoggiandogli la testa sulla spalla. «Non sei il primo uomo follemente sexy del pianeta a usare le donne. E non sarai l’ultimo.» «Con Anne era diverso» disse cupo. «Non si trattava solo di suo marito.» Mi irrigidii, poi mi sforzai di rilassarmi per non innervosirlo più
di quanto fosse già. Fece un respiro profondo. «A volte mi ricorda Hugh» disse in fretta. «Il modo in cui si muove, alcune delle cose che dice… C’è un’aria di famiglia. E altro ancora. Non riesco a spiegarlo.» «Allora non farlo.» «Talvolta la differenza tra loro si confondeva nella mia mente. Era come se stessi punendo Hugh attraverso Anne. Le ho fatto cose che
non ho mai fatto con nessun’altra. Cose che mi davano la nausea quando ci ripensavo.» «Gideon.» Gli feci scivolare un braccio attorno alla vita. Non me l’aveva detto.
In precedenza mi aveva raccontato che era il dottor Terrence Lucas che stava punendo, ed ero sicura che c’entrasse anche questo. Ma adesso sapevo che non era tutta la storia. Gideon si raddrizzò. «Tra me e Anne era una cosa perversa. L’ho resa una pervertita. Se potessi tornare indietro e comportarmi in modo diverso…» «Affronteremo questa cosa. Sono contenta che tu me ne abbia
parlato.» «Dovevo. Stammi a sentire, angelo, devi avvertire immediatamente Raúl quando la vedi. Anche se non ne sei sicura. E non andare da nessuna parte da sola. Troverò un modo per trattare con lei. Nel frattempo, ho bisogno di sapere che sei al sicuro.» «Okay.» Non sapevo bene come quel
piano avrebbe potuto funzionare sul lungo termine. Vivevamo nella stessa città di quella donna e di suo marito, e Lucas mi aveva già avvicinata in precedenza. Erano un problema, e dovevamo trovare una soluzione. Ma non l’avremmo trovata quel
giorno. Sabato. Uno dei due giorni della settimana che aspettavo con più impazienza perché potevo trascorrere un sacco di tempo da sola con mio marito. «Allora» dissi, facendo scivolare una mano sotto la maglietta di Gideon per toccargli la pelle calda. «Dov’è la mia sorpresa?» «Be’…» Il tono roco della sua voce si fece
più profondo. «Aspettiamo un po’. Che ne dici se cominciamo con un bicchiere di vino?» Tirai indietro la testa per guardarlo. «Stai cercando di sedurmi, asso?» Mi baciò il naso. «Sempre.» «Mmh… vai pure avanti.»
Seppi che c’era sotto qualcosa quando Gideon non mi raggiunse sotto la doccia. L’unico momento in cui si lasciava sfuggire l’opportunità di mettermi le mani addosso mentre ero bagnata e sgocciolante era di mattina, dopo che mi aveva appena scopata. Quando ritornai in salotto con un paio di shorts e un top senza reggiseno sotto, mi aspettava con un bicchiere di vino rosso. Ci sedemmo sul divano a guardare 3
Days to Kill, il che non fece che confermarmi che mio marito mi conosceva bene. Era esattamente il genere di film che apprezzavo: divertente, assolutamente esagerato. E c’era Kevin Costner, un must per me. Eppure, per quanto mi piacesse poltrire con Gideon, con il passare delle ore l’attesa cominciò a rendermi irrequieta. E Gideon, da subdolo qual era, lo sapeva. Ci
contava. Continuava a riempirmi il bicchiere e a mettermi le mani addosso: nei capelli, sulle spalle, lungo la coscia. Alle nove mi stavo arrampicando a lui. Gli sedetti in grembo e lo baciai sulla gola, passando la lingua sulla vena che pulsava. Sentii il battito accelerato del suo cuore, ma lui non fece una piega. Stava seduto come se fosse assorbito nella replica che avevamo trovato cambiando canale dopo la fine del
film. «Gideon?» sussurrai con la mia voce da “scopami”, facendogli scivolare una mano in mezzo alle gambe per trovarlo duro e pronto come sempre. «Mmh?» Gli presi il lobo tra i denti, mordicchiandolo. «Ti spiace se mi impalo sul tuo grosso cazzo mentre tu guardi la tivù?» Mi accarezzò la schiena con fare assente. «Ma così non vedo» replicò
in tono distratto. «Forse è meglio se ti metti in ginocchio e me lo succhi.» Mi tirai indietro e lo guardai male. I suoi occhi ridevano. Gli diedi uno spintone sulla spalla. «Sei terribile!» «Mio povero angelo» disse cantilenando. «Sei arrapata?» «Tu cosa dici?» Mi indicai il
petto. I capezzoli erano duri e premevano contro il cotone sottile del top in una silenziosa richiesta della sua attenzione. Mi afferrò per le spalle, mi attirò a sé e mi prese in bocca un capezzolo, accarezzandolo piano con la lingua. Mi sfuggì un gemito. Mi lasciò andare, gli occhi ora così scuri che sembravano zaffiri. «Sei bagnata?» Ci stavo arrivando, e in fretta anche. Tutte le volte che Gideon mi
guardava in quel modo, il mio corpo si apriva per lui, bagnato e impaziente. «Perché non lo scopri da solo?» lo provocai. «Fammi vedere.» La nota di autorità nella sua voce mi eccitò ancora di più. Mi spostai, sentendomi inspiegabilmente timida. Spinse indietro il tavolino con un piede, facendomi spazio perché potessi stare in piedi davanti a lui. Mi percorse con lo sguardo, la
faccia priva di espressione. La mancanza di incoraggiamento mi rese ancora più ansiosa, il che, immaginavo, era proprio la sua intenzione. Mi incalzava in quel suo modo. Raddrizzai le spalle, lo guardai negli occhi e mi passai la lingua sul labbro inferiore. Lui socchiuse gli occhi, le palpebre pesanti. Feci scivolare i pollici sotto l’elastico degli shorts
e li abbassai, muovendo le anche per farlo sembrare uno striptease e mascherare l’imbarazzo che provavo. «Niente mutandine» mormorò,
fissandomi il sesso. «Sei una ragazza cattiva, angelo.» Misi il broncio. «Sto cercando di fare la brava.» «Apriti per me» disse. «Fammi vedere.» «Gideon…» Aspettò pazientemente, e io sapevo che di pazienza ne aveva da vendere. Che ci mettessi cinque minuti o cinque ore, mi avrebbe aspettata. Ed era per quella ragione che mi fidavo di lui. Perché la
questione non era mai se mi sarei sottomessa, ma quando sarei stata pronta a farlo, e quella era una decisione che lasciava quasi sempre a me. Allargai le gambe e cercai di rallentare il respiro. Abbassai le mani e allargai le grandi labbra, esponendo il clitoride all’uomo per il quale smaniava. Gideon si raddrizzò lentamente. «Hai una fica così bella, Eva.» Mentre mi si avvicinava, trattenni
il fiato. Allungò una mano per afferrare la mia e tenermi in equilibrio. «Non muoverti» mi ordinò. Poi mi leccò piano. «Oh, Dio» gemetti, con le gambe che mi tremavano. «Siediti» disse roco, scivolando sulle ginocchia mentre io obbedivo. Il vetro era freddo contro le natiche nude, un contrasto netto con il calore della mia pelle. Appoggiai le mani all’indietro,
aggrappandomi al bordo del tavolino mentre lui mi allargava le cosce con le mani, aprendomi completamente. Il suo respiro era bollente sulla pelle umida mentre mi guardava il sesso senza staccare gli occhi. «Potresti essere più bagnata.» Lo osservai ansimando mentre abbassava la testa e mi prendeva il
clitoride tra le labbra. Il calore era feroce, i colpi della sua lingua devastanti. Gridai, desiderando andargli incontro ma bloccata dalla sua presa. Gettai indietro la testa, con il sangue che mi rombava nelle orecchie mescolandosi ai gemiti di Gideon. La sua lingua si avvolgeva attorno al bocciolo
turgido portandomi implacabile verso l’orgasmo. Sentii lo stomaco contrarsi mentre il piacere cresceva, i capelli soffici come seta di Gideon mi accarezzavano l’interno delle cosce. Mi lasciai sfuggire un basso
gemito. «Sto per venire» ansimai. «Gideon… Oddio… sto per venire.» Mi infilò la lingua dentro. Mi cedettero le braccia e ricaddi all’indietro sul tavolino. La sua lingua mi scopava l’apertura pulsante della vagina, sfregando contro il tessuto
sensibile, stimolandomi con la promessa di una penetrazione che agognavo. «Scopami» lo implorai. Gideon si ritrasse, leccandosi le labbra. «Non qui.» Feci un verso di protesta mentre lui si alzava in piedi, così vicina all’orgasmo che potevo quasi sentirne il gusto. Mi allungò una
mano per aiutarmi a tirarmi su. Quando barcollai, mi prese di peso e mi caricò su una spalla come un sacco di patate. «Gideon!» protestai. Ma lui mi mise la mano tra le gambe, massaggiandomi il sesso bagnato e gonfio, e a quel punto non mi importò più di come mi trasportava, a patto che
mi conducesse in un posto dove mi avrebbe presa. Raggiungemmo il corridoio e svoltammo, fermandoci prima di raggiungere la sua camera da letto. Udii la maniglia girare e poi si accese la luce. Eravamo nella mia camera da letto. Mi mise giù in modo che lo guardassi in faccia. «Perché qui?» chiesi. Forse altri uomini si sarebbero diretti verso il
letto più vicino, ma Gideon aveva un maggiore controllo. Se voleva che stessi lì, c’era un motivo. «Girati» disse a voce bassa. Qualcosa nella sua voce… il modo in cui mi guardava… Lanciai un’occhiata da sopra la spalla. E vidi l’altalena. Non era come mi ero aspettata. Avevo cercato le
altalene dell’amore su Internet quando Gideon me ne aveva parlato la prima volta. Quello che avevo trovato erano aggeggi esili che si appendevano alle travi, aggeggi non tanto esili trattenuti da strutture con quattro sostegni poggiati a terra, e altri sospesi a un gancio sul soffitto. Erano tutti fatti di una qualche combinazione di catene e/o cinghie che fungevano da imbracature per diverse parti del
corpo. Le immagini di donne legate al dannato marchingegno non erano piacevoli da guardare. Onestamente, non riuscivo a capire come qualcuno potesse superare l’imbarazzo e la paura di collassare, per non parlare di raggiungere l’orgasmo. Avrei dovuto sapere che Gideon aveva in mente qualcos’altro. Mi girai a osservare direttamente l’altalena. Gideon aveva sgombrato la camera; il letto e i mobili non
c’erano più. L’unico oggetto presente nella stanza era l’altalena, sospesa a una robusta struttura simile a una gabbia. Un’ampia lastra di metallo collegava le pareti laterali e il tetto in acciaio, il quale sosteneva il peso di una sedia e di catene imbottite. Il tutto era completato da manette in pelle rossa per i polsi e le caviglie
sistemate nei punti giusti. Gideon mi abbracciò da dietro, infilando una mano sotto il top per toccarmi il seno, mentre l’altra scivolava tra le gambe e mi metteva dentro due dita. Mi scostò i capelli dalla nuca, baciandomi la gola. «Come ti senti guardandola?» Ci pensai su. «Intrigata. Un filo apprensiva.» Percepii il suo sorriso contro la pelle. «Vediamo come ti senti
quando sei lì.» Fui percorsa da un brivido di aspettativa e di timore. Dalla posizione delle manette mi rendevo conto che sarei stata impotente, impossibilitata a muovermi o a tirarmi indietro. Impossibilitata a esercitare qualunque controllo su quello che mi sarebbe potuto succedere. «Voglio farlo nel modo giusto, Eva. Non
come quella sera nell’ascensore. Voglio che tu senta quando prendo il controllo e voglio che siamo insieme in questa cosa.» Appoggiai la testa all’indietro contro di lui. In qualche modo, era più difficile dargli il consenso che voleva. C’era meno… responsabilità quando lui assumeva il comando e basta. Ma quella era una scappatoia.
«Qual è la tua parola di sicurezza, angelo?» mormorò, sfiorandomi la gola con i denti. Le sue mani erano magia pura, le dita sprofondate dentro di me. «Crossfire.» «Tu dici la parola e si ferma tutto. Dilla di nuovo.» «Crossfire.» Le sue dita si chiusero intorno al mio capezzolo, massaggiandolo con
carezze esperte. «Non c’è nulla di cui avere paura. Basta che stai seduta e prendi il mio cazzo. Ti farò venire senza che tu debba fare niente.» Respirai a fondo. «Ho la sensazione che sia sempre così tra noi.» «Prova in questo modo» mi
disse, togliendomi il top. «Se non ti piace, lo faremo a letto.» Per un attimo pensai di rimandare, di prendermi più tempo per abituarmi all’idea. Avevo promesso che avrei provato, ma lui
non mi stava costringendo. «Crossfire» mormorò, abbracciandomi da dietro. Non sapevo se mi stesse ricordando la parola di sicurezza o dicendomi che mi amava così tanto da non trovare le parole per esprimere
quello che sentiva. Comunque, l’effetto su di me fu lo stesso. Mi sentii sicura. Percepii la sua eccitazione. Il suo respiro si era fatto accelerato non appena avevo visto l’altalena. La sua erezione era dura come l’acciaio contro le mie natiche e la sua pelle bollente contro la mia. Il suo desiderio scatenò il mio: avrei fatto qualunque cosa per dargli
tutto il piacere che poteva tollerare. Se aveva bisogno di qualcosa, volevo essere la donna che glielo avrebbe dato. Lui mi dava così tanto. Tutto. «Okay» dissi piano. «Okay.» Mi baciò la spalla, quindi si spostò di fianco a me prendendomi per mano. Lo seguii all’altalena, studiandola attentamente. Lo stretto sedile era al livello della vita di Gideon, perciò dovette girarmi perché lo guardassi
in faccia, poi mi sollevò facendomi sedere. Mi coprì la bocca con la sua quando il mio sedere nudo toccò la pelle fredda, stuzzicandomi l’angolo delle labbra con la lingua. Rabbrividii. Se fosse per il freddo, il bacio o l’ansia, non avrei saputo dirlo. Gideon si allontanò, gli occhi
socchiusi e lo sguardo acceso di desiderio. Mi mise in posizione, tenendo saldamente le catene mentre io mi appoggiavo sul sedile che era inclinato all’indietro e mi faceva venire voglia di allungare le gambe in avanti per mantenere l’equilibrio. «Sei a posto?» mi chiese, guardandomi con attenzione. Sapevo che la domanda non riguardava solo il benessere fisico. Annuii.
Fece un passo indietro, senza mai staccare gli occhi dai miei. «Adesso ti lego le caviglie. Dimmi se qualcosa ti mette a disagio.» «Va bene.» Avevo la voce ansimante e il battito accelerato. Mi fece scivolare una mano lungo la gamba, una carezza calda e provocante. Non riuscii a distogliere lo sguardo mentre mi sistemava la cinghia di cuoio rosso attorno alla caviglia e assicurava la chiusura di metallo. La manetta era salda ma
non troppo stretta. Gideon si muoveva veloce e sicuro. Qualche istante dopo mi aveva legato anche l’altra caviglia. Mi guardò. «Tutto bene fin qui?» «L’avevi già fatto.» Misi il broncio. I suoi movimenti sembravano troppo esperti per essere quelli di un principiante. Non rispose. Invece prese a
spogliarsi con gli stessi gesti precisi e metodici con cui mi aveva legata. Ipnotizzata, divorai avidamente ogni centimetro di pelle che rivelava. Mio marito aveva un corpo talmente splendido! Era muscoloso e solido, l’emblema della virilità. Era impossibile non eccitarsi vedendolo nudo. Si passò la lingua sul labbro
inferiore in una lenta carezza erotica. «Sempre tutto bene, angelo?» Gideon sapeva esattamente che effetto mi faceva guardarlo, e il fatto che fosse tanto arrogante da ritorcermi contro quella debolezza mi eccitava ancora di più. Gideon
sapeva anche che avrei fatto lo stesso con lui tutte le volte che potevo. «Sei così dannatamente sexy» gli dissi, leccandomi le labbra. Sorrise e mi si avvicinò, il pene lungo e pesante eretto fin quasi a sfiorargli l’ombelico. «Penso che ti piacerà parecchio.» Non dovetti chiedergli la ragione delle sue parole perché fu evidente non appena mi raggiunse e mi prese le mani nelle sue. Dalla
posizione in cui ero avevo una visione magnifica di Gideon, esposto dalle cosce in su in mezzo alle mie gambe. Si piegò per baciarmi. Dolcemente. Piano. Gemetti alla tenerezza
inaspettata e alla ricchezza del suo sapore. Mi lasciò andare una mano, si prese il cazzo e lo sollevò per sfregarmelo sul sesso. La grossa punta scivolò tra le mie grandi labbra bagnate, poi indugiò sul clitoride esposto. Fui percorsa da ondate di piacere e mi resi conto di quanto fossi
vulnerabile. Non potevo inarcarmi. Non potevo contrarre i muscoli per sentirlo di più. Mi sfuggì un lamento. Volevo di più, ma potevo solo aspettare che fosse lui a darmelo. «Ti fidi di me» sussurrò con la bocca sulla mia. Non era una domanda, ma risposi comunque. «Sì.» Gideon annuì. «Afferrati alle
catene.» Sopra di me c’erano le manette per i polsi. Mi chiedevo perché non le avesse usate, ma confidavo che lo sapesse meglio di me. Se pensava che non fossi pronta, era perché mi conosceva molto bene. Per certi versi, mi conosceva più di quanto io conoscessi me stessa. L’amore che provavo per lui mi esplose nel petto e mi riempì tutta, spazzando via gli ultimi residui di paura che avevano aleggiato in un
angolo buio della mia mente. Non mi ero mai sentita così vicina a lui, non avevo mai saputo che fosse possibile credere in qualcuno in maniera così totale. Feci come mi aveva ordinato e mi afferrai alle catene. Lui mi si avvicinò di nuovo, gli addominali lucidi di sudore. Vedevo le
pulsazioni battere nella vena sul collo, in quelle che gli percorrevano le braccia e il pene. Il suo cuore aveva accelerato le pulsazioni, proprio come il mio. La punta del membro era bagnata di eccitazione come la mia vagina. Il desiderio che provavamo l’uno per l’altra era un organismo vivo nella stanza, che serpeggiava sinuoso attorno a noi, restringendo il mondo a noi due soli, tagliando fuori tutto il resto. «Tieniti e non lasciare la presa»
mi ordinò, aspettando che annuissi prima di muoversi. Afferrò una delle catene nel punto in cui si univa al sedile e con l’altra mano guidò il pene verso il mio sesso. La grossa punta premette contro di
me, stuzzicandomi con la promessa del piacere. Ansimavo in attesa che facesse il passo avanti necessario a scivolarmi dentro, divorata dal bisogno di essere riempita. Invece lui afferrò il sedile dell’altalena con entrambe le mani e mi attirò verso di
sé, penetrandomi. Il verso che mi sfuggì non aveva niente di umano: la sensazione selvaggiamente erotica di essere penetrata così a fondo mi stava facendo impazzire. Mi riempì tutta con un unico affondo, il mio corpo impossibilitato a opporre qualunque resistenza. Gideon fece un verso di gola mentre il corpo possente era percorso da un tremito. «Cazzo»
sibilò. «Hai una fica stupenda.» Allungai una mano verso di lui, ma Gideon allontanò il sedile, facendo scivolare fuori la sua erezione dura come la roccia. La sensazione di vuoto mi strappò un lamento. «Ti prego» lo implorai piano. «Ti ho detto di non lasciare la presa» disse, un lampo malizioso negli occhi. «D’accordo» promisi, stringendo le catene fino a farmi dolere i palmi
delle mani. «Parlami» intimò. «Dimmi che ti piace.» «Dio santo» ansimai, sentendo il sudore colarmi sulla nuca. «Non fermarti.» Un attimo ero immobile e quello successivo oscillavo libera, con il cazzo duro di Gideon che scivolava dentro e fuori di me a un ritmo che toglieva il respiro. Il suo corpo si comportava come una macchina ben
oliata: braccia, petto, addominali e cosce erano tesi nello sforzo di far muovere l’altalena. La vista della sua potenza muscolare, l’intensità con cui era concentrato a darci piacere, la sensazione di lui che pompava così a fondo e veloce dentro di me… Godetti urlando, incapace di trattenere il piacere che esplodeva dal centro del mio corpo. Continuò
a scoparmi, lasciandosi sfuggire dei suoni rochi, il viso arrossato e contratto per la lussuria. Non ero mai venuta in modo così intenso, così in fretta. Non riuscii a vedere né a respirare per un lungo momento, squassata dal piacere più violento che avessi mai provato. Il movimento dell’altalena rallentò, poi si fermò. Gideon venne verso di me, rimanendomi dentro
fino in fondo. Aveva un odore forte, selvatico. Puro sesso, peccaminoso. Mi prese il viso tra le mani, scostandomi le ciocche dei capelli dalle guance umide. La mia vagina si contraeva intorno a lui, fin troppo consapevole di quanto fosse ancora grosso e duro. «Non sei venuto» lo accusai, sentendomi assolutamente troppo vulnerabile dopo quell’orgasmo
pazzesco. Gideon reclamò la mia bocca con un bacio ruvido ed esigente. «Ho intenzione di legarti i polsi. Poi ti vengo dentro.» Sentii i capezzoli indurirsi dolorosamente. «Oddio.» «Ti fidi di me» disse di nuovo, studiandomi il viso. Lo toccai mentre potevo ancora
farlo, accarezzandogli il petto madido di sudore e sentendo il battito disperato del suo cuore. «Più di ogni altra cosa.» 19 «Buongiorno, asso.» Lanciai un’occhiata al di sopra della spalla al suono della voce di Eva, sorridendo mentre la vedevo fare il giro attorno al bancone
diretta verso la macchina del caffè. Aveva i capelli arruffati, le gambe sexy sotto l’orlo della T-shirt che indossava. Riportando l’attenzione al fornello e ai french toast che stavo preparando nella padella chiesi: «Come ti senti?». «Mmh.» La guardai di nuovo e vidi che arrossiva.
«Indolenzita» disse, mettendo una cialda di caffè nella macchina. «Dentro.» Feci un gran sorriso. L’altalena l’aveva messa nella posizione perfetta per una penetrazione ottimale. Non ero mai stato così in fondo dentro di lei. Era tutta la mattina che ci pensavo e avevo deciso che avrei parlato ad Ash
riguardo ai suoi progetti di ristrutturazione. In una delle camere da letto dovevano esserci due cabine armadio: una per gli abiti e l’altra per l’altalena. «Accidenti» borbottò. «Guarda
che sorrisetto presuntuoso. Gli uomini sono dei maiali.» «Ed eccomi, a sgobbare ai fornelli per te.» «Sì, sì.» Mi diede una pacca sul sedere mentre passava con una tazza di caffè fumante in mano. La presi per la vita prima che fosse troppo lontana, dandole un bacio veloce sulla guancia. «Eri meravigliosa questa notte.» Avevo sentito scattare qualcosa tra noi in modo così netto che il
cambiamento era tangibile come l’anello che portavo al dito, e altrettanto prezioso. Mi scoccò un sorriso abbagliante, poi aprì il frigo per tirare fuori il cartone del latte. Intanto io misi nei piatti i french toast ormai pronti. «Volevo parlarti di una cosa» disse raggiungendomi vicino al bancone e dimenandosi per salire su uno degli sgabelli. Inarcai un sopracciglio. «Okay.» «Mi piacerebbe fare qualcosa per
la Fondazione Crossroads… dal punto di vista sia economico sia amministrativo.» «Il che potrebbe voler dire un sacco di cose. Cosa avevi in mente?» Si strinse nelle spalle e afferrò la forchetta. «Pensavo ai soldi che ho preso dal padre di Nathan come risarcimento. Sono lì in banca e dopo quello che ha dovuto passare Megumi… ho capito che devo investire quel denaro e non voglio
aspettare. Mi piacerebbe poter finanziare i programmi offerti dalla Crossroads e contribuire a escogitare nuovi modi per ampliarli.» Sorrisi tra me, compiaciuto del fatto che si stesse muovendo nella
direzione giusta. «Va bene. Ci faremo venire in mente qualcosa.» «Sul serio?» Brillava come il sole, la luce splendente del mio mondo. «Naturalmente. Anche a me piacerebbe dedicare più tempo alla fondazione.» «Potremmo lavorare insieme!» disse con animazione. «Questa cosa mi entusiasma, Gideon.» Le concessi un sorriso. «Sembra proprio così.» «Ho
l’impressione che sia un’evoluzione naturale per noi. Un’estensione di noi, in realtà.» Tagliò il french toast e se ne mise in bocca un pezzetto, facendo un verso di apprezzamento. «Mmh, buono.» «Sono contento che ti piaccia.» «Sei sexy e sai anche cucinare. Sono una ragazza fortunata.» Decisi di non confessarle che
avevo scaricato la ricetta solo quella mattina. Invece mi misi a riflettere su quello che aveva detto. Non avevo commesso un errore tattico muovendomi troppo in fretta con Mark? Era possibile che se l’avessi lasciata in pace ancora per qualche tempo forse sarebbe venuta a lavorare alla Cross Industries
di sua spontanea volontà. Ma potevo davvero permettermi il lusso di concederle più tempo, con Landon che faceva pressioni? Continuavo a pensare di no. Nel tentativo di ridurre al minimo qualunque possibile conseguenza negativa, mi domandai se fosse il caso di affrontare l’argomento Mark adesso, oppure rimandare. Eva
aveva spianato la strada parlando di lavorare insieme: se non avessi preso al volo l’occasione, correvo il rischio che venisse a saperlo per altre vie. Avevo colto l’opportunità quel fine settimana, sapendo che Eva e Mark erano amici e non parlavano solo al lavoro. Avrebbe potuto telefonarle in qualunque momento, ma contavo sul fatto che prima ci avrebbe pensato, discutendone con il suo compagno, e poi avrebbe
accettato l’idea di lasciare la Waters, Field & Leaman. «Anch’io devo parlarti di una cosa, angelo.» «Ti ascolto.» Affettando noncuranza, presi lo sciroppo d’acero e ne versai un po’ sul mio french toast. «Ho offerto un lavoro a Mark Garrity.» Ci fu un attimo di silenzio stupefatto, poi: «Hai fatto cosa?». Il tono della voce mi confermò che avevo fatto bene ad affrontare
la cosa subito invece di rimandare. La guardai: mi stava fissando. «Ho chiesto a Mark di venire a lavorare per la Cross Industries» ripetei. Impallidì. «Quando?» «Venerdì.» «Venerdì» ripeté a pappagallo. «È domenica. Perché me ne parli solo adesso?» Dato che la domanda era retorica, non risposi, decidendo di aspettare
che valutasse la situazione più chiaramente prima di peggiorare le cose. «Perché, Gideon?» Usai la stessa tattica che avevo impiegato con Mark, raccontandole la parte di verità più facile da accettare. «È una persona valida. Darà un contributo importante alla squadra.» «Stronzate.»
La rabbia le imporporò il viso. «Non trattarmi con condiscendenza. Mi stai facendo perdere il lavoro e non hai pensato che prima avresti dovuto parlarne con me?» Cambiai tattica. «La LanCorp ha chiesto esplicitamente di Mark, vero?» Lei rimase in silenzio per un po’. «Allora si tratta di questo? Del
PhazeOne? Dici sul serio, cazzo?» Mi ero chiesto che cosa Ryan Landon avrebbe usato come scusa per avvicinare Eva. Mi stupii che avesse scelto un prodotto tanto vitale per il suo bilancio, dopodiché mi rimproverai per non essermelo aspettato. «Non hai risposto alla mia domanda, Eva.» «E che cavolo c’entra?» scattò. «Sì, hanno chiesto di Mark. E allora? Non vuoi che i tuoi concorrenti si rivolgano a lui? Stai cercando di dire
che si tratta di affari?» «No, è una questione personale.» Misi giù le posate. «Eric Landon, il padre di Ryan Landon, aveva investito molto con mio padre e ha perso tutto. E da allora Ryan Landon mi sta addosso.» Aggrottò la fronte. «Quindi non volevi che lavorassimo per nessuna campagna della LanCorp? È questo
che stai dicendo?» «Sto dicendo che Ryan Landon ha chiesto di Mark per arrivare a te.» «Cosa? Perché?» Sul viso le si dipinse un’espressione di rabbia mista a irritazione. «È sposato, per l’amor di Dio. Ha portato sua moglie a pranzo con noi l’altro giorno. Non hai nessun motivo di essere geloso.» «Non gli interessi in quel senso» concordai.
«È piuttosto la sensazione di trionfo di farti lavorare per lui. Vuole la soddisfazione di sapere che può darti un ordine e tu ti precipiterai a eseguirlo.» «È ridicolo.»
«Tu non sai tutto, Eva. Quanti anni ha passato a cercare di insidiarmi in ogni modo possibile. Qualunque decisione professionale prenda è guidata dal bisogno di riscrivere il legame tra il nome Landon e il nome Cross. Tutte le volte che ha ottenuto un successo non si è lasciato sfuggire l’occasione di ripetere come suo padre non avesse capito che
razza di delinquente era mio padre, e quanto questo sia costato ai Landon.» «Ovvio che non lo sapevo» ribatté freddamente. «Visto che non hai ritenuto opportuno dirmelo.» «Te lo sto dicendo adesso.» «Quando ormai non ha più importanza!» Scivolò giù dallo sgabello e uscì dalla cucina a passo di carica.
Le andai dietro, come facevo sempre. «Eva.» La presi per il gomito, ma lei si liberò con uno strattone, voltandosi come una furia per guardarmi in faccia. «Non toccarmi!» «Non allontanarti da me» ringhiai. «Se dobbiamo litigare, facciamolo adesso.»
«Era su questo che contavi, vero? Hai pensato di poter fare quello che ti pareva, tanto poi mi avresti intortata a furia di bei discorsi, oppure scopandomi. Ma questa cosa non puoi risolverla, Gideon. Questa volta non puoi incantarmi con le parole o scoparmi fino a farmi impazzire, e sperare di cavartela.» «Risolvere cosa? Mi sono accorto che qualcuno
manovrava per approfittarsi di te e mi sono occupato della faccenda.» «È così che la vedi?» Si mise le mani sui fianchi. «Perché io invece non la vedo così, proprio per niente. Landon sta correndo dei rischi. Che succede se io e Mark facciamo un lavoro di merda? Sta investendo molto sul PhazeOne.» «Esatto. La sua azienda ha divisioni interne che si occupano di
pubblicità, marketing e promozione. Perché prendere qualcosa su cui ha investito una fortuna – persino per i miei standard – e rischiare di perderci o di fare un buco nell’acqua?» Lei alzò le mani sbuffando. «Giusto» la rimbeccai. «Non sai rispondere perché non esiste una risposta sensata. È un azzardo inutile. Gli unici che si occupano del lancio della prossima generazione di GenTen sono persone che tengo
in pugno.» «Cosa stai dicendo?» «Che Landon aspetta da tempo di spolpare i Cross. Forse non gli interessa se porti il mio cognome. Non so cos’abbia in mente. Come minimo, ci sta costringendo a una situazione in cui saremo impossibilitati a
scambiarci informazioni.» Inarcò un sopracciglio. «E dove sarebbe la differenza nel nostro rapporto?» «Non farlo.» Strinsi i pugni, frustrato dalla sua testardaggine. «Non farne una questione tra noi quando invece è una cosa che riguarda lui. Che io sia dannato se Landon riesce a
trascinarti all’inferno a causa mia.» «Non sto dicendo che tu abbia torto! Se me ne avessi parlato, avrei preso la decisione giusta da sola. E invece mi hai fatto perdere un lavoro che mi piace moltissimo!» «Aspetta. Che decisione avresti preso?» «Non lo so.» Mi fece un sorriso freddo e duro che mi gelò il sangue. «E non lo scopriremo mai.» Mi voltò le spalle.
«Fermati.» «No» ribatté senza girarsi. «Adesso mi vesto. Poi me ne vado.» «Nemmeno per sogno.» La seguii in camera da letto. «Non posso averti intorno in questo momento, Gideon. Non voglio nemmeno guardarti.» Riflettei freneticamente,
cercando di farmi venire in mente qualcosa da dire per calmarla. «Mark non ha accettato il lavoro.» Lei scosse la testa e aprì bruscamente un cassetto per prendere un paio di pantaloncini. «Lo farà. Sono sicura che gli hai fatto un’offerta che non può rifiutare.» «La ritirerò.» Dio santo. Stavo
facendo marcia indietro e mi bruciava, ma era così arrabbiata che non riuscivo a farla ragionare. Era distante come non l’avevo mai vista. Remota e intoccabile. Dopo la notte selvaggiamente erotica in cui eravamo stati più vicini di quanto fossimo mai stati, il suo atteggiamento era intollerabile.
«Non è necessario, Gideon. Ormai il danno è fatto. Ma avrai un valido collaboratore che darà un grosso contributo alla squadra.» Si infilò i pantaloncini e andò verso la cabina armadio. Ero in piedi dietro di lei e bloccavo la porta. Calzò un paio di infradito con gli stessi gesti bruschi. «Stammi a sentire, maledizione. Ti stanno addosso. Tutti
quanti. Vogliono arrivare a me attraverso di te. Sto facendo il meglio che posso, Eva. Sto cercando di proteggerci nell’unico modo che conosco.» Si fermò, girandosi ad affrontarmi. «Questo è un
problema. Perché così non mi sta bene. E non mi starà mai bene.» «Dannazione, ci sto provando!» «Tutto quello che dovevi fare era parlare con me, Gideon. Ci stavo già pensando. Collaborare alla Fondazione Crossroads era solo il primo passo. Stavo arrivando alla decisione di lavorare con te, e tu mi hai tolto il terreno da sotto i piedi. L’hai tolto a entrambi. E adesso non possiamo più tornare indietro.» La gelida definitività del suo tono
mi mandò fuori di testa. Potevo affrontare le discussioni. Potevo cambiare tattica al volo. Quello che non riuscivo a gestire era la sensazione di perdere la presa su Eva. Quando avevamo pronunciato i voti, avevo preso la decisione irrevocabile di rinunciare a tutto – alla mia ambizione, al mio orgoglio, al mio cuore – per mettermi nelle sue mani. Se non potevo contare su di lei, non mi rimaneva niente. «Non
rinfacciarmi questo, angelo» la ammonii. «Tutte le volte che ho sollevato l’argomento di lavorare insieme, non mi hai dato retta.» «E così hai deciso di passarmi sopra come un bulldozer.» «Volevo darti tempo! Avevo un piano. Ti avrei sedotta con le possibilità, inducendoti a decidere che il modo migliore per sviluppare il tuo potenziale era accanto a me.»
«Avresti dovuto attenerti al piano. Levati di mezzo.» Mantenni la mia posizione. «E come avrei potuto attenermi a un qualunque piano nelle ultime settimane? Mentre ti senti tanto virtuosa, pensa a cosa ho dovuto affrontare. Brett, il dannato video di voi due, Chris, mio fratello, la terapia, Ireland, mia madre, Anne,
Corinne, quel fottuto Landon…» Eva incrociò le braccia. «E devi gestire tutto da solo, vero? Sono davvero tua moglie, Gideon? Non sono neppure tua amica. Scommetto che Angus e Raúl sanno più cose di me della tua vita. E anche Arash. Io sono soltanto la fica carina che ti scopi.» «Basta.»
«Devi lasciarmi andare prima che la situazione peggiori.» «Non posso lasciarti andare. Lo sai che non posso. Non così.» Lei strinse la mascella. «Mi stai chiedendo di darti qualcosa che in questo momento non ho. Sono svuotata, Gideon.» «Angelo…» Mi allungai verso di lei, il petto stretto in una morsa tale da non riuscire quasi a respirare. La devastazione sul suo viso mi uccideva. Avrei distrutto chiunque
fosse stato la causa di un’espressione del genere, ma questa volta la responsabilità era mia. «Che cosa importa se avresti preso comunque la stessa decisione?»
«Devi smetterla di parlare» disse lei rauca. «Perché ogni parola che ti esce di bocca mi spinge a pensare che siamo così distanti… forse abbiamo sbagliato a sposarci.» Se mi avesse pugnalato al petto non avrebbe potuto farmi più male. L’aria nella cabina armadio divenne rovente e viziata, facendomi seccare la bocca e bruciare gli
occhi. Ebbi la sensazione che il pavimento si inclinasse sotto i miei piedi mentre le fondamenta della mia vita vacillavano ed Eva si allontanava sempre di più. «Dimmi cosa devo fare» sussurrai. Le si inumidirono gli occhi. «Lasciami andare. Concedimi un po’ di spazio per pensare. Qualche
giorno…» « N o . No!» Sentii montare il panico finché non fui costretto ad aggrapparmi allo stipite per reggermi in piedi. «Magari qualche settimana. Devo trovare un altro lavoro, dopotutto.» «Non posso» boccheggiai,
ansimando in cerca d’aria. Un cerchio nero invase il mio campo visivo, restringendolo finché Eva non fu che un puntino di luce lontanissimo. «Per l’amor di Dio, non questo, Eva!» «Devo pensare a cosa fare adesso.» Si sfregò la fronte con le dita. «E non riesco a pensare se mi guardi in quel modo. Non riesco a pensare…» Fece per passarmi di fianco e io la
afferrai per le braccia, baciandola, gemendo quando la sentii cedere per un attimo. La assaporai, assaporai le sue lacrime. O forse erano le mie. Mi infilò le mani tra i capelli, stringendo forte le ciocche e tirandole. Girò la testa, sottraendosi al bacio. «Crossfire»
disse con un singhiozzo. La parola riecheggiò secca come un colpo di pistola. La mollai di colpo, inciampando all’indietro, anche se il cervello mi urlava di tenerla stretta. La lasciai andare, e lei mi lasciò. La brezza marina mi soffia tra i capelli e io chiudo gli occhi, assaporando la
sensazione carezzevole. Il frangersi ritmico delle onde contro la spiaggia e le grida rauche dei gabbiani fermano il tempo, ancorandomi a questo momento, a questo posto. Mi sento a casa come non mi sentivo da tanto tempo, anche se ho trascorso qui soltanto pochi giorni. È un posto che ho condiviso unicamente con Eva e tutti i ricordi sono riscaldati da lei come la sabbia dal sole. Come la sabbia, sono stato
ridotto in polvere finissima dalle forze che mi circondano. E come il sole, Eva ha portato gioia e calore nella mia esistenza. Mi raggiunge sul pontile, mettendosi dietro di me vicino al parapetto. Sento la sua mano posarsi sulla mia spalla, poi la pressione della
guancia sulla schiena nuda. “Angelo” mormoro, e metto la mano sulla sua. Era di questo che avevo bisogno, di tornare qui. È il nostro rifugio quando il mondo si chiude su di noi, cercando di separarci. Qui possiamo guarire le nostre ferite. Provo un’ondata di sollievo. È tornata. Siamo insieme. Adesso capisce perché ho fatto quel che ho
fatto. Era talmente arrabbiata, talmente ferita. Per un attimo avevo provato il terrore paralizzante di avere distrutto la parte più importante della mia vita. “Gideon” dice piano, con quella voce roca da sirena. Mi fa scivolare un braccio intorno alla vita. Inclino la testa all’indietro e lascio che la forza del suo amore mi
avvolga. Mi passa le dita sul fianco e mi prende in mano il pene. Lo accarezza dalla punta alla base. Divento duro e grosso, pronto per lei. Vivo per servirla, per darle piacere. Come può averne dubitato? Dal profondo della mia anima sgorga un gemito e vengo percorso dal desiderio che provo sempre per lei. La punta gonfia del cazzo si bagna di liquido pre-eiaculatorio, i testicoli sempre più pesanti e pieni. La mano che mi tiene sulla spalla
si sposta sulla schiena ed esercita una leggera pressione, incalzandomi a chinarmi in avanti. Obbedisco perché voglio che veda quanto le appartengo. Voglio che capisca che farei qualunque cosa, darei qualunque cosa, perché fosse al sicuro e felice. Mi percorre con le dita la spina dorsale, massaggiandomi con forza. Afferro il parapetto di legno del
pontile e allargo le gambe incalzato dalla sua urgenza. Adesso entrambe le sue mani sono tra le mie cosce, il respiro caldo e ansimante contro la mia schiena. Mi pompa il cazzo con gesti esperti e decisi. Più rudi delle carezze cui mi ha abituato. Esigenti. Con l’altra mano mi massaggia i testicoli, facendo montare il
piacere. La presa diventa scivolosa mentre il liquido pre-eiaculatorio che esce dalla fessura sulla punta del pene si fa più abbondante. L’aria salmastra mi soffia addosso, raffreddando il velo di sudore che mi ricopre la pelle. “Eva…” ansimo il suo nome, così duro per lei, così disperatamente
innamorato. Le dita scivolose e agili si insinuano tra le mie cosce e premono contro la rosetta scura dell’ano. È una bella sensazione, anche se non voglio. La mano che mi masturba sta rendendo difficile respirare, pensare, reagire… “Così” mi incalza. Cerco di sottrarmi, ma lei mi intrappola tenendomi il cazzo in mano. “No” le dico, contorcendomi.
“Ti piace” sussurra lei, continuando a masturbarmi, quel tocco che bramo e a cui non riesco a resistere. “Fammi vedere quanto mi vuoi.” Mi infila due dita nell’ano. Grido, sottraendomi, ma lei si spinge dentro di me, toccando i punti più sensibili, quelli che più mi fanno venire voglia di godere. Il piacere
cresce nonostante le lacrime che mi bruciano gli occhi. La mia testa crolla in avanti, il mento sul petto ansimante. Sta venendo. Io sto venendo. Non posso fermarlo. Non con lei… Le dita dentro di me diventano più grosse, più lunghe. Le spinte si fanno frenetiche, lo schioccare della carne contro la carne sovrasta il rumore dell’oceano. Sento
un grugnito basso, lussurioso, ma non viene da me. Dentro di me c’è un cazzo e mi sta scopando. Fa male eppure il dolore è venato di un piacere nauseante, che non voglio. “Continua a masturbarti” ansima lui. “Ci sei quasi.” Un dolore terribile mi esplode nel petto. Eva non è qui. Se n’è andata. Mi ha lasciato. Un conato di vomito mi sale in gola. Mi scrollo lui di dosso e gli do
uno spintone violento, sentendolo finire contro le porte scorrevoli alle nostre spalle con un rumore di vetri rotti. Hugh ride isterico e io mi giro per guardarlo disteso tra le schegge di vetro, i capelli rossi come il sangue, lo sguardo acceso di quella vile avidità lussuriosa. “Credi che lei ti voglia?” mi deride, rimettendosi in piedi. “Le hai detto tutto. Chi ti vorrebbe dopo questo?” “Vaffanculo!” Mi getto contro di
lui e lo ributto a terra. Lo tempesto di pugni sulla faccia. Le schegge di vetro mi penetrano nella carne, lacerandola, ma il dolore fisico non è niente in confronto a ciò che provo dentro di me. Eva se n’è andata. Sapevo che se ne sarebbe andata, che non avrei potuto trattenerla. Lo sapevo, ma avevo sperato. Non
potevo combattere la speranza. Hugh non smetterà di ridere. Sento il suo naso che si rompe. Lo zigomo, la mascella. Le sue risate diventano gorgoglii, ma sono ancora risate. Alzo il braccio per colpirlo di nuovo… Anne è sdraiata sotto di me, la
faccia quasi irriconoscibile per le botte. Inorridito per quello che ho fatto, faccio un balzo indietro, rimettendomi in piedi. Il vetro mi penetra nella carne. Anne ride mentre dalla bocca e dal naso le escono bolle di sangue, sporcando la casa che una volta era un rifugio. Macchiando tutto, contaminando ogni cosa finché il
sole scompare lasciando il posto a una luna insanguinata… Mi svegliai urlando. Ero zuppo di sudore. L’oscurità mi soffocava. Mi sfregai gli occhi, poi mi tirai su a quattro zampe, singhiozzando. Strisciai verso l’unica luce che riuscivo a vedere, il debole chiarore argenteo che era la mia sola guida. La camera da letto. Dio santo. Ero svenuto sul
pavimento, squassato dal pianto. Mi ero addormentato nella cabina armadio, incapace di muovermi dopo che Eva mi aveva lasciato, troppo spaventato per fare anche un solo passo in una vita senza di lei. L’orologio era una luce brillante nella stanza immersa nelle tenebre. L’una del mattino.
Un nuovo giorno. Ed Eva non era tornata. «È arrivato presto.» La voce allegra di Scott mi fece distogliere gli occhi dalla foto di Eva sulla scrivania. «Buongiorno» lo salutai, con la sensazione di vivere ancora in un incubo. Ero arrivato in ufficio poco dopo le tre del mattino, incapace di dormire e incapace di raggiungere Eva. Avrei voluto, l’avrei fatto –
nulla avrebbe potuto tenermi lontano da lei – ma quando tracciai il suo telefono scoprii che era nell’attico degli Stanton, un posto in cui non potevo andare. L’angoscia di sapere che stava deliberatamente lontana da me mi
distruggeva come un acido. Non ero riuscito a rimanere a casa ad affrontare la routine mattutina di prepararmi per andare al lavoro senza di lei. Era stato più facile tornare alle abitudini che avevo prima, dirigendomi in ufficio con la luna alta nel cielo per trovare pace nel posto in cui esercitavo un controllo assoluto. Ma oggi non c’era nessuna pace. Solo lo strazio di sapere che ormai lei doveva essere nello stesso
edificio in cui ero io, così maledettamente vicina eppure più lontana di quanto fosse mai stata. «Quando sono arrivato c’era Mark Garrity in attesa
alla reception» continuò Scott. «Ha detto che eravate d’accordo di vedervi oggi…» Sentii un nodo allo stomaco. «Fallo entrare.» Scostai la sedia dalla scrivania e mi alzai in piedi. Avevo pensato in continuazione a Eva e alla proposta che avevo fatto a
Mark, sforzandomi di capire come avrei potuto agire diversamente. Conoscevo Eva troppo bene. Dirle di Ryan Landon non l’avrebbe convinta a lasciare la Waters, Field & Leaman, non più di quanto dirle di Anne l’avrebbe indotta a essere più prudente. Eva li avrebbe affrontati a viso aperto,
ruggendo come una leonessa per difendermi, senza vedere il pericolo per se stessa. Era fatta così e io l’amavo per questo, ma l’avrei anche protetta quando la situazione lo avesse richiesto. «Mark.» Stesi la mano quando entrò, capendo al volo che aveva intenzione di accettare. Emanava energia e gli occhi scuri erano illuminati dall’entusiasmo.
Concordammo che avrebbe cominciato a ottobre, dando un preavviso di quasi un mese alla Waters, Field & Leaman. Avrebbe voluto portare con sé Eva e io lo incoraggiai a proporglielo, anche se dubitavo che lei avrebbe accettato. Discutemmo alcune delle condizioni e io contrattai d’istinto, tenendolo sotto controllo anche se non c’ero con la testa.
Alla fine se ne andò felice e soddisfatto per la nuova svolta della sua vita professionale. E io avevo sempre più paura che Eva non mi avrebbe perdonato. Lunedì scivolò indistintamente nel martedì. C’erano solo tre momenti della giornata in cui mi sentivo davvero vivo: alle nove, quando sapevo che Eva sarebbe arrivata in ufficio, all’ora di pranzo e alle cinque, quando lei smetteva di lavorare. Aspettavo, continuando a
sperare che si sarebbe messa in contatto con me. Che mi avrebbe telefonato o mi avrebbe lanciato un segnale in qualche altro modo. Persino un altro orribile litigio sarebbe stato meglio di quel silenzio straziante. Non lo fece. Potevo solo guardarla
sui monitor della sicurezza, divorandola con gli occhi mentre andava e veniva come un uomo che sta morendo di fame, terrorizzato di tentare un approccio e rischiare così di allargare l’abisso tra di noi. Rimasi in ufficio tutta la notte, troppo spaventato per tornare a casa. Spaventato di quello che avrei potuto fare se avessi messo piede
in uno qualunque dei posti che avevo condiviso con lei. Persino l’ufficio era un tormento, il divano dove l’avevo scopata un ricordo inesorabile di quello che avevo fatto solo pochi giorni prima. Mi feci la doccia nel bagno dell’ufficio e indossai uno degli abiti che tenevo di riserva. Prima di allora non mi era mai sembrato strano vivere per il lavoro. Adesso ero sopraffatto da emozioni che ero incapace di
esprimere, capendo fino a che punto Eva mi avesse riempito la vita. Era di nuovo dagli Stanton. Preferiva passare del tempo con sua madre piuttosto che rischiare di dovermi affrontare. Le mandavo SMS in continuazione. Supplicando che mi chiamasse. “Ho solo bisogno di sentire la tua voce.” Osservazioni
sul nulla. “Fa più freddo oggi, vero?” Commenti sul lavoro. “Non mi ero mai reso conto che Scott si vestisse sempre di blu.” E soprattutto: “Ti amo”. Per qualche ragione, era più facile scrivere quelle due parole che pronunciarle. Le scrissi un’infinità di volte. Non volevo che lo dimenticasse. Quali che fossero le
mie colpe e le cazzate che avevo combinato, tutto quello che facevo o pensavo o provavo era amore per lei. A volte mi incazzavo, odiando quello che mi stava facendo. Che stava facendo a noi. “Maledizione a te! Chiamami. Smettila di farmi questo!” «Hai un aspetto di merda» disse Arash, osservandomi mentre
esaminavo il contratto che mi aveva messo sulla scrivania. «Ti stai ammalando di nuovo?» «Sto bene.» «Amico mio, stai tutto tranne che bene.» Gli lanciai un’occhiataccia, zittendolo. Erano quasi le sei e stavo andando dal
dottor Petersen quando finalmente Eva si mise in contatto con me. “Ti amo anch’io.” Quelle parole oscillarono davanti ai miei occhi affaticati. Risposi con le dita che mi tremavano, quasi stordito dal sollievo. “Mi manchi così tanto. Possiamo parlare, per favore? Ho bisogno di vederti.” Non rispose
prima che io arrivassi dal dottor Petersen, cosa che mi depresse facendomi venire voglia di spaccare qualcosa. Mi stava punendo nel modo peggiore. Ero nervoso come un tossico, con un bisogno disperato di una dose di lei per andare avanti. Per pensare. «Gideon.» Il dottor Petersen mi accolse sulla soglia dello studio con un sorriso che svanì non appena mi
vide. Inarcò le sopracciglia per la preoccupazione. «Sembra che lei non stia bene.» «Infatti» scattai. Mi fece segno di sedermi, ma io rimasi in piedi, con la mente in subbuglio, pensando di andarmene per cercare mia moglie. Non potevo aspettare un minuto di più. Era chiedermi troppo. «Forse dovremmo camminare come l’altra volta» disse. «Non vedo l’ora di sgranchirmi un po’ le
gambe.» «Chiami Eva» gli dissi in tono autoritario. «Le dica di venire qui. La ascolterà.» Sbatté le palpebre. «Ha dei problemi con Eva?» Mi tolsi la giacca e la buttai sul divano. «Si sta comportando in modo irragionevole! Non vuole vedermi… non vuole parlarmi. Come cazzo possiamo pretendere di risolvere le cose se nemmeno ci parliamo?»
«Questa è una domanda ragionevole.» «Proprio così, per la miseria! Io sono un uomo ragionevole. E invece lei è fuori di testa. Non può continuare a comportarsi così. Deve farla venire qui. Deve convincerla a parlare con me.» «Va bene. Prima però devo sapere che cos’è successo.» Si
sedette sulla sua sedia. «Non le sarò molto utile se non so come stanno le cose.» Gli puntai un dito contro. «Non faccia i suoi giochetti mentali con me, dottore. Non oggi.» «Penso di essere ragionevole quanto lei» disse con calma. «Anch’io voglio che lei risolva le cose con Eva. Credo che lo sappia, questo.» Buttai fuori il fiato e mi sedetti sul bordo del divano, poi mi presi la
testa tra le mani. Mi pulsava dolorosamente, una morsa di sofferenza. «Ha litigato con Eva» disse. «Sì.» «Quand’è stata l’ultima volta che le ha parlato?» Deglutii con forza. «Domenica.» «Che cos’è successo domenica?» Glielo raccontai parlando così in
fretta che lui si mise a scrivere freneticamente sul suo tablet. Le parole sgorgarono in un fiotto rabbioso che mi lasciò svuotato ed esausto. Continuò a scrivere per qualche istante dopo che ebbi finito, poi sollevò la testa per guardarmi. Vidi la compassione nei suoi occhi e mi si chiuse la gola. «Ha portato via il lavoro a Eva» mi fece notare «un lavoro che le piace moltissimo, come ha detto sia
a lei sia a me. Riesce a capire perché è arrabbiata, vero?» «Sì, lo capisco. Ma avevo delle ragioni valide. Ragioni che lei comprende. È questo che non afferro. Capisce, eppure mi sta tagliando fuori.» «Forse sono io che non ho ben capito perché non ne ha parlato con Eva prima. Riesce a spiegarmelo?» Mi sfregai la nuca dolorante, dove avevo la sensazione che i muscoli fossero rigidi come cavi
d’acciaio. «Sarebbe andata in paranoia» borbottai. «Le ci sarebbe voluto del tempo per venire a patti con questa cosa. Nel frattempo io sto cercando di gestire un’altra tonnellata di merda. Ne sta
arrivando da tutte le direzioni.» «Ho visto la notizia del libro di Corinne Giroux su di lei.» «Ah, già.» Feci una smorfia amara. «Probabilmente ha preso l’idea dal video dei Six-Ninth, Ragazza d’oro. Landon è arrivato a Eva sfruttando un momento in cui avevo la guardia abbassata. Non potevo rischiare di esporgli il fianco più di così mentre ero impegnato a gestire tutto il resto.» Il dottor Petersen annuì. «Lei è
parecchio sotto pressione. Non si fida del fatto che Eva potrebbe aiutarla a prendere le decisioni che sta prendendo? Deve sapere che i suoi conflitti con la madre spesso nascono perché non viene consultata prima che siano
intraprese delle azioni.» «Lo so.» Mi sforzai di mettere ordine nel caos dei miei pensieri. «Ma devo prendermi cura di lei. Dopo quello che ha passato…» Chiusi gli occhi, stringendo forte le palpebre. A volte pensare a quello che aveva sofferto mi era quasi intollerabile. «Devo essere forte per lei. Prendere le decisioni difficili.» «Gideon, lei è uno degli uomini più forti che conosca» disse piano.
Aprii gli occhi e lo guardai. «Lei non mi ha visto come mi ha visto Eva.» In lacrime come un bambino. Brutalizzato dai ricordi. Masturbandomi mentre ero privo di conoscenza. Violento nel sonno. Debole, talmente debole. Impotente.
«Pensa che dubiti di lei perché le ha mostrato la sua fragilità? Non è da Eva, mi dia retta.» Mi bruciavano gli occhi. «Dottore, lei non sa tutto. Lei… non lo sa.» «Ma Eva sì. E l’ha sposata lo stesso. La ama – moltissimo – lo stesso.» Mi rivolse un sorriso gentile che chissà come era tagliente come una lama, e mi squarciò. «Una volta lei mi ha chiesto se i rapporti di coppia avevano a che fare con il compromesso. Se lo ricorda?»
Annuii bruscamente. «Quel compromesso significa che lei non deve sempre essere quello forte, Gideon. Alcune volte può essere lei a portare il peso delle cose, e altre può lasciare che sia Eva a farlo. Il matrimonio non è questione di essere forti come individui. Invece ha a che fare con quanto siete forti insieme, e concede il lusso di condividere le difficoltà, di portare il peso in due.» «Io…» Scrollai la testa. Eva
aveva detto la stessa cosa. «Ci sto provando. Lo giuro su Dio, ci sto provando.» «Lo so.» «Deve riprendermi con sé. Deve tornare. Ho bisogno di lei. Mi sta uccidendo. Mi strazia facendo così.» Mi fissai le mani, guardando gli anelli che mi aveva dato e che dicevano che era mia. «Cosa devo fare? Mi dica cosa devo fare.» «Eva vuole sapere che lei è disposto a cambiare. Vuole vedere
che fa delle cose per dimostrarlo. Gideon, lei non ha dovuto affrontare decisioni così importanti molto spesso, perciò forse Eva ha scelto di stare a guardare. Immagino che questo per lei sarà difficile, Gideon. Molto difficile.» Annuii lentamente, ma non potevo aspettare ancora. Se Eva aveva bisogno di una prova che avrei fatto qualunque cosa purché rimanesse al mio fianco, gliel’avrei data.
Strinsi i pugni e fissai la moquette ai miei piedi. «Sono stato…» Mi schiarii la gola. «Il terapeuta. Quello da cui andavo quando ero bambino.» «Sì?» «Lui… mi ha molestato. Per quasi un anno. Mi ha… stuprato.» 20 “Mi manchi così tanto. Possiamo parlare, per favore? Ho bisogno di vederti.” «Ancora lì a guardare quell’SMS?»
mi chiese Cary, rotolando sulla schiena nel letto accanto a me e appoggiando la tempia alla mia. «Non riesco a dormire.» Stare lontana da Gideon era una tortura. Passavo ogni minuto – da sveglia e nel sonno – a sentirmi come se mi avessero strappato il cuore dal petto lasciando un buco gigantesco. Guardai il baldacchino sopra il letto degli ospiti a casa di mia madre. Come il salotto, la stanza in cui mi aveva messa era appena
stata rinnovata. Con le sue tonalità crema e verde muschio, era un ambiente riposante e di ottimo gusto. La stanza degli ospiti in cui stava Cary aveva uno stile più virile, con tinte sul grigio e il blu marina e mobili in noce all’estremo opposto dello spettro dei colori rispetto al bianco dorato dell’arredamento della mia camera. «Quando
hai intenzione di parlargli, piccola?» «Presto. È solo che…» Mi strinsi il telefono al petto. «Credo che abbiamo bisogno tutti e due di un po’ di tempo.» Era così difficile pensare quando io e Gideon litigavamo. Lo odiavo. E questa volta era anche peggio, perché era lui quello che aveva combinato un casino e, come tutto
quello che lo riguardava, lo aveva fatto in modo spettacolare. Non riuscivo a immaginare come avrei potuto perdonarlo e vivere in pace con me stessa. D’altra parte, non riuscivo a immaginare come sarei potuta andare avanti senza di lui e vivere, punto. Mi sembrava di essere morta dentro. L’unica cosa che mi impediva di crollare era la convinzione che in qualche modo avremmo risolto le cose e saremmo tornati a stare insieme. E come
avrebbe potuto non essere così? Come potevo dare così tanto di me a un’altra persona e poi lasciarla andare? Pensai al consiglio che avevo dato a Trey. Adesso eravamo alle prese con lo stesso dilemma: avremmo scelto di amare o avremmo scelto noi stessi? Ero così
incazzata con Gideon per avermi forzato la mano. Avevo riconosciuto che certe situazioni mi stavano spingendo a prendere quella decisione, ma non avrei mai pensato che sarebbe stato mio marito a levarmi il terreno da sotto i piedi. E perché diamine le due scelte dovevano escludersi a vicenda? Non
era giusto. «Lo stai mettendo a dura prova» sottolineò Cary, inutilmente. «È stato lui a farlo, non io.» Gideon mi aveva portato via una cosa preziosa, anzi peggio, l’aveva portata via a entrambi: la mia libertà, e la fiducia che avevo nel fatto che lui l’avrebbe rispettata. Dopo quella notte… quando mi ero fidata completamente di lui e mi ero concessa in maniera totale… E lui aveva già parlato con Mark. La
sensazione di essere stata tradita era lancinante. «Grazie per essere rimasto con me.» Si strinse nelle spalle. «Stanton mi piace. Non è male rimanere qui per qualche giorno. Alla fine torneremo a casa, giusto?» «Non posso nascondermi per sempre.» «Questo lo dici tu» borbottò lui. «Quanto a me, stare nascosto mi piace. Prendersi una cazzo di tregua e dimenticarsi di tutta la merda.»
«Ma la merda è sempre là fuori che ti aspetta.» E sapendolo, preferivo affrontarla di petto, levarla di mezzo e buttarmela alle spalle. «Lasciala aspettare» disse, scompigliandomi i capelli. Girai la testa e gli diedi un bacio
sulla guancia. Negli ultimi tre giorni lo avevo inzuppato di tutte le mie lacrime e avevo dormito raggomitolata contro di lui. A volte avevo l’impressione che le sue braccia fossero l’unica cosa che mi teneva insieme, impedendomi di andare in pezzi. Dio santo. Mi faceva male dappertutto. Ero uno straccio, uno
zombie in una New York vibrante di vita. Dov’era Gideon adesso? Il dolore della separazione stava iniziando a scemare? O era ancora devastato come lo ero io? «Mark mi ha chiesto di andare con lui alla Cross Industries» dissi, solo per costringermi a pensare a qualcos’altro. «Be’, sapevi che lo avrebbe fatto.» «Immagino di sì, ma quando ha
sollevato l’argomento mi è sembrato lo stesso surreale.» Sospirai. «È così eccitato, Cary. Avrà uno stipendio considerevolmente
più alto e questo cambierà un sacco di cose per lui e Steven. Potranno permettersi un matrimonio da sogno e una lunga luna di miele, e adesso stanno
cercando un appartamento. È difficile continuare a essere arrabbiata quando per lui è una cosa tanto positiva.» «Hai intenzione di lavorare per Gideon?» «Non lo so. Non scherzavo quando gli ho detto che stavo già decidendo in quel senso per conto mio. Ma adesso… Vorrei cercare un posto da qualche altra parte solo per fargli dispetto.»
Cary alzò i pugni e fece un paio di finte. «Fagli vedere che non è il tuo capo.» «Già.» Tirai a mia volta qualche pugno nell’aria, giusto per sfogarmi un po’. «Ma è una cosa stupida. Non saprei mai se sono stata assunta per me o per il suo cognome, indipendentemente dal fatto che si riveli una cosa buona o cattiva. Comunque, Mark se ne andrà tra un mese, per cui ho un po’ di tempo per pensarci.»
«Forse la Waters, Field & Leaman ti terrà. Ci hai pensato?» «È una possibilità. Non so bene come mi comporterei. Mi risparmierebbe la fatica di dovermi cercare un altro posto, ma non avrei Mark, ed è lui la ragione per cui quel lavoro mi piace così tanto. Vorrei ancora stare lì senza di lui?» «Ci sarebbero sempre Megumi e
Will.» «Questo è vero» concordai. Restammo sdraiati in silenzio per un po’. Poi lui disse: «Sembra proprio che io e te siamo sulla stessa dannata barca del cazzo-se-lo-so». «Trey ti chiamerà» lo rassicurai, anche se non avevo idea di cosa gli avrebbe detto quando lo avesse fatto. «Certo. È un bravo ragazzo. Non mi lascerà sulla graticola.» Cary
aveva una voce sfinita. «È quello che dirà, non quando, il vero punto interrogativo.» «Lo so. L’amore dovrebbe essere più facile di così» mi lamentai. «Se fossimo in una commedia romantica, si intitolerebbe L’amore fa schifo.» «Forse dovremmo rimanere fedeli a Sex and the City.» «Provato anche quello. È finita
Molto incinta. Avrei preferito essere Quarant’anni vergine, ma avevo già troppo vantaggio.» «Possiamo scrivere un manuale su “Come perdere un uomo in dieci settimane”.» Cary mi lanciò un’occhiata. «Cazzo, è perfetto.» Il mercoledì mattina mi colpì come un dopo sbornia.
Prepararmi per andare al lavoro a casa di mia madre mi aiutava a non sentire troppo la mancanza di Gideon, ma aveva il grosso svantaggio di costringermi a sorbirmi mia mamma, che mi stava
tirando scema parlando in continuazione del matrimonio. Persino Stanton, con la sua inesauribile capacità di sopportare
le isterie di Monica, mi lanciava occhiate comprensive. Non riuscivo a pensare al matrimonio in quel momento. Non ce la facevo a guardare più in là della prossima ora; ecco come ce la facevo a tirare avanti: un’ora alla volta. Quando uscii dall’atrio sul marciapiede, trovai ad aspettarmi
Angus con la Bentley invece di Raúl con la Mercedes. Mi sforzai di sorridere: mi faceva davvero piacere vederlo, ma ero anche sul chi va là. «Buongiorno Angus.» Indicai l’auto con un cenno del mento e sussurrai: «Lui è lì?».
Scosse la testa, poi si portò la mano alla visiera del berretto da chauffeur. «Buongiorno, Mrs Cross.» Gli diedi una rapida stretta alla spalla a mo’ di risposta, prima di infilarmi sul sedile posteriore dell’auto mentre lui mi teneva aperta la portiera. Di lì a poco ci stavamo immettendo nell’ingorgo del traffico mattutino, diretti in
centro. Mi sporsi in avanti e chiesi: «Lui come sta?». «Peggio di lei, mi sa.» Mi lanciò una rapida occhiata prima di riportare l’attenzione sulla strada. «Soffre, ragazza mia. La notte scorsa è stata la peggiore.» «Dio santo.» Sprofondai nel sedile, senza sapere cosa fare. Non volevo che Gideon stesse male. Era già stato troppo male. Tirai fuori lo smartphone e gli
mandai un SMS: “Ti amo.” Rispose quasi subito: “Chiamo. Pf rispondi.” Un attimo dopo lo smartphone si mise a vibrare e sullo schermo comparve la sua foto. Vederlo dopo che negli ultimi giorni avevo evitato ogni immagine di lui fu una stilettata al cuore. Avevo paura anche di sentire la sua voce. Non sapevo se sarei riuscita a resistere. E non avevo le risposte che voleva da me.
Scattò la segreteria telefonica e il cellulare smise di suonare, solo per ricominciare a vibrare subito dopo. Risposi portando il telefono all’orecchio senza parlare. Ci fu un lungo momento di silenzio da levare il fiato. «Eva?» Mi si riempirono gli occhi di lacrime al suono della voce di Gideon, così roca, come se gli facesse male la gola. La cosa peggiore era la speranza che udii
quando pronunciò il mio nome, la nostalgia disperata. «Va bene se non parli» disse burbero. «Voglio solo…» Lo sentii emettere un sospiro tremante. «Mi dispiace, Eva. Voglio solo che tu sappia che mi dispiace e che farò tutto quello che hai bisogno che faccia. Voglio solo sistemare le cose.» «Gideon…» Lo sentii inspirare bruscamente quando dissi il suo nome. «Credo che ti dispiaccia che
in questo momento non siamo insieme, ma credo anche che rifarai di nuovo qualcosa del genere. Sto cercando di capire se posso tollerarlo.» Scese il silenzio. «Cosa significa questo?» chiese alla fine. «Quale sarebbe l’alternativa?» Sospirai, sentendomi di colpo
stanchissima. «Non ho risposte. Ecco perché sto lontana. Voglio darti tutto, Gideon. Non vorrei mai dirti di no, è così difficile per me. Ma adesso ho paura che se scendo a questo compromesso, se sto con te sapendo come sei e che non cambierai, ti porterò rancore e alla fine mi disamorerò di te.» «Eva… Dio santo. Non dire così!» Sentii che respirava con difficoltà. «L’ho detto al dottor Petersen. Di Hugh.»
«Cosa?» Alzai la testa di scatto. «Quando?» «Ieri sera. Gli ho detto tutto. Di Hugh. Di Anne. Mi aiuterà, Eva. Ha detto delle cose…» Si interruppe. «Hanno senso. Mi ha parlato di me e del modo in cui mi comporto con te.» «Oh, Gideon.» Potevo immaginare quanto dovesse essere stato difficile per lui. Ci ero passata
anch’io. «Sono fiera di te. So che non è stato facile.» «Devi stare con me. L’hai promesso. Te l’avevo detto che avrei fatto casino. Lo farò di nuovo. Non so che cazzo sto facendo, ma Dio santo… ti amo. Ti amo così tanto. Non posso fare questa cosa senza di te. Non posso vivere senza di te. Mi stai distruggendo, Eva. Non posso…» Fece un verso flebile, di dolore. «Ho bisogno di te.» «Oddio, Gideon.» Le lacrime mi
scendevano lungo le guance e mi colavano sul petto, infilandosi nella scollatura del vestito. «Nemmeno io so cosa fare.» «Non possiamo pensarci insieme? Non siamo migliori – più forti – insieme?» Mi asciugai la faccia, sapendo che mi ero rovinata il trucco anche se non me importava niente. «Vorrei che lo fossimo. È la cosa
che desidero di più al mondo. Ma non so se possiamo farcela. Non c’è stata una volta, nemmeno una, in cui mi hai permesso di risolvere le cose insieme a te.» «Se l’avessi fatto… se lo facessi – e lo farò – tornerai da me?» «Non ti ho lasciato, Gideon. Non vedo come potrei.» Guardai fuori dal finestrino e vidi una giovane coppia che si salutava con un bacio davanti a una porta girevole prima che l’uomo schizzasse via. «Però, sì,
se potessimo essere davvero una squadra, nulla potrebbe tenermi lontana da te.» «Ho sentito che voi ragazzi vi siete aggiudicati la campagna per PhazeOne.» Alzai la testa dal caffè che stavo zuccherando e inarcai le sopracciglia rivolta a Will. «Non ne so niente.»
Lui fece un gran sorriso, gli occhi che brillavano dietro le lenti degli occhiali. Era un ragazzo così felice, con una relazione stabile che funzionava alla grande. Avevo provato quella sensazione solo poche volte con Gideon, e tutte le volte era stata… pura magia. Non riuscivo a immaginare quanto sarebbe stato meraviglioso se fossimo riusciti ad arrivarci anche noi, e soprattutto a rimanerci. «Questo è quello che ho sentito»
disse. «Amico mio.» Feci un sospiro esagerato. «Sono sempre l’ultima a sapere le cose.» Era tutta la settimana che recitavo da Oscar. Tra l’eccitazione di Mark, l’imminente cambiamento della mia situazione lavorativa, il ciclo in arrivo e il casino della mia vita privata, stavo concentrando tutte le energie che mi rimanevano per sembrare tranquilla. Avevo evitato
i gruppetti che spettegolavano per non dover interagire con la gente. C’era un limite anche alla felicità-gioiasoddisfazione che potevo simulare. «Mark mi ucciderà per avertelo detto.» Will non sembrava per niente dispiaciuto. «Volevo essere il primo a congratularmi con te.» «Okay. Grazie. Forse.» «Sto morendo dalla voglia di
mettere le mani su quel sistema, sai? Sui blog di tecnologia impazzano le voci riguardo alle caratteristiche di PhazeOne.» Si appoggiò al bancone accanto a me e mi lanciò un’occhiata speranzosa. Agitai un dito verso di lui. «Da me non saprai niente.» «Accidenti.
E dire che ci contavo.» Si strinse nelle spalle. «Probabilmente vi metteranno sotto chiave fino al lancio, giusto per mantenere il segreto.» «Strano che la LanCorp lo abbia affidato a un’agenzia esterna, non ti pare?» Aggrottò la
fronte. «Già, immagino di sì. Non ci avevo pensato.» Neanch’io. Ma Gideon sì. Riportai lo sguardo sulla tazza, mescolando distrattamente il caffè. «Presto uscirà un nuovo GenTen.» «L’ho sentito. Ma qui non c’è storia. Lo compreranno tutti.» Flettei le dita, studiando la fede e pensando ai voti che avevo pronunciato
quando l’avevo accettata. «Hai programmi per pranzo?» chiese. Presi la tazza e lo guardai. «Sì, esco con Mark e il suo compagno.» «Oh, giusto.» Si diresse verso la macchina per il caffè quando io mi spostai. «Magari in settimana
possiamo andare a bere qualcosa insieme dopo il lavoro, portando le persone importanti per noi. Se Gideon ne ha voglia. So che è un uomo molto impegnato.» Aprii la bocca, e la richiusi. Will mi aveva offerto l’appiglio perfetto per scusare Gideon. Avrei potuto approfittarne, ma volevo condividere con mio marito la mia vita sociale. Volevo che venisse con
me. Se cominciavo a escluderlo, non era forse l’inizio della fine? «Buona idea» mentii, immaginando una serata carica di tensione. «Gliene parlerò. Vediamo cosa riusciamo a fare.» Will annuì. «Fantastico. Fammi sapere.» «Ho un problema.» «Oh?» Guardai Mark che sedeva di fronte a me. Il ristorante cubano
scelto da Steven era grande e affollato. La luce del sole entrava da un gigantesco lucernario e il locale era decorato da murali pieni di colore con pappagalli e fronde di palme. La musica festosa mi dava la sensazione di essere andata in vacanza in un posto esotico e il profumo di spezie mi aveva fatto venire fame per la prima volta da giorni. Mi sfregai
le mani. «Risolviamolo.» Steven annuì. «Eva ha ragione. Sentiamo.» Mark mise da parte il menu e appoggiò i gomiti sul tavolo. «Allora, stamattina Mr Waters mi ha detto di cominciare a lavorare sul progetto LanCorp.» «Evvai!» mi complimentai. «Non così in fretta. Alla luce di questo, ho dovuto dare il preavviso.
Speravo di poter aspettare fino a venerdì, ma hanno bisogno di qualcuno che segua il cliente fino alla fine, non solo il primo mese.» «Hai ragione» ammisi, smettendo di sorridere. «Che peccato, però.» «Uno schifo, e tuttavia…» Si
strinse nelle spalle. «Così stanno le cose. Poi ha chiamato gli altri soci. Dopo avermi detto che quando i pezzi grossi della LanCorp si sono rivolti all’agenzia avevano insistito perché fossi io il responsabile della campagna, hanno aggiunto che adesso sono preoccupati di perdere il lavoro se non sono io a gestirla.» Steven fece un gran sorriso e gli diede una pacca sulla spalla. «Ecco quello che ci piace sentire!» Mark fece un sorriso modesto.
«Già, una bella soddisfazione, niente da dire. Comunque, mi hanno offerto una promozione e un aumento se rimango.» «Wow.» Mi appoggiai allo schienale della sedia. «Questo sì che è un incentivo serio.» «Non possono offrirmi
lo stipendio che mi ha proposto Cross, nemmeno lontanamente, ma a voler essere onesti lui mi sta pagando troppo.» «Questo lo dici tu» lo prese in giro Steven. «Vali ogni centesimo.» Io annuii, anche se avevo solo una vaga idea di quello che Gideon aveva messo sul tavolo. «Sono completamente d’accordo.» «Però io sento un debito di lealtà nei confronti della Waters, Field &
Leaman.» Mark si sfregò la mascella. «Sono stati generosi con me e vogliono che rimanga, anche sapendo che un altro può portarmi via.» «Hai fatto un ottimo lavoro per anni» obiettò Steven. «Ti devono parecchio. Non gli devi nessun favore.»
«Questo lo so. E non avevo nessun problema ad andarmene, perché avrebbero trovato in fretta una sostituzione. Ma non voglio che perdano la campagna della LanCorp per causa mia.» «Non è una decisione che spetta a te» gli feci notare. «Se la LanCorp sceglie di non tenere l’agenzia, il problema è loro.» «Anch’io ho provato a vederla in questo modo, ma la cosa continua a tormentarmi.»
Arrivò il cameriere a prendere le ordinazioni. Guardai Steven. «Ordineresti tu per me?» «Certo.» Lanciò un’occhiata a Mark, che fece un cenno del capo per dire che andava bene anche a lui. Steven ordinò per tutti. Aspettai che fossimo di nuovo soli per parlare, non sapendo come dire quello che andava detto. Alla fine decisi di non usare troppi giri di
parole. «Non posso lavorare alla campagna PhazeOne.» Mark e Steven mi fissarono. «Vedete, i Landon e i Cross hanno incrociato le loro strade molto tempo fa» spiegai «e tra loro non corre buon sangue. Gideon aveva qualche preoccupazione e io capisco il suo punto di vista. È abbastanza fondato da indurmi ad andarci con i piedi di piombo.» Mark aggrottò le sopracciglia. «Landon sa chi sei. Lui non ha
nessun problema con questo.» «Lo so. Ma il PhazeOne è una cosa grossa. Esistono dei rischi legati al fatto di avervi accesso, e io non me la sento di farmi coinvolgere.» Era difficile
ammettere che Gideon aveva ragione, perché sapevo di avere ragione anch’io. Il che ci aveva portati a un impasse che non sapevo come superare. Steven si sporse verso di me, studiandomi. «Dici sul serio?» «Ho paura di sì. Non che la tua decisione sia influenzata in alcun modo da me, Mark, ma pensavo di
dovertelo dire.» «Non sono sicuro di aver capito» ribatté Mark. «Ti sta dicendo che se rimani, perderai sia i soldi sia la tua assistente» chiarì Steven. «Oppure puoi andare alla Cross Industries come hai già accettato di fare, prendere i soldi e tenerti Eva.» «Be’…» Dio santo. Era più difficile di quanto credessi. Ne avevo sentito parlare ma adesso lo sperimentavo
sulla mia pelle: qualunque donna perda o rinunci a un lavoro che ama a causa di un uomo se ne pentirà… Che cosa mi aveva fatto credere che sarei stata l’eccezione? «Non so ancora se deciderò di venire con te.» Mark ricadde all’indietro sul divanetto di vinile bordeaux. «La situazione è sempre peggio.» «Non sto dicendo definitivamente
che non lo farò.» Cercai di minimizzare la cosa. «Non sono sicura che io e Gideon dovremmo lavorare insieme. Voglio dire, non so se dovrebbe essere il mio capo… Insomma, hai capito cosa intendo.» «Mi secca ammetterlo» disse Steven «ma non ha tutti i torti.» «Il che non mi aiuta» borbottò Mark. «Mi dispiace.» Non potevo dirgli quanto fossi realmente dispiaciuta. Non me la sentivo nemmeno di
dare consigli. Come avrei potuto essere imparziale riguardo alle opzioni di Mark? «Il lato positivo» dissi invece «è che a quanto pare sei merce preziosa.» Steven diede di gomito a Mark e fece un largo sorriso. «Io lo sapevo già.» «E così» Cary mi circondò con un braccio quando mi accoccolai al suo fianco «eccoci di nuovo qui.» Un’altra notte da mia madre. Alla
fine si era fatta sospettosa, considerando che era la quarta notte di fila che passavamo a casa sua. Le avevo confessato di avere discusso con Gideon, ma non il motivo. Non pensavo che avrebbe capito. Ero sicura che avrebbe ritenuto perfettamente normale che un uomo nella posizione di mio
marito gestisse tutti i dettagli noiosi. Quanto al fatto che avrei perso il lavoro… perché mai avrei dovuto lavorare quando non c’erano ragioni economiche per farlo? Non capiva. Alcune figlie volevano diventare esattamente come le loro madri: io volevo il contrario. E il mio bisogno di essere anti-Monica
era la ragione principale per cui facevo così fatica a venire a patti con quello che aveva fatto Gideon. Qualunque consiglio da parte di mia madre avrebbe solo peggiorato le cose. Ce l’avevo con lei quasi quanto ce l’avevo con lui. «Domani torniamo a casa» dissi. Dopotutto, avrei
perlomeno incontrato Gideon nello studio del dottor Petersen. Morivo dalla curiosità di vedere come sarebbe andata. Non potevo fare a meno di augurarmi che Gideon avesse compiuto una svolta fondamentale
con la terapia. Se era così, forse c’erano altre svolte che potevamo fare. Insieme. Tenevo le dita incrociate. E per essere onesta, dovevo riconoscere che aveva fatto del suo meglio per concedermi lo spazio che avevo chiesto. Avrebbe potuto intercettarmi in un ascensore o nell’atrio del Crossfire. Avrebbe potuto dire a Raúl di portarmi da lui invece di dove gli avevo chiesto di portarmi. Gideon ci stava provando
davvero. «Hai sentito Trey?» gli chiesi. Era straordinario quanto spesso io e Cary finissimo nella stessa situazione nello stesso momento. O forse era una maledizione condivisa. «Mi ha mandato un SMS per dirmi che sta pensando a me ma non è ancora pronto a parlarmi.»
«Be’, almeno è qualcosa.» Mi accarezzò la schiena. «Lo è?» «Sì» dissi. «Sono allo stesso punto con Gideon. Penso a lui in continuazione, ma in questo momento non ho niente da dirgli.» «E adesso che fai? Dove vai a stare? Quando decidi che hai qualcosa da dirgli?» Ci
pensai su, guardando distrattamente Harrison Ford andare a caccia di risposte nel Fuggitivo, che passava sullo schermo con l’audio azzerato. «Quando
cambia qualcosa, immagino.» «Quando lui cambia, vuoi dire. E che succede se non lo fa?» Quella risposta non ce l’avevo ancora e quando cercavo di pensarci mi sembrava di impazzire. Così, per cambiare discorso feci una domanda a Cary. «So che vuoi mettere per primo il bambino, e so che è la cosa giusta da fare. Ma Tatiana
non è felice. E tu nemmeno. Per non parlare di Trey. Non funziona per nessuno dei tre. Hai pensato di stare con Trey e di aiutare Tatiana con il bambino insieme a lui?» Sbuffò. «Non accetterà. Se lei è infelice, devono esserlo anche tutti gli altri.»
«Non credo che dovrebbe essere lei a decidere. La responsabilità di essere rimasta incinta è sua quanto tua. Non devi scontare una penitenza, Cary.» Gli misi la mano sul braccio che teneva in grembo e sfiorai con il pollice le cicatrici fresche sull’interno
dell’avambraccio. «Sii felice con Trey. Rendilo felice. E se Tatiana non riesce a essere felice con due ragazzi sexy che si occupano di lei, allora… c’è qualcosa che non va.» Cary rise piano e mi baciò sulla sommità della testa. «Dài, risolvi anche il tuo problema così facilmente.»
«Vorrei poterlo fare.» Lo desideravo più di ogni altra cosa. Ma sapevo che non sarebbe stato così semplice. E temevo che potesse essere impossibile. Fui svegliata dallo smartphone che vibrava. Quando mi resi conto che cos’era quel rumore, mi misi a cercare il
telefono alla cieca, tastando il letto con le mani finché non lo trovai. A quel punto avevo perso la chiamata. Strizzai gli occhi alla luce abbagliante dello schermo e vidi che erano solo le tre del mattino; la chiamata era di Gideon. Sentii il cuore in gola e la preoccupazione
mi fece svegliare del tutto. Ero andata di nuovo a letto abbracciata al telefono, incapace di smettere di leggere i messaggi che continuava a mandarmi. Lo richiamai. «Angelo» rispose al primo squillo, la voce rauca. «Va tutto bene?» «Sì. No.» Buttò fuori il fiato. «Ho
avuto un incubo.» «Oh.» Sbattei le palpebre verso il baldacchino che non potevo vedere nel buio. Mia madre era una fan delle tende oscuranti, sostenendo che erano necessarie in una città che non era mai davvero buia. «Mi dispiace.» Era una risposta fiacca, ma che altro avrei potuto dire? Sarebbe stato inutile chiedergli se voleva parlarne. Non lo faceva mai. «Ne
sto avendo parecchi ultimamente» disse con voce stanca. «Tutte le volte che mi addormento.» Mi si strinse il cuore. Sembrava impossibile sopportare così tanto dolore, ma ce n’era sempre di più. L’avevo imparato tanto tempo
prima. «Sei stressato, Gideon. Neanch’io dormo bene.» E poi, perché dovevo dirlo: «Mi manchi». «Eva…» «Scusa.» Mi sfregai gli occhi. «Forse non avrei dovuto dirlo.» Magari era un segnale contraddittorio che gli avrebbe solo reso le cose più difficili. Mi sentivo
in colpa per essermi allontanata, anche se sapevo di avere avuto una buona ragione per farlo. «No, ho bisogno di sentirlo. Sono terrorizzato, Eva. Non sono mai stato così spaventato. Ho paura che non tornerai… che non mi darai un’altra occasione.» «Gideon…» «All’inizio ho sognato mio padre. Stavamo camminando sulla
spiaggia e lui mi teneva per mano. Sogno spesso la spiaggia ultimamente.» Deglutii a fatica, sentendo un dolore al petto. «Forse significa qualcosa.» «Forse. Nel sogno ero piccolo. Dovevo alzare lo sguardo per vedere la faccia di mio padre. Sorrideva, ma del resto lo ricordo
sempre sorridente. Anche se verso la fine lo sentivo litigare un sacco con mia madre, non riesco a ricordarlo se non con il sorriso.» «Sono sicura che lo rendevi felice. E orgoglioso. Probabilmente sorrideva sempre quando ti guardava.» Rimase in silenzio per un po’ e pensai che avesse finito. Poi
continuò: «Ho visto te sulla spiaggia, che ti allontanavi da noi». Rotolai sul fianco, ascoltando con attenzione. «Il vento ti scompigliava i capelli e il sole li illuminava. Ho pensato che erano bellissimi. Ti ho indicata a mio padre. Avrei voluto che ti girassi perché potessimo vederti in
faccia. Sapevo che eri splendida. Volevo che lui ti vedesse.» Mi si riempirono gli occhi di lacrime, che poi colarono sul cuscino, bagnandolo. «Ho cercato di raggiungerti. Gli tiravo la mano e lui mi tratteneva, ridendo del fatto che correvo dietro alle belle ragazze alla mia età.» Riuscivo a immaginarmi la scena così chiaramente. Potevo quasi sentire la brezza pungente che mi frustava i capelli e udire i richiami
dei gabbiani. Vedevo Gideon bambino come nella foto che mi aveva dato e l’affascinante, carismatico Geoffrey Cross. Volevo un futuro come quello. Con Gideon che camminava sulla spiaggia tenendo per mano nostro
figlio che gli assomigliava così tanto, mio marito che rideva perché ci eravamo lasciati i problemi alle spalle e davanti a noi si apriva un futuro felice. Ma aveva detto che era un incubo, quindi sapevo che il futuro che mi ero raffigurata non era quello che aveva visto lui. «Lo tiravo per la mano» continuò «piantando i piedi nudi nella sabbia. Ma lui era molto più forte di me. E tu ti allontanavi sempre di più. Lui
rideva di nuovo. Solo che questa volta non era la sua risata. Era quella di Hugh. E quando ho alzato lo sguardo di nuovo, non era più mio padre.» «Oh, Gideon.» Singhiozzai il suo nome, incapace di trattenere la compassione e il dolore. E il sollievo che finalmente mi stesse parlando. «Mi ha detto che non mi volevi, che te ne stavi andando perché sapevi tutto e ne eri nauseata. Che non vedevi l’ora di andartene.»
«Non è vero!» Mi tirai su a sedere sul letto. «Lo sai che non è vero. Ti amo. Ed è perché ti amo talmente tanto che mi sforzo di pensare a questo. A noi.» «Sto cercando di darti spazio, ma ho la sensazione che sarebbe così facile allontanarci. Passa un giorno, poi un altro. Troverai una nuova vita senza di me… Dio santo, Eva, non voglio che mi lasci.» Parlai in fretta, senza riflettere, con le parole che sgorgavano a
fiotti. «C’è un modo per uscirne, Gideon, lo so che c’è. Ma quando siamo vicini mi perdo in te. Voglio solo stare con te ed essere felice, così lascio correre i problemi e li accantono. Facciamo l’amore e penso che andrà tutto bene, perché abbiamo questa cosa ed è perfetta.»
«E lo è. È tutto.» «Quando sei dentro di me e mi guardi ho la sensazione che potremmo avere il mondo ai nostri piedi. Ma dobbiamo lavorare su questo, invece! Non possiamo continuare ad avere paura di affrontare i nostri problemi perché non vogliamo perdere l’altro.» Fece un debole grugnito. «Voglio soltanto che passiamo del tempo insieme senza dover fare i conti con tutta quest’altra merda!»
«Lo so.» Mi massaggiai il petto dolorante. «Ma dobbiamo guadagnarcelo, credo. Non possiamo fabbricarlo scappando via per un weekend o una settimana.» «E come possiamo guadagnarcelo?»
Mi asciugai le lacrime che mi scorrevano sulle guance. «Questa notte è stata positiva. Mi hai chiamata, mi hai raccontato il tuo sogno. È un passo avanti importante, Gideon.» «Allora continueremo in questa direzione. Dobbiamo
muoverci insieme o finiremo per prendere strade diverse. Non lasciare che succeda! Io sto combattendo, con tutto quanto. Combatti anche tu per me.» Sentii spuntare altre lacrime. Rimasi seduta lì a piangere, sapendo che mi sentiva e che lo faceva stare male. Alla fine ricacciai indietro il dolore e presi una decisione d’impulso. «Vado in quel locale
aperto tutta la notte tra la Broadway e l’Ottantacinquesima per un caffè e un croissant.» Rimase in silenzio per un pezzo. «Cosa? Adesso?» «Adesso.» Gettai via le coperte e misi i piedi sul pavimento. Poi capì. «Okay.» Chiusi la telefonata, lasciai cadere il telefono sul letto e cercai
a tentoni l’interruttore della luce. Mi precipitai verso il borsone da viaggio e tirai fuori il maxiabito giallo chiaro che ci avevo ficcato dentro perché era facile da mettere in valigia e comodo da indossare. Ora che avevo deciso di incontrare Gideon ero impaziente di raggiungerlo, ma ero pur sempre
una donna. Mi presi del tempo per spazzolarmi i capelli e truccarmi leggermente. Non volevo che mi vedesse dopo quattro giorni e si chiedesse perché mai era così pazzo di me. Il telefono mi avvertì con un ronzio che era arrivato un messaggio e io mi precipitai a
prenderlo. C’era un SMS di Raúl: “Sono qui davanti con l’auto”. Sentii una scossa di energia. Anche Gideon era impaziente di vedermi. Eppure, non gli sfuggiva mai niente. Ficcai il telefono nella borsa, mi infilai i sandali e mi affrettai verso l’ascensore. Gideon mi stava aspettando in strada quando Raúl accostò al marciapiede. Molte delle vetrine sulla Broadway erano chiuse e buie,
ma la via era ben illuminata. Mio marito era in piedi nella luce proveniente dal caffè, le mani nelle tasche dei jeans scuri e il berretto degli Yankees calcato sulla fronte. A quell’ora di notte avrebbe potuto essere un uomo qualunque. Chiaramente attraente, con il suo fisico muscoloso che riempiva i vestiti e la sicurezza con cui si muoveva. Gli avrei dato una seconda occhiata, forse anche una terza. Non era così minaccioso
senza l’abito a tre pezzi che portava tanto bene, ma rimaneva sufficientemente tenebroso e pericoloso, al punto che non mi sfiorava neppure l’idea di flirtare spensieratamente con lui come avrei fatto con uomini altrettanto splendidi.
In jeans o Fioravanti, Gideon Cross non era un uomo da prendere alla leggera. Raggiunse la macchina quasi prima che Raúl si fermasse, aprì la portiera con un gesto deciso e poi si immobilizzò, fissandomi con tale bruciante passione che scoprii di far fatica a respirare. Deglutii e lo divorai con lo sguardo. Incredibilmente era
persino più bello, i lineamenti scolpiti del viso affinati dal tormento. Come avevo potuto vivere senza vedere quel viso? Mi porse la mano e io la presi, avvertendo un fremito all’idea che mi toccasse. Il contatto della sua pelle con la mia mi fece l’effetto di una scarica elettrica e il cuore
dolorante riprese vita non appena lui mi fu di nuovo accanto. Mi aiutò a scendere, chiuse la portiera e tamburellò con le dita sul tetto dell’auto per segnalare a Raúl di andare. Mentre la Mercedes si allontanava rimanemmo in piedi a meno di trenta centimetri di distanza, con l’aria crepitante di tensione. Passò un taxi suonando il clacson a un auto che aveva svoltato sulla Broadway senza guardare.
Il rumore ci fece sobbalzare. Fece un passo verso di me, gli occhi accesi di desiderio sotto la visiera del berretto. «Ho intenzione di baciarti» disse brusco. Mi mise una mano sulla guancia e inclinò la testa, premendo la bocca sulla mia. Le sue labbra morbide, ferme e asciutte, fecero
schiudere le mie. Mi infilò la lingua in bocca, esplorandomi, la ritrasse e me la mise di nuovo dentro, a fondo. Gemette come se provasse dolore. O piacere. Per me era entrambe le cose. Le carezze appassionate della sua lingua in bocca erano come una scopata dolce e lenta. Ritmiche, esperte, con un pizzico perfettamente
equilibrato di passione trattenuta. Gemetti mentre venivo invasa dall’euforia che mi spumeggiò nelle vene come champagne. Sentii il terreno ondeggiarmi sotto i piedi e dovetti afferrare i polsi di Gideon per rimanere in equilibrio. Feci un lamento di protesta quando lui si scostò, le labbra doloranti e gonfie, il sesso bagnato di desiderio. «Mi farai venire» mormorò, sfiorandomi le labbra con le sue
un’ultima volta come se non riuscisse a resistere. «Ci sono quasi.» «Non me ne importa niente.» Le sue labbra si incurvarono in un sorriso, scacciando le ombre. «La prossima volta che vengo sarà dentro di te.» Feci un respiro tremante al pensiero. Lo volevo, eppure sapevo che era troppo
presto. Che saremmo ricaduti nello schema malato che avevamo instaurato. «Gideon…» Il suo sorriso divenne triste. «Immagino che per il momento ci accontenteremo di caffè e croissant.» Lo amai così tanto in quel
momento. Impulsivamente, gli levai il cappellino e gli diedi un sonoro bacio sulla bocca. «Dio santo» ansimò, lo sguardo così tenero che mi fece venire voglia di piangere di nuovo. «Mi sei mancata così tanto, cazzo.» Gli rimisi in testa il berretto e lo presi per mano, guidandolo attraverso il cancelletto di metallo
che separava l’area dei tavolini all’aperto del caffè dal traffico pedonale. Entrammo nel locale e ci sedemmo a un tavolo vicino alla vetrina, uno di fronte all’altra. Ma continuammo a tenerci per mano, accarezzandoci le dita, giocherellando con le fedi. Quando arrivò una cameriera con i menu ordinammo, poi tornammo a guardarci.
«Non ho nemmeno fame» gli dissi. «Non di cibo, comunque» ribatté lui. Gli scoccai un’occhiata di finto rimprovero che lo fece sorridere. Poi gli raccontai della controproposta che la Waters, Field & Leaman aveva fatto a Mark. Sembrava sbagliato discutere di argomenti pratici, mondani, quando avevo il cuore traboccante di amore e sollievo, ma dovevamo continuare
a parlare. Ritrovarsi non bastava; volevo una riconciliazione piena e totale. Volevo trasferirmi nell’attico ristrutturato insieme a lui, cominciare la nostra vita insieme. Per farlo dovevamo continuare a comunicare sulle cose che in passato avevamo sempre evitato. Quando finii, Gideon annuì cupo. «Non mi stupisce. Una commessa
come quella dovrebbe essere gestita da uno dei soci. Mark è bravo, ma è uno junior manager. La LanCorp deve avere fatto pressioni per avere lui. E te. La richiesta è abbastanza insolita da costituire motivo di preoccupazione per i soci.» Pensai alla vodka Kingsman. «Tu hai fatto la stessa cosa.»
«Sì, è vero.» «Non so che intenzioni abbia.» Guardai le nostre mani intrecciate. «Ma gli ho detto che non potrei lavorare alla campagna di PhazeOne anche se rimanesse per occuparsene.» Gideon mi strinse più forte la mano. «Hai delle buone ragioni per fare
le cose che fai» dissi piano «anche se non mi piacciono.» Inspirò lentamente, a fondo. «Verrai con lui alla Cross Industries se decide di accettare?» «Non ne sono ancora sicura. In questo momento sono piuttosto amareggiata. A meno che le cose non cambino, non credo che sarebbe un rapporto di lavoro sano per nessuno di noi.» Annuì. «Giustissimo.» La cameriera tornò con le
ordinazioni. Io e Gideon ci lasciammo le mani per permetterle di appoggiare i piatti. Quando si allontanò, scese un silenzio pesante. C’erano così tante cose da dire, ma prima era necessario
pensare a come risolverle. Gideon si schiarì la voce. «Questa sera, dopo il dottor Petersen, posso portarti fuori a cena?» «Sì.» Accettai con entusiasmo, grata dell’occasione di superare l’imbarazzo parlando
di cose pratiche. «Mi piacerebbe.» Vidi il sollievo ammorbidirgli la postura rigida e volli dare il mio contributo. «Will mi ha chiesto se abbiamo voglia di andare a bere qualcosa con lui e Natalie questa settimana.» Gideon fece un sorriso appena accennato. «Penso che sarebbe fantastico.» Piccoli passi. Avremmo iniziato
con questi e avremmo visto dove ci portavano. Scostai la sedia dal tavolo e mi alzai in piedi. Gideon mi imitò subito, lanciandomi un’occhiata perplessa. Feci il giro e mi sedetti nel posto accanto al suo,
aspettando che si rimettesse a sedere per accoccolarmi al suo fianco. Mi mise un braccio attorno alle spalle, attirandomi la testa nell’incavo del collo. Sospirò piano quando mi appoggiai contro di lui. «Sono ancora arrabbiata con te» gli dissi. «Lo so.»
«E sono ancora innamorata di te.» «Grazie al cielo.» Mi appoggiò la guancia sulla testa. «Risolveremo anche il resto. Ci rimetteremo in carreggiata.» Restammo seduti a guardare la città che si svegliava. Il cielo si schiarì. La vita accelerò il ritmo. Era un altro giorno, che portava con sé una nuova opportunità di ricominciare. Questo ebook contiene materiale protetto
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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale. www.librimondadori.it In gioco per te di Sylvia Day
Copyright © 2014 by Sylvia Day © 2014 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano Titolo dell’opera originale Captivated by You Ebook ISBN 9788852059285 COPERTINA || ART DIRECTOR: GIACOMO CALLO | PROGETTO GRAFICO: SARAH OBERRENDER | GRAPHIC DESIGNER: NADIA MORELLI | FOTO © EDWIN TSE «L’AUTRICE» || FOTO © DAVID
LAPORTE Indice Il libro L’autore Frontespizio In gioco per te Ringraziamenti Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6
Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17 Capitolo 18 Capitolo 19
Capitolo 20 Copyright Indice Il libro 2 L’autore 5 Frontespizio 7 In gioco per te 9 Ringraziamenti 10
Capitolo 1 14 Capitolo 2 75 Capitolo 3 99 Capitolo 4 178 Capitolo 5 250 Capitolo 6 317 Capitolo 7
356 Capitolo 8 419 Capitolo 9 500 Capitolo 10 574 Capitolo 11 624 Capitolo 12 708 Capitolo 13 773
Capitolo 14 819 Capitolo 15 907 Capitolo 16 956 Capitolo 17 986 Capitolo 18 1026 Capitolo 19 1112 Capitolo 20
1176 Copyright 1250
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